Milano, 27 agosto 2017 - 08:38

Cecilia Strada: «Non dimentichiamo le vittime della guerra»

La figlia dei fondatori di Emergency fa da guida a monumenti storici e giardini segreti del quartiere di Gorla, dove nel 1944 un bombardamento uccise 184 bambini

shadow

Appare dal nulla ed è impressionante. Due secondi prima hai davanti agli occhi la Martesana, acqua, vegetazione fluviale, runner e biciclette, poi sali il vecchio ponte, ti trovi sull’altra sponda e di colpo è lì. La scritta in rilievo, in alto, «Ecco la guerra», e in primo piano la scultura, una figura velata, le braccia tese a sorreggere il corpo, inerte, di un bambino. Cecilia Strada ha scelto di iniziare la passeggiata per Gorla dal monumento di Remo Brioschi in piazza Piccoli Martiri. Un’opera forte e poco nota, di cui non c’è traccia nelle guide e che gli stessi milanesi, con l’eccezione degli abitanti di zona, probabilmente ignorano. «È un monito», premette lei. Scelta ideologica, non poteva che essere così. Emergency cura le vittime di guerra e Cecilia, figlia dei fondatori Gino e Teresa, ne è stata la presidente fino a un mese fa. Una presidente amata, la cui destituzione («non me l’aspettavo, un basso colpo di mano») ha creato un terremoto all’interno della Onlus. Non si lascia tentare, non aggiunge altro e indica le colonne del monumento. «Lì c’è la storia, non tutti se ne accorgono».

Ci avviciniamo. Ecco: si vede una data, 22 ottobre 1944, e quelle figurine scolpite nel travertino che raccontano: l’aereo che scende in picchiata e la scuola ancora intatta, l’aereo che risale e la scuola ridotta in macerie. «Un errore di virata, 22 gradi a destra e 80 tonnellate di esplosivo, destinate alla Breda, colpirono il quartiere. Suonò l’allarme, ma mancò il tempo, i bambini erano sulle scale. Ne morirono 184, oltre a 19 adulti, e in quella mattina finirono sotto le bombe altri 614 civili», spiega. Sorge un dubbio: che si sia preparata? Fa una smorfia ed estrae dalla borsa un invito di Emergency del ’94. «Era il cinquantesimo della strage, fu il nostro primo intervento pubblico». Riprende il filo del discorso: «Dove c’era la scuola era previsto un cinema. I genitori delle vittime si ribellarono, il sindaco Greppi bloccò i lavori. Padri e madri promossero poi una raccolta fondi per il monumento, le acciaierie Falck donarono il ferro. Io consiglio di scendere nella cripta, la aprono due domeniche al mese, c’è un affresco, merita».

Via dalla guerra. «Adesso pausa nel verde! Conosco un parco qui dietro, romantico ma sconosciuto». Percorso a ritroso, ponticello, tratto di Martesana, viale Monza, via Sant’Erlembaldo, Villa Finzi. La confessione arriva proprio mentre varca il cancello del giardino. «Non ero pronta, mi sono documentata...». Riassume: «La villa era di un conte magiaro, il parco fu creato ai primi dell’Ottocento. Il disegno è quello originale: ippocastani, tigli, ciliegi e un raro gelso da carta. Ci sono due tempietti neoclassici, uno ipogeo, con l’ingresso murato, l’altro nel prato». Si presta alla foto nel tempio, poi indica una collina e svela la presenza di una ghiacciaia. È un pozzo profondo, coperto da una grata. «Che paura mamma», dice il figlio Leone, sette anni, compagno di passeggiata.

E ora? Nuova proposta, il teatro dentro al complesso di case popolari. Entriamo: caseggiati primo 900, alti alberi, una pista in cemento per le biglie e nel mezzo di un cortile spunta l’insegna del Teatro Officina. «Credo fosse una balera, trasformata in teatro negli anni 70, arrivarono contributi perfino da Paolo Grassi. Conosco gli attori che ci lavorano, Massimo de Vita e Daniela Airoldi Bianchi». Un’occhiata al palcoscenico e di nuovo in strada. Indica una lapide che ricorda «la furia devastatrice della guerra». Prima dell’arrivederci: ora che non sei più presidente? «Sono sempre dentro, seguo gli eventi culturali come prima». Possibilità di una rielezione? Sorride mentre dice, «Niente è per sempre».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT