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rappresentazioni e pratiche tradizionali della castanicoltura in alto ...

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RAPPRESENTAZIONI E PRATICHE TRADIZIONALI<br />

DELLA<br />

CASTANICOLTURA IN ALTO TEVERE UMBRO<br />

REPORT DI RICERCA<br />

1


SABRINA FLAMINI - CHIARA POLCRI<br />

2


INDICE<br />

PREMESSA METODOLOGICA p. 3<br />

Capitolo 1.<br />

LA CASTANICOLTURA IN ALTO TEVERE UMBRO p. 5<br />

1.1 Il Novecento: l<strong>in</strong>eamenti socio-economici p. 6<br />

1.2<br />

Capitolo 2.<br />

Testimonianze storiche<br />

[Lo stemma di Lisciano Niccone; La stima delle castagne nell’economia rurale<br />

del XVIII secolo; I monaci benedett<strong>in</strong>i e la coltura del castagno]<br />

p. 10<br />

IL PATRIMONIO TECNICO-CULTURALE p. 14<br />

2.1 Il castagneto: cura e mantenimento del bosco p. 15<br />

2.2 Ciclo di lavorazione <strong>della</strong> castagna p. 18<br />

2.3 Gli strumenti utilizzati p. 22<br />

2.4 L’<strong>in</strong>fluenza del cielo e la <strong>castanicoltura</strong>: i saperi, le <strong>pratiche</strong>, l’esperienza p. 25<br />

Capitolo 3.<br />

LA VITA SOCIALE NELLA “CIVILTÀ DEL CASTAGNO” p. 30<br />

3.1 Il bosco e le veglie p. 31<br />

Capitolo 4.<br />

LA CULTURA ALIMENTARE p. 37<br />

4.1 La castagna nel regime alimentare delle popolazioni rurali p. 38<br />

4.2 Metodi di conservazione p. 40<br />

4.3 La castagna <strong>in</strong> cuc<strong>in</strong>a p. 42<br />

4.3.1 Altri usi <strong>della</strong> far<strong>in</strong>a p. 45<br />

4.4 La castagna nell’alimentazione rituale p. 46<br />

Capitolo 5<br />

3


IL BOSCO DI CASTAGNI E GLI ALTRI SUOI MOLTEPLICI USI p. 49<br />

5.1 Sostentamento per il bestiame p. 50<br />

5.2 Il “bugione” del castagno: il terriccio, le foglie, i ricci p. 55<br />

5.3 Uso del legno: la falegnameria, la combustione e il carbone, il tann<strong>in</strong>o p. 57<br />

5.4 Giochi con le castagne e strumenti musicali ricavati dalla corteccia p. 62<br />

5.5 Altri prodotti “secondari” del castagneto: funghi e miele p. 64<br />

Capitolo 6<br />

LA MEDICINA POPOLARE p. 65<br />

6.1 La castagna e la castagna d<strong>in</strong>da p. 66<br />

Riferimenti bibliografici p. 70<br />

4


PREMESSA METODOLOGICA<br />

Il lavoro di ricerca che qui presentiamo – nato grazie all’<strong>in</strong>iziativa promossa dalla Comunità<br />

montana dell’Alto Tevere Umbro volta alla descrizione delle <strong>rappresentazioni</strong> e delle <strong>pratiche</strong><br />

<strong>tradizionali</strong> <strong>della</strong> <strong>castanicoltura</strong> <strong>in</strong> Alto Tevere nel quadro del più ampio progetto “Promozione e<br />

valorizzazione delle produzioni di qualità e dei prodotti agroalimentari tipici” – ha <strong>in</strong>teso ricostruire<br />

le componenti storico-antropologiche dei significati, dell’uso, delle <strong>pratiche</strong> e dei saperi relativi al<br />

patrimonio tecnico-culturale che ruota <strong>in</strong>torno alla castagna.<br />

L’area geografica sulla quale si è <strong>in</strong>centrata la ricerca copre parte del territorio dell’Alta Valle del<br />

Tevere; considerata la maggior presenza di castagneti nella fascia coll<strong>in</strong>are che si estende a ovest<br />

del fiume Tevere, si è scelto di focalizzare l’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e <strong>in</strong> particolare nei territori dei comuni di<br />

Monte Santa Maria Tiber<strong>in</strong>a, Città di Castello, Lisciano Niccone e Umbertide.<br />

Per <strong>in</strong>dagare gli aspetti legati alla storia, alle tradizioni, alle <strong>pratiche</strong> relative al patrimonio tecnico-<br />

culturale che ruota <strong>in</strong>torno al castagno, si è proceduto ad una sistematica raccolta e analisi di fonti<br />

orali, di fonti scritte e di fonti multimediali (cd rom, <strong>in</strong>ternet). Il materiale bibliografico <strong>in</strong>dividuato<br />

e reperito sull’argomento si riferisce alle peculiarità <strong>tradizionali</strong> e antropologiche, oltre che tecniche<br />

e storiche, connesse alla “civiltà del castagno” e prende <strong>in</strong> esame sia il contesto nazionale che<br />

quello locale. Gran parte del lavoro di ricerca si è concentrato sulla raccolta di fonti orali attraverso<br />

lunghi colloqui basati su un temario semi-strutturato – <strong>in</strong> base ad una metodologia messa a punto e<br />

ampiamente testata nelle discipl<strong>in</strong>e demo-etno-antropologiche – realizzati con <strong>in</strong>formatori del luogo<br />

nel periodo compreso tra luglio e ottobre del 2004. Le <strong>in</strong>terviste sono state svolte <strong>in</strong> alcuni casi <strong>in</strong><br />

presenza di più <strong>in</strong>formatori e hanno avuto luogo presso le abitazioni degli stessi. La scelta delle<br />

persone <strong>in</strong>tervistate, contattate attraverso reticolo di conoscenze, è stata effettuata pr<strong>in</strong>cipalmente<br />

sulla base di tre criteri: il contesto culturale di orig<strong>in</strong>e – quello tradizionale contad<strong>in</strong>o, detentore del<br />

patrimonio tecnico-culturale relativo alla <strong>castanicoltura</strong> –, l’età – per lo più ultrasessantenni <strong>in</strong><br />

quanto testimoni degli usi, dei saperi e delle <strong>pratiche</strong> <strong>tradizionali</strong> – e la provenienza – <strong>in</strong> particolare<br />

zone quali Lippiano, Morra, Muccignano, Preggio, Lisciano Niccone, <strong>in</strong> cui la presenza del<br />

castagno ha caratterizzato e notevolmente <strong>in</strong>ciso la vita delle popolazioni rurali locali,<br />

rappresentando tuttora un’importante risorsa –.<br />

5


Dopo aver trascritto, analizzato e tematizzato le <strong>in</strong>terviste, precedentemente registrate su supporti<br />

digitali e audio-magnetici, sono stati selezionati i brani più significativi e riportati nel corpo del testo<br />

che segue (<strong>in</strong> corsivo). Un’attenzione particolare è stata posta, durante la deregistrazione, al<br />

l<strong>in</strong>guaggio utilizzato dagli <strong>in</strong>formatori, riproducendo il più fedelmente possibile il lessico, i term<strong>in</strong>i<br />

dialettali, le <strong>in</strong>flessioni, <strong>in</strong> quanto ulteriore espressione del contesto contad<strong>in</strong>o tradizionale di<br />

riferimento. I vocaboli dialettali utilizzati per <strong>in</strong>dicare oggetti, metodi e strumenti relativi alla<br />

<strong>castanicoltura</strong> sono stati <strong>in</strong>dicati <strong>in</strong> tondo all’<strong>in</strong>terno degli stralci di <strong>in</strong>tervista e <strong>in</strong> corsivo nel resto<br />

del testo. Ogni brano di <strong>in</strong>tervista riportato è seguito dal riferimento dell’<strong>in</strong>formatore – <strong>in</strong>dicato da<br />

un numero progressivo e dal nome proprio 1 – e dalla pag<strong>in</strong>a dell’<strong>in</strong>tervista (ad esempio: «sopra se<br />

mettea questo p<strong>in</strong>iccio, questa pegliariccia che serviva per fa’ nascere ‘l tabacco nero. Tutti,<br />

<strong>in</strong>dist<strong>in</strong>tamente partiano dal V<strong>in</strong>gone, da Citerna, da Pistr<strong>in</strong>o e “me de’ ‘n po’ de p<strong>in</strong>iccio per fa ‘l<br />

tabacco?” Tutti, f<strong>in</strong>o a dodici, tredici, qu<strong>in</strong>dici anni fa, sempre ‘n quel modo!» [<strong>in</strong>formatore n. 6,<br />

Angiol<strong>in</strong>o, p. 18]).<br />

Di seguito presentiamo l’elenco degli <strong>in</strong>formatori così come sono <strong>in</strong>dicati nel testo: <strong>in</strong>formatore n.<br />

1, Lorenzo / <strong>in</strong>formatore n. 2, Pasquale / <strong>in</strong>formatore n. 3, Roberto / <strong>in</strong>formatore n. 4, Giuseppe /<br />

<strong>in</strong>formatore n. 5, Clelia / <strong>in</strong>formatore n. 6, Angiol<strong>in</strong>o / <strong>in</strong>formatore n. 7, Bruno / <strong>in</strong>formatore n. 8,<br />

Santa / <strong>in</strong>formatore n. 9, Livio / <strong>in</strong>formatore n. 10, Ugo / <strong>in</strong>formatore n. 11, Annibale / <strong>in</strong>formatore<br />

n. 12, Alfio / <strong>in</strong>formatore n. 13, Franco / <strong>in</strong>formatore n. 14, Marco.<br />

1 Per rispettare la richiesta di anonimato di due <strong>in</strong>tervistati sono stati utilizzati nomi fittizi: <strong>in</strong>formatore n. 4, Giuseppe /<br />

<strong>in</strong>formatore n. 5, Clelia.<br />

6


CAPITOLO 1<br />

LA CASTANICOLTURA IN ALTO TEVERE UMBRO<br />

7


1.1 IL NOVECENTO: LINEAMENTI SOCIO-ECONOMICI<br />

Castagno (Lippiano)<br />

La coltura del castagno è stata un<br />

elemento <strong>in</strong>dispensabile nella vita<br />

delle popolazioni rurali delle aree<br />

coll<strong>in</strong>ari e montane dell’Alto Tevere<br />

Umbro, rappresentando, specialmente<br />

negli anni di carestia dei cereali, la<br />

pr<strong>in</strong>cipale fonte di alimentazione 2 .<br />

Nel territorio <strong>alto</strong>tiber<strong>in</strong>o, così come<br />

<strong>in</strong> molte altre parti d’Italia, i<br />

castagneti da frutto hanno avuto per<br />

secoli, tra i boschi, un ruolo a parte e<br />

di spicco, condizionando, nell’ambito<br />

di ciò che gli storici hanno def<strong>in</strong>ito la “civiltà del castagno”, l’economia e la vita delle popolazioni<br />

rurali <strong>in</strong> modo spesso determ<strong>in</strong>ante. Durante le veloci e <strong>in</strong>calzanti trasformazioni sociali ed<br />

economiche che hanno caratterizzato il XX secolo, tuttavia, la <strong>castanicoltura</strong> ha subito un percorso<br />

travagliato e, per certi aspetti, contraddittorio: da un lato, ha cont<strong>in</strong>uato a mantenere, almeno per la<br />

prima metà del Novecento, un ruolo primario per la sopravvivenza di una larga fascia di<br />

popolazione montana, dall’altro ha <strong>in</strong>iziato a mostrare i primi segni di una crisi, già com<strong>in</strong>ciata nel<br />

secolo precedente, che avrebbe afflitto <strong>in</strong> tempi e modi diversi il castagno <strong>in</strong> Italia e nel resto<br />

d’Europa 3 ; «molteplici sono i fattori che contribuiscono alla crisi <strong>della</strong> coltura, ma tra essi<br />

2 Per un approfondimento sulle condizioni di vita del mondo contad<strong>in</strong>o umbro verso la f<strong>in</strong>e del XIX secolo si veda: Atti<br />

<strong>della</strong> Giunta per la Inchiesta agraria e sulle condizioni <strong>della</strong> classe agricola, vol. XI. Relazione del commissario<br />

marchese Francesco NOBILI-VITELLESCHI, senatore del regno, sulla Qu<strong>in</strong>ta circolazione, tomo II. Prov<strong>in</strong>cie di<br />

Perugia, Ascoli-Piceno, Ancona, Macerata e Pesaro, Roma, Forzani & C. Tipografi del Senato, 1884, XVI + 1197 pp.<br />

(cfr. Relazione sulla prov<strong>in</strong>cia di Perugia, pp. 1-349) e tomo III. Monografie agrarie allegate, Roma, Forzani & C.<br />

Tipografi del Senato, 1884363 pp.<br />

3 Relativamente al mutamento improvviso che <strong>in</strong>izia a colpire i castagneti tra il XIX e il XX secolo è di particolare<br />

<strong>in</strong>teresse quanto osservava Italo Giglioli all’<strong>in</strong>izio del Novecento: «ben più che del commercio di esportazione noi<br />

dobbiamo preoccuparci <strong>della</strong> importanza delle castagne <strong>in</strong> riguardo alla alimentazione delle popolazioni alp<strong>in</strong>e ed<br />

appenn<strong>in</strong>iche, ed <strong>in</strong> conseguenza <strong>in</strong> riguardo alla abitabilità delle nostre montagne. Se dim<strong>in</strong>uisce l’area dei castagneti<br />

italiani, se molti di questi castagneti si trasformano <strong>in</strong> cedui per la produzione di pali, se decl<strong>in</strong>a la produttività <strong>in</strong><br />

9


primeggia l’avvento dell’era <strong>in</strong>dustriale e l’accentuarsi delle differenze di condizione di vita tra<br />

pianura e montagna che <strong>in</strong>duce la popolazione di montagna ad abbandonare le campagne e le<br />

colture più disagevoli o a dim<strong>in</strong>uire le cure e le <strong>pratiche</strong> agroforestali ai castagneti. I rigidi <strong>in</strong>verni<br />

castagne dei castagneti a frutto, e se <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e cresce ogni anno il commercio di esportazione, è chiaro che dovrà<br />

grandemente dim<strong>in</strong>uire la quantità di castagne e di far<strong>in</strong>a di castagne disponibile per il consumo italiano: <strong>in</strong> particolare,<br />

ed è ciò che più <strong>in</strong>teressa, disponibile per le popolazioni di montagna. […] Nelle montagne di Urb<strong>in</strong>o, come <strong>in</strong> altre<br />

parti dell’Appenn<strong>in</strong>o centrale, col taglio dei boschi, si sono <strong>in</strong>trodotte, nelle poche terre dove tali colture erano possibili,<br />

le colture dei cereali, anche del granturco; colture sempre più misere, sopra terreni male saldi e peggio conservati, e<br />

sempre più e più sfruttati. Così vediamo oggi quei montanari costretti ad alimentarsi di un nero ed <strong>in</strong>digesto miscuglio<br />

di far<strong>in</strong>a di ghiande e far<strong>in</strong>a di granturco; e vediamo comparire la pellagra dove prima la pellagra era ignota. Ed oggi,<br />

quando la <strong>in</strong>evitabile febbre <strong>della</strong> emigrazione sale dalle mar<strong>in</strong>e alle montagne più remote e <strong>in</strong>accessibili, i montanari<br />

sono tra i più numerosi nella fuga, lasciando addietro lo squallore del deserto. […] In alcune delle prov<strong>in</strong>cie italiane,<br />

dove l’alimentazione con le castagne già deperiva, ed oggi più di prima è <strong>in</strong> pericolo di decrescere e sparire, cedendo<br />

alla alimentazione con granturco, la pellagra è comparsa, ed è <strong>in</strong> triste progresso. […]<br />

Aumento <strong>della</strong> pellagra <strong>in</strong> alcune provicie dell’Italia Centrale.<br />

Prov<strong>in</strong>cia Censimento dei pellagrosi Pellagrosi per 1000 agricoltori<br />

1881 1899 1881 1899<br />

Ascoli Piceno 8 111 0.09 1.08<br />

Perugia 872 5103 3.36 18.29<br />

Macerata 264 415 2.54 3.88<br />

Pesaro e Urb<strong>in</strong>o 110 350 1.14 3.40<br />

Lucca 170 270 1.66 2.57<br />

Arezzo 75 220 0.63 1.77<br />

Firenze 472 526 2.00 2.12<br />

[…] La pellagra, come è noto, è malattia <strong>della</strong> gente di campagna, specialmente di quella che vive più remota dalle<br />

città. Tanto le osservazioni dell’Adriani, nell’Umbria, come quelle del Ghepardi nelle Marche, dimostrano che la<br />

pellagra si manifesta <strong>in</strong> quella zona che per altitud<strong>in</strong>e è la più adatta alla vegetazione del castagno, e dove attualmente i<br />

castagneti si vanno più restr<strong>in</strong>gendo. Dove, <strong>in</strong>fatti, la selva si distrugge ed il terreno è occupato da povere colture, fra<br />

queste non può mancare il granturco; il quale mal matura via via che ci <strong>in</strong>nalziamo sulle pendici montane. […] Quali<br />

sono le cause del dim<strong>in</strong>uire e del deperire dei castagneti <strong>in</strong> Italia? Queste cause, comuni all’Italia e alla Francia, si<br />

potrebbero riassumere <strong>in</strong> tre term<strong>in</strong>i: 1. Sfruttamento del terreno. – 2. Malattie del castagno. – 3. Distruzione delle selve<br />

di castagno» (GIGLIOLI I. 1908: 14-23). A proposito <strong>della</strong> progressiva dim<strong>in</strong>uzione <strong>della</strong> produzione di castagne <strong>in</strong><br />

Umbria e <strong>in</strong> particolare <strong>in</strong> Alto Tevere, l’autore riporta ulteriori dati: «nel 1870-74, si calcolava che nella prov<strong>in</strong>cia di<br />

Perugia l’area a castagni fosse di ettari 6923, con una produzione annua di qu<strong>in</strong>tali 76000 di castagne. Le statistiche del<br />

1890-94 assegnano ai castagneti un’area di ettari 4736, con una produzione di frutti freschi di qu<strong>in</strong>tali 23361, la<br />

produzione media per ettaro essendo di qu<strong>in</strong>tali 4.93. […] I castagneti dell’Umbria non aumentano <strong>in</strong> estensione; anzi,<br />

tendono a dim<strong>in</strong>uire ed a deperire, <strong>in</strong> causa del taglio sempre più attivo per la utilizzazione del legname, specialmente<br />

delle piante grandi e sane di circa un secolo di età, i cui tavoloni sono ricercatissimi e ben pagati. Nella regione<br />

dell’Alto Tevere il castagno va molto soggetto al seccume delle foglie (Sphaerella maculiformis); la quale malattia <strong>in</strong><br />

certe annate, specialmente se comb<strong>in</strong>ata a forti venti di tramontana, distrugge quasi completamente il raccolto»<br />

(GIGLIOLI I. 1908: 94-95).<br />

10


<strong>della</strong> ‘piccola era glaciale’, la sostituzione, specie nelle zone più favorevoli, del castagno con<br />

colture a più breve ciclo e più redditizie (cereali, patate, foraggio), il miglioramento e<br />

l’ampliamento <strong>della</strong> rete viaria che facilita il trasporto di ogni genere di alimento e rende sempre<br />

meno significativa l’economia di autosufficienza, concorrono alla costante dim<strong>in</strong>uzione <strong>della</strong><br />

superficie coltivata a castagno da frutto e alla crisi del ruolo tradizionale che la specie ha rivestito<br />

per le aree castanicole» (BOUNOUS G. 2002: 15-16). In Alto Tevere, l’abbandono – pr<strong>in</strong>cipalmente a<br />

causa dello spopolamento delle aree rurali 4 con la successiva riduzione <strong>della</strong> manodopera<br />

disponibile – e la diffusione di “malattie” – quali il cancro corticale e il mal dell’<strong>in</strong>chiostro – hanno<br />

determ<strong>in</strong>ato il degrado di gran parte dei castagneti: «le macchie parecchi l’hanno abbandonate<br />

trent’anni, quarant’anni fa […], la gioventù è scomparsa; fra dieci anni, tanto le castagnete... qui<br />

scompare ogni cosa, quando (saremo) morti noi! la gioventù fa altri lavori» [<strong>in</strong>formatore n. 6,<br />

Angiol<strong>in</strong>o, p. 6]; «[…] faceva più castagne ‘na macchia che adesso dieci, perché la malattia ce<br />

n’era meno e come dico c’era il bestiame, le macchie er<strong>in</strong>o pulite, concimate e n’er<strong>in</strong>o sfruttate»<br />

[<strong>in</strong>formatore n. 7, Bruno, p. 7]. All’abbandono si è sommato un ulteriore problema, quello del<br />

dissesto idrogeologico per <strong>in</strong>curia dei canali, dei fossi, ma soprattutto per mancanza di quelle<br />

molteplici cure e attenzioni che si dovevano al castagneto al f<strong>in</strong>e di preservarne la salute e<br />

garantirne la sopravvivenza: «si tenevano puliti i fossi, tutto poi contribuisce allo sviluppo del<br />

sottobosco <strong>in</strong> maniera selvaggia, vengono su gli sp<strong>in</strong>i, i rovi. Poi un ramo secco di un castagno<br />

andrebbe tagliato al momento giusto, […] metterci una bella dis<strong>in</strong>fettazione […]. Molte volte<br />

dipende anche dai buchi che si creano <strong>in</strong> questi tronchi, i picchi […] fanno i buchi, ma quando il<br />

picchio fa il buco è già un dottore che ausculta il torace del malato, […] se il tronco è massiccio<br />

suona pieno e non buca perché sa che è vano provare» [<strong>in</strong>formatore n. , Lorenzo, pp. 2-3]. Negli<br />

anni Sessanta, la trasformazione dell’economia rurale <strong>in</strong> economia mista, ha comportato, una forte<br />

emigrazione dei contad<strong>in</strong>i, con il conseguente abbandono di molti castagneti: «dagli anni Sessanta<br />

<strong>in</strong> poi c’è stato il periodo <strong>in</strong>dustriale, c’è chi andava a Milano perché c’era qualche parente,<br />

andavano a lavorare <strong>in</strong> fabbrica, […] poi ancora le macch<strong>in</strong>e non c’erano, poi con la famiglia si<br />

spostavano e qu<strong>in</strong>di si abbandonavano i terreni e da qui è com<strong>in</strong>ciato questo abbandono dei<br />

boschi, dei castagneti» [<strong>in</strong>formatore n. 1, Lorenzo, p.3].<br />

4 Le mutate condizioni economiche e socio-culturali delle popolazioni contad<strong>in</strong>e, l’emigrazione verso altri Paesi,<br />

l’aumento demografico, la costruzione di una vasta rete di <strong>in</strong>frastrutture stradali, l’<strong>in</strong>cremento dei mezzi di locomozione<br />

e <strong>della</strong> mobilità territoriale, i crescenti contatti con la realtà cittad<strong>in</strong>a, furono tra i pr<strong>in</strong>cipali fattori che condussero alla<br />

progressiva deruralizzazione di queste terre (GUAITINI G. - SEPPILLI T. 1978-1979 / 1979-1980 [1985]1983).<br />

11


Per quanto alcuni <strong>in</strong>terventi siano già <strong>in</strong> atto per recuperare parte dei castagneti abbandonati, <strong>in</strong><br />

Umbria, come del resto <strong>in</strong> tutto il territorio nazionale, la produzione di castagne nell’ultimo secolo è<br />

sensibilmente dim<strong>in</strong>uita. Oggi, tra i castagneti di maggior valore segnalati nel territorio regionale,<br />

molti sono presenti nelle aree coll<strong>in</strong>ari e montane dei comuni di Città di Castello e di Monte Santa<br />

Maria Tiber<strong>in</strong>a, ed <strong>in</strong> misura m<strong>in</strong>ore anche <strong>in</strong> alcune zone dei comuni di Umbert<strong>in</strong>e, di Lisciano<br />

Niccone, e di San Giust<strong>in</strong>o (ANTOGNOZZI E. 1986). Giancarlo Bounous riscontra che, tra le varietà<br />

di castagne coltivate <strong>in</strong> Umbria, si dist<strong>in</strong>guono per tratti di pregio i marroni di Corposano e quelli<br />

del territorio di Città di Castello (BOUNOUS G. 2002). I castagneti dell’Alto Tevere rimangono<br />

tutt’ora uno straord<strong>in</strong>ario patrimonio, che, grazie alla longevità dei suoi fusti, sono la testimonianza<br />

vivente di una storia passata e del grande impegno e lavoro profuso dalla gente di queste zone.<br />

12


1.2 TESTIMONIANZE STORICHE<br />

Lo stemma di Lisciano Niccone<br />

Tra le numerose testimonianze del rilevante ruolo che la <strong>castanicoltura</strong> ha svolto nei territori<br />

dell’Alto Tevere Umbro f<strong>in</strong>o a un passato piuttosto recente, l’attuale stemma del Comune di<br />

Lisciano Niccone ne rappresenta una delle più significative. Nella sua effigie, come si legge nel<br />

Decreto del Presidente <strong>della</strong> Repubblica per la concessione dello stemma al Comune stesso, è<br />

raffigurato un grande «castagno verde, fustato al naturale, nodrito nella campagna di verde, il ramo<br />

più basso a s<strong>in</strong>istra munito di catena di nero, sostenente il caldaio di rosso, mediante il manico di<br />

nero, ad arco ribassato, esso caldaio fornito del mestolo di nero, posto <strong>in</strong> banda e immerso».<br />

Un’immag<strong>in</strong>e emblematica questa di quello che da <strong>in</strong>tere generazioni di popolazioni montane è<br />

stato def<strong>in</strong>ito “albero del pane”, rappresentando una fonte di approvvigionamento alimentare<br />

altrimenti difficilmente reperibile. Come possiamo osservare nelle foto sotto illustrate – un<br />

bassorilievo ligneo datato 1 aprile 1886 e donato al municipio di Lisciano Niccone dall’artigiano<br />

Decio Pogg<strong>in</strong>i – a f<strong>in</strong>e Ottocento lo stemma veniva raffigurato con gli stessi simboli.<br />

Stemma di Lisciano Niccone: fronte e retro. Il retro reca la scritta: 1 Aprile<br />

1886 Pogg<strong>in</strong>i Decio Dona al Municipio di Lisciano Niccone (ufficio del<br />

s<strong>in</strong>daco del Comune di Lisciano Niccone).<br />

Relativamente alla storia dello stemma del Comune di Lisciano Niccone si riporta un brano del<br />

dattiloscritto del parroco Gio Battista Millotti, dal titolo Memorie storiche redatte dal parroco di<br />

13


Santa Maria tra il 1891 e il 1894 5 , che sul f<strong>in</strong>ire del XIX secolo ricostruì la storia <strong>della</strong> Val di<br />

Pierle, dalle orig<strong>in</strong>i f<strong>in</strong>o all’Ottocento: «chiudiamo il 1600 con porre sott’occhio la bandiera<br />

dell’<strong>in</strong>dipendenza, la bandiera che nei secoli guerreschi teneva <strong>in</strong> mano il soldato, e nei tempi di<br />

libertà sventolava nei muri dell’etrusco Lepsana. La rivoluzione francese prese questo stemma, lo<br />

cacciò sotto i piedi con altre forze ponteficie e si fece un falò <strong>in</strong> mezzo a Casavecchia, come più<br />

tardi fecero altri rivoluzionari. […] Poco dopo il 1850 il governo chiese al comune il suo stemma; il<br />

Segretario rispose, che Lisciano non aveva <strong>in</strong>nalzato mai stemma: bugia vergognosa, esso si<br />

ricordava bene, che quando era s<strong>in</strong>daco il suo zio la rivoluzione francese lo bruciò, pi’u esso, che<br />

aveva dato <strong>in</strong> mano d’un avvocato tutte le carte comunali, vide cent<strong>in</strong>aia di volte il sigillo. Ma per<br />

non obbedire al papale governo negò di conoscere questo stemma; e non creduto ne <strong>in</strong>ventò uno più<br />

vergognoso <strong>della</strong> detta bugia dicendo: eccolo “una caldaia sotto un cerro, <strong>in</strong>torno alla quale stanno<br />

con il cucchiaio due uom<strong>in</strong>i”. Mesch<strong>in</strong>a <strong>in</strong>venzione: più neppure si conosce la pulenta; qui è la cuna<br />

dei ricchi e non dei pulenti. Nessuno si risentì di quest’<strong>in</strong>sulto; ed i nostri imbecilli oggi hanno<br />

posto questo stemma nel palazzo comunale. Io ho fatto loro conoscere il loro stemma, anzi l’ho<br />

consegnato <strong>in</strong> mano di essi. Frugando i libri parrocchiali mi viene sott’occhio un certificato a<br />

stampa rilasciato dall’autorità sanitaria di Lisciano. Daccapo ad esso vi è un grifo, nel mezzo Tobia<br />

con un angelo, e poi un altro grifo. Contento di tale scoperta corsi ad annunciarlo al Municipio,<br />

onde togliesse dalla porta del suo palazzo il suo il mostruoso stemma, il Segretario <strong>in</strong> realtà fece<br />

domanda; se il grifo <strong>in</strong>nalzato da Perugia, poteva essere anche stemma di Lisciano, e fugli risposto<br />

“non esservi alcuna difficoltà”. Con tutto questo ancora non si è tolta la caldaia, che stà superba nel<br />

superbo palazzo (p. 74)» (MILLOTTI G. B. 1906: 72-74).<br />

La stima delle castagnate nell’economia rurale del XVIII secolo<br />

Nelle sue “memorie storiche”, Gio Battista Millotti, fa riferimento al ritrovamento di un “libro di<br />

amm<strong>in</strong>istrazione”, una sorta di registro dei conti risalente al 1751, dell’Abbazia di Rifalce, dove<br />

viene riportato l’elenco dei prodotti da suddividere tra i coloni: «dunque nel 1700 la villa di Rifalce<br />

era unita a Lisciano. Vi leggo pure, che sotto nome di grano diviso al terzo, s’<strong>in</strong>tende anche l’orzo,<br />

e la segola. L’utile del bestiame si divideva a metà, le castagne stimate si rivendevano ai coloni»<br />

5 Questo prezioso documento è stato fornito da uno dei nostri <strong>in</strong>formatori, Lorenzo, <strong>in</strong> possesso <strong>della</strong> copia cartacea<br />

dell’orig<strong>in</strong>ale, conservato presso l’Archivio di Stato di Perugia, che nel corso dell’<strong>in</strong>tervista ha commentato: «Queste<br />

sono memorie storiche che partono addirittura dalle orig<strong>in</strong>i del comune, proprio dalle orig<strong>in</strong>i, addirittura parte da<br />

segnali etruschi, da memorie etrusche. […] Qui si parla di Casavecchia, che sarebbe Lisciano Niccone. […] Lo stemma<br />

(risale) <strong>in</strong>vece a prima dell’800, durante l’800. Casavecchia era chiamato così perché Ca’ Maiore… nella zona di<br />

Lisciano Niccone un po’ più <strong>in</strong> <strong>alto</strong>, andando verso il monte c’è una zona che si chiama Casa Maggiore, o Ca Maiore<br />

che era il nome <strong>in</strong> lat<strong>in</strong>o e era la casa più vecchia di tutta la zona […]» [<strong>in</strong>formatore n. 1, Lorenzo, pp. 4-8].<br />

14


(MILLOTTI G. B. 1906: 65). Dalla lettura di questo documento ben si comprende quanto,<br />

nell’economia e nell’alimentazione di questa comunità rurale, le castagne fossero determ<strong>in</strong>anti; al<br />

contrario degli altri prodotti 6 , quali ad esempio gli animali d’allevamento, il v<strong>in</strong>o e il grano – il cui<br />

valore veniva espresso <strong>in</strong> bai, scudi o paoli –, le castagne dovevano essere stimate 7 prima di essere<br />

distribuite. Una volta stimate «si davano ai 10 coloni <strong>della</strong> Badia facendo loro pagare, a chi 13, a<br />

chi 14, a chi 17 a chi 20 paoli» (MILLOTTI G. B. 1906: 66).<br />

I monaci benedett<strong>in</strong>i e la coltura del castagno<br />

Come <strong>in</strong> molte aree dell’Italia centrale, l’attività dei monaci benedett<strong>in</strong>i ha certamente contribuito<br />

alla diffusione <strong>della</strong> coltura <strong>della</strong> castagna <strong>in</strong> Alto Tevere. In un antico percorso che da Lisciano<br />

Niccone porta a Morra per f<strong>in</strong>ire a Cortona, un nostro <strong>in</strong>formatore <strong>in</strong>dica la presenza di alcuni resti<br />

di un’abbazia benedett<strong>in</strong>a che sorgeva nel territorio del comune di Lisciano, nei pressi <strong>della</strong> quale,<br />

f<strong>in</strong>o a pochi anni fa, si <strong>in</strong>nalzava un secolare castagno di eccezionali dimensioni, chiamato appunto<br />

“castagno di San Benedetto”: «la strada che va verso Morra e poi va a f<strong>in</strong>ire a Cortona, lì c’è<br />

un’abbazia, di prima del mille […]; qui sulla strada che va verso Tuoro <strong>in</strong> mezzo al castagneto,<br />

bosco di querce e tanti castagni e lì ancora adesso ci sono i resti di questa abbazia che era di un<br />

gruppo staccatosi da questi. Qu<strong>in</strong>di <strong>in</strong>torno a questi castagni, tanti, ce ne sono alcuni, uno<br />

addirittura detto di San Benedetto perché pare che avesse cent<strong>in</strong>aia di anni. […] Questi monaci tra<br />

l’altro sono quelli che hanno bonificato la valle, perché era una palude» [<strong>in</strong>formatore n. 1,<br />

Lorenzo, p. 5]. Alla base del tronco di questo castagno sorgeva a detta del nostro <strong>in</strong>formatore, un<br />

piccolo muretto di pietre, che aveva la parvenza di un <strong>in</strong>g<strong>in</strong>occhiatoio, «c’era qualcuno che diceva<br />

che era l’<strong>in</strong>g<strong>in</strong>occhiatoio dei frati che andavano lì per meditare; e <strong>in</strong>fatti aveva questa parvenza di<br />

piccolo grad<strong>in</strong>o. Si vedeva che erano pietre vecchissime» [<strong>in</strong>formatore n. 1, Lorenzo, p. 5]. Sovente<br />

6 «Dal libro si vede, che una pecora valeva bai 30, una scrofa bai 60, una vacca con il suo lattonzo scudi 12, un paio di<br />

bovi scudi 32, un capretto bai 40, un caprone e due capri scudi sei e bai 60. V<strong>in</strong>o 14 baiocchi la barbozza due soldi al<br />

boccale. Il grano 50 bai lo staio» (MILLOTTI G. B. 1906: 66).<br />

7 In molte comunità il raccolto di castagne doveva dare annualmente un numero di staia superiore a quello dei cereali.<br />

«Ricorderò che nel territorio dei quattro castelli amiat<strong>in</strong>i di Arcidosso, Abbadia San Salvatore, Casteldelpiano,<br />

Piancastagnaio si raccoglievano nel 1676 castagne per 3400 moggia di far<strong>in</strong>a (qu<strong>in</strong>di almeno 10000 moggia di castagne<br />

“verdi”) a fronte di 1370 moggia di cereali e fave e, più particolarmente a Castedelpiano, nella cui economia anche un<br />

secolo prima il castagno occupava il primo posto, il rapporto era addirittura di undici a uno. Poco dopo la metà del<br />

Quattrocento, <strong>in</strong> una bella descrizione <strong>della</strong> montagna amiat<strong>in</strong>a, Pio II Piccolom<strong>in</strong>i aveva già messo <strong>in</strong> rilievo il decisivo<br />

ruolo del castagneto nella vita degli abitanti, nel paesaggio e nell’economia locale, ed una serie di <strong>in</strong>dizi significativi ne<br />

sottol<strong>in</strong>ea l’importanza già per il XIII secolo. Gli uom<strong>in</strong>i di Piancastagnaio affermavano nel 1445 di vivere una parte<br />

dell’anno di castagne e anche quelli di Arcidosso dichiaravano di raccogliere poco grano. La condizione di abitabilità<br />

<strong>della</strong> loro terra era determ<strong>in</strong>ata, di conseguenza, soltanto dalla presenza dei castagneti» (CHERUBINI G. 1996: 153).<br />

15


i benedett<strong>in</strong>i sceglievano di erigere il loro monastero proprio tra i castagneti: ne sono testimonianza<br />

l’abbazia di Vallombrosa, fondata nel XI secolo, che pur trovandosi a 1000 metri s.l.m, era<br />

circondata da castagni, (BOUNOUS G. 2002: 8) e l’abbazia di Monte Maggio «<strong>in</strong> mezzo a un<br />

castagneto enorme di marroni. È ridotto male adesso, tra l’altro bellissimo […] ci sono i resti,<br />

delle belle pietre del Duecento, del 1100, c’è anche qualche pietra con qualche data, con qualche<br />

iscrizione <strong>in</strong> lat<strong>in</strong>o e <strong>in</strong>torno c’era tutto questo grande castagneto che era proprietà del monastero<br />

e era la risorsa alimentare del monastero e dei contad<strong>in</strong>i che stavano <strong>in</strong>torno» [<strong>in</strong>formatore n. 1,<br />

Lorenzo, p. 6].<br />

16


CAPITOLO 2<br />

IL PATRIMONIO TECNICO-CULTURALE<br />

17


2.1 IL CASTAGNETO: CURA E MANTENIMENTO DEL BOSCO<br />

Alla cura del castagno erano legate lavorazioni <strong>tradizionali</strong> che scandivano i ritmi del tempo e delle<br />

stagioni e ad esso erano dedicate assidue attenzioni lungo quasi tutto il corso dell’anno: «il<br />

castagneto non è una questione soltanto di bosco: è importante che sia pulito, che non ci siano<br />

sterpaglie, altrimenti le castagne come si fa a raccoglierle? Già è difficile, perché vengono giù col<br />

riccio, poi si aprono e quando si apre il riccio si sparpagliano <strong>in</strong> giro. Poi c’è il problema <strong>della</strong><br />

vigilanza contro gli animali selvaggi; a chi sta a cuore il castagneto, bisogna che <strong>in</strong> qualche modo<br />

si difenda dai c<strong>in</strong>ghiali durante il periodo <strong>della</strong> raccolta» [<strong>in</strong>formatore n. 1, Lorenzo, p. 1]. A<br />

partire dai primi mesi dell’anno, «il castagneto ha bisogno <strong>della</strong> potatura, addirittura lo<br />

zappavano. I contad<strong>in</strong>i d’<strong>in</strong>verno […] andavano a ripulire sotto con le falci, tagliavano via tutto,<br />

sembrava di essere <strong>in</strong> un campo e poi zappavano anche le piante tutto <strong>in</strong>torno, addirittura un po’ di<br />

concime di stallatico, lo portavano con i buoi, con il carro, dove si poteva» [<strong>in</strong>formatore n. 1,<br />

Lorenzo, p. 2]. La potatura dei castagni co<strong>in</strong>cideva con la f<strong>in</strong>e dell’<strong>in</strong>verno, mentre il mese di aprile<br />

era dest<strong>in</strong>ato agli <strong>in</strong>nesti che venivano eseguiti con varie tecniche e che garantivano la qualità del<br />

frutto: «la marrona è ‘na pianta che è tutta <strong>in</strong>nestata. La pianta de castagno nasce selvatica e pù<br />

tocca ‘nnestalla […] dai primi d’aprile a l’ultimi d’aprile. Dipende la stagione se è più avanti o<br />

meno avanti. Quando stacca la buccia dal legno, praticamente. […] Si stacca la buccia senza che<br />

se spacchi dal legno, poi c’è l’occhio, la gemma, se taglia <strong>in</strong>torno e se tira via, poi se trova un<br />

ramo de la stessa dimensione e se ‘nfila dentro: questa è chiamata “zufolo”. Oppure “a spacco”,<br />

però a spacco c’è il problema che prende più la malattia. L’unica pianta che resiste de più è quela<br />

a “zufolo”» [<strong>in</strong>formatore n. 6, Angiol<strong>in</strong>o, pp. 19-20]. Il nostro <strong>in</strong>formatore ricorda, <strong>in</strong>oltre, che i<br />

castagni un tempo erano «tutti alti, una cosa pazzesca… perché f<strong>in</strong> da piccoli li ripulivano, perché<br />

sennò arrivavano le capre e mangiavano e gli <strong>in</strong>nesti, toccava falli alti sennò li mangiavano e li<br />

sciupavano» [<strong>in</strong>formatore n. 6, Angiol<strong>in</strong>o, p. 2].<br />

Portata a term<strong>in</strong>e la mietitura, all’<strong>in</strong>izio del mese di agosto e f<strong>in</strong>o al mese di ottobre, il contad<strong>in</strong>o<br />

tornava a dedicarsi al castagneto ponendo particolare attenzione alla pulitura del bosco, e <strong>in</strong><br />

particolare del sottobosco, perché questa operazione preparava il terreno per la raccolta delle<br />

castagne. Gli <strong>in</strong>tervistati chiamano questa mansione scurpatura: «scurpatura significava pulire per<br />

bene la macchia, addirittura come se fosse un pavimento. Bruciavano tutte le foglie e il raccolto<br />

<strong>della</strong> castagna era di per sé pulitissimo, non c’erano sp<strong>in</strong>i e niente» [<strong>in</strong>formatore n. 3, Roberto, p.<br />

18


1]. La zappa e la falce erano gli strumenti maggiormente utilizzati per la scurpatura. La zappa era<br />

«affilata a falce, con cui venivano tagliate le felci, gli sp<strong>in</strong>i, tutta quella roba su cui la castagna si<br />

poteva nascondere. […] F<strong>in</strong>iva la raccolta del grano e <strong>in</strong>iziava la pulitura <strong>della</strong> macchia. Già ad<br />

agosto <strong>in</strong>iziavano a pulire il sottobosco. La potatura la facevano <strong>in</strong> questi periodi qui, quando il<br />

castagno è fermo, nel senso che non ha attività <strong>in</strong> corso di germoglio. Da agosto <strong>in</strong> poi e f<strong>in</strong>o ai<br />

primi di ottobre si pulivano le macchie. Ogni anno le pulivano, così era facile mantenerle pulite,<br />

non come oggi che sono abbandonate» [<strong>in</strong>formatore n. 3, Roberto, p. 2]. L’operazione <strong>della</strong> pulitura<br />

del bosco comprendeva alcune tra le attività più importanti, «perché la pulitura del bosco<br />

significava: pulire il sottobosco, fare la potatura del castagno, cercare di tirare su il getto nuovo e<br />

poi cercare di mantenere perfetta la strada, perché ci andavano col mulo o con l’as<strong>in</strong>o e lo<br />

stradello andava tenuto pulito. Adesso n’se passa da nessuna parte perché nessuno pulisce più<br />

niente. Io me ricordo che da ragazzetto s’andava a portare i maiali su sto bosco e se poteva<br />

camm<strong>in</strong>a’ scalzi, perché non è che c’erano gli sp<strong>in</strong>i o i rovi» [<strong>in</strong>formatore n. 3, Roberto, p. 4].<br />

Entro la metà di agosto si raccoglievano anche le foglie di castagno, lasciate seccare al sole, per<br />

essere utilizzate come sostentamento e lettiera per il bestiame. Sulla base del sapere tradizionale,<br />

questa operazione doveva essere portata a term<strong>in</strong>e entro il qu<strong>in</strong>dici di agosto perché la foglia aveva<br />

così avuto il tempo e il caldo necessari per appassire, ma soprattutto perché «dopo il qu<strong>in</strong>dici<br />

d’agosto cambiava il tempo, com<strong>in</strong>ciava a piovere» [<strong>in</strong>formatore n. 14, Marco, p. 2].<br />

La raccolta delle castagne, che ha<br />

<strong>in</strong>izio generalmente <strong>in</strong> ottobre,<br />

era un’attività che co<strong>in</strong>volgeva<br />

tutti i componenti <strong>della</strong> famiglia<br />

e impegnava i contad<strong>in</strong>i per<br />

l’<strong>in</strong>tera giornata; molti<br />

organizzavano una vera e propria<br />

vigilanza: «costruivano capanni<br />

di scope, di legno, per starci<br />

anche la notte qualche volta,<br />

perché se gli rubavano le<br />

castagne gli veniva rubata la<br />

l<strong>in</strong>fa […], perché il castagneto<br />

Allestimento del pegliaio [foto concessa da Livio dalla Ragione, direttore del<br />

Centro di documentazione delle tradizioni popolari di Città di Castello]<br />

era come un granaio, qu<strong>in</strong>di chi entrava dentro un castagneto per andare a rubare le castagne era<br />

19


come se entrasse dentro un granaio e qu<strong>in</strong>di era un furto» [<strong>in</strong>formatore n. 1, Lorenzo, p. 5].<br />

La durata <strong>della</strong> raccolta variava a seconda delle <strong>pratiche</strong> <strong>in</strong> uso che consistono pr<strong>in</strong>cipalmente nella<br />

raccolta dei frutti che cadono spontaneamente a terra e nella battitura delle fronde del castagno<br />

utilizzando una pertica per sollecitare la caduta dei ricci. Quest’ultimo metodo era particolarmente<br />

utilizzato f<strong>in</strong>o a qualche decennio fa e accorciava i tempi <strong>della</strong> raccolta a una qu<strong>in</strong>dici di giorni:<br />

«quando uno le batte, praticamente dopo battute se fa presto a raccattalle. Adesso ‘nvece quelli che<br />

non le batton più devono aspetta’ che casch<strong>in</strong>o. La castagna per aprisse subito ci vorrebbe il<br />

scirocco, il vento caldo. Ci vorrebbe ‘na spera de sole e ‘na brollata d’acqua, quando marzeggia se<br />

dice noi, c’alora fan presto. Se ‘nvece viene ‘l vento freddo qualche volta l’archiude» [<strong>in</strong>formatore<br />

n. 6, Angiol<strong>in</strong>o, p. 8]. Come ci riferiscono i nostri <strong>in</strong>formatori, la battitura, il cioccare le fronde,<br />

aveva la funzione di una vera e propria potatura che dava vigore alla pianta e garantiva frutti<br />

migliori, oltre a fornire materiale combustibile per uso domestico. I ricci che cadevano dalla pianta<br />

ancora chiusi venivano ammucchiati <strong>in</strong> uno spiazzo pianeggiante del castagneto, la ricciaia 8 , dove<br />

rimanevano approssimativamente per tutto il mese di dicembre. Dalla f<strong>in</strong>e di dicembre f<strong>in</strong>o<br />

all’<strong>in</strong>izio di febbraio, il castagneto, veniva poi dest<strong>in</strong>ato al pascolo dei maiali che si nutrivano dei<br />

frutti scartati dal contad<strong>in</strong>o e contribuivano ad una ulteriore ripulitura del bosco.<br />

8 Per una descrizione più dettagliata <strong>della</strong> ricciaia si veda il paragrafo 2.2<br />

20


2.2 CICLO DI LAVORAZIONE DELLA CASTAGNA<br />

Il ciclo di lavorazione <strong>della</strong> castagna caratterizza il periodo <strong>in</strong>cluso tra ottobre e dicembre e <strong>in</strong><br />

passato era scandito da molteplici attività e fasi: la raccolta, la ricciaia, la selezione, l’essiccazione,<br />

la separazione del frutto dalla buccia, la mac<strong>in</strong>atura, la produzione di far<strong>in</strong>a.<br />

Con l’avvic<strong>in</strong>arsi dell’autunno tutta la comunità si preparava alla raccolta: raccogliere le castagne<br />

era senza dubbio il lavoro più importante e più atteso di tutta la stagione, poiché forniva la certezza<br />

di potersi sfamare per la maggior parte dell’anno. Il segnale dell’approssimarsi del momento <strong>della</strong><br />

raccolta era la abboccatura <strong>della</strong> peglia, «che sarebbe il riccio quando si sta per aprire. Quando<br />

[…] si <strong>in</strong>travede la castagna dentro al riccio però non casca» [<strong>in</strong>formatore n. 3, Roberto, pp. 2-3].<br />

La raccolta co<strong>in</strong>volgeva tutta la famiglia: ci si alzava all’alba e, generalmente con l’ausilio di<br />

somari o altri animali da tra<strong>in</strong>o, si raggiungeva il bosco dove per prime s<strong>in</strong> raccoglievano le<br />

cuccole, le castagne uscite spontaneamente dal riccio: «a ottobre i ricci si aprono; se la stagione è<br />

umida (le castagne) cadono più velocemente, se <strong>in</strong>vece viene la tramontana si rifiutano perché il<br />

freddo le fa star chiuse» [<strong>in</strong>formatore n. 1, Lorenzo, p. 5]. F<strong>in</strong>ita la caduta spontanea, arrivava il<br />

momento che il contad<strong>in</strong>o, guardando i ricci «quasi con la bocca un poch<strong>in</strong>o aperta» [<strong>in</strong>formatore<br />

n. 1, Lorenzo, p. 5], capiva che era giunto il momento di farle cadere; le fronde del castagno, allora,<br />

venivano sollecitate con le pertiche, <strong>in</strong> genere canne di bambù o polloni di castagno, che gli uom<strong>in</strong>i<br />

utilizzavano per battere l’albero e far cadere a terra i rimanenti frutti: «quando era f<strong>in</strong>ita la caduta<br />

spontanea, arrivava il momento che guardando questi ricci quasi con la bocca un poch<strong>in</strong>o aperta,<br />

vuol dire che erano mature, che era venuta l’ora di farle cadere; per non farsele fregare, il<br />

contad<strong>in</strong>o, prima le raccoglieva belle nere <strong>in</strong> terra – perché la castagna diventa nera quando è<br />

matura sennò è chiara – e poi, quando era il momento, salivano su con dei perticoni, grandi<br />

bastoni, che venivano tagliati sul posto, perché quei polloni giovanissimi, f<strong>in</strong>i e lunghi, servivano<br />

per dare le bastonate ai ricci, stando attenti a non rov<strong>in</strong>are troppo la vegetazione. Salivano su<br />

perché i castagni erano ben tenuti, potati… salivano con le scale f<strong>in</strong>o alla parte degli <strong>in</strong>croci, poi<br />

con queste pertiche – qualcuno più previdente si legava con una corda a un ramo, qualcuno <strong>in</strong>vece<br />

cadeva e si rompeva un braccio – e qu<strong>in</strong>di con queste pertiche bussavano e facevano cadere i ricci<br />

che già per conto loro avevano <strong>in</strong>iziato ad aprirsi. Molti cadendo lasciavano uscire le castagne, le<br />

raccoglievano, poi sacco <strong>in</strong> spalla» [<strong>in</strong>formatore n. 1, Lorenzo, pp. 5-6]. Le donne,<br />

contemporaneamente, raccoglievano nelle panucce sia le castagne, sia i ricci ancora chiusi (questi<br />

21


ultimi venivano generalmente raccolti con l’ausilio di speciali p<strong>in</strong>ze di legno di castagno); le prime,<br />

deposte <strong>in</strong> sacchi e <strong>in</strong> grandi gerle, chiamate calicci, cistoni etc., venivano temporaneamente<br />

accatastate nelle barche e trasportate successivamente nelle abitazioni pronte per il consumo, i<br />

secondi venivano ammucchiati nelle ricciaie.<br />

Le ricciaie, chiamate anche pegliai o p<strong>in</strong>icciai, ancora <strong>in</strong> uso <strong>in</strong> qualche zona, erano piccole aree<br />

pianeggianti <strong>in</strong> mezzo al castagneto dove venivano ammassati i ricci chiusi. Dopo aver completato<br />

la raccolta dei ricci, «si prendevano dei rami di castagno, si mettevano sopra, <strong>in</strong>trecciati, e sopra a<br />

questi, addirittura con la zappa e col badile, si buttava sopra la terra; poi si lasciavano lì<br />

tranquillamente […] anche con la copertura di questi rami e foglie eccetera eccetera e poi quando<br />

pioveva si faceva uno strato abbastanza impermeabile, ma non del tutto perché l’acqua che<br />

Peglie non ancora abboccate<br />

penetrava riusciva a far sciogliere il riccio<br />

e <strong>in</strong> qualche modo lo f<strong>in</strong>iva di allargare e<br />

lo sbriciolava» [<strong>in</strong>formatore n. 1, Lorenzo,<br />

p. 6]. I ricci così sistemati rimanevano nella<br />

ricciaia per circa un mese, un mese e<br />

mezzo, f<strong>in</strong>o a che non si eseguiva la<br />

cosiddetta spegliatura [cfr. <strong>in</strong>formatore n.<br />

5, Clelia, p.3]: «verso Natale si andava con<br />

le zappe, con rastrelli, con le balle e poi<br />

bastava scoprire togliendo questi rami e<br />

poi con il rastrello passavi da qua a là e<br />

rimanevano le castagne sole, belle, fresche, dure perché l’acqua, il vento, il freddo, la neve qualche<br />

volta, le conservava <strong>in</strong> quel modo, benissimo. Si portavano a casa dentro a queste balle, molti le<br />

chiudevano anche, e poi servivano per l’alimentazione» [<strong>in</strong>formatore n. 1, Lorenzo, p. 6]. Una volta<br />

portate nelle abitazioni, le castagne «lì per lì erano umide, molle, perché avevano rimbevuto acqua,<br />

però dopo le tenevi all’asciutto tre o quattro giorni e ritornavano normali» [<strong>in</strong>formatore n. 2,<br />

Pasquale, p. 2]. Occuparsi <strong>della</strong> ricciaia, del suo allestimento, <strong>della</strong> sorveglianza per proteggerla<br />

dagli animali e dai furti, del suo disfacimento per la def<strong>in</strong>itiva raccolta delle castagne era un<br />

compito assai duro anche per le rigide temperature che caratterizzano i mesi <strong>in</strong> cui tale attività<br />

avveniva, novembre e dicembre: «il problema più grosso era il periodo <strong>della</strong> ricciaia perché<br />

s’afrontaa sempre col tempo tristo» [<strong>in</strong>formatore n. 6, Angiol<strong>in</strong>o, p. 18].<br />

22


Le castagne cadute spontaneamente venivano portate nelle abitazioni e la sera, durante le veglie,<br />

erano selezionate e dist<strong>in</strong>te <strong>in</strong> base alla loro tipologia: marroni, pistoiesi o pastoresi, vitar<strong>in</strong>e e<br />

selvar<strong>in</strong>e. Generalmente la selezione veniva fatta a mano ad opera dei componenti <strong>della</strong> famiglia,<br />

ma nel caso di proprietari di grandi estensioni di bosco, si utilizzava un vaglio, detto anche trivello<br />

[cfr. <strong>in</strong>formatore n. 10, Ugo, p.1] nella zona di Morra «cioè un rullo con dei fori che erano <strong>in</strong><br />

relazione al diametro <strong>della</strong> castagna: la castagna che passava dai fori era piccola e qu<strong>in</strong>di da<br />

scarto, mentre la castagna che rimaneva dentro il rullo era la castagna di produzione»<br />

[<strong>in</strong>formatore n. 3, Roberto, p. 2]. Le castagne selezionate venivano impiegate come pasto per gli<br />

animali (le selvar<strong>in</strong>e), come prodotto dest<strong>in</strong>ato ai mercati (per lo più i marroni), e per l’uso<br />

domestico (pistoiesi, marroni e vitar<strong>in</strong>e).<br />

Per garantire la lunga conservazione delle castagne, <strong>in</strong> molte zone dell’Alto Tevere, come per<br />

esempio a Lisciano Niccone e <strong>in</strong> particolare a Marzano, parte delle castagne <strong>della</strong> prima fase <strong>della</strong><br />

raccolta (quelle cadute spontaneamente) venivano dest<strong>in</strong>ate all’essiccazione. Erano portate negli<br />

appositi essiccatoi 9 , piccoli edifici a due piani dove il fuoco, tenuto acceso per una dec<strong>in</strong>a di giorni,<br />

con il fumo e con il calore essiccava lentamente le castagne poste al di sopra di un pavimento di assi<br />

di legno attraverso cui filtrava il calore sottostante. Ogni essiccatoio veniva utilizzato da più<br />

famiglie di contad<strong>in</strong>i e poiché il fuoco doveva essere alimentato giorno e notte si organizzavano<br />

turni per tutto il periodo dell’essiccazione, che durava <strong>in</strong> genere da dieci a venti giorni.<br />

Passeggiando nei castagneti dell’Alto Tevere, tuttora possiamo osservare i ruderi di alcuni dei<br />

9 Nel 1770, il cartografo toscano e <strong>in</strong>gegnere idraulico Ferd<strong>in</strong>ando Morozzi (1723-1785) compose il trattato<br />

architettonico sulle case dei contad<strong>in</strong>i, dove così descrive il seccatoio. «Il Seccatoio detto anche Metato, è una stanzetta,<br />

che cade sulla categoria del Forno por causa del fuoco, và a quello unito, ovvero se si fa disgiunto, conviene cautelarsi<br />

bene colla Casa per timore degli Incendi. La sua circonferenza deve essere piuttosto piccola, che grande, e deve avere<br />

davanti una stanzetta; dove si mettono le legne a f<strong>in</strong>ir di prosciugarsi per uso del medesimo, e da detta stanza si deve<br />

entrare nel Seccatoio, mediante una bassa apertura, o porticciola, non più alta di un braccio, e mezzo, acciò il caldo non<br />

possa per quella sortire, e ne esca il fumo, perché non ci va fatto Camm<strong>in</strong>o, e serva detta Porta per custodire il fuoco,<br />

che di cont<strong>in</strong>uo vi si mantiene nel mezzo di esso <strong>in</strong> piana terra acceso. […] All’altezza di due braccia e ½ da terra, vi si<br />

fa un palco fittizio con legni tondi, e rozzi posati, su la risegna del muro, qual legname si dispone fisso ed unito, e sopra<br />

si carica con le Castagne, che devono seccarsi per il calore del fuoco; ad una certa altezza di braccia 2 ½ sopra al palco<br />

descritto, si lascia nel muro, che corrisponde <strong>in</strong> Casa una buca tanto larga, che vi possa passare un Uomo, il quale di<br />

tempo <strong>in</strong> tempo entra dentro al Seccatoio a voltare le Castagne, sollevare quelle di fondo, e mandar sotto quelle di<br />

sopra, acciò tutte si asciugh<strong>in</strong>o perfettamente. […] Si copre poi questa stanza unitamente con l’altra delle legne con<br />

tetto, e si alta più, o meno, secondo che torna bene all’Architetto, e meglio sarà sempre, e buona regola, difendere il<br />

tetto con una volta, perché son facili ad <strong>in</strong>cendiarsi, e perciò nell’atto che seccano le Castagne né giorno, né notte<br />

mancano di farvi la guardia. […] Questi Seccatoi per lo più sogliono farsi <strong>in</strong> campagna ne’ Boschi ove si raccolgono le<br />

Castagne, ma se la ricolta è piccola si può fare allora <strong>in</strong> Casa come ho avvisato» (MOROZZI F. 1807 [1770]: 95-97).<br />

23


numerosi essiccatoi f<strong>in</strong>o a vent<strong>in</strong>a di anni fa presenti nei boschi, come quello che ha dato il nome<br />

all’omonima località, il “Seccatoio”, nella zona di Lippiano. Una volta essiccate, le castagne<br />

dovevano essere separate dalla buccia. A seconda delle zone si impiegavano metodi diversi: a<br />

Lisciano Niccone si sfregavano dentro un sacco, mentre nella maggior parte delle altre zone<br />

dell’Alto Tevere venivano riposte <strong>in</strong> un cistone appeso al muro esterno dell’essiccatoio e con un<br />

appasito zoccolo munito di denti metallici il contad<strong>in</strong>o schiacciava le castagne separando la buccia<br />

dal frutto.<br />

Interno di un essiccatoio (http://www.ecomuseo.casent<strong>in</strong>o.toscana.it/)<br />

Parte delle castagne secche veniva<br />

ridotta <strong>in</strong> far<strong>in</strong>a grazie alle mac<strong>in</strong>e<br />

dei mul<strong>in</strong>i ad acqua; un<br />

<strong>in</strong>formatore ben ricordando questa<br />

attività ormai lontana nel tempo,<br />

afferma che la far<strong>in</strong>a di castagne<br />

era utilizzata anche per fare la<br />

pasta: «troppo ce volea a falla la<br />

far<strong>in</strong>a col mac<strong>in</strong>o a acqua; Dio<br />

bono, ce ho fatta la pasta, viene<br />

più scura de quel’altra»<br />

[<strong>in</strong>formatore n. 7, Bruno, p. 24]. I<br />

mul<strong>in</strong>i ad acqua, presenti <strong>in</strong> particolar modo nella zona di Marzano, venivano utilizzati anche per<br />

mac<strong>in</strong>are altri prodotti: «‘gni cosa, ‘gni cosa ce mac<strong>in</strong>ean, l’orzo, il grano, tutto» [<strong>in</strong>formatore n. 7,<br />

Bruno, p. 24], anche se, dalla seconda metà del secolo scorso, le mac<strong>in</strong>e erano impiegate solo perle<br />

castagne secche: «prima si certo, ma ultimamente solo le castagne» [<strong>in</strong>formatore n. 6, Angiol<strong>in</strong>o, p.<br />

24]. Lavorare le castagne per ridurle <strong>in</strong> far<strong>in</strong>a era un’attività piuttosto impegnativa e faticosa e una<br />

volta term<strong>in</strong>ata la mac<strong>in</strong>atura, era necessario setacciare la far<strong>in</strong>a: «e non me ricorderò! mica la<br />

far<strong>in</strong>a veniva da sola, tocca staccialla la far<strong>in</strong>a, ce vol più forza e con la staccia la sera ce voleva a<br />

staccia’ la far<strong>in</strong>a» [<strong>in</strong>formatore n. 6, Angiol<strong>in</strong>o, p. 24]. F<strong>in</strong>o a quaranta-c<strong>in</strong>quant’anni fa la maggior<br />

parte dei proprietari di castagneti <strong>della</strong> zona di Monte Santa Maria Tiber<strong>in</strong>a e di Marzano si<br />

adoperava nella produzione di far<strong>in</strong>a: «a Marzano tutti, a Santa Maria, tutti tutti tutti. Un giorno<br />

per poco ce mojo una volta io, una manciata [di far<strong>in</strong>a] e ahm, te chiude, per poco ce mojo…<br />

proprio m’ha chiuso (la gola)» [<strong>in</strong>formatore n. 6, Angiol<strong>in</strong>o, p. 24].<br />

24


2.3 GLI STRUMENTI UTILIZZATI<br />

Intorno alla cura del castagneto e al ciclo di lavorazione <strong>della</strong> castagna ruota tutta una serie di<br />

strumenti utilizzati nelle varie fasi del lavoro, <strong>in</strong>dicati spesso con term<strong>in</strong>i che att<strong>in</strong>gono al lessico<br />

tradizionale e che differiscono a seconda delle aree che contraddist<strong>in</strong>guono la <strong>castanicoltura</strong> <strong>in</strong> Alto<br />

Tevere. Di seguito presentiamo schematicamente, suddividendoli sulla base delle varie fasi di<br />

lavorazione, i pr<strong>in</strong>cipali strumenti utilizzati che costituiscono gran parte del patrimonio lavorativo<br />

che ruota <strong>in</strong>torno alla <strong>castanicoltura</strong> e anche parte del più ampio patrimonio culturale che ha<br />

caratterizzato, e <strong>in</strong> parte cont<strong>in</strong>ua a caratterizzare tuttora, il sapere tradizionale:<br />

• strumenti per la potatura e per la scurpatura: zappe, rastrelli, falci, roncole, forbici;<br />

• strumenti per la battitura: pertiche (generalmente canne di bambù o polloni di castagno) e<br />

scale a pioli;<br />

• strumenti per la raccolta: panucce, p<strong>in</strong>ze (forcelle, forcellette, forfette, forfett<strong>in</strong>e, molle,<br />

mollette, mollettone, p<strong>in</strong>z<strong>in</strong>e), canestri (cistoni, cr<strong>in</strong>i, calicci), vagli per la selezione delle<br />

castagne (trivelli);<br />

• strumenti per la ricciaia: calicci, cr<strong>in</strong>i, rigioli, rastrelli;<br />

• strumenti per il trasporto: caniccia, giovea (ciovea), treggia, barella (fondello), cistone a<br />

spalla;<br />

• strumenti per il vaglio delle castagne secche e per la separazione del frutto dalla buccia:<br />

zoccoli, spulant<strong>in</strong>e, cistoni, sacchi, vagli.<br />

Il rastrello era di due tipi: con denti di ferro e denti di legno. Veniva usato durante la pulitura dei<br />

castagneti per accatastare il pattume (foglie e rami secchi) e durante la raccolta per ammassare le<br />

peglie (i ricci) e le foglie. Tra questi c’era anche il rigiolo, un piccolo rastrello con i denti di legno<br />

che veniva utilizzato per separare le castagne dai ricci nel momento <strong>in</strong> cui si disfaceva la ricciaia.<br />

La panuccia era una sacca di iuta che le donne legavano <strong>in</strong>torno alla vita dove riponevano le<br />

castagne appena raccolte per riversarle nel paniere: «era tipo un marsupio, quando era piena veniva<br />

votata sul paniere […] perchè dopo il paniere quando era pieno era difficile da trasportare»<br />

[<strong>in</strong>formatore n. 3, Roberto, p. 5].<br />

25


Le p<strong>in</strong>ze, chiamate anche forcelle, forcellette, forfette, forfett<strong>in</strong>e, molle, mollette, mollettone,<br />

p<strong>in</strong>z<strong>in</strong>e, potevano essere costruite <strong>in</strong> due modi diversi: o ricavando dal legno di castagno una<br />

Panieri e cistoni per la raccolta<br />

piccola asta ripiegata col calore del fuoco a forma<br />

di U, o realizzate con un ramoscello di castagno<br />

biforcuto: «le tagliavi un tanto lungh<strong>in</strong>e, dappiedi<br />

erano attaccate, le str<strong>in</strong>gevi e pipavi i ricci e li<br />

mettevi nel canestro. […] Erano larghe, le<br />

str<strong>in</strong>gevi e doppo s’ariaprivano» [<strong>in</strong>formatore n. 2,<br />

Pasquale, p. 5]. I canestri, detti anche cistoni, cr<strong>in</strong>i<br />

o calicci a seconda delle zone, erano di varia<br />

grandezza <strong>in</strong> base degli usi e venivano realizzati<br />

con i venchi di castagno (i giovani rami di<br />

castagno) o con i vim<strong>in</strong>i; erano a forma di tronco<br />

di cono, avevano due manici, servivano per trasportare sia le castagne che i ricci e potevano essere<br />

portati anche a spalla con l’ausilio di un bastone. Un particolare canestro era la caniccia, che, pur<br />

essendo come gli altri fatto di v<strong>in</strong>co, era particolarmente leggera, di grandi dimensioni e serviva<br />

pr<strong>in</strong>cipalmente per trasportare le foglie di castagno dest<strong>in</strong>ate all’alimentazione del bestiame.<br />

Per trasportare i prodotti del castagneto (castagne, fogliame, ricci decomposti, legna) f<strong>in</strong>o alle<br />

abitazioni venivano utilizzate la treggia – sorta di slitta di legno tra<strong>in</strong>ata da buoi o da altri animali –,<br />

la barella (detta anche fondello) – tavola<br />

rettangolare fatta generalmente di v<strong>in</strong>chi<br />

<strong>in</strong>trecciati e ramoscelli di castagno, fornita<br />

di manici per il trasporto a mano – e la<br />

giovea (detta anche ciovea) – tavola<br />

rettangolare munita di sponde realizzata con<br />

v<strong>in</strong>chi <strong>in</strong>trecciati e ramoscelli di castagno<br />

che veniva posta sopra la treggia –. La<br />

spulant<strong>in</strong>a – così def<strong>in</strong>ita unicamente nella<br />

zona di Muccignano [ cfr. <strong>in</strong>formatore n. 10,<br />

Ugo, p. 1] – era un attrezzo a forma di<br />

Rastrelli e p<strong>in</strong>ze per la raccolta<br />

tronco di cono capovolto, realizzato con doghe di castagno fissate su una base <strong>in</strong>feriore e trattenute<br />

superiormente da cerchi di legno; le doghe erano distanziate le une dalle altre quel tanto che basta<br />

per far uscire le bucce. Questo strumento era utilizzato <strong>in</strong>sieme agli zoccoli per l’operazione di<br />

26


Zoccoli per la pestatura delle castagne secche<br />

(http://www.ecomuseo.casent<strong>in</strong>o.toscana.it/)<br />

pestatura delle castagne. Calzato lo<br />

zoccolo il pestatore tenendosi <strong>in</strong><br />

equilibrio per mezzo di una corda<br />

appesa al muro schiacciava con un<br />

piede le castagne secche contenute<br />

nella spulant<strong>in</strong>a facendo fuoriuscire<br />

le bucce. Gli zoccoli erano speciali<br />

calzature con suole <strong>in</strong> legno alle<br />

quali erano applicati pioli <strong>in</strong> legno o<br />

metallo. I pestatori legavano ai piedi<br />

queste particolari calzature per mezzo di strisce di cuoio e corde. Spesso al posto <strong>della</strong> spulant<strong>in</strong>a<br />

venivano usati dei cistoni e <strong>in</strong> quel caso il lavoro veniva era dall’utilizzo di un vaglio, strumento<br />

costituito da un piano <strong>in</strong> metallo traforato (con fori che potevano essere di varia grandezza) di forma<br />

rotonda, trattenuto da un cerchio di castagno, utilizzato per l’operazione di vagliatura. Una volta<br />

separate le castagne secche <strong>in</strong>tere dest<strong>in</strong>ate alla molitura da quelle spezzate (tricioli), queste ultime<br />

venivano date <strong>in</strong> pasto alle pecore ed ai maiali.<br />

27


2.4 L’INFLUENZA DEL CIELO E LA CASTANICOLTURA: I SAPERI, LE PRATICHE,<br />

L’ESPERIENZA<br />

Il bosco e i suoi molteplici prodotti erano per le comunità rurali dell’Alto Tevere fonte di vita e<br />

sostentamento e possedere un castagneto significava, nella maggior parte dei casi, allontanare lo<br />

spettro <strong>della</strong> fame. La sua cura e il suo mantenimento richiedevano, perciò, tutto il sapere che i<br />

contad<strong>in</strong>i si tramandavano con l’esperienza di padre <strong>in</strong> figlio e che consentiva loro di leggere “i<br />

segnali” <strong>della</strong> natura e del cielo. «F<strong>in</strong> dai tempi di Esiodo i segnali e pronostici (“Il grido delle gru<br />

migratrici annunzia il tempo per l’aratura e la sem<strong>in</strong>a”, “Le viti dovrebbero essere stralciate prima<br />

dell’apparire <strong>della</strong> rond<strong>in</strong>e”) sono sempre stati connaturati alla mentalità contad<strong>in</strong>a, sensibilissima –<br />

come è naturale – alle annate buone e a quelle cattive, ansiosa di conoscere se il pane sarebbe<br />

potuto bastare, oppure se si andava profilando una m<strong>in</strong>accia alla sopravvivenza <strong>della</strong> famiglia, una<br />

catastrofe alimentare» (CAMPORESI P. 1980: 186). Nel mondo contad<strong>in</strong>o il rapporto che si istituiva<br />

tra l’uomo, <strong>in</strong> forma collettiva o <strong>in</strong>dividuale, e il territorio circostante, si svolgeva secondo tempi e<br />

modalità strettamente condizionati dalla ciclicità stagionale e qu<strong>in</strong>di al possibile verificarsi di eventi<br />

meteorologici positivi o negativi 10 ; «proprio per questo, la dipendenza dell’uomo dalla natura e dai<br />

suoi cicli richiede una cont<strong>in</strong>ua attenzione ai “segni” che nel territorio si producono, <strong>in</strong>dizi di ciò<br />

che accadrà e che occorre saper “leggere” nel cielo, nella vegetazione e nel terreno. Si determ<strong>in</strong>a<br />

perciò verso l’ambiente un atteggiamento “laico” e al tempo stesso “magico”, o meglio “tecnico” e<br />

al tempo stesso “rituale” (GUAITINI G. - SEPPILLI T. 1978-1979 / 1979-1980 [1985]: 34).<br />

Il cielo forniva una notevole ricchezza di “segni” da scrutare e <strong>in</strong>terpretare, garantendo all’uomo di<br />

esperienza una previsione sulle stagioni a venire; ecco allora che un gruppo di nuvole, le fasi <strong>della</strong><br />

luna, la direzione dei venti diventavano <strong>in</strong>dizi da soppesare costantemente per trarne previsioni<br />

attendibili, utilizzando saperi non codificati, ma efficaci, ereditati dai padri e dai nonni, che si<br />

trasmettevano anche attraverso proverbi e detti capaci di condensare sentenze, precetti e<br />

conoscenze.<br />

10 In riferimento alla centralità degli eventi meteorologici nell’attenzione del mondo contad<strong>in</strong>o umbro si può vedere il<br />

capitolo Proverbi agricoli più <strong>in</strong> uso nel territorio di Città di Castello, pp. 31-39, nel lavoro di Giuseppe AMICIZIA,<br />

Notizie e dati statistici sulla agricoltura tifernate. Monografia compilata <strong>in</strong> occasione dell’Esposizione agricola umbra<br />

del 1893, Città di Castello, Tipografia dello Stabilimento Sciopione Lapi.<br />

28


Alcuni periodi dell’anno erano – <strong>in</strong> molte zone dell’Alto Tevere lo sono tuttora – oggetto di<br />

osservazione accurata; il tramonto dell’ultimo giorno di agosto, ad esempio, preannunciava un<br />

<strong>in</strong>verno temperato o freddo: «l’ultimo d’agosto bisogna guardacce… se il sole va giù bello,<br />

l’<strong>in</strong>verno è bonotto, se va giù brutto è più brutto l’<strong>in</strong>verno! Se va giù brutto: neve! Un <strong>in</strong>verno un<br />

po’ balordo!» [<strong>in</strong>formatore n. 7, Bruno, pp.21-22]. Ed è sempre l’agosto a rivelare l’andamento del<br />

raccolto nell’imm<strong>in</strong>ente autunno: per una buona raccolta deve piovere ad agosto, «quando fiorisce e<br />

cosa la castagna» [<strong>in</strong>formatore n. 8, Santa, p. 4].<br />

L’attenta osservazione delle condizioni atmosferiche suggeriva al contad<strong>in</strong>o il momento giusto <strong>in</strong><br />

cui portare avanti le varie attività legate alla terra e organizzare <strong>in</strong> anticipo un programma per<br />

affrontare le possibili variazioni stagionali e le <strong>in</strong>certezze sul futuro 11 . Per la raccolta delle castagne<br />

si aspettava la “prima” pioggia: «quando guarda il castagno che è abboccato, si <strong>in</strong>travede la<br />

castagna dentro al riccio però non casca. Alora tanti aspettavano la prima pioggia. […] Siccome la<br />

castagna per la maggior parte è una parte lignea, gonfia con l’acqua e quando veniva la prima<br />

acqua, si gonfiavano e com<strong>in</strong>ciavano a cadere. Se <strong>in</strong>vece veniva la tramontana era un disastro: il<br />

legno si asciuga e la castagna non casca. Qualche volta che succede? Che cade tutto il riccio con<br />

la castagna dentro, perché ha avuto la stagione troppo ventosa e troppo asciutta. In quel caso<br />

dovevano mettersi giù coi piedi e le mani ad aprire i ricci ed era una fatica ulteriore rispetto alla<br />

raccolta e i ricci alora se aprivano con le mani» [<strong>in</strong>formatore n. 3, Roberto, p. 3]. Come riferisce<br />

un <strong>in</strong>formatore di Lippiano, «la castagna per aprisse subito ci vorrebbe il scirocco, il vento caldo.<br />

Ci vorrebbe una spera de sole e ‘na brollata d’acqua, quando marzeggia se dice da noi!»<br />

[<strong>in</strong>formatore n. 6, Angiol<strong>in</strong>o, p. 8]. Se <strong>in</strong>vece piove e viene il freddo «basta una nottata e le<br />

castagne s’amosciano totte!» [<strong>in</strong>formatore n. 6, Angiol<strong>in</strong>o, p. 2].<br />

In autunno, nel mese di novembre, si osservavano le foglie trasportate dal vento: «se n’s’arduna la<br />

foglia nel mese di novembre, le castagne il prossim’anno non s’arcattano. Se il vento non spazza le<br />

11 Numerose <strong>in</strong>formazioni concernenti i presagi del tempo e i rituali magico-religiosi di protezione degli animali e delle<br />

piante e di salvaguardia dagli eventi meteorologici negativi sono emerse nel quadro di organiche <strong>in</strong>chieste folcloriche<br />

sul “ciclo <strong>della</strong> vita” e sul “ciclo dell’anno” <strong>in</strong> alcune aree “<strong>tradizionali</strong>” dell’ Alto Tevere Umbro, condotte come tesi di<br />

laurea presso l’Istituto di etnologia e antropologia culturale <strong>della</strong> Università degli studi di Perugia: GRAGNOLI<br />

Fernando, Le tradizioni popolari relative all’<strong>in</strong>sediamento, al ciclo <strong>della</strong> vita e al ciclo delle feste calendariali, nel<br />

nucleo abitato di Muccignano (comune di Città di Castello <strong>in</strong> prov<strong>in</strong>cia di Perugia, Umbria), 2 voll., 290 e 326 pp., 2<br />

album fotogr., Perugia, 1969 / PULETTI Mario, Le tradizioni popolari relative, al ciclo <strong>della</strong> vita e al ciclo delle feste<br />

calendariali,e i canti e i racconti che vi sono connessi, nel nucleo abitato di Cantone (comune di San Giust<strong>in</strong>o <strong>in</strong><br />

prov<strong>in</strong>cia di Perugia, Umbria), 2 voll., 120 e 675 pp., Perugia, 1979.<br />

29


foglie nei punti più alti e le porta sulle fonde, qualche volta fa le barche di mezzo metro, un metro,<br />

allora è il segnale che fa poche castagne il prossimo anno […]; e difatti è la realtà perché sono<br />

poche le castagne! La ragione è un po’ la grand<strong>in</strong>e, è dovuto a tanti fattori, ma fatto sta che non ci<br />

sono, ce n’è poche» [<strong>in</strong>formatore n. 6, Angiol<strong>in</strong>o p. 21]. In <strong>in</strong>verno <strong>in</strong>vece, era importante che<br />

maturasse l’edera, altrimenti, nella stagione del raccolto anche i frutti non sarebbero giunti a<br />

maturazione: «anche per la lavorazione, per l’anticipo <strong>della</strong> roba, si guarda l’edera, se l’edera non<br />

matura d’<strong>in</strong>verno, vuol di’ che la stagione non va per la quale, porta a un punto che non si matura<br />

l’uva, non si matura nissuna robba!» [<strong>in</strong>formatore n. 6, Angiol<strong>in</strong>o, p. 21].<br />

L’atmosfera del mondo rurale è sempre stata popolata dalla presenza di santi che <strong>in</strong>fluenzavano<br />

notevolmente ogni aspetto <strong>della</strong> vita contad<strong>in</strong>a: «i fenomeni meteorologici, ad esempio, sono <strong>in</strong><br />

gran parte affidati alla sorveglianza dei santi. Infatti, mentre il Signore “regola il freddo secondo i<br />

panni” dei miseri mortali e la Madonna manda la pioggia a seconda delle esigenze dell’agricoltura,<br />

San V<strong>in</strong>cenzo 12 è il moderatore <strong>della</strong> grand<strong>in</strong>e, Santa Barbara dirige il camm<strong>in</strong>o del fulm<strong>in</strong>e,<br />

Sant’Emidio frena i terremoti, San Benedetto scioglie a suo talento gli uragani, e via dicendo»<br />

(NICASI G. 1912: p. 6). Le condizioni atmosferiche del 24 agosto, giorno di San Bartolomeo,<br />

preannunciavano un buon raccolto di castagne: «se piove per San Bartolomeo 13 vengono le<br />

castagne» [<strong>in</strong>formatore n. 2, Pasquale, p. 2]. Come ricorda Giuseppe Nicasi, la maggior parte dei<br />

vegetali ha il proprio santo protettore «e se il Signore e la Madonna si sono riservati, il primo la<br />

protezione dell’ulivo, la seconda quella del faggio, hanno però affidato a San Giovanni Battista la<br />

cura delle erbe e piante medic<strong>in</strong>ali, a San Marco 14 la cura dei boschi e quella del ciliegio, a San<br />

12 A proposito del ruolo di San V<strong>in</strong>cenzo lo stesso Nicasi precisa: «poiché gli abbondanti raccolti, base <strong>della</strong> prosperità<br />

economica dei contad<strong>in</strong>i, possono essere compromessi ed anche distrutti dalla grand<strong>in</strong>e, dopo la Madonna e<br />

Sant’Antonio, il protettore più accarezzato e onorato è San V<strong>in</strong>cenzo che, regolando la grand<strong>in</strong>e, può preservare da<br />

questo flagello i raccolti dei suoi devoti. E l’effigie di San V<strong>in</strong>cenzo non manca quasi mai nelle case coloniche» (NICASI<br />

G. 1912: 14).<br />

13 Il 24 agosto si festeggia San Bartolomeo apostolo, martire nell’anno 47; forse morto scorticato, le sue spoglie sono,<br />

secondo un’antica tradizione, conservate a Roma nell'isola Tiber<strong>in</strong>a. Patrono dei fabbricanti di guanti, macellai, legatori<br />

di libri, fattori, pellicciai, sarti e conciatori, lo si <strong>in</strong>voca contro l'erpete, la resipola e le malattie cutanee.<br />

14 «La festa di San Marco ricorre ai 25 di aprile, epoca nella quale il bosco com<strong>in</strong>cia ad <strong>in</strong>foltire per le r<strong>in</strong>novellate<br />

frondi, come assicura il proverbio<br />

Per San Marco<br />

La macchia chiude al varco<br />

E questa è la ragione per la quale si ritiene San Marco protettore dei boschi. Siccome poi una leggenda <strong>della</strong> valle del<br />

Nestoro narra che San Marco, per soddisfare le voglie di un papa, fece maturare i frutti di un ciliegio prima del tempo,<br />

così si ritiene che San Marco sia protettore anche del ciliegio » (NICASI G. 1912: 6).<br />

30


Francesco quella del leccio, a San Barnaba la protezione <strong>della</strong> vite e a San Mart<strong>in</strong>o, oltre quella del<br />

v<strong>in</strong>o, la sorveglianza sulla robusta vegetazione del rovo» (NICASI G. 1912: 6).<br />

Il primo giorno di novembre, giorno <strong>in</strong> cui si festeggiano tutti i Santi, era necessario radunare le<br />

foglie cadute col rastrello altrimenti nella stagione futura i fiori di castagno non si sarebbero<br />

trasformati <strong>in</strong> frutto; per i Santi, quando <strong>in</strong>iziavano a cadere le foglie, «tocca piglia’ il rastrello e<br />

pulille, sennò n’se legano dopo. Tocca pigla’ e pulille col rastrello» [<strong>in</strong>formatore n. 6, Angiol<strong>in</strong>o, p.<br />

9].<br />

Tutte le attività legate al ciclo <strong>della</strong> castagna erano eseguite qu<strong>in</strong>di dopo scrupolose osservazioni<br />

meteorologiche a seconda che fosse previsto sole, vento o pioggia; ma lo sguardo del contad<strong>in</strong>o<br />

andava ben oltre l’osservazione dell’atmosfera, soffermandosi sugli astri più lum<strong>in</strong>osi, e attribuendo<br />

un significato determ<strong>in</strong>ante alle fasi <strong>della</strong> luna. Nel mondo contad<strong>in</strong>o la luna ha sempre avuto un<br />

ascendente rilevante sul terreno e sulla crescita delle colture: regolava la misurazione del tempo e il<br />

calendario dei lavori agricoli, e per poter programmare le giornate di lavoro la luna offriva preziose<br />

<strong>in</strong>dicazioni. In particolare si osservavano le sue fasi: se era <strong>in</strong> fase calante, veniva def<strong>in</strong>ita luna<br />

buona o, come sono soliti dire <strong>in</strong> Alto Tevere luna dura, se era <strong>in</strong> fase crescente, veniva def<strong>in</strong>ita<br />

luna cattiva, o luna tenera. «Influisce l’alta e la bassa pressione, poi dietro c’è anche un po’ di<br />

fantasia però non tanto; anche quando si sem<strong>in</strong>a […] va sem<strong>in</strong>ato a luna dura; tutte le storie che<br />

devono andare a seme presto: le fave, i piselli, le “vecce”, (cioè) i ceci si piantano a luna tenera<br />

perché vanno subito a fiore, a seme; <strong>in</strong>vece il “pretosello”, come dicono a Castello, il prezzemolo,<br />

il sedano, il basilico va sem<strong>in</strong>ato a luna dura perché non va a seme subito, va a seme l’anno dopo.<br />

E questo (perché) c’è le alte e le basse pressioni, come al mare <strong>in</strong>somma c’è la luna dura e la luna<br />

tenera. Io ci credo perché anche l’umore delle gente si vede quando cambia la luna» [<strong>in</strong>formatore<br />

n. 9, Livio, p. 2]. Così, se la fioritura avveniva durante la luna dura si aveva un raccolto migliore,<br />

meno bacato, allo stesso modo era preferibile che il frutto maturasse nella stessa fase: «da noi se<br />

dice: “se alega bene o alega male”, cioè, se alega a luna tenera non va bene. […] La luna calante<br />

sarebbe quela bona, luna crescente è quela che non è bona. Alora noi se dice: luna dura è quela<br />

calante, luna tenera è quella che cresce. La luna sta bona per qu<strong>in</strong>dici giorni ed è quela calante, poi<br />

per qu<strong>in</strong>dici giorni è quela crescente. Non solo per le castagne, ma per tutta la roba» [<strong>in</strong>formatore<br />

n. 6, Angiol<strong>in</strong>o, pp. 4-5].<br />

In alcuni casi la luna calante è stata def<strong>in</strong>ita luna mancante, o luna trista: «(gli <strong>in</strong>nesti) meglio se se<br />

fanno a luna calante, ma a la Bicioccola, se fanno a luna trista tutti l’<strong>in</strong>nesti» [<strong>in</strong>formatore n. 7,<br />

31


Bruno, p. 19]. Sempre con la luna buona si tagliavano gli alberi per il legname o la falegnameria:<br />

«anche quando li tagliavano i castagni van tagliati a luna bona, se no fa i danni, sempre a luna<br />

cadente ed è vero. Io penso tanto che è vera sta storia» [<strong>in</strong>formatore n. 9, Livio, p. 11].<br />

32


CAPITOLO 3<br />

LA VITA SOCIALE NELLA “CIVILTÀ DEL CASTAGNO”<br />

33


3.1 IL BOSCO E LE VEGLIE<br />

La vita e la socialità delle comunità dell’Alto Tevere, dove le castagne e i castagneti<br />

rappresentavano alcune, se non l’unica, tra le risorse pr<strong>in</strong>cipali per il sostentamento <strong>della</strong><br />

popolazione rurale, era scandita e fortemente condizionata dalla presenza di queste preziose piante e<br />

dei loro frutti. Nei mul<strong>in</strong>i, <strong>in</strong>torno agli essiccatoi, nei boschi al momento <strong>della</strong> raccolta, si<br />

svolgevano momenti importanti <strong>della</strong> socialità <strong>della</strong> montagna che co<strong>in</strong>volgevano giovani e anziani,<br />

uom<strong>in</strong>i e donne. L’allegria, lo scambio di battute, le situazioni goliardiche, l’entusiasmo che<br />

caratterizzavano le giornate nei castagneti sono ancora vive nelle testimonianze dei nostri<br />

<strong>in</strong>formatori, per i quali le attività che si svolgevano nel bosco, scandite soprattutto dalla raccolta e<br />

dalla spegliatura, erano vissute come veri e propri momenti di festa. Una atmosfera, questa, che non<br />

veniva <strong>in</strong>taccata nemmeno dal duro lavoro e dalle proibitive condizioni climatiche a cui erano<br />

sottoposti i contad<strong>in</strong>i, ben descritte dai commenti di Bruno e Angiol<strong>in</strong>o durante l’<strong>in</strong>tervista a cui<br />

hanno partecipato <strong>in</strong>sieme:<br />

- Bruno: «che freddate! Oh sciagurati... »<br />

- Angiol<strong>in</strong>o: «con la neve alta così... da morì dal freddo. Te ricordi l'tu por babbo quela volta – sarà<br />

stato gli anni ‘50, ’60 – cercava le balle, ma le balle n'c'erano: il tu poro zio, par<strong>in</strong>o moriva dal<br />

freddo: ce n'aveva 8 sulle spalle!»<br />

- Bruno: «era 'na tramontana...»<br />

- Angiol<strong>in</strong>o: «el freddo, el freddo da morì...»<br />

- Bruno: «andandoci adesso se more subbito!» [<strong>in</strong>formatore n. 7, Bruno, p. 9; <strong>in</strong>formatore n. 6,<br />

Angiol<strong>in</strong>o, p. 9].<br />

Il momento <strong>della</strong> raccolta rappresentava un’occasione di divertimento <strong>in</strong>nanzitutto per i bamb<strong>in</strong>i:<br />

«da ragazz<strong>in</strong>i, quando andavamo nel castagneto, per la raccolta, era una giornata magica perché<br />

andavamo via, si partiva, si andava a raccogliere le castagne, a batterle per farle cadere, a<br />

raccogliere i ricci per metterli nel p<strong>in</strong>icciaio e si portava dietro la colazione, merend<strong>in</strong>e. Per i<br />

ragazzetti è sempre stato un po’ un fasc<strong>in</strong>o, e io mi ricordo che avevo costruito un piccolo capanno<br />

dentro questo p<strong>in</strong>icciaio quando ancora non era il momento di metterci i ricci con dei tronchi di<br />

castagno messi alla meglio e frasche di castagno sopra. Un certo tronchetto fatto a schiena di<br />

cavallo, che avevo messo dentro e quella lì era la mia panch<strong>in</strong>a; portavo via un libretto, un<br />

Topol<strong>in</strong>o. Il momento più bello era verso l’ora di pranzo perché si accendeva un bel fuoco, con tutti<br />

ramoscelli secchi, di castagno […] e poi dietro si portavano le salsicce» [<strong>in</strong>formatore n. 1, Lorenzo,<br />

34


p. 13]. Nel bosco, <strong>in</strong> compagnia dei numerosi amici e parenti che ruotavano <strong>in</strong>torno alla famiglia<br />

mezzadrile, il pranzo era un appuntamento particolarmente atteso durante le attività di raccolta e di<br />

disfacimento <strong>della</strong> ricciaia – «era come una specie di sbimbocciata!» [<strong>in</strong>formatore n. 2, Pasquale, p.<br />

9] – e co<strong>in</strong>volgeva ogni volta molte persone: « prima […] se portaa su sette o otto fiaschi de v<strong>in</strong>o...<br />

me ricordo che ‘l poro Bruno par<strong>in</strong>o – lu’ è morto tre o quattro mesi fa – ‘na matt<strong>in</strong>a disse:<br />

“cercamo de mangè poco perché c'è armasto 12 fiaschi de v<strong>in</strong>o e 11 pagnotte de pane!”. Dal giorno<br />

prima, perché toccaa porta’ le scorte. Come dicevo prima, molte volte se vedeva arriva’ dela gente<br />

che non ci se pensava. E n’è come adesso che uno prende la macch<strong>in</strong>a o ‘l trattore e arva’ a casa;<br />

s'era a piedi. Alora se metteva da mangia’ sur un sacco, se chiudeva, se metteva sur un castagno che<br />

non c'arrivasse l'animali... perchè la matt<strong>in</strong>a arparti’ co l’imbrogli, col pane, col v<strong>in</strong>o su le spalle le<br />

balle, i rastrelli... ci vole tempo. Adesso se piglia ‘l mezzo, se va via con quello, ma prima erano<br />

tutte mulattiere» [<strong>in</strong>formatore n. 6, Angiol<strong>in</strong>o, p. 8]. Il menù era generalmente a base di cost<strong>in</strong>e di<br />

maiale, salsicce, baccalà cotti alla brace, ma anche cavoli e zuppe di fagioli e castagne fatti bollire<br />

negli appositi pignatti di coccio [cfr. <strong>in</strong>formatore n. 2, Pasquale, p. 9]; il tutto cuc<strong>in</strong>ato nella<br />

macchia. Dalle prime ore del matt<strong>in</strong>o, f<strong>in</strong>o al tramontare del sole, il lavoro nel bosco era scandito<br />

dalle battute e dalle rime scherzose che i contad<strong>in</strong>i si scambiavano umoristicamente tra loro: « tipo<br />

quando c'era la mietitura, no? Da 'n campo e l'altro praticamente ci se tirava delle rime, cantando e<br />

l'altre persone rispondevano e viceversa. A la macchia era uguale» [<strong>in</strong>formatore n. 6, Angiol<strong>in</strong>o, p.<br />

13]. Sovente il lavoro era <strong>in</strong>oltre allietato dal suono <strong>della</strong> fisarmonica che accompagnava balli<br />

<strong>tradizionali</strong> come il trescone [cfr. <strong>in</strong>formatore n. 5, Clelia, p. 8] e più spesso canti popolari ispirati a<br />

fatti realmente accaduti come quello che segue: «c'era un ragazzo e una ragazza che abitaano<br />

quassù sulle castagnete, c'avevan 'na casa, abitaano sula stessa casa. Lei n'avea marito […] sto<br />

ragazzo la volea sposa’ e andaa al bosco a sonagli la fisarmonica per via che s'ennamorasse. E lei<br />

gli disse: "Se tu me soni per sette, otto sere io te sposo, sennò non te voglio. E' verità questa! Alora<br />

lu’ per otto sere andò a sona’ la fisarmonica (Santa <strong>in</strong>izia a cantare):<br />

“Io son gradito bello e robusto,<br />

qualunque gusto tu ci puoi trovar”.<br />

Rispose la ragazza: "Se tu mi fai ballare,<br />

qualcosa si potrà comb<strong>in</strong>are […]".<br />

Per c<strong>in</strong>que sere, con l'organetto,<br />

con lo strumento se n'andò a sona’<br />

F<strong>in</strong>ito il carnevale se lo levò da torno<br />

35


nemmeno un altro giorno ci volle ragiona’.<br />

Allora Bistarone andiede dall'uscere<br />

le chiese per piacere: "Lei me deve cita'".<br />

L'uscere manda 'l foglio a quella signor<strong>in</strong>a,<br />

che giovedì matt<strong>in</strong>a si deve presenta'.<br />

Aver visto Monterchi sembraa piazza Navona,<br />

ma più di una persona all'udienza andò.<br />

E Bistarone quel seggiolone,<br />

quel seggiolone seduto là<br />

poco distante dalla ragazza,<br />

con seria faccia le dicea così:<br />

"lei mi avea promesso che mi avrebbe sposato<br />

io mi ero <strong>in</strong>namorato e lei non mi vuol più".<br />

Il giudice si volta e dice a Teres<strong>in</strong>a:<br />

"alzatevi signor<strong>in</strong>a e rispondete a me<br />

Dovete pagare delle sonate, delle sonate che fecion là<br />

15 lire dovete dare, dovete dare a Bistaron".<br />

"A me m'avete fatto doppio piacere se mai vedere (...)<br />

A me non m’ ha sonato e mai me sonerà”» [<strong>in</strong>formatore n. 8, Santa, p. 15].<br />

In occasione <strong>della</strong> raccolta o di altre attività <strong>della</strong> vita contad<strong>in</strong>a che richiedevano molta<br />

manodopera, le famiglie si prestavano reciproco aiuto, facevano a sconto: «non è che si pagavano, si<br />

aiutavano! Allora, spegliava uno e andavano lì a aiutare, poi si riandavano a aiutare; questo è a<br />

sconto» [<strong>in</strong>formatore n. 5, Clelia, p. 8]. I proprietari dei poderi più estesi, si avvalevano <strong>in</strong>vece<br />

dell’aiuto di raccoglitori e più spesso raccoglitrici che prestavano la loro opera <strong>in</strong> cambio di denaro o<br />

di castagne e che soggiornavano presso la casa del contad<strong>in</strong>o per tutto il periodo <strong>della</strong> raccolta. Si<br />

trattava per lo più di giovani ragazze, chiamate nel dialetto locale opre (opere), che giungevano dalle<br />

regioni limitrofe, come ricorda un <strong>in</strong>formatore di Morra: «venivano le donne di Apecchio, Piobbico;<br />

venivano le marchigiane a raccogliere le castagne e ci stavano addirittura i mesi e la signora<br />

36


(Licarete) aveva una casa che si chiama “Malanotte”, proprio <strong>in</strong> mezzo ai castagneti e lì facevano<br />

la raccolta di giorno e la cernita la sera, per cui venivano scelti i marroni, quelli più grossi e quelli<br />

più piccoli e quelle più piccol<strong>in</strong>e le castagne venivano essiccati. Io mi ricordo che c’avevano anche<br />

“Le Chierciaie”, vic<strong>in</strong>o a Muccignano, che era una casa <strong>in</strong> mezzo alla macchia. Io me ricordo che<br />

da ragazzetti s’andava su ‘sti boschi per vedere le ragazze, anche se eravamo piccol<strong>in</strong>i, queste di<br />

Apecchio, perché quando passavano la matt<strong>in</strong>a a piedi per lo stradone si sentivano le canzoni»<br />

[<strong>in</strong>formatore n. 3, Roberto, p. 1]. Durante il lavoro nel bosco, le ragazze si scambiavano stornelli e<br />

canzoni e la sera, si riunivano nelle case dei contad<strong>in</strong>i del luogo per ballare al suono <strong>della</strong><br />

fisarmonica: «normalmente c’eran le famose opre che venivano, eran tutte ragazze che mentre<br />

facevano cantavano […] le canzoni dell’epoca» [<strong>in</strong>formatore n. 13, Franco, p. 9]; «c’era anche il<br />

ballo delle maschere, che veniva fatto ogni volta che si ballava la sera dopo il raccolto; chi non era<br />

<strong>in</strong>vitato, per poter accedere alla festa, si metteva una maschera e andavano alla festa. Le maschere<br />

erano costruite lì per lì e ci si vestiva spesso da donne» [<strong>in</strong>formatore n. 11, Annibale, p. 2]. In<br />

assenza di musica, si trascorreva la serata con i “passatempi” <strong>tradizionali</strong> quali la “cocuzza”, il<br />

“carbon del fango” – «soffiavano sul carbone di castagno e si macchiavano tutta la faccia»<br />

[<strong>in</strong>formatore n. 11, Annibale, p. 1] – e il gioco “chi vuole il prezzemolo venga a me” – <strong>in</strong> cui «tutti<br />

tiravano i capelli a chi aveva pronunciato la frase» [<strong>in</strong>formatore n. 11, Annibale, p. 1] –. Il<br />

soggiorno delle ragazze favoriva un gioco di sottili corteggiamenti e allusioni – «me ricordo che<br />

c’era il post<strong>in</strong>o che suonava la fisarmonica, poi c’era il fattore Nanni, che erano sempre <strong>in</strong> giro co’<br />

ste donne su per ‘sti poggi» [<strong>in</strong>formatore n. 3, Roberto, p. 1] – e rappresentava per qualcuna anche<br />

l’occasione per “sistemarsi”, come ricorda un <strong>in</strong>formatore di Lippiano: «molte ci trovavan marito,<br />

socializzavano e allora…» [<strong>in</strong>formatore n. 13, Franco, p. 9].<br />

Nelle lunghe serate <strong>in</strong>vernali, quando la stanza del focolare rappresentava il punto di <strong>in</strong>contro <strong>della</strong><br />

socialità familiare e <strong>in</strong>terfamiliare, le castagne accompagnavano le “veglie”, trascorse <strong>in</strong> allegria di<br />

amici e parenti: «alora le esigenze eron poche: ci s'ardunava tutti 'na sera da lui, 'na sera da me e<br />

se faceva 'na partita: la penitenza per chi perdea era un bicchier d'acqua. Era dura bè l'acqua, eh!<br />

Uno o due coceon le castagne e quel'altri <strong>in</strong> du' squadre giocaano. Le risate... […] (le donne)<br />

cocevano le castagne, se mettevano appartate per conto suo e raccontavano le su' cose e faceano la<br />

calza» [<strong>in</strong>formatore n. 6, Angiol<strong>in</strong>o, p. 9]; «quande era de sta stagione che venia tanta gente a<br />

veglia, se facea le castagne cotte col v<strong>in</strong>o dolce.... faceano la zuppa, perchè metteano le castagne<br />

caldarroste su un bicchiere riempito de v<strong>in</strong>o. Se portaa su tre o quattro buttiglioni, ma la gente era<br />

tanta e alora toccaa passa' per le caditoie e s'andaa a prende 'l v<strong>in</strong> dolce […] mettevano tutte le<br />

castagne a bagno sul v<strong>in</strong>o» [<strong>in</strong>formatore n. 8, Santa, p. 19]. Durante le “veglie” la conversazione si<br />

37


focalizzava non di rado sulle paure, fatti <strong>in</strong>soliti e spaventosi accaduti ai presenti o sentiti<br />

raccontare. Incontri notturni con strani animali nel bosco, visioni di anomale luci, visite di defunti<br />

sono alcuni degli episodi di paura 15 citati dai nostri <strong>in</strong>formatori [cfr. <strong>in</strong>formatore n. 7, Bruno, p. 18;<br />

<strong>in</strong>formatore n. 10, Ugo, p. 1]. «Nei casolari e nei paesi rurali, <strong>in</strong> particolare nelle aree montane, i<br />

fattori oggettivi di isolamento e il loro riflesso a livello di vissuto emotivo e di rappresentazione<br />

culturale <strong>della</strong> realtà sollecitano il crearsi di paurose e fantastiche immag<strong>in</strong>i collettive concernenti il<br />

territorio posto oltre i marg<strong>in</strong>i dell’<strong>in</strong>sediamento. La carenza e la precarietà delle vie di<br />

comunicazione, la impraticabilità delle strade durante i lunghi periodi di neve, la irraggiungibilità di<br />

ogni soccorso, la sensazione di rimanere <strong>in</strong> balia di se stessi, tagliati fuori dal resto del mondo, il<br />

buio subito fuori dalle porte di casa nelle <strong>in</strong>term<strong>in</strong>abili notti <strong>in</strong>vernali, popolano il territorio di figure<br />

soprannaturali, di esseri maligni, di pericoli di ogni genere, e lo rendono misterioso, estraneo,<br />

ostile» (GUAITINI G. - SEPPILLI T. 1978-1979 / 1979-1980 [1985]1983: 36-37).<br />

15 Di particolare <strong>in</strong>teresse sono a tale proposito le “paure” raccolte nella zona <strong>della</strong> Valle del Nestoro da Giuseppe Nicasi<br />

agli <strong>in</strong>izi del ‘900: « Pure <strong>in</strong> altre località – sempre nelle vic<strong>in</strong>anze di Morra – si vedono spesso, a detta di quei contad<strong>in</strong>i,<br />

due lumi che di notte, specialmente nel cambiare del tempo, si r<strong>in</strong>corrono per un tratto di bosco. Anzi, si racconta che<br />

qualche anno addietro un tale stava guardando dalla f<strong>in</strong>estra di casa sua la corsa di quei lumi; e chiamava i suoi ad alta<br />

voce, perché venissero anch’essi a vedere quello strano fenomeno. Sembra che i due lumi non gradissero quella curiosità<br />

<strong>in</strong>discreta e, mutato percorso, si <strong>in</strong>dirizzarono veloci verso la f<strong>in</strong>estra di quel tale, che pur distava circa un chilometro dal<br />

luogo dove per solito avveniva la corsa. La celerità dei lumi fu tale che quello spaventato, fece appena <strong>in</strong> tempo a serrare<br />

precipitosamente la f<strong>in</strong>estra, impedendo così l’accesso <strong>in</strong> casa sua ai detti lumi, i quali, certo soddisfatto di averlo<br />

obbligato a ritirarsi, sparirono. […] Ad un contad<strong>in</strong>o cadde il somaro carico <strong>in</strong> un fosso, vic<strong>in</strong>o ad un “gorga”. Solo e di<br />

notte, il povero contad<strong>in</strong>o si trovò impotente a trarre il somaro da quel periglio; ed allora si raccomandò alle anime del<br />

Purgatorio perché lo aiutassero. Ad un tratto, di mezzo alle acqua <strong>della</strong> “gorga”, emerse un’orma bianca dalle forme<br />

umane, che gli si avvic<strong>in</strong>ò e lo aiutò tanto validamente che, tutti e due uniti, poterono far uscire il somaro dal fosso. Il<br />

contad<strong>in</strong>o, nel r<strong>in</strong>graziare l’anima dell’aiuto datogli, espresse la propria meraviglia per la strana dimora da lei scelta; e,<br />

appreso che quella dimora le era stata affidata da Dio <strong>in</strong> “sconto” di peccati, aggiunse le proprie congratulazioni per la<br />

pena relativamente mite che gli era toccata. Allora l’anima, per far conoscere al contad<strong>in</strong>o quanto egli si <strong>in</strong>gannasse, gli<br />

disse di immergere un dito nell’acqua <strong>della</strong> “gorga”; ed il contad<strong>in</strong>o, avendo ciò fatto, ritirò il dito completamente<br />

“spolpato” per l’azione di quell’acqua che era bollentissima […]. Si narra che una pastorella di Caspignano, casale<br />

dell’alta valle del Nestoro, essendo andata a “parare” le pecore, <strong>in</strong>contrò nel bosco una donna, che la pregò di<br />

rammentare ai suoi vic<strong>in</strong>i di casa, cui era morta pochi giorni <strong>in</strong>nnanzi una vecchia parente, che facessero dire delle messe<br />

<strong>in</strong> suffragio di quella povera morta. La pastorella rispose che la sera stessa, al suo ritorno a casa, avrebbe adempiuto a<br />

tale <strong>in</strong>carico, purchè se ne fosse ricordata. Allora la donna le disse: «ti lascerò questo ricordo, perché tu non te ne<br />

dimentichi», ed <strong>in</strong> così dire la toccò leggermente col dito <strong>in</strong> una spalla, facendo emettere alla pastorella un grido<br />

straziante, perché si era sentita bollare a fuoco. Come ognuno comprende, la donna non era che l’anima <strong>della</strong> vecchia,<br />

morta recentemente» (NICASI G. 1912: 34-37).<br />

38


Tra le storie narrate e tramandate di generazione <strong>in</strong> generazione, è da annoverare quella dell’“Omo<br />

Selvatico”, una figura imponente e spaventosa – diffusa peraltro nelle zone montane di gran parte<br />

d’Italia e d’Europa 16 – che viveva nei boschi al conf<strong>in</strong>e tra Umbria e Toscana, nei pressi di<br />

Lippiano. Secondo la leggenda un certo Angelaccio o Agnolaccio viveva allo stato di natura nei<br />

boschi <strong>della</strong> località chiamata Murcia. Terrorizzava i contad<strong>in</strong>i ed esigeva animali che venivano<br />

sgozzati <strong>in</strong> una pietra, chiamata t<strong>in</strong>a, collocata all’<strong>in</strong>terno di un bosco di castagni: la «t<strong>in</strong>a dell’omo<br />

selvatico […] è su una castagneta […] è una gran pietra che si vede che è scarpellata dall’uomo e lì<br />

dentro dicevano – io sentivo racconta’ questa storia – dicevano che lui ce sgozzava gli animali che se<br />

mangiava […] io mi sembrava una leggenda quando me la raccontavano, però la raccontavano molti<br />

su da noi questa storia» [<strong>in</strong>formatore n. 5, Clelia, p. 3]. Ad uccidere Agnolaccio fu tale Marco<br />

Mangioni con una pallottola regalatagli da un frate. Si narra che i gendarmi, <strong>in</strong>dividuato il suo<br />

corpo, gli staccarono la testa e la portarono a Firenze per mostrarla al granduca Leopoldo II, che,<br />

come premio, concesse al Mangioni la licenza di caccia gratis per sette generazioni. Secondo i<br />

racconti tale privilegio si sarebbe est<strong>in</strong>to soltanto pochi decenni fa con la morte dell’ultimo degli<br />

aventi diritto.<br />

16 Per una <strong>in</strong>dicazione bibliografica sull’“Uomo Selvatico” <strong>in</strong> Italia, si può consultare: AA.VV. 1986; SCARAMAZZA P.<br />

T. - FOCHES A. 2003; FOCHES A. 2002 [cd rom]. Per una analisi dei l<strong>in</strong>eamenti storico-iconografici di questa figura, si<br />

veda ANDREOLLI B. - MONTANARI M. cur. 1988 / <strong>in</strong> particolare pp. 108-111.<br />

39


CAPITOLO 4<br />

LA CULTURA ALIMENTARE<br />

40


4.1 LA CASTAGNA NEL REGIME ALIMENTARE DELLE POPOLAZIONI RURALI<br />

Nota come “albero del pane” o “pane dei poveri” (BOUNOUS G. 2002), la castagna ha costituito per<br />

secoli <strong>in</strong> Alto Tevere, come <strong>in</strong> molte parti d’Italia, la pr<strong>in</strong>cipale base alimentare, non solo per gli<br />

abitanti delle zone montane come Marzano e Preggio, ma anche per le popolazioni <strong>della</strong> pianura che<br />

soprattutto <strong>in</strong> tempi di carestia e povertà hanno trovato rimedio <strong>in</strong> questo prezioso frutto 17 . «Le<br />

condizioni economiche delle persone erano un po’ limitate per cui […] per il periodo <strong>in</strong>vernale si<br />

faceva ricorso a questo tipo di alimentazione […]. Era quella una delle risorse pr<strong>in</strong>cipali <strong>della</strong><br />

popolazione: si faceva anche colazione con le castagne!» [<strong>in</strong>formatore n.13, Franco, p. 1]; «c'erano<br />

tanti che n’aveano el pane, ci facevon colazione, anche a casa. A la sera le preparavano caldarroste<br />

o lesse e a la matt<strong>in</strong>a pel caffè latte, oppure... facevon colazione con le castagne chi n'avea el pane.<br />

Era 'l su pane» [<strong>in</strong>formatore n. 8, Santa, p. 14]; «la castagna era la sussistenza per tutto l'<strong>in</strong>verno»<br />

[<strong>in</strong>formatore n. 6, Angiol<strong>in</strong>o, p. 2]. Come scriveva <strong>in</strong> una memoria stampata nel 1765 il toscano<br />

Saverio Manetti riferendosi alla sua regione, ma descrivendo un contesto facilmente estendibile<br />

anche all’Umbria, «l’utile stesso che per vitto e nutrimento apporta il riso a tanti popoli del mondo<br />

[…] lo porta agli Europei delle parti australi, e specialmente a tutti gli abitanti delle montagne<br />

appresso di noi <strong>in</strong> Toscana, il frutto del castagno, tanto sativo che silvestre, poiché ridotto questo <strong>in</strong><br />

far<strong>in</strong>a e polenta, ovvero <strong>in</strong> altre forme cotto o accomodato, serve loro per tutto alimento e per pane<br />

<strong>in</strong> tutto il corso dell’anno… Il castagno detto da noi sativo o di nesto… produce i frutti più grossi<br />

addimandati da noi marroni, i quali son mangiati freschi, tostati <strong>in</strong> pa<strong>della</strong> o lessati nell’acqua, e cotti<br />

sotto la cenere o la brace, e <strong>in</strong> forno ancora […] La polenta fatta di sola far<strong>in</strong>a di castagne dai nostri<br />

montanari, e dagli altri ancora si chiama pattona. Nelle nostre montagne di Pistoia e del Casent<strong>in</strong>o è<br />

dove sono le maggiori selve di castagni, e dove la gente più povera si sostenta per tutto l’anno di<br />

questo prodotto, non assaggiando altro pane di biade o grano» (CAMPORESI P. 1980: 93). La<br />

connessione <strong>della</strong> castagna a condizioni di vita prevalentemente povere ha <strong>in</strong>fluenzato per molto<br />

tempo la considerazione dovuta a questo frutto, che ha f<strong>in</strong>ito per qualificare precise condizioni<br />

umane e sociali; così, come riferisce lo storico Giovanni Cherub<strong>in</strong>i, mentre il pane bianco di tutto<br />

17 Le castagne rappresentavano la sopravvivenza di molte popolazioni non soltanto <strong>in</strong> quanto risorsa nutritiva necessaria<br />

per le stagioni fredde, ma anche per la possibilità di trarre qualche vantaggio economico dalla loro<br />

commercializzazione. I mercati dest<strong>in</strong>ati alla vendita di questo frutto erano numerosi e assai frequentati; ricordiamo, ad<br />

esempio, quelli di Città di Castello, di Monterchi e di Castiglion Fiorent<strong>in</strong>o ai quali partecipavano ogni anno le famiglie<br />

contad<strong>in</strong>e <strong>alto</strong>tiber<strong>in</strong>e che producevano castagne [cfr. anche capitolo 5.1 Sostentamento per il bestiame (il mercato dei<br />

maiali)].<br />

41


frumento era per eccellenza alimento da contad<strong>in</strong>i e da ceti superiori, gli alimenti preparati con la<br />

far<strong>in</strong>a di castagne, al di là del loro significativo potere nutritivo, venivano considerati cibi per poveri,<br />

<strong>in</strong> quanto ritenuti qualitativamente <strong>in</strong>feriori, alla stregua del pane nero 18 . Lo stesso vocabolario <strong>della</strong><br />

Crusca def<strong>in</strong>isce la castagna “una cosa vile” o una cosa “da nulla” e certe accezioni proverbiali citate<br />

da autori trecenteschi come Giordano da Riv<strong>alto</strong> e Antonio Pucci recitano: “vale meno che una<br />

castagna”, “gli rilevava men di una castagna” (CHERUBINI G. 1996 [1985]: 158). A testimonianza<br />

dell’onnipresenza di questo alimento nella dieta delle popolazioni rurali, <strong>in</strong> Alto Tevere erano diffusi<br />

motti legati alla oppressiva monotonia del regime alimentare: «a Mucignano ci son quattro vivande:<br />

brigi, baloci, mond<strong>in</strong>e e castagne» [<strong>in</strong>formatore n.11, Annibale, p. 1], a <strong>in</strong>dicare ironicamente che la<br />

“vivanda”, era <strong>in</strong> realtà unica. Già ne La secchia rapita del Tassoni, le popolazioni montanare<br />

venivano def<strong>in</strong>ite “mazzamarroni” o “mangiamarroni” e «nella così detta Rappresentazione di<br />

Giuseppe, un testo del teatro sacro fiorent<strong>in</strong>o del r<strong>in</strong>ascimento, così risponde un montanaro a un<br />

contad<strong>in</strong>o delle zone basse che lamentava la sua povera condizione: “Lascia dir noi, che stiam nelle<br />

montagne! / Voi ricogliete pur qualcosa al piano / Noi viviam il più del tempo di castagne / E gli è<br />

sei mesi ch’i non viddi grano”» (CHERUBINI G. 1996 [1985]: 157).<br />

18 «Per quanto già Pier de’ Crescenzi, secondo un’op<strong>in</strong>ione del resto già condivisa da altri al suo tempo, sottol<strong>in</strong>easse,<br />

sulla scia di Avicenna e di Galeno, che la castagna è «di buon nutrimento», «più nutritiva di tutti i granegli, <strong>in</strong>tanto che<br />

è proxima a’ granegli del pane», era naturale che i montanari cercassero di procurare dei cereali dal baratto o dalla<br />

vendita delle castagne e che lo staio di castagne secche costasse di regola, sui mercati, assai meno che lo staio di grano»<br />

(CHERUBINI G. 1996 [1985]: 158).<br />

42


4.2 METODI DI CONSERVAZIONE<br />

L’importanza che rivestiva la castagna nelle diete delle popolazioni montane e contad<strong>in</strong>e, era<br />

dovuta anche alla possibilità di distribuire il consumo di questo frutto e dei suoi prodotti lungo tutto<br />

il corso dell’anno grazie a particolari tecniche di conservazione che ne consentivano<br />

l’accantonabilità. Tali tecniche venivano utilizzate già nei secoli passati, come dimostra il consumo<br />

di castagne fresche o secche e di far<strong>in</strong>a di castagne che si faceva al di fuori <strong>della</strong> stagione del<br />

raccolto nel tardo Medioevo (CHERUBINI G. 1996 [1985]). In particolare, i trattamenti impiegati per<br />

garantire la lunga conservazione delle castagne, documentati anche da fonti due-trecentesche 19 ,<br />

erano – e <strong>in</strong> molte zone dell’Alto Tevere lo sono tuttora – sostanzialmente di tre tipi: la permanenza<br />

temporanea nell’acqua 20 , il sistema <strong>della</strong> ricciaia, l’essiccazione.<br />

La permanenza temporanea nell’acqua e la successiva asciugatura delle castagne garantisce la<br />

conservazione del frutto fresco ed è una pratica ancora particolarmente utilizzata dai produttori di<br />

castagne sia per l’uso familiare che per f<strong>in</strong>i commerciali. A questo tipo di trattamento è dest<strong>in</strong>ata la<br />

cuccola, cioè la castagna spontaneamente uscita dal riccio e raccolta. Come ci spiega un nostro<br />

<strong>in</strong>formatore, «il discorso consiste <strong>in</strong> questo: la castagna asciutta dura poco e come dicevo prima, la<br />

castagna è fatta per la maggior parte de legno e essendo de legno se secca […] se riduce. La<br />

castagna a lunga conservazione, chiamamola così, tra virgolette, è quella castagna che è stata<br />

messa a bagno, perchè il legno a metterlo a bagno si rigonfia e non passa più aria, non passa più<br />

niente e la castagna gli fa il guscio, per cui la castagna si mantiene giovane e fresca» [<strong>in</strong>formatore<br />

n. 3, Roberto, p. 8]. Questo tipo di trattamento ha <strong>in</strong>izio dopo la raccolta e la selezione delle<br />

castagne e i frutti rimangono <strong>in</strong> acqua per almeno otto giorni, durante i quali «andrebbe cambiata<br />

l'acqua, perchè com<strong>in</strong>cia a puzza', perchè il legno tenendolo a mollo parecchio che fa? Fa dei<br />

batteri e dopo <strong>in</strong>com<strong>in</strong>ciano a puzza' e quel sapore d'acqua, poi dopo, essendo legno che traspira,<br />

lo prende anche la castagna e la castagna prende un saporaccio e non è più buona. Allora<br />

19 Tra i numerosi autori che descrivono i metodi di lavorazione e conservazione <strong>della</strong> castagna ricordiamo l’agronomo<br />

Pier de’ Crescenzi (1233-1321) e il grammatico Bonves<strong>in</strong> de la Riva (1240-1313). Per ulteriori approfondimenti, si<br />

rimanda ai testi: CHERUBINI G. 1996 [1985]; MONTANARI M. 1979.<br />

20 «Pier de’ Crescenzi non accenna a quello che è il metodo giudicato migliore per la loro (delle castagne)<br />

sterilizzazione, la permanenza temporanea nell’acqua e la successiva asciugatura, sconosciuto del resto, almeno <strong>in</strong><br />

Francia, f<strong>in</strong>o al XVIII secolo, e parla soltanto dell’abitud<strong>in</strong>e di conservare le castagne bene asciutte sotto la rena»<br />

(CHERUBINI G. 1996 [1985]: 162).<br />

43


conviene m<strong>in</strong>imo ogni due o tre giorni, cambiargli l'acqua» [<strong>in</strong>formatore n. 3, Roberto, p. 8]. Una<br />

volta tolte dall’acqua le castagne vengono riposte su un piano asciutto e ventilato e così conservate<br />

si mantengono per molte settimane.<br />

Il trattamento dei ricci ammucchiati nella ricciaia, rappresenta un ulteriore efficace metodo di<br />

conservazione: «quando battono i castagni vengono conservate le peglie per un mese circa, un<br />

mese e mezzo, poi vengono private del riccio e dopo quelle si conservano perché han preso già<br />

l’umidità…» [<strong>in</strong>formatore n. 13, Franco, p. 2]; «per mantenere (le castagne) el meglio è fe’ la<br />

ricciaia» [<strong>in</strong>formatore n. 6, Angiol<strong>in</strong>o, p. 2].<br />

L’essiccatura, <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, consiste nella trasformazione del frutto fresco <strong>in</strong> “castagna secca” grazie al<br />

fumo dell’essiccatoio che un tempo poteva essere collocato all’<strong>in</strong>terno <strong>della</strong> casa contad<strong>in</strong>a di<br />

montagna – se disponeva di una camera appositamente attrezzata per l’essiccatura delle castagne<br />

(CAMPORESI P. 1980) – o, e questo è il caso più tipico <strong>in</strong> Altotevere, <strong>in</strong> una piccola costruzione<br />

isolata al marg<strong>in</strong>e dei boschi di castagno o nei boschi stessi. Questi edifici, che f<strong>in</strong>o a pochi anni fa<br />

erano piuttosto frequenti nelle zone montane <strong>alto</strong>tiber<strong>in</strong>e, oggi sono pressoché scomparsi;<br />

passeggiando lungo i sentieri, tuttavia, è ancora possibile scorgere i ruderi di alcuni vecchi<br />

essiccatoi o le loro tracce negli edifici ristrutturati. Questo metodo di conservazione, come gli altri,<br />

è una pratica che vanta orig<strong>in</strong>i molto antiche, come testimoniano le parole dell’agronomo<br />

trecentesco Pier de’ Crescenzi quando scrive che le castagne «conservansi […] poste al fumo <strong>in</strong><br />

graticci quasi per due mesi acciocché poi che saranno secche si mond<strong>in</strong>o et lungamente si serb<strong>in</strong>o»<br />

(CHERUBINI G. 1996 [1985]: 162). Così seccate le castagne non solo costituivano una necessaria<br />

scorta per l’<strong>in</strong>verno, ma, mac<strong>in</strong>ate negli appositi mul<strong>in</strong>i, permettevano alle famiglie di contad<strong>in</strong>i di<br />

disporre <strong>della</strong> far<strong>in</strong>a per i mesi a venire.<br />

44


4.3 LA CASTAGNA IN CUCINA<br />

L’alimentazione delle popolazioni rurali dell’Altotevere era caratterizzata da una cuc<strong>in</strong>a<br />

prevalentemente “povera” che faceva delle castagne uno degli alimenti pr<strong>in</strong>cipali. Come scrive<br />

Piero Camporesi, «il regime alimentare appenn<strong>in</strong>ico appariva pressappoco identico sia al<br />

viaggiatore del C<strong>in</strong>quecento che ai relatori dell’Inchiesta agraria presieduta da Stefano Iac<strong>in</strong>i.<br />

Immobile era rimasto, dopo tanti anni, il regime alimentare perché immobili perduravano le<br />

tecniche agrarie, i rapporti di proprietà e gli strumenti di produzione. Prevalente era <strong>in</strong> montagna<br />

(contrariamente alla pianura) la piccola o piccolissima proprietà che spesso si riduceva a una fetta di<br />

castagneto o a una porzione di pascolo» (CAMPORESI P. 1980: 21). Per questo motivo, le ricette che<br />

caratterizzavano le tavole contad<strong>in</strong>e delle quali ci riferiscono i nostri <strong>in</strong>formatori sono state ereditate<br />

da un passato antico, tramandate attraverso i secoli; e queste stesse ricette vengono oggi riscoperte<br />

tramite un processo di recupero <strong>della</strong> memoria cul<strong>in</strong>aria, come dimostrano i piatti proposti durante<br />

le sagre dedicate alla castagna, quelli “riscoperti” nei numerosi ristoranti <strong>della</strong> zona, o<br />

semplicemente le pietanze tramandate di madre <strong>in</strong> figlia presenti nelle nostre tavole <strong>in</strong> una<br />

fondamentale cont<strong>in</strong>uità col passato.<br />

Numerose sono le ricette a base di<br />

castagne, così come vari sono i sistemi di<br />

cottura delle castagne stesse già descritti<br />

dal grammatico Bonves<strong>in</strong> de la Riva alla<br />

f<strong>in</strong>e del 1200: «Si fanno cuocere verdi sul<br />

fuoco, e si mangiano dopo gli altri cibi…<br />

Spesso vengono lessate senza guscio e,<br />

così cotte, molti le mangiano col<br />

cucchiaio; buttata via l’acqua di cottura,<br />

molte volte si masticano senza pane, o<br />

anzi, al posto del pane. Seccate, poi, al<br />

Castagnaccio<br />

sole, e cotte a fuoco lento, si danno anche ai malati» (MONTANARI M. 1979: 301). Le castagne<br />

fresche venivano cuc<strong>in</strong>ate <strong>in</strong> vario modo e <strong>in</strong> base al metodo di cottura erano denom<strong>in</strong>ate <strong>in</strong> maniera<br />

diversa: le bricie, brici, brigie o brigi, a seconda <strong>della</strong> zona, erano le castagne arrostite, o al fuoco<br />

sull’apposita pa<strong>della</strong> bucata, detta panaia [cfr. <strong>in</strong>formatore n. 12, Alfio] dopo essere state <strong>in</strong>cise con<br />

45


un coltello, o, come ci riferiscono gli <strong>in</strong>formatori di Morra [cfr. <strong>in</strong>formatore n. 3, Roberto] e di<br />

Lippiano, sotto la cenere: «le castagne anche le mettevano tra la cenere… è una cosa che i mi’<br />

fratelli, quando se tornava su, la chiamavano la sbrigiata […], prendevano un po’ de castagne, le<br />

mettevano <strong>in</strong> terra e poi ce accendevano un fuoco sopra… la sbrigiata era così […] le facevano<br />

cuocere svelte perché scoppia la castagna, ma non facevano <strong>in</strong> tempo a scoppia’; io ho <strong>in</strong> mente<br />

che buttavano ste castagne e po’ il legno sopra che bruciava subito il guscio e non crettavano; la<br />

chiamavano la sbrigiata» [<strong>in</strong>formatore n. 5, Clelia, p.4].<br />

Le castagne lessate <strong>in</strong> acqua bollente con sale e f<strong>in</strong>occhio erano, <strong>in</strong>vece, baloce, baloci o ballotte se<br />

cotte con la buccia esterna, e mond<strong>in</strong>e, mondarelle 21 o monde se private <strong>della</strong> “prima pelle”. Queste<br />

ultime, a detta dei nostri <strong>in</strong>formatori, devono essere cuc<strong>in</strong>ate preferibilmente a una certa distanza<br />

dalla raccolta: «quelle bisogna falle quando la castagna è molto moscia, quasi secca: più asciutta è<br />

e più dolce è. Per esempio, se le facesse adesso appena cascano, n'en bone, perchè la castagna più<br />

sciuga e più è dolce. Le monde se facevano sempre dopo la ricciaia, a Natale, grossomodo, oppure<br />

anche dopo Natale perché le castagne de ricciaia durano f<strong>in</strong>o a marzo o f<strong>in</strong>o aprile. Doventon<br />

secche e basta» [<strong>in</strong>formatore n. 6, Angiol<strong>in</strong>o, p. 10].<br />

Sia le castagne fresche che quelle secche – queste ultime dette anche mosciarelle – venivano<br />

impiegate, soprattutto nella zona di Preggio, per cuc<strong>in</strong>are vari tipi di zuppe con le patate e più<br />

spesso con i fagioli e con i ceci 22 : «cuc<strong>in</strong>avano <strong>in</strong>sieme le castagne secche i ceci o fagioli, ma col<br />

sale, ché ci mettevano sotto la bruschetta […]. Il segreto è che le castagne vanno messe a bagno la<br />

sera prima, come i ceci, da sole però, perchè le castagne fanno un po’ di brodo rosso, colorato…<br />

allora le castagne vanno fatte bollire per dieci m<strong>in</strong>uti […] poi quando si son spurgate le castagne si<br />

mette tutto <strong>in</strong>sieme, e si fanno bollire… […] un gocc<strong>in</strong>o d’olio, due spicchi d’aglio un po’ di sale e<br />

li metti sul fuoco, ma devon bollire tre o quattro ore; dopo si fa una bruschetta, pane abbrustolito e<br />

aglio» [<strong>in</strong>formatore n. 9, Livio, p. 3].<br />

21 Mentre <strong>in</strong> tutte le aree dell’Alto Tevere prese <strong>in</strong> esame il term<strong>in</strong>e mondarelle viene utilizzato <strong>in</strong>dist<strong>in</strong>tamente come<br />

monde e mond<strong>in</strong>e per <strong>in</strong>dicare la cottura <strong>in</strong> acqua bollente delle castagne fresche o di ricciaia, nella zona di Lisciano<br />

Niccone viene riferito alle castagne secche bollite: «le mondarelle, queste castagne secche, bollite, sono una squisitezza,<br />

anche un po’ nauseanti per quanto sono dolci» [<strong>in</strong>formatore n. 1, Lorenzo, p. 7].<br />

22 La preparazione di zuppe a base di castagne e legumi appartiene ad una tradizione cul<strong>in</strong>aria già documentata nel I<br />

secolo avanti Cristo da Apicio nel suo De re coqu<strong>in</strong>aria, dove si descrive il procedimento per realizzare la ricetta:<br />

«Cuocere <strong>in</strong> acqua con un po’ di bicarbonato di sodio, castagne accuratamente sbucciate. Nel frattempo pestare nel<br />

mortaio pepe, cum<strong>in</strong>o, coriandolo, menta, ruta, radice di laserpizio e di pulegio; bagnare il trito con aceto, unire miele,<br />

garo (salsa di pesce) e versarlo sulle castagne cotte. Aggiungere olio e far bollire per poi schiacciare col pestello.<br />

Assaggiare ed eventualmente correggere il gusto. Unire ai legumi e completare con olio verde» (BOUNOUS G. 2002:<br />

179).<br />

46


La far<strong>in</strong>a prodotta dalla mac<strong>in</strong>atura delle castagne – preferibilmente di marroni – rappresentava un<br />

elemento base nella preparazione di molti “piatti poveri”, essendo impiegata come succedanea delle<br />

più costose far<strong>in</strong>e di cereali nella preparazione di numerose pietanze. Tra queste, la polenta era uno<br />

dei cibi più presenti nelle tavole contad<strong>in</strong>e, essendo consumata sia come piatto unico, per i suoi<br />

notevoli valori nutritivi, sia per accompagnare altri alimenti <strong>in</strong> sostituzione del pane: «la polenta di<br />

far<strong>in</strong>a di castagne si faceva facendo bollire l’acqua, poi la far<strong>in</strong>a si metteva tutta <strong>in</strong>sieme dentro il<br />

paiolo; col rasagnolo ci si faceva un buco di modo che l’acqua… altrimenti l’acqua avrebbe<br />

buttato via tutto, <strong>in</strong>vece l’acqua sgorgava da quel buco. Quando la far<strong>in</strong>a aveva assorbito tutta<br />

l’acqua che si vedeva, allora buttavano via l’acqua, perché non è che si mischiava con l’acqua, era<br />

quella che assorbiva, poi chiamavano: “Beppe vien qui che c’è posto per te!” e mettevano il paiolo<br />

su un angolo e allora co’ st’affare la mischiavano; ci voleva l’uomo, ci voleva Beppe. Quando era<br />

fatta la ardunavano, l’accostavano col rasagnolo. La mangiavano così. Generalmente era buona<br />

col formaggio, con la ricotta e durava una settimana perché faceva al posto del pane. Per i<br />

carbonai, quando andavano a fare il carbone nelle macchie che c’avevano la capann<strong>in</strong>a e stavano<br />

via una settimana, l’alimentazione era questa; la mischiavano, ci mettevano anche il sale, perché<br />

adesso fan tutte le storie, ma i carbonari, poveretti, che passavano dalla matt<strong>in</strong>a alla sera <strong>in</strong><br />

montagna a fa’ il carbone, portavano via da casa una boccett<strong>in</strong>a d’olio […]; facevano, quando era<br />

il periodo, la m<strong>in</strong>estra di funghi che adesso te la fan paga’ l’ira di Dio… la facevano adoperando<br />

tutti i funghi che trovavano, facevano una marmitta, ci mettevano un pezz<strong>in</strong>o di lardo, un po’ di<br />

sale e la mangiavano con la polenta di castagne» [<strong>in</strong>formatore n. 9, Livio, p. 3]. Sebbene più<br />

raramente, amalgamata con la far<strong>in</strong>a di grano turco e quella di grano, la far<strong>in</strong>a di castagne veniva<br />

utilizzata per fare il pane e la pasta, soprattutto nelle zone di Marzano e di Preggio. Una pietanza<br />

frequentemente cuc<strong>in</strong>ata dalle massaie contad<strong>in</strong>e era il castagnaccio o bald<strong>in</strong>o, la cui ricetta sembra<br />

risalire al 1500 (CAMPORESI C. 1993). Veniva consumato generalmente come dolce e anche oggi<br />

imbandisce le tavole <strong>alto</strong>tiber<strong>in</strong>e. Per preparare il castagnaccio «si mischia con l’acqua fredda,<br />

tiepida, un po’ di sale, l’olio, poi ci si mette un po’ di uvetta – a casa nostra non se comprava<br />

l’uvetta, c’era l’uva attaccata per fare il v<strong>in</strong> santo, ci si metteva quella – e i p<strong>in</strong>oli – ma non<br />

c’erano e ci si mettevano le noci, i pezzi di noci – e niente, si metteva a bollire, <strong>in</strong> venti m<strong>in</strong>uti si<br />

cuoce; generalmente la facevano anche su… <strong>in</strong>torno al focolare, col coperchio, così che si metteva<br />

il foco sopra e il foco sotto, un gocc<strong>in</strong>o d’olio, l’olio ce ne voleva parecchio e se mangiava»<br />

[<strong>in</strong>formatore n. 9, Livio, p. 5]. A seconda dei mezzi a disposizione, questo piatto veniva cuc<strong>in</strong>ato<br />

con diverse varianti: si aggiungeva del latte nell’impasto o si utilizzavano soltanto acqua, far<strong>in</strong>a di<br />

castagne e olio che costituivano gli <strong>in</strong>gredienti base <strong>della</strong> ricetta.<br />

47


Att<strong>in</strong>gendo alla tradizione cul<strong>in</strong>aria contad<strong>in</strong>a i piatti preparati a base di castagne e far<strong>in</strong>a di<br />

castagne sono oggi riproposti e rielaborati dalla ristorazione locale e dalle numerose <strong>in</strong>iziative<br />

gastronomiche tese alla valorizzazione del patrimonio boschivo dell’Alto Tevere; oltre al tipico<br />

bald<strong>in</strong>o e alle castagne cuc<strong>in</strong>ate secondo i vari sistemi di cottura, <strong>in</strong> occasione delle sagre <strong>della</strong><br />

castagna che si svolgono ogni anno a Preggio, Montone, Morra, vengono anche presentati piatti<br />

quali il monte bianco, a base di far<strong>in</strong>a di castagne e panna montata, le pall<strong>in</strong>e al cioccolato, il<br />

torcolo con la far<strong>in</strong>a di marroni, le marmellate di castagne e le crescent<strong>in</strong>e, sorta di castagnole<br />

realizzate con la far<strong>in</strong>a di castagno e di grano e cotte nell’olio caldo.<br />

4.3.1 Altri usi <strong>della</strong> far<strong>in</strong>a<br />

Oltre all’impiego alimentare <strong>della</strong> far<strong>in</strong>a di castagne, questa veniva utilizzata anche per altri scopi,<br />

come racconta un <strong>in</strong>formatore di Città di Castello: «c’era gente che la comprava per fare la far<strong>in</strong>a<br />

per topi; mischiavano la far<strong>in</strong>a di castagna con il gesso […] i topi andavano a mangiare <strong>in</strong>sieme<br />

alle castagne il gesso, gli veniva subito sete, andavano a bere e crepavano!» [<strong>in</strong>formatore n. 9,<br />

Livio, p. 5].<br />

48


4.4 LA CASTAGNA NELL’ALIMENTAZIONE RITUALE<br />

Nella famiglia mezzadrile la produzione e il consumo degli alimenti era fortemente legato al<br />

calendario liturgico che scandiva le feste dell’anno e il trascorrere dei mesi. La castagna, <strong>in</strong> quanto<br />

cibo povero e per questo anche facilmente reperibile, costituiva parte dell’alimentazione rituale di<br />

certe festività, e il suo consumo si perpetrava ogni anno <strong>in</strong> occasione di determ<strong>in</strong>ate ricorrenze 23 <strong>in</strong><br />

quanto «era più che altro un voler mangiar di magro e poi il solito discorso del ritrovarsi <strong>in</strong>sieme»<br />

[<strong>in</strong>formatore n. 8, Lorenzo, p. 8]. La Vigilia di Natale era una di queste: «le mond<strong>in</strong>e e le bricie<br />

erano uno dei mangiari che si facevano per Natale, alla vigilia di Natale […] le mangiavano come<br />

pasto perché la vigilia di Natale non era solo vigilia – adesso fan le feste – era anche digiuno e il<br />

giorno non se magnava e l’appetito c’era. E allora c’era il mi’ nonno – le bestemmie lo<br />

arvulticavano, però a Natale diceva il rosario – e c’eran tutte ‘ste donne <strong>in</strong>torno, c’era la mi’<br />

nonna, le mi’ zie che facevano i cappelletti e lui diceva il rosario e queste che arcontavano tutte le<br />

storielle “allora, ora pro nobis!”. […] Se mangiava le mond<strong>in</strong>e che naturalmente se cavavan su<br />

con la pa<strong>della</strong>; si metteva la pa<strong>della</strong> un po’ <strong>in</strong>fuocata, si mettevano un po’ di mond<strong>in</strong>e lì e quella<br />

buccia un po’ si bruciava, quella seconda pelle ed erano eccellenti perché c’era il f<strong>in</strong>occhio e il<br />

sale; allora senza la prima pelle assorbivano il sapore del f<strong>in</strong>occhio» [<strong>in</strong>formatore n. 9, Livio, p. 4].<br />

Le castagne, consumate assieme a tutta la famiglia il 24 dicembre, oltre ad essere alimento rituale<br />

che ben si prestava per la loro “povertà” e semplicità a onorare la Vigilia, divenivano la cornice di<br />

novelle e canzoni raccontate e cantate dai più anziani <strong>in</strong> attesa dei regali del ceppo e <strong>della</strong> messa di<br />

mezzanotte: «allora c’era la canzonc<strong>in</strong>a, che poi era una canzonc<strong>in</strong>a moderna. F<strong>in</strong>ito il rosario il<br />

mi’ nonno che se tu lo conoscevi era un… (cantando):<br />

stanotte a mezzanotte è nato un bel bamb<strong>in</strong>o<br />

che tremerà di freddo pover<strong>in</strong>o,<br />

lo parturì Maria tra il bue e l’as<strong>in</strong>ello<br />

e con quel vecchierello di Giuseppe.<br />

Peccatore allegrezza su su<br />

correte al freddo che è nato Gesù,<br />

23 Tra le celebrazioni umbre durante le quali venivano consumate castagne, ricordiamo il giorno di San Nicola, quando<br />

il parroco di Monteleone di Spoleto, <strong>in</strong> memoria delle donazioni di un tempo ai poveri, offriva ai fedeli castagne con<br />

farro e v<strong>in</strong>o (SALEMI M. 1988).<br />

49


allegrezza e paradiso venga ad ora al suo bel viso<br />

e prometta di adorarlo prima morir e mai lasciarlo.<br />

Se gli occhi paion stelle<br />

i capelli d’or f<strong>in</strong><br />

i denti sono perle<br />

le labbra son rub<strong>in</strong>.<br />

Peccatore allegrezza su su…<br />

[…] E dopo si aspettava che f<strong>in</strong>esse ‘sto rosario e si andava attorno al fuoco perché… quando ero<br />

picc<strong>in</strong>o, anche prima, non è che i regali li portava ‘l bamb<strong>in</strong>o Gesù, l’albero di Natale non esisteva,<br />

c’era qualcuno che c’aveva il presepio, ma io lo facevo con le figur<strong>in</strong>e che eran sui giornali<br />

<strong>in</strong>collate; ma generalmente i regali li cacava ‘l ceppo, tanto è vero che la matt<strong>in</strong>a tutte ‘ste ragazze<br />

andavano alla messa: “che t’ha cacato ‘l ceppo?”. “Eh è stato un po’ stitico st’anno!”»<br />

[<strong>in</strong>formatore n. 9, Livio, p. 4]. In occasione del Natale e dell’Epifania i doni per i più piccoli erano<br />

rappresentati da qualche arancio, mele e castagne e queste ultime venivano utilizzate anche dalle<br />

donne per confezionare piccoli regali: «ci facevano la corona tante donne, la corona per il rosario!<br />

Ci mettevano… quando dicevi il Paternostro un marrone e quando dicevi l’Avemaria la castagna<br />

che era un po’ più piccol<strong>in</strong>a. Le univano col filo poi dopo le regalavano alla gente. Tante lo<br />

facevano […] le facevano per Natale» [<strong>in</strong>formatore n. 2, Pasquale, pp. 7-8].<br />

Anche nelle giornate dedicate ai santi e ai defunti, il primo e il due di novembre, le castagne lessate<br />

o arrosto erano protagoniste delle tavole contad<strong>in</strong>e 24 e per Ognissanti, <strong>in</strong> alcune zone dell’Alto<br />

Tevere, i bamb<strong>in</strong>i usavano commemorare questa festività con questue di casa <strong>in</strong> casa, ottenendo<br />

castagne, frutta secca o dolci: «la questua la facevano per tutto, non solo per le castagne e la gente<br />

dava le cose che c’aveva, quello che c’era […]; (la questua si faceva) perché ricorrevano i santi o<br />

il martedì di carnevale, quando si andava a cercare il ciccicocco: “ciccicocco parant<strong>in</strong>to damme<br />

l’oco che te lo vendo” così cantando andavano <strong>in</strong> giro» [<strong>in</strong>formatore n. 9, Livio, p. 7].<br />

La ricorrenza dell’Immacolata Concezione, rappresentava un’ulteriore occasione per commemorare<br />

la tradizione mangiando castagne arrosto o lesse, come riferiscono gli <strong>in</strong>formatori di Lippiano: «per<br />

24 Le castagne sono state f<strong>in</strong> dal passato fortemente legate ai rituali per i defunti: <strong>in</strong> molte parti d’Italia, così come <strong>in</strong><br />

Francia, <strong>in</strong> Spagna e <strong>in</strong> Portogallo si usava adagiare la sera <strong>della</strong> vigilia dei Morti sul tavolo <strong>della</strong> cuc<strong>in</strong>a un piatto di<br />

castagne cotte per i defunti <strong>della</strong> famiglia; questo stesso cibo, <strong>in</strong>oltre, compariva tra gli alimenti pr<strong>in</strong>cipali dei pasti<br />

funebri che facevano seguito alla sepoltura (BOUNOUS G. 2002).<br />

50


la Concezione se mangiaano le castagne durante la veglia. Se vegliaa, venivano da distante»<br />

[<strong>in</strong>formatore n. 8, Santa, p. 14]; «per l’otto dicembre se mangiavano e qualche volta s’era lì a<br />

speglia’, a togliele dala ricciaia»[<strong>in</strong>formatore n. 6, Angiol<strong>in</strong>o, p. 14]; «parecchi prima su a<br />

Marzana l’otto dicembre ci facevano colazione a la macchia; el primo che arivava acendeva el<br />

foco, metteva su ‘n paiolo e per colazione castagne» [<strong>in</strong>formatore n. 7, Bruno, p. 14].<br />

Detti e proverbi quali caldarroste a San Mart<strong>in</strong>o <strong>in</strong>naffiate col nuovo v<strong>in</strong>o o anche a San Mart<strong>in</strong>o<br />

v<strong>in</strong>o novo e castagne scandivano la prima “ricorrenza ufficiale” dall’<strong>in</strong>izio <strong>della</strong> raccolta nella quale<br />

si consumava questo prezioso frutto. In occasione <strong>della</strong> sv<strong>in</strong>atura delle botti – per San Mart<strong>in</strong>o ogni<br />

uva è diventata v<strong>in</strong>o – si usava mangiare le castagne cotte alla brace, accompagnate da un buon<br />

bicchiere di v<strong>in</strong>o novello e del più dolce v<strong>in</strong>o canaiola, mentre tra l’allegria <strong>della</strong> compagnia di<br />

amici e parenti si “vegliava” riuniti <strong>in</strong>torno al focolare. Come riferisce una contad<strong>in</strong>a di Umbertide:<br />

«pe san Mart<strong>in</strong>o se sentìa l v<strong>in</strong>o e se magnàono le castagne arosto. Ogn(i)anno na sbornia, na sera<br />

me so' presa na briacatura che ero morta, èo bevuto sette bicchieri de v<strong>in</strong>o» (ROMETTA M. 2000).<br />

Questo “rito alimentare” che si ripeteva ogni anno, e che, anche se più blandamente resiste<br />

tutt’oggi, era strettamente connesso con l’importanza che la figura di San Mart<strong>in</strong>o rivestiva nel<br />

contesto rurale tradizionale, essendo associata alla protezione dei raccolti e di conseguenza alla loro<br />

buona riuscita e all’abbondanza alimentare (SCASSELLATI P. 1998). Al santo era anche attribuito il<br />

potere taumaturgico di proteggere dai dolori di ventre e nelle aree a tradizionale assetto mezzadrile,<br />

come l’Alta Valle del Tevere, le campagne perug<strong>in</strong>e e quelle di Todi, il giorno <strong>della</strong> sua festa<br />

rappresentava «la data <strong>in</strong> cui scadevano i contratti di mezzadria e si verificava il cambio delle<br />

famiglie nei poderi: era considerato l’ultimo giorno utile per la partenza dei vecchi coloni che<br />

dovevano lasciare la casa ai subentranti» (BARONTI G. p.9 <strong>in</strong>corso di pubblicazione).<br />

51


CAPITOLO 5<br />

IL BOSCO DI CASTAGNI E GLI ALTRI SUOI MOLTEPLICI USI<br />

52


5.1 SOSTENTAMENTO PER IL BESTIAME<br />

F<strong>in</strong>o agli anni Sessanta i numerosi impieghi dei prodotti del castagno hanno avuto per le comunità<br />

rurali dell’Alto Tevere una rilevante funzione socio-economica e storico-culturale, costituendo,<br />

nella maggior parte dei casi, la pr<strong>in</strong>cipale risorsa disponibile localmente. «Le operazioni di gestione<br />

dei popolamenti e la raccolta dei prodotti, legnosi e non, hanno rappresentato, soprattutto nella<br />

stagione autunnale, la pr<strong>in</strong>cipale occupazione quotidiana di un’economia contad<strong>in</strong>a che ha visto il<br />

castagno svolgere un ruolo da protagonista. Gli usi del legno sono <strong>in</strong>fatti <strong>in</strong>numerevoli e risulta<br />

difficile anche solo elencarli <strong>in</strong> maniera esaustiva» (BOUNOUS G. 2002: 155). Come ricorda uno dei<br />

nostri <strong>in</strong>formatori, lo sfruttamento del bosco di castagni non si limitava alla raccolta dei suoi frutti<br />

per l’alimentazione <strong>della</strong> famiglia e all’utilizzo del legname per il riscaldamento e per la<br />

falegnameria, ma rappresentava una consistente fonte di sostentamento anche per il bestiame: «il<br />

maiale era una produzione derivata dalla castagna, ghianda e cerra, e i nostri boschi avevano sia<br />

ghiande, che cerre, che castagni. Ognuno aveva i maiali per casa e poi c’era anche chi li allevava<br />

per venderli e aveva bisogno di una soluzione che era quella del bosco. […] Il bosco di castagni<br />

[…] offriva tre opportunità a livello di guadagno e sopravvivenza: la castagna che serviva per far<br />

mangiare gli uom<strong>in</strong>i e i maiali e <strong>in</strong> più lo sfruttamento <strong>della</strong> legna» [<strong>in</strong>formatore n. 3, Roberto, pp.<br />

2-3].<br />

Il terreno erboso del castagneto era utilizzato come pascolo per le pecore e soprattutto per i maiali:<br />

«l’animale che per eccellenza trovava nel castagneto, o meglio nei suoi frutti, una parte del suo<br />

alimento e il gustoso sapore delle carni, era […] il porco» (CHERUBINI G. 1996 [1985]: 159). Il<br />

pascolo delle capre e dei bov<strong>in</strong>i, <strong>in</strong>vece, era considerato assai più pericoloso, <strong>in</strong> quanto responsabili<br />

di danneggiare i polloni <strong>in</strong>nestati e le nuove gemme nel periodo di r<strong>in</strong>novo <strong>della</strong> foglia. In autunno,<br />

term<strong>in</strong>ata la raccolta, i ragazzi più giovani portavano i maiali a pascolare nel castagneto: «molto<br />

importante era il pascolo dei maiali nel castagneto, che oltre all’alimentazione, contribuiva a<br />

ripulire il bosco; f<strong>in</strong>ita la raccolta dopo ce mandavano i maiali sulle castagnete e quello che ci<br />

rimaneva lo dovevano mangiare, […] anche per ardunare tutte quelle più piccol<strong>in</strong>e, quelle bacate,<br />

il maiale mangia tutto. […] Ci mandavano i figlioli che andavano a para’ i maiali sulle castagnete<br />

e la sera li riportavano» [<strong>in</strong>formatore n. 5, Clelia, p. 5].<br />

Anche lo scarto delle castagne – soprattutto le selvar<strong>in</strong>e e parte di quelle essiccate – era dest<strong>in</strong>ato al<br />

53


nutrimento dei maiali e veniva accumulato <strong>in</strong> una sorta di cavità nel terreno colma d’acqua,<br />

chiamato gorga o gorza. Le castagne «che servivano per alimentare gli animali venivano<br />

conservate sulle apposite gorghe piene d’acqua per conservare un po’ queste castagne. […] Vic<strong>in</strong>o<br />

a ogni casa c’eran le gorghe per la<br />

macerazione di castagne, per le<br />

ghiande» [<strong>in</strong>formatore n. 13, Franco, p.<br />

7]. Le castagne secche erano prodotte<br />

soprattutto dagli abitanti delle località<br />

montane che, per l’isolamento, la<br />

difficoltà di spostamento e la poca<br />

accessibilità <strong>della</strong> rete viaria, avevano<br />

bisogno di procurarsi riserve alimentari<br />

per i mesi più rigidi: «noi le castagne<br />

secche non se facevano, ‘nvece su <strong>in</strong><br />

<strong>alto</strong> le facevon secche, perché ‘na parte<br />

andava pei maiali perché erano la biada<br />

dei maiali: le mac<strong>in</strong>avano da secche,<br />

quele selvatiche e ‘na parte dei marroni<br />

le vendevano secche. Eran care, perché<br />

c’era una grossa differenza fra il peso<br />

M<strong>in</strong>iatura tratta dal Tacu<strong>in</strong>um Sanitatis (COGLIATI ARANO L.<br />

1973)<br />

da verde e il peso da secche. Noi n’l’avem mai fatto quel lavoro lì, perché gli se davan sempre<br />

verdi così ai maiali e ‘nveci quassù a Marzano, loro ne facevon tante de castagne secche. […] ‘Na<br />

volta come dico e ripeto, ‘l mangia’ pei maiali e pe’ le pecore erano le ghiande e le castagne. Alora<br />

le raccattavon tutte: i marroni li vendevano sia verdi che secchi e quel’altre ci facevano la far<strong>in</strong>a e<br />

le mac<strong>in</strong>avano pel bestiame, tipo come se fa con la far<strong>in</strong>a d’orzo adesso. A un amico gli davano<br />

quela de marrone, s<strong>in</strong>nò el resto loro facevano far<strong>in</strong>a, oppure gliene davano sana <strong>in</strong> quel modo:<br />

era la biada degli animali» [<strong>in</strong>formatore n. 6, Angiol<strong>in</strong>o, pp. 9-10]. Anche l’acqua di lessatura delle<br />

mond<strong>in</strong>e veniva utilizzata: «la mettevan su e ci facevan la broda per i maiali» [<strong>in</strong>formatore n. 9,<br />

Livio, p. 9].<br />

All’<strong>in</strong>izio <strong>della</strong> primavera, term<strong>in</strong>ata la potatura dei castagni, i contad<strong>in</strong>i raccoglievano i rami e le<br />

foglie ancora verdi che venivano utilizzate per sfamare le pecore e più limitatamente i buoi: «le<br />

foglie venivano utilizzate alla potatura dei castagni: facevano delle fasc<strong>in</strong>e e messe su dei mucchi.<br />

Le foglie normalmente anche da fresche le davano al bestiame, alle pecore, però le conservavano<br />

54


su queste mite, che erano dei barconi e anche lì la foglia si manteneva per un certo periodo. […]<br />

Per i greggi, allora, nel periodo <strong>in</strong>vernale, venivano conservate queste foglie su certe fasc<strong>in</strong>e e le<br />

pecore mangiavano le foglie e quando erano state mangiate le foglie ci accendevano il fuoco»<br />

[<strong>in</strong>formatore n. 13, Franco, p. 8]; «d’<strong>in</strong>verno facevano delle grandi mite con questi rametti con le<br />

foglie essiccate, perché si essiccavano, e le portavano dentro alla stalla e le pecore mangiavano<br />

questa foglia come del fieno, <strong>in</strong>vece del fieno c’era questa roba qui. Poi, le foglie dei castagni, le<br />

prendevano anche, andavano con dei grandi cistoni – si chiamava la caniccia – ci mettevano dentro<br />

la foglia» [<strong>in</strong>formatore n. 5, Clelia, p. 5].<br />

Anche <strong>in</strong> estate si raccoglievano le foglie di castagno, dopo la cosiddetta potatura d’agosto: «non<br />

tutti avevano la possibilità d’avere il fieno e alora gli facevano la foglia, come el fieno, […] con i<br />

rami e le foglie del castagno: dopo la potatura d’agosto, (c’era la) raccolta delle foglie <strong>in</strong> fasc<strong>in</strong>e<br />

per le pecore, stese ad asciugare come il fieno» [<strong>in</strong>formatore n. 6, Angiol<strong>in</strong>o, p. 2]. Questa<br />

operazione si faceva durante il periodo più caldo dell’estate: «quando è l’periodo più caldo, perché<br />

se piove è come il fieno: se rov<strong>in</strong>a la foglia. La lasciavano stesa tre o quattro giorni, poi la<br />

facevano secche’ e poi facevano tutte le fasc<strong>in</strong>ette e poi facevano delle barche. […] Se chiamavano<br />

le miti, noi, […] tipo come quando se faceva il grano a mano; […] come i covoni, ma più alti, più<br />

grandi» [<strong>in</strong>formatore n. 6, Angiol<strong>in</strong>o, p. 2]. Così, le foglie radunate <strong>in</strong> covoni d’estate, venivano<br />

lasciate nel bosco f<strong>in</strong>o all’<strong>in</strong>verno successivo e «o con le spalle o, dove se poteva ande’ con le<br />

vacche o coi bovi, se portavano a casa. […] D’<strong>in</strong>verno, qualche volta anche con la neve… Io me<br />

ricordo n’a volta col mi’ por babbo ci se ruppe la treggia, noi se chiamava la treggia n’attrezzo<br />

fatto de legno, ci se spaccò la treggia […], allora n’cera la via come adesso, la tribolazione… La<br />

neve alta così, ma oh, bisognava anda’ a prende qualcosa, sennò gli animali morivano: che gli se<br />

dava da mangia’? Toccava dagli quello» [<strong>in</strong>formatore n. 6, Angiol<strong>in</strong>o, p. 3].<br />

Due importanti eventi, legati alla produzione di castagne e all’allevamento degli animali, segnavano<br />

la vita degli abitanti dell’Alto Tevere nel corso dell’anno: il mercato del bestiame “bianco” d’estate<br />

e quello dei maiali d’<strong>in</strong>verno. Il mercato del bestiame “bianco” si svolgeva il primo lunedì d’agosto<br />

ed oggi è ancora ricordato come un evento di elevata socialità dove cantori <strong>in</strong> ottava rima,<br />

provenienti anche dalle limitrofe località toscane, si <strong>in</strong>contravano e si sfidavano: «c’erano i cantori<br />

<strong>in</strong> ottava rima, per esempio tale Domenico Cappietti che era di Marzano, proprio al Poggio, stava<br />

proprio lassù – lui tra l’altro veniva a casa mia spesso perché faceva il norc<strong>in</strong>o, ammazzava i<br />

maiali – e lui parlava… a me mi <strong>in</strong>contrava per strada e mi salutava <strong>in</strong> rima; lui parlava sempre <strong>in</strong><br />

rima. […] A Marzano c’era una sera, il primo lunedì d’agosto, che questi si sfidavano – venivano<br />

55


da Arezzo, dal Palazzo del Pero – e cantavano e com<strong>in</strong>ciavano la sfida il sabato sera f<strong>in</strong>o alla<br />

domenica, tre giorni di sfida, c’era un tema e ognuno sosteneva il proprio tema. […] Era il primo<br />

lunedì d’agosto per la fiera del bestiame… Era la feria del bestiame più che mai delle pecore,<br />

agnelli, del bestiame bianco» [<strong>in</strong>formatore n. 13, Franco, p. 10].<br />

Il mercato dei maiali aveva luogo il diciassette gennaio nel giorno di Sant’Antonio. Uno dei nostri<br />

<strong>in</strong>formatori ricorda la fiera Sant’Antonio 25 di Monterchi e il lungo tragitto a tappe che gli aspiranti<br />

venditori – per lo più provenienti dalle zone di Marzano – percorrevano a piedi <strong>in</strong>sieme ai loro<br />

maiali per arrivare a dest<strong>in</strong>azione: «questi qui per portarli alla fiera di Sant’Antonio di Monterchi,<br />

mi pare che è il diciassette di gennaio, co’ sti maiali partivano due giorni prima, perché dovevano<br />

camm<strong>in</strong>are e perdevano il peso, allora a tappe; partivano la matt<strong>in</strong>a, la notte si fermavano a<br />

Ranzola, gli davan le stalle, poi arrivavano giù a Monterchi […]. Questi di Marzano avevano la<br />

produzione maggiore perché tutti i coloni producevano per uso familiare o anche per la rendita<br />

limitatamente a tre o quattro maiali perché non c’avevano la possibilità dell’alimentazione, <strong>in</strong>vece<br />

loro, essendo <strong>in</strong> una zona che aveva molta produzione di ghiande, cerre e di castagne […]<br />

potevano provvedere all’alimentazione per tre mesi con questi prodotti; […] i maiali, i cosiddetti<br />

magroni, li tenevano sulla stalla f<strong>in</strong>o a che li portavano all’<strong>in</strong>grasso ed erano anche pregiati<br />

perché erano r<strong>in</strong>omati i maiali di Marzano… C’era il lardo e non era poco, magari il prosciutto lo<br />

vendevano» [<strong>in</strong>formatore n. , Franco, p. 13].<br />

Sant’Antonio Abate, <strong>in</strong> quanto protettore del bestiame, è sempre stato tenuto <strong>in</strong> grande<br />

considerazione dalle comunità contad<strong>in</strong>e del nord dell’Umbria, come riferisce Giuseppe Nicasi nel<br />

suo studio Le credenze religiose delle popolazioni rurali dell’Alta Valle del Tevere, riportando uno<br />

dei modi di dire più diffusi presso i coloni all’<strong>in</strong>izio del XX secolo: «sulla stalla solamente<br />

Sant’Antonio “ci comanda”; il Signore e la Madonna del bestiame non se ne “impicciano”» (NICASI<br />

G. 1912: 8). Sant’Antonio veniva <strong>in</strong>vocato dai contad<strong>in</strong>i per la prosperità e la salute del bestiame,<br />

ma contro di lui scagliavano le loro imprecazioni quando si mostrava sordo alle preghiere: «dopo la<br />

Madonna il protettore celeste tenuto <strong>in</strong> maggior conto dai contad<strong>in</strong>i dell’alta valle del Tevere è<br />

Sant’Antonio Abate, perché proteggendo il bestiame, assicura una delle pr<strong>in</strong>cipali loro rendite. E<br />

non vi è casa colonica che non vi abbia affissa, nella stalla, la effigie di quel santo, spesso unita <strong>in</strong><br />

25 Di contad<strong>in</strong>i Sant’Antonio Abate è stato considerato universalmente protettore degli animali domestici di stalla e di<br />

cortile, ma è il maiale l’animale che più di ogni altro è legato sant’ Antonio; basti ricordare, nella tradizione agiografica<br />

classica, la rappresentazione del santo con il maiale, o il legame degli Antoniani con l’allevamento di maiali, con il<br />

grasso dei quali curavano il cosiddetto fuoco di Sant’Antonio. Il maiale, nell’economia contad<strong>in</strong>a, è sempre stato<br />

considerato come l’animale che attesta l’abbondanza e il benessere, per quanto allevare maiali abbia sempre costituito<br />

un ciclo economico con alta frequenza di rischi e di <strong>in</strong>certezze (malattie, epidemie, furti, dimagramenti…) che le società<br />

rurali hanno superato attraverso il potente affidamento al santo protettore (DI NOLA A. 1976).<br />

56


fraterno connubio con la testa di un barbagianni, o con una fronda di g<strong>in</strong>epro, amuleti efficacissimi<br />

contro il malocchio e le streghe. Poiché gli abbondanti raccolti, base <strong>della</strong> prosperità economica dei<br />

contad<strong>in</strong>i, possono essere compromessi ed anche distrutti dalla grand<strong>in</strong>e, dopo la Madonna e<br />

Sant’Antonio, il protettore più accarezzato e onorato è San V<strong>in</strong>cenzo che, regolando la grand<strong>in</strong>e,<br />

può preservare da questo flagello i raccolti dei suoi devoti. E l’effigie di San V<strong>in</strong>cenzo non manca<br />

quasi mai nelle case coloniche. Questa speciale devozione per Sant’Antonio e San V<strong>in</strong>cenzo<br />

apparisce evidente anche nelle numerosissime feste religiose che si celebrano <strong>in</strong> campagna; mentre<br />

gli altri santi per lo più vengono onorati solo nelle parrocchie delle quali sono titolari, Sant’Antonio<br />

e San V<strong>in</strong>cenzo, <strong>in</strong>vece, vengono festeggiati <strong>in</strong> tutte. Anche nella recitazione del rosario, che nelle<br />

sere d’<strong>in</strong>verno vien fatta dalle famiglie coloniche sotto la direzione del capo di casa, dopo le così<br />

dette “c<strong>in</strong>que imposte”, che costituiscono la parte essenziale del rosario medesimo, si recitano<br />

sempre tre Ave Maria a quella tra le Madonne, per la quale il capo di casa ha particolare devozione;<br />

e, subito dopo, si recita un pater, ave e gloria <strong>in</strong> onore di “tutti i santi”, comprendendo <strong>in</strong> una sola<br />

preghiera tutti gli altri celesti protettori che, pur essendo necessari al contad<strong>in</strong>o, non sono però,<br />

come Sant’Antonio e San V<strong>in</strong>cenzo, strettamente legati ai suoi materiali <strong>in</strong>teressi» (NICASI G. 1912:<br />

14).<br />

57


5.2 IL “BUGIONE” DEL CASTAGNO: IL TERRICCIO, LE FOGLIE, I RICCI<br />

Tra i numerosi prodotti “secondari” che il castagneto fornisce vi è il concime derivato dal<br />

disfacimento del legno nelle vecchie ceppaie, chiamato dagli abitanti dell’Alto Tevere bugione o<br />

caviccio. Posto nel tronco spaccato di vecchi castagni o nella ceppa grossa di quelli tagliati, è<br />

costituito prevalentemente da materiale legnoso, foglie e ricci che naturalmente si decompongono<br />

ed è tuttora molto ricercato specialmente per le piante <strong>in</strong> vaso: «quello lì diventava concime, il<br />

“bugione” del castagno, quello che vengono (a cercare) per i fiori. Ce n’è uno quassù, a Ponte alla<br />

Piera – mi ci han portato qualche anno fa – c’è un castagno che ci stanno c<strong>in</strong>que o sei persone<br />

dentro, era immenso, quando pioveva andavano lì dentro» [<strong>in</strong>formatore n. 9, Livio, p. 10]. È il<br />

terreno di castagno <strong>in</strong> genere che, essendo piuttosto “acido”, è considerato un ottimo concime: «il<br />

castagno vuole un terreno acidulo, acido, tanto è vero che nei castagni – questa è una altra cosa<br />

importante per la gente – la terra di castagno, è un terreno speciale che si raccoglie <strong>in</strong>torno al<br />

tronco del castagno, ma anche dentro a quei castagni che sono secchi, dentro quelle buche che si<br />

forma tutto questo fogliame, <strong>in</strong> pratica è il compostaggio naturale» [<strong>in</strong>formatore n. 1, Lorenzo, p.<br />

13].<br />

A testimoniare il forte legame tra la popolazione <strong>alto</strong>tiber<strong>in</strong>a e i castagni, di particolare <strong>in</strong>teresse<br />

sono le storie che venivano raccontate ai ragazzi a proposito di neonati r<strong>in</strong>venuti all’<strong>in</strong>terno del<br />

bugione: «c’è una storia, su a Muccignano, a Casal<strong>in</strong>i, […] il mi bisnonno, era nato sul bugione: il<br />

bugione è il ceppo di castagno dove ci prendono la terra, il castagno non c’è più, c’armane il<br />

ceppo» [<strong>in</strong>formatore n. 9, Livio, p. 2] 26 . Questa tradizione orale che pone i castagni a tronco<br />

svuotato al centro di storie e credenze, si <strong>in</strong>serisce nell’ambito dei numerosi miti e leggende presenti<br />

<strong>in</strong> ogni parte del mondo secondo cui i bamb<strong>in</strong>i provengono dalla terra, dalle grotte, dagli anfratti;<br />

metafore che, a loro volta, possono essere ricondotte al diffuso desiderio di essere sepolti, alla<br />

morte, nella propria terra natale: «la morte diviene così un ritorno al grembo materno, <strong>in</strong> attesa<br />

(come i semi sotterrati) di una nuova r<strong>in</strong>ascita. […] Marcel Granet nota accuratamente: “Il morente,<br />

come il bimbo che nasce, viene posto per terra […]. Per nascere o per morire, per entrare nella<br />

famiglia viva o nella famiglia ancestrale (e per uscire dall’una e dall’altra), vi è una soglia comune,<br />

la terra natale…”» (BALDINI E. 1991: 66-67).<br />

26 Si confront<strong>in</strong>o anche: CHERUBINI G. 1996 [1985]; COLTELLI D. 1977.<br />

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Anche i ricci, tuttora impiegati come “compostaggio” per i fiori, erano utilizzati come fertilizzante<br />

naturale e, poiché “sterili”, cioè privi di altri semi, erano particolarmente adatti per la composizione<br />

di semenzai: «per i semenzai, per l’<strong>in</strong>salata, i pomodori e così via, […] poi è sterile, nel senso che<br />

non c’è altri semi: non ci nasce l’erbaccia. […] L'unico sistema per salva’ ‘l grano era quello lì.<br />

Funzionava da concime e nello stesso tempo i polli n’ci andavano. Toccaa portalli a casa, con la<br />

pala, poi se passava col cistone, se buttaano ‘n qua e ‘n là. Alora, normalmente quando tira ‘l vento<br />

che è asciutto per la tramontana, buch<strong>in</strong>o completamente e n’ ci vanno i polli, perché se buch<strong>in</strong>o i<br />

diti!» [<strong>in</strong>formatore n. 6, Angiol<strong>in</strong>o, p. 18]. In alcune zone dell’Alto Tevere questo particolare<br />

terriccio era impiegato anche per le piant<strong>in</strong>e di tabacco: «sopra se mettea questo p<strong>in</strong>iccio, questa<br />

pegliariccia che serviva per fa’ nascere ‘l tabacco nero. Tutti, <strong>in</strong>dist<strong>in</strong>tamente partiano dal V<strong>in</strong>gone,<br />

da Citerna, da Pistr<strong>in</strong>o e : “me de’ ‘n po’ de p<strong>in</strong>iccio per fa ‘l tabacco?”. Tutti, f<strong>in</strong>o a dodici,<br />

tredici, qu<strong>in</strong>dici anni fa, sempre ‘n quel modo!» [<strong>in</strong>formatore n. 6, Angiol<strong>in</strong>o, p. 18].<br />

59


5.3 USO DEL LEGNO: LA FALEGNAMERIA, LA COMBUSTIONE E IL CARBONE, IL<br />

TANNINO<br />

Già agli <strong>in</strong>izi del Trecento Pier de’ Crescenzi ricorda quanto il legno di castagno fosse utilizzato<br />

nelle parti esterne degli edifici, come pali per le vigne, pergolati, siepi, oltre che per costruire<br />

contenitori da v<strong>in</strong>o e recipienti nei quali le castagne potessero essere conservate più a lungo. L’uso<br />

diffuso del legname di castagno per far doghe da t<strong>in</strong>o e doghe da botti è stato poi documentato per<br />

secoli dagli scrittori impegnati <strong>in</strong> pubblicazioni a tema agrario (CHERUBINI G. 1996 [1985]). Il legno<br />

Botte <strong>in</strong> legno di castagno (Lippiano)<br />

utilizzato nell’edilizia e nella falegnameria<br />

proveniva pr<strong>in</strong>cipalmente da boschi cedui di<br />

selvar<strong>in</strong>o e di pastorese, ma assai spesso<br />

veniva impiegato anche il vecchio marrone: «il<br />

grosso era sempre la pastorese, quello bianco,<br />

ma sennò c’erano anche diversi marroni, ma li<br />

<strong>in</strong>nestavano a quei tempi» [<strong>in</strong>formatore n. 12,<br />

Alfio, p. 3]. Dalla ceppaia risorgono sempre<br />

giovani polloni che, crescendo velocemente,<br />

permettono il cont<strong>in</strong>uo r<strong>in</strong>novo dell’albero: «la<br />

ceppaia ributta un po’ sempre […]. Parecchie<br />

volte succedeva che se lei taglia la ceppaia e<br />

non ci lascia nessun fruscoletto <strong>in</strong>torno, la<br />

ceppaia si secca; se lei <strong>in</strong>vece ci lascia un<br />

friscoletto […], alora non si secca. Il castagno<br />

è molto preventivo, perché il suo ceppo vorrebbe campa’ sempre, ecco perchè rimette»<br />

[<strong>in</strong>formatore n. 3, Roberto, p. 8].<br />

Nei mesi “morti” dell’agricoltura, il contad<strong>in</strong>o – che nella maggior parte dei casi era usufruttuario<br />

del castagneto – si faceva boscaiolo e taglialegna ed eseguiva tutte le attività connesse al taglio<br />

degli alberi 27 e alle successive lavorazioni artigianali con attrezzi manuali quali accette e segoni: «i<br />

27 Secondo il sapere contad<strong>in</strong>o tradizionale, il momento migliore per il taglio degli alberi co<strong>in</strong>cideva con la “luna<br />

buona”: «il momento di tagliare i fusti è con la luna buona, quando il castagno dorme» [Informatore n. 1, Lorenzo, p.<br />

13]; «I castagni van tagliati a luna bona, se no fa i danni, sempre a luna cadente ed è vero» [<strong>in</strong>formatore n. 9, Livio, p.<br />

11].<br />

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contad<strong>in</strong>i […] erano anche abbastanza esperti nel fare il taglialegna e naturalmente non avevano<br />

mica la motosega; […] prima, […] tagliavano con l’ascia, poi le tavole venivano segate con degli<br />

attrezzi tipo dei bancali dove si appoggiava il tronco e messo <strong>in</strong>cl<strong>in</strong>ato, uno sedeva sopra uno<br />

sgabello, un’impalcatura, l’altro stava giù e poi con un grande segone con i manici, con la lama<br />

larga un palmo e giù e su» [<strong>in</strong>formatore n. 1, Lorenzo p. 3]. Tagliare le assi e le travi era un’attività<br />

che richiedeva molta esperienza e una certa abilità nell’impiego di arnesi adeguati; proprio per<br />

questo, nelle zone montane dell’Alto Tevere esisteva il mestiere dell’acconciatore, che era una<br />

figura piuttosto ricercata, essendo assai pochi coloro che disponevano di queste competenze. Un<br />

<strong>in</strong>formatore di Morra ricorda che «sulla nostra zona c’erano quattro o c<strong>in</strong>que cristiani che<br />

potevano far un lavoro del genere che si chiamava l'acconciatura […], se faceva la pelatura e si<br />

lavorava di accetta. […] Poi mettevano il filo, lo <strong>in</strong>t<strong>in</strong>gevano me ricordo su una polver<strong>in</strong>a rossa<br />

che poteva essere m<strong>in</strong>io, poi mettevano il filo, uno de qua e uno de là, marcavano col filo, tiravano<br />

il filo dritto e poi con l'ascia andavano a rigo e seguivano la direzione del filo» [<strong>in</strong>formatore n. 3,<br />

Roberto, p. 12]. Prima ancora <strong>della</strong> normale stagionatura, che <strong>in</strong> genere durava due anni, le assi<br />

venivano accatastate verticalmente sotto la gronda dell’acqua aff<strong>in</strong>ché la pioggia ne dilavasse, o<br />

meglio, ne spurgasse, parte del tann<strong>in</strong>o: «a un certo momento lo mettevano sotto la gronda dove ci<br />

cadeva l’acqua dal tetto e l’acqua lo spurgava, gli levava il tann<strong>in</strong>o» [<strong>in</strong>formatore n. 9, Livio,<br />

p.11]. Per la sua resistenza all’umidità, il legname di castagno veniva utilizzato per le strutture di<br />

sostegno delle vigne e dei pergolati, per i rec<strong>in</strong>ti, le staccionate, e, più <strong>in</strong> generale, per i cosiddetti<br />

castagnoli 28 , perché garantiva, rispetto agli altri tipi di legname, anche c<strong>in</strong>quant’anni di esposizione<br />

alle <strong>in</strong>temperie senza subire particolari <strong>in</strong>convenienti: «si mantengono più quelli di castagno, quelli<br />

di quercia si <strong>in</strong>fradiciano subito e poi la quercia era dura da lavorare, da spaccare, <strong>in</strong>vece il<br />

castagno era più facile da spaccare. Tutti quei castagnoli, cioè quei passoni, quei tramezz<strong>in</strong>i per il<br />

tetto, le facevan sempre di castagno, perché mantengono più dall’umidità» [<strong>in</strong>formatore 9, Livio,<br />

p.11].<br />

Notevole importanza rivestiva la produzione di porte, <strong>in</strong>fissi e scale, per le quali il legno veniva<br />

sottoposto ad un trattamento ben preciso: «una volta il nostro castagno veniva tagliato, poi lasciato<br />

a riposo per un po’ di anni, poi veniva segato, poi anche le tavole lasciate a seccare naturalmente e<br />

qu<strong>in</strong>di erano più pregiate. Come tutti i legni oggi non li lasciano più a seccare, ci sono i forni, la<br />

28 A testimonianza <strong>della</strong> diffusione dell’impiego del legno di castagno come palo di sostegno, l’uso del term<strong>in</strong>e<br />

“castagnolo”, oltre a significare un piccolo giovane castagno e anche il palo o la pertica di castagno, è stato col tempo<br />

utilizzato anche con il significato di palo o pertica di altro legno, come ad esempio “castagnolo d’ontano” (CHERUBINI<br />

G. 1996 [1985]).<br />

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pianta tagliata dopo otto giorni già… E questo fa verificare anche un altro fatto <strong>in</strong>crescioso che un<br />

portone, una f<strong>in</strong>estra se esposta specialmente, dopo un po’ di tempo, non molto, com<strong>in</strong>cia a<br />

storcersi, […] non è che dura tantissimo. Poi il castagno bisogna sempre usarlo come legname<br />

all’<strong>in</strong>terno o <strong>in</strong> zone protette perché se è esposto alla pioggia […] si imborfa il legno, questo tipo di<br />

legno che non è seccato come una volta, com<strong>in</strong>cia a sporcare» [<strong>in</strong>formatore n. 1, Lorenzo, p. 3].<br />

Per quanto l’artigianato del legno sia ancora presente <strong>in</strong> Alto Tevere, i falegnami del luogo oggi non<br />

utilizzano più il castagno locale: «adesso da qu<strong>in</strong>dici-vent’anni hanno com<strong>in</strong>ciato a<br />

commercializza’ anche quello francese, sennò questo nostro nazionale non è male, è un buon<br />

legno; è molto res<strong>in</strong>oso, contiene molto tann<strong>in</strong>o e anche quando, per esempio, ci fanno le persiane,<br />

magari quando butta quel tann<strong>in</strong>o sporca il muro. È un legno che usavano specialmente <strong>in</strong><br />

campagna, dopo sui paesi un po’ meno ma comunque <strong>in</strong> tante case di paesi si trova sempre<br />

qualcosa di castagno» [<strong>in</strong>formatore n. 12, Alfio, p. 1]. Sul mercato, il legno di castagno era<br />

particolarmente ricercato per le travi perché resistevano ai tarli e erano più leggere; ancora oggi le<br />

trabeazioni dei soffitti di molte case dell’Alto Tevere sono realizzate proprio <strong>in</strong> castagno: «ricercato<br />

[…] era il trave; se noi andiamo <strong>in</strong> tutte queste case le travi sono tutte de castagno. O le botte de<br />

castagno per il v<strong>in</strong>o, perché c’erano i falegnami locali che le facevano direttamente coi nostri<br />

castagni di zona [<strong>in</strong>formatore n. 3, Roberto, p. 7]. Tale legno era poi preferito per tutte le strutture e<br />

i manufatti delle cant<strong>in</strong>e, <strong>in</strong> particolare botti, barili 29 , t<strong>in</strong>i e bigoni: «quello è castagno! Questo è il<br />

bigone de ‘na volta! […] Sarebbe il recipiente dove mettevano l’uva, il v<strong>in</strong>o; come la t<strong>in</strong>a; la t<strong>in</strong>a è<br />

più grande – per metterci a bullire il v<strong>in</strong>o – qui… diciamo, i contad<strong>in</strong>i arrivavano alla vendemmia,<br />

il primo lo facevano sul bigone, per bere ‘n gocc<strong>in</strong>o de mosto» [<strong>in</strong>formatore n. 4, Giuseppe, p. 8].<br />

Per la costruzione di mobili da <strong>in</strong>terno venivano prodotti pannelli dest<strong>in</strong>ati all’uso di piani per tavoli<br />

e mobili rustici ed era privilegiato il marrone perché più scuro e con qualche venatura: «se uno<br />

voleva fare qualche mobiletto allora uno usava il marrone e veniva anche più bello» [<strong>in</strong>formatore<br />

n. 12, Alfio, p. 2].<br />

Tutto il legname non diversamente utilizzabile – rami, ricci e legna ammassata durante la ripulitura<br />

e la potatura del bosco – assicurava alle popolazioni locali un approvvigionamento regolare di<br />

combustibile per il riscaldamento domestico, per il funzionamento degli essiccatoi delle castagne e<br />

del tabacco e anche per la preparazione del carbone. F<strong>in</strong>o a qualche decennio fa gli essiccatoi del<br />

tabacco presenti <strong>in</strong> Alto Tevere erano alimentati con il legno di castagno: «i privati che avevano le<br />

29 «Notevole <strong>in</strong>teresse rivestiva la produzione di contenitori per liquidi (<strong>in</strong> primis botti e barili per il trasporto) e più<br />

raramente per l’<strong>in</strong>vecchiamento del v<strong>in</strong>o che, grazie agli estrattivi del legno di castagno acquisisce particolari<br />

caratteristiche organolettiche)» (BOUNOUS G. 2002: 154)<br />

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piccole proprietà quando avevano fatto la potatura, lo portavano a casa e lo utilizzavano per sé,<br />

oppure lo riciclavano, e questo è importante, per metterlo sugli essiccatoi del tabacco. Allora gli<br />

essiccatoi del tabacco andavano a legna e sfruttavano il legno del castagno, perché costava meno e<br />

come caloria il legno di castagno ne ha quanto la quercia o il cerro» [<strong>in</strong>formatore n. 3, Roberto,<br />

p.7]. La produzione di carbone di castagno 30 è un’attività ormai scomparsa nelle zone dell’Alto<br />

Tevere Umbro, ma f<strong>in</strong> oltre la seconda metà del Novecento, questo stesso carbone era<br />

particolarmente richiesto dai fabbri, che lo impiegavano per ribattere attrezzi di lavoro e forgiare<br />

strumenti, come ad esempio gli scorc<strong>in</strong>i: «i fabbri […] usavano il carbone di castagna perché non<br />

emanava molte calorie come la quercia. Allora, per fare le tempere, per fare naturalmente gli<br />

scorc<strong>in</strong>i, lo scorc<strong>in</strong>o è l’accetta […] era temprato, era forgiato col carbone del castagno perché<br />

quello di quercia avrebbe bruciato, se naturalmente il ferro si brucia, se butta via tutto, la tempera<br />

non vale più, diventa legno cotto» [<strong>in</strong>formatore n. 9, Livio, p. 6]. Ci si apprestava alla preparazione<br />

<strong>della</strong> carbonaia contemporaneamente alla pulitura del bosco e alla raccolta delle castagne: «già<br />

dalla pulitura del bosco e durante la raccolta facevano il carbone: facevano due lavori, uno la<br />

raccolta e contemporaneamente guardavano le carbonaie» [<strong>in</strong>formatore n. 3, Roberto, p.10].<br />

Altra risorsa che il castagno fornisce è il tann<strong>in</strong>o, presente sia nel legno sia nella corteccia: «il<br />

processo di estrazione del tann<strong>in</strong>o <strong>in</strong>iziò a livello <strong>in</strong>dustriale <strong>in</strong>torno al 1850, quando il tann<strong>in</strong>o<br />

serviva per la carica e la t<strong>in</strong>tura delle sete; successivamente esso fu a lungo impiegato per la concia<br />

delle pelli ma trovava anche applicazioni nell’<strong>in</strong>dustria delle vernici e dei prodotti chimici»<br />

(BOUNOUS G. 2002: 159). Nel periodo precedente al secondo conflitto mondiale f<strong>in</strong>o alla f<strong>in</strong>e degli<br />

anni Quaranta, si sviluppò a Marzano, ma limitatamente anche nel territorio appartenente al comune<br />

di Monte Santa Maria Tiber<strong>in</strong>a e nel comune di Città di Castello – quello che si estende oltre il<br />

torrente Argia – un’importante <strong>in</strong>dustria legata all’estrazione del tann<strong>in</strong>o, che ebbe nella zona una<br />

notevole rilevanza economica. Il nostro <strong>in</strong>formatore, orig<strong>in</strong>ario di Marzano, ricorda questa<br />

ragguardevole attività impiantata da un’impresa di Varese che per circa un decennio segnò la vita<br />

degli abitanti di questi luoghi, dove furono impiegati f<strong>in</strong>o a settanta operai: «questa era un’<strong>in</strong>dustria<br />

importante, tanto è vero che la ditta, l’impresa che si assunse questo lavoro di ricerca del tann<strong>in</strong>o<br />

<strong>della</strong> <strong>in</strong>dustrializzazione del legno del castagno, attuò una teleferica che da Casal<strong>in</strong>i a Città di<br />

Castello veniva alla Torre di Marzano e proseguiva f<strong>in</strong>o all’allora Mol<strong>in</strong> Nuovo. C’era la ferrovia<br />

che da Arezzo veniva a Città di Castello […] per smerciare questo tann<strong>in</strong>o, che erano tronchi di<br />

castagno e assortimenti legnosi del castagno» [<strong>in</strong>formatore n. 13, Franco, p.3]. Il legno tagliato a<br />

30 «Vannuccio Bir<strong>in</strong>guccio (1480-1538?) nel suo De la Pirotechnia, scriveva che soltanto il legname di “scopo” o erica<br />

arborea può approntare un carbone per fabbri altrettanto buono di quello di castagno» (CHERUBINI G. 1996<br />

[1985]:152).<br />

63


questo scopo era soprattutto il selvar<strong>in</strong>o che, una volta trasportato dalla teleferica f<strong>in</strong>o al Palazzo del<br />

Pero, veniva caricato su vagoni ferroviari. Il carico faceva una prima tappa ad Arezzo 31 – dove fu<br />

attivata, secondo quanto ha riferito il nostro <strong>in</strong>formatore, f<strong>in</strong>o al 1943 una sede distaccata<br />

dell’<strong>in</strong>dustria per l’estrazione del tann<strong>in</strong>o – per poi proseguire f<strong>in</strong>o a Varese: «dopo anche ad<br />

Arezzo fu messa una succursale, praticamente per l’estrazione, ma era un’<strong>in</strong>dustria notevole che<br />

assorbiva una quarant<strong>in</strong>a di operai all’epoca […] però questa è durata f<strong>in</strong>o al 1943» [<strong>in</strong>formatore<br />

n. 13, Franco, p.3]. Gli operai che lavoravano nella zona di Marzano tagliavano i tronchi, li<br />

sezionavano sul bosco, li trasportavano grazie agli animali da soma sulla piazzola di carico <strong>della</strong><br />

teleferica e li disponevano <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e sulla teleferica stessa. «La famiglia di mio padre faceva questo<br />

mestiere, aveva otto muli, e provvedeva con gli operai a caricare e a assemblare sul basto questi<br />

tronchi, che erano tronchi tagliati a una lunghezza di un metro per essere caricati sul mulo.<br />

Venivano caricati sulle piazzole dove c’erano queste teleferiche e caricati sulla teleferica e<br />

trasportati sulla zona di imbarco sulle ferrovie, sui carri merci; la zona era Palazzo del Pero che<br />

era il term<strong>in</strong>e <strong>della</strong> teleferica. Questa teleferica andava normalmente a gravità perché era sempre<br />

<strong>in</strong> discesa e allora c’era anche risparmio energetico» [<strong>in</strong>formatore n. 13, Franco, p.4].<br />

31 Come si legge nella Tab. 1.4 – Industrie per l’estrazione di acido tannico <strong>in</strong> Italia (1854-2001), pubblicata nel testo<br />

di Giancarlo Bounous che riporta anche altri dati sulla distribuzione di tali attività a livello nazionale, un’<strong>in</strong>dustria per<br />

l’estrazione di tann<strong>in</strong>o fu attiva, <strong>in</strong> località Bibbiena, ad Arezzo dal 1923 al 1952 (BOUNOUS G. 2002: 17).<br />

64


5.4 GIOCHI CON LE CASTAGNE E STRUMENTI MUSICALI RICAVATI DALLA<br />

CORTECCIA<br />

Il legno di castagno veniva utilizzato anche per la costruzione di giochi per bamb<strong>in</strong>i quali fionde,<br />

carretti, archi, frecce – «di castagno poi c’erano questi frustoni che venivano dal selvatico che<br />

erano bellissimi, dritti, ci si facevan le lance» [<strong>in</strong>formatore n. 9, Livio, p. 11] –, ma era con il frutto<br />

che realizzavano i giochi più divertenti. Con il castelletto ad esempio, si mettevano <strong>in</strong> ‘campo’ –<br />

che <strong>in</strong> genere consisteva <strong>in</strong> uno spiazzo piuttosto piano, quale lo stesso p<strong>in</strong>icciaio – le castagne più<br />

belle, i marroni, con le quali si costruiva una piccola torre, che si tentava poi di far cadere tutta <strong>in</strong><br />

una volta: «si mettevano […] tre (castagne) <strong>in</strong> terra e una sopra, gli tiravi con l’altra, si li buttavi<br />

giù tutte le piavi tutte e dopo le mettevi de saccoccia a’rfa’ ‘l castelletto; ‘na volta uno v<strong>in</strong>ceva, ‘na<br />

volta perdeva» [<strong>in</strong>formatore n. 2, Pasquale, p. 8]. Sempre con le castagne «c’era quest’altro gioco,<br />

del tipo a bocce da una certa distanza, poi si faceva un buco, tipo golf, si lanciava la castagna, chi<br />

arrivava più vic<strong>in</strong>o, o addirittura faceva buca, v<strong>in</strong>ceva. Qualche volta ci usciva fuori qualche<br />

litigata, qualche presa per i capelli, qualche scazzottata» [<strong>in</strong>formatore n. 1, Lorenzo p. 12]. I<br />

bamb<strong>in</strong>i si divertivano anche a confezionare collane con le castagne – «qualcuno ci faceva un<br />

buchetto e se lo metteva <strong>in</strong>torno al collo con uno spago [<strong>in</strong>formatore n. 12, Alfio, p. 3] – e gli<br />

adulti, con lo stesso metodo, preparavano rosari di castagne da appendere alle pareti: «al tempo de<br />

‘na volta facevon le corone de castagne […] più che mai appese a ‘n muro come... per bellezza,<br />

diciamo. Dele corone proprio a uso corona: con le castagne più piccole, con le castagne più<br />

grosse. La corone poi l’attaccaano a ‘na parete e le tenevano per ricordo, ‘n anno, due... […]<br />

Duravano anche tre o quattr’anni, c<strong>in</strong>que. Diventaano castagne secche, secche secche, […] dure;<br />

n’è che andaano a male. Ci metev<strong>in</strong>o quele migliori, no quele bacate!» [<strong>in</strong>formatore n. 8, Santa, p.<br />

18].<br />

Con le foglie di castagno, tenute <strong>in</strong>sieme da piccoli bastonc<strong>in</strong>i di legno, venivano confezionati<br />

cappelli e piccoli cest<strong>in</strong>i per la raccolta dei frutti del bosco, un utile passatempo per i momenti di<br />

pausa dall’attività lavorativa: «tante volte ala macchia con quele foglie con quei zepp<strong>in</strong>i de scopo ci<br />

se faceva dei cappell<strong>in</strong>i, oppure quando s’andava a cerca’ le fragole al bosco, sempre co ste scope<br />

face<strong>in</strong>o ‘na bors<strong>in</strong>a e ci mettev<strong>in</strong>o le fragole de drentro. […] Le foglie se mettono una sopra l’altra<br />

e se cucivano con le scope» [<strong>in</strong>formatore n. 8, Santa, p. 14].<br />

65


Assai frequenti erano anche gli stornelli e gli <strong>in</strong>dov<strong>in</strong>elli sulla castagna che venivano <strong>in</strong>segnati ai<br />

ragazzi e che questi ripetevano tra loro, come la filastrocca il cui <strong>in</strong>izio recitava proprio “Gianni che<br />

batte le castagne / Che fa tremar le porte / Le porte son d’argento / Dell’anno 500” (TANCI<br />

BORRANI M.L. 1965) o l’<strong>in</strong>dov<strong>in</strong>ello “il riccio è sp<strong>in</strong>oso, ma il cuore generoso / mi mangiano cotta,<br />

bruciata o barlotta / mi trovo <strong>in</strong> campagna e mi chiamo castagna”.<br />

Nel periodo di primavera, quando spuntavano le nuove gemme e nuovamente la l<strong>in</strong>fa scorreva tra la<br />

corteccia e il legno, i ragazz<strong>in</strong>i recidevano i nuovi polloni del castagno per costruire strumenti<br />

musicali. Torcendo la corteccia <strong>in</strong> modo da farla staccare dal legno, la recidevano da due parti<br />

sfilando l’<strong>in</strong>terno <strong>in</strong> modo tale da ottenere la parte esterna del ramo a forma di cil<strong>in</strong>dro. Con questa<br />

tecnica si costruivano sia ‘trombe’, chiamate anche mugghie – «la mugghia, se chiamava […], se<br />

prendeva ‘n palo […], poi se tagliava via via larga tre diti, quattro, poi se levava dal palo, poi<br />

s’arotolava e se faceva ‘na tromba» [<strong>in</strong>formatore n. 7, Bruno, p. 14] –, che zufoli, detti anche ciufi e<br />

ciufigli che una volta staccata la corteccia si realizzavano <strong>in</strong>cidendo «il buchetto e poi sul tubic<strong>in</strong>o,<br />

due o tre buchi» [<strong>in</strong>formatore n.1, Lorenzo, p. 14]; la mugghia differiva dallo zufolo per maggiori<br />

dimensioni e per il suono più cupo, mentre lo zufolo 32 , formato sempre dal cil<strong>in</strong>dro di corteccia,<br />

produceva un suono più dolce.<br />

32 Tra gli abitanti dell’Alta Valle del Nestoro, come riporta Giuseppe Nicasi, San Bastiano è ritenuto protettore degli<br />

zufoli: «San Bastiano, nella leggenda cristiana, ha preso il posto dell’Adone pagano e viene rappresentato,<br />

contrariamente alla storia, come prototipo di gioventù e bellezza. Nel medio evo era ritenuto, <strong>in</strong>sieme con San Rocco,<br />

protettore contro ogni genere di peste: e siccome, presso le popolazioni rurali dell’Alta Valle del Nestoro, l’organo<br />

sessuale maschile viene chiamato anche “ciufiglio” (zufolo), così San Bastiano è ivi ritenuto anche protettore degli<br />

zufoli. E quando i giov<strong>in</strong>etti campagnoli, da una verga di salice <strong>in</strong> succhio estraggono un cannello di corteccia, p’er<br />

farsene un sonoro zufolo, sogliono accompagnare la delicata operazione con la preghiera: San Bastiano, San Bastiano /<br />

Fa che il mio ciufiglio venga Sano» (NICASI G. 1912: 9).<br />

66


5.5 ALTRI PRODOTTI “SECONDARI” DEL CASTAGNETO: FUNGHI E MIELE<br />

Il castagneto è un ecosistema assai generoso che fornisce, direttamente o <strong>in</strong>direttamente, prodotti<br />

dall’<strong>alto</strong> valore nutritivo e commerciale. Nel suo ricco sottobosco, dove le foglie morte macerano, è<br />

possibile raccogliere <strong>in</strong> autunno funghi tra i più pregiati, quali ovoli, porc<strong>in</strong>i, gall<strong>in</strong>acci, colomb<strong>in</strong>e:<br />

«ci sono i funghi più pregiati perché ci nascono i porc<strong>in</strong>i, i boleti, il porc<strong>in</strong>o edulis, nascono le<br />

biette. La bietta è quel fungo che può essere di colore rossastro, le biette sono una cosa stupenda,<br />

perché è un fungo lamellato sotto, con il cappello concavo e possono essere di colore bruno,<br />

rossastro mattone, di colore violaceo; io lo preferisco al porc<strong>in</strong>o» [Informatore n.1, Lorenzo, p.<br />

13]. D’estate poi, i fiori <strong>della</strong> pianta di castagno offrono un nettare abbondante alle api, che<br />

producono nel giugno-luglio un miele dall’aroma marcato e caratteristico, e gli stessi alveari, i<br />

“bugni” possono essere ricavati dai vecchi tronchi svuotati del castagno.<br />

67


CAPITOLO 6<br />

LA MEDICINA POPOLARE<br />

68


6.1 LA CASTAGNA E LA CASTAGNA DINDA<br />

La pianta di castagno costituiva – e costituisce tuttora – nel paesaggio <strong>alto</strong>tiber<strong>in</strong>o una presenza<br />

“cara” e familiare che oltre a <strong>in</strong>crementare la dieta e garantire molteplici attività, “vantava” secondo<br />

i saperi <strong>tradizionali</strong> anche qualità medicamentose. Non diversamente da altre piante utilizzate<br />

nell’ambito <strong>della</strong> medic<strong>in</strong>a folclorica 33 , <strong>in</strong>fatti, anche alle castagne erano attribuite proprietà<br />

terapeutiche che ne decretavano l’impiego nei rimedi medici popolari. Le <strong>in</strong>formazioni raccolte nel<br />

corso <strong>della</strong> ricerca hanno messo <strong>in</strong> luce, pur nella loro specificità e attraverso testimonianze<br />

esemplificative, i tratti di quel mondo contad<strong>in</strong>o tradizionale che si esprimeva anche attraverso<br />

credenze e <strong>pratiche</strong> preventive, protettive e curative connesse al “patrimonio” complesso cui<br />

appartenevano tanto conoscenze empiriche, quanto consuetud<strong>in</strong>i magico-terapeutiche, che <strong>in</strong> alcuni<br />

casi sopravvivono tuttora. Per la ricchezza delle notizie ricavate dalle <strong>in</strong>terviste, riteniamo utile<br />

<strong>in</strong>serire <strong>in</strong> quest’ultimo capitolo tanto le testimonianze sulle proprietà curative <strong>della</strong> castagna<br />

(illustrate <strong>in</strong> a), quanto quelle sul “potere” terapeutico <strong>della</strong> così detta castagna d<strong>in</strong>da, o castagna<br />

selvatica, il frutto dell’ippocastano (presentate <strong>in</strong> b), il cui impiego nella medic<strong>in</strong>a popolare<br />

contribuisce a testimoniare, <strong>in</strong>sieme a quello <strong>della</strong> “vera” castagna, un universo culturale<br />

caratterizzato dalla «visione <strong>della</strong> realtà come totalità globale e collettiva <strong>in</strong> cui cosmo, natura e<br />

uomo si implicano vicendevolmente <strong>in</strong> una rete di relazioni simboliche» 34 (RIVERA A. 1989: 63).<br />

a) F<strong>in</strong> dall’antichità le foglie, la corteccia, il frutto del castagno venivano adottati nella cura di<br />

certi disturbi e patologie 35 : «Nel Medioevo, la monaca Ildegarda di B<strong>in</strong>gen, nel monastero di<br />

33 Per un approfondimento sulla medic<strong>in</strong>a folclorica <strong>in</strong> Italia, si confront<strong>in</strong>o: SEPPILLI T. cur. 1983; SEPPILLI T. cur.<br />

1989; AA.VV. 1981. In una scala sostanzialmente regionale si vedano, tra gli altri, i seguenti testi classici: ZANETTI Z.<br />

1892; PITRÈ G. 1896; CORONEDI BERTI C. 1877. Per una panoramica sull’<strong>in</strong>tero territorio italiano si rimanda a PAZZINI<br />

A. 1948.<br />

34 Oltre all’impiego <strong>della</strong> castagna e <strong>della</strong> castagna d<strong>in</strong>da, alcuni <strong>in</strong>formatori di Lippiano riferiscono di ulteriori rimedi<br />

effettuati grazie all’azione terapeutica di determ<strong>in</strong>ate piante: i “fiori de’ serpi”, un tipo di pianta erbacea che cresce nei<br />

castagneti le cui bacche rosse, quando raggiungono la maturazione, vengono “spalmate” sulle parti doloranti per guarire<br />

distorsioni e “mal d’ossi” e “quel'erb<strong>in</strong>a che manda via i porri”, il cui “lattic<strong>in</strong>o” che fuoriesce quando si spezza viene<br />

cosparso sulle verruche per guarirle [cfr. <strong>in</strong>formatore n. 6, Angiol<strong>in</strong>o, p. 21; <strong>in</strong>formatore n. 7, Bruno, p. 21; Informatore<br />

n. 7, Santa, p. 21]. Queste ultime si possono curare anche con l’utilizzo delle lumache: «ha visto ‘ste lumache grosse<br />

senza la cas<strong>in</strong>a... questo glielo assicuro io: sto braccio (<strong>in</strong>dicandolo) era pieno di verruche. Alora qualcuno m'ha detto:<br />

"prendi una de ‘ste lumache quando piove, che sono sula strada, passela lì". Ha visto che fanno tutta quela bavetta...<br />

"mettila su un grosso sp<strong>in</strong>o che muoia. Quando s'è seccata vedrai che le verruche non ce l'avrai più". Questo è vero! Io<br />

l'ho fatto come m'ha detto ‘sta signora, che non me ricordo più chi è, avrò avuto dodici, tredici anni. Ho messo ‘sta<br />

lumaca su 'no sp<strong>in</strong>uglione, noi se chiam<strong>in</strong>o sp<strong>in</strong>uglioni ‘sti cosi grossi, grossi, e quando so andata a vede’ le verruche<br />

non c'erano più […]io quando sono andate via le verruche so andata a vede’ anche sta lumaca: era seccata! Questa è la<br />

verità pura» [<strong>in</strong>formatore n. 7, Santa, p. 21].<br />

35 I rimedi <strong>tradizionali</strong> che si avvalevano dell’utilizzo delle piante e di parti di esse contemplavano vari tipi di<br />

preparazione, tra i quali <strong>in</strong>fusi, decotti e macerati: «Per <strong>in</strong>fuso si <strong>in</strong>tende la soluzione ottenuta versando nelle parti<br />

vegetali acqua bollente, e lasciandole poi nell’acqua stessa da alcuni m<strong>in</strong>uti a un quarto d’ora. Decotto è la forma<br />

medicamentosa ottenuta facendo bollire <strong>in</strong> acqua le parti (soprattutto radici, scorze etc.) per 10-20 m<strong>in</strong>uti o più. Nel<br />

69


Rupertsberg (Germania), consigliava acqua di lessatura di foglie e bucce per combattere emicrania e<br />

gotta, castagne crude per chi soffre di disturbi cardiaci, caldarroste per chi ha problemi di milza.<br />

Secondo la monaca, lesse, pestate e unite a miele aiutavano i malati di fegato, mentre con l’aggiunta<br />

di pane grattugiato, liquirizia e felce dolce <strong>in</strong> polvere, costituivano rimedio per i disturbi di stomaco.<br />

Un tempo, castagne secche mac<strong>in</strong>ate, unite a sale e miele, venivano usate contro i morsi di cani o <strong>in</strong><br />

caso di avvelenamento. Per i suoi presunti effetti antipiretici, i frutti entravano nelle diete degli<br />

affetti da febbre terzana e di prevenzione contro la peste, specie se cotti con prugne. Molti medici<br />

del passato attribuivano alle castagne effetti afrodisiaci, mentre la far<strong>in</strong>a era impiegata nel caso di<br />

mestrui abbondanti, per lenire dolori renali <strong>in</strong> gestazione, per prevenire i rischi di aborto e,<br />

mescolata con aceto e far<strong>in</strong>a d’orzo, per guarire mastiti» (BOUNOUS G. 2002: 171). Di quest’ultimo<br />

impiego <strong>della</strong> castagna nella gestazione e nei disturbi legati all’allattamento, r<strong>in</strong>tracciamo qualche<br />

segno nella testimonianza dei nostri <strong>in</strong>formatori di Lippiano, che ricordano l’uso di far mangiare<br />

castagne lessate alle puerpere che non disponevano di sufficiente latte per nutrire i loro figli [cfr.<br />

<strong>in</strong>formatore n. 7, Bruno, p. 25; <strong>in</strong>formatore n. 14, Marco, p. 25]. Altri usi <strong>della</strong> castagna per f<strong>in</strong>i<br />

terapeutici riguardavano la sua benefica azione espettorante e antispasmodica nelle tossi e<br />

astr<strong>in</strong>gente nelle s<strong>in</strong>dromi dissenteriche, grazie alla preparazione di <strong>in</strong>fusi con la buccia e con le<br />

foglie (BOUNOUS G. 2002). Le castagne si utilizzavano anche per favorire la crescita dei capelli e<br />

per il trattamento dell’alopecia, come racconta un <strong>in</strong>formatore di Città di Castello che ricorda anche<br />

l’<strong>in</strong>contro con una suora del convento di Citerna <strong>in</strong> grado, attraverso l’impiego di decotti di<br />

castagne, di aiutare il r<strong>in</strong>foltimento <strong>della</strong> capigliatura: «i decotti con le foglie delle castagne le<br />

facevano per i capelli, […] per non li far cascare. […] Prima a Citerna c’era una monaca che<br />

curava i capelli […] si entrava uno per volta, qualcuno ci stava una mezz’oretta per lavare i<br />

capelli. […] Trent’anni fa, mica tanti anni fa. A me mi ci ha portato un amico che (mi ha detto)<br />

“per i capelli c’è una mia amica monaca!” […] mi ha lavato con un panno me l’ha bagnati due o<br />

tre volte […]. Recitando sempre… robe <strong>in</strong>comprensibili. Sempre quando vai da queste “medicone”<br />

sempre recitavano una filastrocca…[…] ma non c’erano dei riferimenti…» [<strong>in</strong>formatore n. 9,<br />

Livio, pp. 8-9]. Oltre che per contrastare la caduta, la castagna veniva utilizzata anche per f<strong>in</strong>i<br />

puramente estetici: l’acqua di <strong>in</strong>fusione <strong>della</strong> buccia, <strong>in</strong>fatti, veniva impiegata come frizione e<br />

shampoo e aveva la proprietà di lucidare ed esaltare i riflessi dei capelli [cfr. <strong>in</strong>formatore n. 1,<br />

Lorenzo, p. 13].<br />

macerato si tengono immersi per un periodo di tempo variabile foglie, fiori etc, per lo più <strong>in</strong> acqua, aceto, v<strong>in</strong>o od olio.<br />

Ognuno di questi preparati (<strong>in</strong> cui rientrano anche più erbe contemporaneamente) è poi sottoposto a filtrazione e<br />

compressione del residuo […] Per uso esterno nella terapia popolare è frequente l’applicazione locale di parti vegetali,<br />

soprattutto foglie fresche, anche pestate, oppure cotte <strong>in</strong> acqua, latte etc» (GUARRERA P. 1989: 71).<br />

70


) Il frutto dell’ippocastano, denom<strong>in</strong>ato nel lessico popolare castagna d<strong>in</strong>da, contrazione di<br />

castagna d’India, <strong>in</strong>dica con il suo nome l’appartenenza, così come altri, a specie non autoctona,<br />

essendo <strong>in</strong>valsa nell’antichità l’abitud<strong>in</strong>e di segnalare tutte le piante esotiche come provenienti<br />

dall’India. L’ippocastano, <strong>in</strong>fatti, cresce allo stato spontaneo nella penisola balcanica ed è stato<br />

<strong>in</strong>trodotto <strong>in</strong> Italia f<strong>in</strong> dal XVI secolo come pianta ornamentale di parchi e giard<strong>in</strong>i (NARDELLI G.M.<br />

1987). Le proprietà terapeutiche associate alla castagna selvatica riguardano pr<strong>in</strong>cipalmente la cura<br />

delle emorroidi: «le castagne selvatiche, tenute <strong>in</strong> tasca, preservano e guariscono dalle emorroidi.<br />

Questa usanza è abbastanza diffusa <strong>in</strong> varie parti d’Italia, ed è il risultato evidente di un concetto di<br />

segnatura, forse per la forma <strong>della</strong> castagna. Non credo che si possa trovare una relazione tra questa<br />

usanza e la applicazione terapeutica moderna dell’estratto di castagna d’India nelle affezioni venose<br />

<strong>in</strong> genere e nelle emorroidi <strong>in</strong> specie. Tuttavia la co<strong>in</strong>cidenza è veramente strana e potrebbe far<br />

pensare ad una conoscenza empirica delle virtù terapeutiche <strong>della</strong> castagna d’India applicate alla<br />

semplice presenza del frutto, portato come amuleto. Non sarebbe il primo caso di piante<br />

terapeutiche usate quale amuleto ritenendo utile, terapeuticamente, anche la semplice presenza <strong>della</strong><br />

pianta stessa» (PAZZINI A. 1940: 105-106). Come riporta anche il medico condotto perug<strong>in</strong>o Zeno<br />

Zanetti che operò nelle campagne umbre tra il XIX e il XX secolo con un particolare <strong>in</strong>teresse per il<br />

folclore, «la cura delle emorroidi è varia. In alcune località del nostro contado si crede che giovi<br />

ungerle con la sugna dei perni delle campane e con olio <strong>in</strong> cui siano stati posti per lungo tempo<br />

piccoli topi appena nati, ovvero una nottola viva; <strong>in</strong> altre si fa tenere <strong>in</strong> tasca al malato, una<br />

castagna d’India o un bocciolo di rosa can<strong>in</strong>a, o un tubero di ciclamen (patata del ciculo)»<br />

(ZANETTI Z. 1978 [1892]: 245) 36 . Il trattamento delle emorroidi per mezzo <strong>della</strong> castagna selvatica,<br />

oltre che attraverso il metodo appena descritto 37 , era effettuato anche con applicazioni topiche<br />

realizzate con un composto a base di far<strong>in</strong>a, come ricordano i nostri <strong>in</strong>formatori di Città di Castello<br />

e di Lippiano [cfr. <strong>in</strong>formatore n. 9, Livio, p. 6; <strong>in</strong>formatore n. 8, Santa, p. 20 ] e con un decotto di<br />

36 Per una analisi teorico-metodologica dell’approccio demoiatrico di Zeno Zanetti e per un excursus sulla letteratura<br />

relativa alla medic<strong>in</strong>a popolare umbra, si possono vedere rispettivamente i testi: BARTOLI P. - FALTERI P. 1987;<br />

FALTERI P. 1989.<br />

37 La pratica di portare due o tre castagne nella tasca posteriore dei pantaloni «per assicurare un sollievo negli stati<br />

emorroidali ed una dim<strong>in</strong>uzione del fastidio che si prova camm<strong>in</strong>ando», è così commentata da Giuseppe Maria Nardelli:<br />

«tale modalità, che è senz’altro molto curiosa, è stata tuttavia già raccolta e segnalata <strong>in</strong> altri studi come attuata <strong>in</strong><br />

alcune zone del contado perug<strong>in</strong>o. Poiché il fastidio delle emorroidi non rientra certo nell’ambito delle malattie<br />

psicosomatiche e non è qu<strong>in</strong>di facilmente dom<strong>in</strong>abile attraverso un placebo, quest’uso farebbe piuttosto pensare<br />

all’esistenza di pr<strong>in</strong>cipi volatili che, liberandosi attraverso il calore del corpo, possono così svolgere la loro azione<br />

topica. Va comunque ricordato che l’esc<strong>in</strong>a, una sapon<strong>in</strong>a ad effetto vasocostrittore periferico e l’esculoside, un<br />

glucoside con azione analgesica, sono due pr<strong>in</strong>cipi attivi presenti nel seme di ippocastano, che hanno trovato solo di<br />

recente uno specifico impiego <strong>in</strong> medic<strong>in</strong>a proprio nel trattamento degli stati emorroidali, sia per uso orale che topico,<br />

sotto forma di supposte e pomate. Tale applicazione cl<strong>in</strong>ica dell’esc<strong>in</strong>a, di cui un’ampia sperimentazione farmacologica<br />

ha messo <strong>in</strong> luce la caratteristica azione antiedemigena, conferisce un particolare valore alla <strong>in</strong>dicazione <strong>della</strong> medic<strong>in</strong>a<br />

tradizionale ed agli impieghi popolari <strong>della</strong> droga» (NARDELLI G.M. 1987: 61-63).<br />

71


foglie o di semi di ippocastano, come riporta Giuseppe Maria Nardelli (NARDELLI G.M. 1987: 61-<br />

63). L’uso di tenere <strong>in</strong> tasca una o più castagne selvatiche era <strong>in</strong>valso anche per prevenire o guarire<br />

altri tipi di disturbi quali mal di testa – «dicono che a tenerne una <strong>in</strong> tasca non fa male la testa»<br />

[<strong>in</strong>formatore n. 2, Pasquale, p. 4] – e dolori reumatici – «le tenevano addosso, <strong>in</strong> tasca, perché<br />

sembrava che c’avevano dei poteri anti-reumatici» [<strong>in</strong>formatore n. 13, Franco, p. 8] –. Riguardo ad<br />

altri impieghi, riposte nei mobili e tra i panni da <strong>in</strong>dossare, si attribuiva alle castagne la funzione di<br />

antitarlo e vermifugo [cfr. <strong>in</strong>formatore n. 8, Santa, p. 1] e con impacchi del decotto <strong>della</strong> buccia di<br />

castagna si curavano l’artrite e l’artrosi [cfr. <strong>in</strong>formatore n. 9, Livio, pp. 8-9]. Particolarmente<br />

frequente, <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, era l’abitud<strong>in</strong>e di tenere una castagna <strong>in</strong> tasca per allontanare le malattie e la<br />

sfortuna, fungendo, qu<strong>in</strong>di, da amuleto 38 cui veniva attribuita una potenza magica di tipo protettivo<br />

e propiziatorio, che <strong>in</strong> alcune zone resiste tuttora. Come riferisce un nostro <strong>in</strong>formatore, «la<br />

castagna se teneva <strong>in</strong> saccoccia contro la iella» e doveva essere raccolta <strong>in</strong> un periodo dell’anno<br />

particolare, «sempre il 4 ottobre, per San Francesco […] perché San Francesco ci rimetteva tutti i<br />

peccati mortali» [<strong>in</strong>formatore n. 9, Livio, pp. 6-7]. Di notevole <strong>in</strong>teresse, questo impiego <strong>della</strong><br />

castagna d<strong>in</strong>da con funzione apotropaica si <strong>in</strong>serisce ancora una volta nell’ambito delle<br />

consuetud<strong>in</strong>i magico-terapeutiche e magico-religiose che <strong>in</strong>sieme alle credenze, alle <strong>pratiche</strong> e alle<br />

conoscenze empiriche che sottostanno al sapere tradizionale contribuiscono a descrivere “la<br />

concezione del mondo e <strong>della</strong> vita” <strong>della</strong> cultura contad<strong>in</strong>a.<br />

38 Per una <strong>in</strong>troduzione alla questione degli amuleti e al ricchissimo apporto <strong>in</strong> questo campo dello studioso perug<strong>in</strong>o<br />

Giuseppe Bellucci che tra il 1871 e il 1920 realizzò una imponente mole di lavoro per la raccolta, la catalogazione,<br />

l’ord<strong>in</strong>amento e l’illustrazione <strong>in</strong>terpretativa dei suoi materiali di <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e, si rimanda al testo di SEPPILLI T. 1989.<br />

72


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI<br />

73


AA.VV. (1981), Medic<strong>in</strong>a erbe e magia, Milano (“Cultura popolare nell’Emilia Romagna”, 5).<br />

AA.VV. (1986), L’uomo selvatico <strong>in</strong> Italia, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari,<br />

Roma.<br />

Atti <strong>della</strong> Giunta per la Inchiesta agraria e sulle condizioni <strong>della</strong> classe agricola, vol. XI.<br />

Relazione del commissario marchese Francesco Nobili-vitelleschi, senatore del regno, sulla Qu<strong>in</strong>ta<br />

circoscrizione, tomo II. Prov<strong>in</strong>cie di Perugia, Ascoli-Piceno, Ancona, Macerata e Pesaro, Roma,<br />

Forzani & C. Tipografi del Senato, 1884, XVI + 1197 pp. (cfr. Relazione sulla prov<strong>in</strong>cia di<br />

Perugia, pp. 1-349) e tomo III. Monografie agrarie allegate, Roma, Forzani & C. Tipografi del<br />

Senato, 1884, 363 pp.<br />

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famiglia mezzadrile umbra. Un’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e sulla memoria dei protagonisti <strong>in</strong> alcuni comuni<br />

dell’Umbria (San Venanzo, Todi, Perugia, Umbertide, Montone, Nocera Umbra), Facoltà di lettere<br />

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SEPPILLI T (curatore) (1989), Le tradizioni popolari <strong>in</strong> Italia. Medic<strong>in</strong>e e magie, Electa, Bergamo.<br />

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Studi di Perugia, Tesi di laurea, 1965.<br />

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http://www.ecomuseo.casent<strong>in</strong>o.toscana.it/<br />

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