APAT
Agenzia per la protezione
dell’ambiente e per i servizi tecnici
Piante Geneticamente
Modificate e ambiente
Rapporti 44/2004
APAT
Informazioni legali
L’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici o le persone che agiscono
per conto dell’Agenzia stessa non sono responsabili per l’uso che può essere fatto delle informazioni contenute in questo rapporto.
APAT - Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici
Via Vitaliano Brancati, 48 - 00144 Roma
www.apat.it
© APAT, Rapporti 44/2004
ISBN 88-448-0127-2
Riproduzione autorizzata citando la fonte
Elaborazione grafica
APAT
Grafica di copertina: Franco Iozzoli
Foto: Paolo Orlandi
Coordinamento tipografico
APAT - Supporto alla Direzione Generale
Settore Editoria, Divulgazione e Grafica
Impaginazione e stampa
I.G.E.R. srl - Viale C.T. Odescalchi, 67/A - 00147 Roma
Stampato su carta TCF
Finito di stampare Settembre 2004
Autori
Valeria Giovannelli
Matteo Lener
Livia Mobili
Enrico Selva
Giovanni Staiano
APAT, Dipartimento Difesa della Natura
Consulente
CTN_NEB, Val d’Aosta
Consulente
APAT, Dipartimento Difesa della Natura
Per il capitolo sulla normativa:
Alberto Manzo
MIPAF, Direzione generale per la qualità dei prodotti
agroalimentari e la tutela del consumatore
Struttura del CD_ROM
Alberto Boldrini
Livia Mobili
CTN_NEB, Val d’Aosta
CTN_NEB, Val d’Aosta
Redazione degli Abstract inseriti nel CD_ROM
Livia Mobili
CTN_NEB, Val d’Aosta
Matteo Lener
Consulente
Giovanni Staiano
APAT, Dipartimento Difesa della Natura
Valeria Giovannelli
APAT, Dipartimento Difesa della Natura
Coordinamento
Livia Mobili
CTN_NEB, Val d’Aosta
Si ringraziano per la revisione e la correzione dei testi
G. Poda
ARPA Emilia Romagna
M.A. Bucci Sabattini
ARPA Emilia Romagna
M. Enrico Pè
Docente di Genetica Agraria - Dipartimento di
Genetica e Biologia dei Microrganismi dell’Università
degli Studi di Milano.
Hanno collaborato, inoltre, alla revisione dei testi:
Valentina Rastelli
Consulente
Alessandro Savi
Consulente
INDICE
PRESENTAZIONE ............................................................................... pag.
9
INTRODUZIONE ................................................................................
»
11
1. STORIA DEL BIOTECH ....................................................................
»
13
1.1 Lo sviluppo delle biotecnologie vegetali ................................
»
13
1.2 La coltura in vitro di cellule vegetali ......................................
»
13
1.3 La biologia molecolare ........................................................
»
14
1.4 Piante Geneticamente Modificate (PGM) ...............................
»
15
2. TECNICHE BIOMOLECOLARI UTILIZZATE PER
IL TRASFERIMENTO GENETICO .......................................................
»
19
2.1 Introduzione al DNA ...........................................................
»
19
2.2 Preparazione dei costrutti transgenici ...................................
»
21
2.3 Plasmidi ..............................................................................
»
23
2.4 Metodi di trasformazione .....................................................
»
24
3. PANORAMA NORMATIVO .............................................................
»
29
3.1 Premessa ............................................................................
»
29
3.2 Il Libro Bianco sulla Sicurezza alimentare e il Regolamento CE
n. 178/2002 che istituisce l’Autorità Europea per la
Sicurezza Alimentare (AESA) ...............................................
»
31
3.3 Il Regolamento CE n. 1829/2003 ........................................
»
34
3.4 Il Regolamento CE n. 1830/2003 ........................................
»
40
3.5 La Direttiva n. 98/81/CE e il Decreto Legislativo n. 206/2001
di recepimento nazionale ....................................................
»
41
3.6 La Direttiva n. 2001/18/CE e il Decreto Legislativo
n. 224/2003 di recepimento nazionale ................................
»
45
3.7 La Raccomandazione n. 556/2003 .....................................
»
56
3.8 Il Regolamento CE n. 65/2004 ............................................
»
58
3.9 La Decisione CE n. 204/2004 .............................................. pag. 59
3.10 Regolamento CE n. 641/2004............................................
»
60
3.11 Conclusioni .......................................................................
»
61
4. IDENTIFICAZIONE E CARATTERIZZAZIONE DEI POTENZIALI IMPATTI
ASSOCIATI AL RILASCIO NELL’AMBIENTE DI PGM ...........................
»
65
4.1 Impatti potenziali ................................................................
»
65
4.2 Scala macroscopica ............................................................
4.2.1 Il flusso genico ............................................................
4.2.2 Il trasferimento genetico orizzontale .............................
»
»
»
67
67
68
4.3 Scala macroscopica ............................................................
4.3.1 PGM resistenti agli insetti patogeni ...............................
4.3.2 PGM tolleranti agli erbicidi .........................................
4.3.3 PGM resistenti ai virus ................................................
4.3.4 PGM resistenti ai funghi patogeni ................................
4.3.5 PGM per le caratteristiche produttive e resistenti
a stress ambientali ......................................................
»
»
»
»
»
70
70
72
73
74
»
75
5. RASSEGNA SULLO STATO DELLE SPERIMENTAZIONI E DELLA
COMMERCIALIZZAZIONE NEL MONDO ..........................................
»
77
5.1 Processi regolatori ...............................................................
»
77
5.2 Metodologia del trattamento dei dati ....................................
»
78
5.3 Le coltivazioni transgeniche nel mondo .................................
»
79
5.4 Sequenze genetiche modificate ............................................
»
86
5.5 Coltivazioni transgeniche nei paesi industrializzati,
Europa dell’Est e Russia .......................................................
»
87
5.6 I prodotti autorizzati ...........................................................
»
90
5.7 I prodotti autorizzati a livello globale ..................................
»
90
6. LA SITUAZIONE IN ITALIA ..............................................................
» 107
6.1 Presentazione delle sperimentazioni attuate in Italia
a partire dalle notifiche .......................................................
» 107
6.2 Schede relative alle PGM maggiormente sperimentate
in Italia e pronte per essere prodotte a livello commerciale ....
» 122
6.2.1
6.2.2
6.2.3
6.2.4
6.2.5
Barbabietola da zucchero ........................................... pag. 122
Colza ........................................................................ » 128
Mais .......................................................................... » 136
Pomodoro .................................................................. » 142
Soia ........................................................................... » 147
7. ORGANIZZAZIONI NAZIONALI ED INTERNAZIONALI ED
INDUSTRIE CHE SI OCCUPANO DI OGM ........................................
» 153
7.1 Rassegna degli enti istituzionali preposti alla raccolta dati, al
controllo e alla valutazione delle attività legate agli OGM .....
7.1.1 Italia ..........................................................................
7.1.2 Commissione Europea ................................................
» 153
» 153
» 156
7.2 Panoramica sulle organizzazioni internazionali che
si occupano di OGM ...........................................................
7.2.1 Organizzazioni governative ........................................
» 157
» 157
7.3 Presentazione di alcune aziende produttrici di piante
geneticamente modificate ...................................................
» 165
CONCLUSIONI ..................................................................................
» 173
BIBLIOGRAFIA ...................................................................................
» 175
PRINCIPALI SITI INTERNET DI RIFERIMENTO ........................................
» 183
ALLEGATO 1 .....................................................................................
» 185
Istruzioni per l’uso del CD_ROM “DB BIBLIOGRAFIA OGM” ........
» 185
SIGLE E ACRONIMI.............................................................................
» 192
PRESENTAZIONE
L’APAT ha iniziato ad occuparsi di Organismi Geneticamente Modificati (OGM) a
partire dal 1999. Attualmente l’attività sulla tematica è incentrata allo sviluppo di metodologie idonee ad individuare i potenziali effetti sull’ambiente connessi con il rilascio di OGM, alla valutazione delle richieste di autorizzazione al rilascio deliberato
di OGM, sia per scopi sperimentali sia per quelli commerciali, al coordinamento delle Agenzie Regionali e Provinciali per la Protezione dell’Ambiente allo scopo di favorire lo scambio e l’aggiornamento delle informazioni e allo sviluppo degli indicatori
ambientali più idonei alle attività di monitoraggio.
I campi di applicazione delle moderne biotecnologie, da cui derivano gli OGM, e l’utilizzo degli OGM stessi, sono molto numerosi e suscitano, inevitabilmente, l’interesse
sia della comunità scientifica sia dell’opinione pubblica. Di conseguenza, alle istituzioni è richiesto un ruolo guida per la corretta gestione dei nuovi scenari che si affacciano all’orizzonte.
Su questa tematica l’APAT, in qualità di Ente pubblico preposto alla salvaguardia dell’ambiente, attraverso il Dipartimento Difesa della Natura, è impegnata a rispondere
alle sollecitazioni, che vengono da più parti, valorizzando gli input e i risultati scientifici che arrivano dai settori più avanzati della ricerca, associando alle attività di valutazione ed analisi dei rischi connessi al rilascio ambientale di OGM quella di divulgazione ed aggiornamento. Ed è in quest’ambito che si colloca la presente pubblicazione che ha l’intento di fornire, utilizzando un linguaggio semplice ma scientificamente rigoroso, uno strumento che raccoglie e presenta in maniera il più possibile
completa tutte le informazioni scientifiche, normative e storiche sull’argomento, con
particolare riferimento alla realtà italiana.
Dott. ssa Marisa Amadei
Direttore Dipartimento Difesa della Natura
9
INTRODUZIONE
Le recenti scoperte scientifiche nel campo della genetica molecolare hanno permesso,
negli ultimi venti anni, lo sviluppo delle moderne biotecnologie.
Oggi è possibile intervenire sul patrimonio genetico di animali, piante, batteri e virus
modificandone alcune caratteristiche. I campi d’applicazione, com’è facilmente intuibile, sono numerosi e consentono di intervenire in campo medico (terapia genica, produzione di farmaci e vaccini), in campo ambientale (risanamento e ripristino di aree
contaminate, biomonitoraggio, sviluppo di nuovi indicatori ambientali), in campo industriale (produzione di plastiche, resine, ecc.), in campo agroalimentare e zootecnico (piante ed animali transgenici resistenti a stress biotici ed abiotici o con modificate caratteristiche nutrizionali).
Accanto agli innegabili benefici ci sono aspetti che possono comportare l’insorgenza
di problematiche che è necessario analizzare e valutare tanto attentamente quanto
correttamente. In particolare, per quanto riguarda l’APAT, l’attività è focalizzata alla
valutazione ed analisi delle implicazioni ambientali conseguenti l’uso delle biotecnologie.
Nella comunità scientifica è in corso un ampio dibattito che risulta molto polarizzato;
da un lato si ritiene che l’applicazione delle biotecnologie sia scevra da ogni complicazione ambientale, dall’altro, invece, che sussistano elementi di incertezza e, quindi, sia necessario un approccio precauzionale nell’attesa di acquisire ulteriori conoscenze ed evidenze sperimentali. Compito del mondo della ricerca e delle istituzioni
è fare luce su tali dubbi e quesiti anche nei confronti dell’opinione pubblica che troppo spesso non viene adeguatamente informata e risulta preda di irrazionali paure e
timori.
La richiesta di informazioni complete e corrette ha spinto APAT a realizzare degli agili strumenti che rispondano a tali richieste. In questa pubblicazione si è scelto di affrontare, in primo luogo, l’applicazione delle biotecnologie in campo agricolo (Piante Geneticamente Modificate, PGM). Il documento si articola in sette capitoli ed un allegato, all’interno dei quali, partendo da un breve storia delle scoperte scientifiche
fondamentali in campo biotecnologico, sono descritte le tecniche di biologia molecolare e di coltura in vitro utilizzate nella produzione di piante transgeniche, la normativa vigente nella Comunità Europea e in Italia; viene inoltre presentata una rassegna
delle sperimentazioni attuate e dello stato della commercializzazione delle PGM in Italia e nel mondo, le caratteristiche delle principali colture interessate dalle modificazioni genetiche e, soprattutto, una panoramica dei potenziali rischi connessi all’introduzione di colture transgeniche nell’ambiente.
Nell’ultimo capitolo del documento vengono presentate le principali organizzazioni
nazionali e internazionali che si occupano, sotto diversi punti di vista, di OGM e le
diverse industrie biotech produttrici di PGM, fornendo al lettore il maggior numero di
11
riferimenti possibili per l’approfondimento delle conoscenze relative agli OGM a seconda delle tematiche di interesse.
Nell’allegato 1 sono contenute le istruzioni per la consultazione del CD ROM all’interno del quale è presente una raccolta bibliografica e gli abstract della documentazione scientifica reperita nel corso dell’analisi dell’informazione.
I dati e le informazioni contenute nel presente rapporto sono aggiornate al dicembre
2003.
12
1. STORIA DEL BIOTECH
1.1 Lo sviluppo delle biotecnologie vegetali
I principali progressi nelle applicazioni pratiche delle biotecnologie in campo vegetale sono stati compiuti negli ultimi venti anni, mettendo a frutto le conoscenze accumulatesi in diverse discipline, tra le quali è opportuno citare la genetica, la microbiologia, la biologia molecolare e la fisiologia vegetale. In particolare, le biotecnologie
vegetali hanno preso l’avvio dalla fusione delle metodiche di coltura in vitro di cellule e/o tessuti vegetali con la tecnologia del DNA ricombinante e con lo sviluppo di sistemi per inserire singoli geni direttamente nel nucleo cellulare (sistemi di trasformazione genetica). Nei paragrafi seguenti saranno richiamati brevemente alcuni concetti
generali della coltura in vitro e di biologia molecolare, mentre nel capitolo 3 saranno
descritte le tecniche per ottenere piante geneticamente modificate.
1.2 La coltura in vitro di cellule vegetali
La biotecnologia vegetale si distingue da quella animale principalmente per il fatto che,
sfruttando una caratteristica peculiare della cellula vegetale, la totipotenza, è in grado
di produrre delle piante adulte, fertili e geneticamente modificate, partendo da una o
poche cellule trasformate, senza dover necessariamente intervenire durante la fase di
riproduzione sessuale, ad esempio sulla cellula uovo, sugli spermatozoi o durante le
prime fasi di sviluppo dell’embrione, come invece avviene per gli animali superiori.
Totipotenza indica infatti la capacità di una cellula vegetale adulta, già differenziata,
che ha cioè acquisito tutte quelle caratteristiche morfologiche e funzionali che distinguono per esempio una cellula della foglia da una della radice, di ritornare ad uno
stadio non differenziato. Con opportuni trattamenti ormonali è possibile forzare una
proliferazione di cellule indifferenziate, dette callo cellulare, a differenziarsi nuovamente producendo tutti i tipi cellulari, da cui il termine totipotenza.
Per tecniche di coltura in vitro si intendono tutte quelle metodiche che consentono di
coltivare, in modo artificiale, cellule su specifici terreni di coltura composti da: sali minerali, vitamine, fonti di carbonio (ad esempio saccarosio e glucosio) e amminoacidi.
Il processo in vitro che porta, partendo da cellule del callo, alla formazione di una
pianta adulta fertile prende il nome di rigenerazione.
Le prime ricerche sulla totipotenza risalgono agli inizi di questo secolo quando Haberlandt (1902) ottenne per la prima volta la rigenerazione di una pianta intera da
una coltura di cellule in vitro. Successivamente, Gautheret (1935) e White (1938) furono in grado di mantenere indefinitamente in coltura linee cellulari rispettivamente
di salice e tabacco.
13
Nel 1957 Skoog e Miller dimostrarono che il rapporto tra la quantità di auxine e di
citochinine (fitoregolatori) presenti nel terreno di coltura induce l’attivazione di differenti sviluppi morfologici in colture di cellule vegetali di tabacco e carota. Un rapporto favorevole alle auxine induce nelle colture la formazione di radici mentre quello favorevole alle citochinine la differenziazione di germogli.
Nel 1958 Steward e il suo gruppo di ricercatori furono in grado di ottenere, partendo da una linea cellulare di carota in coltura, degli embrioni artificiali definiti come
“embrioni somatici”.
Negli anni successivi furono sviluppate le tecniche per la coltura di cellule, tessuti ed
organi e per la rigenerazione di piante intere da colture di cellule e di protoplasti (cellule private, per digestione enzimatica, della parete cellulare).
Grandi sviluppi commerciali si ottennero nel settore vivaistico con la messa a punto di
tecniche per la micropropagazione di germogli e per l’induzione di embriogenesi somatica.
Per alcuni decenni la possibilità di rigenerare è stata la limitazione principale alla produzione di piante geneticamente modificate. Molte specie, infatti, si sono dimostrate
difficili da rigenerare e l’efficienza della tecnologia è spesso influenzata dal particolare genotipo, cioè l’assetto genetico. Per alcune specie soltanto alcune varietà o linee
possono essere rigenerate con efficienza. Attualmente, pur rimanendo alcune situazioni particolari, la fase di rigenerazione è data per acquisita per quasi, se non tutte, le specie di interesse agricolo e forestale.
1.3 La biologia molecolare
Nel 1944 Avery e collaboratori dimostrarono inequivocabilmente che il DNA (acido
desossiribonucleico) è il materiale genetico, cioè la molecola che contiene l’insieme dell’informazione genetica. L’informazione genetica è il patrimonio specifico della specie
e dell’individuo all’interno della specie, che regola e controlla le funzioni cellulari, il loro processo di sviluppo e la loro risposta agli stimoli ambientali. Ne consegue che i geni non sono altro che frammenti più o meno lunghi di DNA. Questa scoperta spostò l’attenzione della comunità scientifica internazionale verso la caratterizzazione delle proprietà chimico-fisiche e biologiche del DNA, al fine di capire come questa macromolecola, apparentemente inerte, fosse in grado di ricoprire questo ruolo biologico fondamentale. Nell’arco di poco più di vent’anni si giunse a stabilire la struttura tridimensionale del DNA (Watson e Crick, 1953), a descrivere il flusso dell’informazione genetica
dal DNA alle proteine, esecutrici materiali dei processi cellulari nonché a decifrare il codice genetico, cioè a capire come la sequenza di nucleotidi che costituiscono la struttura primaria del DNA possa essere tradotta nella sequenza specifica di amminoacidi che
compongono le proteine (Nirenberg 1961, Nirenberg 1964, Ghosh 1967).
È importante richiamare l’attenzione su una caratteristica fondamentale del codice ge-
14
netico, la sua universalità, per la rilevanza che ha per la biotecnologia in generale. Il
codice è universale in quanto una sequenza di DNA è interpretata allo stesso modo
da tutti gli esseri viventi, dai batteri all’uomo. Se ciò non fosse, la biotecnologia come
la concepiamo adesso non esisterebbe. È soltanto per effetto dell’universalità del codice genetico che è possibile che un batterio, nel cui DNA sia stato inserito il gene che
codifica per l’insulina umana, sia in grado di produrre questa proteina.
Agli inizi degli anni ’70 Smith e Wilcox individuarono in vari microrganismi un enzima,
chiamato “enzima di restrizione”, in grado di tagliare il DNA in un punto preciso della
sua sequenza. Questa scoperta si rivelò determinante nel processo di sviluppo delle tecniche del DNA ricombinante (rDNA); infatti i frammenti ottenuti tagliando il DNA con
gli enzimi di restrizione possono essere ricomposti in sequenze con proprietà diverse.
Negli stessi anni furono messe a punto le tecniche per l’isolamento di geni codificanti per proteine specifiche. Si scoprì, inoltre, come trasferire porzioni di DNA da un organismo all’altro facendo esprimere i tratti desiderati nell’organismo ricevente.
Nel 1977 Gilbert e Maxam svilupparono un metodo chimico, in sostituzione di quello enzimatico, per il sequenziamento del DNA.
Nel 1978 una versione sintetica del gene dell’insulina umana fu costruita ed inserita
nel batterio Escherichia coli.
Nel 1980 K. Mullis e collaboratori inventarono una tecnica per moltiplicare in vitro le
sequenze di DNA per mezzo di una reazione polimerasica a catena (PCR). La tecnica PCR è stata la più grande innovazione degli anni ’80 nel campo della biologia molecolare ed ha consentito enormi sviluppi in tutti i campi della ricerca biologica, biomedica e nelle applicazioni diagnostiche.
A partire dagli anni ’80 con l’utilizzo della tecnica del “gene splicing” o della tecnologia del “DNA ricombinante (rDNA)” si cominciarono a inserire nuove informazioni genetiche negli organismi.
1.4 Piante Geneticamente Modificate
Si può intuire facilmente come la combinazione tra la possibilità di rigenerare piante
intere da poche cellule da un lato e la possibilità di modificare il contenuto e la struttura del DNA delle singole cellule dall’altro, abbiano rappresentato uno strumento eccezionale che ha consentito la produzione di piante geneticamente modificate.
Il problema principale da risolvere è stato quello di mettere a punto sistemi sperimentali che consentissero l’introduzione di molecole di DNA, e quindi di geni variamente modificati nella cellula vegetale e di farli integrare nel DNA endogeno racchiuso
nel nucleo cellulare.
Le prime scoperte sulla possibilità di trasferire l’informazione genetica nel genoma dei
vegetali sono legate agli studi sul batterio Agrobacterium tumefaciens.
Nel 1974, infatti, fu dimostrata la patogenicità verso i vegetali di A. tumefaciens (Zae-
15
nen, Van Larebeke, et al., 1974) dovuta alla presenza del plasmide Ti (tumor inducing). Nel 1977, Chilton et al. dimostrarono l’inserimento del DNA di Ti nel genoma
di cellule delle piante.
Sulla base di queste scoperte fu in seguito sviluppata la tecnica di trasformazione che
prevede l’infezione delle piante con un A. tumefaciens geneticamente modificato, nel
cui plasmide Ti i geni patogeni per la pianta sono sostituiti da geni di interesse con
funzioni specifiche.
Un’altra tecnica utilizzata per introdurre l’informazione genetica nelle cellule vegetali è il metodo detto biolistico. Questo sistema è stato ideato originariamente per ovviare al fatto che molte specie di interesse agrario, quali ad esempio i cereali, non
sembrava potessero essere infettati da A. tumefaciens. Si pensò quindi di usare un sistema di trasformazione meccanico, in grado di superare di forza la barriera costituita dalla parete cellulare. Nel 1988 un gruppo di ricerca americano (Sanford et al.,
1988) ideò un sistema basato sul bombardamento dei meristemi o dei calli in coltura
con micro-pallottole (oro, tungsteno) sulle quali era stato fatto aderire il DNA da inserire. Questo metodo, che originariamente utilizzava uno strumento a scoppio, con
tanto di polvere da sparo, da cui il nome di biolistica (con chiaro riferimento alla balistica), si avvale di strumenti a pressione e si applica in particolare a quelle specie vegetali che non possono essere infettate da A. tumefaciens o che sono recalcitranti alla rigenerazione in coltura in vitro.
Le tecniche di trasformazione genetica saranno comunque più dettagliatamente descritte nel capitolo successivo.
Con la tecnica dell’infezione con Agrobacterium fu prodotta nel 1983 la prima pianta transgenica: una pianta di tabacco resistente ad un antibiotico (Herrera-Estrella et
al., 1983). Successivamente furono prodotte piante geneticamente modificate con caratteristiche di resistenza agli insetti, ai virus e ai batteri.
Il Bacillus thuringiensis, un batterio che si trova comunemente nel suolo, produce una
proteina tossica per molti insetti fitofagi ma innocua per l’uomo. Agli inizi degli anni
’80 alcune ditte private furono in grado di trasferire una copia del gene del batterio
nelle piante al fine di ottenere piante con caratteristiche di resistenza agli insetti.
Nel 1985 venne realizzato il primo test in campo per piante di cotone resistenti agli
insetti con inserito il gene isolato da Bacillus thuringensis (Bt).
Nel 1994 venne autorizzata negli Stati Uniti la commercializzazione del primo prodotto di una pianta transgenica: il pomodoro Flavr Savr, caratterizzato da frutti che
si mantenevano compatti anche a maturazione avanzata. I ricercatori avevano introdotto nella pianta due geni legati in tandem. Il primo era un gene (antisenso) di pomodoro modificato che sopprimeva l’attività dell’enzima poligalatturonasi, il secondo
un gene marker che conferiva la resistenza a un antibiotico e che permetteva di selezionare in laboratorio le piante trasformate che avevano integrato entrambi i geni.
Questo prodotto fu ritirato dal commercio dopo tre anni perché fortemente suscettibile alle malattie e scarsamente produttivo.
16
Altre quattro linee di pomodoro transgenico con caratteristiche di frutti compatti alla maturazione furono autorizzati alla commercializzazione negli anni dal 1995 al 1996. Le
piante di pomodoro transgeniche furono ottenute utilizzando l’inibizione, per mezzo di
RNA antisenso, degli enzimi ACC sintetasi o ACC ossidasi, due precursori dell’etilene.
Nel 1994 fu autorizzata la commercializzazione negli Stati Uniti della soia Roundup Ready, resistente all’erbicida glifosato e del mais YieldGard, resistente ad un insetto (piralide).
Nel 1995 furono realizzate piante transgeniche di patata con il gene Bt e l’USDA diede via libera alla commercializzazione di una pianta di zucca resistente a due tipi di
virus. Quest’ultima conteneva tre geni: un gene marker per la selezione e due geni
che conferivano la resistenza a due virus simili ma distinti.
Dal 1996 il cotone Roundup Ready, resistente all’erbicida glifosato, è commercializzato negli Stati Uniti.
Negli ultimi anni sono state ottenute e autorizzate alla coltivazione numerose piante
transgeniche, appartenenti a diverse specie, in cui l’inserimento di tratti genetici di interesse ha determinato la presenza di caratteri quali ad esempio:
– tolleranza agli erbicidi (glifosato, glufosinato);
– resistenza agli insetti (Bt);
– maschio sterilità;
– resistenza a virus;
– resistenza a funghi;
– resistenza a stress ambientali (basse temperature, salinità, ecc.);
– alterazione di vie biosintetiche (contenuto in: nitrati, proteine, acidi grassi, ecc.);
– modificazioni della morfologia (ramificazione, portamento, ecc.);
– aumento della produttività.
L’ingegneria genetica si sta ora indirizzando verso nuovi settori quali la produzione
di prodotti ad alto valore aggiunto derivati dalle piante.
Tra i nuovi “biomateriali” l’interesse è rivolto al miglioramento diretto o alla modificazione dei costituenti della pianta e alla produzione nelle piante di composti di origine non-vegetale.
Nel primo caso le tecniche riguardano principalmente l’ingegneria delle vie metaboliche per la modifica dei costituenti delle piante che sono utilizzati dall’industria alimentare e chimica e per la produzione di energia. In particolare sono considerate le
vie metaboliche relative alla sintesi e all’accumulo di amido, alla composizione delle
sostanze di riserva, al contenuto in aminoacidi delle proteine, alla qualità degli acidi
grassi (saturi/insaturi) negli oli e nei grassi vegetali.
Nel secondo caso le piante sono utilizzate come “bioreattori” per la produzione di
composti quali peptidi bioattivi, vaccini, anticorpi ed enzimi per l’industria farmaceutica e specifici composti (ad esempio: poliidrossibutirrato) di interesse per la produzione di plastiche biodegradabili.
17
2. TECNICHE BIOMOLECOLARI UTILIZZATE PER IL TRASFERIMENTO GENETICO
Come descritto nel capitolo 1, le conoscenze acquisite sulle caratteristiche del genoma vegetale e il perfezionamento delle tecniche di ingegneria genetica hanno permesso significativi sviluppi nella modificazione genetica di molte specie vegetali.
Alcune caratteristiche tipiche delle cellule vegetali, come la capacità rigenerativa (totipotenza), rendono le piante particolarmente adatte all’applicazione delle biotecnologie. La modificazione genetica viene, infatti, in genere realizzata su singole cellule messe in coltura, dalle quali si può ottenere, in seguito ad appropriati trattamenti ormonali, la differenziazione di piante con le stesse caratteristiche genetiche della cellula originaria. Inoltre, le cellule provenienti da un singolo evento di trasformazione (clone) sono facilmente individuabili perché moltiplicandosi rimangono fra loro associate.
Sebbene le piante siano soggetti molto attraenti e duttili presentano, comunque, diversi problemi: il fenomeno della variazione somaclonale1, rappresenta, ad esempio,
un serio problema di base negli esperimenti di trasferimento genico. Una caratteristica tipica dei genomi vegetali come la poliploidia2 può inoltre contribuire in maniera
rilevante al fenomeno sopra citato.
Le cellule vegetali, essendo provviste di una parete cellulare esterna, sono inoltre più
difficili da trasformare rispetto alle cellule animali. La parete cellulare, agendo da vera e propria barriera fisica, non ha permesso di utilizzare nelle piante i sistemi di trasformazione messi a punto sui modelli animali. Per l’ottenimento di cellule vegetali trasformate è stato quindi necessario sviluppare metodi specifici.
Ulteriori difficoltà si hanno con le specie monocotiledoni3, come il mais, il riso ed il
frumento. Le monocotiledoni, infatti, si sono dimostrate recalcitranti alla trasformazione con i sistemi biologici tradizionali, che sono, invece, molto efficienti con le dicotiledoni. In questi ultimi anni, sono stati messi a punto sistemi di trasformazione alternativi che saranno descritti in seguito.
2.1 Introduzione al DNA
Per modificazione genetica di una pianta si intende il processo attraverso il quale il
genoma di una pianta viene alterato in seguito all’introduzione di uno o più geni estranei al patrimonio genetico originale.
Variazione somaclonale: le piante rigenerate presentano caratteristiche genetiche diverse dalla pianta originaria, perché il mantenimento in coltura di cellule e tessuti porta ad una instabilità genetica.
2
Poliploidia: la presenza nelle cellule di più copie del genoma. La patata presenta un numero di cromosomi
che va da 24 a 144.
3
Monocotiledoni: sono piante i cui semi presentano un singolo cotiledone (foglia del seme).
1
19
Con il termine genoma si intende il contenuto complessivo di DNA di una cellula e, per
estrapolazione, di una specie. Si parla di organismi geneticamente modificati quando
il loro genoma è stato modificato attraverso l’integrazione di DNA esogeno. Questo
particolare processo di modificazione del genoma prende il nome di trasformazione e
per questo motivo le cellule geneticamente modificate sono anche dette cellule trasformate. Il concetto di inserimento di DNA dall’esterno è evidenziato anche nel termine di
pianta transgenica, che indica una pianta ottenuta per trasformazione genetica.
Il patrimonio genetico, come già accennato nel capitolo precedente, è costituito, nella maggior parte degli organismi (tranne alcuni virus) da DNA, una macromolecola
in cui sono immagazzinate tutte le informazioni genetiche necessarie alla vita e alla
riproduzione dell’organismo.
Il DNA è organizzato in sequenze (es. geni, promotori, terminatori, ecc.) che specificano e regolano le funzioni necessarie alla produzione e all’assemblaggio di una determinata proteina.
Negli organismi le proteine assolvono funzioni enzimatiche, strutturali o di riserva,
determinandone le caratteristiche fenotipiche.
La sequenza di eventi con cui l’informazione codificata nel DNA viene trasformata in
una proteina con la sua specifica funzione e struttura è schematizzata in figura 2.1.
Figura 2.1: Sono schematizzati e semplificati i passaggi mediante i quali dall’informazione codificata nel
DNA si arriva alla produzione di una proteina. In realtà i processi di trascrizione e traduzione coinvolgono meccanismi molecolari (di regolazione, attivazione, ecc.) molto complessi e articolati, molti dei quali
non ancora del tutto compresi.
Trascrizione
mRNA
DNA
Traduzione
Proteina
Struttura/
Funzione
I processi di trascrizione e traduzione sono controllati da un complesso sistema di regolazione comune, nei meccanismi fondamentali, in tutti gli organismi, che indica
esattamente quando e dove produrre una specifica proteina.
Questi meccanismi e “l’universalità del codice genetico” permettono, ad esempio, ai
biologi molecolari di inserire e far funzionare un gene batterico all’interno di una
pianta.
20
Le difficoltà nell’identificazione di geni in grado di conferire fenotipi agronomicamente interessanti, come ad esempio la resistenza a stress chimici e fisici, e le limitate conoscenze dei meccanismi di regolazione e degli effetti secondari che il gene ha
nella pianta, rendono comunque ancora limitate le applicazioni nella produzione di
piante transgeniche.
Una volta identificato il gene che codifica per il carattere desiderato, questo viene isolato e clonato in batteri.
2.2 Preparazione dei costrutti transgenici
Il passaggio successivo al clonaggio in batteri è la costruzione di una sequenza di
DNA che contenga le informazioni necessarie alla trasformazione e all’espressione
della caratteristica desiderata nella pianta transgenica.
Gli elementi essenziali del costrutto, schematizzati in figura 2.2, sono:
Figura 2.2: Schema del costrutto genico che permette l’espressione del transgene all’interno delle piante
trasformate.
Promotore
Transgene
Terminatore
Plasmide
– il transgene, che è la sequenza di DNA che codifica per il carattere desiderato.
Può essere, per esempio, un gene codificante per una proteina tossica per gli
insetti fitofagi, capace di rendere le piante in cui il gene è presente resistenti
agli insetti (es. il gene codificante la tossina del batterio Bacillus thuringensis
presente nel mais Bt) oppure un gene che conferisce resistenza ad un particolare fungo fitopatogeno o ad un virus.
In alcuni casi, il gene può essere modificato in modo da permettere un maggiore livello di espressione nella pianta. Ad esempio, il gene Bt di origine batterica ha un’alta percentuale di nucleotidi A-T (Adenina e Timina); per assicurarsi che il gene venga espresso in maniera efficace nella pianta, molti di questi nucleotidi sono stati sostituiti da nucleotidi G-C (Guanina e Citosina), che
sono presenti in maggior percentuale nei genomi vegetali. Tutti i cambiamenti sono stati fatti senza modificare significativamente la sequenza amminoacidica della proteina originaria e in maniera tale da incrementarne il livello di
espressione del gene nella pianta.
21
In altri casi, al gene possono anche essere aggiunte delle sequenze, come è stato fatto per il gene che codifica l’enzima 5-enolpiruvilshikimato 3-fosfato sintetasi (EPSPS) coinvolto nella sintesi degli amminoacidi aromatici. L’enzima EPSPS
nelle piante è presente all’interno dei cloroplasti4 ed è il bersaglio del principio
attivo dell’erbicida glifosato che uccide le piante inibendo l’attività dell’enzima.
Si è scoperto che in natura esistono forme di origine batterica di enzimi EPSPS
mutanti e meno sensibili all’azione del glifosato. I geni codificanti gli enzimi
mutanti sono stati isolati dai batteri e introdotti nelle piante. Prima di trasferirli nelle piante sono stati però modificati aggiungendo loro una sequenza, assente nella forma batterica, che permette il trasferimento dell’enzima all’interno dei cloroplasti.
– il promotore, posto a valle del nostro gene, è la sequenza di DNA necessaria
alla regolazione dell’attività trascrizionale e può essere considerato come un
interruttore che controlla quando e dove il gene deve essere espresso nella
pianta.
Nella maggior delle piante transgeniche attualmente in commercio sono stati
introdotti i promotori costitutivi, ossia promotori sempre attivi che consentono
continuativamente un alto livello di espressione del transgene in tutti i tessuti
della pianta. Il promotore costitutivo più utilizzato è il CaMV35S, isolato dal
virus del mosaico del cavolfiore.
Ultimamente è stata rivolta una particolare attenzione verso i promotori inducibili, ovvero promotori che vengono attivati solo in un determinato periodo
del ciclo vitale della pianta o in seguito ad uno stimolo esterno di natura chimica o fisica, come per esempio l’attacco di un insetto.
La scelta fatta finora di utilizzare promotori costitutivi è stata dettata sia dal
fatto che un promotore costitutivo assicura una sicura ed efficace produzione
del transgene, sia dalle limitazioni nella conoscenza del funzionamento e dei
meccanismi che regolano l’induzione dei promotori inducibili.
La sempre migliore conoscenza della struttura e dei meccanismi di base dei
genomi vegetali permetterà in un prossimo futuro l’utilizzo di promotori di origine vegetale, costitutivi e non, eliminando così molti problemi di natura tecnica e di impatto ambientale connessi con l’utilizzo dei promotori di origine
non vegetale.
– il terminatore, posto a monte del gene, segnala ad uno specifico complesso
enzimatico la fine del gene.
In genere la sequenza terminatore più usata è NOS-Ter, che in natura è la sequenza terminatore del gene per la Nopalina sintetasi, un enzima del batterio A. tumefaciens.
4
Cloroplasti: sono organuli, presenti nella cellula vegetale, all’interno dei quali avviene la fotosintesi.
22
Nel costrutto genico sono inoltre presenti sequenze geniche, geni marker, necessarie
per discriminare in fase di laboratorio le cellule vegetali trasformate dalle non trasformate.
Il gene marker permette una prima e veloce identificazione delle cellule o dei tessuti
che hanno integrato il transgene nel loro genoma. Questo passaggio è di fondamentale importanza perché l’integrazione e l’espressione del transgene è in realtà un
evento molto raro ed avviene con frequenze molto basse.
I geni marker codificano per proteine, in genere enzimi, che conferiscono, nelle piante che li contengono, resistenza a sostanze normalmente tossiche.
Nella maggior parte dei casi il gene marker conferisce la resistenza a un antibiotico
(es. Kanamicina). Ultimamente vengono utilizzati anche geni marker che conferiscono tolleranza agli erbicidi, come il gene per l’enzima (EPSPS) prima descritto o il gene per l’enzima phosphinotricina acetil-transferasi (PAT), anche questo di origine batterica, per la tolleranza al glufosinato.
Le cellule sottoposte a trasformazione vengono fatte crescere su terreno selettivo dove
solo le cellule o i tessuti che hanno integrato il gene marker, e quindi anche il gene di
interesse, riescono a crescere in presenza dell’antibiotico o dell’erbicida appropriatamente aggiunto al mezzo di coltura.
Come per il transgene, anche per il gene marker è richiesta la presenza di un promotore e di un terminatore.
2.3 Plasmidi
In alcune tecniche di trasformazione descritte nel paragrafo successivo, il costrutto genico viene inserito all’interno di un vettore plasmidico.
Un plasmide è una molecola di DNA circolare, presente come materiale extracromosomiale nelle cellule di batteri, funghi e lieviti. Il plasmide sfrutta le proprietà metaboliche della cellula per replicarsi e mantenersi, fornendo in cambio alcune funzioni utili alla cellula ospite, codificate dai geni portati sul plasmide stesso.
I plasmidi presenti in natura vengono modificati artificialmente mediante tecniche di
ingegneria genetica per adattarli alle esigenze sperimentali. Infatti, per poter essere
utilizzato, un plasmide, oltre ad essere in grado di penetrare all’interno della cellula
ospite, deve possedere caratteristiche molecolari ben precise in aggiunta a quelle descritte nel paragrafo precedente.
Un esempio di vettore plasmidico è riportato nella figura 2.3.
23
Figura 2.3: Un esempio di vettore plasmidico in cui sono state riportate tutte le sequenze di DNA necessarie alla trasformazione e alla successiva selezione di piante trasformate utilizzando la tecnica dell’Agrobacterium tumefaciens.
LB
Promotore CaMV35S
Marcatore di
selezione
batterico
Transgene
RB
Terminatore NosTer
Gene marcatore
per la selezione
nelle piante
LB e RB: Left Border (bordo sinistro) e Right Border (bordo destro) brevi sequenze di DNA che in natura sono
presenti in A.tumefaciens. Tutte le sequenze geniche poste tra i due border vengono trasferite ed integrate all’interno del genoma vegetale.
Marker di selezione batterico: è un gene che codifica per un antibiotico (in genere ampicillina) utilizzato per
selezionare i batteri nei quali, in un passaggio precedente all’inserimento del plasmide in Agrobacterium, il
plasmide è stato clonato.
Marker di selezione nelle piante: anche se non specificato in figura, il gene marker possiede a valle un proprio promotore e a monte un terminatore.
Il transgene con il proprio promotore e terminatore, sono descritti in dettaglio nel paragrafo 2.2
2.4 Metodi di trasformazione
Per introdurre stabilmente nel genoma di una pianta un gene di interesse sono utilizzati fondamentalmente 5 metodi, che devono essere modificati e adattati alle caratteristiche specifiche della singola specie vegetale:
24
a) metodo dell’Agrobacterium tumefaciens5;
b) utilizzo dei virus come vettori;
c) elettroporazione;
d) metodo biolistico;
e) trasformazione con PoliEtilenGlicole (PEG).
I metodi a e b sono detti biologici: vengono infatti utilizzati organismi come A. tumefaciens e virus; i metodi c e d sono di tipo fisico e vengono utilizzati, quasi esclusivamente, nella trasformazione delle monocotiledoni. L’ultimo può essere considerato un
metodo chimico.
Attualmente i metodi più utilizzati sono il metodo dell’Agrobatterium tumefaciens e
quello biolistico
a) Il metodo dell’A. tumefaciens (v. figura 2.4) è stato il primo ad essere messo
a punto.
Questo sistema si è sviluppato sfruttando le proprietà del batterio A. tumefaciens, che ha evoluto un sistema naturale di “ingegnerizzazione” delle cellule vegetali.
Come si è già accennato, fu dimostrato che la patogenicità di A. tumefaciens
nei confronti di alcune specie vegetali, che si esplica attraverso la produzione di un’abnorme proliferazione cellulare detta tumore, era dovuta alla presenza all’interno della cellula del batterio di un plasmide.
Il plasmide di A. tumefaciens, grazie all’inserimento di una porzione del suo
DNA nel genoma della cellula vegetale, è responsabile della produzione del
tumore, da qui il nome di plasmide Ti (tumor inducing). La cellula vegetale
così trasformata naturalmente esprime i geni portati sul frammento di DNA
del plasmide. Con la formazione del tumore, la pianta produce composti
normalmente assenti, e che sono utilizzati come fonte energetica dal batterio
infettante.
Sulla base di queste scoperte è stata sviluppata la tecnica di trasformazione
che sfrutta la capacità trasformante del batterio e del suo plasmide. Ovviamente i plasmidi usati per la trasformazione sono stati privati dell’informazione che causa la formazione del tumore. Inoltre, il frammento specifico di
DNA del plasmide che è veicolato all’interno della cellula vegetale, con un
meccanismo che non è completamente conosciuto, è usato come vettore di
trasferimento all’interno della cellula dei geni che si vogliono inserire.
Nell’applicazione di questo metodo vengono utilizzati due sistemi, quello di
5
Agrobacterium tumefaciens: in natura l’Agrobacterium causa nelle piante un tumore detto “galla del colletto”.
25
cointegrazione e quello binario. Entrambi i sistemi utilizzano la capacità dell’A. tumefaciens di trasferire il proprio DNA nelle cellule vegetali e integrarlo nel genoma vegetale.
Attualmente il metodo standard per il trasferimento del DNA di Agrobacterium è il sistema binario.
Figura 2.4: Trasformazione con Agrobatterium tumefaciens. E’ schematizzato il trasferimento di un costrutto transgenico in cellule di pomodoro con il metodo dell’Agrobacterium tumefaciens utilizzando un vettore
binario. (Modificato da “DNA RICOMBINANTE”, autori: Watson J., Gilman M., Witkowski J., Zoller M.)
DNA T: sono tutte le sequenze geniche poste all’interno delle sequenze
border LB e RB;
geni vir: sono geni dell’A. tumefaciens codificanti per le proteine che
permettono il trasferimento del DNA
T all’interno della cellula vegetale. I
meccanismi molecolari coinvolti nel
trasferimento non sono ancora bene
conosciuti.
b) Il secondo metodo biologico impiega i virus come vettori.
In questa tecnica viene utilizza la capacità dei virus di trasferire, al momento dell’infezione, il proprio genoma all’interno di una pianta. Quando nel genoma virale viene inserito un gene esogeno, anch’esso può essere trasmesso a tutta la pianta infettata.
Uno specifico vantaggio è dato dal fatto che le infezioni virali interessano la
pianta a livello sistemico: è quindi possibile trasformare piante già differenziate, e non solo le singole cellule, eliminando i problemi connessi con il fenomeno della variabilità somaclonale, il mantenimento in coltura e la succes-
26
siva rigenerazione della pianta intera. Con questo metodo è inoltre possibile
trasformare con successo alcune monocotiledoni, come il mais, poiché alcuni
dei virus utilizzati nelle trasformazioni (es. gemini virus) presentano un ampio spettro d’ospite.
c) Il metodo elettroporetico viene applicato nella trasformazione di cellule provenienti da diversi organismi: animali, batteri e piante.
Il metodo consiste nel sottoporre le cellule a uno shock elettrico in modo da
rendere le membrane cellulari permeabili al DNA che si vuole inserire.
Una soluzione contenente un’alta concentrazione di DNA viene aggiunta a
una sospensione di protoplasti6 e la sospensione viene sottoposta a un campo elettrico che va dai 200 ai 600 V/cm. Lo shock elettrico provoca l’apertura dei pori, presenti a livello della membrana plasmatica dei protoplasti permettendo l’entrata del DNA. In seguito i protoplasti vengono fatti crescere in
coltura per una o due settimane prima di iniziare la selezione delle cellule che
hanno integrato il DNA.
Con questo metodo si è riusciti a trasformare anche protoplasti di riso e mais.
La limitazione principale dell’elettroporazione è dovuta alla necessità di dover utilizzare protoplasti e non cellule vegetali integre (con parete cellulare),
con le difficoltà connesse alla rigenerazione di piante intere da essi. Inoltre i
prolungati tempi di mantenimento in coltura richiesti dal metodo presentano
un ulteriore svantaggio dato dal fenomeno, già menzionato, della variabilità
somaclonale.
d) Il metodo biolistico è attualmente il più utilizzato nella trasformazione delle
monocotiledoni.
Con questa tecnica il DNA esogeno viene fatto aderire sulla superficie di microsfere di oro o tungsteno, di 1 micrometro di diametro, che vengono “sparate”, mediante strumenti a pressione, a una velocità intorno ai 500 m/sec, sui
campioni (meristemi o calli in coltura) da trasformare. Le cellule situate nella
traiettoria diretta di tiro vengono uccise, ma nella zona concentrica vicina i
proiettili penetrano nelle cellule senza danneggiarle.
Il vantaggio principale di questo metodo sta nella possibilità di trasformare cellule vegetali integre: infatti i bersagli utilizzati per questo tipo di trasformazione sono in genere colture di cellule embrionali, ma anche foglie e semi.
In alcuni dei primi esperimenti in cui è stato utilizzato il metodo biolistico sono state trasformate cellule embrionali di mais con il gene bar per l’enzima
fosfinotricina acetil transferasi (PAT): questo enzima inattiva la fosfinotricina
6
Protoplasti: sono cellule private della parete cellulare.
27
che è il principio attivo di molti erbicidi; le piante rigenerate dalle cellule trasformate con questo metodo sono quindi tolleranti agli erbicidi.
e) Nel metodo di trasformazione con PEG7 il DNA plasmidico penetra direttamente nei protoplasti per assorbimento diretto, grazie all’azione del PEG che
rende permeabili al DNA le membrane cellulari. Il PEG viene aggiunto a una
soluzione contenente il DNA e i protoplasti. I protoplasti trasformati vengono
selezionati su un terreno contenente un agente selettivo.
7
PEG: Poli Etilen Glicol, è un tensioattivo.
28
3. PANORAMA NORMATIVO
3.1 Premessa
La Commissione Europea, secondo quanto stabilito dal Libro Bianco 2000, ha concluso nel 2003 la predisposizione del quadro normativo che regola il settore delle biotecnologie. Tale settore è direttamente correlato al quadro più generale relativo alla
sicurezza alimentare comunitaria, le cui procedure di base sono descritte nel Regolamento n. 178/20028 che “Stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione
alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure
nel campo della sicurezza alimentare”.
Il quadro normativo comunitario è stato completato dal Regolamento CE n.
1829/2003 del Parlamento Europeo e del Consiglio, relativo a ”Alimenti e mangimi geneticamente modificati”, e dal Regolamento CE n. 1830/2003 del Parlamento
Europeo e del Consiglio, concernente ”La tracciabilità e l’etichettatura di organismi geneticamente modificati e la tracciabilità di alimenti e mangimi ottenuti da
organismi geneticamente modificati nonché recante modifica della Direttiva
2001/18/CE”9.
Tali regolamenti si sono aggiunti alla normativa comunitaria preesistente, ovvero la
Direttiva n. 2001/18/CE10 del Parlamento Europeo e del Consiglio, relativa a ”Emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la
Direttiva n. 90/220/CE” e che prevede le procedure di autorizzazione a fini sperimentali e di commercializzazione di OGM. Tale Direttiva è stata recepita nell’ordinamento giuridico nazionale dal decreto legislativo n. 224 dell’8 luglio 200311.
Inoltre, con il decreto legislativo n. 206 del 12 aprile 200112, viene data attuazione in
Italia alla Direttiva n. 98/81/CE13 che “modifica la precedente Direttiva n. 90/219/CE
sull’impiego confinato di MOGM” e che stabilisce le misure per l’impiego confinato dei
microrganismi geneticamente modificati (MOGM) volte a tutelare la salute dell’uomo e
dell’ambiente. Questo decreto sostituisce ed abroga il Decreto Legislativo del
3 Marzo 1993 n. 91 che recepiva la precedente Direttiva.
È opportuno ricordare che, se pur modificato attraverso l’abrogazione di alcuni articoli, il Regolamento CE n. 258/9714, relativo a “Nuovi prodotti e nuovi ingredienti
alimentari”, è tuttora in vigore. In particolare, la procedura di notifica sugli alimenti
Pubblicato sulla GUCE L31 dell’1 febbraio 2002.
Pubblicati sulla GUCE L268 del 18 ottobre 2003.
10
Pubblicata sulla GUCE L106 del 17 aprile 2001.
11
Pubblicato sulla GU n. 138 del 22 agosto 2003.
12
Pubblicato sul S.O. alla GURI n. 126 del 1 giugno 2004.
13
Pubblicata sulla GUCE L330 del 5 dicembre 2001.
14
Pubblicato sulla GUCE L43 del 14 febbraio 1997.
8
9
29
geneticamente modificati basata sul principio di equivalenza sostanziale15 è stata abbandonata, preferendo il nuovo approccio del Regolamento CE n. 1829/2003 legato ad un processo di valutazione che garantisca chiarezza, trasparenza e un contesto armonizzato ai fini autorizzativi.
Inoltre, per rendere più completo l’impianto normativo del settore, la Commissione UE ha
emanato la Raccomandazione n. 2003/556/CE16, recante “Orientamenti per lo sviluppo di strategie nazionali e migliori pratiche per garantire la coesistenza fra agricoltura
convenzionale, agricoltura con metodo biologico e colture geneticamente modificate”.
Nel mese di gennaio 2004, poi, è stato emanato il Regolamento CE n. 65/200417
della Commissione UE, che “Stabilisce un sistema per la determinazione e l’assegnazione di identificatori unici per gli organismi geneticamente modificati”, secondo
quanto previsto dall’articolo 8 del Regolamento CE n. 1830/2003.
A febbraio 2004 la Commissione UE ha pubblicato la Decisione CE n. 204/200418,
che ”Stabilisce disposizioni dettagliate per il funzionamento dei registri destinati alla
conservazione delle informazioni sulle modificazioni genetiche degli OGM di cui alla Direttiva 2001/18/CE”, come previsto all’articolo 31, par. 2 della Direttiva stessa.
Infine, nel mese di aprile 2004, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il Regolamento CE n. 641/200419 della Commissione del 6 aprile 2004
recante “Norme attuative del Regolamento CE n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda la domanda di autorizzazione di nuovi alimenti e mangimi geneticamente modificati, la notifica di prodotti preesistenti e la presenza accidentale o tecnicamente inevitabile di materiale geneticamente modificato
che è stato oggetto di una valutazione del rischio favorevole”.
La sicurezza delle attività riguardanti l’utilizzo di materiale geneticamente modificato
è quindi garantita nel nostro Paese dall’operatività di decreti che recepiscono il contenuto di precise Direttive Europee rivolte alla tutela dell’uomo, dell’ambiente e dell’ecosistema in generale. Queste disposizioni stabiliscono in particolare le misure e le
norme procedurali da ottemperare per chiunque voglia manipolare, produrre in laboratorio, utilizzare o rilasciare nell’ambiente esterno microrganismi o organismi geneticamente modificati.
Quindi le normative in questione rappresentano la base giuridica e la condizione essenziale attraverso le quali è garantita e tutelata, tra le altre cose, “la qualità del sistema agro-alimentare nazionale”.
Pertanto, completata per grandi linee la disamina della normativa settoriale applicaIl principio di equivalenza sostanziale stabilisce che un prodotto o un ingrediente è sostanzialmente equivalente ad un altro esistente quando, sulla base di dati scientifici disponibili e universalmente riconosciuti,
è accertato che la composizione, il valore nutritivo, il metabolismo, l’uso cui sono destinati e il tenore di sostanze indesiderate sono simili.
16
Pubblicata sulla GUCE L189 del 29 luglio 2003.
17
Pubblicato sulla GUCE L10 del 16 gennaio 2004.
18
Pubblicata sulla GUCE L65 del 3 marzo 2004.
19
Pubblicata sulla GUCE L102 del 7 aprile 2004.
15
30
ta dagli Stati membri al fine di autorizzare la commercializzazione dei cosiddetti
“Eventi geneticamente modificati” nell’ambito del territorio dell’Unione Europea, si
può affrontare più nel dettaglio i singoli provvedimenti.
3.2 Il Libro Bianco sulla Sicurezza alimentare e il Regolamento CE n. 178/2002 che
istituisce l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (AESA)
La priorità strategica fondamentale della Commissione UE era assicurare la disponibilità di standard di elevato livello per la sicurezza alimentare. Il Libro Bianco 2000
ha rispecchiato tale priorità, proponendo una strategia ispirata all’esigenza di garantire tutta una serie di misure atte a migliorare e rendere coerente il corpus della legislazione comprendente i diversi aspetti dei prodotti alimentari, “dai campi alla tavola”. Infatti negli ultimi decenni si sono registrati enormi passi avanti, sia per quanto concerne i metodi di produzione e lavorazione degli alimenti, sia nell’ambito dei
controlli necessari volti ad assicurare il rispetto di standard accettabili di sicurezza.
Pertanto in diversi settori la normativa europea è stata aggiornata attraverso la predisposizione di un nuovo quadro giuridico che intende coprire l’intera catena alimentare, stabilendo così un elevato livello di protezione della salute dei consumatori,
e che comprende anche la produzione di mangimi per gli animali e la loro tutela, attribuendo in modo chiaro la responsabilità di una produzione alimentare sicura alle
industrie, ai produttori e ai fornitori, attraverso un chiaro sistema di tracciabilità.
L’istituzione dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (AESA), organismo indipendente, ha costituito per la Commissione un passo fondamentale poiché le sono stati
affidati numerosi compiti strategici, che vanno dal parere scientifico indipendente su tutti gli aspetti relativi alla sicurezza alimentare, alla gestione di sistemi di allarme rapido,
alla comunicazione e al dialogo con i consumatori in materia di sicurezza alimentare a
livello sanitario, nonché alla realizzazione di reti con le Agenzie alimentari degli Stati
membri e i relativi Organismi scientifici. Peraltro l’operatività dell’Autorità indipendente
è garantita anche da appropriati controlli ufficiali a livello nazionale ed europeo.
L’emanazione di pareri scientifici appropriati sulle decisioni, ai fini di facilitare l’approvazione da parte degli Stati membri, aiuterà la Commissione UE nella politica di
sicurezza alimentare, facendo ricorso, se del caso, al principio di precauzione20, che
20
L’applicazione del principio di precauzione appartiene alla gestione del rischio: in particolare si applica
quando l’incertezza scientifica non consente una valutazione completa di tale rischio e si ritiene che il livello prescelto di protezione dell’ambiente o della salute umana, animale o vegetale possa essere seriamente minacciato. La Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e la Convenzione sulla diversità biologica, adottate nella Conferenza di Rio sull’ambiente e lo sviluppo fanno entrambe riferimento al principio di precauzione. Inoltre durante la Conferenza delle Parti della Convenzione sulla diversità biologica, il Protocollo sulla biosicurezza riguardante il trasferimento, la manipolazione e l’utilizzazione sicura di organismi viventi modificati derivanti dalla moderna biotecnologia ha confermato la funzione fondamentale del principio di precauzione.
31
prevede l’adozione di misure di salvaguardia rapide ed efficaci per rispondere ad
emergenze sanitarie che si manifestino in qualsiasi punto della catena alimentare.
Di conseguenza, è risultata evidente la necessità di un quadro legislativo comunitario
completo a supporto dello sviluppo e della gestione di sistemi di controllo nazionali ma
anche della valutazione dell’efficacia delle misure attuate al fine di permettere che i
consumatori ricevano lo stesso livello di protezione su tutto il territorio della Comunità.
Infatti, se si vuole che i consumatori siano convinti del fatto che le azioni proposte nel Libro Bianco 2000 sfocino in un effettivo miglioramento degli standard di sicurezza alimentare, essi devono essere tenuti adeguatamente informati dei rischi che certi alimenti presentano e pertanto devono avere informazioni utili e chiare sulla qualità degli alimenti e sui loro ingredienti, tali da consentire scelte consapevoli (vedi: etichettatura).
L’attuazione di tutte le misure proposte nel Libro Bianco 2000, sotto forma di normative comunitarie direttamente applicabili dagli Stati membri, sta consentendo di pianificare la sicurezza alimentare in modo più coordinato e integrato, onde raggiungere il livello più alto possibile di protezione della salute.
Appare evidente, tuttavia, un forte coinvolgimento degli operatori del settore su cui ricade la responsabilità primaria dell’applicazione nel quotidiano delle disposizioni in
materia di sicurezza alimentare. Una maggiore trasparenza a tutti i livelli è il filo conduttore dell’intero Libro Bianco 2000, che dovrebbe contribuire in modo fondamentale
ad accrescere la fiducia dei consumatori nella politica di sicurezza alimentare dell’UE.
In questo contesto, il Regolamento CE n. 178/2002 recepisce buona parte delle indicazioni del Libro Bianco 2000 sulla sicurezza alimentare e stabilisce i principi ed i
requisiti generali della legislazione alimentare. Con esso viene istituita l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare e vengono fissate procedure cogenti nel campo
della sicurezza alimentare.
Gli obiettivi generali del Regolamento sono, tra gli altri, relativi alla tutela della vita e
della salute, degli interessi dei consumatori, dell’attuazione di pratiche commerciali
leali, della salvaguardia del benessere degli animali e dell’ambiente, e vengono chiaramente espressi nell’elevato numero (66) di “consideranda” in premessa all’articolato del Regolamento.
Il campo di applicazione (art. 1) disciplina tutte le fasi della produzione, trasformazione e distribuzione di alimenti e mangimi. Inoltre, uno degli aspetti sostanziali del
provvedimento riguarda il principio dell’analisi oggettiva del rischio (art. 6) sulla base
di elementi scientifici, nonché l’adozione di misure provvisorie appropriate sulla base
del principio di precauzione (art. 7) in attesa di ulteriori informazioni scientifiche.
Finalità centrale è la tutela degli interessi dei consumatori (art. 8) ed un ruolo importante è costituito, come già accennato in precedenza, dall’informazione attraverso la
consultazione dei cittadini aperta e trasparente (artt. 9 e 10), direttamente o attraverso organi di rappresentanza; nel caso in cui vi siano ragionevoli motivi di sospettare che un alimento o un mangime possano costituire un rischio per la salute umana
o animale, le autorità pubbliche adottano provvedimenti opportuni a tal fine.
32
Nell’ambito del commercio alimentare (artt. 11 e 12) devono essere garantiti un elevato livello di tutela della salute, la libera circolazione delle merci, l’armonizzazione
delle norme internazionali (art. 13), attraverso un’analisi dei rischi che, eventualmente, possa far scattare il principio di precauzione a tutela degli interessi e della salute dei consumatori.
Dal punto di vista della sicurezza alimentare, sono fissati i requisiti per la sicurezza
degli alimenti e dei mangimi (artt. 14 e 15), le regole per una etichettatura trasparente, il principio della rintracciabilità degli alimenti e gli obblighi relativi agli operatori del settore alimentare e del settore dei mangimi in tutte le fasi della produzione,
trasformazione e distribuzione. Peraltro le Autorità preposte degli Stati membri sono
tenute ad organizzare un sistema ufficiale di controllo circa la corretta applicazione
delle disposizioni da parte degli operatori e, inoltre, devono prevedere misure e sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive, da applicare in caso di violazione della legislazione (art. 17).
All’articolo 18 è sancito l’obbligo, a decorrere dal l gennaio 2005 (vedi: art. 65 – entrata in vigore), di disporre in tutte le fasi della produzione, trasformazione e distribuzione di un sistema di rintracciabilità degli alimenti. Gli operatori devono essere in
grado di individuare chi ha fornito loro un alimento, un mangime destinato alla produzione alimentare, o qualsiasi sostanza destinata od atta ad entrare a far parte di
un alimento o di un mangime. A tal fine detti operatori devono disporre di sistemi e
di procedure che consentano di mettere a disposizione delle Autorità competenti,
quando richieste, le informazioni a riguardo (artt. 19 e 20).
Il Regolamento CE n. 178/2002 istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Capo III). Questa autorità ha diversi compiti e funzioni (art. 23), tra i quali offrire consulenza e assistenza scientifica in materia di sicurezza alimentare, attraverso il supporto di Comitati scientifici e gruppi di esperti già operanti e suddivisi per tipologia di materie e specialità (art. 28). Ai fini della presente trattazione si precisa
che è operativo il gruppo di esperti scientifici sugli organismi geneticamente modificati, il quale ha già rilasciato pareri su alcuni dossier presentati dalla Commissione
UE ai fini dell’autorizzazione all’immissione sul mercato da parte degli Stati membri.
L’Autorità deve lavorare anche alla predisposizione, alla raccolta ed all’analisi dei dati che consentono la caratterizzazione e la sorveglianza dei rischi che hanno una incidenza diretta o indiretta sulla sicurezza degli alimenti e dei mangimi (art. 33); inoltre ha la funzione di definire metodi uniformi per la valutazione del rischio, di individuare e definire i rischi emergenti (art. 34) e di creare una rete tra organizzazioni
operanti nei settori di sua competenza (art. 36).
Il Regolamento UE sulla sicurezza alimentare prevede inoltre l’istituzione, sotto forma
di rete, di un sistema di allarme rapido per la notificazione di un rischio diretto o indiretto per la salute umana derivato da alimenti e mangimi (art. 35). A questo sistema di allarme rapido (art. 50) partecipano gli Stati Membri, la Commissione e l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare. In caso di situazioni di emergenza, la
33
Commissione può adottare un piano generale per la gestione delle crisi (artt. 53, 54,
55, 56 e 57).
Nell’ambito del Capo V, relativo alle “Procedure e disposizioni finali”, è previsto che
la Commissione venga assistita dal Comitato permanente per la catena alimentare e
la salute degli animali21, articolato in sezioni destinate a trattare tutte le questioni pertinenti (art. 58).
Al riguardo, la sezione del Comitato relativa agli organismi geneticamente modificati, sulla base del parere scientifico dell’AESA, si è già riunita una volta e vota a maggioranza qualificata sulle decisioni autorizzative dei diversi “Eventi GM” presentati
dalla Commissione UE.
Per inciso, la prima decisione della Commissione UE votata sulla base di questa procedura è stata quella relativa al mais dolce Bt11, che non ha raggiunto la maggioranza qualificata degli Stati membri e pertanto è stata “girata” al Consiglio dei Ministri UE che dovrà prendere una decisione in merito entro 90 giorni dall’invio da parte della Commissione UE.
Infine è importante enunciare quanto previsto all’art. 62 che specifica come il Comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali abbia sostituito tutti i
riferimenti presenti nella legislazione comunitaria rispetto ai seguenti Comitati: Comitato scientifico dell’alimentazione umana, Comitato scientifico per l’alimentazione animale, Comitato scientifico veterinario, Comitato scientifico degli antiparassitari, Comitato scientifico delle piante, Comitato scientifico direttivo e Comitato fitosanitario permanente per i prodotti fitosanitari e per la fissazione di quantità massime di residui.
3.3 Il regolamento CE n. 1829/2003
Il Regolamento CE n. 1829/2003 relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente
modificati, che dovrà essere applicato dagli Stati membri a partire da aprile 2004 (6
mesi dopo la pubblicazione), prevede un’unica procedura centralizzata (principio
“one door – one key”) che consiste in una valutazione del rischio (salute umana, animale, ambiente) ed una conseguente singola autorizzazione per gli organismi geneticamente modificati e per gli alimenti che contengono, sono costituiti o prodotti a partire da OGM destinati all’uomo ed agli animali.
A tale proposito i prodotti passibili di essere utilizzati sia per l’alimentazione umana
sia per quella animale dovranno essere autorizzati per entrambi gli usi o non potranno essere immessi sul mercato, come previsto all’art. 27, e il notificante dovrà presentare un’unica domanda ai sensi degli articoli 5 e 17 del presente Regolamento.
21
Comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali, composto da rappresentanti di tutti gli SM di cui all’art. 35 del Reg. n. 1829/2003 e istituito ai sensi dell’art. 58 del Reg. n. 178/2002.
34
Il Regolamento in questione, vista l’importanza e la specificità dell’argomento, prevede un elevato numero (45) di “consideranda” in premessa all’articolato, i quali specificano le motivazioni tecniche e giuridiche adottate nonché gli aspetti operativi enunciati nei diversi articoli, al fine di garantire un elevato livello di tutela della vita e della salute umana, della salute e del benessere degli animali, dell’ambiente e degli interessi dei consumatori, anche in osservanza dei principi generali definiti dal Regolamento CE n. 178/2002.
Il provvedimento comunitario si suddivide in 4 Capi: il Capo I riguarda Obiettivi e Definizioni; il Capo II e il Capo III sono riferiti rispettivamente agli alimenti geneticamente
modificati (artt. 3-14) e ai mangimi geneticamente modificati (artt. 15-26), ed ognuno è a sua volta suddiviso in due Sezioni (Sez. 1 - autorizzazione e vigilanza; Sez. 2
– etichettatura); il Capo IV riguarda le Disposizioni Comuni. Gli articoli dei Capi II e
III sono assolutamente speculari.
Di seguito affrontiamo nel dettaglio l’articolato.
L’autorizzazione può essere rilasciata secondo le modalità ed i requisiti elencati di seguito (artt. 4 e 16):
• per un OGM e per gli alimenti e/o i mangimi che contengono o sono costituiti da quell’OGM, nonché per gli alimenti e/o i mangimi che contengono o
sono prodotti da ingredienti prodotti da un OGM;
• per un alimento che contiene o è prodotto da un ingrediente prodotto da un
OGM, nonché per gli alimenti che contengono o sono prodotti da quell’alimento;
• per un mangime prodotto da un OGM, nonché per i mangimi prodotti da quel
mangime o che lo contengono.
Il Regolamento, come enunciato al punto 16 dei consideranda, prende in esame i prodotti ottenuti “da un OGM”, ma non i prodotti ottenuti “con un OGM”. Nel primo caso, una parte del prodotto finale, sia che si tratti dell’alimento, del mangime o di uno
dei suoi ingredienti, è stata ottenuta da materiale geneticamente modificato originale. Nel secondo caso il prodotto è stato ottenuto con l’aiuto di un organismo geneticamente modificato, ma nessun materiale derivato da tale organismo è presente nel
prodotto finale.
Ogni richiesta effettuata dal notificante potrà ottenere l’autorizzazione per un OGM
specifico e/o per i prodotti ottenuti da un OGM destinati a tutti i possibili usi connessi con alimenti e mangimi, attraverso un’unica procedura autorizzativa.
Inoltre sarà possibile presentare una sola richiesta per raggiungere due obiettivi: da
una parte l’autorizzazione all’emissione deliberata di un OGM nell’ambiente conformemente ai criteri di cui alla Direttiva n. 2001/18/CE, dall’altra l’autorizzazione all’utilizzo di tale OGM negli alimenti e/o nei mangimi secondo i criteri previsti in questo Regolamento.
35
Infatti secondo quanto stabilito all’art. 5 per gli alimenti e all’art. 17 per i mangimi,
la domanda di autorizzazione deve contenere le informazioni complete richieste negli allegati III e IV della Direttiva n. 2001/18/CE, nonché le informazioni e le relative conclusioni sulla valutazione del rischio effettuata conformemente ai principi di cui
all’allegato II della Direttiva n. 2001/18/CE, oltre ad uno specifico piano di monitoraggio degli effetti ambientali conformemente all’allegato VII della direttiva, comprendente il relativo periodo di attuazione del piano stesso.
Una notazione in senso critico va fatta in relazione al “campo di applicazione”, poiché durante la discussione della proposta di Regolamento l’Italia è sempre stata convinta della evidente sovrapposizione normativa del Regolamento in discussione (norma verticale) rispetto alla Direttiva n. 2001/18/CE (norma orizzontale) che regola il
rilascio nell’ambiente di OGM.
In particolare, per gli OGM sarebbe stato logico che la norma relativa al settore degli alimenti e dei mangimi si occupasse solo di tali prodotti e non, come proposto dalla Commissione, anche del rilascio ambientale degli OGM “destinati” a diventare direttamente o indirettamente alimenti o mangimi; da ciò ne discende che gli OGM, in
quanto tali, dovevano essere trattati nella Direttiva 2001/18/CE, mentre il Regolamento doveva occuparsi esclusivamente dei prodotti derivati da OGM, costituiti e/o
contenenti OGM per uso alimentare.
Quanto appena descritto non si verificherà, poiché il notificante potrà chiedere l’autorizzazione alla commercializzazione sia attraverso il Regolamento CE n. 1829/2003
sugli alimenti, sia attraverso la Direttiva n. 2001/18/CE. Nel primo caso non vengono applicati gli articoli da 13 a 24 della Direttiva n. 2001/18/CE, come del resto previsto agli artt. 5 e 17 del Regolamento.
Per quanto attiene l’Autorità (AESA), essa esegue sia la valutazione del rischio potenzialmente connesso all’utilizzo di un OGM o di un prodotto derivato come alimento
per uomo o per animali, sia la valutazione dell’impatto ambientale, nel qual caso non
sarà necessario che l’OGM sia valutato secondo le procedure ora previste dalla Direttiva n. 2001/18/CE; oppure, come già precedentemente descritto, si avvarrà della valutazione effettuata secondo i criteri previsti dalla Direttiva 2001/18/CE sul rilascio deliberato nell’ambiente di OGM (artt. 6 e 18 – Parere dell’Autorità).
La Commissione UE, anche sulla base della valutazione scientifica effettuata dall’Autorità, proporrà quindi agli Stati membri, nell’ambito di un Comitato di Regolamentazione22, una decisione relativa all’autorizzazione all’immissione in commercio del prodotto. Tale decisione è adottata a maggioranza qualificata e le autorizzazioni sono valide
per un periodo di 10 anni, eventualmente rinnovabili (artt. 7e 19 - Autorizzazione).
22
In realtà sono due i Comitati: il Comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali composto da rappresentanti di tutti gli SM di cui all’art. 35 del Reg. 1829/2003 e istituito ai sensi dell’art. 58
del Reg. 178/2002, ma anche il Comitato Autorità Competenti dir. n. 2001/18/CE istituito ai sensi dell’art. 30 della medesima direttiva.
36
Un aspetto importante riguarda il dispositivo della decisione di autorizzazione della
Commissione UE che deve prevedere sia il codice di identificazione unico attribuito
all’OGM di cui al Regolamento CE n. 65/200423 della Commissione UE, sia il metodo convalidato dal laboratorio comunitario di riferimento per la rilevazione, compresi il campionamento e l’identificazione dell’evento di trasformazione e, se del caso,
per la rilevazione e l’identificazione dell’evento di trasformazione nell’alimento e/o
negli alimenti prodotti a partire da esso (art. 6, comma 5, lettera f ed art. 18, comma
5, lettera f).
La normativa lascia molte perplessità in ordine alla suddivisione dei ruoli tra le Autorità nazionali degli Stati membri e l’Agenzia per la Sicurezza Alimentare Europea, in
quanto l’Autorità che deve effettuare l’analisi del rischio e stilare il relativo parere è
solo l’AESA, che “può chiedere” le opinioni delle Autorità nazionali competenti come
specificato sia all’art. 6, comma 3 che all’art. 18, comma 3.
In estrema sintesi, l’Autorità competente dello Stato Membro su richiesta del notificante
istruisce il dossier e quindi lo invia alla Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (art. 5); quest’ultima effettua la valutazione del rischio ambientale chiedendo eventualmente (e a sua discrezione) all’Autorità nazionale competente una valutazione.
In altri termini, tale procedura prevede che le Autorità nazionali non partecipino direttamente alla redazione della valutazione del rischio (la fase concertata al contrario è presente nella Direttiva n. 2001/18/CE) ma piuttosto, come sta accadendo, presentino osservazioni all’AESA, che di tali osservazioni “può tenere conto” e successivamente esprimere un eventuale parere negativo su tale valutazione.
L’opinione dell’AESA diventa, di fatto, la sola base scientifica delle decisioni dei Comitati UE, mentre l’opinione delle Autorità nazionali non avrà più la funzione di contribuire a formare il parere ma solo quella, assai più debole, di eventuale critica “esterna” del medesimo.
Il Regolamento si applica anche agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati
già presenti sul mercato e approvati in conformità delle procedure di cui alla Direttiva n. 90/220/CEE sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e del Regolamento CE n. 258/97 sui nuovi prodotti e i nuovi ingredienti alimentari (art. 8 – Status dei prodotti esistenti).
Una particolare riflessione merita l’art. 20 afferente al Capo III (mangimi geneticamente modificati) relativo allo “Status dei prodotti esistenti”, ovvero quei mangimi immessi legalmente sul mercato prima della data di entrata in vigore del Regolamento.
In particolare tutti i prodotti GM autorizzati, di cui all’art. 20, comma 1, par. a), già
utilizzati in prodotti destinati agli animali, restano sul mercato per i successivi 9 anni,
a condizione che l’operatore responsabile “autocertifichi”, entro 6 mesi dalla data di
applicazione del Regolamento e con apposita domanda corredata dagli elementi di
23
Pubblicata sulla GUCE L10 del 16 gennaio 2004.
37
cui all’art. 17, par. 3 e 5, quando un dato OGM è stato immesso per la prima volta
sul mercato UE.
Analoga procedura è prevista per gli OGM commercializzati come mangimi, di cui
all’art. 1 par. b), che però non sono stati oggetto di specifica autorizzazione prima
dell’entrata in vigore del Regolamento: questi OGM vengono autorizzati “a sanatoria”, per i successivi 9 anni, senza alcuna valutazione ed iscritti in apposito registro
(art. 20, comma 3).
Infatti le miscele di mangimi, anche se OGM, sono state sempre e solo autorizzate sulla base di legislazione verticale quali la Direttiva n. 82/471/CEE24 e la Direttiva n.
70/524/CEE25; solo alcune sementi sono state autorizzate sulla base della Direttiva
n. 90/220/CEE26 come alimenti per animali. Del resto il “consideranda” n. 7 specifica chiaramente che ”non esiste alcuna procedura di autorizzazione per i mangimi
derivati da OGM e occorre stabilire una procedura comunitaria di autorizzazione
unica, efficiente e trasparente per i mangimi che contengono OGM o sono costituiti o
prodotti a partire da OGM”.
Pertanto il testo, nell’attuale formulazione, non fornisce chiarezza nel delicato settore
della mangimistica zootecnica sia alle Autorità nazionali competenti sia agli operatori e, di conseguenza, i controlli si prevedono difficoltosi. Inoltre, a complicare le cose, non è previsto nella normativa il caso delle miscele di mangimi, aspetto quest’ultimo non secondario.
Quindi va da sé che, oltre ad una effettiva e specifica valutazione dei prodotti in questione e della idoneità delle “autodichiarazioni” presentate dagli operatori commerciali, si dovrà sollecitare da parte della Commissione UE, ai sensi di quanto previsto
al comma 8 dell’art. 20, l’adozione di norme dettagliate ai fini dell’attuazione “efficace” dello stesso articolo, secondo la procedura di Comitato di cui all’art. 35.
Gli aspetti operativi relativi all’etichettatura sono descritti al Capo II – Sez. 2, artt. 1213-14 e al Capo III - Sez. 2, artt. 24-25-26, per i prodotti GM destinati rispettivamente all’alimentazione umana e agli animali.
L’etichettatura diviene obbligatoria per tutti gli OGM od i prodotti destinati all’alimentazione umana o animale derivati da OGM, indipendentemente dal fatto che il
DNA o le proteine GM siano presenti nel prodotto finito (es.: olii raffinati di mais e/o
soia).
Le eccezioni sono rappresentate da:
Direttiva n. 82/471/CEE del Consiglio del 30 giugno 1982 relativa a taluni prodotti impiegati nell’alimentazione degli animali, pubblicata nella GUCE L213 del 20 luglio 1982, modificata da ultimo dalla dir.
n. 1999/20/CE pubblicata nella GUCE L80 del 25 marzo 1999.
25
Direttiva n. 70/524/CEE del Consiglio del 23 novembre 1970 relativa agli additivi nell’alimentazione degli animali, pubblicata nella GUCE L270 del 14 dicembre 1970, modificata da ultimo dal regolamento
(CE) n. 1756/2002 pubblicato nella GUCE L265 del 3 ottobre 2002.
26
Direttiva abrogata dalla direttiva n. 2001/18/CE.
24
38
• prodotti alimentari ottenuti con l’ausilio di OGM, che non sono più presenti
nel prodotto finito (es.: vino e formaggi ottenuti con l’ausilio di enzimi che non
sono presenti nel prodotto finito);
• alimenti destinati al consumatore finale o alimenti per animali che contengono, sono costituiti o sono prodotti a partire da OGM in proporzione non superiore allo 0,9% degli ingredienti alimentari considerati individualmente o
degli alimenti costituiti da un unico ingrediente, e nel caso in cui tale contaminazione sia accidentale o tecnicamente inevitabile;
• prodotti derivati da animali alimentati con OGM o con alimenti contenenti
OGM (es.: latte, carne, uova).
Il Capo IV riguarda le disposizioni comuni e particolarmente importante è l’articolo
32 relativo al laboratorio comunitario di riferimento, a cui sono assegnati dei compiti e delle funzioni definite nell’allegato27. È denominato “Centro Comune di ricerca
della Commissione” e per le sue mansioni è assistito dai laboratori nazionali di riferimento denominati “Rete europea di laboratori per gli OGM”.
Inoltre gli “Eventi GM” autorizzati in alimenti e mangimi entreranno a far parte di un
Registro comunitario, di cui all’articolo 28, accessibile al pubblico.
Relativamente alla contaminazione accidentale e tecnicamente inevitabile, l’articolo
47 del Regolamento affronta il problema degli OGM non autorizzati, ovvero quelli
che sono già stati valutati dai Comitati Scientifici della Comunità ma non sono mai
stati considerati tali da mettere a rischio la salute umana e l’ambiente. Il Regolamento prevede che questi OGM possano essere presenti in un alimento per uomo o per
animali in percentuale non superiore allo 0,5%, al di sotto della quale non vi è violazione dell’art. 4, par. 2 né dell’art. 16, par. 2.
Le misure di emergenza di cui all’articolo 32, ovvero la cosiddetta “Clausola di salvaguardia”, si applicano per analogia a quanto previsto negli articoli 53 e 54 del Regolamento n. 178/2002/CE, cioè in caso di grave rischio manifesto per la salute umana, degli animali o dell’ambiente conseguente all’utilizzo di prodotti GM autorizzati.
Agli artt. 37 e 38 si precisa che, dalla data di applicazione del Regolamento CE n.
1829/2003, saranno abrogati i Regolamenti CE n. 1139/98, n. 49/2000 e n.
27
Responsabile dei seguenti aspetti:
• ricevimento,preparazione,immagazzinamento,mantenimento e distribuzione ai laboratori nazionali di riferimento degli appropriati campioni di controllo positivi o negativi;
• test e convalida del metodo di rilevazione, compresi il campionamento e l’identificazione dell’evento di
trasformazione e, se del caso, rilevazione e identificazione dell’evento di trasformazione nell’alimento e
nel mangime;
• valutazione dei dati forniti dal richiedente l’autorizzazione a immettere in commercio l’alimento o il mangime per verificare e convalidare il metodo di campionamento e rilevazione;
• presentazione di relazioni valutative complete all’Autorità;
• partecipa alla risoluzione delle controversie tra gli Stati membri in relazione ai risultati delle mansioni indicate nel presente allegato.
39
50/2000, mentre il Regolamento CE n. 258/97 viene modificato in diversi articoli.
È evidente che una lettura critica del testo, così come rappresentato, potrebbe far sorgere alcune perplessità sull’efficacia delle valutazioni previste; tuttavia solo applicando la normativa e le relative procedure gli Stati membri potranno fornire dei giudizi
tecnico-operativi equilibrati ed eventualmente proporre le opportune modifiche entro
il 7 novembre 2005, alla luce delle esperienze acquisite, come sancito dall’art. 48 relativo al riesame.
3.4 Il regolamento CE n. 1830/2003
Il Regolamento CE n. 178/2002 introduce principi generali di tracciabilità per gli alimenti destinati all’uomo e per i mangimi destinati agli animali. Per quanto riguarda
più specificatamente gli OGM, la Direttiva n. 2001/18/CE prevede che tutti gli Stati
membri attuino le misure necessarie al fine di etichettare gli OGM in tutte le fasi di
produzione e commercializzazione.
Il nuovo Regolamento CE n. 1830/2003, applicato con efficacia 90 giorni dopo la sua
pubblicazione, prevede che gli operatori commerciali assicurino la tracciabilità ed etichettatura in tutte le fasi di produzione e commercializzazione di OGM (es.: sementi)
e di prodotti che contengono, consistono o che sono derivati da OGM (es.: salsa di pomodoro, ketchup, amidi, olio, farina). In particolare gli operatori devono essere in grado di indicare da chi hanno ottenuto un prodotto ed a chi il prodotto è destinato.
Nel caso delle sementi ovviamente la tracciabilità inizia dal momento in cui un’azienda produce ed immette sul mercato una varietà GM autorizzata nella Unione Europea. In tal caso l’operatore informa l’acquirente che si tratta di una semente GM e
fornisce gli elementi indispensabili per l’identificazione dello specifico OGM (identificatore unico).
L’azienda produttrice deve tenere un registro di tutti gli acquirenti e, parimenti, l’agricoltore informa tutti gli acquirenti che il prodotto del raccolto è geneticamente modificato, tenendo a sua volta un registro degli acquirenti stessi.
Un aspetto innovativo introdotto all’art. 4 riguarda gli “identificatori unici” assegnati
ad ogni singolo OGM e finalizzati a garantire la tracciabilità in tutte le fasi successive all’immissione in commercio da parte degli operatori.
In particolare il par. 3 dell’art. 4 prevede il caso, peraltro frequente, dei prodotti contenenti miscele di OGM, ove le informazioni possono essere sostituite da una dichiarazione relativa all’uso del prodotto da parte dell’operatore, corredata di un elenco
di identificatori unici per tutti gli OGM usati per costituire la miscela.
Peraltro l’etichetta per i prodotti contenenti OGM o da essi costituiti (sia preconfezionati che non) dovrà prevedere la seguente dicitura: ”Questo prodotto contiene OGM”
oppure “Questo prodotto contiene [nome dell’organismo] geneticamente modificato”.
Al riguardo la normativa stabilisce che tracce di OGM negli alimenti e nei mangimi,
40
presenti in proporzione non superiore alle soglie stabilite in conformità degli artt. 12,
24 e 47 del Regolamento CE n. 1829/2003, non comportano l’etichettatura dei prodotti stessi.
Ovviamente le norme su tracciabilità ed etichettatura (deroga dello stesso art. 4) non
si applicano alle tracce di OGM presenti nei prodotti in proporzione non superiore
alle soglie stabilite (0,9% autorizzati e 0,5% non autorizzati), in conformità agli artt.
12, 24 e 47 del Regolamento CE n. 1829/2003, purché tali tracce siano accidentali o tecnicamente inevitabili.
All’art. 8 è richiamato l’obbligo, peraltro adempiuto con il Regolamento CE n.
65/2004, da parte della Commissione UE di predisporre un sistema di determinazione e di assegnazione di identificatori unici per gli OGM.
Inoltre è in corso di elaborazione uno specifico provvedimento da parte della Commissione UE, secondo quanto previsto all’art. 9, relativo ad orientamenti tecnici sui
metodi di campionamento ed analisi (qualitative e quantitative) necessari per garantire il rispetto del Regolamento stesso, basato su un approccio armonizzato e coordinato ai fini dell’effettuazione di ispezioni e misure di controllo da parte degli Stati
membri.
Il laboratorio comunitario di riferimento, citato al par. 2 dell’art. 9 e istituito ai sensi
dell’art. 32 del Regolamento CE n. 1829/2003, è fondamentale per la validazione
delle analisi nonché di tutte le fattispecie previste nell’unico allegato del Regolamento
stesso.
Inoltre al par. 3 di questo articolo, così “ricco” di adempimenti normativi, si prevede
l’istituzione del registro centrale contenente tutte le informazioni sequenziali ed i materiali di riferimento disponibili per gli OGM che possono essere immessi nella Comunità e, aspetto fondamentale, detto registro deve comprendere le informazioni corrispondenti sugli OGM non autorizzati nella UE.
Infine all’articolo 11 sono previsti adempimenti obbligatori a carico degli Stati membri, che sono tenuti a prevedere sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive nei
confronti degli operatori che violino quanto espressamente stabilito dal Regolamento stesso.
Analogo articolo sulle sanzioni, per inciso l’art. 45, è previsto nel Regolamento CE n.
1829/2003.
3.5 La Direttiva n. 98/81/CE e il decreto legislativo n. 206/2001 di recepimento
nazionale
La revisione della Direttiva presenta sia modifiche sostanziali sia modifiche di adeguamento al progresso tecnologico. In particolare gli impieghi confinati di Microrganismi Geneticamente Modificati (MOGM) devono essere classificati in base ai rischi
che comportano per la salute umana e per l’ambiente e tale classificazione deve es-
41
sere coerente con la prassi internazionale che si basa su una attenta valutazione dei
rischi.
Le procedure amministrative e gli obblighi di notifica devono essere in relazione con
i rischi degli impieghi confinati, gli stessi aspetti tecnici devono essere adeguati al progresso tecnico, e inoltre devono essere adottate e applicate misure appropriate per il
controllo dell’eliminazione del materiale derivante dagli impieghi confinati di MOGM.
La revisione della Direttiva ha sancito il passaggio da una valutazione del rischio proporzionata al grado di pericolosità del microrganismo, ovvero del sistema biologico
isolato, ad una valutazione complessiva dell’agente biologico nella realtà del laboratorio o dell’impianto; di conseguenza questa Direttiva presuppone che la valutazione
del rischio del microrganismo sia solo una parte della valutazione del rischio complessivo.
Nell’ambito della nuova normativa ricadono tutte le attività che implicano l’uso di
MOGM, inclusa la semplice conservazione (stoccaggio) di ceppi o linee cellulari (Allegato I Parte A: tecniche di modificazione genetica). Tali tecniche sono:
• tecniche di ricombinazione di acido nucleico che comportano la formazione
di nuove combinazioni di materiale genetico;
• microinoculazione e macroinoculazione, microincapsulazione;
• tecniche di fusione cellulare o di ibridazione che producono cellule vive con
nuove combinazioni di materiale genetico mediante fusione di cellule con metodi non presenti in natura.
Al contrario sono esclusi dal campo di applicazione i microrganismi modificati con
tecniche di mutagenesi tradizionale, con la fusione cellulare procariotica ed eucariotica mediante processi fisiologici noti, e i MOGM ottenuti tramite autoclonazione (selfcloning), purché non patogeni per uomo, animali o piante (Allegato II parte A).
A livello comunitario è prevista una procedura per giungere alla compilazione di un
elenco di MOGM che, soddisfacendo a criteri restrittivi di sicurezza per la salute umana e per l’ambiente (Allegato II parte B), saranno esclusi dal campo di applicazione
della Direttiva n. 98/81/CE (Allegato II parte C che soddisfino i criteri specificati nell’Allegato II parte B).
Inoltre vengono esclusi i MOGM che sono stati immessi sul mercato secondo la parte
C della Direttiva n. 90/220/CE o secondo normative a questa equivalenti sotto il profilo della valutazione di impatto ambientale (es.: i prodotti medicinali contenenti
MOGM approvati dall’EMEA con procedura centralizzata).
Ricadono sotto la nuova normativa tutte le attività che implicano l’uso di MOGM, inclusa la semplice conservazione (o stoccaggio) di ceppi o linee cellulari (Allegato I).
Il decreto legislativo n. 206/01 prevede un regime di notifica e autorizzazione per gli
impieghi confinati che ricadono nel suo campo di applicazione, nonché per gli impianti ove si intende mettere in atto tali impieghi. Tutte le notifiche, sia di impiego che
42
di impianto, devono essere presentate al Ministero della Salute, Autorità competente
nazionale. Le notifiche di impianto devono essere inviate per conoscenza anche alla
Regione o Provincia autonoma interessata.
La valutazione della classe di impiego confinato che si intende eseguire è elemento
essenziale per la preparazione di una notifica di impiego (art. 5 del d. lgs. n.
206/01).
In analogia con i gruppi di rischio 1-4 individuati dal d. lgs. n. 626/94, sono previste quattro classi di impiego, definite sulla base del livello di contenimento necessario
a proteggere la salute umana e l’ambiente dai possibili rischi connessi con l’uso del
particolare MOGM.
Tuttavia mentre a norma del d. lgs. n. 626/94 si classificano in gruppi di rischio gli
agenti biologici, ed è fornita nell’allegato XI allo stesso decreto una lista positiva di
tutti i patogeni umani conosciuti con l’assegnazione del relativo gruppo di rischio, al
contrario nel decreto in questione l’oggetto della classificazione non sono i MOGM
(né è pensabile una elencazione dei possibili MOGM) bensì gli impieghi previsti.
È compito del notificante quello di valutare, seguendo le linee indicate nell’allegato III
del d. lgs. n. 206/01, quali siano le misure di contenimento minime adeguate al caso,
scegliendole tra i quattro progressivi livelli di contenimento specificati nell’allegato IV.
È il livello di contenimento adeguato a garantire la sicurezza che determina la classe
dell’impiego confinato. Nel processo di valutazione, delineato nell’allegato III, si tiene conto anche della presenza o meno, nei pressi dell’impianto, di specie animali o
vegetali suscettibili ad una eventuale azione patogena del MOGM.
Notifica di impianto: è in ordine di tempo la prima notifica da presentare, per la quale potrà essere utilizzato l’apposito modulo reperibile sul sito web.
Detta notifica dovrà essere firmata e presentata al Ministero della Salute dal titolare
dell’impianto, da identificarsi con il datore di lavoro ai sensi del d. lgs. n. 626/94 e
successive modificazioni. Essa contiene le informazioni relative all’impianto, come
specificato nella parte A dell’allegato V al d. lgs. n. 206/01, mentre non contiene informazioni relative ai MOGM, che saranno contenute nelle notifiche di impiego, obbligatorie per impieghi di classe 2, 3 o 4.
Solo per impieghi di classe 1, per i quali non è prevista ulteriore notifica, è richiesto
un riepilogo della valutazione di cui sopra, oltre ad informazioni sulla gestione dei rifiuti. Per tutti gli impieghi, inclusi quelli di classe 1, i documenti di valutazione completi saranno conservati presso l’impianto.
È responsabilità del titolare dell’impianto informare il Ministero della Salute circa
qualsiasi modifica delle informazioni contenute nella notifica di impianto, in modo che
il relativo fascicolo esistente presso il Ministero risulti costantemente aggiornato.
La notifica di impianto viene eseguita una sola volta, precedentemente al primo impiego; tuttavia modifiche sostanziali dell’impianto richiederanno comunque la presentazione di una nuova notifica.
43
La procedura prevede che:
• per impianti destinati esclusivamente ad impieghi di classe 1 vige un regime
di silenzio/assenso, con un termine di 45 giorni trascorsi i quali, in assenza
di indicazioni contrarie, gli impieghi di classe 1 possono iniziare;
• per impianti destinati ad impieghi di classi superiori è necessaria una esplicita autorizzazione scritta da parte del Ministero della Salute, con i termini indicati nell’art. 7;
• nel caso di impianti destinati ad impieghi di classe 4 è prevista (art. 11, commi 6 e 7) una procedura che permetta alla popolazione interessata di esprimere preventivamente il proprio parere in merito alla richiesta di autorizzazione all’impianto.
Notifica di impiego di un determinato MOGM (con indicazione del microrganismo
donatore, ricevente o ospite, del tipo di inserto e dell’eventuale vettore utilizzato): viene presentata dall’utilizzatore, ovvero il responsabile scientifico e gestionale dell’impiego confinato. Questi potrà essere, ad esempio, il ricercatore che coordina l’attività di ricerca con il MOGM in questione ed è a lui che compete la valutazione e la conseguente assegnazione dell’impiego confinato ad una delle 4 classi. La notifica, compilata anche in questo caso utilizzando uno dei moduli reperibili sul sito web, dovrà
essere vistata dal titolare dell’impianto, cui essa viene consegnata in copia, unitamente
al documento di valutazione di cui sopra.
Per quanto riguarda le autorizzazioni, solo per impieghi di classe 2 è previsto un regime di silenzio/assenso, con termine di 60 giorni. Se però sono già stati autorizzati presso lo stesso impianto impieghi di classe più elevata, gli impieghi di classe 2 possono iniziare subito dopo la notifica.
Per gli impieghi di classe 3 e 4 bisogna attendere esplicita autorizzazione scritta, che
il Ministero della Salute rilascerà entro 60 o 90 giorni, a seconda che presso l’impianto siano già stati autorizzati o meno impieghi della stessa classe o di una classe
superiore.
Per tutta la durata dell’impiego confinato è responsabilità dell’utilizzatore (art 6,
comma 1, lettera a) assicurarsi che siano pienamente applicate le misure di contenimento e le altre misure di protezione specificate in allegato IV per la classe assegnata all’impiego confinato, nonché conservare i quaderni (o i file) in cui vengono registrate le operazioni eseguite (art. 6, comma 1, lettera b).
L’utilizzatore dovrà inoltre riesaminare periodicamente (annualmente per impieghi di
classe 3 e 4, almeno ogni 3 anni per impieghi di classe 1 e 2) la valutazione della classe di impiego e redigere un documento di riesame che dovrà essere consegnato al titolare dell’impianto. Altrettanto avviene nelle occasioni indicate all’art. 6, comma 2.
Come persona che segue il lavoro quotidiano e che è in grado di valutare le conseguenze di un eventuale rilascio accidentale di MOGM, al verificarsi di un incidente
44
spetta all’utilizzatore informarne immediatamente per iscritto il Ministero della Salute
(art. 16, comma 1).
La comunicazione va estesa alle altre Autorità indicate nel medesimo comma nel caso in cui, in conseguenza dell’incidente, si verifichi un rilascio di MOGM al di fuori
della zona utilizzata per l’impiego confinato.
3.6 La Direttiva n. 2001/18/CE e il decreto legislativo n. 224/2003 di
recepimento nazionale
Il decreto legislativo n. 224/2003 reca attuazione della Direttiva n. 2001/18/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 marzo 2001 sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la Direttiva n. 90/220/CEE
del Consiglio, a suo tempo recepita con decreto legislativo 3 marzo 1993, n. 92.
La Direttiva, che è stata approvata dal Consiglio dei Ministri dell’ambiente, accentua
la valenza ambientale della materia, individuando nella tutela della biosicurezza la
finalità prevalente delle proprie disposizioni.
Detta Direttiva, mentre stabilisce criteri e procedure armonizzati per la valutazione caso per caso dei rischi potenziali derivanti dal rilascio nell’ambiente di organismi geneticamente modificati a scopo sperimentale o per fini commerciali, collega l’emissione di detti OGM ad una valutazione preventiva del “rischio ambientale”, nell’ambito della quale devono essere considerati anche i potenziali danni alla salute umana ed animale (consideranda 19, 20, 27 e 33, art. 6, lett. a, art. 7, comma 3).
Inoltre, al consideranda 13 ed all’articolo 32, la Direttiva si riconosce come norma applicativa il Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza, limitatamente alla disciplina dei
movimenti transfrontalieri di OGM verso la Comunità Europea (import), in quanto prevede che le future norme di attuazione del citato Protocollo possano “integrare e, se necessario, modificare le disposizioni della stessa Direttiva”. A sua volta il Regolamento
n. 1946/2003/CE del Parlamento e del Consiglio del 15 luglio 200328, in attuazione
del Protocollo di Cartagena, disciplina i movimenti di OGM dall’UE verso i Paesi terzi
(export) e conferma la relazione fra la Direttiva n. 2001/18/CE ed il Protocollo stesso,
laddove il consideranda 14 prevede che “poiché la legislazione comunitaria e, in particolare, la Direttiva n. 2001/18/CE prevedono una specifica valutazione dei rischi e
disposizioni conformi agli obiettivi del Protocollo, non c’è alcun bisogno di introdurre
norme supplementari relative all’importazione di OGM nella Comunità”.
Come è noto, il Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza, in quanto parte integrante
della Convenzione sulla biodiversità, si propone come obiettivo prevalente quello della tutela dell’ambiente, come confermato anche dalla Corte di Giustizia delle Comuni-
28
Regolamento pubblicato nella GUCE L287 del 5 novembre 2003.
45
tà Europee in occasione dell’approvazione dello stesso Protocollo da parte dell’Unione Europea, e come sostenuto ufficialmente anche dall’Italia nella stessa circostanza.
L’impostazione seguita nel recepimento della Direttiva è stata quella di prevedere, anche in ossequio al principio di precauzione, misure particolarmente cautelative, sia
per quanto concerne la protezione dell’ambiente sia in materia di tutela della salute
umana, tenendo conto anche degli aspetti socio-economici, soprattutto quelli legati al
comparto della produzione agricola.
Ciò premesso, gli aspetti qualificanti del decreto di recepimento riguardano in particolare:
• la definizione delle procedure di notifica ed autorizzazione per l’emissione
deliberata nell’ambiente di OGM, sia a scopo sperimentale che commerciale, prevedendo negli allegati tecnici dettagliate prescrizioni per la valutazione del rischio ambientale;
• l’elaborazione di piani di monitoraggio diretti ad individuare gli effetti degli
OGM sulla salute umana, animale e sull’ambiente;
• la previsione di misure adeguate per piani di controllo, metodi di bonifica e
trattamento dei rifiuti, nonché per piani di intervento in caso di emergenza;
• il rilascio di un’autorizzazione all’immissione sul mercato non più illimitata,
ma per un periodo massimo di dieci anni dalla data di autorizzazione.
Approfondiamo di seguito i contenuti dell’articolato al decreto legislativo in oggetto.
I primi articoli definiscono il campo di applicazione del decreto legislativo e individuano nel Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio l’Autorità nazionale
competente per il coordinamento delle attività amministrative e tecnico scientifiche relative all’attuazione delle misure contenute nel decreto stesso; inoltre vengono riprese
all’articolo 3 le definizioni della Direttiva n. 2001/18/CE, aggiungendo anche quella di “consultazione pubblica”al fine di chiarire chi può avere accesso alle informazioni non confidenziali contenute nelle notifiche.
Gli obblighi generali definiti all’articolo 5 riguardano: il notificante, che deve presentare una notifica ai sensi dei Titoli II e III, i quali prevedono una valutazione del rischio ambientale in funzione del tipo di organismo introdotto e dell’ambiente ospite,
basata sulle informazioni che figurano al Titolo III; l’Autorità nazionale competente,
che ha tutta una serie di incombenze alle quali ottemperare avvalendosi della Commissione interministeriale di valutazione (CIV) formata da 21 componenti, individuata all’art. 6 come l’organismo deputato alla valutazione delle emissioni deliberate nell’ambiente degli OGM sia a scopo sperimentale sia commerciale.
I compiti di tale Commissione sono:
• verificare che il contenuto delle notifiche sia conforme alle disposizioni del decreto;
46
• esaminare qualsiasi osservazione sulle notifiche eventualmente presentata
dalle Autorità competenti degli altri Stati membri e dal pubblico;
• valutare i rischi dell’emissione per la salute umana, animale e per l’ambiente;
• esaminare le informazioni del notificante e promuovere, ove lo ritenga necessario, la richiesta di parere al Consiglio Superiore di Sanità e al Comitato
Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
• disporre, se del caso, la consultazione delle parti sociali, del pubblico e di
ogni altro soggetto interessato, ivi compresi eventuali Comitati scientifici ed
etici, sia nazionali che comunitari;
• redigere le proprie conclusioni e, nei casi previsti, la relazione di valutazione.
La Commissione interministeriale esamina le relazioni di valutazione e le informazioni relative all’emissione deliberata e all’immissione sul mercato di OGM provenienti
dalle Autorità competenti degli altri Stati membri e dalla Commissione Europea e trasmesse all’Autorità competente ai sensi della Direttiva n. 2001/18/CE del Parlamento Europeo, richiedendo, se del caso, ulteriori informazioni ed esprimendo il proprio
parere sulla base della valutazione dei rischi connessi alll’emissione.
La Commissione interministeriale è presieduta da un Direttore Generale del Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, o da un suo sostituto, ed è composta da rappresentanti e da esperti di comprovata competenza scientifica designati dalle Amministrazioni interessate, così ripartiti:
• un rappresentante del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio;
• un rappresentante del Ministero della Salute;
• un rappresentante del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali;
• un rappresentante del Ministero delle Attività Produttive;
• un rappresentante del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali;
• tre rappresentanti della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome;
• due esperti del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio;
• due esperti del Ministero della Salute;
• due esperti del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali;
• due esperti dell’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i Servizi Tecnici (APAT);
• un esperto dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione
(INRAN);
• un esperto del Ministero delle Attività Produttive;
• un esperto dell’Istituto Superiore di Sanità;
• un esperto dell’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro.
47
La vigilanza è affidata agli ispettori del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, delle Regioni, delle Province e degli enti locali, mentre la possibilità di limitare o vietare temporaneamente l’uso dei transgeni autorizzati spetta ai Ministeri dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, dell’Agricoltura o della Salute.
I componenti della Commissione interministeriale di valutazione durano in carica
quattro anni.
Il Titolo II del decreto legislativo agli artt. 8 e 9 individua quale deve essere il contenuto tecnico-scientifico di una notifica ai fini della presentazione di una richiesta di
autorizzazione per la sperimentazione di un OGM nonché l’iter istruttorio, precisando che il notificante può procedere all’emissione soltanto dopo il rilascio del provvedimento di autorizzazione.
Sono previste all’articolo 10 procedure differenziate che possono essere adottate, previa specifica autorizzazione, qualora si disponga di sufficiente esperienza riguardo
alle emissioni di taluni OGM in determinati ecosistemi.
L’articolo 12 è rilevante poiché, secondo le modalità di cui all’allegato VII, l’Autorità
nazionale competente provvede a disciplinare le modalità di informazione e consultazione del pubblico in merito alle notifiche e alle emissioni deliberate nell’ambiente
di OGM a scopi diversi dall’immissione sul mercato. Anche la presentazione della relazione conclusiva sulle emissioni da parte del notificante, di cui all’articolo 13, prevede un parere dell’Autorità nazionale competente, che si avvale della Commissione
di cui all’articolo 6.
Infine l’articolo 14, che conclude il Titolo II, descrive il sistema di scambio di informazioni da attuarsi tra l’Autorità nazionale competente, la Commissione Europea e le
Autorità competenti degli altri Stati membri.
PARTE B
(Emissione deliberata nell'ambiente di OGM per qualsiasi fine diverso dall'immissione sul mercato)
-
autorizzazione accordata dalla CIV;
tempi di autorizzazione: 120 giorni dal ricevimento della notifica;
informazione e consultazione del pubblico;
registro delle località di sperimentazione.
Il Titolo III che comprende gli articoli da 16 a 26 descrive l’immissione sul mercato di
OGM come tali o contenuti in prodotti.
A seguito di un periodo variabile (più anni) di emissione sperimentale nell’ambiente,
l’azienda interessata a commercializzare un OGM richiede un’autorizzazione all’Autorità nazionale competente del Paese membro in cui intende commercializzare il
prodotto in prima istanza (art.16 – procedura di notifica).
La domanda deve comprendere una completa valutazione del rischio per l’immissione nell’ambiente.
48
Lo Stato membro nel quale il prodotto sarà commercializzato effettua la valutazione
del dossier predisposto dall’azienda produttrice, elabora una propria relazione di valutazione (art. 17) e successivamente informa la Commissione e gli altri Stati membri,
tramite la Commissione, in caso di esito favorevole.
Salvo obiezioni in senso contrario, lo Stato membro può autorizzare l’immissione in
commercio sul proprio territorio, ma tale autorizzazione si intende valida per tutta l’Unione Europea (art. 18). In effetti nell’articolo in questione si definisce l’iter procedurale comunitario da seguire nel caso della presentazione o meno di obiezioni motivate da parte dell’Autorità competente di uno Stato membro alla relazione di valutazione di cui all’articolo 17, e specifica anche che l’autorizzazione all’immissione sul
mercato di un OGM non può superare i dieci anni.
Il Comitato Autorità Competenti Direttiva n. 2001/18 presso la Commissione UE autorizza formalmente la commercializzazione con una specifica decisione adottata tramite maggioranza qualificata degli Stati membri, secondo la procedura di Comitato
riportata nella Decisione n. 1999/468/CE29.
I tempi tecnico-amministrativi di quanto detto sopra sono suddivisi in 3 fasi principali:
• un “periodo nazionale”, durante il quale l’Autorità principale competente dispone di 90 giorni a partire dalla data di ricevimento della domanda per presentare la sua relazione di valutazione; tale periodo di 90 giorni può essere
interrotto e poi ripreso se sono richieste informazioni supplementari al notificante, e in tal caso il termine è prorogato;
• un “periodo comunitario” di 105 giorni, che può essere suddiviso in 2 fasi:
nei primi 60 giorni, le Autorità competenti degli Stati membri possono sollevare obiezioni motivate; gli ultimi 45 giorni costituiscono una specie di “tappa di conciliazione” per consentire alla Commissione, all’Autorità competente nazionale e a quella che ha sollevato obiezioni di arrivare ad un accordo;
• consultazione dell’AESA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare), se
le obiezioni basate su considerazioni ambientali o di salute umana non sono
state ritirate dalle Autorità nazionali nel periodo di 45 giorni citato; l’AESA
dispone di 90 giorni per esprimere il proprio parere.
Il rinnovo dell’autorizzazione è definito all’articolo 20 e stabilisce la procedura e la
documentazione da presentare ai fini del rinnovo dell’autorizzazione per l’immissione sul mercato di OGM. Per gli OGM autorizzati all’immissione sul mercato prima
dell’entrata in vigore del decreto legislativo è previsto che il rinnovo debba essere richiesto al più tardi nove mesi prima del 17 ottobre 2006.
Il provvedimento di autorizzazione all’articolo 21 individua gli obblighi a carico del
29
Pubblicata nella GUCE L184 del 17 luglio 1999.
49
notificante in materia di etichettatura e monitoraggio, nonché le eventuali condizioni
per l’immissione sul mercato del prodotto. Specifica, inoltre, che l’Autorità nazionale
competente deve adottare le misure necessarie per garantire l’accesso del pubblico al
provvedimento di autorizzazione. Rivestono particolare importanza gli obblighi del
notificante in materia di conduzione del monitoraggio e dell’elaborazione della relativa relazione in rapporto alle condizioni indicate nel provvedimento di autorizzazione (art. 22), le disposizioni previste per la gestione delle nuove informazioni che si
rendono disponibili dopo la presentazione di una notifica per l’immissione sul mercato di un OGM, nonché gli obblighi del notificante e dell’Autorità nazionale competente (art. 23).
Negli articoli conclusivi del Titolo III sono specificate:
• le condizioni per l’etichettatura degli OGM immessi sul mercato e l’obbligo
che la stessa sia conforme alle specifiche indicate nel provvedimento di autorizzazione;
• la clausola di salvaguardia ai fini di un possibile provvedimento d’urgenza
per limitare o vietare temporaneamente l’immissione sul mercato, l’uso o la
vendita sul territorio nazionale di un OGM, qualora dopo l’autorizzazione intervengano nuove conoscenze atte ad individuare nuovi rischi per la salute
umana o per l’ambiente;
• le modalità di informazione del pubblico in merito alle notifiche relative all’immissione sul mercato di OGM.
PARTE C
(Immissione sul mercato di OGM come tali o contenuti in prodotti)
- autorizzazione secondo la procedura comunitaria;
- tempi di autorizzazione: 255 giorni dal ricevimento della notifica, salvo obiezioni degli Stati
membri;
- durata autorizzazione: massimo 10 anni, può essere rinnovata;
- attività di monitoraggio e sorveglianza dopo l’immissione in commercio;
- informazione e consultazione del pubblico;
- registro delle località di coltivazione;
- etichettatura;
- attività ministeriale di ricerca sui rischi: deve essere assicurata dai Ministeri dell’Ambiente,
Agricoltura e Istruzione;
- obblighi dell’agricoltore: informare la Regione o Provincia autonoma interessata sulla localizzazione della coltura transgenica e conservare per 10 anni le informazioni relative alla coltura stessa.
Il Titolo IV relativo alle disposizioni finali, nei diversi articoli di cui è composto, stabilisce le disposizioni in merito:
• alla riservatezza dei dati (art. 27);
• alla possibilità che gli allegati del presente decreto legislativo vengano modificati in funzione delle variazioni adottate in sede comunitaria (art. 29);
50
• all’istituzione di un pubblico registro dove annotare le localizzazioni delle
emissioni di OGM a titolo sperimentale (art. 30);
• all’istituzione in ambito regionale di registri informatici su cui annotare le localizzazioni degli OGM ai fini della coltivazione per l’immissione sul mercato (art. 30);
• all’obbligo di invio alla Commissione Europea, ogni tre anni, di una relazione circostanziata in merito alle esperienze acquisite in materia di OGM immessi sul mercato (art. 31);
• all’attività di vigilanza da effettuarsi da parte sia delle autorità centrali che locali (art. 32);
• alle spese relative all’attività di vigilanza, al funzionamento della Commissione di cui all’articolo 6, all’espletamento dell’istruttoria per le notifiche (art. 33);
• alle sanzioni per le violazioni alle disposizioni del decreto legislativo, modulate in rapporto alla gravità delle violazioni stesse (artt. 34 e 35);
• alle sanzioni per i danni provocati alla salute umana ed all’ambiente nell’ambito dell’esercizio delle attività di impiego di OGM (art. 36).
Confrontando i due provvedimenti comunitari, ovvero la Direttiva n. 90/220/CE e la
Direttiva n. 2001/18/CE, la Commissione UE ha cercato di adeguare le procedure
di autorizzazione all’avanzamento tecnico-scientifico, adottando misure più stringenti quali: una valutazione del rischio maggiormente dettagliata; il monitoraggio obbligatorio da parte del notificante; l’informazione obbligatoria al pubblico; le regole per
l’etichettatura e la tracciabilità a tutti gli stadi di produzione e commercializzazione;
il registro delle località di sperimentazione o di coltivazione commerciale.
Il decreto legislativo n. 224/2003 dell’8 luglio (rispetto all’abrogato decreto legislativo n. 92/93), oltre a rispettare i tempi tecnici previsti nella Direttiva, prevede in aggiunta alla valutazione del rischio per l’ambiente e per la salute umana derivante dalle coltivazioni transgeniche anche la tutela dell’agrobiodiversità, dei sistemi agrari e
della filiera agroalimentare nel rispetto dei prodotti tipici, biologici e di qualità.
Inoltre una novità è il trasferimento dell’Autorità competente dal Dicastero della Salute a quello dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, i quali assieme al Ministero delle Politiche Agricole dovranno condurre ricerche sui rischi collegati alla sperimentazione e commercializzazione di piante e prodotti transgenici.
51
Gli elementi di novità rispetto alla Direttiva n. 90/220/CEE
- l’istituzione di un sito web da parte del Ministero dell’Ambiente al fine di mettere a disposizione di qualunque persona le informazioni relative alle autorizzazioni per sperimentare o commercializzare gli
OGM, dando così attuazione alla richiesta di trasparenza contenuta nella Direttiva n. 2001/18/CE;
- l’obbligo da parte del notificante di svolgere attività di monitoraggio e sorveglianza sul materiale
transgenico autorizzato alla commercializzazione;
- l’istituzione di un registro delle località dove si svolgono le sperimentazioni o le coltivazioni per
scopo commerciale di piante transgeniche;
- la limitazione dell’autorizzazione al commercio della durata massima di 10 anni;
- la rimozione dei marker resistenti agli antibiotici così come richiesto dalla Direttiva n. 2001/18/CE;
- l’obbligo di etichettatura dei prodotti commerciali contenenti materiale transgenico;
- il mantenimento dello schema generale di autorizzazione;
- l’impiego della clausola di salvaguardia, cioè la possibilità di vietare o limitare a livello nazionale
l’uso di organismi transgenici autorizzati, che potrà essere esercitata da tre Ministeri.
Nel Decreto n. 224, viceversa, sono stati introdotti due elementi di novità rispetto alla Direttiva europea:
1. Il primo impegna i Ministeri dell’Ambiente, Agricoltura e Istruzione ad effettuare delle ricerche sui
rischi che possono derivare dalla sperimentazione e dalla commercializzazione degli OGM;
2. Il secondo obbliga chi coltiva piante transgeniche a comunicare alla Regione o alla Provincia
autonoma dove sono localizzate le coltivazioni e a conservare per 10 anni le documentazioni
relative.
Attualmente, a seguito della “moratoria de facto” delle autorizzazioni del 1998 durata cinque anni, sono in attesa di essere valutate, ai sensi della Direttiva n.
90/220/CEE abrogata e sostituita dalla Direttiva n. 2001/18/CE, ben 21 domande
di autorizzazione di prodotti OGM, per i seguenti prodotti: mais, colza oleaginosa,
barbabietola da zucchero, semi di soia, cotone, riso, barbabietola da foraggio. Di
queste domande, 11 hanno una portata limitata alla sola importazione e trasformazione, mentre per le altre è prevista anche la coltivazione.
Per concludere in maniera esaustiva la disamina della Direttiva n. 2001/18/CE appare necessario commentare almeno gli Allegati II e VII concernenti i “Principi per la
valutazione del rischio ambientale” e il “Piano di monitoraggio”.
Allegato II - Principi per la valutazione del rischio ambientale
Tra gli obblighi degli Stati membri ci sono quelli enunciati nell’articolo 4 secondo il
quale, nel rispetto del principio di precauzione, si devono attuare “tutte le misure atte ad evitare effetti negativi sulla salute e sull’ambiente” che possono derivare dall’emissione deliberata o dall’immissione in commercio di OGM.
Accertato che la valutazione del rischio ambientale rappresenta il punto fondamentale della Direttiva, si descrive di seguito l’allegato II che definisce a grandi linee l’obiettivo da raggiungere, gli elementi da considerare ed i principi e le metodologie generali da seguire per effettuare la valutazione del rischio ambientale di cui agli articoli 4 e 13. Nel documento in esame viene fornita un’interpretazione dei rischi per la
salute umana e per l’ambiente, definiti come segue:
• “effetti diretti”: effetti primari sulla salute umana o sull’ambiente risultanti dall’OGM stesso e non dovuti ad una serie causale di eventi;
52
• “effetti indiretti”: effetti sulla salute umana o sull’ambiente dovuti ad una serie
causale di eventi mediante meccanismi quali le interazioni con altri organismi,
il trasferimento di materiale genetico o variazioni nell’uso e nella gestione.
Le osservazioni degli effetti indiretti possono essere dilazionate nel tempo:
• “effetti immediati”: effetti sulla salute umana o sull’ambiente osservati durante il periodo di emissione dell’OGM;
• “effetti differiti”: effetti sulla salute umana o sull’ambiente che non possono essere osservati durante il periodo di emissione dell’OGM, ma che emergono come effetti diretti o indiretti in una fase successiva o al termine dell’emissione.
Dopo aver premesso, quale principio generale, che la valutazione del rischio ambientale deve essere effettuata sulla base dei dati scientifici e tecnici disponibili, si deve includere un’analisi degli “effetti cumulativi a lungo termine” pertinenti per l’emissione e l’immissione in commercio.
L’allegato definisce tali “effetti” come le conseguenze che i rilasci hanno, cumulativamente, sulla salute umana e sull’ambiente, sulla flora e sulla fauna, sulla fertilità del
suolo, sulla capacità del suolo di degradare materiale organico, sulla catena alimentare (animale o umana), sulla diversità biologica, sulla salute animale e sui problemi
relativi alla resistenza agli antibiotici.
L’attività valutativa del rischio ambientale deve essere effettuata al fine di determinare “se è necessario procedere ad una gestione del rischio e, in caso affermativo, reperire i metodi più appropriati da impiegare”.
In base al principio precauzionale, la valutazione del rischio ambientale:
• richiede l’identificazione delle caratteristiche dell’OGM ed il suo uso che potenzialmente possono causare effetti negativi, da confrontare con quelli propri dell’organismo non modificato da cui l’OGM è stato ricavato e col suo uso
in situazioni corrispondenti;
• deve essere svolta in maniera scientificamente valida e trasparente, sulla base dei dati scientifici e tecnici disponibili;
• deve essere effettuata caso per caso, nel senso che le informazioni richieste
possono variare a seconda del tipo di OGM considerato, dell’uso previsto e
dell’ambiente che ne è il potenziale destinatario, tenendo conto, tra l’altro, degli OGM già presenti nell’ambiente;
• deve determinare se il rischio è cambiato e stabilire se è necessario modificare di conseguenza la sua gestione.
A seconda dei casi, la valutazione deve tener conto dei dettagli tecnici e scientifici pertinenti, relativi alle caratteristiche dei seguenti elementi:
53
• l’organismo o gli organismi riceventi/parentali;
• le modificazioni genetiche (inclusione o soppressione di materiale genetico) e
le informazioni pertinenti sul vettore e sul donatore;
• l’OGM;
• l’emissione o l’uso previsti, inclusa la loro portata, l’ambiente che ne è il potenziale destinatario e l’interazione tra di essi.
Ai fini della valutazione del rischio possono risultare utili anche informazioni ottenute da emissioni di organismi analoghi e organismi con tratti analoghi, nonché alle loro interazioni con ambienti simili.
Nell’elaborare le conclusioni relative alla valutazione del rischio si dovrà tenere conto sia dell’identificazione delle caratteristiche che possono causare effetti negativi, sia
delle caratteristiche proprie degli OGM, connesse alla modificazione genetica, possibile causa di effetti negativi sulla salute umana o sull’ambiente.
Il confronto delle caratteristiche di uno o più OGM con quelle dell’organismo non modificato, in condizioni comparabili di emissioni o uso, aiuterà ad identificare i potenziali effetti negativi prodotti dalla modificazione genetica.
Gli effetti negativi variano “caso per caso” e possono riguardare:
• la tossicità e l’allergenicità per gli esseri umani, per gli animali e per le piante;
• la dinamica delle popolazioni all’interno dell’ambiente ospite e la diversità
genetica di ciascuna di esse;
• la suscettibilità alterata agli agenti patogeni che causa la diffusione di malattie infettive e/o crea nuovi organismi di riserva o vettori;
• ripercussioni negative sui trattamenti profilattici o terapeutici, medici, veterinari o fitosanitari, riconducibili al trasferimento di geni che conferiscono resistenza agli antibiotici utilizzati in medicina e veterinaria;
• effetti sul ciclo del carbonio e dell’azoto mediante cambiamenti nella decomposizione nel suolo di materia organica.
Effetti negativi possono essere provocati, direttamente o indirettamente, da meccanismi quali:
• la diffusione di OGM nell’ambiente;
• il trasferimento del materiale genetico introdotto ad altri organismi o allo stesso organismo, geneticamente modificato o meno;
• instabilità fenotipica e genetica;
• interazioni con altri organismi;
• modificazioni nella gestione, ove possibile, nelle pratiche agricole.
Un importante fattore per valutare la possibilità o la probabilità che si verifichi un ef-
54
fetto negativo è rappresentato dalle caratteristiche dell’ambiente in cui si intende emettere l’OGM o gli OGM e dalle modalità dell’emissione.
Compatibilmente con le conoscenze scientifiche, occorre procedere ad una stima del
rischio per la salute umana o per l’ambiente combinando la probabilità che esso si
verifichi e l’entità delle eventuali conseguenze.
Inoltre occorre procedere alla valutazione del rischio generale dell’OGM o degli
OGM tenendo conto delle strategie di gestione del rischio proposte.
In base ad una valutazione del rischio ambientale, dovrebbero essere inserite nelle
notifiche, se del caso, conclusioni sul potenziale impatto ambientale dell’emissione o
dell’immissione in commercio di OGM.
Allegato VII - Piano di monitoraggio
In realtà appare evidente che il fulcro della valutazione e della successiva decisione
sull’emissione deliberata a scopi sperimentali nonché sulla successiva immissione in
commercio degli OGM passa anche, e soprattutto, attraverso il monitoraggio e la sorveglianza generale.
L’allegato VII descrive a grandi linee l’obiettivo da raggiungere e i principi generali
da seguire per definire il piano di monitoraggio, che deve:
• confermare le ipotesi relative al verificarsi di potenziali effetti negativi dell’OGM o del suo impiego, contenute nella valutazione del rischio ambientale
(monitoraggio caso specifico);
• individuare il verificarsi di effetti negativi dell’OGM o del suo impiego sulla
salute umana o sull’ambiente che non siano stati anticipati nella valutazione
del rischio ambientale (Sorveglianza generale).
Il monitoraggio di cui agli articoli 13, 19 e 20 è effettuato dopo l’approvazione dell’immissione in commercio dell’OGM.
I dati raccolti con il monitoraggio dovrebbero essere interpretati in funzione delle altre condizioni ambientali e delle attività esistenti.
Nel caso in cui si osservino modifiche dell’ambiente, dovrebbe essere presa in considerazione la possibilità di effettuare un’ulteriore valutazione per stabilire se esse rappresentino una conseguenza dell’OGM o del suo impiego, o se sono dovute a fattori
ambientali diversi dall’immissione in commercio dell’OGM.
Le esperienze e i dati acquisiti mediante il monitoraggio di emissioni sperimentali di
OGM possono costituire un ausilio nella definizione del regime di monitoraggio posteriore all’immissione in commercio dell’OGM, come prodotto o contenuto in prodotti.
Il progetto di piano di monitoraggio dovrebbe:
• essere dettagliato caso per caso, tenendo conto della valutazione del rischio
ambientale;
55
• tener conto delle caratteristiche dell’OGM, delle caratteristiche e delle dimensioni dell’impiego previsto e della serie di condizioni ambientali rilevanti nelle quali è prevista l’emissione dell’OGM;
• comprendere una sorveglianza di carattere generale per gli effetti negativi imprevisti e, se necessario, il controllo specifico individuale incentrato sugli effetti negativi identificati nella valutazione del rischio ambientale;
• facilitare il controllo dell’emissione dell’OGM nell’ambiente ospite nonché l’interpretazione di tali osservazioni in relazione alla sicurezza della salute umana o dell’ambiente;
• identificare le persone (notificante, utilizzatori) che svolgeranno i vari compiti previsti nel piano di monitoraggio e le persone responsabili della corretta
attuazione del piano di monitoraggio, garantendo che il titolare dell’autorizzazione e l’Autorità competente saranno informati degli eventuali effetti negativi osservati sulla salute umana e sull’ambiente;
• utilizzare i meccanismi per l’identificazione e la conferma degli effetti negativi osservati sulla salute umana e sull’ambiente e permettere, ove opportuno,
al titolare dell’autorizzazione o all’autorità competente di adottare le misure
necessarie per proteggere la salute umana e l’ambiente.
3.7 La Raccomandazione n. 556/2003
La predisposizione di tale provvedimento si è resa necessaria a seguito dell’emendamento apportato all’articolo 26 della Direttiva n. 2001/18/CE ed inserito all’articolo 43 del Regolamento CE n. 1829/2003 sugli alimenti e mangimi geneticamente
modificati approvato nel luglio scorso.
Detta Raccomandazione ha lo scopo di fornire delle “linee guida” in materia agli Stati membri. La Commissione Europea ha specificato che nella Comunità non deve essere esclusa alcuna forma di agricoltura, sia essa convenzionale, biologica o transgenica; nello stesso tempo, detto provvedimento lascia aperti molti “quesiti” di natura tecnica, economica e soprattutto giuridica.
In particolare, se da una parte la Commissione UE, con la citata raccomandazione, lascia agli Stati membri la facoltà di “adottare tutte le misure opportune per evitare la presenza involontaria di OGM in altri prodotti”, dall’altra gli stessi Stati devono garantire
che faranno ogni sforzo affinché l’introduzione di nuove forme di agricoltura avvenga
in modo tale da non pregiudicare il mantenimento delle attività agricole preesistenti.
Da ciò discende che la produzione di coltivazioni transgeniche dovrebbe avvenire all’interno di filiere di produzione separate rispetto a quelle convenzionali e biologiche,
tali da assicurare ai consumatori una reale possibilità di scelta tra cibi transgenici e
non transgenici, nell’ottica della qualità totale dei prodotti perseguibile attraverso la
tracciabilità degli alimenti.
56
In questo contesto l’Italia è il Paese membro forse maggiormente coinvolto nella predisposizione di linee guida per la coesistenza fra agricoltura convenzionale, agricoltura biologica e colture geneticamente modificate, proprio per la molteplicità e differenziazione delle colture (erbacee, arboree, orticole) che possono essere coltivate nel
territorio in zone limitrofe le une alle altre.
Nel contempo le particolari condizioni orografiche e territoriali, le molteplici colture
di qualità regionali (DOP e IGP) nonché la sostanziale frammentazione delle aziende
agricole, più marcata in alcune regioni rispetto ad altre, rendono di non immediata e
semplice attuazione la soluzione del problema, considerando poi che l’approccio e la
valutazione di parametri tecnici, scientifici, economici e giuridici deve essere effettuato per ciascuna realtà territoriale dello Stato membro, sia essa regionale, provinciale
o comunale.
Anche per questo aspetto appare opportuno predisporre uno schema esaustivo a livello comunitario per raffrontare i diversi sistemi di gestione giuridica del problema
e, se del caso, prevederne l’armonizzazione. Al contrario, invece, la Raccomandazione non fornisce risposte agli Stati membri su questo tema, ma enuncia delle “regole di responsabilità” che, in caso di pregiudizio economico causato dalla commistione delle diverse tipologie colturali, fanno riferimento al diritto interno in materia di
responsabilità civile.
Inoltre va da sé che l’adozione di misure che garantiscano la coesistenza tra i differenti sistemi di agricoltura si “scontra” con aspetti economici rilevanti da affrontare,
riguardanti la valutazione della convenienza a predisporre specifiche pratiche agricole in funzione del valore aggiunto della coltura che si vuole salvaguardare. A titolo di esempio, una valutazione oltremodo approfondita per il nostro Paese va effettuata in funzione delle produzioni biologiche e di qualità che insistono nelle gran parte del territorio nazionale.
Gli aspetti di ordine tecnico, già precedentemente accennati, sono innanzitutto quelli
relativi alla gestione della separazione o segregazione, più complessa se accidentale, delle filiere dei prodotti agricoli transgenici, tradizionali e biologici, come è il caso delle partite di sementi destinate ad essere seminate, dell’impollinazione incrociata (varietà allogame), delle piante spontanee nonché delle pratiche seguite per la raccolta, l’immagazzinamento e il trasporto.
Tali problematiche vanno connesse direttamente all’aspetto tecnico più importante, ovvero la ricerca di soluzioni operative percorribili in funzione delle singole specie messe a coltura. Infatti gli aspetti operativi da tenere in conto riguardano sia le differenze esistenti tra le specie vegetali che tra le varietà all’interno della stessa specie, soprattutto dal punto di vista dei loro potenziali di disseminazione nei campi vicini, in
quanto la probabilità di incrocio tra varietà tradizionali e transgeniche e le conseguenti misure intese a limitarla sono strettamente legate alle specie coltivate.
Per l’Italia, ad esempio, è molto più complesso il caso della colza rispetto al mais, che
è l’unica coltura geneticamente modificata (mais Bt) per la quale ad oggi è possibile
57
avvalersi di esperienze e monitoraggio in campo con risultati scientifici aggiornati
portati avanti da istituzioni pubbliche nazionali e dei Paesi terzi.
Peraltro la Commissione rileva che, considerando l’agricoltura un’attività condotta
prevalentemente all’aperto su grandi superfici e per molti mesi all’anno, le strategie
nazionali di coesistenza dovranno fare riferimento, in ogni caso, a soglie legali per
la presenza accidentale di materiale transgenico in materiale non transgenico e viceversa, ai fini dell’etichettatura, nonché alle norme applicabili in materia di purezza
dei prodotti alimentari, dei mangimi e, soprattutto, delle sementi geneticamente modificati. Peraltro anche il Regolamento sull’agricoltura biologica, per la quale vige il
divieto assoluto di impiego di materiale transgenico, è direttamente interessato alla
problematica delle soglie.
La Commissione, inoltre, tra le misure da adottare distingue quelle a livello aziendale e quelle a livello interaziendale. Le prime fanno riferimento alle distanze di isolamento, alle zone cuscinetto, alle rotazioni colturali, allo scaglionamento delle semine,
al controllo delle infestanti, all’utilizzo di varietà maschiosterili, alla manutenzione e
pulizia delle macchine; le seconde si riferiscono allo scambio di informazioni tra
aziende limitrofe ed anche al coordinamento delle misure di gestione.
Pertanto le strategie per la coesistenza, come recita la Commissione nel provvedimento, dovranno garantire un giusto equilibrio tra gli interessi degli agricoltori dediti a ciascuna filiera, dando la possibilità a tutti di scegliere il tipo di produzione che
preferiscono, e di conseguenza anche tra quelli dei consumatori.
In questo contesto la decisione, da parte della UE, di introdurre una soglia di tolleranza per la presenza accidentale di OGM in colture convenzionali ha ulteriormente
aperto il dibattito sulla coesistenza, cioè sull’esigenza di individuare procedure che
garantiscano una presenza contemporanea di colture transgeniche, convenzionali e
biologiche.
Pertanto, il quadro normativo comunitario potrà definirsi completo solo quando tale
“spinosa” decisione tecnico-politica sull’argomento verrà presa dal Comitato Autorità Competenti per la Direttiva n. 2001/18/CE (comitato regolamentare) e non più dal
Comitato Permanente delle sementi (comitato di gestione), come proposto motivatamente da Italia e Germania.
3.8 Il Regolamento CE n. 65/2004
Il provvedimento che “Stabilisce un sistema per la determinazione e l’assegnazione di
identificatori unici per gli organismi geneticamente modificati”, secondo quanto previsto all’articolo 8 del Regolamento CE n. 1830/2003, si compone di sette articoli e
di un allegato tecnico altrettanto importante.
In particolare ciascun operatore, che immette in commercio prodotti contenenti OGM
o costituiti da OGM, è tenuto ad includere tra le suddette informazioni l’identificato-
58
re unico assegnato ad ogni OGM per indicarne la presenza e contraddistinguere lo
specifico evento di trasformazione oggetto dell’autorizzazione.
Per garantire la coerenza a livello comunitario ed internazionale, gli identificatori unici devono essere determinati sulla base di formati definiti dall’OCSE e utilizzati per la
Banca dati OCSE dei prodotti biotecnologici (OECD BioTack Product Database), e nell’ambito del centro di scambio delle informazioni sulla biosicurezza (Biosafety Clearing House) istituito dal protocollo di Cartagena sulla biosicurezza allegato alla Convenzione sulla diversità biologica.
Gli indentificatori unici sono assegnati a ciascun OGM considerato nelle domande di
immissione in commercio (art. 2) e viene iscritto negli appositi registri della Commissione (art. 3). A tutti gli OGM che hanno ottenuto l’autorizzazione all’immissione in
commercio ai sensi della Direttiva n. 90/220/CE e prima dell’entrata in vigore del
presente Regolamento sono assegnati specifici identificatori unici (art. 4).
L’Autorità competente che ha preso la decisione finale in merito alla domanda di immissione in commercio, comunica per iscritto alla Commissione i dati relativi all’identificatore unico; la Commissione fornisce tale informazione al centro di scambio delle informazioni sulla biosicurezza (art. 5).
L’allegato tecnico specifica il formato degli identificatori unici che é suddiviso in tre
componenti: il titolare dell’autorizzazione; l’evento di trasformazione; il carattere di
controllo. I caratteri da utilizzare possono essere numerici e alfabetici.
3.9 La Decisione CE n. 204/2004
Nell’ottica di completare, in tempi brevi, il quadro normativo del settore come previsto all’articolo 31, par. 2 della Direttiva n. 2001/18/CE, la Commissione UE ha emanato la decisione n. 204/2004 che ”Stabilisce disposizioni dettagliate per il funzionamento dei registri destinati alla conservazione delle informazioni sulle modificazioni genetiche degli OGM”.
Tali registri servono ad inserire le informazioni fornite dal notificante circa le modificazioni genetiche degli OGM indicate nell’allegato IV, punto A.7 della Direttiva
n. 2001/18/CE, ovvero i dati che possono essere utilizzati per individuare e identificare particolari prodotti contenenti OGM, al fine di agevolare il monitoraggio e il
controllo successivi all’immissione in commercio.
Le informazioni più importanti da inserire nei registri riguardano, tra le altre elencate all’art. 3, la sequenza nucleotidica dell’inserto usato per sviluppare il metodo di individuazione e il numero di copie di basi delle sequenze fiancheggianti del DNA ospite, i metodi di individuazione relativi alle soglie fissate dalla Direttiva n. 2001/18/CE,
la mappa dettagliata del DNA inserito, compresi tutti gli elementi genetici, le regioni
codificanti e non codificanti nonché l’indicazione del loro ordine ed orientamento.
Inoltre, sono altrettanto importanti le informazioni sui metodi di individuazione ed
59
identificazione dell’OGM che riguardano le tecniche usate per individuare lo specifico “Evento GM” di trasformazione, i primers per la PCR, gli anticorpi, ovvero gli strumenti atti all’identificazione, e le informazioni sui parametri di convalida, conformemente alle linee guida internazionali.
Infine, non meno importanti sono le informazioni sul deposito, lo stoccaggio e la fornitura dei campioni di controllo: tipo di materiale stoccato, caratterizzazione genetica, quantità di materiale depositato, stabilità, condizioni adeguate di stoccaggio e scadenza.
È evidente l’importanza di tali informazioni inserite nei registri ed accessibili al pubblico conformemente all’art. 25 della Direttiva n. 2001/18/CE nonché al Regolamento CE n. 1049/200130, per ragioni di trasparenza; tuttavia alcune informazioni
considerate confidenziali saranno invece, per ragioni di riservatezza, accessibili solo agli Stati membri, alla Commissione UE e all’Autorità Alimentare Europea per la
Sicurezza Alimentare (art. 4).
3.10 Regolamento CE n. 641/2004
Detto provvedimento reca norme attuative del Regolamento CE 1829/2003 ed in particolare: dell’art. 5, paragrafo 7, dell’art. 8, paragrafo 8, dell’art. 17, paragrafo 7,
dell’art. 20, paragrafo 8 e dell’art. 47, paragrafo 4, sentita l’Autorità europea per la
sicurezza alimentare a norma dell’art. 5, par. 7 e dell’art. 17, par. 7 del Regolamento 1829/2003.
In particolare vengono forniti orientamenti dettagliati:
• per assistere il richiedente nella preparazione e nella presentazione della domanda, segnatamente per quanto riguarda le informazioni e i dati da fornire per dimostrare che il prodotto risponde ai criteri di cui all’art. 4, par.1 e all’art. 16, par. 1 del Regolamento CE 1829/2003;
• per agevolare la transizione al sistema istituito dal Regolamento n.
1829/2003 attraverso provvedimenti transitori stabiliti dallo stesso Regolamento in merito a domande e notifiche relative a prodotti disciplinati da altre
normative comunitarie;
• per stabilire norme di attuazione per la redazione e presentazione delle notifiche trasmesse alla Commissione in base al Regolamento CE n. 1829/2003
riguardo a prodotti immessi sul mercato prima del 18 aprile 2004;
• per agevolare i compiti degli operatori relativi alla predisposizione delle richieste d’autorizzazione e alla preparazione delle notifiche per i prodotti
30
Pubblicato GUCE L145 del 31 maggio 2001 concernente l’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento Europeo, del Consiglio e della Commissione.
60
preesistenti e i compiti dell’Autorità relativi alla valutazione di tali richieste e
alla verifica di tali notifiche;
• per applicare l’art. 47 del Regolamento CE n. 1829/2003 sulle misure transitorie che disciplinano la presenza accidentale o tecnicamente inevitabile di
materiale GM che è stato oggetto di una valutazione del rischio favorevole e
il metodo di rilevazione esistente per la verifica della soglia dello 0,5%.
Rispetto agli orientamenti sopra menzionati il Capo I riguarda le domande di autorizzazione presentate conformemente agli artt. 5 e 17 del Regolamento CE
n. 1829/2003, comprese le domande presentate in forza di un’altra normativa comunitaria e trasformate o integrate conformemente all’art. 46 di detto Regolamento.
Il Capo II disciplina la preparazione e la presentazione delle notifiche di prodotti preesistenti da trasmettere alla Commissione a norma degli artt. 8 e 20 del Regolamento
CE n. 1829/2003 e si applica ai prodotti rientranti nel campo di applicazione di detto Regolamento e immessi sul mercato comunitario prima del 18 aprile 2004. In particolare tale Capo II è stato suddiviso in due Sezioni, la prima relativa alle norme generali per la notifica di taluni prodotti immessi su mercato antecedentemente all’entrata in vigore del provvedimento, la seconda Sezione concerne i requisiti aggiuntivi
per dette notifiche.
In ultimo il Capo III prevede i provvedimenti transitori sulla presenza accidentale o tecnicamente inevitabile di materiale geneticamente modificato che è stato oggetto di una
valutazione del rischio favorevole.
Il Regolamento CE n. 641/2004 è corredato anche da due allegati:
• l’Allegato I riguarda la convalida dei metodi di rilevazione ai sensi dell’art.
5, par. 3, lettera i) e dell’art. 17, par. 3, lettera i) del Regolamento CE n.
1829/2003, ovvero le informazioni sui metodi di rilevazione che il richiedente deve fornire affinché possano essere verificati i presupposti dell’idoneità del metodo. Tutti i documenti di orientamento saranno resi disponibili dal
laboratorio comunitario di riferimento (LCR).
• l’Allegato II riguarda il materiale di riferimento di cui all’art. 5, par. 3, lettera j),
e all’art. 17, par. 3, lettera j) del Regolamento CE n. 1829/2003. che deve essere prodotto conformemente a disposizioni tecniche internazionalmente accettate; detto materiale è di preferenza certificato e conforme alla guida ISO 35.
3.11 Conclusioni
Considerando le peculiarità delle biotecnologie, materia che presenta implicazioni nel
comparto agricolo e nel settore dell’industria alimentare, le Istituzioni europee e degli
Stati membri hanno provveduto in questi ultimi anni a definire specifiche regole, cer-
61
tamente più restrittive delle precedenti, per garantire la massima tutela della salute
umana e dell’ambiente, provando così anche a superare i dubbi e le perplessità dimostrate dai consumatori europei.
Le normative esaminate in questa trattazione sono essenzialmente tutte di natura precauzionale e prevedono accurate valutazioni di rischio prima di intraprendere le attività di ricerca, produzione e commercializzazione dei prodotti ottenuti con l’impiego delle moderne tecnologie, nell’ottica di fornire la possibilità di scelta ai consumatori tra prodotti GM oppure tradizionali.
Le disposizioni in materia rispondono a due precise esigenze:
• adeguare le procedure di autorizzazione, affrontando gli aspetti ambientali
e sanitari sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente
modificati;
• superare la “moratoria di fatto” alla commercializzazione di nuovi prodotti,
introducendo l’obbligo di tracciabilità e di etichettatura dei prodotti che contengono GM.
Per quel che riguarda il rilascio di PGM la Commissione Europea, con la Raccomandazione sulla coesistenza ispirata al principio generale che vede gli agricoltori liberi
di poter scegliere quale tipo di coltura praticare (convenzionale, transgenica o biologica) e studiata per consentire alle imprese agricole una semina sicura e ai consumatori una scelta consapevole, ha spinto gli Stati membri a proporre politiche nazionali che affrontino i seguenti problemi:
• contaminazione genetica in agricoltura;
• impatto economico della commistione tra colture OGM o non OGM;
• individuazione di misure di gestione utilizzando pratiche e metodi di separazione già collaudati.
Viste le enormi diversità geografiche e la diversificazione di colture nel territorio europeo, si dà il privilegio ad una politica nazionale che tenga conto delle particolari
situazioni e dei vincoli regionali e locali, nonché della specificità della coltura.
Tuttavia la pratica della coesistenza può provocare una contaminazione incontrollata
dell’ambiente attraverso il flusso genico e la dispersione dei semi, ed è proprio allo
studio di tali problemi che si sono dedicati i ricercatori europei.
Il rischio di inquinamento genetico è tanto più alto quanto più i transgeni conferiscono resistenza o migliorano le prestazioni e l’adattamento della pianta all’ambiente.
Un passaggio necessario per fare chiarezza e dare certezze ad operatori e consumatori prevede:
• la creazione di una filiera separata per i prodotti contenenti OGM;
62
• la definizione di controlli e metodiche di analisi armonizzate su sementi, colture e mangimi GM.
In questi anni la fase di ricerca in Europa, e in particolare in Italia, ha subito un forte
rallentamento in attesa della definizione delle nuove normative di settore, al quale si
aggiunge un’incerta situazione di mercato dovuta soprattutto ad un basso livello di
accettazione dei prodotti GM da parte dei consumatori.
In considerazione di quanto sopra, appare prevedibile che nel prossimo decennio:
• le modificazioni genetiche qualitative delle colture e il numero dei nuovi prodotti saranno oggetto di provvedimenti normativi più articolati di quelli esistenti;
• le colture per cui verosimilmente si richiederà l’autorizzazione alla commercializzazione in Europa nel breve periodo saranno: mais, colza, patata, barbabietola da zucchero e, probabilmente, alcune piante arboree;
• le più comuni combinazioni di caratteristiche introdotte saranno la tolleranza
agli erbicidi e/o la resistenza agli insetti, nonché il miglioramento quali-quantitativo dei frutti e l’introduzione di composti utili alla salute umana.
Si rammenta a tale proposito che le piante transgeniche coltivate in Italia fino al 1998
a scopo sperimentale rispondevano prevalentemente all’esigenza di ottenere la tolleranza agli erbicidi e la resistenza agli insetti, conseguenza del fatto che la maggior
parte delle sperimentazioni è stata proposta dalle aziende multinazionali interessate
a tali caratteristiche per soli fini commerciali.
Le Università e gli Enti di ricerca, viceversa, oltre al miglioramento delle piante in relazione alla resistenza-tolleranza a stress biotici (es. funghi e virus) e abiotici (es. stress
idrico), sono interessate anche alle biotecnologie di seconda generazione che hanno
come obiettivo quello di incrementare la qualità e la quantità delle PGM.
Non resta a questo punto che verificare nei prossimi anni se le nuove procedure di
autorizzazione e di verifica poste in essere a livello comunitario ed applicate dagli
Stati Membri sul proprio territorio, forniscano quelle garanzie di sicurezza per l’ambiente, per i sistemi agricoli che ne fanno parte e per la salute umana tanto auspicate in questi anni di attesa dagli addetti ai lavori e soprattutto dai consumatori.
63
Quadro sinottico riassuntivo della legislazione nazionale e comunitaria
relativa agli organismi geneticamente modificati
Oggetto della normativa
Emissione deliberata
nell’ambiente di OGM
Impiego confinato di
microrganismi GM
Note orientative ad integrazione
dell’allegato II Direttiva
n. 2001/18/CE
Modello sintesi delle notifiche ai
sensi della Direttiva n. 2001/18/CE
Note orientative ad integrazione
dell’allegato VII ai sensi della
Direttiva n. 2001/18/CE
Requisiti generali della
legislazione alimentare europea
ed istituzione dell’AESA
Normativa U.E.
Direttiva n. 2001/18/CE del
Parlamento Europeo e del Consiglio
del 12 marzo 2001 che abroga
la Direttiva 90/220/CEE
Direttiva n. 98/81/CE del Consiglio
che modifica la Direttiva
n. 90/219/CE sull’impiego
confinato di microrganismi GM
Decisione Commissione
n. 2002/623/CE del 24 luglio 2002
Decisione
del 3
Decisione
del 3
n. 2002/813/CE
ottobre 2002
n. 2002/812/CE
ottobre 2002
Regolamento CE n. 178/2002
del Parlamento e del Consiglio
Immissione sul mercato di
“nuovi alimenti”, inclusi quelli
ottenuti o costituiti da OGM
Regolamento CE n. 258/97/CE
del Parlamento e del Consiglio
27 gennaio 1997
Modifica il Regolamento
n. 1139/98/CE del Consiglio e
stabilisce valori per la presenza
accidentale nel prodotto finale di
materiale derivato da mais-soia GM
Prodotti e ingredienti alimentari
contenenti additivi e aromi GM o
derivati da OGM
Alimenti e mangimi Geneticamente
Modificati
Regolamento CE n. 49/2000 della
Commissione del 10 gennaio 2000
Tracciabilità ed etichettatura di
prodotti alimentari e mangimi
ottenuti da OGM nonché recante
modifica della dir. n. 2001/18
Orientamenti e strategie nazionali
sulla coesistenza tra colture
tradizionali, biologiche e
geneticamente modificate
Stabilisce un sistema per la
determinazione e l’assegnazione di
indicatori unici per gli organismi GM
Stabilisce disposizioni dettagliate
per il funzionamento dei registri
destinati alla conservazione delle
informazioni sulle modificazioni
genetiche degli OGM
Norme attuative del
Reg. CE 1829/2003 sulla domanda
di autorizzazione di nuovi alimenti e
mangimi GM, la notifica dei
preesistenti e la presenza accidentale
di materiale GM oggetto di una
valutazione favorevole del rischio
64
Regolamento CE n. 50/2000 della
Commissione del 10 gennaio 2000
Regolamento CE n. 1829/2003 del
Parlamento e del Consiglio del
22 settembre 2003
Regolamento CE n. 1830/2003 del
Parlamento e del Consiglio del
22 settembre 2003
Normativa nazionale
Decreto Legislativo n. 224
dell’8 luglio 2003
Decreto Legislativo 12 aprile 2001,
n. 206 relativo a modifica Direttiva
n. 90/219
Recepita con il Decreto Legislativo
n. 224 dell’8 luglio 2003
Recepita con il Decreto Legislativo
n. 224 dell’8 luglio 2003
Recepita con il Decreto Legislativo
n. 224 dell’8 luglio 2003
Operativo dal 1 gennaio 2005,
gli articoli relativi al
funzionamento dell’AESA e dei
Comitati Scientifici sono in vigore
Direttamente applicabile (alcuni
commi ed articoli sono stati
abrogati dal Regolamento
n. 1829/2003)
Abrogato dal nuovo Regolamento
Novel Food e Feed dal
16 aprile 2004
Abrogato dal nuovo Regolamento
Novel Food e Feed dal
16 aprile 2004
Entrerà in vigore il 16 aprile 2004
Entrerà in vigore il 16 aprile 2004
Raccomandazione Commissione UE
n. 2003/556/CE del 23 luglio 2003
Direttamente applicabile
Regolamento CE n. 65/2004 della
Commissione del 14 gennaio 2004
Direttamente applicabile
Decisione CE n. 204/2004 della
Commissione del 23 febbraio 2004
Direttamente applicabile
Regolamento CE della Commissione
n. 641/2004 del 6 aprile 2004
Direttamente applicabile
4. IDENTIFICAZIONE E CARATTERIZZAZIONE DEI POTENZIALI IMPATTI ASSOCIATI AL
RILASCIO NELL’AMBIENTE DI PGM
L’analisi dei rischi ambientali, attualmente ben collaudata nell’ambito di alcune aree tematiche quali prodotti chimici ed energia nucleare, è un processo complesso distinto in
tre fasi:
– la valutazione del rischio, che comprende l’identificazione e la caratterizzazione
del pericolo, la valutazione dell’esposizione e la caratterizzazione del rischio;
– la gestione del rischio, che include la valutazione delle alternative possibili, le misure di controllo, la prevenzione e le misure da adottare per ridurre i rischi;
– la comunicazione del rischio che prevede il continuo scambio delle informazioni
relative ai rischi tra chi valuta e gestisce il rischio, il mondo scientifico, le industrie,
la popolazione e gli altri soggetti interessati.
L’analisi dei rischi, dove il rischio è definito in funzione di livello di impatto derivante dal
pericolo in esame e della probabilità che il pericolo stesso si verifichi [rischio: f(impatto,
probabilità)], è un processo complesso che va sviluppato “caso per caso” tenendo conto
di vari parametri e considerazioni quali per esempio: specie trasformata, carattere introdotto, metodologia utilizzata, sito di rilascio ambientale, realtà agronomica e ambientale, economica e sociale, rapporto rischi/benefici, misure per la riduzione del rischio, ecc.
Da quanto appena enunciato risulta evidente che l’analisi dei rischi ambientali connessi
al rilascio di PGM rappresenta un processo assai complesso e necessita di una trattazione approfondita e ampia che non è possibile includere nell’economia e negli obiettivi di
questo documento. Il contenuto di questo capitolo si limita, quindi, all’identificazione ed
alla caratterizzazione dei potenziali impatti connessi al rilascio ambientale di piante GM
già descritti dalla letteratura scientifica e le principali modalità con cui tali impatti potrebbero verificarsi, senza tralasciare gli eventi meno probabili.
Si ricorda, infatti, che gli eventi biologici a bassa probabilità possono verificarsi sempre
più facilmente all’aumentare del tempo e dell’ampiezza del fenomeno (Kaeppeli e Auberson,1998). Per questa ragione, anche se alcuni rischi di seguito elencati non sono stati dimostrati o lo sono stati solo in condizioni di laboratorio vengono comunque menzionati e ritenuti possibili.
4.1 Impatti potenziali
La pianta geneticamente modificata (PGM) si distingue da una pianta tradizionale per la
presenza di nuovi tratti genetici provenienti anche da organismi evolutivamente distanti
(Wolfenbarger e Phifer, 2000) inseriti nel suo genoma mediante tecniche di ingegneria
65
genetica, oppure per delezione o modificazione di geni già presenti nell’organismo progenitore.
I potenziali impatti e l’entità delle conseguenze di quest’ultimi dipenderanno dalla pianta modificata, dai nuovi fenotipi ottenuti in seguito alla manipolazione genetica, dal sito del rilascio, dalla durata ed entità del rilascio, dalla possibilità di sopravvivenza nell’ambiente (Snow
e Palma, 1997) e dalle possibili interazioni tra la PGM e tutti gli elementi della biosfera.
Le possibili interazioni tra PGM e ambiente possono avvenire su diversi fronti e possono,
quindi, determinare differenti impatti potenziali sulla biologia degli organismi e l’ecologia
delle popolazioni che, per via diretta o indiretta, interagiscono con le PGM stesse:
1. Impatti potenziali per l’ambiente naturale:
– impatti sulla fauna non bersaglio della modificazione genetica;
– impatti sulla flora non bersaglio della modificazione genetica;
– impatti diretti e indiretti sulla biodiversità;
– impatti sugli ecosistemi;
2. Impatti potenziali per l’ambiente agricolo:
– inquinamento genetico del germoplasma di piante coltivate sessualmente affini alla PGM;
– impatti sulle popolazioni di piante infestanti (sviluppo di piante superinfestanti o
di nuove infestanti, nel caso di rilascio di piante modificate per la resistenza a
stress biotici ed abiotici);
– sviluppo di resistenza da parte degli organismi bersaglio, nel caso di rilascio di
PGM modificate per la resistenza ad agenti patogeni;
– alterazione delle caratteristiche nutrizionali dei prodotti;
– insorgenza di nuovi patogeni.
Tali impatti possono agire in maniera diretta e/o indiretta sulle varie matrici ambientali e
verificarsi nell’immediato e/o in tempi più lunghi: è quindi necessario predisporre piani
di monitoraggio ad hoc che ne permettano un’individuazione puntuale ed immediata.
Nella predisposizione dei piani di monitoraggio si deve tenere conto anche delle modalità con cui gli impatti sopra esposti possono verificarsi. Tali modalità, presentate nei paragrafi seguenti, possono agire su scala microscopica, a livello di interazioni genetiche, e
su scala macroscopica, attraverso le interazioni delle PGM oggetto del rilascio con l’ambiente agricolo e il resto della biosfera.
Si precisa, infine, che tutte le interazioni, presentate nei paragrafi successivi, tra le PGM
e gli altri componenti della biosfera non pretendono di essere completamente esaustive,
né vengono valutate in base alle effettive possibilità che si realizzino in natura. Infatti, mediante esperimenti scientifici realizzati nell’ambito delle valutazioni di rischio, alcune interazioni sono state effettivamente verificate mentre per altre attualmente non esiste alcuna prova in letteratura che l’evento si sia mai realizzato; è da sottolineare comunque la
scarsità di dati attualmente disponibili su tali argomenti.
66
4.2 Scala microscopica
Il tratto di DNA esogeno inserito nella pianta transgenica può trasferirsi ad altre popolazioni principalmente mediante due modalità: il flusso genico e il trasferimento genetico
orizzontale.
4.2.1 Il flusso genico (trasferimento genetico verticale)
Il flusso genico, definibile come l’introgressione di geni all’interno di un pool genico di
una popolazione provenienti da una o più popolazioni (Futuyma, 1998), può avvenire
solo tra organismi sessualmente compatibili (Dale e Sheffer, 1996) e si può, quindi, verificare tra una pianta geneticamente modificata e una specie affine, selvatica o coltivata.
Per le piante il flusso genico è legato alla diffusione del polline; la probabilità che questo
fenomeno si realizzi non può mai essere esclusa del tutto in quanto l’assoluto contenimento
del polline ricombinante, nel caso di coltivazioni in campo aperto, è praticamente impossibile (Kareiva, Morris, Jacobi, 1994). D’altra parte, l’incrocio tra specie coltivate e
specie sessualmente compatibili selvatiche e/o coltivate è un fenomeno naturale in agricoltura; molto spesso, infatti, le piante di una coltivazione si incrociano con piante di campi limitrofi o piante di specie affini selvatiche creando nuovi ibridi. Attualmente sono state presentate diverse ricerche sulla possibilità di incrocio tra specie GM coltivate e specie
selvatiche, soprattutto relativamente alla colza e alla barbabietola (Eastham et al., 2002;
Crawley et al., 1993; Mikkelsen et al., 1996; Linder e Schmitt, 1995; Darmency, 1994).
Nel caso avvenga un incrocio tra una PGM e una specie affine (coltivata e/o selvatica) è
possibile ottenere degli ibridi in cui è presente il tratto genetico modificato dell’individuo
parentale GM. I potenziali impatti ambientali derivanti dalla diffusione degli ibridi GM in
habitat naturali e coltivati, possono essere più o meno diretti e di immediata visibilità.
Nel caso di ambienti naturali la diffusione degli ibridi GM, in grado di stabilizzarsi in habitat naturali, può essere paragonata per molti aspetti all’introgressione di specie aliene
ossia di specie vegetali provenienti da altri ecosistemi, con conseguente alterazione degli
equilibri preesistenti nell’ecosistema in cui avviene il rilascio. Tali effetti negativi possono
essere amplificati dalla natura del gene inserito. Nel caso in cui il tratto inserito porti ad
un aumento della fitness degli ibridi GM rispetto agli individui progenitori, l’ibrido GM
ottenuto può diventare invasivo.
Nel caso di ambienti agricoli gli ibridi GM potrebbero avere vantaggi competitivi dovuti
al gene inserito; ad esempio, la resistenza ad un erbicida potrebbe renderli super infestanti nei campi coltivati.
A tali effetti negativi più diretti ed immediati sono strettamente connessi altri impatti indiretti, come eventuali danni alla flora e fauna non bersaglio, effetti sulla dinamica delle popolazioni che interagiscono a differenti livelli del suolo e della biosfera.
Nella fase di rilascio e di gestione del campo transgenico occorre analizzare la frequenza con cui questi eventi di incrocio possono verificarsi, individuare le condizioni che fa-
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voriscono tali eventi e quali possono essere gli effetti. Uno studio recente, condotto in Inghilterra su piante GM di colza e mais tolleranti al diserbante glufosinate, su piante di
barbabietola da zucchero tolleranti al glifosato e su piante di patata resistenti agli insetti
o contenenti il gene della lecitina di pisello ha evidenziato che le piante geneticamente
modificate oggetto dello studio, una volta ibridatesi in seguito alla dispersione del seme
o del polline, non hanno dato vita a individui in grado di sopravvivere al di fuori dei campi coltivati (Crawley et al., 2001), e quindi non hanno presentato alcun aumento di fitness
rispetto alle stesse specie non GM sia in ambiente naturale sia in ambiente agricolo. Ovviamente la probabilità che si verifichino eventi di incrocio varia notevolmente a seconda
del tipo di coltura considerata e delle condizioni spazio/temporali (es. PGM e pianta sessualmente compatibile presenti sullo stesso territorio, stesso periodo di fioritura, ecc.) in
cui la coltura viene a trovarsi e dalla politica agronomica del paese in cui avviene il rilascio; diversi autori, peraltro, hanno sottolineato la necessità di studi specifici sulla biologia e sull’ecologia delle piante considerate oltre che sulla flora del territorio impiegato per
tali colture (Westwood e Traynor, 1999; Jacot Y. e Jacot O., 1994). Infatti, la capacità di
sopravvivenza degli ibridi ottenuti dall’incrocio tra la specie GM e la specie coltivata /selvatica affine è strettamente dipendente dall’habitat naturale in cui vengono a trovarsi, dalla fenologia della specie, e dalle componenti abiotiche caratterizzanti il sito di rilascio.
Da questo si deduce che, tenendo in considerazione gli studi ed i risultati ottenuti, è necessario portare avanti ricerche simili a quella inglese che tengano conto delle caratteristiche degli ecosistemi in cui la pianta verrà rilasciata. Recentemente sono anche state proposte metodologie per ridurre al minimo la possibilità di diffusione dei transgeni presenti nelle PGM per via sessuale.
Una prima proposta, per esempio, consiste nell’inserimento del costrutto transgenico nel
DNA del cloroplasto piuttosto che in quello nucleare, sfruttando il fenomeno dell’ereditarietà materna dei cloroplasti, determinando così l’assenza del transgene nel polline (Testolin, 2000). Questa tecnica può essere efficace come misura di contenimento; tuttavia,
qualora si formino semi ibridi dopo l’impollinazione delle piante transgeniche da parte
di specie sessualmente compatibili, come è stato ipotizzato nel caso di ibridazione tra B.
napus e B. rapa (Scoot e Wilkinson, 1999), l’utilizzo di questa tecnica non è sufficiente a
contenere totalmente la diffusione nell’ambiente del transgene.
Una seconda proposta consiste nella riduzione della competitività naturale dei semi della generazione successiva tramite l’inserimento nella PGM di un secondo gene che provochi nella generazione successiva maschiosterilità o di altri fenotipi che riducono notevolmente la competitività della pianta (Gressel, 1999). Una terza proposta consiste, nel
caso di piante dioiche, nell’utilizzo di piante GM femmine (ad esempio: il pioppo).
4.2.2 Il trasferimento genetico orizzontale
È tipico nei batteri e consiste nel trasferimento occasionale di geni anche tra organismi
molto diversi (Tepfer, 1993; Droge, 1998) tramite fenomeni di coniugazione, trasforma-
68
zione e trasduzione. I casi di trasferimento genetico tra eucarioti e procarioti riportati in
letteratura non sono numerosi ma si può affermare che il processo evoluzionistico del trasferimento genetico orizzontale da piante a batteri dovrebbe essere molto lento (Nielsen
et al., 1998) ma non per questo impossibile, soprattutto in determinate condizioni favorevoli come ad esempio all’interno del tratto digestivo degli insetti (Smalla, 2000). Al momento è stato dimostrato soltanto che il DNA transgenico può sopravvivere nel tratto gastro-intestinale (Sorlini, 2000; Schubbert et al., 1997) e nel terreno (Gebhard e Smalla,
1999). Tuttavia il numero degli studi in tale ambito è ancora troppo esiguo per poter considerare i risultati come definitivi. In generale, si ritiene che il trasferimento genetico orizzontale tra pianta e batterio abbia una frequenza bassissima in quanto dipendente dalla realizzazione simultanea di diversi eventi. Innanzitutto, per essere in grado di “catturare” DNA libero, i batteri devono trovarsi in un particolare stato detto di “competenza”;
in seguito il DNA catturato deve essere integrato stabilmente nel genoma batterico, essere in grado di esprimersi (cioè produrre la proteina codificata dal gene) ed infine l’espressione di tale DNA integrato deve conferire un vantaggio selettivo al batterio ricevente
perché sia conservato nel batterio stesso. È necessario sottolineare, inoltre, che i batteri
possiedono meccanismi molecolari che normalmente portano alla digestione di DNA
estraneo e che quindi in condizioni “normali” non favoriscono eventi di ricombinazione.
In particolare, l’unica possibilità in cui si potrebbe realizzare, almeno in teoria, il trasferimento di materiale genetico tra una pianta e un batterio, è costituita dal fenomeno della trasformazione, ovvero l’assunzione da parte di un batterio di DNA libero nell’ambiente (l’ambiente più favorevole è il suolo): la probabilità che si realizzi un evento del
genere è comunque ritenuta attualmente rarissima, nell’ordine di 2 x 10-17.
In definitiva, attualmente soltanto due ricerche, realizzate in condizioni di laboratorio,
hanno mostrato il trasferimento di un gene marker da una pianta ad un batterio per ricombinazione omologa (Nielsen et al., 2000a; Nielsen et al., 2000b); è ipotizzabile,
quindi, che si tratti di un evento che avviene con una frequenza al limite dell’identificazione.
Sembrerebbe più probabile il trasferimento di tratti genetici tra PGM contenenti geni virali e virus vegetali in quanto il virus si integra nel genoma del proprio ospite e nel momento dell’excisione esiste la possibilità che porti con se una frazione del genoma in cui
si era inserito. Fermo restando quanto esposto sopra, attraverso il trasferimento genetico
orizzontale il transgene o alcuni tratti di questo possono essere trasferiti ad altri individui
nei quali il carattere portato dal transgene ha l’opportunità di esprimersi. È anche possibile che venga trasferito ad altri organismi il marker del transgene e, nel caso tale marker sia costituito da un gene che conferisce la resistenza agli antibiotici, potrebbe verificarsi un aumento della diffusione in natura di tale resistenza, fenomeno già diffuso in ambito sanitario.
Alcune delle soluzioni offerte per ovviare a quest’ultimo problema consistono nell’utilizzo
di tecniche alternative per la selezione delle cellule trasformate quali, ad esempio, l’utilizzo di geni marcatori che conferiscono la resistenza a sostanze diverse dagli antibiotici
69
o la creazione di piante transgeniche che riescono a sopravvivere solo se in presenza di
un determinato metabolita (Yoder e Goldsbrough, 1994; Gressel, 1999) oppure l’inserzione di un gene in grado di rimuovere, una volta avvenuta la trasformazione, il gene
marker utilizzato (Brown, 1995).
La tabella 4.1 in fondo al capitolo riassume le diverse vie tramite cui si possono verificare i pericoli potenziali a livello microscopico derivanti dalla diffusione delle PGM nell’ambiente. Infine, è bene ricordare che un fenomeno comune a tutte le PGM è rappresentato dall’impossibilità di programmare con esattezza la posizione che il transgene occuperà all’interno del genoma vegetale. Infatti, a seconda della posizione in cui il transgene si inserisce, esso può non esprimersi, pur essendo presente nel genoma della pianta (silencing), o, al contrario, esprimersi ma determinare anche l’espressione di altri geni
che normalmente sono inattivi. È stato dimostrato che fenomeni di silencing del transgene si possono verificare in PGM infettate da alcuni virus a causa dell’attivazione dei meccanismi difensivi della PGM stessa (Al-Kaff et al., 2000), allorchè siano utilizzate sequenze promotrici uguali.
Altri fenomeni legati all’instabilità del transgene possono essere, ad esempio, la possibilità che il tratto genetico inserito venga exciso dopo alcune generazioni, oppure che subisca la modificazione della propria attività o, ancora, che determini modificazioni a livello della trascrizione di altri geni.
Sebbene privi di un’ampia documentazione scientifica, è necessario valutare i potenziali
pericoli riconducibili agli eventi che potenzialmente possono generarsi da questi o altri fenomeni legati alla presenza di un gene esogeno in un genoma vegetale.
4.3 Scala macroscopica
Le interazioni che possono avvenire tra una pianta e l’ambiente circostante sono numerose e diversamente probabili; gli eventi che possono verificarsi possono dipendere dall’interazione di una qualsiasi componente della PGM (foglie, seme, ecc.) con il resto della biosfera, ma sono anche strettamente legati alla tipologia del carattere fenotipico determinato dal transgene inserito nella PGM stessa.
In questo paragrafo, per comodità, si è scelto di presentare le possibili vie di interazione
tra PGM e ambiente (vedi tabella 4.2) a partire dalla caratteristica indotta nella PGM
prendendo come esempio le modificazioni più diffuse.
4.3.1 PGM resistenti agli insetti patogeni
Una delle più diffuse modificazioni genetiche presenti nelle piante coltivate riguarda la produzione della tossina Bt, una endotossina prodotta in natura dal batterio del suolo Bacillus
thuringensis, molto efficace nel combattere gli insetti nocivi di molte colture. Le principali
preoccupazioni legate alle piante transgeniche di questo tipo sono relative, da un lato, ai
70
danni potenziali che la proteina biopesticida può arrecare all’entomofauna non bersaglio
e dall’altro all’insorgenza di resistenza alla tossina nelle popolazioni degli insetti bersaglio.
Esistono molti studi scientifici per verificare gli impatti della tossina Bt sulla fauna non bersaglio e sulle tecniche di coltivazione atte a non favorire lo sviluppo della resistenza verso
la tossina da parte degli insetti nocivi, ma spesso le ricerche riportate in letteratura presentano risultati contraddittori. Per quanto riguarda l’impatto sulla fauna non bersaglio si
possono considerare diversi casi. Innanzitutto diversi studi in campo e in laboratorio
(Wraight et al., 2000; Losey, Raynor e Carter, 1999; Hilbeck, 2000; Hansen e Obrycki,
2000) hanno dimostrato gli effetti nocivi del polline prodotto dalle colture transgeniche Bt
quando viene disperso dal vento nell’ambiente circostante ai campi coltivati. È stato riscontrato, infatti, l’alto livello di mortalità di alcune specie di lepidotteri che si nutrivano di
elementi vegetali “contaminati” con il polline prodotto dalle piante Bt (es. Macaone Papilio polyxenes, farfalla Monarca Danaus plexipppus). In contrasto con questi risultati vi sono però altri esperimenti (Sims, 1995) che provano l’innocuità del polline derivante dalle
piante Bt sulla fauna non bersaglio. Altri autori (Poppy, 2000; Schuler, 2000; Sala, 2000b)
sottolineano la mancanza di un numero significativo di studi scientifici e quindi l’assenza
di dati definitivi sull’argomento e la necessità di stabilire precisi protocolli sperimentali.
Riguardo l’impatto delle piante Bt sull’entomofauna bersaglio da alcune ricerche è risultato che la presenza costitutiva31 della tossina Bt può esercitare una pressione selettiva sulle popolazioni degli insetti bersaglio tale da selezionare, dopo un certo numero di generazioni, individui resistenti alla tossina stessa; sono stati avviati alcuni studi per determinare il livello di frequenza degli alleli recessivi portatori del carattere per la resistenza in
popolazioni selezionate, con il fine di individuare, tramite modelli matematici, la velocità
e la probabilità di sviluppo di popolazioni resistenti alla biotossina. I test sono stati compiuti su diversi insetti nocivi come la tignola dei cavoli (Plutella xylostella, Tabashnik et al.,
2000), un parassita del tabacco (Heliotis virescens, Gould et al., 1997) e sono anche state sviluppate diverse teorie per il monitoraggio dell’insorgenza della resistenza (Andow,
2000). È stato possibile individuare insetti con diverso grado di resistenza così come sono stati elaborati diversi metodi e strategie per ovviare a queste problematiche: elaborazioni di strategie di coltivazione alta dose/rifugio e costruzione di piante transgeniche in
grado di produrre diversi tipi di tossine Bt.
Le tecniche di coltura alta dose/rifugio sono state create per permettere la sopravvivenza
di un’adeguata popolazione di insetti nocivi suscettibili alla tossina Bt. Il principio consiste nel dedicare alcune zone del campo coltivato con PGM-Bt alla coltivazione di piante
non transgeniche che diventano, quindi, le aree di maggior attacco degli insetti. In questo modo gli insetti non subiscono un’alta pressione selettiva in quanto rimangono delle
aree in cui possono attaccare le colture di cui si nutrono senza essere soggetti all’azione
selettiva dell’insetticida. Diversi studi scientifici hanno accompagnato lo sviluppo di que-
31
Costitutiva: una proteina costitutiva si esprime in tutti i tessuti della pianta e durante tutto il suo ciclo vitale.
71
sta tecnica (Shelton et al., 2000; Gould, 2000; Mellon e Rissler, 1998) che attualmente
negli Stati Uniti è applicata nella maggior parte dei campi coltivati a PGM-Bt.
Un’ulteriore tecnica utilizzabile per ovviare al problema della resistenza è la produzione
di piante transgeniche che siano in grado di esprimere più “versioni” della stessa tossina,
in quanto è piuttosto difficile che un insetto che sviluppi la resistenza per un tipo di tossina la sviluppi anche per una omologa. Infine, è in corso di sperimentazione la creazione
di piante Bt inducibili, ovvero piante che producono tossina Bt solo in presenza di attacchi e/o ferite provocate da parassiti, in dati stadi di sviluppo della pianta o in particolari tessuti (Sala, 2000). In questo modo non si avrebbe più la produzione costitutiva della
tossina e si ridurrebbe notevolmente sia la pressione selettiva sugli insetti nocivi sia la probabilità di scomparsa totale degli insetti bersaglio, evento che provocherebbe conseguenze pesanti sulla biodiversità.
Un’altra questione non meno importante riguarda la possibilità di produzione della tossina come essudato radicale (Saxena, Flores e Stotzky, 1999): la proteina che si deposita nel terreno oltre a modificare le caratteristiche chimico-fisiche del suolo, potrebbe agire sulla microfauna e microflora del suolo, determinando da un lato effetti larvicidi e dall’altro l’instaurarsi delle condizioni ottimali per il trasferimento genetico. Simili conseguenze possono essere determinate anche dall’accumulo nel terreno dei residui della coltura in decomposizione. Quest’ultimo fenomeno aumenta infatti tutte le possibilità di trasferimento genetico orizzontale in quanto aumenta notevolmente la concentrazione e il
tempo di permanenza del prodotto nel terreno.
4.3.2 PGM tolleranti agli erbicidi
Le piante transgeniche tolleranti agli erbicidi sono frequentemente costruite per la tolleranza ad erbicidi a largo spettro (es. glufosinato e glifosato). La presenza di tali PGM determina sicuramente un cambiamento nell’uso degli erbicidi: tipologia di erbicidi utilizzati
(si usano quelli ad ampio spettro rispetto a erbicidi più specifici), tempi di utilizzo delle
sostanze attive stesse. Ad esempio, grazie al fatto che le colture sono resistenti, è possibile ritardare l’epoca dei trattamenti in campo con erbicidi fino al momento della post
emergenza; se da un lato ciò comporta un utilizzo dell’erbicida limitato nel tempo, dall’altro questa pratica potrebbe causare notevoli danni all’ambiente naturale circostante
che verrebbe contaminato dai residui degli erbicidi utilizzati in un periodo più tardivo e
di massima crescita delle piante (Johnson e Hope, 2000). Un utilizzo tardivo dell’erbicida potrebbe anche causare un maggiore accumulo dell’erbicida stesso nel prodotto finale destinato al consumo. Inoltre, si ricorda che quando viene utilizzato un solo erbicida è
molto probabile lo sviluppo di piante infestanti tolleranti (Paletti e Pimentel, 1996).
Un ulteriore problema legato alle PGM tolleranti agli erbicidi può insorgere al momento
della rotazione delle colture nel caso si verifichi la ricrescita delle piante tolleranti durante le colture successive; questo problema potrebbe diventare serio se differenti colture che
tollerano lo stesso diserbante si succedessero nella rotazione (OFEFP, 1996).
72
Recentemente, è stato anche ipotizzato che le piante GM tolleranti agli erbicidi potrebbero determinare alcuni impatti indiretti sulla biodiversità in quanto l’aumento dell’efficacia dei trattamenti con erbicidi nel controllo delle piante infestanti potrebbe avere effetti
deleteri sulla fauna aviaria che si nutre dei semi delle specie infestanti (Watkinson et al.,
2000). Il cambiamento delle pratiche agricole, in generale, determina inoltre un cambiamento nell’equilibrio dell’agroecosistema le cui conseguenze sono abbastanza imprevedibili, anche se non necessariamente negative.
4.3.3 PGM resistenti ai virus
La strategia più diffusa ed efficace per realizzare PGM resistenti a virus è stata quella di
far esprimere nelle piante geni di origine virale. La strategia prevede sia il trasferimento
di geni codificanti per delle proteine (i più utilizzati sono quelli per le proteine capsidiche)
sia di geni che comportano l’espressione di RNA virali. Tuttavia, l’espressione di proteine
virali è risultata la strategia più efficace in campo ed è ampiamente la strategia più diffusa per la realizzazione di PGM resistenti a virus.
I potenziali impatti ecologici associati alla presenza di RNA virale in una pianta possono
verificarsi mediante tre meccanismi:
• il sinergismo, per cui un virus o una proteina virale espressa dalla PGM può complementare gli effetti dannosi di un altro virus, aggravandone i sintomi;
• l’incapsidazione eterologa, o transcapsidazione, che causa l’incapsidazione totale o parziale degli RNA di un virus con la proteina capsidica di un altro virus,
presente all’interno della cellula infettata (Maki-Valkama e Valkonen, 1999);
• la ricombinazione, in base alla quale può verificarsi lo scambio tra materiale genetico virale e il transgene presente nella pianta generando nuovi virus chimerici
con nuove potenzialità infettive (Falk e Bruening, 1994; USDA-APHIS Workshop,
1995; Paoletti e Pimentel, 1996).
Mentre i primi due meccanismi possono manifestarsi solo quando la PGM risulta infettata da un virus, il meccanismo della ricombinazione comporta uno scambio genetico tra
PGM e virus e può stabilizzarsi nel tempo determinando impatti di maggior portata.
Evidenze che la ricombinazione tra RNA e DNA virali e il transgene di origine virale presente nella pianta sia possibile sono state fornite da numerosi studi (Gal et al., 1992;
Schoel e Wintermantel, 1993; Green e Allison, 1994, 1996; Allison et al., 1997, 1999)
e nella maggior dei casi i virus ricombinanti avevano sintomi alterati e un diverso spettro
ospite. Tuttavia le ricerche sono state condotte su sistemi che utilizzavano ceppi virali mutanti difettivi per geni del movimento o incapsidamento, quindi in condizioni di forte o moderata pressione selettiva e non possono fornire nessuna stima sulla reale probabilità che
tali eventi si verifichino in condizioni naturali. D’altro canto l’espressione costitutiva del
transgene nella pianta in concomitanza di un’infezione virale potrebbe aumentare la pro-
73
babilità di ricombinazione. Anche in questo caso, non esistono dati e risposte definitive a
supporto o contro l’ ipotesi che avvengano eventi di ricombinazione in condizioni in cui
non è presente una pressione selettiva; il sistema di studio più efficace per fornire delle risposte sembra rimanere la comparazione tra le frequenze di ricombinazione tra PGM infettate da un singolo virus e piante non GM infettate da due virus (Aaziz e Tepfer, 1999).
I potenziali impatti derivanti dai meccanismi sopra esposti, e in particolare dalla ricombinazione, includono l’aumento dello spettro d’ospite del virus, modificazioni a livello della virulenza, cambiamenti nella trasmissione e tutti i cambiamenti che potrebbero conferire un vantaggio selettivo per la diffusione del virus ricombinante (Power, 2000; Waterhouse et al., 2001).
La probabilità che i meccanismi sopra elencati si manifestino ha portato i ricercatori a studiare ed individuare strategie per mitigare i rischi potenziali connessi con il rilascio delle
piante GM per la resistenza a virus. Tra i diversi approcci utilizzati i più studiati sono il
silenziamento genico (Vaucheret et al., 2001) e l’introduzione di geni codificanti per proteine capsidiche non funzionali (Green e Allison, 1996).
4.3.4 PGM resistenti ai funghi patogeni
Rispetto agli altri tipi di modificazioni genetiche introdotte nelle piante, la produzione di
transgeni per la resistenza ai funghi è meno diffusa. In questo caso può trattarsi di un
transgene per la produzione di enzimi idrolitici per la degradazione della parete cellulare dei funghi (Snow e Palma, 1997) o di altre tipologie di enzimi in grado di distruggere
le cellule del parassita, oppure di un transgene in grado di attivare nella pianta delle “risposte multiple di difesa” al momento dell’infezione. Gli impatti potenziali associati nello
specifico a questo tipo di PGM sono poco studiati sebbene possano essere ipotizzati impatti su popolazioni fungine non patogeniche che svolgono ruoli importanti nell’ecosistema; tali impatti potenziali dovrebbero essere valutati caso per caso a seconda del carattere introdotto e del tipo di pianta ospite.
4.3.5 PGM per le caratteristiche produttive e resistenti a stress ambientali
Alcune tipologie di piante sono modificate geneticamente per migliorare le proprietà
agronomiche o estetiche (es. colore del fiore), per la resistenza agli stress ambientali (es.
freddo, salinità, ecc.) o ancora per la produzione di prodotti farmaceutici o industriali (polimeri). Anche in questo caso impatti potenziali associati nello specifico a questo tipo di
PGM sono poco studiati e dovrebbero essere valutati caso per caso a seconda del carattere introdotto e del tipo di pianta ospite.
74
Tabella 4.1: Eventi possibili su scala microscopica
75
Tabella 4.2: Eventi possibili su scala macroscopica
76
5. RASSEGNA SULLO STATO DELLE SPERIMENTAZIONI E DELLA
COMMERCIALIZZAZIONE DELLE PGM NEL MONDO
Nel 2003 l’area delle coltivazioni transgeniche a livello planetario è stata stimata in
67.7 milioni di ettari. L’incremento in percentuale calcolato tra il 2002 e il 2003 è stato del 15% (9 milioni di ettari) mentre nel periodo tra il 1996 e il 2003 l’area delle
coltivazioni transgeniche è aumentata di 40 volte.
Nel presente capitolo vengono presentate le statistiche relative alle sperimentazioni e
quelle relative alla produzione a scopo commerciale di PGM nel mondo.
5.1 Processi regolatori
La maggior parte dei paesi ha adottato procedure e regolamenti, in accordo con il
protocollo sulla biosicurezza, per l’autorizzazione alla coltivazione di PGM.
In particolare vi sono due livelli di regolamentazione:
1) in condizioni di laboratorio e di serra;
2) in condizioni di rilascio ambientale.
Concettualmente esistono due scuole di pensiero. La prima considera le coltivazioni
transgeniche come un’evoluzione delle coltivazioni convenzionali per cui le linee guida adottate sono giudicate adeguate. La seconda ritiene necessario sviluppare nuove
e dettagliate regolamentazioni per la gestione di tecnologie con le quali si ha ancora
poca dimestichezza. Tutti i paesi hanno adottato vari livelli di regolamentazione classificati in orizzontali e verticali. Nella regolamentazione verticale, adottata da USA e
Canada, si mira a definire le caratteristiche delle coltivazioni da disciplinare senza richiedere che tutti i prodotti derivanti da piante transgeniche siano regolamentati. Il sistema orizzontale, adottato dall’EU, adotta un sistema che richiede la regolamentazione di tutti i prodotti derivanti da coltivazioni transgeniche.
L’OECD ha recentemente svolto una ricognizione dei paesi che hanno adottato l’uno
o l’altro sistema concludendo che i risultati sono assimilabili.
Il primo problema della biosicurezza relativa allo sviluppo delle biotecnologie si è presentato nel 1971.
Il primo regolamento è stato preparato dagli Istituti Nazionali per la Salute degli Stati Uniti (NIH) nel 1976 e applicato alle procedure di laboratorio.
Lo sviluppo dei regolamenti per la sperimentazione in campo delle coltivazioni transgeniche, e successivamente di quelli per la messa in commercio delle stesse, è stato un
processo molto complesso. Il Servizio ispettivo per la salute delle piante e degli animali (APHIS) del Dipartimento di Stato per l’Agricoltura (USDA) ha definito molti
77
aspetti chiave delle regolamentazioni sostenendo la necessità della valutazione caso
per caso e passo dopo passo. Questo approccio è stato adottato da altri paesi tra cui
quelli in via di sviluppo come le Filippine. Molti stati membri dell’OECD hanno adottato regolamenti che però differiscono per scopi e scale d’applicazione; le eccezioni
sono rappresentate da Argentina, Brasile, Cile, Cina, Costa Rica, Cuba, India, Messico, Filippine e Tailandia. Altri paesi hanno creato comitati ad hoc nel processo di regolamentazione e questi includono Bolivia, Colombia, Indonesia, Kenya, Malesia, Nigeria, Venezuela e Zimbabwe.
Il processo di regolamentazione è spesso di competenza di più enti nello stesso paese. Negli USA, per esempio, mentre l’USDA/APHIS concede i permessi per le sperimentazioni in campo, ogni pianta che contenga un gene per la tolleranza ai pesticidi necessita anche dell’autorizzazione dell’EPA (Environmental Protection Agency).
Inoltre, se da questi provengono prodotti per l’alimentazione, l’ente coinvolto è anche
l’FDA (Food and Drug Administration).
E’ stato compiuto uno sforzo notevole da alcune organizzazioni internazionali per studiare la possibilità di armonizzare le regolamentazioni fra i vari paesi. Ad esempio
il Sud Africa ha armonizzato i propri regolamenti con quelli degli USA. Nei paesi
aderenti all’EU è stata adottata la direttiva 2001/18/CE.
5.2 Metodologia del trattamento dei dati
Sebbene molte organizzazioni internazionali e istituzioni pubbliche e private abbiano realizzato data base relativi alle coltivazioni transgeniche, la non uniformità dei
dati utilizzati, l’accesso limitato e la mancanza di informazioni dettagliate preclude la
possibilità di compilare un quadro esaustivo ed esauriente dell’attività pregressa ed
attualmente in corso. Si tenga conto, inoltre, che per i paesi in via di sviluppo l’acquisizione di informazioni è ancora più problematica, in quanto non sempre tali paesi sono disposti a collaborare alla definizione dei dati.
E’ opportuno considerare, inoltre, che il rapidissimo sviluppo delle biotecnologie e la
loro diffusione nei paesi in via di sviluppo, in mancanza di regolamentazioni o di adeguati protocolli, rendono veramente oneroso il tentativo di monitorare costantemente
l’evoluzione del settore nella sua globalità.
I dati riportati nei paragrafi seguenti costituiscono una rassegna riassuntiva sullo stato delle sperimentazioni e delle coltivazioni di PGM nel mondo. Purtroppo, a causa
della difficile opera di reperimento e validazione delle informazioni, alcuni dei dati
riportati risultano parziali. È inoltre necessario considerare tali dati suscettibili di frequenti revisioni e aggiornamenti.
78
5.3 I rilasci ambientali di PGM a scopo sperimentale
Il primo rilascio in ambiente non confinato a scopo sperimentale è stato condotto negli USA e in Francia nel 1986 utilizzando una pianta di tabacco in cui era stato inserito un gene marker. Nel 1990 già dieci paesi avevano effettuato sperimentazioni
in campo.
Fino al 1995 le sperimentazioni erano state effettuate quasi esclusivamente nei paesi
industrializzati, ma, già a partire dal 1996, le sperimentazioni condotte nei paesi in
via di sviluppo hanno presentato la seguente progressione rispetto al dato globale:
14% nel 1997, 16% nel 1998, 18% nel 1999 fino al 24% del 2000. Tuttavia, tenendo conto che dal 1996 al 2000 la stragrande maggioranza delle sperimentazioni
(86%) è stato condotta nei paesi industrializzati, risulta chiaro come questa tecnologia sia ancora appannaggio dei paesi più evoluti economicamente sebbene uno degli argomenti principali dei fautori del biotech sia la possibilità di ridurre la fame nel
mondo grazie alle biotecnologie. Dal 1995 India, Malesia, Turchia, Ucraina, Uzbekistan e Serbia (ex Jugoslavia) hanno iniziato rilasci sperimentali di coltivazioni transgeniche. La situazione è in così rapido sviluppo che è necessario aggiornare i dati
quasi mensilmente.
Per comodità espositiva i paesi che si dedicano alla ricerca in questo campo sono stati suddivisi in base al continente ed allo sviluppo industriale.
• Paesi industrializzati del Nord America
Nel Nord America, nel periodo 1991-2000, sono state condotte 6215 sperimentazioni; le sperimentazioni condotte nel Nord America rappresentano i
2/3 del totale delle sperimentazioni condotte globalmente e i 3/4 di quelle
condotte nei paesi industrializzati. Le specie vegetali ingegnerizzate oggetto
del maggior numero di sperimentazioni sono: pomodoro, soia, patata, cotone, tabacco, melone, zucca e colza.
L’80% delle sperimentazioni è stato condotto da società private, il 15% da università e il 5% da istituzioni governative.
Monsanto e Pioneer Hi-Bred sono le società che hanno effettuato il maggior
numero di sperimentazioni con il 20% del totale.
Per quanto riguarda il Canada è da sottolineare che ha adottato un sistema
regolatorio simile a quello statunitense e che molte sperimentazioni effettuate
negli USA sono state effettuate anche in Canada.
79
Fig. 5.1: Sperimentazioni condotte nel periodo 1991-2000 negli Usa e in Canada (fonte OECD, elab. APAT)
925
CANADA
USA
5290
• Paesi industrializzati dell’Europa
Anche in Europa la maggior parte delle sperimentazioni sono frutto dell’attività delle aziende private (multinazionali americane) del settore che, nella stragrande maggioranza dei casi, hanno replicato sperimentazioni già condotte
in Nord America. L’attività di ricerca pubblica riguarda solo il 10% dei rilasci.
Le specie più utilizzate sono la colza, il mais, il tabacco e il pomodoro.
Fig. 5.2: Sperimentazioni condotte nel periodo 1991-2003 nei paesi industrializzati europei (fonte JRC, Ministero della salute, elab. APAT)
600
550
530
500
450
400
350
300
291
257
230
250
200
Regno Unito
12
Spagna
Svezia
1
Olanda
Norvegia
Portogallo
5
Irlanda
Italia
19
Francia
Germania
Grecia
65
20
Danimarca
Finlandia
0
40
3
Austria
Belgio
50
143
133
128
150
100
• Europa Orientale
Fino al 1995 i soli tre paesi ad aver effettuato sperimentazioni erano rappresentati dall’Ungheria, dalla Russia e dalla Bulgaria. Le prime sperimentazioni risalgono al 1993 (Ungheria). Sono poi seguite quelle in Russia (1994) e
80
in Bulgaria (1995). Il totale al 1995 delle sperimentazioni è di 36, che rappresentano solo l’1% del totale globale.
Le specie principalmente utilizzate sono il mais, la patata, il tabacco, la colza, l’alfalfa e la melanzana. Repubblica Ceca, Georgia, Polonia, Romania,
Slovacchia, Turchia, Ucraina, Uzbekistan e Serbia hanno iniziato le sperimentazioni dopo il 1995.
Fig. 5.3: Sperimentazioni condotte nell’Europa Orientale (fonte FAO, OECD, elab. APAT). Dati cronologici
non disponibili
3
3
10
Bulgaria
Serbia
3
Russia
Ukraina
Rep. Ceca
Croazia
7
12
• Paesi industrializzati dell’Asia e Oceania
Giappone, Australia e Nuova Zelanda hanno iniziato le sperimentazioni nel
1990.
Le specie più utilizzate sono cotone (Australia), riso e colza (Giappone), patata (Nuova Zelanda).
Fig. 5.4: Sperimentazioni condotte nel periodo 1991-2003 nei paesi industrializzati dell’Asia e Oceania
(fonte FAO, OECD, elab. APAT)
46
76
14
Giappone
Australia
Corea del Sud
N. Zelanda
193
81
• Africa
In Africa le sperimentazioni sono state condotte in Sud Africa, Egitto, Zimbabwe, Kenia, Tunisia e Marocco. Quasi la metà di quelle in Sud Africa hanno riguardato il cotone e tre il mais. In Egitto sono state condotte sperimentazioni sul pomodoro e la patata. Nello Zimbabwe l’unica sperimentazione ha
riguardato il miglioramento della qualità del pomodoro.
Il basso livello di attività in Africa è riconducibile al fatto che solo pochi paesi hanno adottato un processo regolatorio ed inoltre le società private del settore non sono così presenti così come ad esempio nell’America Latina. Attualmente la situazione è in procinto di cambiare velocemente in quanto in Kenia e nella regione sub-sahariana sono in via di sviluppo programmi per sperimentare riso, cassava e patata dolce.
Fig. 5.5: Sperimentazioni condotte nei paesi africani (fonte FAO, elab. APAT). Dati cronologici non disponibili
1
1
23
26
1
Marocco
Tunisia
Egitto
Kenia
Zimbabwe
Sud Africa
2
• Centro e Sud America
Il Cile e l’Argentina hanno iniziato le sperimentazioni prima che fosse approvato un formale processo regolatorio. Nel 1993 il Cile ha istituito una Commissione Nazionale per la Protezione dell’Agricoltura, il che ha prodotto un
rapido incremento del numero delle sperimentazioni.
In alcuni piccoli paesi come il Belize una parte dei rilasci è stata condotta da società private secondo modalità concordate con l’APHIS, ma sono state registrate solo nel 1993. Attualmente le società del settore preferiscono condurre sperimentazioni in paesi dove sia stato approvato un formale processo regolatorio.
A Cuba i rilasci sono stati effettuati esclusivamente dal Centro di Ingegneria
Genetica e Biotecnologia (CIGB). Il Centro è stato il primo ad operare la trasformazione della canna da zucchero. In ogni caso le sperimentazioni più fre-
82
quenti hanno riguardato la patata. Cuba è stato il primo paese a ingegnerizzare la patata dolce per la resistenza agli insetti. Il Baniato (Ipomea batatas)
è stato ingegnerizzato per la resistenza al tetuan (Ciles Formicarius ) e per ottenere un aumento del contenuto proteico nei tubercoli. E’ previsto tra breve
un rilascio sperimentale di patata e tabacco ai quali sono state indotte resistenze fungine.
Oltre ai programmi di sperimentazione condotti dai singoli paesi ci sono organizzazioni internazionali che stanno sviluppando programmi di ricerca aggiuntivi come lo IARCs (Centro di Ricerche Agricole Internazionale) ed il CIAT
(Centro Internazionale di Agricoltura Tropicale). Questi programmi prevedono sperimentazioni relative a riso (GUS, nptII, bar, gene virale per la resistenza alla “hoja blanca”), cassava (GUS, nptII, bar, Cry1A), fagioli (GUS,
igromicina), Brachiaria (GUS, igromicina), Stylosanthes (GUS, nptII, bar).
In Perù il CIP (International Potato Center) sta prendendo in considerazione rilasci sulla regione delle Ande.
Fig. 5.6: Sperimentazioni condotte in Centro e Sud America (fonte FAO, OECD, elab. APAT). Dati cronologici non disponibili
48
42
35
27
8
8
Messico
Brasile
Venezuela
Cuba
5
Colombia
Perù
Bolivia
Cile
1
Uruguay
6
3
Costa Rica
8
Argentina
50
45
40
35
30
25
20
15
10
5
0
• Asia ed Estremo Oriente
Nonostante le acquisite capacità in campo biotecnologico da parte di molti
paesi asiatici, soltanto la Cina e la Tailandia hanno testato in campo piante
geneticamente modificate.
La Cina ha iniziato le sperimentazioni nel 1989 conducendo 60 delle 62 sperimentazioni totali in Asia in molti siti di rilascio. Per esempio le sperimentazioni di tabacco, pomodoro e patata effettuate dal 1993 al 1994 hanno interessato rispettivamente 15, 4 e 2 province con 20-30 rilasci per ciascuna
83
provincia. Le specie più rappresentative testate in Cina rimangono tutt’ora il
tabacco (29), il cotone (10) e il pomodoro (9). La resistenza virale è il tratto
più rappresentato.
La Tailandia ha realizzato molte sperimentazioni di pomodoro Flavr-Savr e
cotone Bt mentre nelle Filippine ed in India sono riportati numerosi esperimenti sul riso effettuati in laboratorio ed in serra ma non si ha notizia di sperimentazioni in campo.
Fig. 5.7: Sperimentazioni condotte in Asia ed Estremo Oriente (fonte FAO, elab. APAT). Dati cronologici
non disponibili
12
54
20
Cina
Pakistan
India
Bangladesh
Tailandia
34
Indonesia
13
19
Malesia
Filippine
15
13
• Specie vegetali ingegnerizzate oggetto di sperimentazione
Nel periodo dal 1986 al 1995 sono state ingegnerizzate e messe in campo
56 specie vegetali.
Sono elencate le specie maggiormente utilizzate, suddivise in tre classi secondo il numero di sperimentazioni.
84
Tabella 5.1: Piante geneticamente modificate oggetto di sperimentazione (fonte ISAAA (1995), modificato).
>150
25-150
Colza
Alfalfa
1-25
Amelancher laevis
Cotone
Garofano
Mela
Mais
Riso
Arabidopsis thaliana
Melone
Zucca
Asparago
Patata
Barbabietola
Orzo
Soia
Girasole
Belladonna
Tabacco
Lino
Betulla
Pomodoro
Cantaloupe
Cavolo
Carota
Cavolfiore
Cicoria
Crisantemo
Trifoglio
Mirtillo
Cetriolo
Melanzana
Eucalitto
Gerbera
Gladiolo
Uva
Kiwi
Lattuga
Lupino
Papaia
Pisello
Arachidi
Peperone
Petunia
Pioppo
Lampone
Abete
Fragola
Canna da zucchero
Girasole
Patata dolce
Grano
Noce
Susina
Agrostis stolonifera, Amelanchier spp.
85
Approssimativamente, nel periodo dal 1986 al 1995, nei 34 paesi che hanno condotto sperimentazioni sono stati censiti 15.000 campi sperimentali mentre, nel periodo dal 1996 al 1997, i paesi sono diventati 45 e i campi sono aumentati di 10.000
unità.
Alla fine del 1995 tutti i paesi industrializzati afferenti all’OECD, a eccezione di Austria, Grecia, Irlanda, Turchia, Islanda e Lussemburgo, hanno autorizzato rilasci sperimentali di PGM.
In molti paesi le sperimentazioni più frequenti hanno interessato le specie che hanno
il maggior impatto economico. Per esempio negli USA il mais, in Australia e in Sud
Africa il cotone e in Canada la colza.
In ogni caso in tutte le sperimentazioni dei paesi industrializzati la tolleranza agli erbicidi ha rappresentato il tratto maggiormente usato.
5.4 Sequenze genetiche modificate
Nella maggior parte dei data base le sequenze genetiche sono state classificate in varie categorie. Queste, pur non essendo identiche, hanno un grado di similarità che le
rende comparabili. I primi geni inseriti sono stati i geni marker tra i quali ci sono geni che conferiscono resistenza agli antibiotici (kanamicina). I primi geni testati in coltivazioni sono stati geni che conferiscono resistenza a malattie e infestazioni, più specificamente malattie virali, resistenza agli insetti, tolleranza ai pesticidi e geni che contribuiscono al miglioramento delle caratteristiche agronomiche. Attualmente si stanno
sperimentando geni che conferiscono resistenza alle malattie batteriche e fungine e
resistenza ai nematodi.
Nella figura seguente sono rappresentate le tipologie di modificazioni genetiche più
frequenti.
Figura 5.8: Tipologie di modificazioni genetiche (fonte ISAAA (1995), modificato).
555
1450
tolleranza agli erbicidi
resistenza ai funghi
466
qualità del prodotto
resistenza agli insetti
resistenza ai virus
109
738
806
86
altri
Nella tabella 5.2 sono elencate le principali tipologie di modificazione genetica applicate ai vegetali.
Tabella 5.2: Tipologie di modificazioni genetiche (fonte ISAAA, OECD).
Tolleranza agli erbicidi
Qualità del prodotto
Resistenza agli insetti
Resistenza ai virus
Tipo di modificazione
acido 2,4 diclorofenoxiacetico
asulam
atrazina
bromoxynil
fosametin
glufosinate/fosfinotricina
glifosate
piridina
solfonilurea
ritardo maturazione
contenuto sostanza secca
miglioramento del processo
incremento dei solidi solubili
incremento delle rese
modifica del contenuto di oli
contenuto della fitasi
proteine d’immagazzinamento dei semi
metabolismo dell’amido
tolleranza agli stress
proteina Bt
proteina inibente
alfalfa mosaic
cetriolo mosaic
papaia
Resistenza ai funghi
Altri
5.5 Le coltivazioni transgeniche nel mondo
La superficie globale coltivata con colture GM ha raggiunto nel 2003 i 67,7 milioni
di ettari. Il 99% dell’area totale coltivata con piante GM è rappresentata dagli Stati
Uniti (39 milioni di ettari), l’Argentina (13.5 milioni di ettari), il Canada (3.5 milioni
di ettari) e la Cina (2.1 milioni di ettari).
87
Tabella 5.3: Superficie globale delle coltivazioni transgeniche (1996 - 2003) per paese (in milioni di ettari) (fonte ISAAA).
Paese
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
USA
Argentina
Canada
Brasile
Cina
Sud Africa
Australia
India
Romania
Spagna
Uruguay
Messico
Bulgaria
Indonesia
Colombia
Honduras
Germania
Francia
Ucraina
Portogallo
Filippine
Totale
1.5
0.1
0.1
—
—
—
<0.1
—
—
—
—
<0.1
—
—
—
—
—
—
—
—
—
1.7
8.1
1.4
1.3
—
0.0
—
0.1
—
—
—
—
<0.1
—
—
—
—
—
—
—
—
—
11.0
20.5
4.3
2.8
—
<0.1
<0.1
0.1
—
—
<0.1
—
0.1
—
—
—
—
—
<0.1
—
—
—
27.8
28.7
6.7
4.0
—
0.3
0.1
0.1
—
<0.1
<0.1
—
<0.1
—
—
—
—
—
<0.1
<0.1
<0.1
—
39.9
30.3
10.0
3.0
—
0.5
0.2
0.2
—
<0.1
<0.1
<0.1
<0.1
<0.1
—
—
—
<0.1
<0.1
—
—
—
44.2
35.7
11.8
3.2
—
1.5
0.2
0.2
—
<0.1
<0.1
<0.1
<0.1
<0.1
<0.1
—
—
<0.1
—
—
—
—
52.6
39.0
13.5
3.5
—
2.1
0.3
0.1
<0.1
<0.1
<0.1
<0.1
<0.1
<0.1
<0.1
<0.1
<0.1
<0.1
—
—
—
—
58.7
42.8
13.9
4.4
3.0
2.8
0.4
0.1
0.1
<0.1
<0.1
<0.1
<0.1
<0.1
<0.1
<0.1
<0.1
<0.1
—
—
—
<0.1
67.7
Il Brasile e le Filippine hanno approvato per la prima volta nel 2003 la coltivazione
di piante GM. Il Brasile ha approvato ufficialmente la soia tollerante i diserbanti alla
fine di settembre 2003. Per il 2003 è stata fatta una stima di 3 milioni di ettari di soia
GM. Le Filippine hanno coltivato, per la prima volta nel 2003, circa 20.000 ettari di
mais Bt.
Tabella 5.4: Superficie globale delle coltivazioni transgeniche (1996 - 2003) per specie (in milioni di ettari) (fonte ISAAA)
Specie
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
Soia
Mais
Cotone
Colza
Zucca
Papaia
Patata
Totale
0.5
0.3
0.8
0.1
—
—
<0.1
1.7
5.1
3.2
1.4
1.2
—
—
<0.1
11
14.5
8.3
2.5
2.4
0.0
0.0
<0.1
27.8
21.6
11.1
3.7
3.4
<0.1
<0.1
<0.1
39.9
25.8
10.3
5.3
2.8
<0.1
<0.1
<0.1
44.2
33.3
9.8
6.8
2.7
<0.1
<0.1
<0.1
52.6
36.5
12.4
6.8
3.0
<0.1
<0.1
—
58.7
41.4
15.5
7.2
3.6
<0.1
<0.1
—
67.7
88
A livello globale, nel 2003 le principali colture GM commercializzate (soia, mais, cotone e colza) hanno registrato una ulteriore crescita. La soia GM ha raggiunto i 41,4
milioni di ettari (61% della superficie GM globale) contro i 36,5 milioni di ettari del
2002; il mais GM nel 2003 è stato coltivato su 15,5 milioni di ettari (23% della superficie GM globale), contro i 12,4 milioni di ettari del 2002 e con un tasso di crescita del 25%, superiore a quello di tutte le altre colture; il cotone GM è passato dai
6,8 milioni di ettari del 2002 ai 7,2 milioni di ettari (11% della superficie GM globale), mentre il colza GM occupa 3,6 milioni di ettari (5% della superficie GM globale)
contro i 3 milioni di ettari del 2001.
Tabella 5.5: Superficie globale delle coltivazioni transgeniche (1996 - 2003) per tratto inserito (in milioni
di ettari) (fonte ISAAA)
Tratto inserito
Tolleranza
agli erbicidi
Resistenza
agli insetti (Bt)
Resistenza
insetti/
Tolleranza
erbicidi
Resistenza
a Virus /Altri
Totale
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
0.6
6.9
19.8
28.1
32.7
40.6
44.2
49.7
1.1
4.0
7.7
8.9
8.3
7.8
10.1
12.2
—
<0.1
0.3
2.9
3.2
4.2
4.4
5.8
<0.1
1.7
<0.1
11
<0.1
27.8
<0.1
39.9
<0.1
44.2
<0.1
52.6
<0.1
58.7
<0.1
67.7
Tra il 1996 e il 2003 la tolleranza ai diserbanti è stata la modificazione più usata, seguita dalla resistenza agli insetti. Nel 2003 la soia, il mais, il colza e il cotone GM tolleranti ai diserbanti sono stati coltivati sul 73% della superficie globale, ovvero 49,7
milioni di ettari su 67,7 milioni di ettari. 12,2 milioni di ettari sono stati coltivati con
piante Bt (18% del totale). Le caratteristiche combinate di tolleranza ai diserbanti e resistenza agli insetti, presenti sia nel cotone che nel mais, sono aumentate e nel 2003
hanno occupato l’8% della superficie, ovvero 5,8 milioni di ettari, contro i 4,4 milioni
di ettari del 2002. Nel 2003 le due colture GM più diffuse sono state la soia tollerante i diserbanti, coltivata su 41,4 milioni di ettari, pari al 61% della superficie totale globale e prodotta in sette paesi, e il mais Bt, coltivato su 9,1 milioni di ettari, equivalenti
al 13% della superficie GM globale, e prodotto in nove paesi.
89
Tabella 5.6: Superficie globale delle coltivazioni transgeniche (1996 - 2003) per tratto inserito/specie (in
milioni di ettari) (fonte ISAAA)
Tratto/specie
Soia Tollerante
Erbicida
Mais Bt
Colza Tollerante
Erbicida
Mais Bt/
Tollerante
Erbicida
Mais Tollerante
Erbicida
Cotone Bt
Cotone Bt/
Tollerante
Erbicida
Cotone
Tollerante
Erbicida
Patata Bt
Totale
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
0.5
0.3
5.1
3.0
15
7
21.6
7.5
25.8
6.8
33.3
5.9
36.5
7.7
41.4
9.1
0.1
1.2
2
3.5
2.8
2.7
3.0
3.6
—
—
—
2.1
1.4
2.5
2.2
3.2
0.0
0.8
0.2
1.1
2
1
1.5
1.3
2.1
1.5
2.4
2.1
2.5
2.4
3.2
3.1
0.0
<0.1
—
0.8
1.7
1.9
2.2
2.6
<0.1
<0.1
1.7
0.4
<0.1
11
—
<0.1
27.8
1.6
—
39.9
2.1
—
44.2
1.8
—
52.6
2.2
—
58.7
1.5
—
67.7
Nel 2003, il 55% dei 76 milioni di ettari coltivati a soia a livello globale erano geneticamente modificati, contro il 51% nel 2002. Il 21% dei 34 milioni di ettari di cotone
erano GM, contro il 20% l’anno precedente. La superficie coltivata a colza GM era
pari al 16%, contro il 12% nel 2002. Infine, dei 140 milioni di ettari di mais coltivati
a livello globale, l’11% pari a 15,5 milioni di ettari, era GM nel 2003, con un notevole aumento rispetto al 9% (12,4 milioni di ettari) nel 2002. Aggregando le superfici globali (convenzionali e GM) di queste quattro principali colture GM, la superficie
totale è di 272 milioni di ettari, di cui il 25% GM, contro il 22% nel 2002. Così, per
la prima volta, un quarto della superficie aggregata delle quattro colture è risultata
GM. Il massimo aumento registrato nel 2003 è rappresentato dai 4,9 milioni di ettari della soia GM, pari a una crescita annua del 13%, seguito da un aumento di 3,1
milioni di ettari del mais GM, equivalente a un aumento annuo del 25% contro il 27%
nel 2002.
5.6 Unione Europea
A partire dal 1984 la Commissione Europea ha autorizzato l’immissione sul mercato
di 11 piante geneticamente modificate; ai sensi dell’articolo 15 della Direttiva
90/220/CE le autorizzazioni sono valide per tutti gli Stati membri.
Nella tabella 5.7 sono riportate le autorizzazioni alla commercializzazione concesse
fino ad ora dalla Commissione Europea.
90
Tabella 5.7: I prodotti autorizzati dalla Unione Europea
Organismo
Modificato
Tabacco
Modificazione
• Tolleranza
bromoxynil
Colza MS1Bn • Tolleranza
x RF1Bn
glufosinate
ammonio
• Resistenza
kanamicina
• Maschio sterile
x Ristoratore
fertilità
Soia Roudup
Ready
• Tolleranza
glifosate
Radicchio
rosso
• Tolleranza
glufosinate
ammonio
• Maschio sterile
x Ristoratore
fertilità
• Resistenza
kanamicina
• Protezione
insetti
• Tolleranza
glufosinate
ammonio
• Resistenza
ampicillina con
promotore
batterico
• Tolleranza
glufosinate
ammonio
• Resistenza
kanamicina
• Maschio sterile
x Ristoratore
fertilità
• Tolleranza
glufosinate
ammonio
• Resistenza
kanamicina
• Maschio sterile
x Ristoratore
fertilità
Mais Bt176
Colza
MS1 x RF1
Colza
MS1 x RF2
Applicazioni
commerciali
Decisioni CEE
Stato membro
autorizzante
Notificante
Coltivazione
limitata alla
Francia
Dec.
94/385/CE
Francia
SEITA
Produzione
semi – no
alimentazione
umana e
animale
Dec.
96/158/CE
Gran Bretagna
Plant
Genetic
System
(Agrevo)
Trasformazione
dei semi
importati
Solo produzione
sementi
Dec.
96/281/CE
Gran Bretagna
Monsanto
Dec.
96/424/CE
Olanda
BeJo Zaden
Non limitate
Dec.
97/98/CE
Francia
CibaGeigy
(Novartis)
Non limitate
Dec.
97/392/CE
Francia
Plant
Genetic
System
(Agrevo)
Non limitate
Dec.
97/393/CE
Francia
Plant
Genetic
System
(Agrevo)
(segue)
91
(segue)
Organismo
Modificato
Modificazione
Colza
primaverile
Topas 19/2
• Tolleranza
glufosinate
ammonio
• Resistenza
kanamicina
• Tolleranza
glufosinate
ammonio
• Resistenza
insetti
• Tolleranza
glufosinate
ammonio
• Resistenza
insetti
Mais Bt11
Mais T25
Mais
Mon810
Applicazioni
commerciali
Decisioni CEE
Stato membro
autorizzante
Notificante
Trasformazione
dei semi
importati
Dec.
98/291/CE
Gran Bretagna
Agrevo UK
Tutte tranne
coltivazione
Dec.
98/292/CE
Gran Bretagna
Novartis
Seeds
Non limitate
Dec. 9
8/293/CE
Francia
Agrevo
France
Nessuna
limitazione
Dec.
98/294/CE
Francia
Monsanto
Europa
5.7 I prodotti autorizzati a livello globale
Nella tabella 5.8 è riportato l’elenco delle specie ingegnerizzate autorizzate al commercio. I dati sono organizzati secondo la specie, la modifica introdotta attraverso
l’incorporazione di uno o più geni, i paesi dove è stata concessa l’autorizzazione per
quello specifico prodotto e il tipo di autorizzazione (alimentazione animale, umana,
ecc.).
92
Tabella 5.8: Elenco delle specie ingegnerizzate autorizzate al commercio (fonte OECD).
Paese ed
anno notifica
Nome
organismo
Nome sc.
Organismo
OECD
Record Number
Tratto
Gene
Istituto/società
notificante
USA, 1998
mais
Zea mays
MS6
Bba/PAT-Strep.
Hygroscopicus
AgrEvo
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1998
USA, 1996
soia
Glycine max
PAT-Strep.
Hygroscopicus/Gus
AgrEvo
Rilascio e alimentazione
umana: USA (USDA),
1996/ USA (FDA), 1998
USA, 1997
colza
Brassica
napus L.
W62,W98,
A2704-12,
A2704-21,
A5547-35
T45
Maschio sterilità+
toll. alla fosfinotricina
(glufosinate ammonio)
toll. alla fosfinotricina
toll. alla fosfinotricina
PAT-Strep.
Viridochromogenes
AgrEvo
USA, 1999
riso
Oryza sativa
toll. alla fosfinotricina
AgrEvo
USA, 1998
soia
Glycine max
PAT-Strep.
Hygroscopicus
PAT-Strep.
Viridochromogenes
PAT-Strep.
Viridochromogenes
PAT-Strep.
Viridochromogenes
cry9C- Bt tolworthi/PAT
Rilascio nell’ambiente:
Giappone, 1997/ USA
(USDA), 1998
Alimentazione umana:
USA (FDA), 1998/
Giappone, 1997
Alimentazione animale:
Giappone, 1997
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1999
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1998
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1998
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1998
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1998
Alimentazione animale:
USA (FDA), 1998
USA, 1998
USA, 1998
USA, 1998
barbabietola Beta vulgaris
da zucchero
soia
Glycine max
mais
Zea mays
LLRICE06,
LLRICE62
GU262
toll. alla fosfinotricina
T120-7
toll. alla fosfinotricina
A5547-127
toll. alla fosfinotricina
CBH-351
AgrEvo
AgrEvo
AgrEvo
AgrEvo
Tipo di autorizzazioni,
paese e anno
93
(segue)
(segue)
Paese ed
anno notifica
94
Nome
organismo
Nome sc.
Organismo
OECD
Record Number
Tratto
Gene
Istituto/società
notificante
Tipo di autorizzazioni,
paese e anno
Canada,
1995
colza
Brassica
napus L.
HCN-92
toll. alla fosfinotricina
PAT, NPTII
AgrEVo
Canada
Canada,
1996
colza
Brassica
napus L.
HCN-28
toll. alla fosfinotricina
AgrEVo
Canada
Canada,
1997
rapa
Brassica
rapa
HCR1
toll. alla fosfinotricina
AgrEVo
Canada
UK, 1994
colza
Brassica
napus L.
MS1, RF1
toll. alla fosfinotricina+
maschio sterilità e
sistema di restauro
fertilità per la
produzione di semi
ibridi
Rilascio nell’ambiente:
Canada, 1995/
Giappone, 1996
Alimentazione umana:
Canada, 1995/ USA
(FDA), 1995/ Giappone,
1996
Alimentazione animale:
Canada, 1995/
Giappone, 1996
Rilascio nell’ambiente:
Canada, 1996
Alimentazione umana:
Canada, 1997/ USA
(FDA), 1997
Alimentazione animale:
Canada, 1995
Rilascio nell’ambiente:
Canada, 1998
Alimentazione umana:
Canada
Alimentazione animale:
Canada, 1998
Rilascio nell’ambiente:
Canada, 1995/
Giappone, 1996/ EU
Commercio: EU, 1996
Alimentazione umana:
Canada, 1995/ USA
(FDA), 1996/ Giappone,
1996
Alimentazione animale:
Canada, 1995/
Giappone 1996
Bar, PAT, resistenza
kanamicina, maschio
sterilità, restauro fertilità
AgrEvo
(segue)
(segue)
Paese ed
anno notifica
Nome
organismo
Nome sc.
Organismo
OECD
Record Number
Tratto
Gene
Istituto/società
notificante
Canada,
1996
colza
Brassica
napus L.
MS8, RF3
toll. alla fosfinotricina+
maschio sterilità e
sistema di restauro
fertilità per la
produzione di semi
ibridi
Barnase-B.
amyloliquefaciens,
Barstar-B.
amyloliquefaciens,
PAT- S. Hygroscopicus
AgrEvo
Canada,
1995
colza
Brassica
napus L.
MS1, RF2
toll. alla fosfinotricina
Bar, maschio sterilità,
restauro fertilità, NPTII
AgrEvo
USA, 1995
mais
Zea mays
T14, T25
toll. alla fosfinotricina
fosfinotricina
acetil transferasi
AgrEvo
Tipo di autorizzazioni,
paese e anno
95
Rilascio nell’ambiente:
Canada, 1996/ USA
(USDA), 1998/
Giappone, 1998
Alimentazione umana:
Canada, 1997/
Giappone, 1998
Alimentazione animale:
Canada, 1996/
Giappone, 1999
Rilascio nell’ambiente:
Canada, 1995/
Giappone, 1997/ EU
(breeding), 1996
Commercio: EU, 1996
Alimentazione umana:
Canada, 1995/
Giappone, 1997/ UK
Alimentazione animale:
Canada, 1995/
Giappone, 1997/ UK
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1995/
Canada, 1996/
Giappone 1997/ EU,
1998/ Argentina
Alimentazione umana:
USA (FDA), 1996/
Canada, 1997/
Giappone, 1997/
Argentina
Alimentazione animale:
Canada 1996/
Giappone 1997/
Svizzera/ Argentina
(segue)
(segue)
Paese ed
anno notifica
96
Nome
organismo
Nome sc.
Organismo
OECD
Record Number
Tratto
Gene
Istituto/società
notificante
colza
Brassica
napus L.
HCN10
toll. alla fosfinotricina
PAT, NPTII
AgrEvo
USA, 1996
pomodoro
Lycopersicon
esculentum
35 1 N
alterazione
della maturazione
S-adenosilmetionina
transferasi-batteriofago
T3/NPTII
Usa, 1996
zucca
Cucurbita
pepo
CZW-3
resistenza al CMV,
WMV2, ZYMV
proteine di
superficie/NPTII-E. Coli
Canada,
1996
mais
Zea mays
DK 404SR,
DK412SR
toll. al sethoxydim
Olanda,
1996
cicoria
Chicorium
intybus
RM3-3,
RM3-4,
RM3-6
toll. alla fosfinotricina,
maschio sterilità,
resistenza kanamicina
Canada,
1995
BBa/NPTII/PAT-Strep.
Hygroscopicus
Tipo di autorizzazioni,
paese e anno
Rilascio nell’ambiente:
Canada, 1995/
Giappone, 1997
Alimentazione umana:
Canada, 1995/ USA
(FDA), 1995/ Giappone,
1997
Alimentazione animale:
Canada, 1995/
Giappone, 1998
Agritope
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1996
Alimentazione umana:
USA (FDA), 1996
Asgrow,
Rilascio nell’ambiente:
Seminis
USA (USDA), 1996
Vegetable
Alimentazione umana:
USA (FDA), 1994/
Canada 1998
Basf Canada Rilascio nell’ambiente:
Canada, 1996
Alimentazione umana:
Canada, 1997
Alimentazione animale:
Canada, 1996
Bejo Zaden Rilascio nell’ambiente:
EU, 1996/ USA
(USDA), 1997
Commercio: EU, 1996
(breeding)
Alimentazione umana:
USA (FDA), 1997
(segue)
(segue)
Paese ed
anno notifica
Nome
organismo
Nome sc.
Organismo
OECD
Record Number
Tratto
Gene
Istituto/società
notificante
USA, 1994
cotone
Gossypium
sp.
BXN
toll. al bromoxynil
nitrilase -Klebsiella
pneumoniae/NPTII
Calgene
USA, 1997
cotone
Gossypium
sp.
Lycopersicon
esculentum
31807,
31808
N73
1436-111
toll. al bromoxynil+
resistenza ai lepidotteri
alterazione della
maturazione
CryIA ( c ) - Btk/
Nitrilase-Klebsiella
poligalattorunasi
antisenso - pomodoro
/NPTII
ACP tioesterasi da
Umbellularia californica
/resistenza alla
kanamicina (SM-NPTII/
E.coli)
Calgene
poligalattorunasi
antisenso/NPTII
Calgene
USA
pomodoro
USA, 1994
colza
Brassica
napus L.
pCGN3828212/86,
pCGN3828212/86-23
modificazione degli
acidi grassi
USA, 1992
pomodoro
Lycopersicon
esculentum
FLAVR SAVR
alterazione della
maturazione
Calgene
Calgene
Tipo di autorizzazioni,
paese e anno
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1994/
Canada, 1997/
Giappone, 1997
Alimentazione umana:
USA (USDA), 1994/
Canada, 1996/
Giappone, 1997
Alimentazione animale:
Canada, 1996/
Giappone, 1998
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA),1997
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA),1995
97
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1994/
Canada, 1996
Alimentazione umana:
SA (FDA), 1995/
Canada, 1996
Alimentazione animale:
Canada,1996
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1992/
Giappone, 1996
Alimentazione umana:
USA (FDA), 1994/
Canada, 1995/
Giappone, 1997/ UK
(segue)
(segue)
98
Paese ed
anno notifica
Nome
organismo
Nome sc.
Organismo
OECD
Record Number
Tratto
Gene
Istituto/società
notificante
USA, 1996
papaya
Carica
papaya
55-1, 66-1
resistenza al virus
ring spot
proteina di superficie
ring spot virus/NPTII
Cornell
University
Canada,
1998
grano
Triticum
aestivum
SWP965001
toll. all’imidazolinone
mutagenesi indotta
chimicamente
Cyanamid
Crop
protection
USA, 1996
mais
Zea mays
DBT418
resistente ai lepidotteri
CryIA ( c ) - Btk/
fosfinotricina acetil
transferasi-S.
hygroscopicus
DeKalb
USA, 1995
mais
Zea mays
DLL25(B16)
toll. alla fosfinotricina
USA, 1994
pomodoro
Lycopersicon
esculentum
1345-4
alterazione della
maturazione
ACC sintetasi-pomodoro
/SM-NPTII-E.coli
DNA PTC
USA, 1996
soia
Glycine max
G94-1,
G94-19,
G-168
modificazione degli
acidi grassi
delta-12 desaturasesoia/beta-glucuronidasi
DuPont
DeKalb
Tipo di autorizzazioni,
paese e anno
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1996
Alimentazione umana:
USA (FDA), 1997
Rilascio nell’ambiente:
Canada, 1999
Alimentazione animale:
Canada, 1999
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1997/
Canada, 1997
Alimentazione umana:
USA (FDA), 1997/
Canada, 1997
Alimentazione animale:
Canada, 1997
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1995/
Canada, 1996
Alimentazione umana:
USA (FDA), 1996/
Canada, 1996
Alimentazione animale:
Canada, 1996
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1995
Alimentazione umana:
USA (FDA), 1994/
Canada 1995
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1997
Alimentazione umana:
USA (FDA), 1997
(segue)
(segue)
Paese ed
anno notifica
Nome
organismo
Nome sc.
Organismo
OECD
Record Number
Tratto
Gene
Istituto/società
notificante
USA, 1996
cotone
Gossypium
sp.
19-51a
toll.. alla solfonilurea
aceto lattato sintasi tabacco
DuPont
dfr (diidroflavonone
reduttasi) bp40
(flavonoide 3’ 5’
reduttasi) surB
(acetolattato sintetasi)
dfr, hfl, surB
Florigene
Europa B.V.
Olanda,
1997
garofano
Australia,
1995
garofano
Australia,
1995
garofano
USA, 1999
patata
USA, 1995
pomodoro
USA, 1996
mais
Dianthus
(959A, 988A,
modificazione del
caryophyllus
1226A,
colore dei fiori
L.
1351A,
1363A,
1400A)
Dianthus
(4,11,15,16)
modificazione del
caryophyllus
colore dei fiori
L.
Dianthus
(linea 66) incremento vita in vaso
caryophyllus
L.
RBMT15-101, resistenza ai coleotteri+
SEMT15-02,
PVY resistenza
SEMT15-15
Lycopersicon
8338
alterazione della
esculentum
maturazione
acc, surB
Florigene Pty,
Florigene
Europa B.V.
Florigene Pty,
Florigene
Europa B.V.
Tipo di autorizzazioni,
paese e anno
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1996
Alimentazione umana:
USA (FDA), 1996
Rilascio nell’ambiente:
EU, 1998
Commercio: EU, 1998
Rilascio nell’ambiente:
Australia, 1995/ EU, 1998
Commercio: EU, 1997
Rilascio nell’ambiente:
Australia,1995/ EU, 1998
Commercio: Australia,
1995/ EU, 1998
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1999
99
Solanum
tuberosum
proteina di superficie
PVY/Cry1IIIA(Btt)/NTII
Monsanto
Monsanto
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1995
Zea mays
Acc deaminasipseudomonas clororafis
/NPTII- E.coli
CryIA (b) - Btk/
glifosato ossidoriduttasi/
EPSPS- agrobacterium/
NPTII-E.coli
Monsanto
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1997/
Canada, 1998/
Argentina
Commercio: Canada,
1998
Alimentazione umana:
USA (FDA), 1998
Alimentazione animale:
Canada, 1998
GA21
toll. al glifosato
(segue)
(segue)
100
Paese ed
anno notifica
Nome
organismo
Nome sc.
Organismo
OECD
Record Number
Tratto
Gene
Istituto/società
notificante
Tipo di autorizzazioni,
paese e anno
USA, 1994
soia
Glycine max
40-3-2
toll. al glifosato
CP4 EPSPS, CPT4
Monsanto
USA, 1999
rapa
Brassica
rapa
RT73
toll. al glifosato
Monsanto
USA, 1996
mais
Zea mays
MON802
toll. al glifosato+
resistenza ai lepidotteri
EPSPS- agrobacterium/
glifosato ossidoriduttasi
- acromobacter
CryIA(b)- Btk/
glifosato ossidoriduttasi
- acromobacter/EPSPSagrobacterium/NPTIIE.coli
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1994/
UK/ Canada, 1995/ EU,
1996/ Argentina e
Giappone 1996/
Messico
Commercio: Argentina/
EU, 1996
Alimentazione umana:
USA (FDA), UK, Messico,
Argentina, Canada, EU e
Giappone, 1996/
Svizzera/ Messico
Alimentazione animale:
USA, UK e Canada,
1995/ EU e Giappone,
1996/ Svizzera/
Argentina/ Messico
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1999
Monsanto
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA) e Canada
1997
Alimentazione umana:
USA (FDA), 1996/
Canada, 1997
Alimentazione animale:
Canada, 1997
(segue)
(segue)
Paese ed
anno notifica
Nome
organismo
Nome sc.
Organismo
OECD
Record Number
Tratto
Gene
Istituto/società
notificante
Tipo di autorizzazioni,
paese e anno
USA 1995
mais
Zea mays
MON810
resistenza ai lepidotteri
CryIA-Btk/EPSPS/
NPTII-E.coli
Monsanto
USA, 1995
mais
Zea mays
MON 80100 resistenza ai lepidotteri
CryIA-Btk/EPSPS/
Glyphosato
ossidoreduttasi
Monsanto
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1996/
Giappone, 1996/ Canada,
1997/ EU, 1998/
Argentina/ Sudafrica
Alimentazione umana:
USA (FDA), 1996/
Canada, 1997/ Giappone,
1997/ UK/ Argentina/
S. Africa
Alimentazione animale:
Canada, 1997/ Giappone,
1997/ Svizzera/
Argentina/ S. Africa
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1995
Canada,
1997
USA, 1995
mais
Zea mays
MON 832
toll. al glifosato
mais
Zea mays
Event 176
resistenza ai lepidotteri
Bt (Cry1A(b)), PAT
Monsanto
Canada
Novartis
101
Alimentazione umana:
Canada, 1997
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1995/
Giappone, 1996/ Canada,
1996/ EU, 1997/
Argentina
Commercio: EU, 1996
Alimentazione umana:
USA (FDA), 1995/
Canada, 1995/ Giappone,
1996/ UK/ Danimarca/
Olanda/ Svizzera/
Argentina
Alimentazione animale:
Giappone, 1996/
Canada,1996/ Olanda/
Svizzera
(segue)
(segue)
Paese ed
anno notifica
Nome
organismo
Nome sc.
Organismo
OECD
Record Number
Tratto
Gene
Istituto/società
notificante
USA, 1996
mais
Zea mays
Bt 11
toll. alla fosfinotricina
+resistenza ai lepidotteri
CryIA (b) - Btk, PAT
Novartis
Canada
USA, 1998
mais
Zea mays
676, 678,
680
Maschio sterilità+
toll. alla fosfinotricina
DNA adenina metilasi
- E.coli/PAT - S.
viridochromogenes
Pioneer
Canada,
1996
mais
Zea mays
MON 809
toll. al glifosato+
resistenza kanamicina
+resistenza lepidotteri
USA, 1996
mais
Zea mays
MS3
maschio sterilità+
toll. alla fosfinotricina
Tipo di autorizzazioni,
paese e anno
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1996/
Canada, 1996/
Giappone, 1996/ EU
Alimentazione umana:
USA (FDA)/ Giappone,
1996/ Canada, 1996/
UK/ Svizzera
Alimentazione animale:
Canada, 1996/
Giappone, 1996/ UK/
Svizzera
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1998
Pioneer
Hi-Bred
Bba/PAT
102
Rilascio nell’ambiente:
Canada, 1996/USA (FDA),
1996/ Giappone, 1997
Alimentazione umana:
USA (FDA), 1996/
Canada, 1996/ UK,
1997
Alimentazione animale:
Canada, 1996/ USA
(FDA), 1996/ UK,
1997/ Giappone, 1997
Plant genetic Rilascio nell’ambiente:
system
USA (USDA), 1996/
Canada, 1996
Alimentazione umana:
USA (FDA), 1996/
Canada, 1997
Alimentazione animale:
Canada, 1998
(segue)
(segue)
Paese ed
anno notifica
103
Nome
organismo
Nome sc.
Organismo
OECD
Record Number
Tratto
Gene
Istituto/società
notificante
Canada,
1996
mais
Zea mays
MEXP1910IT
toll. all’imazethapyr
mutazione indotta
con breeding
Zeneca
Canada,
1994
mais
Zea mays
PHI-CORNIMI-IR
toll. all’imidazolinone
modificazione
dell’acetolattato sintasi
tramite mutagenesi
Pioneer
Hi-Bred
Canada
1996
colza
Brassica
napus L.
Oxy 235
toll. al bromoxynil
gene della Klebsiella
pneumoniae cod. la
nitrilasi che idrolizza
ioxynil e broxynil
Rhone
Poulenc
Canada
Giappone,
1997
colza
Brassica
napus L.
PHY36
toll. alla fosfinotricina
Bar, maschio sterilità,
restauro fertilità, NPTII
Plant
genetic
system
Giappone,
1997
colza
Brassica
napus L.
PHY14,
PHY35
toll. alla fosfinotricina
Bar, maschio sterilità,
restauro fertilità, NPTII
Plant
genetic
system
Canada,
1995
colza
Brassica
napus L.
PHI-CANIMI-IR
toll. all’imidazolinone
modificazione di geni
appartenti al
multigene ALS
Pioneer
Hi-Bred
Tipo di autorizzazioni,
paese e anno
Rilascio nell’ambiente:
Canada, 1996
Alimentazione umana:
Canada, 1997
Alimentazione animale:
Canada, 1996
Rilascio nell’ambiente:
Canada, 1996
Alimentazione umana:
Canada, 1998
Alimentazione animale:
Canada, 1996
Rilascio nell’ambiente:
Canada, 1997
Alimentazione umana:
Canada, 1997
Alimentazione animale:
Canada,1997
Rilascio nell’ambiente:
Giappone, 1997
Alimentazione umana:
Giappone, 1997
Alimentazione animale:
Giappone, 1997
Rilascio nell’ambiente:
Giappone, 1997
Alimentazione umana:
Giappone, 1997
Alimentazione animale:
Giappone, 1998
Rilascio nell’ambiente,
alimentazione umana e
alimentazione animale:
Canada, 1995
(segue)
(segue)
Paese ed
anno notifica
104
Nome
organismo
Nome sc.
Organismo
OECD
Record Number
Tratto
Gene
Istituto/società
notificante
Tipo di autorizzazioni,
paese e anno
Canada,
1995
colza
Brassica
napus L.
GT73
EPSPS, toll. al glifosato
glifosato ossidoriduttasi
(roundup ready)
Monsanto
Canada
Canada,
1996
colza
Brassica
napus L.
GT200
toll. al glifosato
geni Round ready
Monsanto
Canada
Canada,
1997
rapa
Brassica
rapa
ZSR500,
ZSR502,
ZSR503
toll. al glifosato
incrocio con Brassica
napus GT73 (GM)
Monsanto
Canada
USA, 1998
patata
Solanum
tuberosum
CryIIIA-Btt/OFR 1 e 2
- PLRV/NptII
Monsanto
Rilascio nell’ambiente:
Canada, 1995/
Giappone, 1996/
Alimentazione umana:
Canada, 1994/ USA
(FDA), 1995/ Giappone,
1996
Alimentazione animale:
Canada, 1995/
Giappone, 1996
Rilascio nell’ambiente:
Canada, 1996
Alimentazione umana:
Canada, 1997
Rilascio nell’ambiente,
alimentazione umana e
alimentazione animale:
Canada, 1997
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1998
USA, 1996
patata
Solanum
tuberosum
CryIIIA, NptII
Monsanto
RBMT21-129,
maschio sterilità+
RBMT21-350 resistenza al coleottero
del Colorado+PLVR
resistenza
SBT02-5,
Resistenza ai coleotteri
ATBT04-6,
ATBT04-27,
ATBT04-30,
ATBT04-31,
ATBT04-36
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1996/
Canada, 1997
Alimentazione umana:
Canada, 1996/
Giappone, 1997
Alimentazione animale:
Canada, 1997
(segue)
(segue)
Paese ed
anno notifica
Nome
organismo
Nome sc.
Organismo
OECD
Record Number
Tratto
Gene
Istituto/società
notificante
USA, 1995
patata
Solanum
tuberosum
BT06,10,12, resistenza ai coleotteri
16,17,18, 23
CryIIIA, NptII (Btt,
resistenza kanamicina)
Monsanto
USA, 1995
pomodoro
Lycopersicon
esculentum
B, Da, F
alterazione della
maturazione
poligalattorunasi/
NPTII-E.coli
Zeneca
USA, 1998
pomodoro
Lycopersicon
esculentum
5345
resistenza ai lepidotteri
CryIA (c) - Btk/NPtII
Monsanto
USA, 1995
cotone
Gossypium
sp.
1445,1698
toll. al glifosato
EPSPS A. tumefaciens
(toll. glifosato)
(kanamicina e
neomicina resistenza
(NPTII-E.coli)
Monsanto
Tipo di autorizzazioni,
paese e anno
105
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1995/
Canada, 1995
Alimentazione umana:
USA (FDA), 1996/
Canada, 1995/
Giappone, 1996
Alimentazione animale:
Canada, 1995
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1995
Alimentazione umana:
USA (FDA) e Canada,
1996
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1998
Alimentazione umana:
USA (FDA)
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1995/
Canada, 1996/
Giappone, 1997/
Australia, 1998/
Argentina (solo 1445)
Alimentazione: USA
(FDA), 1995/ Canada,
1996/ Giappone, 1997
Alimentazione animale:
Canada, 1997/
Giappone, 1998
(segue)
(segue)
106
Paese ed
anno notifica
Nome
organismo
Nome sc.
Organismo
OECD
Record Number
Tratto
Gene
Istituto/società
notificante
Tipo di autorizzazioni,
paese e anno
USA, 1995
cotone
Gossypium
sp.
531, 757,
1076
resistenza ai lepidotteri
Bt (CryIA ( c )-Btk/
aminoglicoside 3’
adeniltransferasi-E.coli/
SM-NPTII-E.coli
Monsanto
GTSB77
toll. al glifosato
EPSPS- agrobacterium
/beta glucuronidasi
Novartis
Nicotiana
tabacum L.
Linum
usitatissimum
PBD6-238-2
toll. all’oxynil
SEITA
CDC Triffid
toll. alla solfonilurea
nitrilase -Klebsiella
ozaenae
aceto lattato sintasi A. thaliana/nopalina
sintasi/NPTII
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), UK,
Australia e Canada,
1996/ Giappone, 1997/
Argentina, Cina, S. Africa
e Messico (solo 531)
Alimentazione umana:
USA (FDA), 1995/
Canada, 1996/
Giappone, 1997
Alimentazione animale:
Canada, 1996/
Giappone, 1997
Rilascio nell’ambiente:
USA (USDA), 1998
Alimentazione umana:
USA (FDA)
Commercio: EU
Cucurbita
pepo
ZW20
resistenza al
WMV2/ZYMV
proteine di superficie
WMV2 e ZYMV
USA, 1998
Francia,
1994
Canada,
1996
USA, 1994
barbabietola Beta vulgaris
da zucchero
tabacco
lino
zucca
Un. of
Rilascio nell’ambiente:
Saskatchewan USA (USDA), 1998/
Canada, 1996
Alimentazione umana :
USA (FDA), 1998/
Canada, 1998
Alimentazione animale:
Canada, 1996
Upjohn,
Rilascio nell’ambiente:
Seminis
USA (USDA), 1994
Vegetables Alimentazione umana:
USA (FDA), 1997/
Canada, 1998
6. LA SITUAZIONE IN ITALIA
6.1 Presentazione delle sperimentazioni attuate in Italia a partire dalle notifiche
In Italia le prime autorizzazioni alla sperimentazione di piante geneticamente modificate sono state concesse nel 1992. Le notifiche per ottenere il permesso di sperimentazione in Italia sono depositate presso il Ministero della Sanità e sono riportate
anche in sede europea.
Si precisa che, in seguito ad autorizzazione rilasciata dall’autorità presso cui la notifica è depositata, per ogni notifica possono essere effettuate sperimentazioni in diversi
siti e per più anni; è anche possibile che colture autorizzate non vengano poi effettivamente messe in campo. Il numero di notifiche, quindi, non è indice delle effettive
colture sperimentate sul territorio; la notifica è soltanto il documento necessario da presentare presso l’autorità competente di ogni stato per ottenere il permesso di effettuare la sperimentazione in campo.
È previsto, comunque, che per ogni cambiamento che si effettui in campo rispetto alle indicazioni riportate in notifica (es. ettari occupati dalla sperimentazione, tipologia
di sperimentazione, azienda agricola interessata, ecc.) si effettui una comunicazione
presso l’Autorità competente. A fine sperimentazione il notificante deve presentare
una relazione finale alla Commissione competente. A partire dall’anno 2000, per garantire un maggior controllo delle sperimentazioni pluriennali, la Commissione ha
inoltre richiesto la presentazione da parte del notificante di relazioni annuali.
Data la difficoltà di reperimento e di validazione dei dati raccolti, le elaborazioni rimangono comunque sempre suscettibili di correzioni e aggiornamenti.
In Tabella 6.1, aggiornata al 2003, sono riportate le specie geneticamente modificate, il numero di notifiche relative presentate (il numero di notifiche e non il numero effettivo di sperimentazioni realmente effettuate) e la tipologia della modificazione genetica introdotta.
107
Tabella 6.1: Piante geneticamente modificate per cui è stata depositata la notifica in Italia (fonte Ministero
della Salute, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio).
Nome scientifico
Osteospermum ecklonis
Calendola
Numero di
notifiche
9
Actinidia deliciosa var.
deliciosa cv Hayward
Beta vulgaris
Kiwi
3
Barbabietola da
zucchero
Colza
42
Cichorium intybus
Cicoria
12
Citrullus lanatus
Anguria
1
Cucumis melo
Melone
1
Zucchino
Fragola
3
4
Fragola
4
Soia
Lattuga
4
1
Pomodoro
47
Tabacco
2
Olea europea
Olivo
2
Oryza sativa
Riso
8
Prunus avium
Ciliegia
3
Rubus idaeus
Lampone
1
Melanzana
9
Brassica napus
Cucurbita pepo
Fragaria Fragaria x
Fragaria ananassa
Fragaria vesca
Glycine max
Lactuca sativa
Lycopersicon esculentum
Nicotiana tabacum
Solanum melongena
Nome comune
3
Modificazione
genetica ricercata
Modifica delle caratteristiche
morfologico/produttive
- Resistenza ai virus
Modifica delle caratteristiche
morfologico/produttive
Tolleranza a erbicidi - Produzione
di fruttani - Resistenza a virus
Tolleranza a erbicidi - Modifica
delle caratteristiche
morfologico/produttive
Tolleranza agli erbicidi - Modifica
delle caratteristiche
morfologico/produttive
Modifica delle caratteristiche
morfologico/produttive
Modifica delle caratteristiche
morfologico/produttive
Resistenza a virus
Modifica delle caratteristiche
morfologico/produttive
Modifica delle caratteristiche
morfologico/produttive
Tolleranza a erbicidi
Modifica delle caratteristiche
morfologico/produttive
Resistenza a virus Resistenza a parassiti Tolleranza ad erbicidi Modifica delle caratteristiche
morfologiche
Resistenza a funghi Sintesi di glucocerebrosidi
Modifica delle caratteristiche
morfologico/produttive
Resistenza a insetti Tolleranza a erbicidi
Modifica delle caratteristiche
morfologico/produttive
Modifica delle caratteristiche
morfologico/produttive
Resistenza agli insetti (Bt) Modifica delle caratteristiche
morfologico/produttive
(segue)
108
(segue)
Nome scientifico
Nome comune
Patata
Numero di
notifiche
7
Frumento duro
3
Frumento
Uva
1
1
Zea mays
Mais
98
Limonium
Otolepis
3
Pelargonium odoratissimum
Geranio
1
Solanum tuberosum
Triticum durum
Triticum aestivum
Vitis vinifera europaea
Modificazione
genetica ricercata
Modifica delle caratteristiche
morfologico/produttive Resistenza ad insetti
Modifica delle caratteristiche
morfologico/produttive
Resistenza a funghi
Modifica delle caratteristiche
morfologico/produttive
Resistenza a insetti Resistenza a virus Tolleranza a erbicidi
Modifica delle caratteristiche
morfologico/produttive
Modifica delle caratteristiche
morfologico/produttive
Nelle tabelle 6.2, 6.3, 6.4, 6.5 e 6.6 si riportano, rispettivamente per gli anni 1999,
2000, 2001, 2002 e 2003 le superfici provinciali totali occupate da ogni sperimentazione, il numero di sperimentazioni in atto, la coltura prevalente e la superficie occupata dalla coltura prevalente per ogni provincia. Da tali tabelle sono ricavate le figure 6.1, 6.2, 6.3, 6.4 e 6.5 che rappresentano la distribuzione sul territorio italiano
delle sperimentazioni OGM. Le tabelle 6.7, 6.8 e 6.9 riassumono la situazione dal
1999 al 2003 riportando il numero di regioni, il numero di province, la superficie totale occupata da sperimentazioni e, per ogni specie vegetale sperimentata, il tipo di
modificazione genetica introdotta.
Tabella 6.2: Sperimentazioni anno 1999 (fonte dati Ministero della Salute, elab. APAT).
Regione
Provincia
Superficie
provinciale
interessata da
sperimentazioni
(m2)
Rapporto %
Numero di
tra sup.
sperimentazioni
provinciale e
sup. nazionale
interessate da
sperimentazioni
Coltivazione
prevalente
% sup.
coltivazione
prevalente su
tot. superficie
provinciale
interessata da
sperimentazioni
BASILICATA
MT
1.816
0,11%
1
Melanzana
100%
CAMPANIA
SA
2.616
0,15%
4
Melanzana
69,40%
EMILIA
ROMAGNA
BO
FE
FO
15.440
24.364
24.000
0,90%
1,42%
1,40%
23
15
1
Bietola
Soia
Bietola
59,20%
47,20%
100%
MO
PC
960
500
0,06%
0,03%
1
1
Bietola
Mais
100%
100%
(segue)
109
(segue)
Regione
Provincia
Superficie
provinciale
interessata da
sperimentazioni
(m2)
Rapporto %
Numero di
tra sup.
sperimentazioni
provinciale e
sup. nazionale
interessate da
sperimentazioni
Coltivazione
prevalente
PR
RA
1.000
55.000
0,06%
3,21%
1
5
Bietola
Bietola
% sup.
coltivazione
prevalente su
tot. superficie
provinciale
interessata da
sperimentazioni
100%
98,20%
FRIULI VENEZIA
GIULIA
PN
UD
6.432
13.000
0,38%
0,76%
2
3
Soia
Mais
93,30%
92,30%
LAZIO
LT
VT
8.260
5.600
0,48%
0,33%
7
11
Mais
Kiwi
72,60%
45,30%
LIGURIA
LOMBARDIA
SV
BG
BS
CR
LO
MI
MN
PV
500
3.820
6.864
514.024
15.932
2.632
874.092
7.752
0,03%
0,22%
0,40%
30,03%
0,93%
0,15%
51,07%
0,45%
1
8
3
22
6
2
9
4
Pomodoro
Bietola
Mais
Mais
Mais
Mais
Mais
Mais
100%
52,40%
100%
99,40%
93,70%
100%
99,90%
83%
MARCHE
AN
AP
2.200
3.886
0,13%
1,23%
2
4
Bietola
Melanzana
100%
85,30%
MOLISE
CB
480
0,03%
1
Bietola
100%
PIEMONTE
CN
NO
TO
VC
7.932
482
240
1.200
0,46%
0,03%
0,01%
0,07%
4
2
1
1
Mais
Mais
Bietola
Riso
100%
89,60%
100%
100%
PUGLIA
FG
960
0,06%
2
Bietola
100%
TOSCANA
FI
305
0,02%
1
Bietola
da zucchero
100%
TRENTINO
ALTO ADIGE
BZ
1.000
0,06%
1
Soia
100%
VENETO
PD
RO
TV
VE
VI
VR
42.032
6.160
13.932
25.932
7.301
13.000
2,46%
0,36%
0,81%
1,52%
0,43%
0,76%
11
3
4
6
6
3
Bietola
Mais
Soia
Soia
Mais
Mais
47,60%
100%
53,80%
52,10%
100%
100%
Totale nazionale
110
1.711.646
182
Tabella 6.3: Sperimentazioni anno 2000 (fonte dati Ministero della Salute, elab. APAT).
Regione
Provincia
Superficie
provinciale
interessata da
sperimentazioni
(m2)
BASILICATA
MT
5.000
12,86%
CAMPANIA
SA
400
1,03%
EMILIA
ROMAGNA
BO
PC
1.901
40
LAZIO
VT
LIGURIA
IM
LOMBARDIA
CR
MARCHE
AN
PUGLIA
FG
SICILIA
RG
1.800
4,63%
1
Vite
100%
VENETO
PD
20.000
51,44%
2
Bietola
100%
Totale nazionale
Rapporto %
Numero di
tra sup.
sperimentazioni
provinciale e
sup. nazionale
interessate da
sperimentazioni
Coltivazione
prevalente
% sup.
coltivazione
prevalente su
tot. superficie
provinciale
interessata da
sperimentazioni
1
Pomodoro
100%
1
Pomodoro
100%
4,89%
0,10%
4
2
Mais
Riso
57,90%
100%
5.600
14,40%
11
Kiwi
45,30%
1.650
4,24%
9
Dimorfoteca
63,60%
1.036
2,66%
2
Mais
100%
750
1,93%
3
Fragola
40%
500
1,80%
2
Frumento
100%
38.677
38
Tabella 6.4: Sperimentazioni anno 2001 (fonte dati Ministero della Salute, elab. APAT).
Regione
Provincia
Superficie
provinciale
interessata da
sperimentazioni
(m2)
Rapporto %
Numero di
tra sup.
sperimentazioni
provinciale e
sup. nazionale
interessate da
sperimentazioni
BASILICATA
MT
3.460
17,17%
LAZIO
VT
5.600
27,79%
Coltivazione
prevalente
% sup.
coltivazione
prevalente su
tot. superficie
provinciale
interessata da
sperimentazioni
3
Colza
57,2%
11
Kiwi
42,9%
89,9%
RM
5.340
26,50%
3
Ginestrino
LIGURIA
IM
200
0,99%
1
Limonium
100%
MARCHE
AN
2.350
11,66%
3
Vite
76,6%
PUGLIA
FG
500
2,48%
2
Frumento
100%
PIEMONTE
NO
100
0,49%
1
Riso
100%
UMBRIA
PG
2.600
12,90%
1
Ginestrino
100%
Totale nazionale
20.150
25
111
Tabella 6.5: Sperimentazioni anno 2002 (fonte dati Ministero della Salute, elab. APAT).
Regione
Provincia
Superficie
provinciale
interessata da
sperimentazioni
(m2)
BASILICATA
MT
3.460
18,81%
3
LAZIO
VT
5.300
28,81%
LIGURIA
IM
200
1,09%
LOMBARDIA
BG
1.440
MARCHE
Rapporto %
Numero di
tra sup.
sperimentazioni
provinciale e
sup. nazionale
interessate da
sperimentazioni
Coltivazione
prevalente
% sup.
coltivazione
prevalente su
tot. superficie
provinciale
interessata da
sperimentazioni
Colza
57,2%
10
Kiwi
45,3%
1
Limonium
100%
7,83%
4
Mais
100%
100%
CR
5.000
27,8%
1
Tabacco
LO
30
0,16%
1
Frumento
100%
AN
2.350
12,77%
3
Vite
76,6%
PUGLIA
FG
500
2,72%
2
Frumento
100%
PIEMONTE
NO
100
0,54%
1
Riso
100%
VC
18
0,10%
2
Riso
100%
Totale nazionale
18.398
28
Tabella 6.6: Sperimentazioni anno 2003 (fonte dati Ministero della Salute, elab. APAT).
Regione
Provincia
Superficie
provinciale
interessata da
sperimentazioni
(m2)
BASILICATA
MT
3.460
29,33%
LAZIO
VT
5.150
44,55%
MARCHE
AN
2.350
20,33%
PIEMONTE
NO
100
0,87%
PUGLIA
FG
500
4,33%
2
Totale nazionale
112
11.560
Rapporto %
Numero di
tra sup.
sperimentazioni
provinciale e
sup. nazionale
interessate da
sperimentazioni
Coltivazione
prevalente
% sup.
coltivazione
prevalente su
tot. superficie
provinciale
interessata da
sperimentazioni
3
Colza
57,23%
9
Kiwi
46,60%
3
Vite
76,60%
1
Riso
100,00
Frumento duro
100,00
18
Figura 6.1: Numero di sperimentazioni per provincia (1999-2000)
113
Figura 6.2: Classi di superficie per provincia (1999-2000)
114
Figura 6.3: Numero di sperimentazioni per provincia (2001-2002)
115
Figura 6.4: Classi di superficie per provincia (2001-2002)
116
Figura 6.5: Numero di sperimentazioni e classi di superficie per provincia (2003)
117
Tabella 6.7: Tabelle riassuntive per gli anni 1999 e 2000 (fonte dati Ministero della Salute, elab. APAT).
Tabella riassuntiva 1999
Tabella riassuntiva 2000
118
N° regioni
interessate da
sperimentazioni
14
N° regioni
interessate da
sperimentazioni
10
N° province
interessate da
sperimentazioni
37
N° province
interessate da
sperimentazioni
11
M2 di territorio
nazionale
interessati da
sperimentazioni
1.711.646
M2 di territorio
nazionale
interessati da
sperimentazioni
38.677
Specie vegetale
Tipo di
modificazione
Superifice
interessata dalla
sperimentazione
Rapporto% tra
sup suddivisa per
coltura e tipo di
modificazione e sup
totale interessata
da sperimentazione
Specie vegetale
Bietola
Pr
Re E
Re E, Re A
305
31.500
93.880
0,02%
1,84%
5,48%
Bietola
Ciliegio
Pr
1.400
0,08%
Ciliegio
Fragola
Pr
Re P, Re A
150
150
0,009%
0,009%
Dimorfoteca
Kiwi
Pr, Re A
Pr
1.300
200
0,07%
0,01%
Re P
900
0,05%
Mais
Re E
49.253
2,88%
Re E, Re P
Re P
Re P, Re A
700
9.600
1.447.400
0,04%
0,56%
84,56%
Tipo di
modificazione
Superifice
interessata dalla
sperimentazione
Rapporto% tra
sup suddivisa per
coltura e tipo di
modificazione e sup
totale interessata
da sperimentazione
Re E, Re A
Pr, Re A
Re E
800
10.000
10.000
2,07%
25,86%
25,86%
Pr
1.400
3,62%
Pr, Re A
Pr
250
800
0,65%
2,07%
Fragola
Pr
Re P, Re A
650
150
1,68%
0,39%
Frumento
Re E, Re A
100
0,26%
Pr, ReA
400
1,03%
Pr, Re A
Pr
Re P
1.300
200
900
3,36%
0,52%
2,33%
Kiwi
(segue)
(segue)
Specie vegetale
Melanzana
Tipo di
modificazione
Superifice
interessata dalla
sperimentazione
Rapporto% tra
sup suddivisa per
coltura e tipo di
modificazione e sup
totale interessata
da sperimentazione
Re P
5.448
0,32%
Lampone
Limonium
Pr
1.500
0,09%
Pr
600
0,03%
Re V
Re V, Re A
750
1.740
0,04%
0,1%
Riso
Re E
2.570
0,15%
Soia
Re E
61.100
3,57%
Ulivo
Pr
600
0,03%
Re P, Re A
600
0,03%
Melone
Pomodoro
Specie vegetale
Tipo di
modificazione
Superifice
interessata dalla
sperimentazione
Rapporto% tra
sup suddivisa per
coltura e tipo di
modificazione e sup
totale interessata
da sperimentazione
Pr, Re A
250
0,65%
Pr
200
0,52%
Pr, Re A
400
1,03%
Re E, Re A
Re E, Re P
1.036
65
2,68v
0,17%
Re P
1.036
2,68%
Re V, Re A
5.400
13,96%
Pr, Re A
300
0,78%
Riso
Re E, Re A, Re P
40
0,1%
Ulivo
Pr
Re P, Re A
600
600
1,55%
1,55%
Vite
Pr
1.800
4,65%
Mais
Pomodoro
Legenda
Re = resistenza; E = erbicidi; A = antibiotici; P = parassiti; V = virus; Pr = modifica delle caratteristiche produttive
119
Tabella 6.8: Tabelle riassuntive per gli anni 2001 e 2002 (fonte dati Ministero della Salute, elab. APAT).
Tabella riassuntiva 2001
Tabella riassuntiva 2002
120
N° regioni
interessate da
sperimentazioni
7
N° regioni
interessate da
sperimentazioni
7
N° province
interessate da
sperimentazioni
8
N° province
interessate da
sperimentazioni
10
M2 di territorio
nazionale
interessati da
sperimentazioni
20.150
M2 di territorio
nazionale
interessati da
sperimentazioni
18.398
Specie vegetale
Ciliegio
Tipo di
modificazione
Superifice
interessata dalla
sperimentazione
Rapporto% tra
sup suddivisa per
coltura e tipo di
modificazione e sup
totale interessata
da sperimentazione
Specie vegetale
Pr
1400
6.95%
Ciliegio
Re P
1980
9.83%
Colza
Fragola
Pr
Pr, Re A
Re P A
150
300
150
0.74%
1.49%
0.74%
Frumento
Pr, Re A
Re E A
400
100
1.99%
0.50%
Ginestrino
Pr, Re A
7400
36.72%
Kiwi
Pr
Pr, Re A
Re P
200
1300
900
0.99%
6.45%
4.47%
Lampone
Pr, Re A
250
Lattuga
Pr, Re A
Limone
Pr, Re A
Colza
Tipo di
modificazione
Superifice
interessata dalla
sperimentazione
Rapporto% tra
sup suddivisa per
coltura e tipo di
modificazione e sup
totale interessata
da sperimentazione
Pr
1400
7.6%
Re P
1980
10.76%
Fragola
Pr
Pr, Re A
Re P A
150
300
150
0.81%
1.63%
0.81%
Frumento
Pr, Re A
Re E A
400
100
2.17%
0.54%
Re E P
30
0.16%
Kiwi
Pr
Pr, Re A
Re P
200
1300
900
1.09%
7.06%
4.89%
1.24%
Lampone
Pr, Re A
250
1.36%
340
1.69%
Limone
Pr, Re A
200
1.09%
200
0.99%
Mais
Pr, Re A
1080
5.87%
(segue)
(segue)
Specie vegetale
Tipo di
modificazione
Superifice
interessata dalla
sperimentazione
Rapporto% tra
sup suddivisa per
coltura e tipo di
modificazione e sup
totale interessata
da sperimentazione
Specie vegetale
Tipo di
modificazione
Superifice
interessata dalla
sperimentazione
Rapporto% tra
sup suddivisa per
coltura e tipo di
modificazione e sup
totale interessata
da sperimentazione
Mais
Re P
200
0.99%
Re E P
360
1.95%
Melanzana
Re P
1180
5.86%
Melanzana
Re P
1180
6.41%
Patata
Re P
300
1.49%
Patata
Re P
300
1.63%
Riso
0.59%
Pomodoro
Re P
300
1.49%
Riso
Re E P
100
0.50%
Ulivo
Pr
600
2.98%
Tabacco
Re P A
600
2.98%
Ulivo
Pr
1800
8.93%
Vite
Vite
Re E P
109
Re P A
9
0.05%
Pr
5000
27.18%
Pr
600
3.26%
Re P A
600
3.26%
Pr
1800
9.78%
Legenda
Re = resistenza; E = erbicidi; A = antibiotici; P = parassiti; V = virus; Pr = modifica delle caratteristiche produttive
121
Tabella 6.9: Tabella riassuntiva 2003 (fonte dati Ministero dell’Ambiente, elab. APAT).
Tabella riassuntiva 2003
N° regioni interessate
da sperimentazioni
5
N° province interessate
da sperimentazioni
5
11.560
M2 di territorio nazionale
interessati da
sperimentazioni
Specie vegetale
Tipo di modificazione
Superifice interessata
dalla sperimentazione
Pr
Re P
Pr
Pr, Re A
Pr, Re A
Re E, Re A
Pr
Pr, Re A
Re P
Pr, Re A
Re P
Re P
Re E, Re P
Pr
Re P, Re A
Pr
1400
1980
150
300
400
100
200
1300
900
250
1180
300
100
600
600
1800
Ciliegio
Colza
Fragola
Frumento duro
Kiwi
Lampone
Melanzana
Patata
Riso
Ulivo
Vite
Rapporto% tra sup
suddivisa per coltura e
tipo di modificazione e
sup totale interessata
da sperimentazione
12.11%
17.13%
1.30%
2.60%
3.46%
0.87%
1.73%
11.25%
7.79%
2.16%
10.21%
2.60%
0.87%
5.19%
5.19%
9.78%
Legenda
Re = resistenza; E = erbicidi; A = antibiotici; P = parassiti; V = virus; Pr = modifica delle caratteristiche produttive
6.2 Schede relative alle PGM maggiormente sperimentate in Italia
6.2.1 Barbabietola da zucchero
Caratteristiche generali
Caratteri botanici
Famiglia
Genere
Specie
Chenopodiaceae
Beta
vulgaris ssp. vulgaris var. saccharifera
Nome comune barbabietola da zucchero
122
Al genere Beta appartengono diverse specie che possono essere raggruppate in quattro sezioni (n=9 cromosomi):
Sezione I: Vulgares – vulgaris subsp. vulgaris (2n), vulgaris subsp. maritima (2n), patula (2n), atripicifolia (2n), adanensis;
Sezione II: Corollinae – macrorizha (2n), trygina (6n), foliosa (2n),lomatogona (2n e
4n), corolliflora;
Sezione III: Nanae – nana (2n);
Sezione IV: Patellares – patellaris (4n), procumbens (2n), webbiana (2n).
Il progenitore di B. vulgaris ssp. vulgaris è la ssp. maritima, ampiamente diffusa in Europa ed Asia.
Morfologia
La barbabietola è caratterizzata da una grande variabilità sia fisiologica che morfologica tra le cultivar.
Pianta biennale con foglie picciolate disposte in verticilli, glabre, ovate o cordate, di
colore verde più o meno intenso. Portamento procombente od eretto.
Nel secondo anno sullo scapo fiorale di altezza variabile (1,2 - 1,8 m) le foglie sono
più piccole e lanceolate.
Fiori piccoli, numerosi, riuniti in glomeruli bi-tretraflori disposti all’ascella di foglie allungate.
Il frutto (glomerulo), è di forma rotondeggiante, rugoso e grinzoso, costituito da frutti
saldati insieme che racchiudono il seme. I semi nel glomerulo sono da 1 a 6.
Nelle cultivar monogerme genetico il glomerulo, costituito da un solo frutto, è lenticolare a forma di stella con un solo seme.
La fioritura avviene di norma al secondo anno ma non sono infrequenti le prefioriture a carico di individui portatori del gene dominante dell’annualità.
La radice è di tipo fittonante, conica, allungata, di colore grigio-giallastro, a polpa
biancastra, con funzioni di assorbimento e tessuto di riserva. A differenza della maggior parte delle specie la barbabietola accumula le riserve di carboidrati non come
amido ma come saccarosio.
La proterandria impedisce la fecondazione fra organi dello stesso fiore per cui si ha allogamia tra fiori diversi della stessa pianta o tra fiori di piante diverse. La fioritura può durare 30-40 giorni sulla stessa pianta e si verifica nelle ramificazioni dal basso verso l’alto.
Ogni antera produce circa 17.000 granuli di polline e perciò in ogni fiore se ne avrebbero circa 85.000. Il polline è sferico di grandi dimensioni, leggero e rivestito da una
membrana resistentissima che gli permette di conservare la vitalità per molto tempo.
E’ trasportato principalmente per via anemofila fino a distanze di qualche chilometro
ma anche dagli insetti pronubi che sono attratti dal forte profumo del fiore e dall’abbondante nettare. Tra l’impollinazione e la fecondazione intercorrono 10-12 ore, do-
123
podiché i fiori di uno stesso gruppo cominciano a saldarsi per formare un’unica infruttescenza (glomerulo).
Ecologia
La barbabietola, anche se si adatta bene a diverse condizioni climatiche, preferisce i
climi temperati e sopporta bene anche le basse temperature. Si sviluppa bene in terreni diversi ma preferisce i terreni profondi, friabili, ben drenati, ricchi in materia organica e poveri in argilla. L’optimum di pH varia da 6.0 a 6.8. Dopo la fase di germinazione è in grado di tollerare la salinità.
La scarsità di disponibilità idrica limita lo sviluppo della pianta e l’accumulo di zuccheri e di conseguenza nelle regioni meridionali è necessario intervenire durante la
coltura con l’irrigazione.
Coltivazione ed utilizzo
Nell’antichità veniva coltivata come pianta da orto; nel 1747 venne scoperto lo zucchero cristallizzabile nella radice e in seguito fu messo a punto il metodo di estrazione. Verso la metà del secolo scorso la coltura della barbabietola era ampiamente diffusa in Europa.
La radice di barbabietola ha un contenuto di sostanza secca del 22-25%. Da 100 kg
di radici fresche si possono ottenere da 12 a 15 kg di saccarosio, 3.5 kg di melasse,
4.5 kg di polpa essiccata e quantità variabili di residui di filtrazione.
In Tabella 6.10 sono riportati i dati sulle superfici coltivate e le produzioni bieticole in
Italia degli ultimi dieci anni.
Tabella 6.10: Superfici coltivate e produzioni bieticole in Italia (fonte Giornale del Bieticoltore N° 6-1999,
modificata)
Campagna
Superficie
(Ha)
266.327
258.034
282.636
255.872
285.211
291.139
253.275
289.995
278.536
273.470
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999(*)
Produzione
(t)
11.629.216
11.380.233
14.707.833
10.521.695
11.904.275
12.937.536
11.347.813
13.412.743
12.890.695
14.115.822
Saccarosio
(t)
1.794.388
1.796.939
2.245.886
1.659.271
1.782.070
1.751.742
1.679.476
2.091.047
1.959.386
2.070.022
(*) i dati della tabella aggiornati al 30/10/1999 sono aggregati per luogo di trasformazione e non di produzione
agricola.
124
Il saccarosio è utilizzato principalmente per l’alimentazione, la polpa per l’alimentazione del bestiame e il residuo di filtrazione come fertilizzante.
Le melasse unite alla polpa costituiscono una fonte di nutrimento per gli animali e una
fonte di materia prima per le fermentazioni nell’industria chimico-farmaceutica.
La coltura riveste un certo interesse anche per la produzione di biomasse per la produzione di energia alternativa.
In Tabella 6.11 sono riassunti i principali processi di trasformazione industriale della
barbabietola da zucchero e i prodotti ottenuti.
Tabella 6.11: Principali processi industriali della barbabietola.
Processo
Trattamento chimico
Trattamento termico
Idrogenazione
Bio-trasformazione
Fermentazione
Prodotti
Esteri dell’acido fosforico;
Eteri;
Precursori di sintesi
Acidi organici: citrico,
lattico, acetico.
Amminoacidi: lisine,
acido glutammico.
Solventi: acetone, butanolo.
Biopolimeri.
Etanolo ed altri alcoli
Settori di applicazione
Materie prime ed intermedi per la
produzione di: alimenti, mangimi, farmaci,
solventi, materie plastiche biodegradabili.
Materie prime ed intermedi per la
produzione di: alimenti, mangimi, farmaci,
solventi, materie plastiche biodegradabili.
Carburanti, solventi, composti
per sintesi chimica
Varietà coltivate
Le cultivar di barbabietola sono popolazioni eterozigote costituite da una mescolanza di diversi incroci.
Esistono cultivar primaverili e autunnali (resitenti alla prefioritura), con caratteristiche
di alto titolo in saccarosio o peso elevato della radice e tipi intermedi.
Il corredo cromosomico può essere diploide o poliploide (tetraploide, triploide). Il seme può essere poligerme o monogerme (tecnico o genetico).
Tecnica colturale
In Italia la semina può essere effettuata in autunno nelle regioni meridionali, o in primavera nel resto del Paese.
La semina autunnale viene eseguita tra la metà di ottobre e la metà di novembre mentre le semine primaverili iniziano, al nord, da metà febbraio fino a metà aprile, al sud
da metà gennaio.
La densità di investimento varia con le cultivar utilizzate e dipende dalle distanze adottate sulla fila (7 – 15 cm) e tra le file (45 – 50 cm). La densità da raggiungere alla raccolta dovrebbe essere compresa tra le 7–13 piante /m2; in condizioni ottimali si può
raggiungere l’obiettivo finale di 10–12 piante /m2 seminando 160.000 semi/ettaro
con una distanza tra le file di 45 cm e sulla fila di 15 cm.
125
La bietola coltivata ha un ciclo biennale e viene raccolta alla fine del primo anno quando raggiunge la maturazione economica, ovvero quando fornisce la massima quantità di saccarosio per ettaro.
Per la produzione di seme, le piante dormienti in autunno vengono tolte dal terreno per evitare i danni da gelate durante l’inverno. Trapiantate in primavera, le piante vanno a fiore.
Le distanze minime di coltivazione da rispettare per le produzioni da seme sono:
a) sementi di categoria certificate
- per varietà dello stesso gruppo: 600 m (monogermi, plurigermi)
- per varietà appartenenti a gruppi diversi della stessa sottospecie: 600 m
- per varietà appartenenti a sottospecie diverse: 1.500 m
b) sementi di base e pre-base
- per varietà plurigermi appartenenti allo stesso gruppo: 1.000 m
- per tutti gli altri casi: 1.500 m
In Europa, le regioni del Nord-Est dell’Italia sono tra le principali aree di coltivazione
della barbabietola per la produzione di seme.
Avversità
Sono riportati in Tabella 6.12 alcuni dei principali organismi che provocano malattie
o danni alla barbabietola durante le diverse fasi del suo sviluppo.
Tabella 6.12: Organismi patogeni per la barbabietola.
Organismo
Chaetocnema tibialis (altica)
Longitarsus sp. (altiche)
Phyllotreta vittula (altica)
Atomaria linearis (atomaria)
Agriotes spp. (elateridi)
Connorrhynchus mendicus (cleono)
Mamestra brassicae (mamestra)
Aphis fabae (afide nero)
Agrotis segetum (nottua)
Agrotis ipsilon (nottua)
Cassida vittata (cassida)
Cassida nobilis (cassida)
Heterodera schachtii (nematode a cisti)
Ditylenchus dipsaci (nematode dello stelo)
Rothylenchulus reniformis
Cercospora beticola (cercospora)
Insetto
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
Nematode
Micete
Batterio
Virus
X
X
X
X
(segue)
126
(segue)
Organismo
Erysiphe betae (mal bianco)
Rhizoctonia violacea (mal vinato)
Rhizoctonia solani (marciume radicale)
Phoma betae (mal del piede)
Sclerotium rolfsii (marciume radicale)
Erwinia betivora (marciume)
BNYVV (virus della rizomania)
Insetto
Nematode
Micete
X
X
X
X
X
Batterio
Virus
X
X
Caratteristiche specifiche della pianta transgenica
Beta vulgaris geneticamente modificata
Le linee transgeniche attualmente sperimentate sono caratterizzate dai seguenti tratti:
• tolleranza all’erbicida Glufosinate ammonio (Phosphinotricina) ottenuta introducendo il gene PAT (Phosphinotricina acetil-transferasi) isolato da Streptomyces viridochromogenes;
• tolleranza all’erbicida Glifosate ottenuta introducendo il gene EPSPS (acido 5enolpiruvil-3-fosfoscichimico sintetasi) di Agrobacterium;
• resistenza al virus della rizomania.
In molte linee transgeniche sono presenti anche geni che conferiscono la resistenza ad
antibiotici (ad es. Kanamicina), che sono utilizzati in laboratorio come marker per la
selezione delle piante trasformate e il gene codificante per l’enzima Beta-glucuronidasi utilizzato per i test di conferma della trasformazione.
Flusso genico
I rischi associati con la coltivazione di barbabietola transgenica sono determinati dalla
presenza di specie selvatiche interfertili: Beta vulgaris subsp. maritima e Beta trigyna.
La sottospecie maritima è presente in Italia nelle aree costiere, in qualche caso a distanze inferiori ai 1.000 m dai campi di barbabietola da zucchero, ed è stato dimostrato in diversi studi il trasferimento di caratteri dalla specie coltivata a quella selvatica (Bartsch e Pohl-Orf, 1996; Bartsch e Schmidt, 1997; Van Geyt et al, 1990).
Nelle coltivazioni per la produzione di radici non è infrequente la presenza di una
percentuale variabile di piante prefiorite, e cioè piante che emettono anticipatamente lo scapo fiorale nel primo anno di vegetazione. Questo fenomeno interessa quegli
individui che sono portatori del gene dominante dell’annualità, carattere indesiderato nelle colture finalizzate alla produzione.
Inoltre, nonostante le precauzioni utilizzate nelle coltivazioni di barbabietola per la pro-
127
duzione di seme (distruzione delle piante selvatiche nelle aree limitrofe), è stata evidenziata, nei campi coltivati di barbabietola da zucchero, la presenza di piante con caratteri selvatici risultato di incroci spontanei con la sottospecie maritima come impollinatrice.
Il “seme”, o più propriamente il glomerulo (monogerme o plurigerme) si stacca dalla
pianta a maturità, e può essere disperso durante le operazioni di raccolta. E’ molto
resistente ed in grado di sopravvivere per diversi anni.
6.2.2 Colza
Caratteristiche generali
Caratteri botanici
Brassica napus L. fa parte della sottotribù delle Brassicinae della tribù delle Brassiceae
appartenente alla famiglia delle Crucifere (Brassicaceae).
Famiglia
Genere
Specie:
Sottospecie
Cruciferae
Brassica
napus
napus (sin. oleifera)
Nome comune colza
B. napus, specie allotetraploide (n=19), appartiene ad un gruppo di specie geneticamente correlate:
• B. nigra (n=8) - senape nera, una specie ampiamente diffusa in tutto il mondo
• B. oleracea (n=9) - cavolo, broccoli, cavolfiore.
• B. rapa (= B. campestris) (n=10) – rapa
• B. carinata (n=17) – senape abissina e etiopica. Allotetraploide probabilmente derivata dall’incrocio tra B. nigra e B. oleracea
• B. juncea (n=18) – senapa indiana. Allotetraploide derivata da incrocio tra B.
nigra e B. rapa.
Le origini di B. napus sono incerte. Si ritiene che eventi di ibridazione interspecifica
di Brassica oleracea subsp. oleracea (n = 9) con B. rapa (n = 10) abbiano originato
la sottospecie pabularia (n = 19) da cui derivano le sottospecie napus (anfidipliode,
n =19) e rapifera (n = 19).
Recentemente, l’analisi del DNA cloroplastico e mitocondriale ha suggerito che la
Brassica montana (n = 9) possa essere strettamente correlata al prototipo che ha dato origine ai citoplasmi di B. rapa e B. oleracea.
In Europa è predominante la forma invernale che cresce spontaneamente lungo i bordi delle strade, nei prati e nelle aree ruderali sia in campagna che nelle aree urbane.
128
Morfologia
Pianta annuale o biennale, con radice fittonante moderatamente ramificata ed il colletto leggermente ingrossato che sporge dal terreno.
Foglie della rosetta di colore verde-bluastro, lisce e carnose.
Fusto eretto, ramificato in relazione alla varietà e alle condizioni ambientali, alto fino a
1,5 m con foglie sessili più o meno amplessicauli; le inferiori a lira, le superiori indivise.
L’infiorescenza è un racemo allungato con fioritura scalare a partire dal basso, fiori
cruciferi a corolla gialla o bianca, 6 stami, antere con una macchia rosso-bruna all’apice nel fiore in boccio.
Frutto: siliqua poco eretta con due carpelli, separati da un falso setto. Numero di semi in ciascuna siliqua variabile tra tipi e varietà (15 – 40). Deiscenza variabile.
Seme: rotondeggiante, liscio, colore bruno rossastro, diametro di circa 1,5 – 2 mm.
Peso dei 1000 semi = 3,5 – 4,5 g.
Caratteri riproduttivi
Pianta autogama con una percentuale elevata di eterogamia (25 - 30%). I semi sono
prodotti anche in assenza di vento e insetti impollinatori.
Il polline, pesante e di medie dimensioni (inferiori a 100 micron) con tre pori, è appiccicoso e può essere trasferito da pianta a pianta per contatto tra piante vicine, per
azione del vento e degli insetti. Il polline può essere trasportato dal vento fino ad una
distanza di circa 2,5 km (McCartney e Lacey, 1991).
Gli insetti pronubi, in particolare le api e i bombi, sono molto importanti nell’impollinazione e sono in grado di trasportare il polline a grande distanza. Questi insetti sono
molto attratti dai fiori di colza poiché producono grandi quantità di nettare e polline.
Il colza può incrociarsi con altre specie selvatiche del genere Brassica.
Downey e Bing (Downey e Bing, 1990) riportano percentuali di fecondazione incrociata del 2,1%, 1,1%, e 0,6% in parcelle isolate localizzate rispettivamente a 46 (14
m), 137 (42 m), e 366 piedi (112 m) dall’origine del polline. Negli Stati Uniti la certificazione delle sementi richiede una distanza di isolamento delle colture da seme di
660 piedi (200 m).
A questa distanza di ottiene lo 0,05% di semi derivati da impollinazione di piante
esterne.
Ecologia
La B. napus e i suoi progenitori sono considerate specie colonizzatrici primarie che
competono con specie simili. In ambienti naturali indisturbati, come lungo i bordi di
dirupi, fiumi e sentieri sono sostituite nel tempo da specie intermedie ed infine da piante che formano climax (piante erbacee perenni nelle praterie e arboree nei boschi).
In ecosistemi non naturali (lungo le strade, nelle zone industriali e nei terreni agricoli) si sviluppano e si mantengono nel tempo per la loro capacità di competere con altre infestanti in relazione alle condizioni climatiche e del terreno.
129
Coltivazione ed utilizzo
Scritti in sanscrito riferiscono l’utilizzo di B. napus come pianta oleifera. Si ritiene che
in Europa la domesticazione sia avvenuta all’inizio del Medio Evo. Le coltivazioni di
colza cominciarono nei Paesi Bassi all’inizio del 16° secolo; l’olio venne utilizzato
dapprima per l’illuminazione ed in seguito come lubrificante per i motori a vapore.
L’olio, anche se già utilizzato da lungo tempo per usi alimentari in Asia è diventato
importante nei paesi occidentali con il miglioramento della sua qualità attraverso il
miglioramento genetico e lo sviluppo delle tecniche di estrazione. Dal dopoguerra la
produzione di colza è enormemente aumentata come conseguenza dell’incremento
qualitativo dell’olio e della farina di estrazione.
Attualmente i maggiori produttori di colza sono: Cina, India, Europa e Canada. Le produzioni sono in rapido aumento anche negli Stati Uniti, in Sud America ed Australia.
Varietà coltivate
Vi sono varietà invernali che sopravvivono a basse temperature o che si adattano a
fotoperiodi di meno di 10 ore, e primaverili che crescono a latitudini estreme adattandosi ad un fotoperiodo di 24 ore.
In Italia sono interessanti le varietà invernali.
I principali tipi di colza coltivati possono essere classificati come:
Doppio basso (00) – basso tenore di acido erucico (<1%) e glucosinolati. Utilizzate
per produrre olio destinato al consumo umano e farina di estrazione proteica per l’alimentazione del bestiame.
Alto acido erucico (50 – 60%) - coltivate per la produzione di olio. Dall’acido erucico si ottiene erucamide da utilizzare nel processo di produzione del polietilene.
Si utilizza inoltre per produrre alcool behenilico, un additivo per aumentare la fluidità degli oli minerali.
L’incrocio spontaneo con specie selvatiche influisce sul contenuto di glucosinolati nel
seme, pertanto nella produzione del seme sono applicate regole molto precise per il
mantenimento della purezza, specialmente per le varietà Doppio basso.
Le varietà con basso contenuto di glucosinolati sono appetite da uccelli e roditori e
quindi sono più suscettibili ai loro attacchi.
Tecnica colturale
Il colza si sviluppa bene nei suoli leggeri, si adatta a terreni argilloso-calcarei e a quelli torbosi se ben areati e drenati.
Si semina prima della fine di settembre, si ritarda se il terreno è troppo secco. Si utilizza qualche volta la semina invernale (Emilia).
Le varietà invernali di colza rimangono in campo da 10 a 11 mesi e hanno una elevata richiesta di sostanze minerali. Le erbe infestanti possono limitare la produzione
e si consiglia una rotazione triennale della coltura.
130
La raccolta si esegue quando il seme ha un contenuto di umidità inferiore al 20%.
L’area coltivata a colza in Italia nel 1997 ammontava a 40.300 ha con una resa media di 1,99 t/ha.
Avversità
In tabella 6.13 sono riportati gli organismi che provocano malattie o danni al colza
durante le diverse fasi del suo sviluppo.
Tabella 6.13: Organismi patogeni per la colza.
Organismo
Albugo candida
Alternaria brassicae
Alternaria tenuis
Botryotinia fuckeliana
Leptospheria maculans
Mycosphaerella brassicicola
Olpidium brassicae
Pernonospora brassicae
Plasmodiophora brassicae
Phoma lingam
Phyllosticta brassicae
Pseudocercosporella capsellae
Pythium debaryanum
Rhizoctonia solani
Sclerotinia sclerotiorum
Pseudomonas destructans
Pseudomonas maculicola
Xanthomonas campestris
CaMV (Virus del mosaico del cavolfiore)
CMV (Virus del mosaico del cetriolo)
BWYV (Beet Western Yellow Virus)
Agrotis spp.
Meligethes aeneus
Mamestra brassicae
Plutella maculipennis
Ditylenchus dipsaci
Helicotylenchus pseudorobustus
Heterodera crucifera
Heterodera schactii
Meloidogyne artiellia
Meloidogyne hapla
Meloidogyne javanica
Nacobbus aberans
Pratylenchus neglectus
Pratylenchus penetrans
Insetto
Nematode
Micete
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
Batterio
Virus
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
131
Aspetti merceologici
L’olio ottenuto dalla estrazione a mezzo solvente o dalla pressione meccanica dei semi (secondo l’O.M. 6.6.1985 ed il D.M. 9.8.1995) e successivamente sottoposto, per
essere reso commestibile, a processo industriale di rettificazione, altrimenti detto “di
raffinazione”, deve essere denominato “olio di semi”.
Alla suddetta denominazione dovrà aggiungersi l’indicazione della specie del seme
oleoso sempre che l’olio di semi sia stato prodotto da una sola specie, mentre, qualora l’olio di semi sia costituito da miscele di oli prodotti da diverse specie di semi oleosi, esso dovrà essere denominato “olio di semi vari” (Legge 27.1.1968, n. 35, art. 1).
Nella tabella 6.14 è riportata la composizione media dell’olio di colza.
Tabella 6.14: Composizione dell’olio di colza in %.
Acidi grassi
Cv. ad alto erucico
Cv. a basso erucico
Oleico (C18:2)
21,3
65,7
Linoleico (C18:2)
13,5
19,4
Linolenico (C18:3)
8,4
9,6
Erucico (C22:1)
45,5
0,5
Altri
11,3
4,8
Caratteristiche specifiche della pianta transgenica
Incroci interspecifici e intergenerici
Molti incroci sono stati ottenuti tra B. napus e specie affini. In molti casi sono stati realizzati con l’utilizzo di colture di ovari ed ovuli, tecniche di “embryo rescue” e fusione di protoplasti.
Per valutare la possibilità che si verifichino eventi di ibridazione è necessario conoscere la cronologia dei periodi di fioritura delle diverse specie, che sono in genere influenzati dalle condizioni ambientali, la distanza tra le piante e le modalità di impollinazione.
Determinante per la riuscita degli incroci è il numero di cromosomi delle specie coltivate e delle specie affini: molti ibridi non producono semi vitali in quanto non si ha
sviluppo dell’endosperma. Il rapporto tra il numero dei cromosomi materni e paterni
deve, in genere, essere di 2:1 o superiore. Conseguentemente la direzione in cui avviene l’incrocio è spesso importante: l’impollinazione da parte di un genitore diploide di una pianta tetraploide dà origine a semi mentre il reciproco è sterile.
132
Tabella 6.15: Incroci interspecifici e intergenerici ottenuti con B. napus (OECD Consensus Document, 1997;
Scheffler e Dale, 1994).
Incroci interspecifici e intergenerici ottenuti con B. napus
Progenie
B. rapa
B. napus
SH, F1, F2, BcP
B. napus
B. rapa
SH, F1, F2, BcP
B. juncea
B. napus
SH, F1, F2, BcP
B. napus
B. juncea
SH, F1, F2, BcP
B. oleracea
B. napus
F1
B. napus
B. oleracea
F1, F2, BcP
B. carinata
B. napus
F1, F2, BcP
B. napus
B. carinata
F1, F2, BcP
B. nigra
B. napus
SH, F1, BcP
B. napus
B. nigra
B. napus
Hirschfeldia incana
SH, SH(BnMS), F1, BcP
B. napus
Raphanus raphanistrum
SH, SH(BnMS), F1, BcP
Diplotaxis erucoides
B. napus
F1, BcP
D. muralis
B. napus
F1, BcP
B. napus
Erucastrum gallicum
F1, BcP
SH, F1, F2, BcP
B. napus
Sinapis alba
F1
B. napus
S. arvensis
F1
B. napus
B. fruticulosa
F1
B. napus
B. tournefortii
F1
B. napus
D. tenuifolia
F1
B. napus
Eruca sativa
F1
B. napus
R. rugosum
F1
B. napus
R. sativus
F1
Nota:
SH = ibrido spontaneo ottenuto senza emasculazione e trasferimento di polline;
SH(BnMS) = ibrido spontaneo con B. napus portaseme maschio-sterile;
F1 = ibrido F1 prodotto ottenuto con diverse modalità (es. emasculazione e impollinazione manuale);
F2 = produzione di ibridi F2;
BcP = produzione di progenie per back-cross.
In Tabella 6.16 sono elencate le specie del genere Brassica presenti in Italia che presentano caratteri di interfertilità con le varietà coltivate di B. napus.
Tali specie sono da considerare nella valutazione dei pericoli correlati alla diffusione
verticale dei caratteri genetici inseriti nelle piante transgeniche.
133
Tabella 6.16: Specie interfertili con B. napus presenti in Italia.
Brassica adepressa
B. amplexicaulis
B. arvensis
B. campestris
B. gravinae
B. macrocarpa
B. monensis
B. nigra
B. repanda
B. richerii
B. tournefortii
B. napus geneticamente modificato
Diverse varietà di colza sono state geneticamente modificate per mezzo delle tecniche di ingegneria genetica. I maggiori sviluppi sono stati ottenuti nell’introduzione di
caratteri per:
a) il miglioramento o la modificazione delle caratteristiche qualitative del prodotto;
b) la resistenza a patogeni e fitofagi;
c) la tolleranza agli erbicidi.
Le prime varietà di colza disponibili alla commercializzazione nella UE sono state ingegnerizzate per uno o più dei seguenti caratteri:
a) tolleranza all’erbicida glufosinate ammonio;
b) tolleranza all’erbicida glifosate;
c) contenuto in acidi grassi modificato (in particolare per alto contenuto in acido laurico);
d) maschio sterile/restauratore della fertilità.
Flusso genico
I meccanismi principali con i quali i geni di colza possono essere trasferiti dalle piante coltivate sono legati alla dispersione dei semi e del polline.
La maggior parte delle pubblicazioni scientifiche, che si basano su sperimentazioni in
condizioni controllate, modelli matematici e simulazioni, dimostrano la dispersione di
transgeni dalle piante geneticamente modificate coltivate verso le popolazioni di piante selvatiche imparentate. Si ritiene inoltre impossibile confinare un transgene nelle
134
parcelle coltivate anche se i fenomeni di ibridazione con le specie selvatiche avvengono con frequenze molto basse. Le difficoltà si presentano quando si devono formulare ipotesi sulla velocità di diffusione e il destino del transgene. Inoltre la diversità dei
caratteri genetici inseriti nelle diverse specie vegetali modificate e le specifiche condizioni dell’ambiente naturale costringono ad eseguire studi caso per caso. Per esempio, in un ambiente naturale la resistenza a un insetto o a un patogeno conferirà alla pianta ibrida un vantaggio molto più significativo rispetto alla resistenza ad un erbicida.
Per valutare i potenziali pericoli per l’ambiente conseguenti all’emissione di piante di
B. napus geneticamente modificate è fondamentale la conoscenza della possibilità che
si verifichino eventi di ibridazione interspecifica ed intergenerica con specie selvatiche. Lo sviluppo di tali ibridi potrebbe portare all’introgressione di tratti non desiderati nelle specie affini. Tale introgressione potrebbe causare una maggiore invasività
delle specie naturali e influenzare gli ecosistemi; inoltre potrebbe causare danni all’ambiente e alla salute umana.
È necessario inoltre considerare che i semi caduti sul terreno durante le fasi di coltivazione e alla raccolta possono poi geminare e svilupparsi nella stagione successiva.
In questo caso le piante diventano infestanti per la coltura in successione. Inoltre, la
gestione dei ricacci di colza transgenica può essere problematica in quanto i semi si
mantengono vitali nel terreno per diversi anni.
Gli studi effettuati sull’ibridazione interspecifica spontanea tra piante di colza maschio-sterili e diverse specie di crucifere avventizie hanno dimostrato la possibilità di
ottenere degli ibridi (Chèvre et al., 1996; Branger et al., 1995). La produzione di semi di questi ibridi nella generazione successiva è ridotta:
Esempio di produzione in campo di semi (N. di semi per 100 fiori) ibridi F1 interspecifici tra piante di colza e diverse crucifere e dei discendenti in seguito a back-cross
(BC1)
Specie
Semi ibridi F1 raccolti su colza
Semi BC1raccolti sulle piante F1
Raphanus raphanistrum
9,6
0,05
Diplotaxis erucoides
1,9
0,22
Sinapis arvensis
0,9
0,12
Si è inoltre dimostrato (Chèvre et al., 1997) che il gene di tolleranza ad un erbicida
presente in piante di colza maschio sterili incrociate naturalmente con Raphanus raphanistrum era ancora presente alla quarta generazione. Il 23,5% degli ibridi possedeva ed esprimeva ancora il gene di tolleranza presente nel colza.
135
Interazioni con insetti
Alcune ricerche realizzate con differenti linee transgeniche di colza (tolleranza ad un
erbicida, resistenza a parassiti o insetti) non hanno evidenziato effetti sull’attitudine
bottinatrice delle api. Non si sono rilevati inoltre effetti di tossicità acuta (Pham-Delègue, INRA Bures- sur-Yvette).
6.2.3 Mais
Caratteristiche generali
Caratteri botanici
Famiglia
Gramineae (Poacee)
Genere
Zea
Specie
mays
Nome comune mais, granoturco
Il mais fa parte della tribù delle Tripsaceae (Maydeae) sottofamiglia Andropogoneae.
Il genere Zea può essere suddiviso in due sezioni: Luxuriantes e Zea; appartengono
alla prima Zea diploperennis (Iltis et al.), Zea luxurians (Durieu e Asch), Zea perennis
(Hitchc.) e alla seconda Zea mays con le sottospecie: Zea mays ssp. Mays, Zea mays
ssp. Mexicana, Zea mays ssp. Parviglumis.
Il genere più prossimo a Zea (n=10) è il Tripsacum (n=9), che è composto da sette specie. Il Tripsacum può incrociarsi con Zea ma con notevole difficoltà dando origine a
progenie sterile.
Delle specie riportate solo Zea mays è presente in Europa e principalmente nei campi coltivati. Occasionalmente può essere spontaneo nei terreni incolti o lungo i bordi
delle strade ma non è in grado di riprodursi autonomamente.
Si ritiene che il mais coltivato abbia avuto origine dal teosinte (Zea mays subspecies mexicana Iltis (Schrader)) circa 8000 anni fa,; la domesticazione ha selezionato importanti caratteri agronomici ma ha eliminato la capacità di sopravvivenza
in natura.
Morfologia
Il mais è una pianta annuale, monoica, con stelo unico robusto e carnoso, raramente accestito. L’apparato radicale è di tipo fascicolato e abbastanza superficiale; durante lo sviluppo si distinguono: radici primarie e seminali, radici secondarie od avventizie, radici aeree.
Il culmo di altezza variabile, da 0,5 a 6 m, in media 2 - 3 m, è costituito da una serie di nodi e internodi alternati di lunghezza crescente a partire dalla base.
Le foglie sono disposte ai nodi, alternativamente sui due lati del culmo, in numero va-
136
riabile a seconda delle varietà (8 – 24). La foglia si compone di tre parti distinte: guaina, lamina e ligula.
L’infiorescenza maschile o pennacchio è situato all’apice dello stelo; ciascuna delle
spighe che lo compongono è formata da un numero variabile di file di spighette. Le
spighette sono provviste di glume e portano ognuna 2 fiori con tre stami.
L’infiorescenza femminile è una spadice chiamata spiga, composta da un asse centrale, il tutolo, sul quale si inseriscono un numero variabile di spighette riunite in coppie; ogni spighetta contiene due fiori di cui solo uno è fertile. La spiga è protetta da
foglie modificate dette brattee.
Il fiore femminile è costituito da un ovario con un solo ovulo e da uno stigma filiforme
che esce all’esterno delle brattee all’estremità della spiga. Poiché ad ogni fiore fertile
corrisponde uno stigma, alla fioritura è presente all’apice della spiga un ciuffo di stigmi (“sete”).
Il fiore maschile ha uno sviluppo più precoce di quello femminile poiché le “sete” impiegano circa una settimana ad uscire dalle brattee.
Il seme è un frutto indeiescente (cariosside).
Caratteri riproduttivi
Il mais può produrre 25 milioni di granuli di polline per pianta. Il granulo pollinico è
di grandi dimensioni (90 - 100 micron) con un solo poro. L’impollinazione è anemofila.
In condizioni di campo il polline rimane vitale per 10 – 30 minuti, in condizioni di
basse temperature può rimanere vitale più a lungo (Coe et al., 1988). Il granulo di
polline che cade sulle “sete” germina ed emette un tubo pollinico che penetra all’interno dello stigma e lo percorre in tutta la sua lunghezza fino a raggiungere l’ovulo;
avvenuta la fecondazione le “sete” si seccano.
Nella produzione di sementi in purezza la distanza minima dalla più vicina fonte di
possibile contaminazione è stabilita in 200 m. La presenza di barriere fisiche o file di
piante ai bordi può ridurre la possibilità di contaminazione con polline esterno.
Ecologia
L’areale di coltivazione del mais si estende da 30° a 55° di latitudine con la massima
concentrazione tra il 35° e il 45° parallelo nell’emisfero boreale dove la coltivazione
è limitata più a nord dalle basse temperature e più a sud dalle limitate disponibilità
irrigue.
La temperatura ottimale per lo sviluppo della pianta è compresa tra i 24 e i 30°C;
al disotto dei 10°C lo sviluppo della pianta si arresta. Le gelate sono letali per la
pianta.
Il mais ha un elevata esigenza di luce e si può considerare una pianta eliofila.
In Italia il mais è coltivato principalmente nella pianura padana e nei comprensori del
Centro-Sud con disponibilità di risorse idriche.
137
Coltivazione e utilizzo
Il mais, dopo il riso ed il frumento, è il cereale più coltivato nel mondo. Coltivato nell’America centrale fin dall’antichità si è diffuso a partire dal ‘500 in Europa e nel resto del mondo.
Utilizzato in passato principalmente per il consumo diretto nell’alimentazione umana
(semi, farine, semole) trova al giorno d’oggi il suo massimo impiego nella zootecnia
e nell’industria di trasformazione.
Il seme, ricco in amido, povero in proteine e con aminoacidi di scarso valore biologico, viene suddiviso nel trattamento industriale (via umida o macinatura a secco) nei
suoi componenti principali:
• embrione o germe (8 - 12%)
• endosperma (80 - 85%)
• pericarpo (6 - 9%)
Dal germe viene estratto l’olio (circa il 50%) che è utilizzato per l’alimentazione (olii
da tavola, margarine), per la produzione di saponi, nella fabbricazione di vernici e
tessuti artificiali. I panelli e le farine di estrazione sono impiegati nell’alimentazione
del bestiame.
Dall’endosperma sono separati il glutine e l’amido. Il glutine contenente il 60 - 70%
di proteine è utilizzato nell’alimentazione umana ed animale. L’amido seccato e polverizzato viene utilizzato per la fabbricazione di colle, nell’industria tessile, nella pasticceria, nell’industria della birra e per la produzione di alimenti per bambini.
Dall’amido si ottengono anche glucosio, destrosio e destrine, ecc..
Dalla fermentazione dell’amido e degli zuccheri si ricavano innumerevoli prodotti industriali quali: alcooli, acidi organici, enzimi, ecc..
Varietà coltivate
Molteplici sono i tipi e le varietà coltivate in tutto il mondo. Attualmente, nelle colture
intensive, vengono utilizzati ibridi ad alta produttività con migliori caratteristiche qualitative sviluppati a partire dagli anni ’30 negli Stati Uniti ed ora diffusi in tutto il mondo. In Italia circa il 98% della produzione è ottenuta da mais ibridi.
Gli ibridi di mais possono essere classificati in base alle loro caratteristiche di precocità (durata del ciclo vegetativo), rapidità di maturazione (velocità di essiccamento
della pianta e della granella), adattamento alla coltura fitta, resistenza all’allettamento e resistenza alle malattie.
La durata del ciclo vegetativo può essere espressa come:
- numero di giorni dall’emergenza (es. 85 - 90)
- Classe F.A.O. (es.:100, 200, 300, ecc.)
138
Tecnica colturale
Il mais non ha particolari esigenze per quanto riguarda le caratteristiche del terreno
di coltura. Preferisce però i terreni di medio impasto ricchi di azoto apportato da sostanza organica umificata. Il mais è una coltura ad elevata capacità produttiva e richiede conseguentemente apporti elevati di elementi nutritivi.
In Italia la semina è primaverile, con temperature al disopra dei 10°C, con investimenti variabili (5,5 – 8 piante / m2) in relazione all’ibrido impiegato.
La raccolta per produzione di granella secca viene eseguita circa 10 - 15 giorni dopo il raggiungimento della maturità fisiologica quando il seme ha circa il 25% di umidità. La raccolta delle piante per l’utilizzo come trinciato integrale (silomais) ad uso
zootecnico avviene alla maturazione cerosa. Le piante sono tagliate a 0,15 - 0,2 m
dal suolo, trinciate a valori prossimi ad 1 cm ed infine insilate.
Avversità
Sono riportati in Tabella 6.17 alcuni degli organismi che provocano malattie o danni
al mais durante le diverse fasi del suo sviluppo.
Tabella 6.17: Organismi patogeni per il mais.
Organismo
Insetto
Agritotes spp. (Elateridi)
X
Agrotis segetum (nottua)
X
Agrotis ypsilon (nottua)
X
Melolontha melolontha (maggiolino)
X
Gryllotalpa gryllotalpa(grillotalpa)
X
Rhopalosiphum padi (afide)
X
Metopolophium dirhodum (afide)
X
Sitobion avenae (afide)
X
Schizaphis graminum (afide)
X
Ostrinia nubilalis (piralide)
X
Sesamia cretica (sesamia)
X
Nematode
Micete
Helminthosporium maydis
X
Helminthosporium turcicum
X
Ustilago maydis (carbone comune)
X
Gibberella zeae (marciume del fusto)
X
Fusarium moniliforme
X
Erwinia spp.
Batterio
Virus
Acaro
X
NDMV (virus del nanismo maculato del mais
X
BYDV (virus del nanismo giallo del mais)
X
Tetranycus urticae (ragnetto rosso)
X
Pratylenchus thornei
X
Heterodera zeae
X
Heterodera avenae
X
139
Caratteristiche specifiche della pianta transgenica
Zea mays geneticamente modificato
Nelle linee di mais geneticamente modificate sono state introdotti geni che conferiscono alla pianta i caratteri di:
• tolleranza/resistenza ad erbicidi (glifosato, glufosinate ammonio) ottenuta introducendo geni di origine batterica.
• tolleranza/resistenza ad insetti (piralide – Ostrynia nubilalis) ottenuta introducendo i geni (cry) di Bacillus thuringensis che codificano per un endotossina (proteina Cry).
In molte linee transgeniche sono presenti anche geni che conferiscono la resistenza ad
antibiotici (ad es. Kanamicina), che sono utilizzati in laboratorio come marker per la
selezione delle piante trasformate.
Nel caso delle piante transgeniche per il carattere di resistenza agli insetti, la produzione della proteina di B. thuringensis può essere localizzata preferenzialmente in alcuni tessuti della pianta (ad es. fusto, foglie, polline, ecc.) ed inoltre variare quantitativamente durante il suo ciclo di vita.
Flusso genico
I transgeni presenti nel mais geneticamente modificato possono disperdersi nell’ambiente per diffusione del polline e/o dei semi.
Il polline può essere trasferito per azione del vento a stigmi recettivi di altre piante di
mais presenti in aree limitrofe. I semi possono essere dispersi nel terreno durante le
operazioni di raccolta e trasporto.
L’assenza in Europa di specie selvatiche compatibili limita la possibilità di incroci interspecifici.
Il potenziale infestante del mais coltivato è nullo in quanto durante la domesticazione
della specie si è persa la capacità di sopravvivenza allo stato selvatico. Inoltre, i semi
non resistono alle basse temperature invernali delle regioni europee.
La diffusione del polline da colture di mais GM a colture non-transgeniche, con conseguente impollinazione incrociata, è stata osservata da J.M. Jemison Jr. e M. Vayda dell’Università del Maine (Jemison e Vayda, 2000) in uno studio realizzato disponendo campi sperimentali di mais non-transgenico alla distanza di 30 e 350 m sottovento da una coltura di mais geneticamente modificato resistente all’erbicida glifosato.
I risultati ottenuti analizzando campioni di seme raccolto sul campo di mais non-transgenico più vicino hanno evidenziato un tasso di impollinazione incrociata dell’1% nella parte più prossima alla fonte (30 m) con una riduzione allo 0,1% nella parte mediana delle coltura (40 m) e allo 0,03% nella parte più lontana (50 m). Nel campo lo-
140
calizzato ad una distanza di 350 m non sono stati rilevati semi con caratteri di resistenza all’erbicida.
In un’altra sperimentazione (Raynor et al., 1972), è stato osservato che il 63% del polline prodotto dal mais rimaneva all’interno dei confini del campo, l’8% ricadeva all’interno.
Trasferimento genico orizzontale
Il DNA delle piante può rimanere nel suolo per periodi di qualche mese fino ad alcuni anni (Gebhard e Smalla, 1999; Paget et al., 1998), immobilizzato nelle argille e
nelle frazioni organiche del suolo che lo proteggono dall’azione di degradazione delle nucleasi. In queste condizioni il DNA conserva la capacità di trasformare i batteri
presenti nel suolo.
L’EPA ha valutato la letteratura scientifica riguardante gli studi sulla possibilità di trasferimento genico orizzontale da colture ingegnerizzate con il gene da B. thuringensis.
Il trasferimento è stato osservato solo in condizioni sperimentali favorevoli.
Poiché i geni per la resistenza agli insetti introdotti nelle piante attualmente coltivate
sono già presenti nei batteri del suolo, L’EPA ritiene non significativi i rischi di diffusione di questi transgeni.
Impatti negativi potrebbero invece verificarsi nel caso di piante transgeniche ottenute inserendo tratti genetici non presenti o poco rappresentati nei microrganismi del suolo.
Effetti sull’ambiente della proteina Cry di B. thuringensis
Il rilascio nell’ambiente delle proteine Cry è associato alla presenza di materiale vegetale (residui colturali, polline) e essudati radicali. Le proteine si legano alle argille
e agli acidi umici del suolo che ne rallentano la degradazione microbica.
Studi sui tempi di dimezzamento nel suolo delle diverse proteine Cry indicano valori
variabili da 1,6 a 46 giorni.
Gli effetti del rilascio nell’ambiente delle proteine Cry sulle popolazioni microbiche del
suolo e sulla fauna non-bersaglio sono stati oggetto di numerosi studi preliminari. Allo stato attuale, in relazione alle proteine Cry prese in esame, non sono emerse né evidenze di effetti negativi sulle popolazioni di animali selvatici e di invertebrati (vermi
terricoli, collemboli) né sui microrganismi e la microflora del suolo. Gli effetti sugli insetti non bersaglio sono oggetto di numerosi studi anche contrastanti come già sottolineato nel capitolo 4.
141
6.2.4 Pomodoro
Caratteristiche generali
Caratteri botanici
Famiglia
Genere
Specie
Solanaceae
Lycopersicon
esculentum Mill. (lycopersicum)
Nome comune
pomodoro
Lycopersicon è un genere relativamente piccolo all’interno della famiglia delle Solanaceae che comprende 90 generi.
Il genere comprende il pomodoro e alcune specie selvatiche:
• L. esculentum var. cerasiforme
• L. pimpinellifolium
• L. cheesmani
• L. hirsutum
• L. parviflorum - L. chmielewsky (complesso sub-generico)
• L. chilense - L. peruvianum (complesso sub-generico)
• L. pennelli
Le specie selvatiche del genere Lycopersicon sono originarie delle regioni andine dalla Colombia fino al nord del Cile. L’area di domesticazione sembra essere stata il Messico (Taylor, 1986) e, data la somiglianza delle varianti enzimatiche ereditarie tra le
vecchie cultivar europee e le forme di “pomodoro ciliegia” presenti in questo paese,
si ipotizza che il progenitore del pomodoro coltivato sia la specie Lycopersicon esculentum var. cerasiforme.
Le forme di pomodoro coltivato appartengono tutte alla specie Lycopersicon esculentum con un corredo cromosomico 2n=24. Si possono però presentare forme di poliploidia spontanea.
Morfologia
Il pomodoro è una pianta a tendenza perennante, cioè a durata di vita variabile, che
si comporta come pianta annuale in condizioni climatiche caratterizzate da temperature variabili durante l’anno.
La pianta, originariamente di portamento strisciante ed espanso, a seguito degli interventi di miglioramento ha assunto diverse forme da espansa a raccolta fino a raggiungere un portamento quasi eretto.
142
La radice è fittonante con numerose radici secondarie più o meno superficiali. Il fusto
pubescente è eretto nei primi stadi vegetativi, poi diviene decombente, con lunghezza
variabile da 0,4 a 2 m, con numero di ramificazioni ascellari più frequenti alla base.
Vi sono piante a sviluppo “indeterminato” e tipi ad accrescimento “determinato” nei
quali l’apice vegetativo arresta la crescita dopo aver generato un certo numero di foglie e di palchi fiorali.
Le foglie, che si dipartono dai nodi, sono di grandi dimensioni (20 – 30 cm), alterne
e picciolate, irregolarmente pennatosette, alate con foglioline diseguali, pubescenti e
con il caratteristico odore aromatico.
Le infiorescenze sono inserite sull’internodo e sono a grappolo o a cima semplice o
composte. La fioritura è scalare con la formazione delle infiorescenze in tempi diversi e su internodi successivi.
I singoli fiori sono portati da peduncoli che possono essere articolati o no, con calice
gamosepalo a cinque lobi persistenti. La corolla è gamopetala, di colore giallo, con
un numero di petali normalmente pari a cinque, ma anche maggiore. Gli stami, in numero uguale ai petali, sono brevi con antere biloculari formanti una colonna attorno
al pistillo. Il pistillo è formato da un ovario supero con uno stilo che termina con uno
stimma a capocchia, sporgente o non dalla colonna staminale.
Il polline è di medie dimensioni, ha tre solchi ed è poco sculturato. L’impollinazione è
anemofila e favorita dalla presenza di insetti quali api e bombi. La vita media del polline è di alcuni giorni.
Il frutto è una bacca di varie dimensioni (piccola, media, grande) di forma variabile
(ovale, allungata, piriforme, appiattita, globosa), di colore rosso con diverse tonalità.
I semi sono immersi nel tessuto placentare mucillaginoso, sono di forma discoidale,
schiacciata e di colore giallognolo, sono provvisti di un tegumento ruvido e contengono un embrione ricurvo. Ogni pianta produce mediamente da 10.000 a 15.000
semi.
Ecologia
L’habitat del pomodoro coltivato è la coltura agricola. In Europa è coltivato da più di
due secoli, in pieno campo ed in serra nelle regioni meridionali e solo in serra nelle
settentrionali.
I limiti termici per la coltura sono di 0 - 2°C (minima letale), di 8 - 10°C minima biologica o arresto di vegetazione, di 13 - 16°C ottimale notturna e di 22 - 26°C ottimale diurna.
La temperatura minima per la germinazione è di 12°C, per la fioritura 21°C e per la
maturazione dei frutti 23°C.
Il fotoperiodo può influenzare alcune caratteristiche morfologiche della pianta. La disponibilità idrica condiziona nei climi caldo-aridi la produttività del pomodoro.
143
Coltivazione e utilizzo
Il pomodoro è coltivato come coltura industriale di pieno campo e in serra, negli orti
per produzioni familiari di varietà locali. L’Italia è uno dei principali paesi produttori
di pomodoro e dei suoi derivati.
Oltre al consumo fresco delle varietà da mensa, dal pomodoro, attraverso le lavorazioni industriali, si ottengono i prodotti riportati in Tabella 6.18. I residui di lavorazione (bucce, semi) essiccati e sfarinati sono destinati all’alimentazione del bestiame.
Tabella 6.18: Prodotti derivati dal pomodoro.
Prodotto
Concentrato di pomodoro
Caratteristiche
Succo di pomodoro concentrato a vari livelli:
• Semi-concentrato (residuo secco non inferiore al 12 %)
• Concentrato (residuo secco non inferiore al 18 %)
• Doppio concentrato (residuo secco non inferiore al 28 %)
• Triplo concentrato (residuo secco non inferiore al 36 %)
• Sestuplo concentrato (residuo secco non inferiore al 55 %)
Interi al naturale
La buccia è conservata dopo trattamento a 100 °C
Pomodori pelati
Ottenuti da varietà a frutto allungato, privati della buccia
e inscatolati
Polpa o triturato
Ottenuto con la pelatura e la triturazione più o meno spinta
per produrre: polpe, triturati, cubetti di pomodoro,
fettine di pomodoro, passata rustica, ecc.
Si ottiene dalla spremitura e dalla raffinazione delle bacche
Succo di pomodoro
Passata di pomodoro
Si ottiene con una tecnica simile a quella utilizzata per i succhi.
Succo senza raffinazione spinta e parzialmente concentrato
Farina di pomodoro
Succo di pomodoro essiccato e ridotto in polvere finissima
Fiocchi di bacche di pomodori
Ottenuti con il frazionamento e il successivo essiccamento dei frutti
Le produzioni italiane del pomodoro da industria sono riportate in Tabella 6.19.
Tabella 6.19: Produzione 1996 – 1999 (in migliaia di tonnellate/anno).
Produzione
1996
1997
1998
1999
Variazione
‘99-’98
4.198
3.665
4.352
4.932
13%
Variazione
‘99-ultimi
3 anni
14%
Varietà coltivate
La coltura industriale del pomodoro è altamente specializzata e si selezionano varietà idonee per essere utilizzate nella monocoltura intensiva.
Il metodo principale per l’ottenimento di varietà di pomodoro si basa sulla produzione di ibridi combinando i tratti di linee parentali definite.
144
Obiettivi del miglioramento genetico sono: aumento della produttività, miglioramento della qualità, resistenza alle avversità e maturazione contemporanea delle bacche
per favorire la raccolta meccanica.
Le cultivar commerciali sono esclusivamente auto-compatibili e autofertili.
Tecnica colturale
La durata del ciclo biologico della coltivazione in pieno campo varia in funzione delle
condizioni ambientali (clima e terreno), delle tecniche di coltivazione (coltura irrigua,
asciutta, seminata, trapiantata), delle varietà impiegate (a ciclo precoce, medio, tardivo). In coltura di pieno campo la durata del ciclo può variare da 140 a 170 giorni.
In Italia l’epoca di raccolta del pomodoro dipende dal tipo di coltura e dalle zone di
coltivazione: il pomodoro da mensa ha ormai una produzione continua nell’arco dell’anno con la coltura anticipata, forzata e di pieno campo. Il pomodoro da industria
è raccolto a partire da luglio, con un massimo tra la metà di agosto e di settembre, fino a ottobre.
Data la maturazione scalare dei frutti la raccolta si effettua in genere a mano a più
riprese. Per le varietà industriali a maturazione abbastanza contemporanea si utilizza la raccolta meccanica. Sono utilizzati anche trattamenti con prodotti che accelerano la maturazione dei frutti per concentrare i tempi di raccolta.
Avversità
Sono riportati in Tabella 6.20 alcuni dei principali organismi che provocano malattie
o danni al pomodoro durante le diverse fasi del suo sviluppo.
Tabella 6.20: Organismi patogeni per il pomodoro.
Organismo
Phytium debaryanum
(marciume dei semenzali)
Phytophtora parasitica
(marciume delle radici)
Didynella lycopersici
(marciume del colletto)
Cladosporium fulvum (cladosporiosi)
Phytophtora infestans (peronospora)
Alternaria solani (alternariosi)
Septoria lycopersici (septoriosi)
Verticillium ssp.(tracheomicosi)
Fusarium oxysporum f. lycopersici
(tracheomicosi)
Xanthomonas vescicatoria
(maculatura batterica)
Insetto
Nematode
Micete
Batterio
Virus
Acaro
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
(segue)
145
(segue)
Organismo
Corynebacterium michiganense
(cancro batterico)
Pseudomonas syringae
CMV (Virus del mosaico del cetriolo)
ToMoV
TYLCV
PVY
TSWV
Agriotis segetum (nottua)
Bibio hortolanus
Gryllotalpa gryllotalpa (grillotalpa)
Myzodes persicae (afide verde)
Tetranychus althaeae (ragnetto rosso)
Meloidogyne ssp.
Heterodera (Globodera) rostochiensis
Rotylenchulus reniformis
Insetto
Nematode
Micete
Batterio
Virus
Acaro
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
Caratteristiche specifiche della pianta transgenica
Lycopersicon esculentum geneticamente modificato
La maggior parte delle linee transgeniche realizzate sono caratterizzate dall’inserimento di geni che controllano la maturazione dei frutti:
• gene codificante per la poligalatturonasi (troncato o antisenso) isolato da pomodoro;
• gene codificante per ACC deaminasi isolato da Pseudomonas chloraphis;
• gene codificante per ACC sintetasi isolato da pomodoro;
• gene codificante per S-adenosilmetionina trasferasi isolato da Bacteriofago T3.
Il pomodoro modificato per la regolazione dell’espressione dell’enzima poligalatturonasi (PG), implicato nella degradazione della pectina presente nella parete cellulare dei frutti durante le fasi di maturazione, è stato ottenuto introducendo il gene PG
troncato di pomodoro. Il risultato della modificazione è una linea di pomodoro con
frutti che rimangono più a lungo compatti, quindi con un periodo di raccolta più esteso, e con migliori caratteristiche per il trattamento industriale di trasformazione.
Geni che intervengono nei processi biochimici della pianta sono stati inseriti per aumentare il contenuto zuccherino dei frutti, per la quantità di carotenoidi, per la partenocarpia, per il contenuto in clorofilla, per la resistenza alle basse temperature, ecc.
Sono state inoltre sviluppate linee transgeniche di pomodoro con le seguenti caratteristiche di resistenza alle avversità:
146
• resistenza a virus (CMV, ToMoV, TYLCV, PVY, TSWV, ecc.);
• resistenza a funghi patogeni (Phytophtora, Fusarium, Verticillium, Alternaria,
ecc.);
• resistenza a batteri patogeni (Pseudomonas syringae, Xanthomonas campestris);
• resistenza a nematodi (Meloidogyne).
Sono state prodotte anche linee transgeniche resistenti ai lepidotteri con l’inserimento
del gene Cry 1A isolato da Bacillus thuringensis var. kurstakii.
Le piante hanno, in genere, inserito anche un gene che conferisce la resistenza ad antibiotici (kanamicina, neomicina) e che viene utilizzata come marker per la selezione
delle cellule trasformate.
Flusso genico
Il pomodoro può essere incrociato per impollinazione manuale con le specie selvatiche
del genere Lycopersicon con risultati variabili. Il genere è stato diviso in due sub-generi:
il primo comprende le piante che si incrociano con il pomodoro coltivato (complesso esculentum) e il secondo quelle che non si incrociano facilmente (complesso peruvianum). L’ibridazione tra piante dei due sub-generi determina un precoce aborto dell’embrione.
In Italia non esistono specie selvatiche affini al pomodoro.
Le piante geneticamente più vicine al pomodoro appartengono al genere Solanum.
Ibridi sono stati ottenuti tra L. esculentum e Solanum lycopersicoides ma le piante sono risultate sterili (Stevens e Rick, 1986). Nessun altro membro del genere, compreso
Solanum nigrum, un’infestante comune nei campi di pomodoro, ha dato luogo ad ibridi fertili (Taylor, 1986).
La distanza a cui il polline può essere trasportato in condizioni di pieno campo è di
circa 60 m (Rick, 1976).
Effetti sull’ambiente della proteina Cry di B. thuringensis
Vedi quanto già riportato per Zea mays.
6.2.5 Soia
Caratteristiche generali
Caratteri botanici
Famiglia
Sotto-famiglia
Tribù
Genere
Specie
Nome comune
Leguminosae
Papilionoideae
Phaseoleae
Glycine
max (L.) Merr.
soia
147
La soia coltivata, Glycine max, appartiene al sotto-genere Soja che comprende anche
Glycine soja e Glycine gracilis specie selvatiche che crescono spontaneamente in Cina, Giappone e Corea. Queste specie hanno tutte lo stesso numero cromosomico (2n
= 40) e sono interfertili.
Morfologia
La soia è una leguminosa primaverile-estiva, con ciclo annuale, è caratterizzata da portamento eretto e aspetto cespuglioso. L’apparato radicale è costituito da una radice
principale, fittone, da cui si dipartono radici secondarie molto espanse e ramificate.
La soia instaura un rapporto simbiontico con il batterio azotofissatore Bradyrhizobium
japonicum che colonizza le radici formando tubercoli e noduli radicali.
Il fusto è eretto e ramificato (altezza da 0,3 – 2 m) con foglie primarie unifogliate opposte, secondarie trifogliate e alternate, lungamente picciolate con foglioline da forma ovale ad ellittica. Molte delle varietà coltivate sono caratterizzate dalla presenza
sulle piante di tricomi.
Il fiore, tipico delle papilionacee, di colore rosso o bianco, è costituito da cinque petali (due petali inferiori saldati a formare la “carena”, due petali ai lati a formare le
“ali” e un petalo superiore ricoprente che si estende a “vessillo”), un pistillo, nove stami fusi tra loro e un decimo isolato posto in posizione posteriore. I fiori sono disposti
in racemi posti sui peduncoli che crescono ai nodi e si sviluppano partendo dalla base verso la cima della pianta.
Il frutto è un baccello, diritto o leggermente ricurvo, di lunghezza variabile tra i 20 e
i 70 mm, che è formato dalle due metà di un singolo carpello che sono unite da una
sutura dorsale e ventrale. Il numero dei baccelli varia da 1 - 2 a più di 20 in una singola infiorescenza e può raggiungere il numero di 400 per pianta.
Il seme può essere di colore giallo, verde, bruno o nero con forma generalmente ovale o ellittica.
Caratteri riproduttivi
La soia è una pianta auto-impollinante. Le antere rilasciano il polline all’interno del
fiore e lo depositano direttamente sullo stimma. Lo stimma è recettivo da 24 ore prima a 48 ore dopo l’antesi. La soia è caratterizzata da una percentuale di impollinazione incrociata inferiore all’1%.
Inoltre la pianta produce molti fiori ma, a secondo delle varietà, il 20 – 80% dei fiori
abortisce; questo fenomeno è più accentuato nelle varietà con molti fiori per nodo.
Ecologia
Le esigenze climatiche della soia sono molto simili a quelle del mais. La temperatura
minima di crescita è di circa 4 - 6°C e l’optimum oscilla tra i 24 - 25°C. Nelle zone
tipiche di coltivazione la pianta raggiunge la maturazione in cinque mesi.
La soia è brevidiurna, alcune varietà necessitano di 10 ore di buio giornaliero per fiorire.
148
Non ha particolari esigenze rispetto alle caratteristiche pedologiche, si adatta sia a
terreni pesanti sia sabbiosi ed è moderatamente tollerante alla salinità.
Le varietà di soia coltivate non tollerano le basse temperature e non sopravvivono alle condizioni invernali. La soia non mostra caratteristiche di infestante e non è in grado di competere con le piante coltivate e selvatiche.
Coltivazione ed utilizzo
La soia è una delle più antiche specie vegetali coltivate. Dati storici e geografici individuano nell’est della Cina il centro di domesticazione della specie.
Oggi la coltivazione è diffusa in più di 35 paesi e i maggiori produttori sono: Stati
Uniti, Cina, Corea, Argentina e Brasile.
La soia è coltivata principalmente per la produzione di seme che trova numerosi utilizzi nell’alimentazione e nelle produzioni industriali.
Il seme contiene dal 40 al 50% di proteine e dal 20 al 24% di olio sulla sostanza secca. L’olio contiene circa il 12 – 14 % di acidi saturi (palmitico e stearico); il rimanente è costituito da acidi insaturi (oleico, linoleico e linolenico). L’olio raffinato è utilizzato nell’alimentazione umana e nella produzione di margarine.
La soia è utilizzata inoltre per il consumo umano diretto (seme, germogli) e nella produzione di numerosi prodotti alimentari (salse, condimenti, tofu, “latte” vegetale, prodotti da forno, ecc.).
Le farine di soia sono utilizzate per l’alimentazione animale.
Varietà coltivate
Tra le varietà coltivate si possono distinguere tre tipi di sviluppo: determinato, semideterminato e indeterminato. Le piante a crescita determinata sono caratterizzate da
arresto dell’attività vegetativa quando si formano contemporaneamente infiorescenze
ai racemi apicali e ascellari. Nelle varietà a sviluppo semi-determinato la crescita si
arresta alla fine del periodo di fioritura mentre nelle varietà a crescita indeterminata
lo sviluppo vegetativo continua durante la fioritura.
Le varietà sono classificate per gruppi di maturità sulla base della durata del ciclo (da
75 a più di 200 giorni). Le varietà più precoci sono adatte a latitudini più elevate,
mentre quelle appartenenti ai gruppi più tardivi a latitudini inferiori. In Italia si coltivano varietà precoci.
Tecnica colturale
La soia può seguire o procedere all’interno dei piani colturali la maggior parte delle
colture agrarie come i cereali, la patata, il pomodoro, la barbabietola, ecc..
La coltura non richiede lavorazioni profonde e si adatta a letti di semina anche poco
curati. Nei terreni mai coltivati a soia o in presenza di debole attività batterica, il seme viene inoculato prima della semina con il batterio simbionte specifico (Bradirhyzobium japonicum). L’epoca di semina è determinata dalla temperatura del suolo che
149
deve essere superiore a 12°C: in Italia la prima metà del mese di maggio è in genere il periodo ottimale. La distanza interfila consigliata per la semina è di 45 – 50 cm
con una densità finale che varia a seconda delle varietà da 25 a 50 piante/m2.
Il seme è pronto alla raccolta quando il baccello è maturo ed il seme ha un contenuto di umidità del 12 – 14%. La raccolta è realizzata con mietitrebbia e si possono avere perdite di prodotto che variano dal 4 al 10%. Altre perdite possono essere dovute
alla deiscenza dei baccelli prima della raccolta.
Avversità
In Tabella 6.21 sono riportati alcuni degli organismi che provocano malattie o danni
alla soia durante le diverse fasi del suo sviluppo.
Tabella 6.21: Organismi patogeni per la soia.
Organismo
Diaporthe phaseolorum
(cancro dello stelo)
Diaporthe phaseolorum var. sojae
(Avvizzimento dello stelo)
Collectotrichum dematium var.
truncatum (atracnosi)
Phytophtora megasperma var. sojae
(marciume)
Sclerotinia sclerotiorum (sclerotinia)
Peronospora manshurica
(peronospora)
Rhizoctonia solani (rizottoniosi)
Pseudomonas syringae pv. Glycinea
(maculatura batterica)
Virus del mosaico della soia (SMV)
Tetranychus urticae (ragnetto rosso
comune o bimaculato)
Delia platura (mosca)
Meloidogyne spp.
Heterodera glycinis (nematode
a cisti della soia)
Insetto
Nematode
Micete
Batterio
Virus
Acaro
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
Caratteristiche specifiche della pianta transgenica
Soia geneticamente modificata
Le linee transgeniche di soia, attualmente disponibili per la coltivazione, sono caratterizzate dai seguenti tratti genetici:
150
• tolleranza all’erbicida glufosinate ammonio ottenuta con l’inserimento del gene batterico fosfinotricina acetil-transferasi isolato o da Streptomyces hygroscopicus o da Streptomyces viridochromogenes;
• tolleranza all’erbicida glifosate ottenuta con l’inserimento del gene EPSPS (5enol-piruvil- scichimato-3-fosfato sintetasi) isolato da Agrobacterium sp. ceppo CP4;
• alterazione della composizione dell’olio ottenuta inserendo il gene delta-12
desaturasi isolato da soia.
Numerose sperimentazioni sono attualmente in corso per la valutazione di linee transgeniche in cui sono stati inseriti geni che conferiscono alle piante caratteristiche diverse quali:
• modificazioni nella composizione delle proteine di riserva (ad esempio incremento in metionina e lisina);
• tolleranza ad erbicidi quali: Isoxazolo, Imidaxolinone, Bromoxynil, Isoxaflutolo;
• resistenza ad insetti (es. coleotteri);
• resistenza a patogeni fungini (es. Sclerotinia);
• resistenza a virus (BPMV);
• incremento della produttività e del contenuto proteico.
Flusso genico
Le forme selvatiche ed erbacee di soia (G. gracilis e G. soja), e tutte le affini del genere Glycine crescono naturalmente solo in Asia, Australia e regioni limitrofe.
La soia si incrocia facilmente con le piante appartenenti alla specie Glycine sottogenere Soja ma con difficoltà con quelle appartenenti al sottogenere Glycine e solo in
condizioni indotte artificialmente dall’uomo.
Poiché la soia si autoimpollina, il polline migra raramente al di fuori dei campi coltivati. Alcuni studi hanno dimostrato che le api intervengono nei rari casi di impollinazione incrociata. Nella produzione commerciale di semente non sono richieste distanze di sicurezza tra i campi coltivati con cultivar diverse.
Il seme di soia disperso nel terreno ha scarse possibilità di geminare nell’anno successivo, ma questo potrebbe avvenire in condizioni climatiche favorevoli.
151
7. ORGANIZZAZIONI NAZIONALI ED INTERNAZIONALI ED INDUSTRIE CHE SI
OCCUPANO DI OGM
7.1 Rassegna degli enti istituzionali preposti alla raccolta dati, al controllo e alla
valutazione delle attività legate agli OGM.
7.1.1 Italia
La Commissione Interministeriale di Valutazione (CIV)
La Commissione Interministeriale di Valutazione è stata istituita ai sensi del Decreto legislativo n. 224 del 8 luglio 2003; è presieduta da un Direttore generale del Ministero dell’ Ambiente e Tutela del Territorio ed è composta da:
a) un rappresentante per ciascuno dei Ministeri dell’Ambiente e Tutela del Territorio, della Salute,delle Politiche Agricole e Forestali, delle Attività Produttive, delle Politiche Sociali;
b) tre rappresentanti della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome;
c) due esperti per ciascuna delle seguenti amministrazioni dello Stato: Ministero dell’Ambiente e Tutela del Territorio, Ministero della Salute, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e
per i Servizi Tecnici (APAT);
d) un’esperto per ciascuna delle seguenti amministrazioni: Istituto Nazionale di
Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, Ministero delle Attività Produttive,
dell’Istituto Superiore della Sanità, Istituto Superiore per la Prevenzione e la
Sicurezza del Lavoro;
Per lo svolgimento dei lavori, la Commissione può organizzarsi in sottogruppi ed avvalersi dell’opera di esperti.
Nell’ambito delle attività concernenti l’emissione deliberata nell’ambiente di Organismi Geneticamente Modificati, la Commissione, ai sensi del D.Lgs sopra citato, svolge i seguenti compiti:
a) esamina le notifiche presentate sia per la fase sperimentale sia per la fase di
commercializzazione ed esprime parere sulle stesse;
b) esprime parere su ogni altra questione relativa agli aspetti considerati dal sopracitato decreto;
c) promuove, ove lo ritenga necessario, la richiesta di parere al Consiglio Superiore di Sanità e al Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
153
d) può disporre la consultazione di gruppi e del pubblico su ogni aspetto dell’emissione progettata;
e) esamina la sintesi delle notifiche per la commercializzazione presentate presso gli altri Stati membri dell’Unione Europea richiedendo, se del caso, ulteriori informazioni ed esprimendo il proprio parere sulla base della valutazione dei rischi dell’emissione;
f) esamina le relazioni finali relative alle sperimentazioni condotte;
g) individua i funzionari destinati alle attività ispettive.
Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie
Il Comitato è stato istituito, ai sensi dell’art. 40, comma 2, della legge 19 febbraio
1992, n. 142, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e rinnovato con DPCM
11 settembre 1997 che ne ha ampliato le finalità istituzionali.
Il Comitato è presieduto attualmente dal Prof. Leonardo Santi, Direttore del Dipartimento di Oncologia, Biologia e Genetica dell’Università di Genova, ed è composto
da esperti delle discipline più coinvolte nelle moderne biotecnologie (microbiologia,
biologia molecolare, genetica, ingegneria chimica, medicina del lavoro, agronomia,
ecologia farmacologica, igiene) e da rappresentanti dei Ministeri interessati, di Enti e
Istituzioni pubbliche e private a vario titolo coinvolte nel settore delle biotecnologie.
I compiti principali del Comitato sono:
- coordinamento delle attività relative al settore delle biotecnologie;
- valutazione e controllo del rischio da agenti biologici;
- fornire pareri sugli atti legislativi di recepimento nazionale delle direttive europee nel campo delle biotecnologie, stabilendo allo scopo diretti collegamenti
con l’Unione Europea;
- fornire supporto tecnico alle iniziative governative e legislative;
- elaborazione di un quadro conoscitivo dei programmi, delle iniziative e delle attività biotecnologiche svolte dai Ministeri, dagli Enti di ricerca pubblici e privati e
da altri organismi, provvedendo alla valutazione delle implicazioni delle tecnologie biologiche innovative nei diversi settori della ricerca e produttività economica;
- informazione e divulgazione delle conoscenze tecnico-scientifiche.
Oltre ai lavori svolti nelle riunioni plenarie, il Comitato ha predisposto l’attivazione di
appositi gruppi di lavoro per l’approfondimento dei temi più significativi.
Tra questi gruppi ne segnaliamo due di principale interesse per la tematica di questo
testo:
• Informazione e comunicazione sulle biotecnologie, con la finalità di individuare le metodologie più idonee per un’informazione corretta e obiettiva sui
temi della biosicurezza e delle biotecnologie.
154
• Gruppo per la valutazione dei rischi biologici, con la finalità di:
- definire la validità di metodiche e di test indispensabili per la valutazione dei
rischi da OGM, l’elaborazione di linee guida o protocolli finalizzati alla prevenzione, alle metodiche e alla salvaguardia dall’uso di OGM e dal loro rilascio nell’ambiente;
- fornire una panoramica e una valutazione comparativa delle attività e delle iniziative, in atto o preconizzate, a livello nazionale, comunitario ed internazionale;
- formulare proposte per un programma di ricerca per la messa a punto di tecniche o metodologie innovative per la valutazione e il monitoraggio dei rischi
da lavorazione, uso e diffusione ambientale di prodotti biotecnologici.
A marzo 2003 è stato inoltre istituito un gruppo di lavoro misto CNBB-MIPAF (Ministero delle Politiche Agricole e Forestali) con il compito di realizzare dei “Protocolli
tecnici per la sperimentazione in regime di sicurezza delle attività di ricerca e di sperimentazione riguardanti gli OGM in campo agricolo”, disponibile sul sito web
http://www.palazzochigi.it/biotecnologie/.
Una più dettagliata descrizione dell’organizzazione e delle attività del Comitato è reperibile sul sito web http://www.palazzochigi.it/biotecnologie/.
La Commissione Tecnico Scientifica per la Biosicurezza del Ministero dell’Ambiente
La Commissione è stata istituita per Decreto Ministeriale del 13 settembre 2000
(GAB/DEC/0094/2000), presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio.
La Commissione è costituita da esperti riconosciuti nelle tematiche relative al rischio ambientale derivato dall’impiego di OGM (ecotossicologia, farmacologia ambientale,
biovigilanza, ingegneria genetica, genetica vegetale, genetica umana e bioetica); partecipano alle attività anche l’APAT e il CCTA (Comando Carabinieri Tutela Ambiente).
La Commissione ha il compito di:
- descrivere i rischi ambientali conseguenti all’impiego, confinato o in campo
aperto, di prodotti GM;
- definire apposite linee guida per la valutazione del rischio ambientale da
OGM;
- definire criteri e modelli operativi di biovigilanza;
- fornire orientamenti per l’applicazione del Protocollo di Cartagena;
- elaborare proposte, anche integrative, della vigente normativa nazionale ed
europea;
- fornire, su richiesta del Ministro, consulenza ed assistenza per ispezioni e vigilanza in materia di OGM.
È importante ricordare che il Decreto del Ministro dell’Ambiente riprende il precedente
Decreto del Ministro dell’Ambiente del 26 luglio 1999, n. GAB/DEC/943/99, che
155
assegnava all’APAT ed al CCTA specifiche competenze nel campo della biovigilanza.
Per garantire lo sviluppo armonico di una rete di controlli sul territorio nazionale, nel
giugno 2000, è stata istituita una specifica Task force del Sistema delle Agenzie per
la Protezione dell’Ambiente (Nazionale, Regionali e Province Autonome).
7.1.2 Commissione Europea
Nell’ambito della sicurezza alimentare la Commissione Europea può richiedere il parere scientifico di esperti su specifiche questioni.
Per facilitare tali azioni sono stati costituiti in ambito europeo degli appositi Comitati
Scientifici che esprimono il proprio parere in merito alle questioni sottoposte dalla
Commissione.
L’elenco dei comitati attivati, la loro composizione ed i pareri espressi sono disponibli sul sito web: http://europa.eu.int/comm/food/fs/sc/index_en.html.
In materia di PGM sono di particolare interesse i pareri del Comitato delle Piante
disponibili sulla pagina WEB: http://europa.eu.int/comm/food/fs/sc/scp/outcome
gmo_en.html.
Si ricorda, inoltre, che il Joint Research Centre della Comunità Europea, (http://biotech.jrc.it/it.asp ) ha il compito di raccogliere tutte le notifiche depositate presso gli
enti competenti di ogni paese membro.
Il JRC diffonde anche un software denominato SNIF, scaricabile dal sito http: //biotech.jrc.it/e-snif.asp, sviluppato dalla Commissione Europea per lo scambio in formato
elettronico dei Summary Notification Information Format (SNIF) tra i notificanti (Industrie,
Centri di ricerca), le Autorità competenti degli Stati membri e la Commissione Europea.
Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (European Food Safety Authority EFSA) (http://www.efsa.eu.int)
Con il regolamento CE n. 178/2002 (GU. L 31 del 1 febbraio 2002) è stata istituita
la Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare che avrà la sua sede definitiva in Italia (Parma). Principalmente l’attività dell’EFSA sarà condotta da Comitati scientifici,
composti da scienziati indipendenti provenienti da diversi Paesi della Comunità Europea e sarà a disposizione della Commissione; tuttavia, anche il Parlamento Europeo e gli Stati membri potranno interrogarla sulle questioni di carattere scientifico.
L’EFSA avrà come compito principale quello di effettuare l’analisi del rischio e fornire consulenze scientifiche indipendenti su qualunque argomento abbia un’attinenza
diretta o indiretta con la sicurezza alimentare, occupandosi di tutta la filiera produttiva, dalla produzione primaria al consumatore finale, comprese quelle attinenti alla
salute e al benessere degli animali o alla salute delle piante.
Inoltre l’EFSA presterà consulenza scientifica anche sugli OGM non destinati al consumo umano o animale e sulla nutrizione in relazione alla legislazione comunitaria.
Fra i suoi compiti fondamentali vi sarà anche quello di comunicare direttamente con
il pubblico su tutti gli argomenti di sua competenza.
156
7.2 Panoramica sulle organizzazioni internazionali che si occupano di OGM.
Oltre agli organismi statali competenti per ogni stato, esistono organizzazioni internazionali, governative e non, le quali, insieme ad altre tematiche, si occupano anche
delle biotecnologie.
Si premette che non tutte le organizzazioni presentate si occupano specificatamente
del rilascio di OGM o PGM nell’ambiente e del rischio ambientale ad esso associato.
Alcune organizzazioni presentate sono infatti orientate verso la protezione della salute umana ma si reputa comunque importante non tralasciarle in quanto molto importanti e influenti sullo scenario internazionale. Molto spesso, infatti, l’analisi e la gestione del rischio relative all’ambiente e alla salute si incrociano e altrettanto spesso
le necessità di intervento sono comuni e/o complementari.
Tutte le informazioni relative alle organizzazioni internazionali presentate di seguito
sono state tratte dai rispettivi siti internet ufficiali, il cui indirizzo viene sempre riportato nel testo.
7.2.1 Organizzazioni governative
FOOD AND AGRICULTURE ORGANISATION (FAO)
Descrizione dell’organizzazione
L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura
(http://www.fao.org) è stata creata nel 1945 con lo scopo di migliorare lo stato nutrizionale, il livello di vita, la sicurezza alimentare e la produttività agricola; attualmente
raggruppa 180 Stati membri oltre la Comunità Europea. L’organizzazione fornisce aiuti diretti per lo sviluppo, la raccolta, l’analisi e la diffusione delle informazioni, consiglia i governi in materia di politica e pianificazione e funge da forum internazionale
per gli argomenti di alimentazione e di agricoltura.
Attività e prodotti legati alle biotecnologie
La FAO riconosce che le biotecnologie sono strumenti potenti per lo sviluppo dell’agricoltura ma che esistono una serie di incertezze e di rischi possibili associati al loro utilizzo che vengono trattati dalle attività relative alla biosicurezza. La biosicurezza in agricoltura viene definita come la salvaguardia e l’uso ambientale sostenibile di
tutti i prodotti biologici e l’applicazione di tutti gli accorgimenti necessari per l’aumento della sicurezza alimentare, per la protezione della salute umana e per la sostenibilità dell’ambiente e della biodiversità. L’aumento dell’utilizzo di organismi geneticamente modificati necessita in questo ambito di controlli e test, di un’adeguata
legislazione per la protezione dell’ambiente e di capacità di amministrazione e gestione di tutti i rischi potenziali. La FAO ha promosso diverse attività in questo senso,
riportate all’indirizzo http://www.fao.org/sd/rtdirect/rtre0034.htm:
157
1. The International Plant Protection Convention (IPPC) è un trattato di cooperazione internazionale depositato dalla FAO e amministrato dalla FAO tramite il Segretariato per IPPC. Lo scopo della Convenzione è di assicurare azioni comuni per la prevenzione dell’introduzione e della diffusione degli agenti infestanti delle piante e per promuovere appropriate misure di controllo.
Questa Convenzione è entrata in vigore nel 1952 ed è riconosciuta come il
primo strumento di cooperazione internazionale per la protezione delle risorse vegetali. Le applicazioni dell’IPPC sono relative alla piante coltivate, alla
protezione dai danneggiamenti diretti e indiretti derivati dagli organismi infestanti e implicitamente anche alla protezione della flora naturale. La Convenzione prevede che gli stati aderenti possano difendere il proprio patrimonio
vegetale mediante strumenti legislativi che, se necessario, riguardino anche
eventuali restrizioni sul trasporto e il commercio di alcuni prodotti che siano,
anche solo mediante analisi di rischio, considerati nocivi. Ogni OGM che possa essere considerato pericoloso per le piante autoctone o ormai naturalizzate di un paese può essere annoverato tra gli organismi trattati dall’IPPC e diventa soggetto alle regole di salvaguardia previste dalla Convenzione.
2. The Commission on Genetic resources for Food and Agricolture è stata istituita durante la Conferenza della FAO nel 1983. Il mandato della Commissione è stato allargato per includere le risorse genetiche che riguardano gli
alimenti e l’agricoltura dal 1995. Attualmente i membri di tale Commissione
sono 159 paesi e la Comunità Europea. La Commissione ha sviluppato due
accordi internazionali importanti per il Protocollo di Biosicurezza e per la
Convenzione sulla Biodiversità:
a. The International Undertaking on Plant Genetic Resource, adottata dalla
Conferenza della FAO nel 1983.
b. The International Code of Conduct for Plant Germplasm Collecting and
Transfer, adottata dalla Conferenza della FAO nel 1993. Scopo del Codice era quello di massimizzare gli effetti positivi e di minimizzare i possibili effetti negativi derivanti dalle biotecnologie. Tutti gli argomenti trattati
sono stati elaborati di comune accordo tra la FAO e la Convenzione sulla
Biodiversità.
3. The Codex Alimentarius Commission (CAC) è stato formato dalla FAO e dal
WHO (World Health Organisation) nel 1962 per implementare il Joint
FAO/WHO Food Standard Programme. Il CAC è un organismo intergovernamentale della FAO e del WHO e al momento comprende 163 Stati membri. Attualmente il CAC ha individuato le “Raccomandazioni per l’etichettatura di alimenti ottenuti attraverso le biotecnologie” (Recommendations for the
Labelling of Foods Obtained through Biotechnology) e dal 1999 è stato costituito un Comitato intergovernativo ad hoc sugli alimenti derivati dalle biotecnologie al fine di valutare la potenziale allergenicità, la possibilità di tra-
158
sferimento genetico dagli OGM, la patogenicità derivante dagli organismi
utilizzati, le caratteristiche nutrizionali e di stabilire criteri per l’etichettatura.
4. Safety Aspects of Genetically Modified Foods of Plant Origin è il rapporto
della prima consultazione di esperti FAO/WHO sul cibo derivato dalla biotecnologia. Tale incontro è avvenuto presso la sede del WHO a Ginevra dal
29 maggio al 2 giugno 2000. La descrizione del report è riportata in seguito durante la presentazione del WHO.
5. The Agreement on the Application of Sanitary and Phytosanitary Measures
(SPS Agreement) è stato realizzato in collaborazione con il World Trade Organisation (WTO). L’SPS è relativo alla regolamentazione del commercio e
ha lo scopo di proteggere la salute e la vita umana, animale e delle piante.
La FAO fornisce inoltre assistenza tecnica sia a livello scientifico sia legislativo per tutti gli Stati membri.
WORLD HEALTH ORGANISATION (WHO)
Presentazione dell’Organizzazione
L’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS = WHO) è stata fondata nel 1948
ed è un’agenzia specializzata all’interno delle Nazioni Unite che raccoglie 191 Stati
membri. L’OMS promuove la cooperazione tecnica per la salute, realizza programmi
per controllare ed eradicare le malattie e si impegna per migliorare la qualità della
vita. Le quattro principali funzioni dell’Organizzazione sono: stabilire standard globali per la salute, cooperare con i governi per rafforzare i programmi nazionali per
la salute e sviluppare e diffondere nuove tecnologie, informazioni e standards.
Attività e prodotti legati alle biotecnologie
Numerose attività del WHO sono rivolte al tema biotecnologie, soprattutto per quanto riguarda le implicazioni legate alla salute umana, comprese quindi le valutazioni
di sicurezza dei vaccini prodotti con le biotecnologie, la clonazione e la terapia genica.
1. Nel maggio del 2000 durante la 53a Sessione del World Health Assembly è
stata realizzata una “Risoluzione relativa al Cibo derivato dalle Biotecnologie”
ove si richiede la designazione di esperti che garantiscano la trasparenza e
l’indipendenza delle informazioni scientifiche diffuse sulle biotecnologie.
2. Sono state avviate consultazioni con esperti e con altre organizzazioni internazionali sulle biotecnologie e sono stati prodotti i relativi rapporti. Le ultime
consultazioni di notevole importanza sono:
a. 1st Joint FAO/WHO consultation on Food derived from Biotechnology, avvenuto a Ginevra presso la sede del WHO dal 29 maggio al 2 giugno 2000,
159
da cui è stato realizzato il report “Safety Aspects of Genetically Modified
Foods of Plant Origin”. Tutti i documenti relativi alla consultazione sono disponibili in formato PDF al sito http://www.who.int/fsf/GMfood/Consultation_May2000/Documents_list.htm.
b. 2nd Joint FAO/WHO Consultation on Foods Derived from Biotechnology, Allergenity of genetically modified foods, tenutosi a Roma dal 22 al 25 gennaio
2001. I documenti prodotti da questa consultazione sono disponibili in PDF e
scaricabili dal sito http://www.who.int/fsf/GMfood/Documents_list.htm.
c. Seminario internazionale “Release of Genetically Modified Organisms in the
Environment: is it a Human Health Hazard?”, organizzato presso la sede di
Roma il 7 e 8 settembre 2000. I documenti preparati per questo seminario
sono scaricabili dal sito http://www.who.it/emissues/gmo/gmos.htm.
I prodotti delle consultazioni presentate ai punti “a” e “b” sono legati strettamente ai problemi concernenti la salute umana e gli alimenti geneticamente modificati, mentre i documenti presentati durante il seminario tenutosi a Roma
enunciato al punto “c” offrono un’ottima panoramica sui rischi ambientali legati
all’emissione deliberata nell’ambiente di piante geneticamente modificate. Durante il seminario sono stati presentati numerosi documenti scientifici, inerenti le
problematiche legate alla diffusione dei prodotti delle biotecnologie e all’ambiente, organizzati in diverse sessioni:
• Sessione A: valutazione del rischio
• Sessione B: trasferimento genico
• Sessione C: il suolo come ecosistema
• Sessione D: resistenze
• Sessione E: impatto sulla fauna non bersaglio
3. Fanno parte delle attività svolte nel campo delle biotecnologie del WHO anche tutte le attività legate alla collaborazione con la FAO nel Codex Alimentarius Commission (CAC), le cui caratteristiche sono già state presentate precedentemente.
UNITED NATIONS ENVIRONMENT PROGRAMME (UNEP)
Descrizione dell’Organizzazione
La United Nations Environment Programme (UNEP) (http://www.unep.org), in collaborazione con gli altri organismi dell’Unione Europea, si occupa delle tematiche ambientali favorendo la collaborazione con le aziende private, la comunità scientifica,
le organizzazioni non governative, ecc., al fine di promuovere uno sviluppo sostenibile. Attualmente si pone l’obiettivo di implementare un’agenda ambientale che si occupi dell’integrazione tra sviluppo economico e benessere sociale.
160
Tra le attività principali dell’UNEP vi è la collaborazione con il Global International
Waters Assessment, la promozione del “Protocollo di Montreal sulle sostanze dannose per lo strato di ozono” (1987), la gestione degli hazard chimici per eliminare o ridurre i rischi per la salute dell’uomo e dell’ambiente, e l’organizzazione della “Convenzione sulla Biodiversità” e di tutte le attività che ne sono conseguite.
Attività e prodotti legati alle biotecnologie
L’UNEP ha iniziato diverse attività legate alla sicurezza dell’uso degli OGM a livelli
nazionali, subregionali e regionali, in cooperazione con la “Convenzione sulla Biodiversità” (CBD) e con il Global Environment Facility (GEF).
In occasione del Seminario WHO “Release of Genetically Modified Organisms in the
Environment: is it a Health Hazard?” è stato presentato il documento “Capacity Building
in Developing Countries and Countries with economies in transition to facilitate the implementation of the Cartagena Protocol on Biosafety”. In tale documento, facendo riferimento al “Protocollo di Cartagena” sulla Biosicurezza approvato a Montreal il 29 gennaio 2000 (disponibile al sito web http://www.biodiv.org/biosafety/protocol.asp), si
ricorda che è stata riconosciuta l’interdipendenza tra protezione ambientale e i processi di sviluppo, già evidenziata dalla “Dichiarazione di Rio sull’Ambiente e lo Sviluppo”.
Il passo successivo del “Protocollo di Cartagena” è il consolidamento delle linee guida
per lo sviluppo di una legislazione internazionale per l’integrazione delle necessità legate al commercio e delle attività legate alla protezione dell’ambiente. In quest’ottica
l’articolo presentato al seminario WHO sottolinea le opportunità che la moderna biotecnologia può offrire per conciliare la necessità di risorse alimentari e la sicurezza dell’agricoltura. Si evidenzia la necessità di promuovere una capacità costruttiva che permetterà ai paesi di fare effettivo uso delle applicazioni delle biotecnologie pur mantenendo gli obblighi nazionali previsti dalla “Convenzione sulla Biodiversità” e dal “Protocollo di Biosicurezza”. L’articolo presenta anche brevemente quali possono essere le
linee di condotta per facilitare lo sviluppo e l’applicazione della moderna biotecnologia,
con particolare attenzione verso i paesi in via di sviluppo, e nello stesso tempo evidenzia le problematiche legate ai potenziali impatti negativi degli OGM, sia sulla salute
umana sia sull’ambiente, da porre alla comunità internazionale.
Importante è anche il capitolo 16 dell’”Agenda 21”, adottata dalla “Convenzione di
Rio” nel 1992, che affronta l’argomento “Environmentally Sound Management of Biotechnology”. Tale documento è scaricabile dal sito dell’UNEP http://www.unep.org/
Documents/Default.asp?DocumentID=52&ArticleID=64 e presenta una serie di programmi per favorire l’applicazione di principi internazionali che assicurino una gestione sicura dal punto di vista ambientale delle biotecnologie, che favoriscano la confidenza e la conoscenza del pubblico e che promuovano lo sviluppo sostenibile delle
applicazioni delle biotecnologie e l’aumento della sicurezza in campo ambientale e
della salute umana, soprattutto nei paesi in via di sviluppo.
161
ORGANISATION FOR ECONOMIC CO-OPERATION AND DEVELOPMENT (OECD)
Presentazione dell’Organizzazione
L’Organisation for economic Co-operation and Development (OECD) comprende 30
paesi membri. Il suo scopo principale è la promozione di politiche per favorire la crescita economica sostenibile, aumentare gli standard di vita e la liberalizzazione del
commercio. L’OECD permette agli Stati membri di discutere e sviluppare politiche interne e internazionali, di promuove incontri in cui i paesi possono confrontare le proprie esperienze, di cercare risposte a problemi comuni e di lavorare per coordinare
le politiche. Il Consiglio dell’OECD è il più alto organo decisionale e normalmente è
costituito dagli Ambasciatori degli Stati membri. In ogni caso una volta all’anno viene organizzato un incontro con i Ministeri interessati dei paesi membri. Oltre al Consiglio esistono circa 200 comitati specializzati e altri gruppi che sviluppano i programmi di lavoro previsti dall’Organizzazione. I partecipanti ad ogni gruppo sono
nominati dal governo di ogni paese.
Attività e prodotti legati alle biotecnologie
All’interno dell’OECD è stato istituito un Internal Co-ordination group for Biotechnology (ICGB). Tale gruppo di lavoro è stato istituito nel 1993 per facilitare il coordinamento interno in questo settore. L’ICGB ha giocato un ruolo importante di coordinazione delle risposte dell’OECD al G8. Il lavoro più importante elaborato dall’ ICGB è
costituito da una serie di report relativi alle biotecnologie e alla sicurezza ambientale e alimentare realizzati su richiesta del G8 durante l’incontro di Colonia in Germania nel 1999. I risultati delle ricerche effettuate dal gruppo ICGB sono stati considerati durante il Summit del G8 tenutosi ad Okinawa, in Giappone, nel luglio del 2000.
L’OECD ha realizzato
• tre reports scritti dai comitati costituiti dai rappresentanti degli Stati membri
per condividere le proprie conoscenze e prospettive;
• due report realizzati da due gruppi designati dal G8, la Task Force on the safety of Novel Food e l’ Harmonisation group of regulatory Oversight in Biotechnology, che dovrebbero essere utilizzati dai governi per la gestione della
salute umana e dei rischi ambientali correlati ai prodotti transgenici;
• un inventario analitico dei sistemi e delle attività nazionali e internazionali legate alle biotecnologie, un compendio sulle organizzazioni internazionali con
attività legate alla sicurezza alimentare e una rassegna su sistemi e attività di
sicurezza alimentare nazionali, realizzati dall’”Ad Hoc Group on Food Safety” per aiutare il G8 nelle richieste da porre agli Stati;
• un report del Consiglio che riporta le consultazioni con le Organizzazioni non
governative sulle biotecnologie e sui diversi aspetti di sicurezza alimentare.
162
Tutti i rapporti dell’OECD sono pubblicati su internet al sito http://www.oecd.org/ehs
/icgb/ e sono riportati anche nella bibliografia allegata al presente lavoro. Per le tematiche affrontate, legate soprattutto alle problematiche ambientali, alla biosicurezza e alla gestione del rischio, si segnala il report of the Working Group on Harmonisation of regulatory Oversight in Biotecnology.
Tra gli altri documenti importanti prodotti dall’OECD vi sono i “Consensus Documents”
scaricabili all’indirizzo http://www.oecd.org/ehs/cd.htm. I consensus documents sono schede tecniche relative a diversi prodotti biotecnologici che si propone siano riconosciuti e utilizzati da tutti gli Stati membri. Tali documenti sono incentrati sulla biologia degli organismi e/o sui nuovi tratti genetici inseriti nell’organismo.
Nel sito internet sono disponibili, inoltre, due importanti database:
1. Il “Biotech database” ( http://www.olis.oecd.org/bioprod.nsf ) è un prototipo di database per i prodotti derivati dall’applicazione delle biotecnologie
ed è stato creato allo scopo di favorire lo scambio di informazioni tra gli Stati membri dell’OECD riguardanti l’iter e lo stato di approvazione per la commercializzazione dei prodotti biotech. La realizzazione di questo database è
stata richiesta dall’Expert Group on Harmonisation of regulatory Oversight
in Biotechnology ed è solo ad un primo stadio di sviluppo. Le informazioni
contenute nel database pervengono all’OECD sia dalle Autorità competenti
degli Stati membri sia da alcuni istituti che sviluppano i prodotti stessi. E’ quindi possibile che non tutte le informazioni siano state riportate con le stesse
modalità. Per lo stesso motivo non si garantisce che tutti i dati inseriti nel database siano corretti, sebbene tutti coloro che hanno offerto le informazioni
abbiano compiuto uno sforzo per fornire le informazioni più precisamente
possibile. La ricerca nel database si può effettuare sia attraverso la lista degli organismi sia attraverso la lista della compagnia produttrice. E’ possibile
inoltre utilizzare un sistema di ricerca generale che permette di visualizzare
le informazioni di interesse per l’utente.
2. Il secondo database disponibile è il “OECD’s Database of Field Trials”
(http://www.olis.oecd.org/biotrack.nsf ) che raccoglie le notifiche per le sperimentazioni depositate, presso le proprie Autorità competenti, dagli istituti/aziende che realizzano le sperimentazioni negli Stati membri. Anche presso questo database è attivo un sistema di ricerca che permette di partire da
una lista organizzata per stato o per organismo o di ricercare un argomento liberamente tramite il sistema di ricerca generale.
INTERNATIONAL CENTRE FOR GENETIC ENGINEERING AND BIOTECHNOLOGY
(ICGEB)
L’ICGEB, International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology (http://ic-
163
geb.trieste.it), è un’organizzazione intergovernativa che costituisce un Centro di eccellenza per la ricerca e la formazione nei campi dell’ingegneria, della genetica e della
biotecnologia, con un’attenzione speciale alle necessità dei Paesi in via di sviluppo.
All’interno del centro si promuovono attività di ricerca nell’ambito delle scienze della vita e le nuove tecnologie nel campo della salute pubblica, della nutrizione, dello sviluppo
industriale, della protezione ambientale e del risparmio energetico. Il centro comprende
41 Paesi, alcuni membri, altri affiliati e lavora presso le sedi di Trieste e New Delhi.
Il Biosafety Unit insieme al ICGEB Directorate hanno svolto diversi tipi di servizi quali la diffusione dell’informazione e la ricerca riguardante attività possibili relative alla biosicurezza e alla gestione del rischio legati al rilascio ambientale di organismi
geneticamente modificati. Il sito internet di riferimento è: http://www.icgeb.
trieste.it/~bsafesrv/bsfbroch.htm.
Per quanto riguarda la sezione relativa alla diffusione dell’informazione (Biosafety
Clearing House), nel sito internet dell’ICGEB vi è un settore totalmente dedicato alla
biosicurezza suddiviso in ulteriori tre sezioni:
• Biosafety: un database con sistema di ricerca che raccoglie studi scientifici sulla biosicurezza. Tale database è aggiornato mensilmente e raccoglie gli articoli scientifici apparsi nelle diverse riviste di settore dal 1990. Tali articoli sono selezionati da scienziati dell’ICGEB in accordo con i principali temi (Topics
of Concerns) riguardanti i rischi associati al rilascio di OGM nell’ambiente. È
possibile, inoltre, estrarre dal database una serie di dati statistici.
• Library: una raccolta di documenti selezionati sulla biosicurezza. Sono compresi documenti ufficiali realizzati dalle più importanti organizzazioni internazionali che lavorano nel campo della biosicurezza, prodotti scientifici pubblicati nel Web e alcune informazioni relative alle normative sull’argomento
“Biosicurezza” emanate nei diversi Paesi. Sono raccolti inoltre i documenti
principali sulla biosicurezza realizzati dalle Nazioni Unite come la “Dichiarazione di Rio”, l’”Agenda 21” e il “Voluntary Code of Conduct for the release of Organisms into the Environment”, preparato dall’UNIDO con l’assistenza dell’ICGEB per l’Informal Working Group on Biosafety costituito da
UNIDO-UNEP-WHO-FAO.
• Links: una lista di link ai siti delle principali organizzazioni internazionali e ai
siti governativi collegati al tema della biosicurezza. Vi è inoltre una sezione
contenente i link a database presenti sul web direttamente o indirettamente
collegati al problema della biosicurezza e del rilascio nell’ambiente di OGM.
Le attività e le ricerche legate alla biosicurezza e alla gestione del rischio hanno lo
scopo di fornire tutti gli strumenti tecnici e le informazioni scientifiche per permettere
agli Stati membri e alla comunità internazionale di ricavare tutti i possibili vantaggi
dalla biotecnologia e di essere a conoscenza di tutte le informazioni necessarie per
164
conoscere i benefici e i rischi potenziali legati al biotech. L’ICGEB organizza dal 1992
almeno un biosafety workshop all’anno e nel 2000 ne ha organizzati due: uno sulla
biosicurezza e la gestione del rischio legato al rilascio ambientale di OGM, con ca.
500 scienziati provenienti da diversi paesi, e un altro con i rappresentanti ufficiali dei
diversi settori di governo degli Stati membri per creare un contatto maggiore tra la
comunità scientifica e il mondo dei gestori delle regolamentazioni vigenti nei diversi
stati. La prima vera collaborazione con un organo di governo è stata realizzata con
il Ministero dell’Ambiente italiano.
È inoltre molto attiva la collaborazione dell’ICGEB con altre organizzazioni internazionali e in particolare con l’UNIDO, l’UNESCO, altri organismi delle Nazioni Unite
e organizzazioni autonome.
7.3 Principali società produttrici di piante geneticamente modificate
Si premette che sono state presentate alcune fra le numerose aziende che si occupano della produzione di piante geneticamente modificate e che la quantità di informazioni presentata è proporzionale all’informazione diffusa pubblicamente dalle aziende stesse tramite i propri siti web.
MONSANTO CORPORATION
La Monsanto Corporation è un’industria di prodotti chimici che negli ultimi tempi si è
concentrata sullo sviluppo e il marketing delle biotecnologie. Attualmente oltre alla commercializzazione di prodotti anticrittogamici si dedica alla produzione di piante geneticamente modificate. I primi prodotti ottenuti grazie alle biotecnologie sono stati introdotti nel mercato nel 1996, anno in cui gli agricoltori dell’America Settentrionale hanno avuto l’opportunità di utilizzare tre nuovi prodotti Monsanto: le patate NewLeaf e il
cotone Bollgard, in grado di proteggersi dagli insetti e la soia Roundup Ready, tollerante al diserbante Roundup. Negli anni successivi, Monsanto ha messo a disposizione degli agricoltori una serie di altri prodotti ottenuti mediante le biotecnologie. Nel settore agricoltura, Monsanto prevede di commercializzare 14 nuovi prodotti biotecnologici nel quadriennio 1999-2002. Fra questi vi sono 7 importanti colture, come mais,
cotone, patata e soia, con 8 differenti caratteristiche agronomiche. Queste caratteristiche agronomiche incidono sulla crescita o sulla resa delle colture. Fra le nuove colture
figura la barbabietola Roundup Ready, commercializzata negli USA a partire dal
1999. Nell’ambito dei prodotti in fase di sviluppo, ve ne sono altri con 6 caratteristiche qualitative (output traits) che migliorano gli alimenti o le fibre prodotte dalle piante stesse, ad esempio l’olio di colza (fonte: Monsanto Agricoltura Italia S.p.A.).
Monsanto è presente nel settore delle biotecnologie applicate all’agricoltura in più di
20 paesi nel mondo e dimostra, tramite procedure di autorizzazione e verifiche, che
i propri prodotti sono sicuri per l’ambiente e per la salute umana.
165
I siti internet, italiano e americano, della Monsanto offrono una panoramica sulle biotecnologie: prodotti della Monsanto, ricerche scientifiche associate ai prodotti, collegamenti verso enti e strutture che si occupano di ricerca e della raccolta di documentazione. Di seguito è presentata una selezione delle tematiche ritenute di maggiore
importanza.
• Il documento “Bt Corn Insect Resistance Management Survey”, scaricabile in pdf
all’indirizzo http://www.monsanto.com/monsanto/biotechnology/background
information/RMsurvey.pdf è il rapporto del piano Insect Resistance Management (IRM) per il mais Bt realizzato dalle compagnie membre dell’Agricultural
Biotechnology Stewardship Technical Committee in cooperazione con il National Corn Growers Association e adottato dall’EPA (Environmental Protection
Agency) degli Stati Uniti nel gennaio del 2000. Si tratta di una rassegna delle
aziende agricole che hanno coltivato mais Bt nell’anno 2000 utilizzata per stabilire sia una conoscenza di base per i coltivatori sia le linee guida da adottare
per l’istituzione delle aree rifugio per la gestione della resistenza degli insetti.
Viene stabilita in tal modo l’informazione basilare per il miglioramento futuro
delle tecniche per la gestione della resistenza degli insetti alle colture Bt.
• Tramite il collegamento al sito http://www.biotechbasics.com, sempre gestito
dalla Monsanto, è possibile informarsi su che cosa sono le biotecnologie e su
come vengono utilizzate in campo agricolo. I temi trattati sono riportati nella
figura 7.2.
Figura 7.2: Informazioni disponibili al sito Monsanto Biotech Basis. (fonte: http://www.biotechbasics.com)
166
In particolare con il collegamento “Monsanto Product Information” si accede
alle schede informative sugli alimenti geneticamente modificati prodotti dall’azienda. Ad ogni prodotto sono dedicate tre sezioni: una riguardante informazioni generali, una riguardante informazioni relative alla sicurezza e
una relativa alla documentazione tecnica. Nello specifico, la sezione relativa
alle questioni sulla sicurezza riporta generalmente una bibliografia di articoli che trattano la sicurezza della coltura in oggetto, la documentazione relativa alla sicurezza della coltura prodotta dal United States Departement of
Agricolture (USDA), il foglio informativo dell’Environment Protection Agency
(EPA), la lettera di consultazione del Food & Drug Administration (FDA) e la
documentazione prodotta dalla Canadian Food Inspection Agency e dall’Health Canadian Assessment. La terza sezione, relativa alle informazioni tecniche, è diversa per ogni coltura e raccoglie rapporti su, ad esempio, gestione delle resistenze, controlli sulla fauna non bersaglio o sulle caratteristiche
produttive e/o costitutive della coltura in esame.
• All’indirizzo http://www.biotechknowledge.com/, sito sponsorizzato dalla
Monsanto, è possibile ricercare documentazione varia sulle biotecnologie applicate in diversi paesi europei ed extraeuropei. Dalla home page è possibile
collegarsi ad una rassegna stampa, relativa ai diversi paesi elencati (vedi Figura 7.3), di articoli scientifici e/o divulgativi sulle biotecnologie.
Figura 7.3: Paesi per cui è disponibile la rassegna stampa sulle biotecnologie (fonte http://www.biotechknowledge.com/)
167
Nello spazio dedicato ad ogni paese è possibile compiere una ricerca avanzata per le informazioni di interesse, accedere alle nozioni di base relative
alla biotecnologia e collegarsi ad una biblioteca virtuale, diversa per ogni
paese, che raccoglie gli articoli disponibili al pubblico suddivisi per categorie di argomenti trattati.
• Il sito della Monsanto Italia, http://www.monsanto.it/nuovo/link/1.asp, propone inoltre una pagina di link con i collegamenti ai siti del governo americano e di altri governi (vedi Tabella 7.8), ad alcuni centri universitari di ricerca (vedi Tabella 7.9) e ad altri siti di interesse.
Tabella 7.8: Collegamento ai siti di governo americani e di altri paesi.
(fonte http://www.monsanto.it/nuovo/link/1.asp).
BIOTECNOLOGIE: SITI DEL GOVERNO AMERICANO
BIOTECNOLOGIE: SITI DI ALTRI GOVERNI
Biotechnology Information Resource (BIC)
Sito della National Agricultural Library e del US
Department of Agriculture - ARS. Informazioni
e pubblicazioni relative a biotecnologie in
campo agricolo. http://www.nal.usda.gov/bic/
Ag Canada Biotechnology
http://aceis.agr.ca/fpi/agbiotec/eng.html
EPA - Environmental Protection Agency, Toxic
Substances Control Act (TSCA) Biotechnology
Program http://www.epa.gov/
Agricultural Biotechnology in Japan
http://ss.s.affrc.go.jp/docs/sentan.index.htm
FDA - Food and Drugs Administration, Biotechnology
http://vm.cfsan.fda.gov/~lrd/biotechm.html
Australian Bio-technology
http://www.dis.gov.au/science/gmac/gmacchome.htm
The National Agricultural Library
http://www.nalusda.gov/
Bioguide United Kingdom
http://dtiinfo1.dti.gov.uk.bioguide/
United States Department of Agriculture
http://www.aphis.usda.gov/bbep/bp/
Canadian Food Inspection Agency on
Biotechnology Regulation http://www.cfiaacia.agr.ca/english/ppc/biotech/bsco.html
United States: regulatory oversight
Riporta la lista delle Agenzie Federali responsabili per
la regolamentazione delle biotecnologie negli USA.
http://www.aphis.usda.gov/biotech/OECD/usregs.htm
168
Tabella 7.9: Centri universitari e di ricerca (fonte http://www.monsanto.it/nuovo/link/1.asp).
CENTRI UNIVERSITARI E DI RICERCA
Fondazione per le Biotecnologie Foundation with the purpose of promoting the development of
biotechnology and the public appreciation of its role in modern society. http://www.fobiotech.org/
Information Systems for Biotechnology provides information resources to support the environmentally
responsible use of agricultural biotechnology products. http://www.nbiap.vt.edu/index.html
Istituto Nazionale di Economia Agraria http://www.inea.it/
National Food Biotechnology Center (Ireland) http://www.forbairt.ie/bioresearch/nfbc.htm
The International Service for the Acquisition of Agri-biotech Applications (ISAAA)
http://www.isaaa.cornell.edu/
PIONEER
La Pioneer Hi-Bred International Inc., a partecipazione DuPont, ha la casa madre nello Stato dell’Iowa, negli USA. La Società è stata fondata nel 1926 ed oggi è leader
mondiale nel miglioramento genetico applicato all’agricoltura. Sono presenti unità
operative Pioneer in più di 120 paesi in tutto il mondo. Le attività di lavoro includono
la ricerca nel campo delle sementi e dei prodotti microbiologici, la produzione, la
commercializzazione e la vendita.
La Pioneer produce e commercia sementi ibride di mais, sementi ibride o varietà migliorate di sorgo, girasole, soia, patata, colza e frumento; per questi stessi prodotti
vengono sviluppati progetti di ricerca e di sviluppo per i mercati di tutto il mondo. Gli
ibridi e le varietà sono sviluppati con una ricerca primaria e poi con una serie di test
che si svolgono in località diversificate al fine di assicurarsi che il prodotto si adatti ad
un’ampia gamma di ambienti di crescita.
Per quanto riguarda la biotecnologia, la Pioneer presenta diversi prodotti e documenti, di cui una selezione è riportata di seguito:
1. Una lettera aperta sull’importanza del miglioramento genetico per l’aumento della produttività agricola. Il coinvolgimento della Pioneer nello sviluppo di
nuovi prodotti con gli strumenti offerti dala biotecnologia dura da 15 anni e
nella lettera vengono presentati i vantaggi legati alle caratteristiche delle
piante geneticamente modificate insieme all’impegno nell’assicurare trasparenza di informazione e sicurezza da parte dell’azienda.
2. Una rassegna delle piante geneticamente modificate prodotte dall’azienda
con schede informative sulle caratteristiche del prodotto e, per alcune, sulla
produzione ottenuta nei campi coltivati. Per ogni prodotto sono inoltre presenti alcuni link ad altri documenti informativi sull’argomento.
169
Figura 7.4: Rassegna dei prodotti biotech della Pioneer Hi-Bread International.
(fonte http://www.pioneer.com/usa/biotech/default.htm).
3. Una serie di informazioni legate al marketing della piante geneticamente modificate che comprendono, tra gli altri, lo stato di accettazione dei prodotti
GM da parte dei coltivatori americani ed europei, l’elenco delle piante GM
non ancora approvate per l’importazione in Europa, un link al database,
presso il sito web dell’American Seed Trade Association (ASTA), degli utilizzatori di granaglie che accetteranno varietà di mais non ancora approvate
dall’Unione Europea per l’importazione e schede informative sullo stato di
approvazione per la commercializzazione delle diverse tipologie di PGM.
4. Una sezione è dedicata interamente agli sviluppi futuri delle biotecnologie in
campo agricolo e presenta sia gli obiettivi che saranno presto raggiunti sia
quelli più lontani.
5. La quinta sezione offre una serie di link a documenti che trattano l’argomento “piante geneticamente modificate”:
a. “Bt Corn Insect Resistance Management Survey” prodotto dall’Agricultural
Biotechnology Stewardship Technical Committee già presentato nel capitolo precedente relativo alla Monsanto Corporation.
b. “Biopesticides Registration Action Document, Preliminary Risks and Benefits
Section” prodotto dall’Environmental Protection Agency (EPA) degli Sati Uniti. Il documento, riportato nella raccolta bibliografica allegata, è relativo alle piante che producono la tossina insetticida del Bacillus thuringensis (Bt) ed
è stato prodotto dall’EPA in vista del rinnovo delle registrazioni per il 2001
di tutte le piante di cotone e mais Bt. Si vuole assicurare, infatti, che in fase
di rinnovo delle registrazioni per permettere la coltivazione delle piante geneticamente modificate, vengano presi in considerazioni i dati piu recenti in
170
campo ecologico e sanitario, compresi i dati sull’impatto delle PGM sugli organismi non bersaglio. Si precisa che il documento completo è scaricabile al
sito http://www.epa.gov/scipoly/sap/2000/index.htm alla sezione 1020-2000.
c. Una rassegna sulle regolamentazioni americane relative alla sicurezza del
prodotto organizzata in quattro sezioni:
• Overview
• Commercialisation Process
• Pioneer/DuPont Position on Regulatory Review
• Link to USDA Regulatory Oversight in Biotechnology (http: //www.
aphis.usda.gov/biotech/OECD/usregs.htm):
- una raccolta di documenti indipendenti che trattano questioni di sicurezza in campo biotech con relativi link ai siti web;
- una rassegna di studi che provano l’effettiva assenza di DNA e proteine di piante geneticamente modificate in latte, carne e uova;
- rapporti e studi relativi alla soia geneticamente modificata per l’aumento della produzione di metionina;
- brevi rapporti su mescolanza tra polline proveniente dalle PGM e polline proveniente dalle colture tradizionali;
- mais Bt e farfalla monarca;
- test per l’individuazione dei tratti geneticamente modificati (PCR; ELISA).
Ulteriori link a diverse fonti informative:
Tabella 7.10: Links presentati nel sito WEB Pioneer Hi-Bread International (fonte: www.pioneer.com ).
Biotechnology Information Sources
Council for Biotechnology Information (http://www.whybiotech.com)
DuPont Biotechnology Information Resources (http://www.dupont.com/biotech)
Northern Light Special Edition™: Genetically Modified Foods
(http://special.northernlight.com/gmfoods/)
NOVARTIS
La Novartis è un’azienda che si occupa di varie tematiche tra cui salute, agricoltura
e nutrizione.
Nella pagina web dell’azienda è dedicata una sezione alle biotecnologie
(http://www.info.novartis.com/novartis_positions/index.html), suddivisa in tre ulteriori settori organizzativi riportati in figura 7.5.
171
Figura 7.5: Settori biotech presentati nel sito web della Novartis S.p.A.
(fonte http://www.info.novartis.com/novartis_positions/index.html)
Per ogni settore presentato vengono riportati brevi articoli informativi.
Nel sito italiano della Novartis (http://www.it. novartis.com/biotecnologie/default.htm), la sezione dedicata alle biotecnologie è leggermente più articolata.
Figura 7.6: Settori biotech presentati nel sito web della Novartis S.p.A.
(fonte http://www.it.novartis.com/biotecnologie/default.htm).
Si segnalano infine altre aziende che si occupano della produzione di piante geneticamente modificate quali la Dow Elanco S.p.A., la Hoechst Schering AgrEvo S.p.A.,
la Dekalb S.p.A., la KWS S.p.A., la Advanta S.p.A., ecc.
172
8. CONCLUSIONI
I vantaggi offerti dalle moderne biotecnologie nei differenti campi applicativi rappresentano una realtà per la quale sono stati realizzati enormi investimenti, sia nella ricerca sia nella produzione.
In alcuni campi applicativi, quali ad esempio quello biomedico, tali vantaggi sono riconosciuti essere fondamentali, mentre l’applicazione dell’ingegneria genetica nel
campo agro-alimentare suscita maggiori perplessità.
Nessun paese è disposto a mettere al bando i frutti delle moderne ricerche, però negli ultimi anni le preoccupazioni riguardo ai potenziali pericoli determinati dall’introduzione degli OGM nell’ambiente si sono fatte più pressanti. L’esigenza di un coordinamento mondiale che garantisca un più elevato livello di biosicurezza ed un adeguato scambio delle informazioni è stata in parte concretizzata con la sottoscrizione
da parte di 130 paesi (fra i quali quelli della CEE) del Protocollo sulla Biosicurezza di
Cartagena. Questo protocollo, sviluppato nell’ambito della Convenzione Internazionale sulla Biodiversità, mira a salvaguardare l’ambiente dai possibili impatti negativi
dovuti alla commercializzazione degli OGM. Il Protocollo è finalizzato a regolamentare i movimenti transfrontalieri di OGM tramite il consenso informato del paese importatore, la valutazione dei rischi e l’adozione di misure idonee per la gestione del
rischio. Inoltre, nell’ambito dei recenti lavori del Comitato Intergovernativo per il Protocollo di Cartagena, si è dato adito alla costituzione della Biosafety Clearing House
per permettere la raccolta e lo scambio delle informazioni concernenti gli OGM in
commercio.
Come è stato mostrato nel capitolo 5, la produzione di PGM a livello mondiale è in continua crescita. Nell’anno 2003, la superficie mondiale coltivata con PGM è stata stimata in 67,7 milioni di ettari concentrati in pochi paesi quali Stati Uniti, Canada, Argentina, Cina e Brasile, che da soli coprono oltre il 99% della produzione mondiale.
In questi paesi l’applicazione dell’ingegneria genetica per lo sviluppo di nuove piante è stata considerata la naturale evoluzione delle tecniche di incrocio classiche per
cui la valutazione del rischio si è basata sul principio della “sostanziale equivalenza”
o su quello della “familiarità”. In sostanza le PGM sono paragonate agli ibridi ottenuti per fecondazione forzata, salvo valutare con maggior attenzione i rischi connessi con i nuovi caratteri inseriti.
La posizione della UE, ed in particolare quella dell’Italia, sono al momento assai critiche; nonostante, infatti, in questi ultimi anni la ricerca scientifica sui potenziali impatti delle PGM sull’ambiente si è molto intensificata concentrandosi su determinati argomenti (PGM esprimenti la proteina insetticida del Bacillus thuringensis) i risultati sono ancora scarsi e contradditori, soprattutto per quanto riguarda gli effetti a lungo
termine. Pertanto, si è deciso di adottare in campo ambientale e sanitario l’approccio
precauzionale, sancito per la prima volta alla conferenza di Rio e ribadito recente-
173
mente proprio nel Protocollo di Cartagena. Tutto ciò ha portato la UE a riscrivere la
Direttiva 90/220/CEE sui rilasci ambientali di OGM; la nuova Direttiva 2001/18/CE
stabilisce, tra l’altro, una durata massima delle autorizzazioni, l’obbligo di valutare
gli effetti cumulativi, il monitoraggio post-rilascio, l’eliminazione graduale dei geni
marker per la resistenza agli antibiotici.
Questa pubblicazione ha inteso presentare una rassegna delle conoscenze relative alle PGM e ai loro potenziali impatti sull’ambiente, presentando le informazioni scientifiche di maggior interesse sull’argomento, il quadro normativo di riferimento nonchè
una panoramica dei principali organismi governativi e non che si occupano della materia.
Ne è emersa una forte esigenza di coordinamento ed interscambio per la raccolta e
la produzione di informazioni e conoscenze scientifiche relative alle PGM e l’importanza delle attività di monitoraggio necessarie alla valutazione e alla gestione dei rischi legati alla diffusione nell’ambiente delle stesse. Infatti, a differenza della maggior
parte dei casi in cui si trattano argomenti di sicurezza ambientale e di salute in riferimento alle attività umane, come inquinamento, rifiuti, diffusione di gas serra, ecc.,
in questo caso si instaura una condizione diversa: l’introduzione nell’ambiente di una
nuova tipologia di organismi viventi, che, una volta inseriti in sistemi naturali o seminaturali, possono sfuggire, almeno in parte, al controllo umano.
174
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Joint Research Centre della Comunità Europea
http://biotech.jrc.it/it.asp
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http://www.sanita.it/biotec/
Food And Agricolture Organisation (FAO)
http://www.fao.org
World Health Organisation (WHO)
http://www.who.int; http://www.who.it
United Nations Environment Programme (UNEP)
http://www.unep.org
Organisation For Economic Co-Operation And Development (OECD)
http://www.oecd.org
International Centre For Genetic Engeneering And Biotecnology (ICGEB)
http://icgeb.trieste.it
Union Of Concerned Scientists (UCS)
http://www.ucsusa.org/index.html
Monsanto Corporation
http://www.monsanto.com; http://www.monsanto.it
Pioneer Hi-Bred International
http://www.pioneer.com
Novartis
http://www.info.novartis.com
183
ALLEGATO I.
Istruzioni per l’uso del Database Organismi Geneticamente Modificati
1. Premessa
Il Database OGM si propone la finalità di raccogliere e organizzare in modo sistematico le informazioni relative alle pubblicazioni sugli Organismi Geneticamente Modificati.
Può essere utile per la ricerca di particolari dati su pubblicazioni di cui sono noti i riferimenti oppure per la ricerca di tutte le opere che trattano uno specifico tema OGM.
Inoltre permette la visualizzazione e la stampa dell’Abstract delle pubblicazioni e la
ricerca per parole chiave.
2. Struttura
Il DB OGM è stato realizzato in Microsoft Access e si compone di tre sezioni.
1. Schema del DB
2. Scheda divulgativa
3. Il Database.
185
La schermata principale si presenta con la seguente videata:
Da quì è possibile accedere ad una delle tre sezioni attraverso i tre pulsanti.
186
Il pulsante “Vai allo Schema del Database” permette di visualizzare la struttura del
DB.
187
Il pulsante centrale “Vai alla scheda divulgativa” porta allo schema riassuntivo dei rischi da dove, attraverso i pulsanti di destra, si può effettuare la ricerca bibliografica
per tipologia di rischio e per tipo di scala (macro o microscopica).
Le tipologie di rischio sono:
- SCALA Microscopica: Flusso genico, Trasferimento genetico orizzontale
188
- SCALA Macroscopica: Tossine Bt, Resistenza a erbicidi, Resistenza a virus, Resistenza a stress ambientali o modifiche alle caratteristiche produttive, Valutazione generale dei rischi.
189
Il terzo pulsante della videata principale, “Entra nel database”, permette all’utente di
entrare direttamente nel vero e proprio Database in cui sono raccolte tutte le informazioni per ogni pubblicazione.
La figura seguente rappresenta la prima videata del DB:
I campi compilati per ogni pubblicazione sono: Titolo, Autore, Anno, Editore, Città,
Rivista, Sito internet, Numero della rivista, la possibilità di visualizzare l’abstract, il
numero di pagine, eventuali note e le parole chiave associate.
Con un doppio clic sul campo Sito Internet si attiva il collegamento con il sito di riferimento mentre il flag su Abstract indica la possibilità di visualizzare l’abstract.
In questa terza parte è possibile effettuare anche la “Ricerca per Parole Chiave” e la
“Visualizzazione dell’abstract” tramite i pulsanti a piè di pagina.
190
Il primo pulsante porta alla seguente maschera:
Da questa pagina si possono stampare tutti i campi visualizzati ovvero: Titolo, Autori, Abstact, Tipologia, Parole chiave. È possibile anche importarli in Word.
191
Sigle e acronimi
APAT
APHIS
art.
artt.
Bt
CBD
CIAT
CIP
CE
CEE
CIGB
CIV
CNBB
CTTA
DB
d. lgs.
Dec.
D.M.
DOP
DPCM
EFSA (AESA)
EMEA
EPA
EU (UE)
FAO
FDA
GM
GUCE
GURI
IARCs
ICGEB
IGP
ISAAA
INRAN
JRC
MIPAF
MOGM
NIH
OECD
OGM
O.M.
PGM
Reg.
SM
SNIF
S.O.
ssp.
subsp.
t/ha
UK
UNEP
UNESCO
UNIDO
USDA
var.
WHO
Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i Servizi Tecnici
Animal and Plant Health Inspection Service
articolo
articoli
Bacillus thuringiensis
Convenzione sulla BioDiversità
Centro Internazionale di Agricoltura Tropicale
Centro Internazionale sulla Patata
Comunità Europea
Comunità Economica Europea
Centro di Ingegneria Genetica e Biotecnologia
Commissione Interministeriale di Valutazione
Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie
Comando Carabinieri Tutela Ambiente
Database
Decreto legislativo
Decisione
Decreto Ministeriale
Denominazione di Origine Protetta
Decreto del Presidente del Consiglio di Ministri
European Food Safety Authority
European Agency for the Evaluation of Medicinal products
Environmental Protection Agency
European Union
Food and Agriculture Organisation
Food and Drug Administration
Geneticamente Modificati
Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea
Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana
International Agricultural Research Centers
International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology
Indicazione Geografica Protetta
International Service for the Acquisition of Agri-biotech Applications
Istituto Nazionale per la Ricerca sugli Alimenti e la Nutrizione
Joint Research Centre
Ministero delle Politiche Agricole e Forestali
MicrOrganismi Geneticamente Modificati
National Institutes of Health
Organisation for Economic Co-operation and Development
Organismi Geneticamente Modificati
Ordinanza Ministeriale
Piante Geneticamente Modificate
Regolamento
Stato/i Membro/i
Summary Notification Information Format
Supplemento Ordinario
specie
sottospecie
tonnellate per ettaro
United Kingdom
United Nations Environment Programme
United Nations Educational, Scientific and Cultural Organisation
United Nations Industrial Development Organisation
United States Department of Agriculture
varietà
World Health Organisation
192