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Parnassius apollo<br />
Invertebrati: <strong>parte</strong> tassonomica<br />
■ Il popolamento delle rupi<br />
Molluschi. Anche se la stragrande<br />
maggioranza delle specie vive di<br />
preferenza in zone non aride, poco<br />
esposte all’insolazione diretta e ben<br />
coperte dalla vegetazione, i molluschi<br />
terrestri non mancano di elementi<br />
adattati alla vita in ambienti che possono<br />
sembrare particolarmente ostili come<br />
quelli delle pareti rocciose. Le specie<br />
rinvenibili in questi ambienti sono<br />
abbastanza numerose e ap<strong>parte</strong>ngono<br />
sia ai prosobranchi, il gruppo più primitivo<br />
dei gasteropodi, sia ai polmonati, il<br />
gruppo più evoluto che, grazie appunto<br />
all’acquisizione di una sorta di polmone,<br />
ha potuto diffondersi, con la linea<br />
evolutiva degli stilommatofori, anche in<br />
ambiente subaereo. Gli uni e gli altri,<br />
seppur decisamente diversi quanto ad<br />
organizzazione anatomica e a fisiologia,<br />
sono limitati agli ambienti di roccia<br />
calcarea, dalle quote più basse a quelle<br />
più alte dei nostri principali complessi<br />
montuosi. Essi vivono qui sulle superfici<br />
esposte, sia in ombra che in pieno sole,<br />
anche se invariabilmente tendono a<br />
concentrarsi nelle fessure, nelle<br />
spaccature, sotto aggetti o rilievi, tra i<br />
muschi, ovunque, insomma, sia più facile<br />
trovare cibo e un po’ di riparo sia<br />
dall’eccessiva insolazione, sia dal gelo.<br />
Le conchiglie, di dimensioni variabili,<br />
sono spesso caratterizzate da colorazioni<br />
non solo criptiche, ma anche capaci di<br />
respingere i raggi solari e diminuire il<br />
surriscaldamento dell’animale: grigiobiancastre,<br />
con sfumature ora giallastre,<br />
ora violette, ora rosate. A volte, inoltre, si<br />
presentano costulate, per poter meglio<br />
deflettere i raggi solari. Talvolta, infine,<br />
Paolo Audisio<br />
sono ricoperte di terra o di escrementi<br />
concrezionati, così da incrementare<br />
l’effetto anti-riscaldamento e ridurre la<br />
possibilità di individuazione da <strong>parte</strong> di<br />
eventuali predatori. La loro dieta è basata<br />
sulla vegetazione incrostante (muschi,<br />
licheni) o sul detrito vegetale che si<br />
accumula nelle spaccature o sullo scarso<br />
suolo dei gradoni e delle terrazze.<br />
È evidente come, nonostante la loro<br />
notevole xeroresistenza, la disponibilità<br />
d’acqua rappresenti per loro il principale<br />
fattore limitante. D’altra <strong>parte</strong>,<br />
l’adattamento dei loro apparati escretori<br />
(con altissimo riassorbimento di acqua),<br />
lo spessore delle conchiglie, la capacità<br />
di ritrarsi nelle conchiglie saldandone con<br />
muco l’apertura alla superficie rocciosa,<br />
Pyramidula fissate sulla superficie rocciosa<br />
la possibilità di trascorrere in stasi lunghi<br />
periodi di tempo, limitano notevolmente<br />
le perdite e consentono, quindi, la<br />
sopravvivenza anche sulle rupi più<br />
esposte, sulle quali l’unico apporto di<br />
acqua è, per periodi assai lunghi, quello<br />
dovuto alla condensa notturna.<br />
Molte specie, infine, sono anche capaci di<br />
resistere al freddo, potendo così<br />
colonizzare quote decisamente elevate.<br />
Da un punto di vista faunistico e<br />
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biogeografico, i molluschi delle rupi del<br />
nostro paese hanno grande interesse,<br />
essendo diversificati in una ricca serie di<br />
entità. La frammentazione in popolazioni<br />
proprie di aree spesso limitate e, quindi,<br />
il forte isolamento al quale sono state<br />
spesso costrette hanno fatto sì, infatti,<br />
che si innestassero processi di<br />
diversificazione morfologica più o meno<br />
spinti, che sono all’origine di una forte e<br />
non ancora completamente esplorata<br />
frammentazione tassonomica.<br />
Tra i prosobranchi, tipici elementi rupicoli<br />
sono quasi tutte le specie del genere<br />
Cochlostoma, caratterizzate da conchiglie<br />
di dimensioni contenute (altezza attorno<br />
al cm), coniche e più o meno allungate,<br />
talvolta lisce ma, più spesso, più o meno<br />
fittamente costulate. Il gruppo, diffuso in<br />
tutta Italia, grandi isole comprese, è<br />
differenziato in molte specie, non poche<br />
delle quali limitate ad aree ristrette.<br />
Tra queste vale la pena di ricordare<br />
Cochlostoma canestrinii, la specie<br />
italiana di taglia maggiore, endemica del<br />
complesso della Presolana lungo le<br />
Prealpi Orobie; C. porroi, endemica delle<br />
Prealpi lombarde e del Trentino<br />
occidentale; C. villae, dei Colli Euganei<br />
Cochlostoma villae Chondrina avenacea<br />
e Berici e delle Prealpi vicentine e<br />
veronesi; C. philippianum e C. henricae<br />
rispettivamente delle Prealpi Carniche e<br />
Giulie; C. scalarinum e C. tergestinum, del<br />
Carso triestino, C. crosseanum,<br />
dell’Appennino Toscano; C. sardoum, dei<br />
complessi calcarei della Sardegna centroorientale;<br />
C. paladilhianum, della Sicilia<br />
nord-occidentale.<br />
Assai più numerose sono le specie dei<br />
polmonati stilommatofori, ap<strong>parte</strong>nenti ai<br />
generi più diversi, collocati a vario livello<br />
nella scala evolutiva del gruppo.<br />
Tra i generi generalmente considerati più<br />
primitivi, si annovera Pyramidula (famiglia<br />
piramidulidi), con la specie P. pusilla,<br />
un’entità presente a quote variabili in tutta<br />
Italia, caratterizzata da una conchiglia di<br />
appena un paio di mm di diametro, a<br />
forma di trottola, color rosso vinaccia<br />
scuro e lievemente striata, spesso<br />
incrostata. Un po’ più grandi sono le<br />
conchiglie dei generi Rupestrella e<br />
Chondrina (3-12 mm di altezza),<br />
ambedue ap<strong>parte</strong>nenti alla famiglia<br />
condrinidi. Queste specie hanno<br />
un’ecologia simile, anche se le prime<br />
sono più schiettamente mediterranee e<br />
perlopiù di bassa quota, mentre le<br />
seconde sono di quota medio-alta e<br />
capaci di tollerare il freddo. Chondrina<br />
avenacea è molto diffusa in Italia, dalle<br />
Alpi all’Appennino e alle isole maggiori,<br />
con numerose sottospecie endemiche di<br />
questo o quel settore.<br />
Nelle regioni prealpine centro-orientali è<br />
spesso sostituita da altre entità molto<br />
simili, come C. clienta e C. megacheilos.<br />
Sulle Alpi Apuane, è, infine, conosciuta<br />
una specie endemica, C. oligodonta.<br />
Alla famiglia condrinidi appartiene un<br />
altro genere, Solatopupa, con conchiglia<br />
molto simile a quella delle specie del<br />
genere Chondrina, tuttavia di dimensioni<br />
mediamente maggiori (8-15 mm di<br />
altezza) e di colore prevalentemente<br />
biancastro. Solatopupa similis è la più<br />
diffusa (dal Nord della Spagna alla<br />
Liguria); S. juliana è prevalentemente<br />
presente in Toscana, S. pallida in un’area<br />
abbastanza limitata della Liguria,<br />
S. psarolena sulle Alpi Marittime e, infine,<br />
S. guidoni in Corsica, Sardegna e<br />
all’Isola d’Elba.<br />
Alla famiglia clausiliidi ap<strong>parte</strong>ngono<br />
alcuni generi che includono entità<br />
marcatamente rupicole, caratterizzate da<br />
conchiglie fusiformi, lunghe attorno ai<br />
10-20 mm, piuttosto spesse e robuste,<br />
lisce o costulate, di colore comunemente<br />
tendente al biancastro e con apertura<br />
esternamente dentellata, contenente, più<br />
all’interno, una sorta di tappo<br />
mineralizzato detto clausilio. Lungo la<br />
dorsale appenninica, a quote anche<br />
rilevanti, è molto diffusa Leucostigma<br />
candidescens, entità alquanto polimorfa<br />
a conchiglia di colore più nettamente<br />
biancastro. Talvolta difficilmente<br />
distinguibili da quest’ultima sono le<br />
specie del genere Medora, un gruppo a<br />
geonemia transadriatica, presente in<br />
Italia lungo la crinale appenninica, dalle<br />
Marche alla Calabria, e sul Gargano.<br />
Numerose popolazioni, abbastanza affini<br />
geneticamente a Medora albescens<br />
della Dalmazia, ma più o meno<br />
caratterizzate morfologicamente,<br />
colonizzano i principali complessi<br />
montuosi appenninici, mentre una<br />
popolazione apparentemente attribuibile<br />
ad un’altra specie dalmata, M. dalmatina,<br />
è stata individuata sui fianchi orientali<br />
del M. Pollino.<br />
Sempre ai clausiliidi ap<strong>parte</strong>ngono molte<br />
altre specie rupicole, presenti nell’Italia<br />
del Sud e in Sicilia, in massima <strong>parte</strong><br />
attribuite al genere Siciliaria, ma presenti<br />
perlopiù a basse quote, e che quindi non<br />
vengono qui trattate. In ultimo, alla<br />
famiglia elicidi ap<strong>parte</strong>ngono i generi più<br />
ricchi in specie rupicole montane e<br />
submontane: Chilostoma e Macularia.<br />
A Chilostoma si attribuisce una serie<br />
ricchissima di entità, descritte in passato<br />
quasi sempre come specie distinte (ma<br />
attualmente inserite nel ciclo di forme di<br />
Chilostoma cingulatum), proprie di singoli<br />
distretti all’interno di un areale che<br />
comprende il versante meridionale delle<br />
Alpi, la fascia prealpina e l’Appennino fino<br />
al Matese. Si ipotizza per queste, nella<br />
maggior <strong>parte</strong> dei casi, una discesa<br />
nell’Appennino in coincidenza di una<br />
qualche fase glaciale quaternaria e,<br />
successivamente, con il ristabilirsi di più<br />
miti condizioni climatiche, una risalita in<br />
quota, sui complessi montuosi calcarei<br />
più elevati, accompagnata da<br />
frammentazione, isolamento e, quindi,<br />
differenziazione locale.<br />
Analoga è la situazione del genere<br />
Marmorana, anche se questo si presenta<br />
come un taxon a distribuzione<br />
circumtirrenica e di aree a clima<br />
mediterraneo o submediterraneo, a quote<br />
medie. Una delle specie più comuni è<br />
Marmorana muralis, entità decisamente<br />
xerofila diffusa dall’uomo in ambienti<br />
antropogenici di varie località della<br />
Penisola e di altre aree del Mediterraneo.<br />
Interessanti sono anche varie entità della<br />
Sicilia occidentale, le cui distribuzioni<br />
spesso si intersecano, come M.<br />
globularis, M. platychela,<br />
M. scabriuscula. Marmorana nebrodensis,<br />
invece, è diffusa nella Sicilia<br />
nordorientale, tra le Madonie e i<br />
Peloritani, e M. fuscolabiata in Sicilia<br />
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occidentale (Monti Peloritani) e sul<br />
crinale appenninico dalla Calabria alla<br />
Campania. Molto prossima a questa<br />
specie è M. signata, conosciuta per varie<br />
località dell’Appennino centromeridionale,<br />
dall’Umbria al Matese.<br />
Limitata, invece, a poche aree ristrette<br />
della Toscana meridionale, alcune anche<br />
di bassa quota (Monte Amiata, Monti<br />
dell’Uccellina, Argentario e Isola del<br />
Giglio), è Marmorana saxetana.<br />
Crostacei. Gli isopodi sono di fatto quasi<br />
assenti dai substrati sassosi o rocciosi<br />
privi di vero suolo e non deve stupire<br />
che, malgrado la grande importanza del<br />
gruppo negli ambienti terrestri,<br />
soprattutto alle basse e medie quote,<br />
essi non presentino alcun rappresentante<br />
in qualche modo caratteristico di rupi e<br />
pareti rocciose. Solo qualche specie del<br />
vasto genere Armadillidium e di altri<br />
Armadillidium sp.<br />
generi con elevata attività notturna<br />
possono talora trovare rifugio<br />
temporaneo anche alla base di rupi e<br />
pareti rocciose, soprattutto a livello di<br />
cenge e terrazze, o in spaccature della<br />
roccia, dove un più significativo<br />
accumulo di depositi terrigeni può<br />
favorirne l’occasionale insediamento.<br />
Diplopodi. I diplopodi costituiscono un<br />
importante gruppo di artropodi terrestri,<br />
con numerose specie presenti in ambito<br />
montano. Come in molti altri gruppi non<br />
strettamente fitofagi, mancano dei veri<br />
specialisti degli ambienti rocciosi e<br />
rupestri, ma alcune specie, perlopiù<br />
elementi orofili associati a pascoli aridi e<br />
rocciosi, non sono infrequenti anche alla<br />
base di roccioni montani, tra le<br />
spaccature delle rocce e lungo le cenge<br />
di pareti rocciose.<br />
Tra queste specie possiamo ricordare<br />
almeno il glomeride Glomeris helvetica,<br />
specie circumalpina ad areale<br />
frammentato, che anche sulle Alpi<br />
italiane si rinviene con una certa<br />
frequenza fra pietraie, detriti rocciosi o<br />
legnosi alla base di depositi franosi,<br />
lungo stretti valloni, alla base di dirupi,<br />
ghiaioni e pareti scoscese, dalle basse<br />
quote fino a circa 2500 m.<br />
Tra i polidesmidi, Brembosoma<br />
castagnolense è un endemita alpino noto<br />
di Svizzera e Alpi Lombarde, raccolto in<br />
varie occasioni su lastroni calcarei in<br />
ambienti scoscesi, fino a 2500 m.<br />
Lo iulide Hypsoiulus alpivagus, altro<br />
endemita circumalpino ad areale<br />
discontinuo, predilige il piano alpino,<br />
dove sfiora i 2800 m, mentre a livello del<br />
piano montano sembra preferire gole<br />
profonde e ingressi di grotte. La specie<br />
sembra essere strettamente legata alla<br />
presenza di rocce sedimentarie e il suo<br />
carattere marcatamente petrofilo si<br />
evince dagli ambienti in cui è stata<br />
rinvenuta: ghiaioni, pietraie, detriti<br />
rocciosi e massi su prati alpini, lastroni e<br />
falesie, dirupi, gole fluviali.<br />
Analoga ecologia e simile distribuzione,<br />
sia geografica che altitudinale, presenta<br />
un altro iulide, Leptoiulus<br />
(Kolpophylacum) helveticus.<br />
Altre specie con esigenze ecologiche<br />
simili sono presenti anche lungo gli<br />
Appennini.<br />
Chilopodi. Anche i chilopodi, come tutti i<br />
predatori “camminatori”, non sembrano<br />
trovare ambienti favorevoli a livello di rupi<br />
e pareti rocciose montane. L’unica<br />
specie che con maggiore frequenza può<br />
trovare rifugio anche alla base delle<br />
pareti rocciose e sulle rupi montane delle<br />
Alpi sembra essere il comune e<br />
relativamente euriecio Lithobius<br />
lucifugus, ben più frequente nei pascoli<br />
Lithobius lucifugus<br />
alpini e negli ambienti erboso-sassosi<br />
delle medie ed alte quote, e in grado di<br />
colonizzare anche i boschi montani.<br />
Insetti. Gli insetti sono qui rappresentati<br />
soprattutto da specie fitofaghe in senso<br />
lato, mentre è ancora abbastanza<br />
rilevante la componente dei microfagi del<br />
suolo bruto; esigua è infine la<br />
componente dei predatori e dei<br />
parassitoidi.<br />
● Ortotteroidei. Benché molte specie di<br />
ortotteri possano più o meno<br />
occasionalmente raggiungere le rupi e le<br />
pareti rocciose montane, sono<br />
pochissime quelle che vi si avventurano<br />
con una certa regolarità. Tra queste,<br />
citiamo ad esempio Stenobothrodes<br />
cotticus, endemico delle Alpi<br />
occidentali, che colonizza soprattutto<br />
margini di ghiaioni e aree rocciose nude,<br />
ma che sovente raggiunge anche pareti<br />
rocciose con limitate cenge a<br />
Glyptobothrus mollis ignifer<br />
vegetazione erbacea rada, circa tra<br />
2000 e 2800 m di quota. Anche diverse<br />
specie del genere Glyptobothrus<br />
possono vivere in questi ambienti, con<br />
popolazioni significative, come G. mollis<br />
ignifer sulle Alpi piemontesi. Anche gli<br />
ensiferi Antaxius difformis e Chopardius<br />
pedestris vivono spesso ad alte quote,<br />
tra rupi e zone di frana sulle Alpi.<br />
A. difformis, delle Alpi centro-orientali,<br />
vive solo in ambienti montani alpini<br />
ed è localmente rappresentato da<br />
popolazioni anche cospicue.<br />
C. pedestris è presente con una<br />
sottospecie anche sulle Alpi Apuane<br />
(C. p. apuanus); questo ortottero vive<br />
anche a quote inferiori ed in una più<br />
vasta gamma di ambienti, ma<br />
Chopardius pedestris<br />
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Glyptobothrus alticola<br />
costituisce spesso un elemento<br />
caratteristico dei locali habitat rupestri<br />
montani. Individui più o meno isolati di<br />
parecchie altre specie orofile e<br />
xerotermofile si fanno peraltro<br />
sorprendere con una certa frequenza a<br />
“prendere il sole” a quote più o meno<br />
elevate su rocce e rupi bene esposte,<br />
come alcuni tettigoniidi decticini del<br />
genere Anonconotus e parecchi acrididi.<br />
● Eterotteri. Gli eterotteri, con regime<br />
trofico molto variabile, sono presenti<br />
con un discreto numero di specie negli<br />
ambienti rupestri montani, con una<br />
netta dominanza di<br />
specie fitofaghe tra<br />
quelle più<br />
rappresentative. Il<br />
reduviide Coranus<br />
subapterus (vedi<br />
disegno) è un<br />
predatore che vive sul<br />
terreno, negli<br />
interstizi tra pietre e<br />
rocce; è specie ad<br />
ampia distribuzione in<br />
Europa e nel<br />
Mediterraneo, che si<br />
rinviene in tutta Italia<br />
in zone montuose. Euryopicoris nitidus<br />
è invece un miride fitofago che si<br />
sviluppa su fabacee rupestri; si tratta di<br />
un elemento eurosibirico presente in<br />
Italia in poche località montane delle<br />
Alpi, dell’Appennino Emiliano, di<br />
Lucania e Calabria. Dimorphocoris<br />
poggii è un altro miride, endemico delle<br />
Alpi Liguri e scoperto solo<br />
recentemente; vive su poacee xerofile<br />
rupestri, a quote tra 1.600 e 2.000<br />
metri. Alla medesima famiglia<br />
appartiene anche Plagiotylus ruffoi,<br />
endemita siciliano che vive sui pulvini di<br />
Astragalus siculus (fabacee), una specie<br />
rupestre presente sui roccioni delle alte<br />
Madonie al di sopra del limite della<br />
vegetazione arborea. Un’altra specie<br />
abbastanza caratteristica è ancora il<br />
tingide Acalypta musci, specie tipica<br />
dei sistemi d’alta montagna di buona<br />
<strong>parte</strong> dell’Europa, in Italia lungo l’arco<br />
alpino e in alcune stazioni<br />
appenniniche, che si sviluppa sui<br />
muschi che crescono in alta montagna<br />
su roccioni e alla base di pareti<br />
rocciose, prediligendo i punti più<br />
ombreggiati e relativamente umidi, fino<br />
a circa 2300 m di quota; questa specie<br />
è peraltro presente anche a quote<br />
inferiori, in ambienti montani, su muschi<br />
arborei in sviluppo su ceppi e tronchi di<br />
conifere. Su rupi soleggiate e scoscese<br />
si rinvengono nelle aree montane di<br />
buona <strong>parte</strong> dell’Italia anche alcuni<br />
rappresentanti del curioso genere<br />
Copium, minuti tingidi fitofagi che<br />
producono galle su calici e corolle di<br />
piccole lamiacee rupestri del genere<br />
Teucrium, e caratteristici per gli ultimi<br />
due articoli delle antenne<br />
eccezionalmente sviluppati. Infine,<br />
ricordiamo ancora l’alidide Alydus<br />
rupestris, endemita alpino tipico della<br />
fascia altitudinale intorno a 2.000 m,<br />
raccolto alla base di roccioni montani<br />
su Vaccinum ed Empetrum.<br />
● Coleotteri. Insieme con i lepidotteri, i<br />
coleotteri sono di gran lunga la<br />
componente più significativa<br />
dell’entomofauna che colonizza<br />
stabilmente le rupi e le pareti rocciose.<br />
Carabidi. I carabidi, che pur<br />
comprendono in Italia oltre 1300<br />
specie, perlopiù predatrici di altri<br />
invertebrati, sono assai scarsamente<br />
rappresentati nell’entomofauna delle<br />
rupi e delle pareti rocciose montane.<br />
Risulta anzi perfino difficile individuarne<br />
qualcuno che sia anche solo<br />
regolarmente presente in questi habitat,<br />
molto ostili per i “camminatori”.<br />
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Carabus (Orinocarabus) pedemontanus<br />
Qualche Carabus del sottogenere<br />
Orinocarabus, in particolare C. bertolinii<br />
sulle Alpi Orientali, si può comunque<br />
occasionalmente far sorprendere in<br />
“arrampicata libera” lungo qualche<br />
parete rocciosa, mentre lungo Alpi e<br />
Appennini qualche minuta specie dei<br />
generi Microlestes e Syntomus può<br />
essere osservata con relativa frequenza<br />
in esplorazione sulla superficie di pareti<br />
rocciose, roccioni e grandi massi.<br />
Qualche raro Ocys si rinviene, infine,<br />
nelle spaccature e nelle fessure di<br />
rocce e rupi.<br />
Nitidulidi e cateretidi. Nitidulidi e cateretidi<br />
sono un gruppo di coleotteri con regime<br />
trofico molto variato, dalla fitosaprofagia o<br />
micetofagia fino alla stretta antofagia e<br />
spermofagia. Numerose sono le specie di<br />
nitidulidi e cateretidi caratteristiche o<br />
persino esclusive di rupi montane e<br />
submontane. Si può anzi sostenere che<br />
molte tra le specie più rilevanti della fauna<br />
italiana (inclusi alcuni endemiti o<br />
subendemiti) siano tipici di questi<br />
habitat. Tra le specie più<br />
caratteristiche possiamo citare<br />
alcuni nitidulidi antofagi del grande<br />
genere Meligethes, come M.<br />
subfumatus (vedi disegno),<br />
endemico di un ristretta area<br />
montana e submontana a ridosso<br />
delle Alpi Marittime, a cavallo tra<br />
Francia e Italia, e allo stadio larvale<br />
monofago sulla lamiacea Lavandula<br />
angustifolia (la lavanda utilizzata<br />
dall’industria cosmetica), dalle basse<br />
quote fino a circa 2000 m. Un’altra specie<br />
(M. nuragicus), endemica di Sardegna e<br />
Corsica, è pressoché esclusiva di rupi<br />
montane silicee, dove, a quote intermedie<br />
(600-1300 m), si sviluppa allo stadio<br />
larvale come monofago su un’altra<br />
lamiacea, Teucrium massiliense. Un altro<br />
elemento subendemico italiano,<br />
Meligethes lindbergi, fortemente<br />
xerotermofilo, è monofago sul più comune<br />
e diffuso Teucrium flavum, soprattutto<br />
lungo pareti calcaree scoscese e<br />
soleggiate, dall’entroterra ligure e triestino<br />
lungo buona <strong>parte</strong> della Penisola e in<br />
Sardegna e Sicilia, dove raggiunge quote<br />
anche relativamente elevate, intorno ai<br />
1500 m. Anche il raro Meligethes fumatus,<br />
anch’esso xerotermofilo, è presente in<br />
località montane e collinari xeriche dalla<br />
Valle d’Aosta alla Calabria, in stretta<br />
associazione ancora con un’altra<br />
lamiacea, Satureja montana, colonizzata<br />
da larve e adulti in periodi dell’anno insoliti<br />
per gli altri rappresentanti del genere,<br />
perlopiù a fenologia primaverile.<br />
Esso presenta infatti un periodo<br />
riproduttivo compreso tra la seconda<br />
metà di luglio e la metà di ottobre. In<br />
primavera vari altri Meligethes sono invece<br />
associati a svariate piccole brassicacee<br />
rupestri, tipiche delle fessure tra le rupi e<br />
dei siti più ombreggiati alla base delle<br />
pareti rocciose; tra questi sono da<br />
ricordare almeno Meligethes subaeneus,<br />
specie oligofaga, localmente legata<br />
con una certa frequenza a<br />
Cardaminopsis spp. in alcune<br />
località del Nord-Est, il<br />
subendemico M. spornrafti, legato<br />
ad Arabis spp. e presente dalle Alpi<br />
occidentali alla Calabria, e il raro e<br />
subendemico M. lunariae,<br />
monofago su Lunaria annua in<br />
ambienti di interfaccia tra rupi scoscese e<br />
rade boscaglie e presente dall’Italia<br />
centrale alla Calabria, fino a circa 1500 m.<br />
Un’altra specie legata ancora a<br />
brassicacee xerofile rupestri è il raro M.<br />
erysimicola, descritto solo in tempi<br />
recentissimi e strettamente legato, in<br />
buona <strong>parte</strong> dell’Europa meridionale, ai<br />
rappresentanti del genere Erysimum.<br />
È presente in buona <strong>parte</strong> delle Alpi e degli<br />
Appennini, da poche centinaia di metri di<br />
quota fino alle rupi e ai brecciai alpini ad<br />
oltre 2300 m. In ambienti rupestri montani<br />
del versante orientale del Gran Sasso, fino<br />
a oltre 1500 m, si rinviene anche M. tener,<br />
altra specie estremamente sporadica a<br />
gravitazione anatolico-balcanica (presente<br />
anche sul Gargano, a quote inferiori),<br />
legata come oligofaga a specie xerofile<br />
rupestri del genere Aurinia. In questo tipo<br />
di habitat rupestri e soleggiati vive,<br />
prevalentemente su serpentini, anche il<br />
rarissimo e strettamente affine Meligethes<br />
chlorocyaneus, di cui ancora si ignora la<br />
pianta ospite (peraltro si tratta quasi<br />
certamente di un’altra brassicacea di rupi<br />
e macereti), che presenta un curioso<br />
areale relitto e frammentato,<br />
comprendente solo poche aree montane<br />
della Bulgaria, della Bosnia, dell’Austria<br />
meridionale, della Slovenia, e in Italia la<br />
singola valle della Stura d’Ala, in Piemonte<br />
occidentale a Nord-Ovest di Torino, fino a<br />
circa 1500 m di quota. Da ricordare infine,<br />
a livello di molti settori montani<br />
dell’Appennino meridionale (dal Cilento<br />
alla Calabria) e di buona <strong>parte</strong> della Sicilia,<br />
una delle specie più caratteristiche di<br />
questi habitat, il subendemico Meligethes<br />
scholzi, strettamente associato, quasi dal<br />
livello del mare fino a oltre 2000 m di<br />
quota, alla lamiacea Ballota rupestris,<br />
lungo pareti rocciose calcaree, gole fluviali<br />
xeriche e rupi.<br />
Tra i cateretidi, i più caratteristici<br />
abitatori di rupi montane sono alcuni<br />
rappresentanti antofagi del genere<br />
Brachypterolus (tutti legati a<br />
scrofulariacee), come B. vestitus,<br />
caratteristico di ambienti rupestri<br />
soleggiati delle aree montane e<br />
submontane dell’Italia nord-occidentale,<br />
su Antirrhinum latifolium, più<br />
ampiamente diffuso in Francia<br />
meridionale e nella penisola Iberica, e il<br />
più comune B. linariae, frequente su<br />
Kickxia spp. e Linaria spp.<br />
Dasitidi e malachiidi. Queste due piccole<br />
famiglie di minuti coleotteri cleroidei<br />
comprendono un grande numero di<br />
specie soprattutto antofaghe, di norma<br />
abbondanti negli habitat xerici e ben<br />
soleggiati. Pochissime però sembrano<br />
essersi in qualche modo specializzate<br />
verso gli ambienti rupestri montani, dove,<br />
almeno in Italia, giungono solo entità<br />
xerofile di fatto più abbondanti alle quote<br />
inferiori (in Europa meridionale qualche<br />
“specialista” delle rupi di medio-alta ed<br />
alta quota è però noto, ad esempio, in<br />
Corsica e sui Pirenei). Possiamo citare il<br />
dasitide Danacea nigritarsis, che lungo<br />
l’Appennino meridionale raggiunge<br />
alcune località cacuminali del Massiccio<br />
del Monte Pollino, dove si rinviene su<br />
sassifraghe rupestri, ma che è ben più<br />
frequente in ambienti rupestri litoranei e<br />
sublitoranei. Sulle Prealpi Orobie (dal<br />
Canton Ticino all’Adamello) si trova<br />
comunque Dasytes lombardus, specie di<br />
altitudine legata ai prati aridi e talvolta<br />
molto abbondante su fiori di colore giallo<br />
di varie famiglie vegetali, che localmente<br />
frequenta anche rocce scoscese e rupi<br />
montane. Anche in questo caso non si<br />
può affermare che la specie sia<br />
effettivamente legata alla forte declività<br />
del substrato, ma certamente situazioni<br />
di questo tipo sembrano favorirla.<br />
Meloidi. I meloidi, che comprendono un<br />
paio di centinaia di specie in Europa,<br />
circa la metà delle quali presenti in Italia,<br />
93
94<br />
sono perlopiù frequentatori di ambienti<br />
steppici e parasteppici, dove la maggior<br />
<strong>parte</strong> delle specie si sviluppa allo stadio<br />
larvale a spese di ortotteri, di cui<br />
vengono parassitate le ovature. Una<br />
<strong>parte</strong> delle entità note, in particolare i<br />
rappresentanti della tribù dei meloini e<br />
soprattutto quelli della sottofamiglia delle<br />
nemognatine, sono invece associati a<br />
imenotteri (soprattuto apoidei) entro i cui<br />
nidi si sviluppano le larve, anche se<br />
soprattutto alle basse quote. Tra le entità<br />
più caratteristiche troviamo le<br />
nemognatine Sitaris muralis, parassitoide<br />
di imenotteri antoforidi, e tipica di pareti<br />
roccioso-terrose e muri a secco che,<br />
sebbene prevalentemente costiera e<br />
subcostiera, si spinge in quasi tutta Italia<br />
anche in aree xerotermiche montane<br />
dell’interno, fino ad almeno 1000 m di<br />
quota, colonizzando gole ed emersioni<br />
rupestri isolate e soleggiate. Occasionali<br />
alla base di rupi e pareti terroso-rocciose<br />
sono anche le due rare e sporadiche<br />
specie italiane del genere Stenoria,<br />
S. analis e S. apicalis, sovente associate<br />
a lamiacee xerotermofile rupestri, solo<br />
raramente a quote significative (perlopiù<br />
in Italia meridionale) e parassitoidi di<br />
imenotteri apoidei colletidi. Analoga<br />
ecologia presentano anche alcune<br />
Zonitis ed Euzonitis distribuite in buona<br />
<strong>parte</strong> della Penisola e in Sicilia,<br />
parassitoidi di imenotteri megachilidi,<br />
come Z. nana e Z. flava, o Euzonitis<br />
terminata ed E. quadrimaculata.<br />
Scarabeoidei. Gli scarabeoidei<br />
comprendono un grande numero di<br />
coleotteri con regime trofico molto<br />
diversificato da gruppo a gruppo (sono<br />
generalmente coprofagi o fitofagi in<br />
senso lato). Le rupi montane sono un<br />
ambiente nettamente inadatto agli<br />
scarabeidi e la loro presenza vi è<br />
piuttosto occasionale.<br />
A <strong>parte</strong> qualche afodiide coprofago poco<br />
specializzato che può seguire il pascolo<br />
caprino anche in questi habitat, le uniche<br />
specie che con una certa frequenza vi si<br />
rinvengono ap<strong>parte</strong>ngono ai melolontidi,<br />
come alcuni Rhizotrogus e Amphimallon e<br />
ancor più raramente qualche Anoxia (ad<br />
esempio A. australis lungo località rupestri<br />
xeriche delle Alpi e Prealpi occidentali), in<br />
volo crepuscolare estivo intorno a forme<br />
arboreo-arbustive di pinacee orofile (Pinus<br />
spp.), oltre al comune ed euriecio sericino<br />
Serica brunnea.<br />
Buprestidi. Il popolamento di buprestidi<br />
degli ambienti rupestri montani non è<br />
particolarmente ricco ed è legato<br />
soprattutto alla locale disponibilità di<br />
elementi arboreo-arbustivi abbarbicati<br />
sulle pareti scoscese ed esposte, dove,<br />
per lo stato di sofferenza che sovente li<br />
contraddistingue in queste condizioni<br />
estreme, possono risultare più facilmente<br />
attaccabili da questi ed altri coleotteri<br />
xilofagi. Oltre a numerose specie xerofile<br />
ed euriecie di piccole dimensioni e poco<br />
appariscenti, in particolare quelle del<br />
genere Anthaxia, perlopiù associate a<br />
pinacee orofile, si può ad esempio citare<br />
la ben più grande e rutilante Latipalpis<br />
plana, associata a querce xerofile,<br />
talvolta presente lungo l’Appennino<br />
anche su rupi soleggiate di media quota<br />
dove crescano lecci in forma arbustiva.<br />
Non si può comunque fare a meno di<br />
Buprestis splendens<br />
ricordare almeno il notissimo ma<br />
altrettanto raro e localizzato Buprestis<br />
splendens, divenuto una delle specie<br />
simbolo della conservazione della natura<br />
in Italia e in Europa (è specie di interesse<br />
comunitario), a distribuzione relitta in vari<br />
settori dell’Europa, e presente in Italia<br />
nelle aree montane del Parco Nazionale<br />
del Pollino a cavallo tra Basilicata e<br />
Calabria. In Italia questa bellissima<br />
specie vive infatti in stretta associazione<br />
con il raro e minacciato pino loricato<br />
(Pinus leucodermis), specie simbolo del<br />
Parco stesso, a sua volta uno degli<br />
elementi più caratteristici dei<br />
popolamenti di alta quota dell’Appennino<br />
Calabro-Lucano, che si spinge<br />
frequentemente a colonizzare anche le<br />
pareti rocciose e le creste montane più<br />
esposte e soleggiate.<br />
Crisomelidi. I crisomelidi, importante<br />
famiglia di coleotteri fitofagi, non<br />
comprendono in Italia molte specie<br />
caratteristiche delle rupi montane e delle<br />
pareti rocciose (sono invece ben più<br />
frequenti in ambienti rupestri<br />
mediterranei delle basse quote).<br />
Si possono ricordare, tra gli altri, alcuni<br />
alticini, come Psylliodes toelgi, ad ampia<br />
distribuzione sudeuropea e presente<br />
anche in svariati settori delle Alpi (dal<br />
Piemonte al Friuli), legato piuttosto<br />
strettamente a specie sia rupestri sia<br />
glareofile di brassicacee orofile del<br />
genere Biscutella, colonizzate talora<br />
anche da alcune Phyllotreta, come<br />
P. atra e P. ganglbaueri. Il congenere<br />
Psylliodes picipes, presente solo lungo le<br />
Alpi orientali, è legato a un certo numero<br />
di brassicacee rupestri.<br />
Curculionoidei. I curculionoidei sono<br />
un’imponente superfamiglia di coleotteri<br />
fitofagi, che annovera alcuni tra gli<br />
elementi più significativi della fauna<br />
rupestre montana. Tra gli apionidi, da<br />
ricordare almeno Osellaeus bonvouloiri,<br />
tipico di roccioni e rupi delle alte quote<br />
delle Alpi, su sassifragacee del genere<br />
Saxifraga, con due sottospecie,<br />
bonvouloiri delle Alpi occidentali italiane<br />
e francesi, e baldensis del Veneto. Tra i<br />
curculionidi, di grande rilievo sono<br />
soprattutto i rappresentanti del genere<br />
Dichotrachelus, con circa 15 specie<br />
endemiche o subendemiche di differenti<br />
aree montane e vallate delle Alpi, tutte<br />
legate ancora a Saxifraga spp., e tipiche<br />
dei roccioni scoscesi e delle pareti<br />
verticali dei grandi massi alle medie e<br />
alte quote. Altro elemento legato alle<br />
sassifragacee rupestri montane<br />
(Saxifraga aizoides) è Pelenomus<br />
hygrophilus, specie circumalpina.<br />
A quote inferiori lungo gli Appennini<br />
troviamo ancora, insieme a numerosi<br />
altri, Ceutorhynchus pinguis, endemita<br />
appenninico assai infrequente e legato<br />
ad Alyssum diffusum (brassicacee), e<br />
Ceutorhynchus verticalis<br />
(dall’emblematico epiteto specifico),<br />
endemita appenninico meridionale legato<br />
ad un’altra brassicacea, Aurinia saxatilis<br />
ssp. orientalis.<br />
● Imenotteri. Molte specie di apoidei<br />
trovano lungo le pareti soleggiate di rupi,<br />
canaloni e gole montane, habitat<br />
riproduttivi ottimali, quelli scavatori<br />
soprattutto quando la natura geologica di<br />
rupi e pareti sia di matrice calcarea e di<br />
origine sedimentaria più recente e meno<br />
compatta. Soprattutto molte specie di<br />
megachilidi, antoforidi, andrenidi e alictidi<br />
sono tra i maggiori frequentatori di questi<br />
habitat, sebbene di norma prediligano le<br />
quote inferiori. Tra i formicidi, assai<br />
scarsamente rappresentati lungo le rupi<br />
montane, se non da occasionali operaie<br />
esploratrici sulle pareti rocciose<br />
(ap<strong>parte</strong>nenti soprattutto a specie ad<br />
ampia valenza ecologica e di scarso<br />
interesse naturalistico), vale la pena di<br />
95
96<br />
ricordare alcune minute entità del genere<br />
Leptothorax, che con una certa<br />
frequenza trovano un microhabitat<br />
favorevole nelle spaccature di roccioni e<br />
pareti montane, dove comunque un<br />
minimo di accumulo di depositi terrigeni<br />
consenta la realizzazione dei loro nidi.<br />
● Lepidotteri. I lepidotteri, sia a volo<br />
diurno che notturno, comprendono un<br />
discreto numero di specie caratteristiche,<br />
se non esclusive, degli ambienti di rupi e<br />
falesie montane. Il papilionide Papilio<br />
alexanor (specie di interesse comunitario),<br />
a distribuzione fortemente disgiunta sul<br />
territorio italiano, presenta tipicamente<br />
colonie in aree xeriche rupestri fino a circa<br />
1000 m di quota, dove la larva si sviluppa<br />
a spese di apiacee del genere Trinia.<br />
Sempre tra i papilionidi, una decisa<br />
predilezione per gli ambienti rupestri viene<br />
mostrata dal notissimo Parnassius apollo<br />
(specie di interesse comunitario), ed in<br />
particolare dalle popolazioni<br />
dell’Aspromonte (P. apollo pumilus), in<br />
Erebia montana<br />
quanto i bruchi sono legati a crassulacee<br />
di rupi e roccioni dei generi Sedum e<br />
Sempervivum. Tra i pieridi, è opportuno<br />
ricordare le specie di Anthocharis, come<br />
A. euphenoides, presente in aree rocciose<br />
fino a circa 2000 m di altitudine sulle Alpi e<br />
gran <strong>parte</strong> degli Appennini, Pieris callidice,<br />
propria delle quote più elevate nella<br />
regione alpina, e le specie di Euchloe, in<br />
particolare E. bellezina, in aree collinari<br />
costiere del settore nordoccidentale.<br />
Tra i licenidi, da citare alcuni Agrodiaetus,<br />
in particolare A. ripartii, presente anche in<br />
ambienti rocciosi soleggiati soprattutto<br />
delle Alpi occidentali e associato a<br />
fabacee rupestri del genere Onobrychis, e<br />
A. galloi, endemico del gruppo del Pollino.<br />
Tra i lepidotteri diurni, i ninfalidi satirini<br />
sono i veri dominatori delle rupi montane;<br />
allo stadio larvale molte specie sono infatti<br />
legate a poacee xerotermofile e rupestri.<br />
Tra le numerose specie caratteristiche di<br />
questi habitat, oltre che di pendii erbososassosi<br />
xerici, a quote variabili da specie a<br />
specie, ma comunque presenti anche in<br />
ambito strettamente montano, ricordiamo<br />
in particolare Satyrus ferula (Alpi e<br />
Appennini), S. actaea (Alpi occidentali),<br />
Chazara briseis (tutta Italia eccetto la<br />
Sardegna), Pseudotergumia fidia ed<br />
Erebia scipio (Alpi occidentali), Hipparchia<br />
alcyone (Italia nordoccidentale e<br />
Appennino centro-settentrionale),<br />
H. statilinus (tutta Italia, eccetto la<br />
Sardegna), H. neomiris (Sardegna), Erebia<br />
styx, E. styria ed E. calcaria (Alpi orientali),<br />
Erebia christi (Piemonte), E. montana ed<br />
E. meolans (Alpi ed Appennini), e infine<br />
l’ampiamente distribuita Hyponephele<br />
lycaon. Ancor più ricca è la componente<br />
notturna di questo ordine, che nel<br />
complesso conta un numero di specie<br />
almeno dieci volte superiore rispetto a<br />
quelle diurne. La famiglia più<br />
rappresentata è quella dei nottuidi, nella<br />
quale spiccano numerose specie di varie<br />
sottofamiglie. Tra le nottuine meritano un<br />
cenno particolare Euxoa decora,<br />
Standfussiana lucernea, Epipsilia<br />
grisescens, Rhyacia helvetina, Chersotis<br />
ocellina, C. alpestris, C. oreina, Spaelotis<br />
senna e Megasema ashworthii.<br />
A sottolineare il legame tra le nottuine e gli<br />
ambienti rupestri va ricordato come molte<br />
specie del gruppo presentino un<br />
fenomeno di sintonizzazione cromatica al<br />
substrato e, per esigenze di<br />
camuffamento, si siano adattate a<br />
seconda delle zone al colore delle rocce<br />
su cui stazionano durante le ore diurne,<br />
esibendo ad esempio fenotipi albini su<br />
massicci calcarei, grigi in aree scistose e<br />
melanici sulle lave. Decisamente ricorrenti<br />
in ambienti rupestri sono altresì svariate<br />
adenine, tra le quali spiccano Hadula<br />
odontites, H. melanopa (boreoalpina a<br />
volo diurno), Sideridis kitti, Antitype suda<br />
e numerose specie di Hadena, le ultime<br />
prevalentemente legate a cariofillacee dei<br />
generi Silene, Lychnis e Dianthus.<br />
In ambienti rupestri al di sopra del limite<br />
della vegetazione arborea degne di nota<br />
sono, nella regione alpina, alcune plusine<br />
adattatesi secondariamente al volo<br />
diurno, tra le quali Syngrapha devergens<br />
e S. hochenwarthi. Particolarmente<br />
frequenti, sebbene non esclusive delle<br />
rupi montane, sono le briofiline (ad es.<br />
genere Cryphia), in virtù dei costumi<br />
lichenivori delle larve, e per lo stesso<br />
motivo comuni e spesso abbondanti<br />
sono numerosi arctiidi della sottofamiglia<br />
delle litosiine, tra cui ricordiamo Nudaria<br />
mundana e le specie del genere Setina.<br />
Decisamente cospicuo è anche il<br />
contingente di geometridi caratteristici di<br />
habitat rupestri, spesso caratterizzati da<br />
livree fortemente criptiche sulle rocce: su<br />
tutti spiccano le ennomine del “vecchio”<br />
genere Gnophos (ad es. G. obfuscatus),<br />
oggi suddiviso in più generi maggiormente<br />
circoscritti dal punto di vista sistematico,<br />
del genere Dyscia (ad es. D. raunaria e D.<br />
sicanaria) ed alcune larentine, tra cui non<br />
poche specie del genere Eupithecia (ad<br />
es. E. venosata). Caratteristici e<br />
facilmente osservabili sono poi i piralidi<br />
eliofili del genere Metaxmeste, dal<br />
caratteristico colore nero, che per<br />
scaldarsi stazionano sulle rocce montane<br />
in pieno sole ad ali aperte. Nelle Alpi, altri<br />
piralidi caratteristici delle zone rocciose<br />
altomontane sono il genere Orenaia e<br />
Catharia pyrenaealis. Vanno pure ricordati<br />
numerosi psichidi, in particolare dei<br />
generi Dahlica, Pseudobankesia, Luffia,<br />
Leptopterix e Oreopsyche, i quali spesso<br />
amano posizionare i loro astucci larvali<br />
sulle rocce montane, appena prima di<br />
impuparvisi, i tineidi del genere Eudarcia,<br />
le cui larve si nutrono di alghe verdi, e<br />
alcune Chamaesphecia, sesidi legati ad<br />
euforbiacee caratteristiche di questi<br />
ambienti. Da segnalare, infine, la curiosa<br />
abitudine del piccolo sfingide diurno<br />
Macroglossum stellatarum di esplorare<br />
con attenzione le pareti rocciose al fine di<br />
individuare anfratti e piccole cavità per lo<br />
svernamento.<br />
97
98<br />
Oedipoda germanica<br />
■ Il popolamento dei ghiaioni<br />
Molluschi. La propensione dei<br />
gasteropodi terrestri a colonizzare i<br />
ghiaioni montani varia principalmente in<br />
funzione delle caratteristiche<br />
morfologiche e del grado di maturità di<br />
questi ambienti. Ghiaioni instabili,<br />
scarsamente vegetati e costituiti<br />
prevalentemente da elementi litoidi di<br />
modeste dimensioni (ciottoli e ghiaia)<br />
presentano in genere una malacofauna<br />
estremamente povera e sono pressoché<br />
privi di specie caratteristiche. I ghiaioni in<br />
cui ai ciottoli si alternano massi e banchi<br />
rocciosi, soprattutto se colonizzati da<br />
rada vegetazione erbacea o arbustiva,<br />
costituiscono invece habitat idonei ad<br />
ospitare una fauna a molluschi che risulta<br />
tanto più diversificata quanto più<br />
complesso è il mosaico ambientale. La<br />
presenza di interstizi tra i massi, di<br />
accumuli di detriti nelle fessure o alla<br />
base degli arbusti, di nicchie che<br />
consentano un tenore più elevato di<br />
umidità, sono tutti fattori che favoriscono<br />
la colonizzazione dei ghiaioni da <strong>parte</strong><br />
dei gasteropodi terrestri.<br />
Tra il limitato numero di specie che,<br />
seppure non essendone esclusive,<br />
mostrano spiccate preferenze per questi<br />
particolari ambienti annoveriamo<br />
Granaria stabilei e Candidula unifasciata,<br />
che frequentano le pietraie erbose,<br />
Tandonia simrothi ed alcune specie di<br />
vitrinidi dei generi Eucobresia,<br />
Phenacolimax e Oligolimax, che si<br />
possono invece rinvenire di preferenza<br />
sotto ai massi dei ghiaioni più stabili. Le<br />
specie presenti dipendono inoltre dal<br />
microclima, funzione soprattutto della<br />
quota, e dalla tipologia del substrato<br />
(calcareo o siliceo). Ad esempio alcune<br />
sottospecie di Chilostoma cingulatum,<br />
nonché C. alpinum, Cepaea sylvatica e<br />
Arianta chamaeleon si rinvengono sui<br />
ghiaioni d’alta quota con substrato<br />
Chilostoma cingulatum colubrinum<br />
calcareo, mentre Chilostoma millieri e<br />
C. zonatum denotano una spiccata<br />
preferenza per quelli a substrato siliceo.<br />
Infine anche l’estensione e l’ubicazione<br />
dei ghiaioni condizionano la<br />
composizione della malacofauna; i<br />
ghiaioni ricoprenti superfici modeste<br />
rappresentano infatti degli ecotoni che<br />
attingono spesso il loro popolamento<br />
dagli ambienti contigui, quali le pareti<br />
rocciose, i pascoli o persino le aree<br />
boschive limitrofe. I loro popolamenti<br />
possono pertanto presentarsi vari e<br />
diversificati, sebbene privi di specie<br />
caratteristiche di questa tipologia<br />
ambientale.<br />
Crostacei. Anche nei ghiaioni montani gli<br />
isopodi, per la mancanza di suoli<br />
significativi, risultano di fatto quasi<br />
assenti. Comunque, qualche specie<br />
orofila e a prevalente attività notturna, ad<br />
esempio alcuni Armadillidium, si può<br />
talora rinvenire alla base di pietre nude,<br />
più facilmente ai margini delle pietraie<br />
stesse, dove la componente terrigena<br />
assuma maggiore consistenza.<br />
Diplopodi. I diplopodi costituiscono,<br />
come abbiamo visto, un importante<br />
gruppo di artropodi terrestri, con<br />
numerose specie presenti in ambito<br />
montano. Pur mancando dei veri<br />
specialisti degli ambienti di ghiaioni<br />
99
100<br />
montani, alcune specie, soprattutto<br />
elementi orofili associati a pascoli aridi e<br />
rocciosi, non sono infrequenti anche in<br />
pietraie, brecciai e alla base di ghiaioni<br />
scoscesi con rada vegetazione e suoli<br />
bruti superficiali. Tra queste possiamo<br />
ricordare almeno il neoatractosomatide<br />
Pseudocraspedosoma grypischium,<br />
endemita circumalpino a relativamente<br />
ampia valenza ecologica, ma che<br />
colonizza con frequenza anche i margini<br />
di ghiaioni e i pendii roccioso-sassosi<br />
scoscesi, fino a quasi 3000 m di quota.<br />
Anche il craspedosomatide<br />
Bergamosoma canestrinii, ad analoga<br />
distribuzione alpina, è stato raccolto<br />
prevalentemente su suoli poco profondi,<br />
fra pietraie e detriti rocciosi, oltre che in<br />
aree aperte (gramineti xerici e sassosi<br />
montani) esposte a Sud, fino a quasi<br />
3000 m, così come alcuni altri<br />
rappresentanti della medesima famiglia,<br />
con areale ed ecologia molto simili (ad<br />
esempio Atractosoma meridionale,<br />
Rothenbuehleria minima e<br />
Dactylophorosoma nivisatelles),<br />
analogamente al polidesmide<br />
Polydesmus monticola e agli iulidi<br />
Leptoiulus alemannicus e L. riparius.<br />
Iulide<br />
Chilopodi. Le uniche specie che sulle<br />
Alpi con frequenza colonizzano i margini<br />
dei ghiaioni montani dove almeno siano<br />
presenti degli accumuli terrigeni più<br />
cospicui (pur non essendone realmente<br />
caratteristiche), sono alcuni litobiidi come<br />
Lithobius lucifugus, il quale nel settore<br />
orientale si accompagna con una certa<br />
frequenza con Lithobius schuleri. Insieme<br />
a L. lucifugus, che, pur caratterizzante,<br />
non è comunque esclusivo nemmeno<br />
delle praterie aride alpine e può anche<br />
trovarsi nei boschi montani, sulle Dolomiti<br />
talvolta si incontrano in questi habitat<br />
anche L. muticus e L. nodulipes, entrambi<br />
elementi a più ampia valenza ecologica e<br />
perciò meno significativi.<br />
Insetti Tra i gruppi più significativi<br />
dell’entomofauna, che colonizzano più o<br />
meno stabilmente i ghiaioni montani,<br />
troviamo ancora soprattutto i coleotteri,<br />
insieme a lepidotteri, ortotteri, eterotteri,<br />
ditteri ed imenotteri. La maggioranza delle<br />
specie di insetti dei ghiaioni è<br />
rappresentata da specie fitofaghe in<br />
senso lato, mentre è ancora abbastanza<br />
rilevante la componente dei microfagi del<br />
suolo bruto; esigua è infine la componente<br />
dei predatori e dei parassitoidi.<br />
● Ortotteroidei. Gli ortotteri (soprattutto gli<br />
acridoidei) sono uno dei gruppi più<br />
riccamente rappresentati a livello dei<br />
ghiaioni montani, benché siano poche le<br />
specie realmente specializzate nel<br />
colonizzarli in modo pressoché esclusivo.<br />
Il gruppo comprende comunque svariate<br />
famiglie (in particolare catantopidi e<br />
acrididi, oltre a qualche tetrigide) con<br />
specie più o meno strettamente<br />
infeudate a substrati xerici e<br />
prevalentemente sassosi, colonizzati solo<br />
da pulvini di piante pioniere e da rade<br />
poacee orofile e xerofile (nella tradizionale<br />
caratterizzazione ecologica degli ortotteri<br />
italiani rientrerebbero nell’associazione<br />
“saxicola campestre”, o lapidicola). Tra le<br />
specie più frequenti sulla vegetazione<br />
erbacea rada dei ghiaioni montani,<br />
soprattutto nei settori di interfaccia con i<br />
Epipodisma pedemontana<br />
seslerieti, o a ridosso di bassi cespuglieti<br />
a ginepri o rododendri, possiamo<br />
ricordare il tetrigide Tetrix bipunctata<br />
(Europa meridionale, arco alpino),<br />
fortemente criptica quando posata su<br />
rocce e pietre di colore bianco-grigiastro,<br />
e in grado di raggiungere i 3000 m di<br />
quota, oltre a molti catantopidi di differenti<br />
generi, come Epipodisma pedemontana<br />
(Alpi occidentali), svariate Italopodisma<br />
(tutte endemiche di limitati settori altomontani<br />
dell’Appennino centrale, ad<br />
affinità egeiche), Chorthopodisma cobellii<br />
(endemita dell’Italia nord-orientale), le<br />
specie del genere Podisma (con specie<br />
sia alpine che appenniniche) e soprattutto<br />
Melanoplus frigidus, tra le specie più<br />
criofile e meglio adattate alla vita su suoli<br />
rocciosi nelle Alpi. Anche l’euriecio e<br />
comune Calliptamus italicus (ampiamente<br />
distribuito nell’Europa meridionale e in<br />
Calliptamus italicus<br />
Italia) può spingersi fino alle fasce<br />
altitudinali montane, soprattutto nell’Italia<br />
meridionale. Prettamente legate al piano<br />
submontano, sono ancora da citare tra i<br />
catantopidi Calliptamus siciliae (specie<br />
distribuita nel bacino Mediterraneo che si<br />
spinge fino alla Manciuria) e Pezzotettix<br />
giornai (specie a distribuzione europeamediterranea).<br />
Queste due ultime specie,<br />
pur essendo riferibili all’associazione<br />
“erbicola campestre”, si rinvengono con<br />
elevata frequenza in aree montane lungo i<br />
sentieri pietrosi ed ai margini dei coni di<br />
Oedipoda caerulescens<br />
deiezione, dove spesso coabitano con gli<br />
acrididi del genere Oedipoda.<br />
Come accennato, sono numerosi i<br />
rappresentanti della famiglia degli acrididi<br />
che, pur se tutt’altro che esclusivi, trovano<br />
comunque habitat favorevoli nei ghiaioni<br />
montani alpini, prealpini e appenninici. Tra<br />
le molte specie, citiamo Psophus stridulus<br />
(arco alpino e Appennino centrale, fino a<br />
oltre 2000 m), le comuni e ampiamente<br />
diffuse Oedipoda caerulescens ed<br />
O. germanica (fino a oltre 2000 m), pure a<br />
marcato criptismo, ma caratteristiche per<br />
la rapida esposizione delle ali<br />
metatoraciche vivacemente colorate<br />
(rispettivamente azzurre e rossastre)<br />
quando spiccano il volo per brevi tratti,<br />
disorientando i potenziali predatori, ma<br />
anche gli ignari escursionisti lungo i<br />
sentieri montani. Ancora, Stenobothrodes<br />
rubicundulus, ad ampia distribuzione in<br />
101
102<br />
Europa meridionale, presente sulle Alpi e<br />
nell’Appennino centrale, fino a 2000 m,<br />
l’affine e già citato S. cotticus, e ancora<br />
Stenobothrus fischeri (in Italia a<br />
distribuzione discontinua tra Alpi, Prealpi<br />
e Appennino, fino in Calabria) e S.<br />
apenninus (endemita appenninco che in<br />
alcuni ambienti può costituire la specie<br />
dominante). Infine, Aeropus sibiricus (ad<br />
amplissima distribuzione, in Italia noto di<br />
quasi tutta la Penisola), Glyptobothrus<br />
binotatus daimai (Alpi occidentali) e<br />
G. alticola (in Italia lungo le Alpi e Prealpi<br />
centro-orientali), G. eisentrauti (Alpi) e<br />
Aeropedellus variegatus, una delle specie<br />
più marcatamente infeudate a questi<br />
habitat lungo le Alpi (soprattutto centrali<br />
e occidentali, fino a quasi 2500 m).<br />
Anche il comune e ampiamente diffuso<br />
Glyptobothrus brunneus brunneus può<br />
raggiungere le più alte quote, soprattutto<br />
nell’Appennino centro-meridionale,<br />
dove è particolarmente abbondante<br />
proprio nelle aree rocciose e pietrose.<br />
Myrmeleotettix maculatus è infine specie<br />
poco comune, ma spesso abbondante<br />
localmente, soprattutto in ghiaioni<br />
montani appenninici, ma anche nelle<br />
Alpi occidentali. Tra gli ortotteri ensiferi, i<br />
tettigoniidi Antaxius difformis e<br />
Chopardius pedestris sono tipici abitatori<br />
di ghiaioni montani, ma anche le specie<br />
del genere Anonconotus (diffuso con<br />
molte specie nelle Alpi occidentali, ma<br />
che raggiunge l’arco alpino centrale)<br />
possono colonizzare tali ambienti. In<br />
Sardegna alcune specie di tettigoniidi del<br />
genere Rhacocleis (del gruppo<br />
R. bacettii) vivono in ambienti di questo<br />
tipo sulle più alte cime dell’isola, come il<br />
Monte Ferru, Monte Corrasi, il Bruncu<br />
Spina ed il Monte Limbara.<br />
Tra gli altri ortotteroidei è da ricordare la<br />
specie endemica Forficula apennina, un<br />
dermattero che si trova frequentemente<br />
proprio nei ghiaioni più freddi delle<br />
Anechura bipunctata<br />
Altri dermatteri che possono colonizzare<br />
questi ambienti sono Chelidura aptera<br />
(delle Alpi Occidentali) e Anechura<br />
bipunctata (Alpi occidentali e Gran Sasso).<br />
Anche alcune specie del genere<br />
Chelidurella (soprattutto C. vignai e<br />
C. thaleri delle Alpi orientali) possono<br />
costituire popolazioni in ambienti montani<br />
e alpini. Da citare anche il blattodeo<br />
Ectobius montanus, che può vivere sulle<br />
rade graminacee vegetanti sui ghiaioni<br />
scoscesi, sempre sulle montagne<br />
dell’Appennino centro-meridionale.<br />
maggiori montagne appenniniche.<br />
● Eterotteri. Gli eterotteri sono<br />
rappresentati da un discreto numero di<br />
entità anche negli habitat dei ghiaioni<br />
montani, sebbene buona <strong>parte</strong> delle<br />
specie presenti sia associata anche a<br />
pascoli montani xerici e sassosi, o a pendii<br />
rocciosi e ambienti più schiettamente<br />
rupestri. Tra gli elementi più caratteristici<br />
possiamo ricordare i già citati tingidi del<br />
genere Copium, in particolare<br />
C. clavicorne, elemento dell’Europa<br />
centro-meridionale che in Italia è presente<br />
in tutte le regioni ad eccezione della<br />
Sardegna, legato a lamiacee del genere<br />
Teucrium presenti sia su rupi che su<br />
ghiaioni (in particolare T. chamaedrys,<br />
T. scorodonia e, almeno in Sicilia,<br />
T. flavum). Il congenere Copium teucrii,<br />
pure ad ampia distribuzione euromediterranea,<br />
è di norma più strettamente<br />
Carabus creutzeri<br />
infeudato ai ghiaioni montani,<br />
specialmente quando, ad esempio lungo<br />
l’arco alpino, si sviluppa prevalentemente<br />
a spese di Teucrium montanum. Tra gli<br />
aradidi si può ricordare Aradus frigidus,<br />
elemento eurosibirico noto in Italia di<br />
pochissime località montane delle Alpi e<br />
dell’Appennino meridionale, e che, a<br />
differenza delle specie congeneri (che si<br />
sviluppano tipicamente sotto cortecce di<br />
alberi abbattuti), vive invece sotto piccole<br />
pietre in zone sassose e rupestri di alta<br />
montagna. Anche il ligeide Geocoris<br />
grylloides è specie montana che si rinviene<br />
generalmente alla base dei cespugli di<br />
piccole lamiacee (Teucrium); si tratta di un<br />
elemento eurosibirico che in Italia è noto<br />
dalle Alpi e dall’Appennino centrale. Un<br />
altro ligeide, questa volta predatore e con<br />
caratteristica distribuzione boreoalpina, è<br />
Geocoris lapponicus, in Italia presente solo<br />
in poche località di quota dell’arco alpino.<br />
● Coleotteri. Carabidi. I carabidi sono<br />
numericamente tra i dominatori degli<br />
ambienti montani, soprattutto nei pratipascoli<br />
delle medie e alte quote, e negli<br />
ambienti alpini in genere. Tuttavia, a livello<br />
di ghiaioni e macereti anche in questa<br />
importante famiglia il numero di specie<br />
presenti con una certa frequenza e<br />
regolarità si riduce di molto. Tra i<br />
rappresentanti del vastissimo genere<br />
Carabus si rinvengono soprattutto alcune<br />
specie prevalentemente elicofaghe<br />
(cacciatrici di molluschi terrestri) del<br />
sottogenere Platycarabus, come Carabus<br />
depressus (Alpi) e C. creutzeri (Alpi<br />
orientali), non rari al margine dei ghiaioni,<br />
sotto la superficie di pietre appiattite anche<br />
di piccole dimensioni, e alcune del<br />
sottogenere Orinocarabus, come Carabus<br />
concolor (Alpi centro-occidentali) o<br />
C. baudii e C. heteromorphus (Alpi<br />
occidentali). Di particolare interesse e<br />
abbastanza caratteristici proprio dei<br />
ghiaioni e delle pietraie umide a ridosso di<br />
pareti rocciose montane sono invece<br />
alcuni rappresentanti alticoli e anche in<br />
questo caso elicofagi del genere Cychrus,<br />
perlopiù molto sporadici e localizzati e di<br />
notevole rilievo conservazionistico, come<br />
in particolare C. graius (endemico delle<br />
Cychrus schmidti<br />
Alpi Graie), C. cylindricollis (endemita<br />
lombardo delle Prealpi Orobie),<br />
C. angulicollis (Alpi Marittime) e<br />
C. schmidti (Alpi Giulie). Uno degli<br />
elementi più caratteristici dei ghiaioni<br />
alpini montani può comunque essere<br />
considerato Patrobus septentrionalis, un<br />
raro elemento orofilo delle Alpi orientali,<br />
a complessiva distribuzione di tipo<br />
boreoalpino (ovvero presente, con<br />
distribuzione frammentata e relitta, in<br />
Nord Europa e lungo l’arco alpino). Anche<br />
svariate specie orofile dei generi Amara,<br />
Pterostichus, Harpalus e Cymindis sono<br />
poi presenti con una certa regolarità<br />
lungo i ghiaioni montani, sebbene sia<br />
103
104<br />
Nebria germari<br />
piuttosto arduo ritenerle realmente<br />
caratteristiche di questi habitat.<br />
Frequenti nei ghiaioni relativamente più<br />
umidi delle Alpi sono anche svariati<br />
rappresentanti orofili di bembidiini del<br />
genere Ocydromus, in particolare quelli<br />
del sottogenere Testediolum, alcuni<br />
trechini del genere Trechus (soprattutto<br />
quelli del gruppo di T. strigipennis), molte<br />
Oreonebria, Nebria germari (Dolomiti),<br />
N. orsinii (Appennino centrale), e infine<br />
Licinus italicus, alcuni Platynus e Leistus<br />
glacialis (Appennino centrale).<br />
Stafilinidi. Lungo l’arco alpino, di<br />
grandissimo interesse è la fauna a<br />
stafilinidi associata ai ghiaioni calcareo-<br />
L. angustiarumberninae rosaorum<br />
(Prealpi lombarde)<br />
L. areraensis (Prealpi lombarde)<br />
L. baldensis (Prealpi venete)<br />
L. brachati (Prealpi venete)<br />
L. cavallensis (Prealpi venete)<br />
L. c. ceresoleana (Alpi occidentali)<br />
L. fauciumberninae<br />
(Alpi e Prealpi lombarde)<br />
L. grignaensis (Prealpi lombarde)<br />
L. knabli recticollis (Prealpi venete)<br />
L. mandli (Prealpi lombarde)<br />
L. manfredi (Dolomiti)<br />
Elementi stenoendemici nel genere Leptusa<br />
dolomitici dove questi vengono consolidati<br />
dai firmeti con Dryas octopetala (le<br />
cosiddette “scale a Dryas”). In questo tipo<br />
di ambiente si possono formare zolle con<br />
suolo abbastanza profondo che sono<br />
l’habitat d’elezione per molte specie attere<br />
e microftalme del genere Leptusa, da<br />
quelle a distribuzione più ampia fino a<br />
molti elementi stenoendemici.<br />
Sempre nei firmeti, sui fiori di Dryas e<br />
talvolta su altri fiori bianchi come quelli del<br />
genere Cerastium si rinvengono alcune tra<br />
le specie di Eusphalerum a distribuzione<br />
più ristretta: E. pulcherrimum delle Prealpi<br />
centrali, E. albipile delle Prealpi Venete,<br />
E. annaerosae delle Dolomiti e<br />
probabilmente anche E. angusticolle delle<br />
Alpi Marittime. Queste specie si trovano<br />
associate a Dryas solo nei firmeti: dove<br />
questa pianta è insediata su suoli più<br />
evoluti, essi mancano infatti del tutto.<br />
Molti altri stafilinidi, fitosaprofagi, predatori<br />
o antofagi (ad esempio altri omaliini) sono<br />
poi più o meno frequentemente presenti<br />
tra le pietre dei ghiaioni, o sui pulvini in<br />
fiore di alcune glareofite, ma si tratta<br />
perlopiù di elementi orofili generalisti, di<br />
norma ben più abbondantemente<br />
rappresentati nei contigui pascoli montani<br />
e nei seslerieti.<br />
L. montispasubii settei (Prealpi venete)<br />
L. montiumcarnorum (Alpi orientali)<br />
L. occulta (Prealpi venete)<br />
L. piceata (Alpi centro-orientali)<br />
L. portusnaoniensis (Prealpi venete)<br />
L. pratensis (Alpi orientali)<br />
L. rhaetoromanica (Alpi Retiche)<br />
L. rosai (Prealpi lombarde)<br />
L. sudetica (Alpi Retiche)<br />
L. t. tirolensis (Dolomiti)<br />
L. tridentina (Catena dei Lagorai)<br />
L. trumplinensis (Prealpi lombarde)<br />
L. vallisvenyi (Alpi occidentali).<br />
Nitidulidi e cateretidi. Numerose sono le<br />
specie di nitidulidi e cateretidi<br />
caratteristiche di ghiaioni e brecciai<br />
montani e submontani. Tra le specie più<br />
tipiche possiamo citare ancora alcuni<br />
nitidulidi antofagi del grande genere<br />
Meligethes, come il comune M.<br />
aeneus, associato a moltissime<br />
brassicacee anche coltivate e<br />
presente dal livello del mare fino<br />
a oltre 2500 m di quota, ma che<br />
nei ghiaioni di alta quota è di<br />
norma stenofago su<br />
Biscutella spp. Tra le<br />
numerose altre entità troviamo<br />
M. erysimicola e M. fumatus (vedi<br />
disegno), di cui già si è parlato<br />
per la fauna delle rupi, M. reyi e<br />
M. solidus, legati a cistacee orofile e<br />
alticole del genere Helianthemum,<br />
presenti in aree xerotermiche e ghiaioni<br />
soleggiati delle Alpi e Prealpi e lungo<br />
l’Appennino fino al Massiccio del Pollino,<br />
da 800 a oltre 2500 m, e M. oreophilus, dal<br />
significativo epiteto specifico, endemico<br />
dell’Italia geografica, a distribuzione<br />
alpino-appenninica, esclusivo di ghiaioni,<br />
pietraie e seslerieti di medio-alta ed alta<br />
montagna, a quote comprese tra 1200 e<br />
2500 m, e associato a lamiacee alticole del<br />
genere Thymus. Lungo le Alpi orientali e<br />
occidentali e in una isolata stazione<br />
dell’Appennino Laziale-Abruzzese (Monte<br />
Elefante nel gruppo del M. Terminillo) è<br />
presente anche il rarissimo M. devillei, in<br />
Europa meridionale esclusivo delle alte<br />
quote (1700-2600 m), e legato alle<br />
altrettanto rare specie orofile del genere<br />
Dracocephalum (lamiacee), in seslerieti e al<br />
margine di brecciai. Altra specie di rilievo è<br />
un’entità recentemente scoperta e<br />
descritta su materiale rinvenuto in vari<br />
paesi dell’Europa meridionale,<br />
M. arankae, in Italia peninsulare<br />
monofaga sulla rara brassicacea<br />
Hesperis laciniata, tipica glareofila<br />
montana. Probabilmente associato ai<br />
ghiaioni montani, su qualche<br />
brassicacea, è infine anche il rarissimo<br />
M. salvan, paleoendemita ad areale<br />
verosimilmente molto ristretto e descritto<br />
solo recentemente, dalla biologia ancora<br />
ignota e conosciuto sulla sola base dei<br />
tipi, raccolti agli inizi del secolo<br />
scorso sulle pendici del<br />
Monte Argentera (Alpi<br />
Marittime). Tra i cateretidi, il più<br />
caratteristico abitatore di<br />
ghiaioni montani è un<br />
rappresentante del genere<br />
Brachypterolus, il già citato<br />
B. linariae, frequente in<br />
ambienti xerici sassosi e<br />
soleggiati delle aree montane<br />
e submontane dell’Italia<br />
peninsulare, e legato a Kickxia spp. e<br />
Linaria spp. (scrofulariacee).<br />
Dasitidi e malachiidi. Queste due piccole<br />
famiglie di minuti coleotteri comprendono<br />
un gran numero di specie soprattutto<br />
antofaghe, di norma abbondanti negli<br />
habitat xerici e ben soleggiati. Pochissime<br />
però sembrano essersi in qualche modo<br />
specializzate negli ambienti dei ghiaioni<br />
montani, dove giungono svariate specie di<br />
dasitidi del genere Danacea, presenti però<br />
anche a quote di gran lunga inferiori.<br />
Da citare è comunque il curioso caso dei<br />
malachiidi del genere Malthodes riferibili al<br />
gruppo di M. trifurcatus, che si trovano<br />
generalmente su conifere (abete rosso,<br />
larice) ma che, in alta montagna, oltre il<br />
limite degli alberi, sono spesso presenti<br />
con popolazioni differenziate in “forme di<br />
alta quota” di non chiaro determinismo<br />
genetico e non sufficientemente esplorato<br />
rango tassonomico, caratterizzate in<br />
particolare da femmine attere e da maschi<br />
con gli ultimi segmenti addominali meno<br />
sviluppati, che vivono invece sul terreno,<br />
tra pietraie e pascoli aridi sassosi.<br />
Rappresentano una serie di presunte<br />
“sottospecie altitudinali”, per le quali non è<br />
105
106<br />
ben noto quanto la declività e l’aridità del<br />
substrato siano determinanti, ma che<br />
certamente sono associate ad habitat in<br />
cui l’insolazione, la durata e lo spessore<br />
del manto nevoso, e altri fattori abiotici<br />
devono svolgere un ruolo importante. Si<br />
tratta in particolare di Malthodes trifurcatus<br />
atramentarius (Alpi occidentali e centrali),<br />
M. penninus icaricus (Alpi centrali),<br />
M. atratus (Alpi Marittime) e M. atratus<br />
samniticus (Gran Sasso).<br />
Meloidi. Tra le entità non proprio<br />
caratteristiche, ma occasionalmente<br />
presenti in ghiaioni submontani xerici a<br />
quote medie, spesso a ridosso di basse<br />
pareti rocciose, troviamo il meloino Meloe<br />
erythrocnemus, a fenologia tardo<br />
invernale-primaverile, più spesso<br />
associato a località xeriche di bassa quota<br />
con substrati sabbiosi, e diffuso, benché<br />
piuttosto raro, in buona <strong>parte</strong> dell’Italia<br />
peninsulare e in Sicilia. L’ospite degli stadi<br />
larvali è tipicamente l’imenottero<br />
megachilide Chalicodoma muraria.<br />
Analoga ecologia e simile etologia sembra<br />
presentare anche una specie a<br />
gravitazione maghrebina, Meloe aegyptius,<br />
rarissima in Italia, dove è nota di<br />
pochissime stazioni della sola Sicilia<br />
settentrionale, tra cui il Bosco di Ficuzza ai<br />
piedi della spettacolare Rocca Busambra.<br />
Anche alcuni milabrini orofili del genere<br />
Mylabris (in particolare del sottogenere<br />
Mylabris variabilis<br />
Micrabris) come M. pusilla e M. flexuosa,<br />
tipici dei prati-pascoli montani a carattere<br />
parasteppico, si rinvengono talora anche<br />
sulla rada vegetazione a graminacee<br />
xerofile dei ghiaioni di Alpi e Appennini,<br />
anche a quote elevate (2000-2500 m).<br />
Tenebrionidi. I tenebrionidi sono ben<br />
rappresentati negli ambienti pietrosi di<br />
media e alta quota. In questa famiglia<br />
sono infatti numerose le linee filetiche<br />
contraddistinte dall’atterismo e da<br />
un’elevata resistenza all’aridità. Tali<br />
caratteristiche rendono le specie di<br />
queste linee evolutive ”preadattate” alla<br />
vita negli ambienti pietrosi di alta quota,<br />
dove la presenza di venti forti tende a<br />
favorire gli insetti non volatori (i quali<br />
verrebbero più facilmente spazzati via),<br />
mentre la scarsità di acqua, soprattutto in<br />
estate, la scarsissima ritenzione idrica del<br />
terreno e la mancanza di copertura<br />
vegetale richiedono la capacità di<br />
sopravvivere a lungo in condizioni di forte<br />
evapotraspirazione, di elevate escursioni<br />
termiche e di mancanza d’acqua. Mentre<br />
in molti insetti si osservano specie<br />
cacuminali attere, in cui la perdita di ali è<br />
subentrata a seguito dell’adattamento alla<br />
vita d’alta quota, nel caso dei tenebrionidi<br />
si tratta di specie ap<strong>parte</strong>nenti a gruppi<br />
atteri primitivamente, che proprio grazie a<br />
questa caratteristica hanno potuto<br />
colonizzare meglio di altri questi ambienti<br />
inospitali. Sono quindi parecchie le<br />
specie di tenebrionidi “petrofile” (in cui<br />
cioè si osserva una più o meno spiccata<br />
specializzazione per la vita sotto pietre)<br />
presenti negli ambienti aridi di montagna,<br />
quali ghiaioni e macereti. Mentre sulle<br />
Alpi (da questo gruppo ricolonizzate solo<br />
dopo l’ultimo glaciale) mancano forme<br />
endemiche, lungo la catena appenninica<br />
sono presenti, negli ambienti montani<br />
aridi e pietrosi, due specie, endemiche<br />
italiane, con sottospecie caratteristiche<br />
delle vette: Asida pirazzolii e Colpotus<br />
strigosus. A. pirazzolii è una specie<br />
dell’Appennino centrale, suddivisa in due<br />
sottospecie: la forma tipica è piuttosto<br />
frequente sotto le pietre dei luoghi aridi,<br />
specialmente nei siti molto elevati, mentre<br />
la ssp. sardiniensis (che, a dispetto del<br />
nome non si trova in Sardegna) si<br />
localizza negli stessi ambienti a quote<br />
generalmente più basse. Colpotus<br />
strigosus colonizza, con diverse<br />
sottospecie, quasi tutta l’Italia<br />
appenninica, dall’Appennino Tosco-<br />
Emiliano alla Sicilia, con gravitazione<br />
lungo l’Appennino centro-meridionale,<br />
soprattutto nel versante tirrenico.<br />
La ssp. ganglbaueri è presente solo in<br />
poche stazioni dell’Appennino centrale,<br />
ove si rinviene sotto le pietre dei siti aridi.<br />
Un altro interessante tenebrionide è<br />
Crypticus quisquilius, una specie<br />
distribuita in tutta Europa, nel Caucaso, in<br />
Siberia e in Mongolia. La ssp. aprutianus<br />
è endemica dell’Italia appenninica centromeridionale,<br />
dove si trova sotto pietre di<br />
ambienti montani aridi. Infine ricordiamo<br />
due specie sublapidicole endemiche della<br />
Sardegna: Opatrum dahli (diffuso nella<br />
maggior <strong>parte</strong> dell’isola) e O. nivale<br />
(circoscritto al Gennargentu). Il primo è<br />
xerofilo ed è diffuso dal livello del mare<br />
fino a circa 1000 m di quota, mentre il<br />
secondo è presente tra 1200 e 1800 m.<br />
Elateridi. Gli elateridi che vivono a livello<br />
dei ghiaioni montani includono solo<br />
poche specie, alcune delle quali oltre<br />
tutto più propriamente legate a terreni<br />
detritici del piano alpino ma ripicole,<br />
nettamente igrofile, dunque viventi solo<br />
in prossimità di ruscelli e rivoletti da<br />
disgelo. Hypnoidus consobrinus è<br />
presente in Scandinavia e lungo l’arco<br />
alpino, anche a quote elevate.<br />
I congeneri H. rivularius e H. riparius<br />
sono elementi a più ampia distribuzione,<br />
in Italia limitati all’arco alpino o al<br />
massimo all’Appennino settentrionale.<br />
La presenza di un minimo di vegetazione,<br />
e dunque una relativa stabilità del suolo<br />
intorno a pulvini di qualche specie<br />
vegetale, sono comunque condizioni<br />
irrinunciabili per l’insediamento di queste<br />
specie, tutte con larva rizofaga; la loro<br />
presenza nei ghiaioni veri e propri è<br />
dunque da considerare marginale.<br />
Un’altra specie legata ai macereti è<br />
Berninelsonius hyperboreus, elemento<br />
boreoalpino presente in Italia solo sulle<br />
Alpi dalla Liguria al Trentino. Due specie<br />
di Selatosomus, S. amplicollis e<br />
Selatosomus sp.<br />
S. aeneus, sono invece elementi<br />
montani sublapidicoli che frequentano<br />
pietraie e macereti anche molto scoscesi.<br />
S. amplicollis (Europa meridionale e<br />
Turchia) in Italia si trova sulle Alpi Liguri e<br />
Marittime e lungo tutto l’Appennino fino<br />
ai Nebrodi e alle Madonie. Selatosomus<br />
aeneus (elemento sibirico-europeo)<br />
popola invece solo le Alpi e l’Appennino<br />
settentrionale. Anche alcune Ctenicera,<br />
con larve perlopiù rizofaghe (che<br />
necessitano dunque anche di un minimo<br />
di terreno consolidato per il loro<br />
sviluppo), da adulti sono abbastanza<br />
frequenti anche sulla rada vegetazione<br />
erbacea dei ghiaioni (sebbene siano ben<br />
più abbondanti nei pascoli xerici), in<br />
particolare C. pectinicornis, ad ampia<br />
distribuzione europea e sibirica, comune<br />
sulle più alte cime delle Alpi e<br />
dell’Appennino.<br />
107
108<br />
Scarabeoidei. Anche a livello dei ghiaioni<br />
montani la presenza degli scarabeoidei è<br />
piuttosto occasionale. A <strong>parte</strong> qualche<br />
coprofago poco specializzato che può<br />
seguire il pascolo anche ai margini di<br />
questi habitat, le uniche specie che con<br />
una certa frequenza vi si rinvengono sono<br />
alcuni afodiidi rappresentanti dei generi<br />
Agolius e Neagolius. Nel loro insieme si<br />
tratta di specie caratteristiche del piano<br />
alpino, e diffuse soprattutto nel mosaico<br />
di ambienti che si trovano fra 1800 e 2800<br />
metri di quota (pascoli alpini, vallette<br />
nivali, ghiaioni con chiazze di neve).<br />
Agolius abdominalis (Alpi e Carpazi),<br />
viene spesso raccolto in escrementi di<br />
marmotta, pernice, camoscio, pecora e<br />
talvolta bovini. I Neagolius, invece, si<br />
trovano soltanto sotto le pietre o in volo;<br />
probabilmente non sono coprofagi ma<br />
fitosaprofagi. Vale la pena di citare<br />
Neagolius pollicatus (Alpi orientali e<br />
Prealpi Venete), N. amblyodon (Alpi Cozie<br />
e Graie), N. montanus (dalle Alpi Venete<br />
alle montagne dei Balcani), N. limbolarius<br />
(dalle Alpi centrali alle montagne della<br />
Grecia settentrionale), N. schlumbergeri<br />
(Pirenei, Alpi, Appennini), N. liguricus (Alpi<br />
Liguri e Marittime), e infine N. penninus<br />
(endemico italiano; Alpi Pennine, gruppi<br />
montuosi a Sud del Monte Rosa). I<br />
Neagolius presentano un dimorfismo<br />
sessuale notevole, tanto che talvolta<br />
maschi e femmine sono stati descritti<br />
come specie distinte. In alcune specie le<br />
femmine sono microttere o brachittere, e<br />
depigmentate. Sembra che alcune specie<br />
siano attratte dalle superfici chiare e per<br />
questo si trovano spesso posate sulle<br />
rocce calcaree e sui ghiaioni.<br />
Crisomelidi. Anche a livello dei ghiaioni<br />
montani il popolamento di crisomelidi<br />
non è particolarmente ricco, e presenta<br />
sovente commistioni tra le cenosi<br />
caratteristiche dei pascoli xerici di media<br />
ed alta quota con quelle delle rupi.<br />
Possiamo comunque citare almeno<br />
l’alticino Longitarsus springeri, raro<br />
endemita delle medie ed alte quote<br />
dell’Appennino centrale, associato<br />
all’asteracea Senecio rupestris, e i<br />
minuscoli congeneri L. obliteratus e<br />
L. obliteratoides, a più ampia<br />
distribuzione europea, abbastanza<br />
frequenti tra 500 e almeno 1500 m di<br />
quota lungo buona <strong>parte</strong> della Penisola,<br />
e associati a lamiacee xerofile e<br />
glareofile, tra cui Satureja montana e<br />
specie orofile del genere Thymus.<br />
Sempre tra gli alticini Psylliodes instabilis,<br />
pure ad ampia distribuzione sudeuropea<br />
e italiana, è invece legato a brassicacee,<br />
come alcuni rappresentanti dei generi<br />
Alyssum, Aurinia, Iberis ed Erysimum.<br />
Dibolia rugulosa, ad ampia distribuzione<br />
in Europa meridionale e in Italia<br />
settentrionale, è infine frequentemente<br />
associata, a quote intermedie, sovente<br />
anche ai margini di ghiaioni, alla lamiacea<br />
Stachys annua. Tra i crisomelini, vale la<br />
pena di ricordare almeno Oreina viridis,<br />
ampiamente distribuita alle quote<br />
relativamente più elevate delle Alpi (dalle<br />
Marittime alle Giulie) e dell’Appennino<br />
centrale, dalla biologia larvale poco nota,<br />
e la congenere O. sibylla, endemica<br />
dell’Appennino centrale e associata,<br />
perlopiù in pascoli di quota, ad asteracee<br />
del genere Doronicum, ma presente<br />
anche sui ghiaioni contigui.<br />
Curculionoidei.<br />
I curculionoidei sono ben<br />
rappresentati anche<br />
nell’ambito della fauna dei<br />
ghiaioni montani. Oltre ad<br />
alcuni rappresentanti<br />
alpini del già citato<br />
genere Dichotrachelus<br />
(vedi disegno), presenti<br />
anche nelle pietraie delle<br />
medie e alte quote, sono<br />
da ricordare soprattutto Otiorhynchus sp.<br />
le quattro specie del genere<br />
Oreorhynchaeus (O. baldensis, O. focarilei,<br />
O. pacei e O. spectator), tutte endemiche<br />
di limitati settori del versante italiano di Alpi<br />
e Prealpi, legate ad ambienti di alta quota,<br />
probabilmente viventi a spese di minute<br />
cariofillacee alticole, e che si rinvengono<br />
frequentemente proprio tra le pietre dei<br />
ghiaioni montani. Nell’ambito della stessa<br />
famiglia va ricordato anche lo staflino<br />
Trachystyphlus alpinus, presente con<br />
diverse sottospecie sulle Alpi e lungo<br />
l’Appennino centrale, e i rari ceutorinchini<br />
Ceutorhynchus inaffectatus (aree montane<br />
dell’Italia settentrionale e centrale) e<br />
C. bifidus (aree montane dell’Italia centrale<br />
e meridionale), entrambi associati alla non<br />
frequente ma caratteristica brassicacea<br />
glareofila Hesperis laciniata.<br />
Oltre a svariati altri ceutorinchini, tichiini<br />
ed apionidi associati ad altre piante<br />
glareofile ed alticole (altri Ceutorhynchus,<br />
alcuni Brachyodontus, alcuni Apion,<br />
svariati Tychius, ecc.), annotiamo anche<br />
che un cospicuo numero di altri<br />
curculionidi di svariati generi sono<br />
frequentemente presenti sotto pietre,<br />
anche minute, soprattutto ai margini dei<br />
ghiaioni montani, dove aumenti la<br />
consistenza dei suoli; tra questi, ad<br />
esempio, alcune specie orofile ed alticole,<br />
endemiche italiane, dei generi<br />
Otiorhynchus (sottogenere Nilepolemis),<br />
Neoplinthus e Leiosoma.<br />
● Ditteri. Sirfidi. Tra i rappresentanti di<br />
questa importante famiglia che<br />
colonizzano ghiaioni e zone rocciose di<br />
media e alta quota troviamo tra gli altri<br />
Rohdendorfia alpina, specie petrofila a<br />
distribuzione alpina, tipica di substrati<br />
rocciosi, morenici e di ghiaioni, rinvenibile<br />
presso corsi d’acqua o ai margini dei<br />
ghiacciai, tra 2500 e 2800 m.<br />
È caratterizzata da un volo veloce e<br />
radente, interrotto da brevi pause sugli<br />
spuntoni di roccia più elevati: appena i<br />
raggi del sole vengono oscurati dal<br />
passaggio di una nuvola, scompare tra i<br />
ciottoli. Si nutre su fiori di Cerastium,<br />
Leucanthemopsis alpina e Sedum.<br />
Le femmine ricercano pietre dalla<br />
superficie piana circondate da vegetazione<br />
a cuscinetto (come cariofillacee del genere<br />
Cerastium), deponendo le uova sulla<br />
superficie inferiore delle stesse pietre.<br />
Cheilosia aristata, a distribuzione alpina, è<br />
un elemento orofilo tipico di ambienti<br />
rocciosi silicei preferibilmente esposti a<br />
Sud e ben soleggiati, tra 2300 e 2400 m.<br />
Si può osservare sui fiori di Silene<br />
rupestris. I maschi, fortemente territoriali,<br />
sostano sulle rocce ben soleggiate e<br />
piatte, staccandosene solo di tanto in<br />
tanto, rimanendo in volo stazionario<br />
presso la superficie (come molti altri<br />
sirfidi). Ischyroptera bipilosa, ancora a<br />
distribuzione alpina, è un altro elemento<br />
strettamente petrofilo, che si rinviene oltre<br />
i 2400 m su ghiaioni e substrati rocciosi<br />
compatti e con scarsa vegetazione.<br />
Gli adulti sono attivi tra maggio e giugno,<br />
soprattutto quando la neve è ancora<br />
presente in abbondanza in ampie aree.<br />
I maschi, diversamente dalla<br />
maggioranza delle altre specie, volano a<br />
circa 2-3 m d’altezza dal suolo.<br />
Tachinidi. Tra i numerosi rappresentanti di<br />
questa importante famiglia di ditteri<br />
parassitoidi troviamo ad esempio<br />
Sarromyia nubigena, distribuita dalle Alpi<br />
109
110<br />
centrali ai Pirenei. È specie rara, parassita<br />
del lepidottero psichide Oreopsyche<br />
leschenaulti. Vola a balzelli tra i ciottoli e<br />
la vegetazione prostrata su ghiaioni d’alta<br />
quota e macereti, di norma oltre i 2500 m,<br />
spesso su fiori di Rhododendron e di<br />
Loiseleuria. Analoga distribuzione alpinopirenaica<br />
ha Admontia cepelaki, i cui<br />
ospiti sono sconosciuti; appartiene<br />
comunque a un gruppo di entità parassite<br />
di larve di ditteri tipulidi. Come la specie<br />
precedente, vola a balzi a pochi<br />
centimetri dal suolo su ghiaioni d’alta<br />
quota, spesso a ridosso dei nevai, da<br />
2700 a 3300 m. Wagneria alpina,<br />
distribuita su Alpi e Pirenei, oltre che in<br />
Scandinavia e nella Russia europea, è un<br />
altro elemento xerofilo tipico di substrati<br />
rocciosi esposti a sud, non raro sulle Alpi<br />
in tali ambienti, oltre i 1200 m; i suoi ospiti<br />
sono pure sconosciuti (forse bruchi di<br />
micro- o macrolepidotteri).<br />
● Imenotteri. Molti sono gli imenotteri che<br />
colonizzano in via più o meno<br />
preferenziale i ghiaioni montani,<br />
soprattutto tra gli apoidei (in particolare<br />
apidi, andrenidi e megachilidi). Singolare<br />
è il comportamento di un vespide che<br />
vive e nidifica sulle Alpi al disopra di<br />
700–800 m. Si tratta di Polistes biglumis<br />
bimaculatus, che fissa il nido, formato da<br />
alcune cellette di cartone, sotto le pietre,<br />
soprattutto nei ghiaioni, purché abbiano<br />
un interspazio sufficiente per impiantarlo<br />
in modo che non sia in contatto con il<br />
terreno. Questa specie sfrutta così il<br />
particolare microclima con temperatura<br />
più elevata rispetto a quella della zona<br />
circostante, non soltanto perché il luogo è<br />
ben riparato, ma anche per il<br />
riscaldamento della pietra dovuto<br />
all’irraggiamento solare. Questo<br />
comportamento consente alla fondatrice<br />
del nido di sfruttare un periodo di<br />
sopravvivenza in montagna assai più<br />
lungo di quello solitamente possibile per<br />
la maggior <strong>parte</strong> degli altri imenotteri, ad<br />
esclusione forse degli apidi del genere<br />
Bombus. I bombi sono in effetti<br />
rappresentati da molte specie nelle<br />
praterie e nei pascoli aridi delle medie ed<br />
alte quote appenniniche ed alpine; gli<br />
adulti frequentano anche fiori ed<br />
infiorescenze di vegetali glareofili, ma<br />
nessuna specie è veramente<br />
caratteristica di ghiaioni e brecciai, visitati<br />
quasi esclusivamente per la raccolta del<br />
nettare sui fiori e per sfruttarne le<br />
condizioni termiche in genere più<br />
favorevoli. Anche qualche mutillide, in<br />
Mutilla europaea<br />
particolare la comune e diffusa Mutilla<br />
europaea, parassitoide massiva proprio<br />
dei nidi sotterranei di Bombus, è<br />
frequente almeno ai margini dei ghiaioni<br />
più soleggiati, dove qualche deposito<br />
terrigeno può consentire la realizzazione<br />
dei nidi stessi. Tra i formicidi, molte<br />
specie frequentano in esplorazione anche<br />
i ghiaioni montani, sebbene la maggior<br />
<strong>parte</strong> non sia in grado di stabilire i propri<br />
nidi nei substrati dei ghiaioni, al solito per<br />
la mancanza della componente terrigena.<br />
Tra gli elementi comunque più frequenti<br />
lungo Alpi ed Appennini, citiamo almeno<br />
numerose specie orofile e xerofile dei<br />
generi Lasius, Formica e Tetramorium.<br />
● Lepidotteri. I lepidotteri, sia a volo<br />
diurno che notturno, comprendono un<br />
cospicuo numero di specie tipiche anche<br />
negli ambienti dei ghiaioni montani.<br />
Spesso si tratta delle medesime entità<br />
che frequentano gli habitat rupestri, che<br />
eviteremo perciò di ricordare, ma non<br />
mancano specie che mostrano una<br />
precisa preferenza per i substrati<br />
rocciosi incoerenti, vuoi perché<br />
spiccatamente xerotermofile, vuoi<br />
perché legate allo stadio larvale a piante<br />
glareofile. Infatti, i ghiaioni ospitano una<br />
sorta di versione xerofila del biota delle<br />
rupi, in virtù del loro notevole drenaggio<br />
idrico e della conseguente maggiore<br />
aridità. Anche nei ghiaioni montani, i<br />
ninfalidi satirini sono una delle<br />
componenti più significative della<br />
lepidotterofauna. Tra le numerose entità<br />
caratteristiche di questi habitat<br />
ricordiamo Oeneis glacialis (Alpi) e varie<br />
erebie, come Erebia pluto ed E. gorge<br />
(Alpi e Appennini). Nel complesso, le<br />
caratteristiche salienti della componente<br />
notturna dei lepidotteri non differiscono<br />
molto da quelle già descritte per le rupi<br />
montane e submontane. Tra i licenidi,<br />
degno di nota è Scolitantides orion,<br />
presente con numerose colonie isolate<br />
in aree rocciose e sassose soprattutto<br />
Erebia pluto<br />
nel norditalia, e legato come larva a<br />
piante di Sedum (crassulacee).<br />
Sebbene non esclusivi dei ghiaioni<br />
montani, numerosi arctiidi, come ad<br />
esempio Chelis maculosa e Arctia<br />
festiva, trovano evidentemente il loro<br />
optimum ecologico in questi ambienti.<br />
Più strettamente legata ai brecciai ed<br />
alle morene glaciali è Holoarctia cervini,<br />
nota di pochissimi distretti alpini, dove<br />
vive a quote comprese tra i 2500 e i<br />
3300 m. Anche la notissima Arctia flavia,<br />
a distribuzione boreoalpina, sulle Alpi si<br />
incontra di preferenza sui brecciai<br />
altomontani fino a circa 3000 m di quota.<br />
Tra gli sfingidi, lepidotteri di<br />
ragguardevoli dimensioni, probabilmente<br />
il glareofilo più stretto è Hyles vespertilio,<br />
i cui bruchi si nutrono a spese di<br />
Epilobium. Nell’ambito della vasta<br />
famiglia dei nottuidi, caratteristici<br />
elementi sono le rare Sympistis, eliofile e<br />
presenti sulle Alpi alle più alte quote, ed<br />
Euxoa culminicola, anch’essa presente<br />
sulle Alpi ad elevata altitudine. I ghiaioni<br />
ospitano anche specie del tutto<br />
peculiari, per molte delle quali biologia e<br />
distribuzione sono scarsamente note.<br />
È questo il caso dei geometridi del<br />
genere Elophos, con due specie<br />
accertate per le Alpi italiane (E. caelibaria<br />
e E. zelleraria), le cui femmine presentano<br />
ali più o meno fortemente ridotte. Ma le<br />
specie certamente più caratteristiche dei<br />
ghiaioni sono Sciadia tenebraria e quelle<br />
del genere Glacies, con abitudini diurne e<br />
presenti anche a quote prossime ai 4000<br />
m nella regione alpina. In modo<br />
particolare, G. alticolaria e G. coracina<br />
sono note esclusivamente per poche<br />
località alpine, mentre G. canaliculata<br />
appare distribuita con maggiore<br />
continuità. Abbastanza caratteristiche di<br />
questi habitat sono infine anche alcune<br />
specie alpine di psichidi del genere<br />
Oreopsyche e vari gelechidi, in<br />
particolare del genere Caryocolum.<br />
111
112<br />
Stambecco delle Alpi (Capra ibex)<br />
Vertebrati: <strong>parte</strong> tassonomica<br />
■ Anfibi<br />
Tra i pochi anfibi che possono<br />
sopravvivere negli ambienti semirupestri<br />
montani, la salamandra di Lanza<br />
(Salamandra lanzai) e la salamandra<br />
Salamandra alpina (Salamandra atra)<br />
alpina (Salamandra atra) sono le uniche<br />
specie che vi si possono insediare<br />
stabilmente, in virtù dei loro peculiari<br />
adattamenti fisiologici. Queste<br />
salamandre, infatti, riescono a resistere<br />
alle rigide temperature invernali che<br />
persistono a lungo alle alte quote,<br />
trascorrendo numerosi mesi in completa<br />
ibernazione all’interno del suolo, al di<br />
sotto della copertura nevosa. Inoltre, a<br />
differenza dagli altri anfibi, non<br />
necessitano di acque superficiali per<br />
riprodursi e svilupparsi. L’intera fase<br />
larvale viene infatti compiuta in ambiente<br />
intrauterino: gli embrioni ricevono<br />
sostanze nutritive dalla madre e si<br />
accrescono anche a spese di altri<br />
embrioni che sono quindi destinati a non<br />
svilupparsi; al termine di una gestazione<br />
che dura due o tre anni, le femmine<br />
partoriscono dei piccoli individui già<br />
metamorfosati, fino a cinque o sei alla<br />
volta nel caso della salamandra di Lanza,<br />
ma non più di due nel caso della<br />
salamandra alpina. Queste specie<br />
possono così colonizzare anche i<br />
versanti più rocciosi e acclivi, addirittura<br />
sui massicci carsici, dove il ristagno<br />
superficiale di acqua è infrequente. In<br />
assenza di altri urodeli possono quindi<br />
raggiungere densità di centinaia di<br />
individui per ettaro. Mentre la<br />
salamandra di Lanza è confinata a un<br />
ristretto settore delle Alpi Cozie, la<br />
salamandra alpina è invece<br />
maggiormente diffusa e vive in gran<br />
<strong>parte</strong> delle Alpi centro-orientali.<br />
■ Rettili<br />
Lucio Bonato<br />
Pochi sono pure i rettili che si spingono<br />
in questi ambienti, limitati soprattutto<br />
dalle loro necessità termiche.<br />
Spesso, infatti, le rigide condizioni<br />
meteorologiche non consentono loro di<br />
raggiungere una sufficiente temperatura<br />
corporea per muoversi, alimentarsi e<br />
riprodursi. Tuttavia la lucertola vivipara<br />
(Zootoca vivipara), ben diffusa sull’arco<br />
alpino, ha una peculiare tolleranza per il<br />
clima relativamente freddo e umido delle<br />
alte quote. Nonostante queste lucertole<br />
siano tendenzialmente terricole e<br />
frequentino di preferenza i suoli con<br />
buona copertura erbacea, si muovono<br />
anche su falde detritiche e risalgono<br />
superfici rocciose soprattutto per<br />
termoregolarsi e per cercare i piccoli<br />
artropodi di cui si nutrono. La lucertola<br />
vivipara vive infatti fino a quasi 3000 m<br />
di altitudine. A differenza delle<br />
popolazioni ovipare che vivono a quote<br />
inferiori, la maggior <strong>parte</strong> di quelle<br />
montane manifesta una modalità<br />
riproduttiva peculiare: le uova vengono<br />
113
114<br />
Lucertola di Horvath (Iberolacerta horvathi)<br />
trattenute all’interno del corpo materno,<br />
da cui vengono poi partorite piccole<br />
lucertole già attive.<br />
Rispetto alla lucertola vivipara,<br />
la lucertola di Horvath (Iberolacerta<br />
horvathi) ha minore tolleranza per le<br />
basse temperature, ma è ancora più<br />
selettiva nei confronti degli ambienti<br />
rupestri ed è abile nell’arrampicarsi su<br />
superfici acclivi. Questa specie vive<br />
quindi principalmente in una fascia<br />
altitudinale intermedia, ma quasi<br />
esclusivamente su pareti rocciose e<br />
accumuli pietrosi. Il suo areale è<br />
piuttosto circoscritto e ancora poco<br />
conosciuto, con un nucleo principale<br />
che si estende dalle Alpi Carniche verso<br />
est fino a quelle Dinariche.<br />
Lungo la catena Carnica, in particolare,<br />
sembra colonizzare regolarmente i<br />
ghiaioni e le rupi fino a 2000 m di quota.<br />
Su queste superfici caccia<br />
principalmente ragni e insetti.<br />
Lucertole, piccoli passeriformi e arvicole<br />
che frequentano queste superfici<br />
pietrose possono essere preda del<br />
marasso (Vipera berus). Come gli altri<br />
viperidi, questo serpente è strettamente<br />
terricolo e ricerca le sue prede<br />
basandosi sulla sua sensibilità olfattiva e<br />
termica: le avvicina con circospezione, le<br />
morde d’improvviso e le raggiunge in un<br />
secondo tempo, quando il suo veleno ha<br />
fatto effetto.<br />
A differenza di altre vipere, però, il<br />
marasso ha una maggiore tolleranza per<br />
le basse temperature e per escursioni<br />
termiche notevoli tra il dì e la notte. Ha<br />
quindi colonizzato gran <strong>parte</strong> dei territori<br />
temperati e subartici dell’Eurasia, mentre<br />
verso Sud è per lo più limitato ai rilievi<br />
montuosi. In Italia vive esclusivamente<br />
sulle Alpi, solitamente al di sopra dei<br />
1000 m. Qui frequenta spesso le pietraie<br />
più esposte, tra gli arbusteti e le praterie<br />
alpine, che gli consentono un’efficiente<br />
termoregolazione soprattutto durante la<br />
stagione primaverile. Particolarmente<br />
vantaggiosa per sopravvivere al clima<br />
montano è la sua modalità riproduttiva<br />
ovovivipara: gli embrioni non si<br />
sviluppano all’interno di uova deposte<br />
all’esterno, ma vengono trattenuti nel<br />
corpo materno, in un ambiente quindi<br />
più caldo e stabile; ogni due anni, le<br />
femmine partoriscono una decina di<br />
piccoli individui già attivi.<br />
Simile al marasso è la vipera dal corno<br />
(Vipera ammodytes), che manifesta una<br />
Vipera dal corno (Vipera ammodytes)<br />
predilezione ancora più spiccata per i<br />
substrati rocciosi ma che, pur essendo<br />
strettamente montana, non raggiunge<br />
altitudini altrettanto elevate. L’areale di<br />
questa specie è essenzialmente limitato<br />
alla regione balcanica, ma si estende ai<br />
rilievi alpini orientali, raggiungendo verso<br />
Ovest le stazioni più pietrose e aride<br />
della Vallagarina in Trentino.<br />
■ Uccelli<br />
Le pareti rocciose e le altre emergenze<br />
rupestri delle montagne italiane sono<br />
frequentate quasi esclusivamente da<br />
alcune specie di uccelli.<br />
Le nicchie e soprattutto le profonde<br />
fessure che si aprono nei bastioni rocciosi<br />
costituiscono siti di rifugio per il gracchio<br />
alpino (Pyrrhocorax graculus) e per il<br />
gracchio corallino (Pyrrhocorax<br />
pyrrhocorax). Gruppi di decine o anche<br />
centinaia di individui vi si rifugiano<br />
soprattutto durante l’inverno, mentre<br />
singole coppie o colonie vi nidificano<br />
durante la stagione estiva. Il piumaggio<br />
completamente nero di questi uccelli<br />
contrasta con la pelle rossa delle loro esili<br />
zampe e con il colore del becco.<br />
Quest’ultimo, sottile e allungato, è<br />
nettamente giallo e piuttosto corto nel<br />
gracchio alpino, mentre è vivacemente<br />
rosso e lungamente ricurvo nel gracchio<br />
corallino. La livrea scura contrasta ancora<br />
di più con il colore solitamente chiaro<br />
Gracchio alpino (Pyrrhocorax graculus)<br />
delle rocce affioranti e con la neve che<br />
ricopre a lungo le superfici dove questi<br />
uccelli si alimentano. I gracchi cercano<br />
infatti il cibo su terreni erbosi, solo<br />
parzialmente rocciosi, e quindi sugli alti<br />
pascoli e sui terrazzi dove si sia<br />
sviluppata una minima copertura di suolo:<br />
spostandosi a terra, rigirano sassi e<br />
sondano il terreno con il loro becco,<br />
raccogliendo insetti e altri artropodi<br />
nascosti. Volano spesso in gruppi anche<br />
numerosi, vociferi, per mantenersi in<br />
contatto, lanciando fischi e sibili più o<br />
meno squillanti che spesso vengono<br />
amplificati dall’eco che rimbalza sulle<br />
pareti e i costoni rocciosi. Sono animali<br />
piuttosto familiari agli escursionisti e alle<br />
altre persone che frequentano l’alta<br />
montagna, poiché spesso si avvicinano a<br />
malghe e rifugi montani per sfruttare il<br />
cibo abbandonato dall’uomo. In Italia<br />
entrambe le specie sono strettamente<br />
limitate ai territori più elevati dei massicci<br />
alpini e appenninici, nidificando<br />
raramente al di sotto dei 1500 m di quota<br />
115
116<br />
e spingendosi ad alimentarsi anche nelle<br />
zone nivali. Mentre il gracchio alpino è<br />
ampiamente diffuso e piuttosto comune<br />
su tutto l’arco delle Alpi, il gracchio<br />
corallino è attualmente ristretto al solo<br />
settore occidentale, dopo essersi estinto<br />
dal resto della catena. Le due specie<br />
convivono anche lungo l’Appennino, ma<br />
solo il gracchio corallino vive anche nella<br />
<strong>parte</strong> meridionale della penisola italiana,<br />
in Sicilia e in Sardegna.<br />
Anfratti e cavità sulle rupi montane<br />
vengono spesso utilizzate per nidificare<br />
anche dal corvo imperiale (Corvus corax),<br />
diffuso sia sull’intero arco alpino sia sui<br />
rilievi montuosi della penisola e delle<br />
isole. In realtà si tratta di una specie<br />
opportunista e generalista<br />
nell’alimentazione e nella scelta dei siti<br />
riproduttivi. Nell’ambito del suo ampio<br />
areale, che comprende la maggior <strong>parte</strong><br />
dell’America settentrionale e dell’Eurasia,<br />
frequenta ambienti molto vari, non solo<br />
quelli rocciosi montani, e può costruire il<br />
nido anche sugli alberi. Nell’Italia<br />
Corvo imperiale (Corvus corax)<br />
settentrionale, comunque, probabilmente<br />
a causa del disturbo antropico, è<br />
attualmente relegato sulle pareti rocciose<br />
meno accessibili, ma verso Sud è<br />
frequente anche a bassa quota e<br />
colonizza pure le falesie sul mare.<br />
Piumaggio completante nero e lucido, ali<br />
ampie, becco robusto e coda cuneata: il<br />
suo aspetto è possente e il suo volo è<br />
solitamente accompagnato dalla voce<br />
cavernosa e, a breve distanza, dal rumore<br />
delle ali che fendono l’aria. Depone le<br />
uova già a febbraio, quando il territorio<br />
circostante è spesso ancora innevato. Il<br />
nido è grande e ha struttura complessa:<br />
una piattaforma di più di un metro di<br />
diametro, costituita da robusti rami<br />
intrecciati, viene coperta da materiale<br />
vegetale più fine ed è superiormente<br />
foderata di terra, muschio e altro<br />
materiale morbido. Si alimenta al suolo,<br />
anche lontano dai siti rupestri, cacciando<br />
genericamente piccoli animali, ma<br />
raccogliendo anche materiale vegetale e<br />
rifiuti organici di varia origine.<br />
Rondine montana (Ptyonoprogne rupestris) Gheppio (Falco tinnunculus)<br />
Sulle pareti meglio esposte e meno<br />
ventose può riprodursi anche la rondine<br />
montana (Ptyonoprogne rupestris).<br />
È una specie legata a condizioni<br />
climatiche temperate, anche<br />
relativamente calde e secche, ma che si è<br />
insediata diffusamente negli ambienti<br />
rocciosi montani della fascia prealpina e<br />
della dorsale appenninica. Negli ultimi<br />
decenni nell’Italia settentrionale si è<br />
assistito anche a una sua espansione<br />
negli ambienti urbani, dove edifici, ponti e<br />
altre opere in muratura offrono condizioni<br />
simili agli ambienti riproduttivi originari. Il<br />
suo nido è una coppa semisferica,<br />
interamente costituito di materiale<br />
argilloso che viene raccolto, trasportato e<br />
modellato con il becco minuto; viene<br />
costruito sotto a balze e sporgenze, in<br />
corrispondenza di piccoli anfratti su<br />
superfici nude pressoché verticali.<br />
Piccola, slanciata, con ali appuntite, la<br />
rondine montana è estremamente abile<br />
nella sua attività aerea: planate sicure,<br />
accelerate e virate acrobatiche le<br />
consentono di sfrecciare sfiorando pareti<br />
rocciose o muri, sorprendendo gli insetti<br />
che vi si trovano e catturandoli al volo.<br />
Cenge e nicchie offrono siti inaccessibili e<br />
indisturbati anche per la riproduzione di<br />
alcune specie di falchi. I più diffusi sui<br />
rilievi italiani sono il gheppio (Falco<br />
tinnunculus) e il falco pellegrino (Falco<br />
peregrinus). Non costruiscono nidi, ma<br />
depongono le uova direttamente sulla<br />
superficie rocciosa o sullo scarso detrito<br />
sabbioso che si accumula in qualche sito<br />
riparato; talvolta utilizzano nidi in disuso,<br />
precedentemente costruiti da corvidi o<br />
altri uccelli. Sono predatori dotati di<br />
notevole manovrabilità in aria e cacciano<br />
sopra territori per lo più aperti, sfruttando<br />
la loro vista acuta. Il gheppio, più piccolo<br />
e snello e dal profilo alare più falcato,<br />
perlustra solitamente la superficie<br />
dall’alto, a parecchi metri d’altezza,<br />
fermandosi spesso in volo librato per poi<br />
atterrare velocemente su animali che si<br />
muovono al suolo, come grossi insetti o<br />
piccoli roditori. Il falco pellegrino, invece,<br />
più robusto, con becco e artigli più<br />
potenti e con ali più larghe e appuntite,<br />
caccia più spesso uccelli in volo,<br />
inseguendoli o sorprendendoli grazie a<br />
notevoli accelerazioni e a veloci picchiate<br />
ad ali chiuse su traiettorie inclinate.<br />
Mentre il gheppio nidifica diffusamente<br />
dal piano fino a 2000 m di quota e oltre,<br />
frequentando regolarmente gli ambienti<br />
prativi circostanti alle pareti montane, il<br />
117
118<br />
Il picchio muraiolo Lucio Bonato<br />
Inusuale per aspetto e abitudini, il picchio<br />
muraiolo (Tichodroma muraria) è di<br />
certo, tra i vertebrati, la specie più specializzata<br />
per vivere sulle pareti rupestri<br />
d’alta montagna. Le zampe robuste,<br />
con dita e unghie piuttosto lunghe, gli<br />
permettono di muoversi su superfici<br />
verticali o addirittura aggettanti, risalendole<br />
a piccoli saltelli, con sicurezza di<br />
presa e agilità. Assieme alle ali corte e<br />
proporzionalmente larghe e alla coda<br />
tozza, esse gli consentono inoltre di<br />
spiccare il volo velocemente e di atterrare<br />
con sicurezza, spostandosi tra le<br />
rupi con volo deciso e sfarfallante.<br />
Sulle pareti rocciose trova il suo cibo,<br />
insetti e aracnidi che frequentano regolarmente<br />
queste superfici o vi si trovano<br />
occasionalmente. Il picchio muraiolo si<br />
muove infatti sulle pareti, esplorandone<br />
i piccoli anfratti, gli alveoli di dissoluzione<br />
e le intercapedini di frattura, o anche<br />
i rari e minuti accumuli di terriccio e le<br />
fronde delle erbe rupicole che vi si<br />
ancorano. Il suo becco lungo e sottile,<br />
leggermente ricurvo, riesce a sondare<br />
in profondità anche anfratti molto stretti<br />
e la sua lingua sottile e bifida riesce a<br />
estrarre i piccoli invertebrati che vi si<br />
rifugiano. Agile e acrobatico, riesce<br />
anche a catturare al volo gli insetti che,<br />
disturbati, cercano di allontanarsi.<br />
Aggrappato a piccole scabrosità, quando<br />
tiene le ali a riposo il picchio muraiolo<br />
appare come una piccola sporgenza<br />
color cenere tra le fratture o le placche<br />
sporgenti delle rocce, poco visibile ai<br />
rapaci predatori che volteggiano tra le<br />
stesse pareti. Ma la nuda roccia è<br />
anche uno sfondo su cui comunicare<br />
con lampi di colore: durante le arrampicate<br />
a saltelli, il picchio muraiolo dispiega<br />
parzialmente le ali in modo repentino,<br />
per una frazione di secondo, sventagliando<br />
le penne remiganti primarie.<br />
L’effetto ottico è quello di un flash rosso<br />
carminio e di una rapida apparizione di<br />
un disegno contrastato bianco e nero.<br />
In volo i segnali cromatici sono ancora<br />
più evidenti, in quanto le macchie rosse<br />
e il mosaico chiaro e scuro delle ali<br />
sono completamente esposti. Inoltre,<br />
durante la stagione riproduttiva, che<br />
corrisponde alla tiepida primavera<br />
montana, i maschi acquistano un cupo<br />
colore nero sulla gola, che viene ostentato<br />
davanti alle femmine alzando il<br />
capo e puntando il becco verso l’alto.<br />
Anche la riproduzione avviene su queste<br />
stesse rupi. All’interno del territorio<br />
difeso da ogni coppia, che può coincidere<br />
con un’ampia parete o con un<br />
sistema di emergenze rocciose meno<br />
estese, maschio e femmina scelgono<br />
una fessura ben protetta dai predatori,<br />
dove costruire il nido. Tipici sono i voli<br />
circolari che il maschio esegue per indicare<br />
il sito di nidificazione prescelto,<br />
spesso accompagnati da lunghi sibili<br />
nasali. È la femmina a preparare il nido,<br />
intessendo ciuffi di muschio e fili d’erba,<br />
e approntando spesso due diversi<br />
sbocchi, uno usato per entrare e l’altro<br />
per uscire. Dopo una ventina di giorni di<br />
cova e quasi un mese di svezzamento,<br />
quattro o cinque piccoli faranno capolino,<br />
allungando il loro capo all’esterno,<br />
sospesi sul loro mondo verticale.<br />
falco pellegrino è meno abbondante ed è<br />
una presenza più tipica delle emergenze<br />
rupestri della fascia prealpina e degli<br />
avamposti appenninici dal piano collinare<br />
fino a circa 1500 m di quota. Entrambe le<br />
specie, comunque, non sono esclusive<br />
degli ambienti montani, ma colonizzano<br />
anche siti rocciosi simili nei territori<br />
collinari, falesie costiere e anche edifici e<br />
costruzioni in muratura in ambienti urbani<br />
o comunque antropizzati.<br />
Strettamente montana è invece l’aquila<br />
reale (Aquila chrysaetos), predatore con<br />
un rilevante ruolo ecologico in ambienti<br />
prativi e rupestri sommitali. Più di due<br />
metri di apertura alare, capo e collo<br />
robusti e becco uncinato, l’aquila reale<br />
perlustra in planata i terreni ondulati delle<br />
praterie rocciose d’alta quota per<br />
sorprendere lepri, marmotte e uccelli. Le<br />
gole e i torrioni che si sviluppano in questi<br />
paesaggi le offrono siti ben protetti per<br />
costruire il nido. Quest’ultimo è una<br />
piattaforma di rami intrecciati, ampia e<br />
spesso anche alta, dove ogni anno<br />
vengono deposte solitamente due uova e,<br />
di regola, viene svezzato un solo piccolo.<br />
Sulle stesse rupi inaccessibili potrebbe<br />
nidificare anche il gipeto (Gypaetus<br />
barbatus), un grande avvoltoio che<br />
raggiunge una lunghezza di un metro e<br />
copre tre metri di larghezza ad ali<br />
spiegate. In età adulta, il suo aspetto è<br />
molto singolare, poiché sul capo fulvo<br />
spicca una fascia di setole nere che<br />
scendono sotto il mento a formare una<br />
coppia di ciuffi. Con basse planate<br />
perlustra praterie e versanti semirocciosi<br />
per individuare carcasse, soprattutto di<br />
ovini e caprini, mentre solo raramente<br />
caccia animali vivi. Riesce a rompere le<br />
ossa facendole cadere dall’alto su<br />
un’incudine rocciosa, per poi estrarne il<br />
midollo con la lingua. Distribuito sulle<br />
catene montuose attorno al bacino del<br />
Mediterraneo, nei secoli scorsi il gipeto<br />
era diffuso anche sulle montagne italiane.<br />
Tuttavia la persecuzione diretta e la<br />
riduzione delle risorse alimentari, dovuta<br />
al declino dell’allevamento brado e della<br />
pastorizia montana, ne hanno segnato<br />
una graduale estinzione: è sopravvissuto<br />
sull’Appennino almeno fino al XVI secolo,<br />
in Sicilia si è estinto alla metà<br />
dell’Ottocento, sulle Alpi è gradualmente<br />
scomparso da Est verso Ovest fino<br />
all’uccisione degli ultimi individui ai primi<br />
del Novecento, mentre in Sardegna le<br />
ultime coppie erano ancora presenti negli<br />
anni Sessanta. Recenti iniziative di<br />
reintroduzione avviate sull’arco alpino,<br />
comunque, sembrano avere esito<br />
positivo, ma i tempi di ripresa delle<br />
popolazioni sono piuttosto lunghi: il ciclo<br />
vitale è relativamente lento, in quanto la<br />
maturità sessuale viene raggiunta dopo<br />
diversi anni, e il tasso riproduttivo è<br />
estremamente basso, poiché ogni coppia<br />
depone un solo uovo all’anno.<br />
Tra i vertebrati, comunque, la specie di<br />
gran lunga più specializzata per vivere,<br />
riprodursi e alimentarsi sulle pareti<br />
rocciose è sicuramente il picchio muraiolo<br />
(Tichodroma muraria). A differenza di<br />
quanto suggerisce il suo nome italiano, è<br />
un passeriforme che condivide con i<br />
picchi solo una notevole abilità<br />
nell’arrampicarsi su superfici verticali.<br />
Sulle rupi ricerca il cibo, risalendole ed<br />
esplorandole alla ricerca di piccoli<br />
artropodi, e sempre sulle rupi si riproduce<br />
e si rifugia. Durante l’estate frequenta le<br />
più alte pareti rocciose montane<br />
dell’intero arco alpino e dell’Appennino<br />
settentrionale e centrale, di preferenza<br />
quelle calcaree e dolomitiche, anche fino<br />
a 3000 m di quota, nidificando nei punti<br />
più protetti dai venti e meno accessibili ai<br />
predatori. In inverno, invece, quando in<br />
alta montagna le condizioni<br />
meteorologiche diventano difficili e le<br />
prede non sono più disponibili, il picchio<br />
muraiolo si porta a quote più basse, con<br />
brevi migrazioni essenzialmente<br />
119
120<br />
altitudinali. Sverna quindi nelle zone<br />
collinari prealpine e in quelle marginali<br />
della dorsale appenninica, ma anche nelle<br />
pianure, fino al livello del mare; frequenta<br />
comunque ambienti rupestri simili,<br />
preferendo quelli esposti a meridione e<br />
quindi più assolati e più ricchi di<br />
artropodi, siano essi pareti rocciose<br />
naturali, fronti di cave o mura di edifici.<br />
Altri uccelli insettivori frequentano invece<br />
macereti e i ghiaioni montani, dove<br />
trovano cibo tra massi e nicchie erbose<br />
durante i mesi più caldi. Tra questi, il<br />
codirosso spazzacamino (Phoenicurus<br />
ochruros), il culbianco (Oenanthe<br />
Culbianco (Oenanthe oenanthe)<br />
oenanthe) e il sordone (Prunella collaris) si<br />
trovano spesso assieme frequentando le<br />
stesse aree pietrose dove si alimentano e<br />
nidificano. Simili per ecologia, dimensioni<br />
e struttura corporea generale, si<br />
distinguono invece, oltre che per la<br />
specificità delle loro vocalizzazioni, per la<br />
colorazione del piumaggio: capo e tronco<br />
piuttosto uniformi e scuri ma timoniere<br />
ruggini nel codirosso spazzacamino,<br />
disegni contrastati bianchi e neri sul capo<br />
e sulla coda nel culbianco, livrea<br />
prevalentemente grigia ma con fianchi<br />
screziati di rosso mattone nel sordone.<br />
Nella stagione estiva queste specie sono<br />
diffusamente presenti lungo l’intero arco<br />
alpino; lungo la dorsale appenninica,<br />
invece, il sordone è limitato al settore<br />
centro-settentrionale, mentre il codirosso<br />
spazzacamino e ancor più il culbianco<br />
colonizzano l’intera penisola e anche i<br />
rilievi delle isole maggiori. Agili sulle loro<br />
esili zampe, saltellano e si muovono sul<br />
terreno e sopra i sassi, cercando le loro<br />
prede a vista, raggiungendole con rapide<br />
accelerazioni e catturandole con il loro<br />
becco sottile. Soprattutto il codirosso<br />
spazzacamino e il culbianco talvolta<br />
sostano in attesa su speroni rocciosi e<br />
altri punti emergenti, scrutando i dintorni<br />
e calandosi a terra sulle prede. In questi<br />
paesaggi scoperti ma irregolari, si<br />
spostano con voli corti e bassi, sostando<br />
sui punti più emergenti per controllare a<br />
vista i dintorni, ma in caso di pericolo si<br />
possono anche nascondere rapidamente<br />
tra gli anfratti dei massi emergenti. In tali<br />
condizioni, i segnali cromatici giocano un<br />
ruolo importante nella comunicazione:<br />
durante i voli bassi, ben evidente è il<br />
colore ruggine sulla coda del codirosso<br />
spazzacamino, così come il disegno<br />
contrastato bianco e nero su quella del<br />
culbianco. Durante la stagione<br />
riproduttiva i maschi marcano i loro<br />
territori con strofe canore brevi ma<br />
elaborate, emesse dalla cima di massi o<br />
speroni rocciosi, che possono essere<br />
anche molto elevati nel caso del<br />
codirosso spazzacamino. I nidi, costruiti<br />
con fili d’erba e muschio e rifiniti<br />
all’interno con peli e piume, vengono<br />
sistemati a terra, in anfratti ben protetti tra<br />
le rocce oppure in nicchie che si aprono<br />
sulle pareti. Al di fuori della stagione<br />
estiva, quando le risorse alimentari<br />
vengono a mancare in questi ambienti, gli<br />
uccelli scendono a quote più basse: il<br />
sordone rimane spesso nell’ambito delle<br />
stesse regioni alpine e appenniniche, ma<br />
si porta in siti rupestri ben esposti a<br />
mezzogiorno, in territori montuosi o<br />
collinari; il codirosso spazzacamino<br />
scende fino alle pianure e alle coste della<br />
penisola italiana e si stabilisce anche<br />
nelle campagne coltivate e presso gli<br />
insediamenti umani; il culbianco, invece,<br />
intraprende una notevole migrazione che<br />
lo porta a svernare nell’Africa<br />
subsahariana.<br />
Anche il fringuello alpino (Montifringilla<br />
nivalis) condivide con queste specie gli<br />
ambienti rupestri nelle zone sommitali,<br />
ma vi permane tutto l’anno. È una specie<br />
di passero che vive lungo le principali<br />
catene montuose, dall’Europa<br />
meridionale alla regione himalayana. In<br />
Italia è più diffuso lungo l’arco alpino, ma<br />
alcune popolazioni vivono anche<br />
sull’Appennino centrale. Un piumaggio<br />
contrastato bianco e nero è comune agli<br />
adulti di entrambi i sessi e viene<br />
mantenuto durante l’intero ciclo annuale.<br />
I fringuelli alpini possono raccogliere<br />
semi e artropodi zampettando a terra<br />
sulle praterie d’alta quota, ma soprattutto<br />
d’inverno, quando l’estesa copertura<br />
nevosa limita fortemente la disponibilità<br />
alimentare di questi territori, manifestano<br />
un comportamento opportunista e<br />
commensale nei confronti di<br />
escursionisti e sciatori, avvicinandosi ai<br />
rifugi alpinistici, agli impianti sciistici e<br />
ad altre strutture costruite dall’uomo in<br />
alta montagna.<br />
Gli stessi ambienti pietrosi che costellano<br />
le zone sommitali delle Alpi sono<br />
frequentati dalla pernice bianca (Lagopus<br />
mutus), sicuramente il tetraonide più<br />
specializzato per vivere nella tundra<br />
alpina. Questo uccello prettamente<br />
terricolo vive tutto l’anno ai margini dei<br />
ghiaioni e tra i macereti tappezzati di<br />
arbusti nani e di cuscini erbosi, lungo<br />
Pernice bianca (Lagopus mutus), con la tipica<br />
livrea estiva<br />
l’intero arco alpino, di solito al di sopra<br />
dei 2000 m di quota, ma non di rado<br />
anche oltre i 3000 m. D’inverno, lo<br />
spesso strato di neve che ricopre questi<br />
terreni realizza uno sfondo uniforme su<br />
cui le pernici bianche si muovono,<br />
mimetiche nel loro tipico piumaggio<br />
candido: solo le timoniere esterne della<br />
coda fanno eccezione, ma sono visibili<br />
esclusivamente durante i voli di fuga; nei<br />
maschi, inoltre, una sottile banda nera<br />
attraversa gli occhi. Si muovono a gruppi,<br />
zampettando sulla superficie del manto<br />
nevoso, evitando di sprofondare grazie<br />
alle robuste penne che ricoprono le dita e<br />
i tarsi. Nello spessore di questa copertura<br />
ghiacciata scavano pure i loro rifugi, per<br />
riposare o per ripararsi da condizioni<br />
meteorologiche avverse. Nella breve<br />
estate alpina, invece, quando lo<br />
scioglimento della neve scopre il mosaico<br />
di rocce e macchie vegetali, le pernici<br />
bianche assumono una livrea<br />
tendenzialmente scura, finemente<br />
macchiettata di bruno e nero, altrettanto<br />
mimetica in questo nuovo paesaggio<br />
stagionale. È in questo periodo che le<br />
femmine depongono e covano le uova,<br />
pure maculate e mimetiche, in una<br />
semplice depressione sul terreno.<br />
121
122<br />
Croda Cimoliana (Prealpi Carniche, Friuli Venezia Giulia)<br />
Mammiferi<br />
Il camoscio delle Alpi (Rupicapra<br />
rupicapra) e il camoscio appenninico<br />
(Rupicapra pyrenaica ornata) sono tra i<br />
mammiferi più grandi che frequentano<br />
regolarmente le falde detritiche che<br />
bordano le pareti rocciose. Questi<br />
ungulati sono in grado di risalire<br />
agilmente e anche velocemente queste<br />
pietraie instabili e acclivi, per raggiungere<br />
pascoli indisturbati e per sfuggire alla<br />
presenza dell’uomo e, quando presenti,<br />
dei predatori. Questo grazie alle notevoli<br />
prestazioni dei loro arti: i tendini robusti e<br />
le articolazioni resistenti possono<br />
sopportare notevoli tensioni e torsioni,<br />
mentre gli zoccoli duri e appuntiti e i<br />
cuscinetti plastici e divaricabili<br />
garantiscono una presa sicura su sassi<br />
instabili, rocce scivolose o depositi di<br />
ghiaccio. Inoltre, organi interni come il<br />
cuore e i polmoni sono particolarmente<br />
sviluppati per consentire corse<br />
sostenute. I camosci vivono dalle foreste<br />
Camoscio appenninico (Rupicapra pyrenaica ornata)<br />
anche continue dei versanti mediomontani<br />
agli ambienti arbustivi e rupestri<br />
al di sopra del limite della vegetazione<br />
arborea, fino ai piccoli lembi di prateria<br />
presenti tra le balze rocciose più elevate.<br />
È in estate che raggiungono le altitudini<br />
maggiori, mentre in inverno<br />
l’innevamento li costringe ad abbassarsi<br />
di quota. Attualmente il camoscio delle<br />
Alpi è ben diffuso lungo tutto l’arco<br />
alpino italiano, dalle Alpi Marittime alle<br />
Giulie, mentre il camoscio appenninico<br />
vive sui principali sistemi montuosi<br />
abruzzesi e in particolare sul gruppo<br />
della Camosciara, su quello della Meta,<br />
sul massiccio della Majella e sul Gran<br />
Sasso. Le popolazioni italiane delle due<br />
specie sono per lo più in incremento,<br />
anche grazie a recenti iniziative di tutela,<br />
di ripopolamento e di reintroduzione, in<br />
territori comunque spesso privi di<br />
predatori naturali. Fino a qualche<br />
decennio fa, invece, il loro stato di<br />
conservazione in Italia era alquanto<br />
preoccupante, in particolare per il<br />
123
124<br />
camoscio appenninico, a seguito di una<br />
contrazione di areale imputabile<br />
principalmente alla caccia. Nel passato,<br />
infatti, il camoscio appenninico, che<br />
probabilmente ha colonizzato la penisola<br />
italiana durante la penultima glaciazione,<br />
era diffuso almeno dai monti Sibillini al<br />
Pollino; il camoscio delle Alpi, invece,<br />
giunto dall’Europa orientale durante<br />
l’ultima glaciazione, si era diffuso su tutte<br />
le Alpi e nella <strong>parte</strong> più settentrionale<br />
degli Appennini.<br />
Ancor più drammatica è stata la<br />
contrazione demografica dello<br />
stambecco delle Alpi (Capra ibex),<br />
avvenuta negli ultimi secoli. In epoca<br />
storica questo ungulato era ancora<br />
abbondante su gran <strong>parte</strong> dell’arco<br />
alpino, dopo che la naturale mitigazione<br />
climatica seguita all’acme glaciale<br />
würmiano ne aveva determinato la<br />
scomparsa da altri territori europei.<br />
Secoli di caccia intensa ne hanno però<br />
determinato la quasi totale estinzione:<br />
nella seconda metà dell’Ottocento ne<br />
Lepre bianca (Lepus timidus) in abito estivo<br />
sopravviveva solo un centinaio di<br />
individui sul massiccio del Gran<br />
Paradiso, nelle Alpi Graie. L’istituzione di<br />
una Riserva Reale di caccia e<br />
successivamente di un Parco Nazionale<br />
ne hanno comunque consentito la<br />
sopravvivenza e nel Novecento ripetute<br />
reintroduzioni hanno ricostituito<br />
numerose popolazioni su tutto l’arco<br />
alpino. Specializzato a vivere negli<br />
ambienti alpini al di sopra del limite della<br />
vegetazione arborea e arbustiva, lo<br />
stambecco delle Alpi è capace di<br />
arrampicarsi agilmente su superfici<br />
rocciose scoscese e scivolose. Durante<br />
la breve estate raggiunge le povere<br />
praterie discontinue che si sviluppano<br />
anche al di sopra dei 3000 m, mentre<br />
d’inverno l’innevamento lo costringe a<br />
portarsi più in basso, attorno ai 1500-<br />
2000 m, sui versanti a migliore<br />
esposizione.<br />
Tra gli altri erbivori che si sono adattati a<br />
sfruttare la produttività stagionale delle<br />
praterie alpine e subnivali per la loro<br />
alimentazione, la lepre bianca (Lepus<br />
timidus) è una presenza diffusa negli<br />
ambienti alto-montani delle Alpi, anche<br />
ben al di sopra dei 2000 m di quota.<br />
Colonizza comunque regolarmente pure<br />
gli arbusteti e i boschi radi che si<br />
sviluppano a quote minori. I suoi incisivi<br />
a crescita continua e a forma di<br />
scalpello, più arcuati rispetto a quelli di<br />
altre lepri, le permettono di rodere radici,<br />
fusti di arbusti e steli fibrosi di<br />
graminacee. Come le altre lepri, ha le<br />
zampe posteriori adatte a una fuga<br />
veloce a balzi, per sfuggire ai predatori<br />
che frequentano i suoi pascoli.<br />
I padiglioni delle orecchie sono<br />
proporzionalmente più corti rispetto a<br />
quelli di altre lepri, in relazione alle<br />
temperature e ai venti freddi che deve<br />
sopportare alle quote alpine. Il regolare<br />
ed esteso innevamento stagionale ne ha<br />
inoltre selezionato il peculiare<br />
cambiamento ciclico della pelliccia, che<br />
durante i mesi invernali è completamente<br />
candida e quindi mimetica sulla neve.<br />
Ermellino (Mustela erminea) in abito estivo<br />
Analogo è il mimetismo cromatico<br />
stagionale dell’ermellino (Mustela<br />
erminea), un mammifero carnivoro ben<br />
adattato a muoversi e a cacciare tra<br />
massi e pietre. Muso appuntito, collo<br />
allungato, tronco snello e flessibile,<br />
zampe corte e agili, questo mustelide si<br />
arrampica agilmente sulle rocce, tende<br />
agguati a uccelli e piccoli mammiferi ed è<br />
in grado di catturarli accelerando in<br />
potenti balzi. Le popolazioni alpine, così<br />
come quelle delle estreme latitudini<br />
artiche, mutano il loro mantello estivo<br />
bruno rossiccio in una livrea invernale<br />
completamente candida, che termina<br />
tipicamente con un ciuffo di peli neri sulla<br />
punta della coda.<br />
L’arvicola delle nevi (Chionomys nivalis) è<br />
tra le prede più frequenti dell’ermellino.<br />
Questo piccolo roditore dalla pelliccia<br />
grigia colonizza prevalentemente i<br />
ghiaioni e i macereti più stabilizzati delle<br />
Alpi e degli Appennini. Si rifugia e si<br />
muove nel sottosuolo, sfruttando il<br />
complesso sistema di anfratti presenti<br />
125
126<br />
Marmotta (Marmota marmota)<br />
Arvicola delle nevi (Chionomys nivalis)<br />
all’interno dei depositi clastici, ma esce in<br />
superficie anche durante il dì, per<br />
raccogliere erbe e altre piante arbustive di<br />
cui si nutre e per scaldarsi sopra le<br />
superfici rocciose esposte al sole. Tra le<br />
numerose specie di arvicole<br />
euroasiatiche, è certamente la più<br />
adattata agli ambienti rocciosi e<br />
microtermi delle alte quote e può<br />
spingersi anche alle massime altitudini<br />
raggiunte dalle cime alpine, fino a 4000 m<br />
sul monte Bianco. Ben diffusa durante<br />
l’ultimo periodo glaciale lungo la penisola<br />
italiana anche a basse quote, l’arvicola<br />
delle nevi è oggi confinata sulle Alpi alle<br />
zone sommitali, ma ne persistono<br />
popolazioni relitte anche lungo<br />
l’Appennino.<br />
Un altro roditore che conduce una vita<br />
parzialmente sotterranea, ma che ha<br />
dimensioni corporee ben maggiori, è la<br />
marmotta (Marmota marmota). I cordoni<br />
morenici, più o meno stabilizzati, che<br />
cingono i circhi glaciali delle Alpi offrono<br />
condizioni ottimali all’insediamento delle<br />
colonie di questi animali. Mentre le<br />
macchie di cotica erbosa sono i loro<br />
terreni di foraggiamento, i massi erratici e<br />
le rocce emergenti costituiscono<br />
coperture favorevoli per gli sbocchi dei<br />
Toporagno alpino (Sorex alpinus)<br />
loro tunnel sotterranei; sono inoltre punti<br />
preferenziali dove le marmotte possono<br />
scaldarsi al sole e, allo stesso tempo,<br />
stare di vedetta controllando a vista il<br />
territorio circostante. Al sopraggiungere di<br />
un potenziale predatore o, comunque, al<br />
manifestarsi di un possibile pericolo,<br />
lanciano i loro penetranti e riecheggianti<br />
fischi d’allarme quindi, balzando<br />
agilmente tra le pietre, possono rifugiarsi<br />
nei loro cunicoli sotterranei.<br />
Gli interstizi più ristretti che permangono<br />
all’interno degli accumuli detritici offrono<br />
invece rifugio e vie di spostamento al<br />
toporagno alpino (Sorex alpinus). Tra gli<br />
insettivori, questa è la specie che può<br />
raggiungere le maggiori altitudini, anche<br />
se non è limitata agli ambienti scoperti al<br />
di sopra del limite della vegetazione<br />
arborea, ma può scendere a quote<br />
inferiori sui suoli rocciosi di vallette umide<br />
e boscose. I toporagni alpini si muovono<br />
in superficie principalmente di notte, per<br />
ricercare artropodi e altri invertebrati<br />
terricoli che riescono a individuare grazie<br />
alla notevole sensibilità tattile del loro<br />
muso. In Italia nord-orientale il toporagno<br />
alpino si spinge quasi sino all’alta<br />
pianura, scendendo a 160 m di quota<br />
(Cornino, Friuli Venezia Giulia).<br />
127
Aspetti di conservazione e gestione<br />
PAOLO AUDISIO · LUCIO BONATO · MARCELLO TOMASELLI<br />
■ Minacce<br />
Per molti aspetti le rupi e i ghiaioni<br />
montani sono tra gli habitat meglio<br />
conservati e meno minacciati nel panorama<br />
della diversità ambientale italiana.<br />
La loro natura scoscesa e aspra, l’intrinseca<br />
instabilità geomorfologica e le<br />
difficili condizioni climatiche ne hanno<br />
reso da sempre difficoltosi e rischiosi<br />
l’accesso e la frequentazione. Nei<br />
secoli passati, quindi, la presenza e<br />
Baita protetta alla base di un cono detritico<br />
(Val Grosina, Lombardia)<br />
l’intervento umano in questi territori rupestri sono sempre stati alquanto limitati,<br />
spesso solo stagionali se non addirittura occasionali, soprattutto per esigenze<br />
di caccia, per lo sfruttamento di risorse minerali o per il semplice transito<br />
lungo itinerari commerciali. Anche le vie di comunicazione, infatti, hanno solitamente<br />
evitato questi siti, sviluppandosi piuttosto lungo i fondivalle e sfruttando<br />
le selle più dolci; in tempi moderni, invece, strade e ferrovie hanno spesso inciso<br />
gli stessi massicci rocciosi mediante trafori, oppure li hanno superati con<br />
viadotti. Solo localmente e temporaneamente questi ambienti hanno ospitato<br />
insediamenti umani. Inoltre, l’assenza di un vero suolo e l’estrema permeabilità<br />
dei substrati detritici hanno reso impraticabile ogni forma di agricoltura. Scarsa<br />
è stata anche la vocazione selvicolturale di questi terreni, che non riescono di<br />
norma a sostenere una vegetazione arborea più consistente di rade laricete e<br />
boscaglie discontinue di pini mughi od ontani. Anche la pastorizia, per quanto<br />
molto sviluppata nel passato nei territori montani, poteva trovare sui terreni rocciosi<br />
e scoscesi solo magri pascoli discontinui. Invece, localmente, gli affioramenti<br />
rocciosi e le falde detritiche hanno talvolta alimentato attività estrattive,<br />
per materiali lapidei di vario utilizzo e per minerali di interesse industriale.<br />
Tuttavia, nonostante lo stato di conservazione generalmente buono che hanno<br />
ereditato, in tempi recenti le rupi e i ghiaioni montani sono stati interessati da<br />
nuove minacce, connesse a moderne attività umane che tendono a intaccarne<br />
soprattutto la qualità paesaggistica, ma che possono interferire anche con le<br />
naturali dinamiche fisiche e con le biocenosi.<br />
Ghiaione carbonatico alla base del massiccio del Monte Coglians (Alpi Carniche, Friuli Venezia Giulia)<br />
129
130 Arrampicata sportiva, alpinismo e altre attività ricreative. Una minaccia<br />
le: tutte queste azioni determinano nel<br />
particolarmente pesante deriva dalla frequentazione sempre più intensa delle<br />
pareti rocciose per motivi ricreativi e sportivi. L’arrampicata sportiva, l’alpinismo<br />
e le forme di trekking più impegnativo, quali quelle che si sviluppano<br />
su vie ferrate, si stanno sempre più diffondendo sulle montagne italiane e<br />
in contesti locali hanno anche assunto connotati di fenomeno di massa. I<br />
territori rocciosi più impervi, inoltre, sono talvolta scelti come quinte ideali<br />
per il volo con parapendio e le balze più esposte sono spesso utilizzate<br />
come favorevoli siti di lancio. La frequentazione di pareti rocciose per finalità<br />
sportive e ricreative si sta intensificando anche in siti collinari e medio montani,<br />
solitamente meno estesi, ma spesso di maggior valore naturalistico<br />
rispetto a quelli d’alta quota e proprio per questo più sensibili. Queste attività,<br />
quando svolte in modo intenso e non regolamentato come spesso<br />
accade, possono non solo disturbare la vita animale presente in questi<br />
ambienti, ma anche alterare diffusamente le superfici rupestri.<br />
La frequentazione ripetuta delle cosiddette “palestre di roccia”, l’armatura<br />
delle pareti rocciose con chiodi applicati mediante trapanatura, la sistemazione<br />
di funi e altri accessori per la progressione e la segnalazione, la costruzione<br />
di vie ferrate con strutture metalliche stabili, la ripulitura anche integrale di<br />
estese superfici rupestri dalla vegetazione allo scopo di aprire nuove vie di<br />
ascensione, il calpestio dei punti preferenziali di avvicinamento e di accampamento<br />
temporaneo, l’abbandono di rifiuti per la difficoltà di riportarli a val-<br />
Una via ferrata<br />
loro complesso un forte impatto sul<br />
valore paesaggistico di questi siti,<br />
danneggiano l’integrità e la funzionalità<br />
della vegetazione pioniera e specializzata<br />
e delle entomocenosi fitofaghe<br />
associate, disturbando inoltre la<br />
riproduzione dei rapaci rupicoli e di<br />
altri uccelli particolarmente sensibili<br />
durante il periodo primaverile ed estivo.<br />
È stato infatti documentato che il<br />
disturbo diretto, seppur involontario,<br />
nei pressi del nido, può causare una<br />
riduzione del successo riproduttivo,<br />
se non addirittura l’abbandono del<br />
nido stesso, per alcune specie anche<br />
rare e legalmente tutelate su scala<br />
europea, quali l’aquila reale e il falco Rocciatori in azione<br />
pellegrino. Alcune di queste specie<br />
hanno anche subito nel passato un prelievo di uova e pulcini al nido, per il<br />
collezionismo e la falconeria.<br />
Purtroppo, in assenza di una coscienza condivisa del valore naturalistico di<br />
questi ambienti, in molti casi queste attività ricreative vengono praticate liberamente<br />
in qualunque sito e in qualunque periodo. In altri casi sono state identificate<br />
delle aree di rispetto, sono stati stabiliti dei periodi di interdizione e<br />
associazioni quali il Club Alpino Italiano e l’Associazione Italiana Preparatori<br />
Itinerari d’Arrampicata hanno anche elaborato e diffuso codici di autoregolamentazione,<br />
ma spesso queste norme e limitazioni vengono disattese.<br />
Anche le attività turistiche che si sviluppano in territori montani meno acclivi<br />
coinvolgono talvolta negativamente i siti rupestri vicini. Questi sono talvolta<br />
attraversati da teleferiche al servizio di rifugi alpini presenti a quota maggiore,<br />
ma anche da funivie, cabinovie e ovovie appositamente costruite per sfruttare<br />
il valore paesaggistico di questi territori montani o più semplicemente per permettere<br />
l’ascensione e la discesa di turisti a siti d’alta quota, per lo scialpinismo<br />
o il trekking. Anche molti impianti sciistici di risalita, soprattutto lungo gli<br />
Appennini, possono disturbare questi ambienti e determinano spesso l’accumulo<br />
di rifiuti e vari oggetti accidentalmente caduti o gettati intenzionalmente.<br />
Inoltre, la manutenzione degli impianti di risalita mediante fuoristrada e trattori<br />
danneggia significativamente la vegetazione dei ghiaioni, innesca fenomeni<br />
erosivi nelle praterie alpine contigue e può causare il rilascio di materiale oleoso<br />
e altri inquinanti su questi substrati porosi.<br />
131
132 Strade e altre infrastrutture. Quando<br />
Cave e miniere. Un impatto locale ma distruttivo può provenire dall’attività di<br />
versanti rocciosi e detritici sovrastano<br />
edifici o vie di comunicazione, essi vengono<br />
spesso interessati da interventi<br />
atti a prevenire la caduta di materiale,<br />
essenzialmente frane e colate detritiche<br />
nelle stagioni piovose e slavine nel<br />
periodo invernale e primaverile. La<br />
sistemazione di reti metalliche di<br />
copertura, la costruzione di barriere<br />
emergenti e la rimozione periodica di<br />
materiale instabile, mediante intervento<br />
manuale o uso di esplosivi, hanno un<br />
effetto paesaggistico più o meno evidente.<br />
Le iniezioni e la copertura delle<br />
superfici rocciose con calcestruzzo,<br />
invece, compromettono completamen-<br />
Ripetitori sulla cima di una montagna (Sardegna)<br />
te la funzionalità ecologica di questi<br />
ambienti. Ciò è di particolare impatto<br />
quando siano localmente presenti piante rupicole di particolare valore, insieme<br />
alle entomocenosi fitofaghe associate.<br />
La costruzione di impianti idroelettrici ha spesso comportato la modificazione<br />
del locale microclima, a causa della presenza di imponenti masse idriche, ma<br />
alcune infrastrutture accessorie hanno anche interessato più direttamente le<br />
pareti rocciose, come le condotte forzate, i canali di deflusso e i camminamenti<br />
in galleria o in semi-galleria noti come “tracciolini”. Va comunque rilevato che<br />
queste ultime strutture sono state talvolta sfruttate per attività escursionistiche,<br />
quando abbandonate dalle società idroelettriche, e sono entrate a far <strong>parte</strong> di<br />
una sorta di condiviso patrimonio di archeologia industriale.<br />
I percorsi di elettrodotti e di cavi per la trasmissione telefonica e quindi l’ubicazione<br />
di tralicci e piloni, oltre che di ripetitori televisivi e telefonici, sono stati<br />
spesso individuati senza riconoscere alcun valore estetico e naturalistico ai<br />
territori montani più scoscesi. Di conseguenza il loro impatto paesaggistico<br />
può essere notevole, così come l’alterazione effettiva dell’ambiente locale sia<br />
in fase di realizzazione che in quella di manutenzione. I cavi multipli degli elettrodotti,<br />
inoltre, possono risultare mortali per elettrocuzione agli uccelli più<br />
grandi, quali rapaci e corvidi, soprattutto presso le pareti rocciose e le cenge<br />
dove nidificano. Ancora poco conosciuti, invece, sono gli effetti sulle biocenosi<br />
del cosiddetto “inquinamento elettromagnetico”. Installazioni militari, infine,<br />
hanno talora comportato una estesa cementificazione dei substrati e la realizzazione<br />
di strade anche in siti rupestri scarsamente accessibili.<br />
estrazione che si svolge su alcuni massicci montuosi, per ottenere materiale<br />
lapideo impiegato nell’edilizia e nella costruzione di strade e ferrovie, o specifici<br />
minerali di interesse industriale o di pregio ornamentale. L’impatto è rilevante<br />
non solo quando la coltivazione si svolge a cielo aperto ma anche quando viene<br />
effettuata in galleria, per l’accumulo del materiale di risulta, per il disturbo<br />
acustico, per le vibrazioni prodotte, e per l’immissione di particolato nell’aria.<br />
Sebbene attualmente l’attività estrattiva in montagna sia contenuta rispetto al<br />
passato e rispetto a siti analoghi a bassa quota, il suo impatto continua ancora<br />
significativamente su alcuni rilievi montuosi. Caso emblematico è quello delle<br />
Alpi Apuane, dove una secolare attività di estrazione del marmo ha asportato e<br />
modellato interi rilievi montani, con effetti devastanti. In realtà sono state anche<br />
create nuove pareti rocciose e ghiaioni e si sta attualmente stimolando un interesse<br />
turistico per questo paesaggio e per i suoi residui valori ambientali.<br />
Discariche. Piccoli comuni montani, soprattutto nell’Italia centro-meridionale,<br />
in Sicilia e in Sardegna, hanno talvolta localizzato le loro discariche in prossimità<br />
di ghiaioni montani a minore acclività o in forre asciutte, con ovvia perdita<br />
delle condizioni originarie di questi habitat. Molto più diffuse, nelle stesse aree,<br />
sono le discariche abusive che si sviluppano in siti rupestri, sfruttando la presenza<br />
di strade poco frequentate, scarsamente controllate, il ridotto valore economico<br />
riconosciuto a questi siti e la loro scarsa visibilità e frequentazione.<br />
Una cava di “marmo” nelle Alpi Carniche (Friuli Venezia Giulia)<br />
133
134 Pascolo. I ghiaioni e le morene più consolidate<br />
e i versanti rocciosi almeno<br />
parzialmente coperti da vegetazione<br />
appaiono spesso alterati da una secolare<br />
attività di pascolo brado, soprattutto<br />
da <strong>parte</strong> di ovini e caprini che sono in<br />
grado di risalire i versanti più scoscesi.<br />
Un carico di pascolo eccessivo ha infatti<br />
talvolta ridotto la copertura vegetale o<br />
ne ha comunque modificato la struttura<br />
e la composizione floristica, accelerando<br />
anche il naturale scorrimento detritico.<br />
L’accumulo di sterco alla base di<br />
grandi massi, sui terrazzamenti naturali<br />
e lungo i canaloni ha localmente<br />
arricchito il substrato di nutrienti, causando<br />
la scomparsa delle casmofite e<br />
glareofite più sensibili a favore di altre<br />
piante nitrofile e con più ampia tolleranza<br />
ecologica, determinando di<br />
Raponzolo di roccia (Physoplexis comosa)<br />
conseguenza una modificazione delle artropodocenosi epigee e fitofaghe.<br />
■ I valori e la situazione attuale<br />
Rupi e ghiaioni nel Massiccio del Monte<br />
Pramaggiore (Prealpi Carniche, Friuli Venezia<br />
Giulia)<br />
Di buon auspicio per il mantenimento delle condizioni naturali di questi<br />
ambienti rupestri è il riconoscimento del loro interesse comunitario nell’ambito<br />
dell’Unione Europea. Infatti, tra gli habitat la cui conservazione richiede la<br />
designazione di aree speciali, elencati nell’allegato I della Direttiva Habitat<br />
(92/43/CEE), sono inclusi anche i ghiaioni montani, sia silicei (Androsacetalia<br />
alpinae e Galeopsietalia ladani) sia calcarei (Thlaspietea rotundifolii), e le pareti<br />
rocciose con vegetazione casmofitica, sia silicee sia calcaree. Prioritari, inoltre,<br />
sono indicati i ghiaioni calcarei medio-europei e i pavimenti calcarei.<br />
La flora a rischio. Anche se la flora dei ghiaioni e delle rupi montane non è<br />
soggetta a pesanti e diffuse minacce, alcune casmofite e glareofite sono riconosciute<br />
come vulnerabili dal “Libro Rosso delle Piante d’Italia” e tra queste<br />
Berardia subacaulis, Rhamnus glaucophyllus e Saxifraga tombeanensis. Altre<br />
specie, invece, non ancora danneggiate o vulnerabili, ma comunque esposte a<br />
questo rischio, sono classificate come rare, e tra queste Achillea lucana, Adonis<br />
distorta, Androsace mathildae, Aquilegia champagnatii, Armeria gussonei,<br />
Ballota frutescens, Campanula morettiana, C. raineri, Daphne petraea, Helichry-<br />
135
136 sum montelinasanum, Linaria tonzigii, Moehringia dielsiana, M. lebrunii, M.<br />
mentre Erebia calcaria e Erebia christi frequentano solo occasionalmente i<br />
markgrafii, M. papulosa, M. sedifolia, Moltkia suffruticosa, Papaver degenii,<br />
Physoplexis comosa, Potentilla saxifraga, Primula allionii, Rhizobotrya alpina,<br />
Salix crataegifolia, Saxifraga arachnoidea, S. cochlearis, S. florulenta, Sedum<br />
aetnense, Silene elisabethae, Viola comollia, V. magellensis.<br />
Le comunità animali. Anche per<br />
quanto riguarda la fauna, lo stato di<br />
conservazione della maggior <strong>parte</strong> delle<br />
specie che vivono in questi ambienti<br />
non sembra destare particolari preoccupazioni.<br />
Tuttavia, alcune specie di<br />
uccelli rapaci rupicoli, strettamente<br />
legati a questi habitat per la nidificazione,<br />
hanno subito nel recente passato<br />
un drastico decremento, sia a causa<br />
della persecuzione diretta, sia a causa<br />
del disturbo e dell’alterazione dei loro<br />
ambienti elettivi. Tra questi, il gipeto si<br />
Erebia calcaria<br />
è addirittura estinto in Italia nel XX<br />
secolo e solo negli ultimi anni sta ricominciando a riprodursi in alcune località<br />
a seguito di iniziative di reintroduzione e di tutela. Migliore è invece la situazione<br />
del falco pellegrino e dell’aquila reale. Tra gli uccelli che vivono sulle rupi e<br />
sui ghiaioni montani, tutti i rapaci sono stati riconosciuti come minacciati dalla<br />
Direttiva Uccelli (79/409/CEE), e con essi anche il gracchio corallino e la pernice<br />
bianca che, sporadicamente, frequentano questi habitat.<br />
Forti decrementi demografici hanno subito anche alcuni mammiferi, quali il<br />
camoscio delle Alpi, il camoscio appenninico e ancor più lo stambecco delle<br />
Alpi, soprattutto come effetto dell’intensa caccia cui sono stati soggetti<br />
durante il XX secolo. Recentemente, comunque, iniziative di tutela e di reintroduzione<br />
hanno innescato un trend positivo. Il camoscio appenninico, in<br />
particolare, è stato riconosciuto come specie prioritaria tra quelle di interesse<br />
comunitario, ai sensi della Direttiva Habitat.<br />
Per quanto riguarda gli invertebrati, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del<br />
Territorio, con il supporto dell’Unione Zoologica Italiana, sta promuovendo la<br />
produzione di una “lista rossa” ufficiale, obiettiva e aggiornata. È prevedibile<br />
che vi saranno incluse anche alcune specie caratteristiche o esclusive di rupi e<br />
ghiaioni montani, soprattutto insetti fitofagi e molluschi, molte endemiche di<br />
aree ristrette. Tra le specie di interesse comunitario secondo la Direttiva Habitat,<br />
Buprestis splendens e Parnassius apollo sono tipiche delle rupi montane,<br />
Rosalia alpina e Zerynthia polyxena vi si trovano in maniera assai sporadica,<br />
ghiaioni montani.<br />
Molte delle specie endemiche o comunque di particolare valore naturalistico<br />
sembrano addensarsi lungo l’arco alpino, soprattutto nei settori più xerici e<br />
carbonatici. Altre specie di rilievo sembrano ancora concentrarsi lungo l’Appennino<br />
centrale, in particolare nel settore laziale-abruzzese, e in quello<br />
meridionale, in particolare nel settore calabro-lucano, oltre che nei territori<br />
montani più elevati della Sicilia (Nebrodi e Madonie) e della Sardegna (Gennargentu).<br />
■ Le prospettive<br />
Uno degli aspetti più preoccupanti per la conservazione della vita naturale di<br />
rupi e ghiaioni montani sembra rappresentato dalla difficoltà di sensibilizzare<br />
enti interessati, turisti ed escursionisti circa il grande valore ecologico,<br />
naturalistico e paesaggistico di questi ambienti. Spesso interventi infrastrutturali<br />
ad impatto puntiforme, ma localmente rilevante, non sono preceduti da<br />
una adeguata valutazione dei loro effetti su questi valori. Una scorretta percezione<br />
di questi ambienti come habitat del tutto inospitali e inutili è evidentemente<br />
alla base di questa situazione, che va opportunamente corretta con<br />
disposizioni normative più attente e mirate e con una maggiore educazione<br />
della popolazione.<br />
Gipeto (Gypaetus barbatus)<br />
137
Proposte didattiche<br />
MARGHERITA SOLARI<br />
■ Occhio agli uccelli di montagna<br />
● Obiettivi: acquisire competenze nel<br />
riconoscimento di alcune specie di<br />
uccelli tipiche dell’ambiente montano;<br />
sviluppare capacità di analisi e confronto<br />
dei fattori limitanti di vari habitat.<br />
● Livello: ragazzi della Scuola Primaria<br />
o Secondaria di Primo Grado (9-12 anni).<br />
● Attrezzatura: materiale bibliografico,<br />
manuali di riconoscimento di uccelli,<br />
binocoli, abbigliamento adeguato all’escursione,<br />
macchina fotografica.<br />
● Collaborazioni richieste: accompa-<br />
Aquila reale (Aquila chrysaetos)<br />
Sordone (Prunella collaris)<br />
gnatori per l’escursione, eventuale guida naturalistica o esperto ornitologo.<br />
FASE PRELIMINARE<br />
1. Introduzione, attraverso il dibattito in classe, alle caratteristiche dell’ambiente<br />
montano. Schematizzazione dei differenti ambienti che si possono individuare<br />
in quota: boschi, prati e pascoli, fasce boscate e fasce al limite del<br />
bosco, rupi, ghiaioni, laghetti, ecc.<br />
2. Suddivisione della classe in gruppi e svolgimento di una ricerca di materiale<br />
fotografico (da fotografie scattate durante le escursioni con la famiglia a<br />
immagini tratte da volumi o reperite su internet) illustrante gli ambienti di rupi e<br />
ghiaioni. Dibattito sugli elementi caratterizzanti questi habitat e sui fattori limitanti<br />
per animali e vegetali: assenza di acqua superficiale, mancanza di suolo,<br />
insolazione, esposizione ai venti, elevata escursione termica, instabilità e pendenza<br />
dei versanti, carenza di risorse alimentari, ecc. Riflessione sulla quasi<br />
totale assenza degli autotrofi e sulla conseguente scarsità degli eterotrofi.<br />
Riflessione sulle caratteristiche degli uccelli che consentono loro un maggiore<br />
accesso a questi ambienti rispetto a mammiferi, anfibi o rettili.<br />
3. Ricerca bibliografica, in gruppo, sulle caratteristiche morfologiche che consentono<br />
il riconoscimento di accipitridi, corvidi e falconidi (colori del piumaggio,<br />
becco e zampe, dimensioni, profilo in volo, ecc.). Approfondimento sulle<br />
139
140 abitudini alimentari di questi animali. Stesura di schede sintetiche illustrate per<br />
■ Ghiaioni in corso<br />
il riconoscimento di gheppio, aquila, falco pellegrino, gracchio alpino e corallino,<br />
corvo imperiale. Formulazione e condivisione di obiettivi chiari con i ragazzi,<br />
in modo da maturare un comportamento responsabile e consapevole<br />
durante l’escursione.<br />
ESCURSIONE<br />
4. Individuazione di un’area montana adatta all’escursione (preferibilmente<br />
raggiungibile con funivie o seggiovie, o con brevi tratti di cammino), su sentieri<br />
poco frequentati, non troppo vicini a rifugi sovraffollati. Suddivisione della<br />
classe in due o tre gruppi, ognuno dotato di binocoli e schede di riconoscimento;<br />
scelta di punti panoramici adatti all’appostamento (che andrebbe fatto<br />
nelle prime ore del mattino).<br />
5. Osservazioni sul campo da <strong>parte</strong> dei gruppi, stesura di appunti sull’ambiente<br />
e sugli uccelli osservati (tipo di volo, comportamento, gregarietà, ecc.);<br />
riprese fotografiche.<br />
FASE CONCLUSIVA<br />
6. Al rientro in classe, stesura di una relazione personale, attraverso il confronto<br />
con i compagni, con sintesi degli appunti presi sul campo.<br />
7. Sintesi dei lavori in classe, scambio di opinioni e considerazioni conclusive<br />
sull’esperienza e sulle difficoltà riscontrate nelle osservazioni.<br />
Esempio di volo di caccia di un’aquila che prima compie alcuni giri a volo veleggiato e poi scende di<br />
quota per catturare una preda<br />
● Obiettivi: acquisizione di competenze<br />
nel riconoscere e descrivere gli<br />
adattamenti delle piante di alta quota,<br />
in particolare di quelle che si insediano<br />
sui ghiaioni; sviluppare capacità di<br />
analisi e confronto, maturare la passione<br />
per la conoscenza della vegetazione,<br />
avvicinarsi al concetto di evoluzione<br />
climacica della vegetazione.<br />
● Livello: ragazzi dell’ultimo anno della<br />
Scuola Secondaria di Primo Grado o<br />
dei primi anni della Secondaria di<br />
Secondo Grado (12-15 anni).<br />
● Attrezzatura: materiale bibliografico,<br />
materiale di cancelleria per la stesura<br />
di schede illustrate e cartelloni, abbigliamento<br />
adeguato all’escursione,<br />
Ghiaioni nelle Alpi Carniche (Friuli Venezia Giulia)<br />
macchina fotografica con obiettivo macro, manuale divulgativo per il riconoscimento<br />
dei fiori di montagna.<br />
● Collaborazioni richieste: accompagnatori per l’escursione, botanico o guida<br />
naturalistica durante l’escursione, o eventualmente in classe prima e dopo<br />
l’uscita.<br />
FASE PRELIMINARE<br />
1. Dibattito in classe e individuazione degli elementi che definiscono l’ambiente<br />
montano e dei fattori ecologici caratteristici. Introduzione del concetto di<br />
piano altitudinale. Individuazione delle caratteristiche e dei fattori ecologici<br />
limitanti di un ambiente di ghiaione montano (temperatura media, gradiente<br />
altitudinale di temperatura, escursione termica diurna e annua, insolazione,<br />
cicli di gelo e disgelo, innevamento, mancanza di suolo, pendenza e instabilità<br />
del versante, ridotta pressione atmosferica, carenza idrica), anche attraverso il<br />
confronto delle opinioni maturate con l’esperienza personale dei ragazzi.<br />
2. Approfondimento in classe sugli adattamenti delle piante di alta montagna in<br />
relazione ai fattori ecologici generali e dell’ambiente di ghiaione in particolare.<br />
3. Suddivisione della classe in gruppi, ognuno dei quali sintetizza in una scheda<br />
illustrata uno degli adattamenti studiati (forme a rosetta o a cuscinetto, riduzione<br />
delle dimensioni, potenza degli apparati radicali, superfici fogliari lucide,<br />
presenze di cuticola, di rivestimenti cerosi o di peluria, succulenza, accorciamento<br />
del periodo vegetativo, vivace pigmentazione degli organi fiorali).<br />
141
142 4. Suddivisione della classe in cinque gruppi, diversi dai precedenti (scambio<br />
Glareofite migranti<br />
Suddivisione delle piante che vivono nei detriti in base alle forme di crescita<br />
Utilizzano lunghi polloni infilati nella ghiaia<br />
(Campanula cochlearifolia,<br />
Thlaspi rotundifolium, Viola calcarata)<br />
Glareofite striscianti<br />
Piccoli polloni foliati poggiati sui detriti<br />
(Arenaria biflora, Linaria alpina,<br />
Silene glareosa)<br />
Glareofite fissanti<br />
Mostrano polloni che si allungano ed<br />
estendono dritti dentro la copertura detritica<br />
(Doronicum, Hieracium intybaceum,<br />
Oxyria digyna)<br />
Glareofite coprenti<br />
Radicano sui detriti e formano<br />
coperture estese<br />
(Dryas octopetala, Gypsophila repens,<br />
Saxifraga oppositifolia)<br />
Glareofite sbarranti<br />
Cuscinetti e mazzi particolarmente<br />
resistenti con sottili radici<br />
(Androsace alpina, Carex firma,<br />
Ranunculus glacialis)<br />
di informazioni sugli adattamenti individuati e approfonditi). Sintesi su tabelloni<br />
(ad esempio formato 100x70 cm) illustrati da disegni, schemi e immagini<br />
della suddivisione delle piante, sulla base delle forme di crescita, in: glareofite<br />
migranti, striscianti, fissanti, coprenti e sbarranti.<br />
5. Illustrazione, semplificata, del concetto di evoluzione dell’ambiente e di<br />
vegetazione climax. Esame del ruolo della vegetazione nel consolidamento dei<br />
ghiaioni.<br />
6. Individuazione, con la guida naturalistica e gli accompagnatori, di un itinerario<br />
adatto dal punto di vista naturalistico, oltre che di facile raggiungibilità e<br />
impegno non eccessivo (limitare il tempo del cammino ad 1 ora e mezza circa,<br />
anche a seconda dell’allenamento dei ragazzi alle camminate in montagna).<br />
Concordare le finalità con la guida, evitando l’eccesso di nomenclatura scientifica.<br />
ESCURSIONE<br />
7. Osservazione guidata, nel gruppo classe, dell’ambiente di montagna, dell’habitat<br />
di ghiaione (riflessione sui fattori limitanti attesi).<br />
8. Individuazione delle piante più rilevanti dal punto di vista degli adattamenti,<br />
delle specie rare, delle specie significative dal punto di vista dell’evoluzione<br />
della vegetazione. Osservazioni sul campo, individuali o a gruppi, assieme alla<br />
guida naturalistica. Ripresa di immagini fotografiche.<br />
CONCLUSIONE DEL LAVORO IN CLASSE<br />
9. Sintesi delle conoscenze acquisite. Dopo la stampa delle fotografie, attribuzione<br />
della pianta ad una delle categorie individuate nel lavoro preliminare,<br />
completamento dei cartelloni con le immagini maggiormente significative.<br />
10.Dibattito in classe sulle peculiarità di questo habitat, sulle esigenze di preservazione<br />
e conservazione.<br />
Nota: Se accanto alle finalità e agli obiettivi enunciati si mira ad avvicinare i<br />
ragazzi alla fotografia naturalistica è necessario fornire loro alcune indicazioni<br />
fondamentali sulle riprese fotografiche (sempre che non sia possibile organizzare<br />
un mini-corso).<br />
In montagna in particolare si dovrebbe:<br />
● Utilizzare macchine fotografiche di tipo reflex con obiettivi diversi: 50 mm,<br />
teleobiettivo, grandangolare e macro per i fiori (le più moderne macchine digitali<br />
riuniscono discretamente tutte queste funzioni).<br />
● Con il teleobiettivo usare tempi non troppo brevi, per mettere a fuoco tutto<br />
il fiore, e diaframmi chiusi.<br />
● Preferire la luce diffusa dell’alba e del tramonto.<br />
● Utilizzare filtri UV per evitare l’eccesso di radiazione ultravioletta<br />
143
144 ■ Rocce, alghe e licheni<br />
micobionte. Esempi di licheni epilitici<br />
● Obiettivi: maturare la consapevolezza della diversità del mondo vivente e<br />
degli adattamenti delle specie ai diversi ambienti di vita; riconoscere le possibili<br />
applicazioni pratiche dei concetti studiati nel percorso scolastico.<br />
● Livello: ragazzi della Scuola Secondaria di Secondo Grado (15-18 anni).<br />
● Attrezzatura: materiale bibliografico, soprattutto fotografico, manuale scolastico<br />
di biologia, abbigliamento adeguato all’escursione, macchina fotografica.<br />
● Collaborazioni richieste: accompagnatori per l’escursione, eventuale guida<br />
naturalistica.<br />
FASE PRELIMINARE<br />
1. Recupero dei concetti di cellula procariote ed eucariote, organismi autotrofi<br />
ed eterotrofi, vie del metabolismo. Osservazione al microscopio di diversi<br />
organismi unicellulari, e loro classificazione.<br />
2. Approfondimento sulle modalità di fissazione al substrato delle alghe/piante<br />
epilitiche, sulla preferenza per substrati silicei o carbonatici (ripasso degli<br />
elementi di petrografia), sulle condizioni limitanti (presenza di lamina d’acqua<br />
per significativi intervalli di tempo, ad esempio alcune settimane, ecc.), sul<br />
ciclo vitale e la latenza in assenza di acqua.<br />
3. Analisi della simbiosi alga-fungo nei licheni, ruolo del ficobionte e del<br />
Rupi e pareti rocciose possono essere anche prossime agli abitati (Valtellina, Lombardia)<br />
ed endolitici.<br />
4. Individuazione, sul manuale di<br />
testo, della posizione sistematica dei<br />
cianobatteri. Analisi della suddivisione<br />
degli organismi, in base alle loro richieste<br />
nutritive, in fotoautotrofi, chemoautotrofi,<br />
fotoeterotrofi e chemoeterotrofi;<br />
discussione sull’attribuzione di piante<br />
e batteri alla prima di queste categorie<br />
(approfondimento da svolgersi previo<br />
ripasso dei meccanismi del metabolismo<br />
cellulare).<br />
5. Studio del fenomeno carsico, delle<br />
macroforme e delle microforme ad<br />
esso collegate, esame degli equilibri<br />
chimici che regolano il fenomeno carsico<br />
(ruolo di temperatura, pressione, Licheni<br />
pH, e della CO2 nella reazione e spostamento<br />
dell’equilibrio carbonato/bicarbonato). Riflessione sul fenomeno<br />
del fitocarsismo, sul ruolo delle piante esolitofile ed endolitofile su substrati<br />
carbonatici.<br />
EVENTUALE ESCURSIONE<br />
6. Individuazione di un’area adatta all’escursione, suddivisione della classe in<br />
due o tre gruppi, osservazioni sul campo, stesura di appunti.<br />
7. Riprese fotografiche dei licheni presenti su substrati rocciosi.<br />
PROSECUZIONE DEL LAVORO IN CLASSE<br />
8. Raccolta del materiale fotografico, sintesi delle osservazioni compiute.<br />
9. Eventuale collaborazione di guida naturalistica o lichenologo per il riconoscimento<br />
dei licheni ripresi o per il loro studio. È possibile fare riferimento a<br />
siti Internet che forniscono informazioni e chiavi di riconoscimento, come il<br />
sito della Società Lichenologica Italiana (dbiodbs.univ.trieste.it), oppure il sito<br />
indire (ospitiweb.indire.it), o altri (www.tamtamscuola.it/licheni, www.dister.<br />
unige.it/lablic).<br />
10.Dibattito e riflessioni sulla varietà del mondo vivente e sulla capacità di<br />
cogliere la presenza delle forme di vita ad un primo sguardo più insignificanti.<br />
Nota: Per l’avvicinamento dei ragazzi alla fotografia naturalistica, valgono le<br />
considerazioni espresse al termine della scheda precedente.<br />
145
Bibliografia<br />
AA. VV., 2004 - Italia. Atlante dei tipi geografici. Istituto Geografico Militare. Firenze.<br />
Atlante costituito da numerose tavole illustrative dei tipi geografici presenti nel territorio italiano. Le tavole<br />
sono raggruppate in venti temi, riguardanti sia la geografia fisica che quella umana.<br />
AESCHIMANN D., LAUBER K., MOSER D. M., THEURILLAT J.P., 2004 - Flora delle Alpi, 3 Voll. Traduzione italiana<br />
a cura di M. Bovio. Zanichelli, Bologna.<br />
Si tratta della più recente, aggiornata e completa guida alla flora delle Alpi. Ciascuna specie è illustrata<br />
attraverso splendide fotografie a colori e caratterizzata nella sua distribuzione ed ecologia attraverso<br />
cartine e disegni schematici. La consultazione di quest’opera è imprescindibile per chiunque voglia<br />
accostarsi al mondo della flora alpina, che annovera numerose specie rupicole e detriticole di grande<br />
interesse fitogeografico.<br />
BRICHETTI P., 1987 - Atlante degli uccelli delle Alpi Italiane. Ramperto, Brescia.<br />
È la principale opera divulgativa di sintesi dedicata all’ornitofauna montana della <strong>parte</strong> italiana dell’arco<br />
alpino, utile nonostante i dati distributivi siano ormai datati.<br />
CARTON A., PELFINI M., 1988 - Forme del paesaggio d’alta montagna. Zanichelli, Bologna.<br />
Volume a carattere divulgativo che affronta gli argomenti con rigore scientifico. Sono esaminate le forme<br />
ed i processi del paesaggio d’alta montagna con ricchezza di schemi e fotografie in particolare della<br />
regione alpina.<br />
CARRETTA L., 1988 - Rapaci in volo. Pirella editore, Genova.<br />
Il volume riporta informazioni generali sulle abitudini dei rapaci, in particolare per quanto riguarda il volo<br />
e, soprattutto, numerosi disegni relativi a osservazioni sul campo.<br />
CASTIGLIONI G. B., 1986 - Geomorfologia. UTET, Torino.<br />
Trattato di geomorfologia generale con una approfondita analisi dei vari sistemi morfogenetici, con ampi<br />
riferimenti alla geomorfologia del territorio italiano.<br />
FONTANA P., BUZZETTI F. M., COGO A., ODÈ B., 2002 - Cavallette, grilli, mantidi e insetti affini del Veneto.<br />
Museo Naturalistico Archeologico di Vicenza, Vicenza.<br />
Volume dedicato agli ortotteri corredato da un utile cd. Benchè l’illustrazione di questi particolari gruppi<br />
sia limitata al Vento, di fatto la pubblicazione è utile per tutto il territorio nazionale.<br />
GENSBOL B., 1992 - Guida dei rapaci diurni d’Europa. Zanichelli, Bologna.<br />
Testo autorevole che sintetizza informazioni sulla morfologia, la biologia e l’ecologia delle diverse specie<br />
di rapaci diurni presenti in Italia.<br />
FEOLI-CHIAPELLA L., 1983 - Prodromo numerico della vegetazione dei brecciai appenninici. “Collana del<br />
Progetto Finalizzato “Promozione della Qualità dell’Ambiente”, AQ/5/40, C.N.R., Roma<br />
Ampia e dettagliata monografia scientifica dedicata alla caratterizzazione fitosociologica della vegetazione<br />
delle falde detritiche di tutta la catena appenninica.<br />
GRABHERR G., MUCINA L., 1993 - Die Pflanzengesellschaften Österreichs. Teil II. Natürliche waldfreie<br />
Vegetation. Fischer Verlag, Jena.<br />
Guida scientifica, in lingua tedesca, dedicata alla vegetazione dell’Austria, utilizzabile comunque anche<br />
per la classificazione e la descrizione delle comunità vegetali delle rupi e dei detriti delle Alpi sudorientali.<br />
MINELLI A., CHEMINI C., ARGANO A., LA POSTA S., RUFFO A. (a cura di), 2002 - La fauna in Italia. Touring Club<br />
Italiano, Milano e Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, Roma.<br />
Aggiornata e completa trattazione della fauna d’Italia, con ampi riferimenti anche agli aspetti legislativi e<br />
conservazionistici.<br />
MINELLI A., RUFFO S., LA POSTA S., 1993-1995 - Checklist delle specie della fauna italiana. Calderini,<br />
Bologna.<br />
Elenca tutte le specie note della fauna italiana, rendendo possibile l’uso di una nomenclatura corretta e<br />
unificata. La collana è costituita da 110 fascicoli. Disponibile anche on-line all’indirizzo: http://<br />
checklist.faunaitalia.it<br />
147
148<br />
PINNA M., 1977 - Climatologia. UTET, Torino.<br />
Trattato di climatologia generale con analisi e classificazione dei vari climi della Terra, di utile consultazione<br />
per ogni tipo di ricerca a carattere ambientale.<br />
POLI MARCHESE E., 1965 - La vegetazione altomontana dell’Etna. Flora et Vegetatio Italica, Mem. 5, Sondrio.<br />
Storica monografia scientifica sulla vegetazione di altitudine del principale vulcano italiano, ricca di<br />
informazioni sulla vegetazione pioniera delle distese laviche.<br />
REISIGL H., KELLER R., 1990 - Fiori e ambienti delle Alpi. Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento.<br />
Opera con finalità di divulgazione scientifica. La flora e le comunità vegetali delle rupi e dei detriti sono<br />
chiaramente descritte, riccamente illustrate con fotografie e disegni originali e didattici. Alcuni dei disegni<br />
qui proposti sono tratti da questo volume.<br />
SPAGNESI M., TOSO S. (eds.), 1999 - Iconografia dei Mammiferi d’Italia. Ministero dell’Ambiente e della<br />
Tutela del Territorio, Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica A. Ghigi, Roma.<br />
Rappresenta la più aggiornata e completa opera sui mammiferi presenti in Italia; contiene informazioni<br />
sulla morfologia, sull’ecologia e sullo stato tassonomico delle popolazioni italiane; contiene inoltre accurate<br />
illustrazioni e carte distributive per tutte le specie.<br />
Glossario<br />
> Alleanza: categoria della tassonomia fitosociologica<br />
o sintassonomia immediatamente inferiore<br />
all’ordine e comprensiva di una o più associazioni.<br />
> Angiosperme: vegetali, in massima <strong>parte</strong> terrestri,<br />
provvisti di fiori ben differenziati.<br />
> Antofago: animale che utilizza le parti fiorali<br />
delle angiosperme come principale o esclusiva<br />
fonte alimentare, almeno durante una fase del suo<br />
ciclo vitale.<br />
> Apodo: animale privo di arti ambulatori (serpenti,<br />
forme larvali di alcuni insetti, ecc.).<br />
> Associazione: unità vegetazionale caratterizzata<br />
o differenziata da una particolare composizione<br />
floristica, che esprime una ben precisa relazione<br />
con l’ambiente; costituisce la categoria di base<br />
del sistema fitosociologico.<br />
> Biocenosi: l’insieme delle comunità animali e<br />
vegetali che coesistono in un determinato habitat.<br />
> Biomassa: massa corporea (espressa di norma<br />
come peso secco) di uno o più organismi.<br />
> Camefita: pianta legnosa caratterizzata dal fatto<br />
di portare le gemme svernanti all’apice di fusti o<br />
rami, ad un’altezza da uno fino a cinque decimetri<br />
sopra la superficie del suolo.<br />
> Capacità termica: quantità di calore richiesta<br />
per aumentare di un 1° C la temperatura di un<br />
oggetto, nel caso specifico della roccia o dei<br />
detriti.<br />
> Casmofita: specie vegetale tipicamente adattata<br />
a vivere su pareti verticali o subverticali.<br />
> Circadiano: relativo ad un ciclo giornaliero<br />
completo dì/notte.<br />
> Classe: la categoria più elevata della tassonomia<br />
fitosociologica o sintassonomia, comprensiva<br />
di uno o più ordini.<br />
> Clasto: un singolo frammento di un sedimento<br />
detritico prodotto dalla disgregazione di una più<br />
grande massa di roccia.<br />
> Criofilo: organismo che tende a colonizzare<br />
habitat con microclima piuttosto freddo.<br />
> Depositi quaternari: materiali sciolti, di varia<br />
natura (fluviale, glaciale, ecc.), la cui deposizione è<br />
avvenuta nel corso degli ultimi due milioni di anni<br />
(Quaternario).<br />
> Diploide: organismo dotato di due serie identiche<br />
di cromosomi, in numero doppio rispetto al<br />
numero di base.<br />
> Divisione: nota anche come phylum, costituisce,<br />
in botanica, la categoria tassonomica compresa<br />
tra il regno e la classe.<br />
> Edafico: attinente al suolo.<br />
> Endemita: elemento endemico, cioè esclusivo,<br />
di un’area geografica più o meno limitata, di cui<br />
contribuisce ad esprimere la peculiarità biogeografica.<br />
> Entomocenosi: l’insieme delle comunità di<br />
insetti presenti in un determinato ecosistema.<br />
> Esarazione glaciale: l’erosione operata da un<br />
ghiacciaio attraverso il suo movimento.<br />
> Euriecio: elemento ad ampia valenza ecologica,<br />
in grado di colonizzare un’ampia varietà di differenti<br />
tipologie ambientali.<br />
> Extrazonale: elemento la cui presenza in un<br />
determinato habitat è da considerare più o meno<br />
atipica, al di fuori comunque dagli habitat di norma<br />
colonizzati.<br />
> Fasce di vegetazione: superfici caratterizzate da<br />
un’omogeneità vegetazionale ed ecologica di fondo,<br />
disposte in sequenza altitudinale sul versante<br />
di un rilievo. Nel testo si fa riferimento ad una successione<br />
che, dal basso, comprende una fascia<br />
collinare caratterizzata da boschi misti di latifoglie<br />
decidue, una fascia montana con boschi di faggio<br />
nelle aree marginali delle Alpi, negli Appennini e in<br />
Sicilia e boschi di pino silvestre o abete rosso nelle<br />
Alpi interne, una fascia subalpina contraddistinta<br />
da boschi di conifere e formazioni a bassi arbusti,<br />
una fascia alpina completamente costituita da specie<br />
erbacee e caratterizzata dalla predominanza di<br />
praterie chiuse e continue e una fascia nivale con<br />
vegetazione rada e discontinua formata da poche<br />
specie, isolate o in piccoli gruppi, di piante vascolari<br />
erbacee, muschi e licheni.<br />
> Fenologico: in botanica riferito al ciclo vitale<br />
stagionale di una pianta e che culmina nel<br />
momento della sua fioritura.<br />
> Ferormonale: relativo a comunicazioni intraspecifiche<br />
operate mediante sostanze chimiche percepibili<br />
a distanza.<br />
> Fillofago: elemento che si sviluppa a spese di<br />
parti fogliari di vegetali.<br />
> Fitocenosi (o comunità vegetale): aggregazione<br />
di popolazioni di specie diverse di piante conviventi<br />
all’interno di uno stesso ecosistema.<br />
> Fitofago: organismo che si sviluppa a spese di<br />
parti di vegetali.<br />
> Fitosaprofago: organismo che si sviluppa a<br />
spese di elementi vegetali in decomposizione.<br />
> Fitosociologia: metodologia di descrizione e<br />
classificazione della vegetazione basata sull’analisi<br />
della sua composizione floristica. Le unità vegetazionali<br />
descritte vengono inserite in un sistema<br />
classificatorio, o sintassonomico, gerarchico ed<br />
inclusivo articolato in classi, ordini, alleanze ed<br />
associazioni.<br />
> Generalista: organismo non specializzato.<br />
> Germoglio: <strong>parte</strong> subaerea di una pianta vascolare,<br />
ordinariamente composto da fusto e foglie.<br />
> Giacitura a franapoggio: disposizione degli<br />
strati rocciosi con immersione concordante con il<br />
pendio sul quale li si osserva.<br />
> Giacitura a reggipoggio: disposizione degli<br />
strati rocciosi con immersione opposta al pendio<br />
del versante su cui li si osserva.<br />
> Glareofita: specie vegetale tipicamente adattata<br />
a vivere in macereti e ghiaioni.<br />
> Imaginale: riferito allo stadio adulto di insetti a<br />
sviluppo olometabolico.<br />
149
150<br />
> Litofilo/Litofita: organismo vegetale specializzato<br />
per vivere in ambienti rocciosi.<br />
> Mesofilo: organismo che tende a colonizzare<br />
habitat con microclima intermedio (né particolarmente<br />
freddo né particolarmente caldo).<br />
> Microfago: organismo che si nutre di particelle<br />
alimentari di dimensioni microscopiche.<br />
> Microtermo: organismo che tende a colonizzare<br />
habitat con microclima piuttosto freddo.<br />
> Monofago: organismo legato ad una fonte specializzata<br />
ed unica di cibo (in genere si tratta di<br />
una singola pianta ospite).<br />
> Neurotossica: dicesi dell’attività di sostanze<br />
chimiche tossiche a livello del sistema nervoso.<br />
> Ordine: in tassonomia per ordine si intende la<br />
categoria immediatamente inferiore alla classe e<br />
comprendente una o più famiglie; anche nella tassonomia<br />
fitosociologica o sintassonomia l’ordine<br />
è subordinato alla classe, ma, in questo caso,<br />
comprende una o più alleanze.<br />
> Parassitoide: organismo che si sviluppa a spese<br />
di un altro, procurandone la morte alla fine dello<br />
sviluppo stesso.<br />
> Pianta vascolare: pianta superiore che presenta<br />
tessuti ben differenziati, compresi quelli conduttori<br />
(o vascolari). Sono piante vascolari le felci e le<br />
piante con semi.<br />
> Pleistocene: primo periodo del Quaternario,<br />
compreso fra circa 2 milioni e 10.000 anni fa,<br />
caratterizzato da numerose glaciazioni e dalla<br />
comparsa dell’uomo.<br />
> Poliploide: organismo con un numero cromosomico<br />
multiplo del numero di base.<br />
> Processi periglaciali: processi tipici delle regioni<br />
a clima freddo dove è rilevante l’azione del<br />
ghiaccio e della neve, senza però la presenza<br />
diretta dei ghiacciai.<br />
> Produttività: la quantità di energia che viene<br />
accumulata in un ecosistema sotto forma di biomassa.<br />
> Relittuale: aggettivo che qualifica una distribuzione<br />
geografica di tipo residuale, se confrontata<br />
con una più ampia documentata per il passato.<br />
> Scapo: fusto privo di foglie, portante all’apice<br />
un fiore od un’infiorescenza.<br />
> Sciafilo: organismo che tende a colonizzare<br />
habitat che si mantengano preferenzialmente in<br />
ombra, non esposti alla diretta luce del sole.<br />
> Silicicolo: organismo legato a substrati particolarmente<br />
ricchi di biossido di silicio.<br />
> Simbiosi: condizione di interazione tra due specie<br />
diverse, che ne traggono reciproco vantaggio.<br />
> Spermofago: organismo che si sviluppa a spese<br />
dei semi di vegetali.<br />
> Submediterraneo: organismo che colonizza<br />
ambienti di tipo mediterraneo, presenti però di<br />
norma più all’interno delle aree strettamente<br />
costiere.<br />
> Tallo: struttura vegetativa non suddivisa in parti<br />
assimilabili a radice, fusto o foglia, tipici invece di<br />
un cormo.<br />
> Tettonica: lo studio delle deformazioni subite<br />
dalle rocce, le loro traslazioni e le strutture che ne<br />
risultano per effetto delle forze endogene della<br />
Terra.<br />
> Traspirazione: processo attraverso il quale<br />
avviene l’evaporazione dell’acqua in corrispondenza<br />
della superficie limite pianta-aria.<br />
> Umificato: ricco di humus.<br />
> Vicariante: si definiscono vicarianti due entità<br />
tassonomiche o sintassonomiche che si sostituiscono<br />
vicendevolmente in territori geograficamente<br />
distinti o in ambienti ecologicamente diversi.<br />
> Xerofilo: organismo che colonizza di preferenza<br />
habitat con microclima tendenzialmente secco e<br />
asciutto.<br />
> Xerotermofilo: organismo che colonizza di preferenza<br />
habitat con microclima tendenzialmente<br />
secco e caldo.<br />
> Xilofago: organismo che si sviluppa a spese di<br />
parti lignee di vegetali.<br />
> Zoocenosi: l’insieme delle comunità di animali<br />
presenti in un determinato ecosistema.<br />
Indice delle specie<br />
Abete rosso - 105<br />
Acalypta musci - 91<br />
Acarospora - 30<br />
Acetosa soldanella - 63<br />
Achillea - 7<br />
Achillea atrata - 70<br />
Achillea barrelieri - 67, 71<br />
Achillea erba-rotta - 64<br />
Achillea erba-rotta - 64, 69<br />
Achillea erba-rotta ssp. ambigua<br />
- 69<br />
Achillea lucana - 51<br />
Achillea lucana - 51, 71, 135<br />
Achillea mucronulata - 71<br />
Achillea nana - 69<br />
Achillea rupestris - 71<br />
Adenostyles leucophylla - 69<br />
Adiantum - 46<br />
Adiantum capillus-veneris - 34, 47<br />
Admontia cepelaki - 110<br />
Adonide curvata - 65, 67<br />
Adonis distorta - 65, 71, 135<br />
Aeropedellus variegatus - 102<br />
Aeropus sibiricus - 102<br />
Agolius - 108<br />
Agolius abdominalis - 108<br />
Agrodiaetus - 96<br />
Agrodiaetus galloi - 96<br />
Agrodiaetus ripartii - 96<br />
Alisso rupestre - 54<br />
Allium narcissiflorum - 69<br />
Alydus rupestris - 91<br />
Alyssoides utriculata - 26<br />
Alyssum - 64, 108<br />
Alyssum argenteum - 69<br />
Alyssum cuneifolium - 71<br />
Alyssum diffusum - 81, 95<br />
Alyssum ligusticum - 68<br />
Alyssum ovirense - 70<br />
Alyssum wulfenianum - 70<br />
Amara - 103<br />
Amphimallon - 94<br />
Anaglyptus gibbosus - 82, 83<br />
Andreaea - 33<br />
Androsace abruzzese - 51<br />
Androsace alpina - 43, 142<br />
Androsace brevis - 69<br />
Androsace dei ghiacciai - 43<br />
Androsace di Hausmann - 53<br />
Androsace di Vandelli - 43, 55<br />
Androsace emisferica - 43<br />
Androsace hausmannii - 53, 70<br />
Androsace helvetica - 43<br />
Androsace mathildae - 51, 71,<br />
135<br />
Androsace pubescens - 69<br />
Androsace vandellii - 43, 55<br />
Androsace vitaliana ssp.<br />
praetutiana - 71<br />
Androsace vitaliana ssp. sesleri<br />
- 70<br />
Androsace wulfeniana - 70<br />
Anechura bipunctata - 102<br />
Anonconotus - 91, 102<br />
Anoxia - 94<br />
Anoxia australis - 94<br />
Antaxius difformis - 89, 102<br />
Anthaxia - 94<br />
Anthemis aetnensis - 71<br />
Anthocharis - 96<br />
Anthocharis euphenoides - 96<br />
Antirrhinum latifolium - 93<br />
Antitype suda - 97<br />
Aphanothece - 29<br />
Apion - 109<br />
Aquila - 140<br />
Aquila chrysaetos - 119, 138<br />
Aquila di Bonelli - 83<br />
Aquila reale - 119, 131, 136, 138<br />
Aquilegia champagnatii - 71,<br />
135<br />
Aquilegia di re Otto - 81<br />
Aquilegia einseleana - 70<br />
Aquilegia magellensis - 71<br />
Aquilegia ottonis - 71, 81<br />
Arabis - 92<br />
Aradus frigidus - 103<br />
Arctia festiva - 111<br />
Arctia flavia - 111<br />
Arenaria biflora - 142<br />
Arenaria di Huter - 81<br />
Arenaria huteri - 69, 81<br />
Argna - 99<br />
Arhopalus ferus - 82<br />
Arianta chamaeleon - 99<br />
Arion - 99<br />
Armadillidium - 88, 99<br />
Armeria gussonei - 71, 135<br />
Armeria morisii - 51, 71<br />
Armeria sulcitana - 71<br />
Artemisia glacialis - 69<br />
Artemisia nitida - 70<br />
Artemisia petrosa ssp. eriantha -<br />
71<br />
Arvicola - 114, 127<br />
Arvicola delle nevi - 125, 127<br />
Asida pirazzolii - 107<br />
Asida pirazzolii ssp. sardiniensis<br />
- 107<br />
Asperula gussonei - 51, 71<br />
Asperula hexaphylla - 68<br />
Asperula pumila - 55, 71<br />
Asplenio del serpentino - 47<br />
Asplenio delle Dolomiti - 47<br />
Asplenio delle fonti - 47<br />
Asplenio grazioso - 47<br />
Asplenio ruta di muro - 47<br />
Asplenio settentrionale - 47<br />
Asplenio tricomane - 46, 47<br />
Asplenio verde - 47<br />
Asplenium - 46, 47, 53<br />
Asplenium cuneifolium - 47<br />
Asplenium fontanum - 47<br />
Asplenium lepidum - 47<br />
Asplenium ruta-muraria - 47<br />
Asplenium seelosii - 47<br />
Asplenium septentrionale - 47<br />
Asplenium trichomanes - 46, 47<br />
Asplenium viride - 47<br />
Astragalus siculus - 91<br />
Atamanta comune - 66<br />
Athamanta cretensis - 66<br />
Athamanta turbith - 69, 70<br />
Athamanta vestina - 69<br />
Atractosoma meridionale - 100<br />
Aubrieta deltoidea - 71<br />
Aurinia - 93, 108<br />
Aurinia saxatilis - 82<br />
Aurinia saxatilis ssp. orientalis -<br />
95<br />
Axinopalpis gracilis - 82<br />
Ballota frutescens - 68, 135<br />
Ballota frutescens - 135<br />
Ballota rupestris - 93<br />
Barbula bicolor - 33<br />
Barbula crocea - 35<br />
Berardia - 64, 65<br />
Berardia subacaulis - 64, 65,<br />
135<br />
Bergamosoma canestrinii - 100<br />
Berninelsonius hyperboreus -<br />
107<br />
Biscutella - 95, 105<br />
Bombo - 110<br />
Bombus - 110<br />
Brachyodontus - 109<br />
Brachypterolus - 93, 105<br />
Brachypterolus linariae - 93, 105<br />
Brachypterolus vestitus - 93<br />
Brassica repanda - 69<br />
Brembosoma castagnolense -<br />
88<br />
Buprestis splendens - 94, 136<br />
Calliptamus italicus - 101<br />
Calliptamus siciliae - 101<br />
Caloplaca - 30<br />
Calothrix - 28<br />
Camedrio alpino - 63<br />
Camoscio - 108, 123<br />
Camoscio appenninico - 123,<br />
124, 136<br />
Camoscio delle Alpi - 122, 123,<br />
124, 136<br />
Campanula - 48, 49, 64<br />
Campanula albicans - 68<br />
Campanula alpestre - 64<br />
Campanula alpestris - 64, 69<br />
151
152<br />
Campanula carnica - 70<br />
Campanula cenisia - 69<br />
Campanula cochleariifolia - 27,<br />
62, 142<br />
Campanula dei ghiaioni - 27, 62<br />
Campanula dell’arciduca - 49<br />
Campanula di Moretti - 49<br />
Campanula di Zois - 40, 49<br />
Campanula elatines - 49, 69<br />
Campanula elatinoides - 69<br />
Campanula excisa - 69<br />
Campanula forsythii - 71<br />
Campanula fragilis ssp. cavolinii<br />
- 51, 71<br />
Campanula macrorrhiza - 68<br />
Campanula morettiana - 49, 69,<br />
135<br />
Campanula napoletana - 50, 51,<br />
54<br />
Campanula petraea - 69<br />
Campanula piemontese - 49<br />
Campanula pollinensis - 71<br />
Campanula raineri - 49, 69, 135<br />
Campanula tanfanii - 71<br />
Campanula thyrsoides ssp.<br />
carniolica - 70<br />
Campanula zoysii - 40, 70<br />
Candidula unifasciata - 99<br />
Capelvenere - 34, 47<br />
Capovaccaio - 83<br />
Capra ibex - 72, 112, 124<br />
Carabus (Orinocarabus)<br />
pedemontanus - 92<br />
Carabus - 91, 103<br />
Carabus baudii - 103<br />
Carabus bertolinii - 92<br />
Carabus concolor - 103<br />
Carabus creutzeri - 103<br />
Carabus depressus - 103<br />
Carabus heteromorphus - 103<br />
Cardaminopsis - 92<br />
Cardo di Bertoloni - 64<br />
Cardo niveo - 65, 67<br />
Carduus chrysacanthus - 71<br />
Carex firma - 142<br />
Cariofillata delle pietraie - 62<br />
Carpino - 82<br />
Caryocolum - 111<br />
Catharia pyrenaealis - 97<br />
Cecilioides - 99<br />
Cedracca comune - 47<br />
Centaurea busambarensis - 51,<br />
71<br />
Centaurea scannensis - 71<br />
Centranthus trinervis - 71<br />
Cepaea sylvatica - 99<br />
Cephalaria mediterranea - 71<br />
Cerambyx scopolii - 82<br />
Cerastio di Carinzia - 70<br />
Cerastium - 104, 109<br />
Cerastium carinthiacum - 70<br />
Cerastium subtriflorum - 70<br />
Cerastium thomasii - 71<br />
Ceterach - 46<br />
Ceterach officinarum - 47<br />
Ceutorhynchus - 109<br />
Ceutorhynchus bifidus - 109<br />
Ceutorhynchus inaffectatus -<br />
109<br />
Ceutorhynchus pinguis - 81, 95<br />
Ceutorhynchus verticalis - 81,<br />
95<br />
Chalicodoma muraria - 106<br />
Chamaesphecia - 97<br />
Charpentieria - 83, 99<br />
Chazara briseis - 97<br />
Cheilosia aristata - 109<br />
Chelidura aptera - 102<br />
Chelidurella - 102<br />
Chelidurella thaleri - 102<br />
Chelidurella vignai - 102<br />
Chelis maculosa - 111<br />
Chersotis - 97<br />
Chersotis alpestris - 97<br />
Chersotis ocellina - 97<br />
Chersotis oreina - 97<br />
Chilostoma - 83, 87, 99<br />
Chilostoma alpinum - 99<br />
Chilostoma cingulatum - 87, 99<br />
Chilostoma cingulatum<br />
colubrinum - 99<br />
Chilostoma millieri - 99<br />
Chilostoma zonatum - 99<br />
Chionomys nivalis - 125, 127<br />
Chondrina - 83, 86, 87, 99<br />
Chondrina avenacea - 86<br />
Chondrina clienta - 87<br />
Chondrina megacheilos - 87<br />
Chondrina oligodonta - 87<br />
Chondrula - 99<br />
Chopardius pedestris - 89, 102<br />
Chopardius pedestris ssp.<br />
apuanus - 89<br />
Chorthopodisma cobellii - 101<br />
Cimiciotta spinosa - 81<br />
Cinquefoglia dell’Appennino -<br />
54<br />
Cinquefoglia penzola - 52<br />
Cinquefoglie delle Dolomiti - 52<br />
Cirsium bertolonii - 64, 70<br />
Clausilia - 83, 99<br />
Cochlicopa - 99<br />
Cochlodina - 99<br />
Cochlostoma - 83, 86, 99<br />
Cochlostoma canestrinii - 86<br />
Cochlostoma crosseanum - 86<br />
Cochlostoma henricae - 86<br />
Cochlostoma paladilhianum - 86<br />
Cochlostoma philippianum - 86<br />
Cochlostoma porroi - 86<br />
Cochlostoma sardoum - 86<br />
Cochlostoma scalarium - 86<br />
Cochlostoma tergestinum - 86<br />
Cochlostoma villae - 86<br />
Coclearia alpina - 64<br />
Codirosso spazzacamino - 120,<br />
121<br />
Coincya richeri - 69<br />
Colpotus strigosus - 107<br />
Colpotus strigosus ssp.<br />
ganglbaueri - 107<br />
Colutea - 96<br />
Conocephalum conicum - 34<br />
Copium - 82, 91, 102<br />
Copium clavicorne - 102<br />
Copium teucrii - 102<br />
Coranus subapterus - 91<br />
Corvo imperiale - 83, 116, 140<br />
Corvus corax - 83, 116<br />
Costolina appenninica - 66<br />
Crepis terglouensis - 70<br />
Cryphia - 97<br />
Crypticus quisquilius - 107<br />
Crypticus quisquilius ssp.<br />
aprutianus - 107<br />
Cryptogramma crispa - 61, 63<br />
Ctenicera - 107<br />
Ctenicera pectinicornis - 107<br />
Cuffia - 97<br />
Culbianco - 120, 121<br />
Cychrus - 103<br />
Cychrus angulicollis - 103<br />
Cychrus cylindricollis - 103<br />
Cychrus graius - 103<br />
Cychrus schmidti - 103<br />
Cymbalaria pallida - 71<br />
Cymindis - 103<br />
Cystopteris - 46, 47, 53<br />
Cystopteris alpina - 47<br />
Cystopteris dickiaeana - 47<br />
Cystopteris fragilis - 47, 53<br />
Dactylophorosoma nivisatelles -<br />
100<br />
Dafne minore - 69<br />
Dahlica - 97<br />
Danacea - 105<br />
Danacea nigritarsis - 93<br />
Daphne petraea - 53, 69, 135<br />
Dasytes lombardus - 93<br />
Delima - 83<br />
Dente di leone montano - 63, 66<br />
Deroplia genei - 82<br />
Dianthus - 97<br />
Dibolia rugulosa - 108<br />
Dichotrachelus - 95, 108<br />
Didymodon tophaceus - 34<br />
Dimorphocoris poggii - 91<br />
Discus - 99<br />
Doronico dei macereti - 63<br />
Doronico del granito - 63<br />
Doronicum - 108, 142<br />
Doronicum clusii - 63<br />
Doronicum glaciale - 70<br />
Doronicum grandiflorum - 63<br />
Draba aizoide - 55<br />
Draba aizoides - 55<br />
Draba dolomitica - 69<br />
Draba olympicoides - 71<br />
Dracocephalum - 105<br />
Dripide comune - 67<br />
Dryas - 104<br />
Dryas octopetala - 63, 104, 142<br />
Dryopteris villarii - 66<br />
Drypis spinosa - 67, 71<br />
Dyscia - 97<br />
Dyscia raunaria - 97<br />
Dyscia sicanaria - 97<br />
Ectobius montanus - 102<br />
Efedra nebrodense - 26, 81<br />
Elophos - 111<br />
Elophos caelibaria - 111<br />
Elophos zelleraria - 111<br />
Empetrum - 91<br />
Ephedra major - 26, 81<br />
Epilobium - 111<br />
Epipodisma pedemontana - 101<br />
Epipsilia grisescens - 97<br />
Erba cornacchia di Zanoni - 64<br />
Erba storna appennina - 65<br />
Erba storna rotundifolia - 62, 63<br />
Erba-perla rupestre - 54<br />
Erba-unta di Fiori - 81<br />
Erba-unta di Poldini - 81<br />
Erba-unta di Reichenbach - 81<br />
Erebia calcaria - 97, 137<br />
Erebia christi – 97, 137<br />
Erebia gorge - 111<br />
Erebia meolans - 97<br />
Erebia montana - 96, 97<br />
Erebia pandrose - 111<br />
Erebia pluto - 111<br />
Erebia scipio - 97<br />
Erebia styria - 97<br />
Erebia styx - 97<br />
Ermellino - 125<br />
Erysimum - 92, 108<br />
Euchalcia bellieri - 97<br />
Euchloe - 96<br />
Euchloe bellezina - 96<br />
Eucladium verticillatum - 34<br />
Eucobresia - 99<br />
Eudarcia - 97<br />
Eumenes - 82<br />
Eupithecia - 97<br />
Eupithecia venosata - 97<br />
Euryopicoris nitidus - 91<br />
Eusphalerum - 104<br />
Eusphalerum albipile - 104<br />
Eusphalerum angusticolle - 104<br />
Eusphalerum annaerosae - 104<br />
Eusphalerum pulcherrimum - 104<br />
Euxoa - 97<br />
Euxoa culminicola - 111<br />
Euxoa decora - 97<br />
Euzonitis - 94<br />
Euzonitis quadrimaculata - 94<br />
Euzonitis terminata - 94<br />
Exocentrus lusitanus - 82<br />
Faggio - 81, 82<br />
Fagus sylvatica - 81<br />
Falco - 117<br />
Falco biarmicus - 83<br />
Falco pellegrino - 78, 117, 119,<br />
131, 136, 140<br />
Falco peregrinus - 117<br />
Falco tinnunculus - 117<br />
Felce bulbifera - 34<br />
Felce di Villars - 66<br />
Felce regale - 34<br />
Felcetta crespa - 61, 63, 67<br />
Felcetta delle Alpi - 47<br />
Felcetta dickieana - 47<br />
Felcetta fragile - 47, 53<br />
Felcetta lanosa - 47<br />
Festuca alpina - 45<br />
Festuca appenninica - 67<br />
Festuca austrodolomitica - 69<br />
Festuca delle Dolomiti - 45<br />
Festuca dimorpha - 67, 71<br />
Festuca laxa - 70<br />
Festuca stenantha - 70<br />
Fienarola ciondola - 63<br />
Fiordaliso della Busambra - 51<br />
Forficula apennina - 102<br />
Formica - 110<br />
Fringuello alpino - 121<br />
Galeopsis reuteri - 68<br />
Galium magellense - 71<br />
Galium margaritaceum - 70<br />
Galium montis-arerae - 69<br />
Galium noricum - 70<br />
Galium pseudohelveticum - 69<br />
Galium saxosum - 68<br />
Galium tendae - 68<br />
Geocoris grylloides - 103<br />
Geocoris lapponicus - 103<br />
Geum reptans - 62<br />
Gheppio - 117, 140<br />
Ginepro - 100<br />
Gipeto - 119, 136, 137<br />
Gipsofila strisciante - 63<br />
Glacies - 111<br />
Glacies alticolaria - 111<br />
Glacies canaliculata - 111<br />
Glacies coracina - 111<br />
Globularia delle Apuane - 39, 50<br />
Globularia incanescens - 39, 70<br />
Globularia neapolitana - 71<br />
Gloeocapsa - 28<br />
Gloeocapsa ralfsiana - 28<br />
Gloeocapsa sanguinea - 28<br />
Glomeris helvetica - 88<br />
Glyptobothrus - 89<br />
Glyptobothrus alticola - 90, 102<br />
Glyptobothrus binotatus daimai<br />
- 102<br />
Glyptobothrus brunneus<br />
brunneus - 102<br />
Glyptobothrus eisentrauti - 102<br />
Glyptobothrus mollis ignifer - 89<br />
Gnophos - 97<br />
Gnophos obfuscatus - 97<br />
Gracchio - 115<br />
Gracchio alpino - 115, 116, 140<br />
Gracchio corallino - 115, 116,<br />
136, 140<br />
Gramigna argentea - 63<br />
Gramigna dei ghiaioni - 63<br />
Granaria stabilei - 99<br />
Grimmia - 31, 32, 33, 35<br />
Grimmia alpestris - 32<br />
Grimmia anodon - 32<br />
Grimmia anomala - 32<br />
Grimmia apiculata - 32<br />
Grimmia arenaria - 32<br />
Grimmia atrata - 32<br />
Grimmia caespiticia - 32<br />
Grimmia crinita - 32<br />
Grimmia curviseta - 32<br />
Grimmia limprichtii - 32<br />
Grimmia montana - 32<br />
Grimmia ovalis - 32<br />
Grimmia pilosissima - 32<br />
Grimmia pitardii - 32<br />
Grimmia sessitana - 32<br />
Grimmia teretinervis - 32<br />
Grimmia tergestina - 32<br />
Grimmia torquata - 32<br />
Gypaetus barbatus - 119, 137<br />
Gypsophila repens - 63, 142<br />
Hadena - 97<br />
Hadula melanoma - 97<br />
Hadula odontites - 97<br />
Harpalus - 103<br />
Helianthemum - 105<br />
Helianthemum lunulatum - 68<br />
Helichrysum - 51<br />
Helichrysum frigidum - 51, 71<br />
Helichrysum montelinasanum -<br />
71, 135, 136<br />
Helichrysum nebrodense - 54,<br />
71<br />
Heracleum pyrenaicum ssp.<br />
orsinii - 71<br />
Herniaria litardierei - 71<br />
Hesperis laciniata - 105, 109<br />
Hieraaetus fasciatus - 83<br />
Hieracium intybaceum - 142<br />
Hieracium portanum - 71<br />
Hipparchia alcione - 97<br />
Hipparchia neomiris - 97<br />
Hipparchia statilinus - 97<br />
Holoarctia cervini - 111<br />
Hyles vespertilio - 111<br />
Hymenostylium recurvirostre - 34<br />
Hypnoidus consobrinus - 107<br />
Hypnoidus riparius - 107<br />
Hypnoidus rivularius - 107<br />
Hypnum dolomiticum - 33<br />
Hyponephele lycaon - 97<br />
Hypsoiulus alpivagus - 88<br />
Iberis - 96, 108<br />
Iberis nana - 68<br />
Iberolacerta horvathi - 114<br />
Isatis alpina - 68<br />
Ischyroptera bipilosa - 109<br />
Issopo a foglie cuoriformi - 55<br />
Italopodisma - 101<br />
Jovibarba - 44<br />
Jovibarba allionii - 68<br />
Jovibarba arenaria - 70<br />
Kickxia - 93, 105<br />
Lagopus mutus - 121<br />
Lanario - 83<br />
Larice - 105<br />
Laserpitium garganicum - 55<br />
Laserpitium gaudinii - 70<br />
Laserpizio del meridione - 55<br />
Lasius - 110<br />
Latipalpis plana - 82, 94<br />
Lavandula angustifolia - 92<br />
Lecanora - 30<br />
Leccio - 81, 82, 94<br />
Lecidea - 30<br />
Leiosoma - 109<br />
Leistus glacialis - 104<br />
153
154<br />
Leontodon anomalus - 70<br />
Leontodon montanus - 63<br />
Lepre - 125<br />
Lepre bianca - 124, 125<br />
Leptoiulus (Kolpophylacum)<br />
helveticus - 88<br />
Leptoiulus alemannicus - 100<br />
Leptoiulus riparius - 100<br />
Leptopterix - 97<br />
Leptothorax - 95<br />
Leptusa - 104<br />
Leptusa angustiarumberninae<br />
rosaorum - 104<br />
Leptusa areraensis - 104<br />
Leptusa baldensis - 104<br />
Leptusa braccati - 104<br />
Leptusa cavallensis - 104<br />
Leptusa ceresoleana<br />
ceresoleana - 104<br />
Leptusa fauciumberninae - 104<br />
Leptusa grignaensis - 104<br />
Leptusa knabli recticollis - 104<br />
Leptusa mandli - 104<br />
Leptusa manfredi - 104<br />
Leptusa montispasubii settei -<br />
104<br />
Leptusa montiumcarnorum -<br />
104<br />
Leptusa occulta - 104<br />
Leptusa piceata - 104<br />
Leptusa portusnaoniensis - 104<br />
Leptusa pratensis - 104<br />
Leptusa rhaetoromanica - 104<br />
Leptusa rosai - 104<br />
Leptusa sudetica - 104<br />
Leptusa tirolensis tirolensis -<br />
104<br />
Leptusa tridentina - 104<br />
Leptusa trumplinensis - 104<br />
Leptusa vallisvenyi - 104<br />
Lepus timidus - 124, 125<br />
Leucanthemopsis alpina - 109<br />
Leucanthemum atratum ssp.<br />
ceratophylloides - 68<br />
Leucanthemum atratum ssp.<br />
coronopifolium - 69<br />
Leucanthemum atratum ssp.<br />
halleri - 70<br />
Leucanthemum laciniatum - 71<br />
Leucostigma - 83, 99<br />
Leucostigma candidescens - 87<br />
Lichene - 145<br />
Licinus italicus - 104<br />
Ligusticum ferulaceum - 68<br />
Limonium morisianum - 71<br />
Linaiola alpina - 62, 63<br />
Linaiola bergamasca - 64<br />
Linaria - 93, 105<br />
Linaria alpina - 62, 63, 142<br />
Linaria tonzigii - 64, 69, 136<br />
Lithobius lucifugus - 89, 100<br />
Lithobius muticus - 100<br />
Lithobius nodulipes - 100<br />
Lithobius schuleri - 100<br />
Loiseleuria - 110<br />
Longitarsus obliteratoides - 108<br />
Longitarsus obliteratus - 108<br />
Longitarsus springeri - 108<br />
Lonicera stabiana - 71<br />
Lucertola - 114<br />
Lucertola di Horvath - 114<br />
Lucertola vivipara - 113, 114<br />
Lunaria annua - 92<br />
Lychnis - 97<br />
Macroglossum stellatarum - 97<br />
Macularia - 87<br />
Malcolmia orsiniana - 71<br />
Malthodes - 105<br />
Malthodes atratus - 106<br />
Malthodes atratus samniticus -<br />
106<br />
Malthodes penninus icaricus -<br />
106<br />
Malthodes trifurcatus - 105<br />
Malthodes trifurcatus<br />
atramentarius - 106<br />
Marasso - 114<br />
Marmorana - 83, 87<br />
Marmorana fuscolabiata - 87<br />
Marmorana globularis - 87<br />
Marmorana muralis - 87<br />
Marmorana nebrodensis - 87<br />
Marmorana platychela - 87<br />
Marmorana saxetana - 88<br />
Marmorana scabriuscula - 87<br />
Marmorana signata - 87<br />
Marmota marmota - 126, 127<br />
Marmotta - 108, 126, 127<br />
Marsupella - 33<br />
Medora - 83, 87<br />
Medora albescens - 87<br />
Medora dalmatina - 87<br />
Megasema ashworthii - 97<br />
Melanoplus frigidus - 101<br />
Meligethes - 92, 105<br />
Meligethes aeneus - 105<br />
Meligethes arankae - 105<br />
Meligethes chlorocyaneus - 93<br />
Meligethes devillei - 105<br />
Meligethes erysimicola - 92, 105<br />
Meligethes fumatus - 92<br />
Meligethes lindbergi - 82, 92<br />
Meligethes lunariae - 92<br />
Meligethes nuragicus - 82, 92<br />
Meligethes oreophilus - 105<br />
Meligethes reyi - 105<br />
Meligethes salvan - 105<br />
Meligethes scholzi - 82, 93<br />
Meligethes solidus - 105<br />
Meligethes spornrafti - 92<br />
Meligethes subaeneus - 92<br />
Meligethes subfumatus - 82, 92,<br />
105<br />
Meligethes tener - 93<br />
Meloe aegyptius - 106<br />
Meloe erythrocnemus - 106<br />
Melosira - 28<br />
Meringia vescicolosa - 81<br />
Mesoxyonyx osellanus - 81<br />
Metaxmeste – 97<br />
Metzgeria - 33<br />
Micrabris - 106<br />
Micrabris flexuosa - 106<br />
Micrabris pusilla - 106<br />
Microlestes - 92<br />
Micromeria cordata - 55<br />
Micromeria marginata - 68<br />
Milax - 99<br />
Millefoglio di Barrelieri - 67<br />
Minuartia austriaca - 70<br />
Minuartia cherlerioides - 70<br />
Minuartia graminifolia - 69<br />
Minuartia grignensis - 69<br />
Minuartia rupestris ssp.<br />
clementei - 69<br />
Minuartia verna ssp. grandiflora<br />
- 71<br />
Mitopus morio - 77<br />
Moehringia bavarica - 53<br />
Moehringia bavarica ssp.<br />
bavarica - 70<br />
Moehringia bavarica ssp.<br />
insubrica - 69<br />
Moehringia concarenae - 69<br />
Moehringia dielsiana - 69, 136<br />
Moehringia glaucovirens - 69<br />
Moehringia lebrunii - 68, 136<br />
Moehringia markgrafi - 69, 136<br />
Moehringia papulosa - 71, 81,<br />
136<br />
Moehringia sedifolia - 136<br />
Moehringia sedoides - 68<br />
Moltkia suffruticosa - 54, 70,<br />
136<br />
Monachella - 83<br />
Monticola solitarius - 83<br />
Montifringilla nivalis - 121<br />
Murbeckiella zanonii - 64, 70<br />
Mustela erminea - 125<br />
Muticaria - 83<br />
Mutilla europaea - 110<br />
Mylabris (Hyclaeus) variabilis -<br />
106<br />
Mylabris - 106<br />
Myrmeleotettix maculatus - 102<br />
Neagolius - 108<br />
Neagolius amblyodon - 108<br />
Neagolius liguricus - 108<br />
Neagolius limbolarius - 108<br />
Neagolius montanus - 108<br />
Neagolius penninus - 108<br />
Neagolius pollicatus - 108<br />
Neagolius schlumbergeri - 108<br />
Nebria germari - 104<br />
Nebria orsinii - 104<br />
Neophron percnopterus - 83<br />
Neoplinthus - 109<br />
Nilepolemis - 109<br />
Nostoc - 28<br />
Notholaena - 46<br />
Notholaena marantae - 47<br />
Nudaria mondana - 97<br />
Ocydromus - 104<br />
Ocys - 92<br />
Oedipoda - 101<br />
Oedipoda caerulescens - 101<br />
Oedipoda germanica - 98, 101<br />
Oenanthe hispanica - 83<br />
Oenanthe oenanthe - 120<br />
Oeneis glacialis - 111<br />
Oligolimax - 99<br />
Onobrychis - 96<br />
Onobrychis - 96<br />
Ontano - 129<br />
Opatrum dahli - 107<br />
Opatrum nivale - 107<br />
Oreas martiana - 33<br />
Oreina sibylla - 108<br />
Oreina viridis - 108<br />
Orenaia - 97<br />
Oreonebria - 104<br />
Oreopsyche - 97, 111<br />
Oreopsyche leschenaulti - 110<br />
Oreorhynchaeus - 108<br />
Oreorhynchaeus baldensis - 108<br />
Oreorhynchaeus focarilei - 108<br />
Oreorhynchaeus pacei - 109<br />
Oreorhynchaeus spectator - 109<br />
Orinocarabus - 92, 103<br />
Osellaeus bonvouloiri - 95<br />
Osellaeus bonvouloiri ssp.<br />
baldensis - 95<br />
Osellaeus bonvouloiri ssp.<br />
bonvouloiri - 95<br />
Osmunda regalis - 34<br />
Otiorhynchus - 109<br />
Oxyria digyna - 63, 142<br />
Oxytropis fetida - 69<br />
Paederota bonarota - 70<br />
Paederota lutea - 70<br />
Pagodulina - 99<br />
Papaver degenii - 71, 136<br />
Papaver ernesti-mayeri - 70<br />
Papaver kerneri - 70<br />
Papaver rhaeticum - 66<br />
Papavero alpino - 66<br />
Papavero delle Alpi Giulie - 66<br />
Papilio alexanor - 82, 96<br />
Papillifera - 83<br />
Parietaria - 82<br />
Parnassius apollo - 75, 84, 96,<br />
136<br />
Parnassius apollo pumilus- 96<br />
Passero solitario - 83<br />
Patrobus septentrionalis - 103<br />
Pecora - 108<br />
Pedicularis aspleniifolia - 70<br />
Pelenomus hygrophilus - 95<br />
Pellia - 33<br />
Pellia endiviifolia - 34<br />
Pernice - 108<br />
Pernice bianca - 121, 136<br />
Perpetuini del Limbara - 51<br />
Perpetuini del Monte Linas - 51<br />
Perpetuini delle Madonie - 54<br />
Petractis clausa - 30<br />
Pezzotettix giornai - 101<br />
Phenacolimax - 99<br />
Phoenicurus ochruros - 120<br />
Phyllotreta - 95<br />
Phyllotreta atra - 95<br />
Phyllotreta ganglbaueri - 95<br />
Physoplexis comosa - 53, 70,<br />
134, 136<br />
Phyteuma cordatum - 68<br />
Phyteuma hedraianthifolium -<br />
49, 69<br />
Phyteuma humile - 49, 69<br />
Phyteuma sieberi - 70<br />
Picchio muraiolo - 118, 119<br />
Pieris callidice - 96<br />
Pinguicula fiorii - 71, 81<br />
Pinguicula hirtiflora - 71<br />
Pinguicula poldinii - 70, 81<br />
Pinguicula reichenbachiana - 81<br />
Pino loricato - 95<br />
Pino mugo - 129<br />
Pinus - 94<br />
Pinus leucodermis - 95<br />
Plagiotylus ruffoi - 91<br />
Platycarabus - 103<br />
Platynus - 104<br />
Poa laxa - 63<br />
Podisma - 101<br />
Polistes biglumis bimaculatus -<br />
110<br />
Polyblastia - 30<br />
Polydesmus monticola - 100<br />
Polygala carueliana - 70<br />
Polygonia egea - 83<br />
Pontia callidice - 111<br />
Potentilla apennina - 54, 71<br />
Potentilla caulescens - 52, 53<br />
Potentilla clusiana - 70<br />
Potentilla crassinervia - 71<br />
Potentilla grammopetala - 69<br />
Potentilla nitida - 52, 70<br />
Potentilla saxifraga - 68, 136<br />
Preissia - 33<br />
Preissia quadrata - 34<br />
Primula - 48, 49<br />
Primula albenensis - 50, 69<br />
Primula allionii - 48, 68, 136<br />
Primula apennina - 50, 70<br />
Primula appenninica - 50, 55<br />
Primula del Monte Alben - 50<br />
Primula delle Grigne - 50<br />
Primula di Allioni - 48, 53, 81<br />
Primula di Recoaro - 50<br />
Primula grignensis - 50, 69<br />
Primula hirsuta - 55<br />
Primula irsuta - 55<br />
Primula marginata - 69<br />
Primula recubariensis - 50, 69<br />
Primula spectabilis - 53<br />
Primula tyrolensis - 69<br />
Pritzelago alpina ssp.<br />
austroalpina - 70<br />
Protoblastenia - 30<br />
Protoblastenia immersa - 30<br />
Protoblastenia incrustans - 30<br />
Prunella collaris - 120, 139<br />
Pseudobankesia - 97<br />
Pseudocraspedosoma<br />
grypischium - 100<br />
Pseudotergumia fidia - 97<br />
Psophus stridulus - 101<br />
Psylliodes instabilis - 108<br />
Psylliodes picipes - 95<br />
Psylliodes toelgi - 95<br />
Pterostichus - 103<br />
Ptilostemon niveus - 65, 71<br />
Ptilotrichum cyclocarpum - 54<br />
Ptyonoprogne rupestris - 117<br />
Pupilla - 99<br />
Pyramidula - 85, 86<br />
Pyramidula pusilla - 86<br />
Pyrrhocorax graculus - 115<br />
Pyrrhocorax pyrrhocorax - 115<br />
Quercus ilex - 81<br />
Racomitrium - 31<br />
Ranno delle Apuane - 54<br />
Ranno spaccasassi - 52<br />
Ranuncolo dei ghiacciai - 63<br />
Ranuncolo di Traunfellner - 64,<br />
70<br />
Ranunculus glacialis - 63, 142<br />
Ranunculus magellensis - 71<br />
Ranunculus traunfellneri - 64, 70<br />
Raponzolo del Carestia - 49<br />
Raponzolo di roccia - 134<br />
Raponzolo retico - 49<br />
Rhacocleis - 102<br />
Rhamnus glaucophyllus - 54,<br />
70, 135<br />
Rhamnus pumilus - 52<br />
Rhizobotrya alpina - 64, 69, 136<br />
Rhizocarpon - 30<br />
Rhizocarpon geographicus - 31<br />
Rhizotrogus - 94<br />
Rhododendron - 110<br />
Rhyacia helvetina - 97<br />
Robertia taraxacoides - 66<br />
Rododendro - 100<br />
Rohdendorfia alpina - 109<br />
Romice scudato - 62, 67<br />
Rondine montana - 117<br />
Rosalia alpina - 82, 136<br />
Rothenbuehleria minima - 100<br />
Rumex scutatus - 62<br />
Rupestrella - 83, 86<br />
Rupicapra pyrenaica ornata -<br />
123<br />
Rupicapra rupicapra - 122, 123<br />
Sagina pelosa - 65<br />
Sagina pilifera - 65, 71<br />
Salamandra - 113<br />
Salamandra alpina - 113<br />
Salamandra atra - 113<br />
Salamandra di Lanza - 113<br />
Salamandra lanzai - 113<br />
Salix crataegifolia - 70, 136<br />
Saponaria siciliana - 65, 71<br />
Saponaria sicula - 65, 71<br />
Sarromyia nubigena - 109<br />
Sassifraga a due fiori - 65<br />
Sassifraga alpina - 42, 43<br />
Sassifraga dei graniti - 55<br />
Sassifraga dell’Argentera - 43,<br />
48, 55<br />
Sassifraga della Val di Fassa -<br />
67<br />
Sassifraga gialla - 27<br />
Sassifraga meridionale - 53, 54<br />
Sassifraga piemontese - 55, 68<br />
Sassifraga ragnatelosa - 41, 49<br />
155
156<br />
Sassifraga valdese - 49<br />
Satureja montana - 92, 108<br />
Satyrus actaea - 97<br />
Satyrus ferula - 97<br />
Saussurea alpina ssp. depressa<br />
- 69<br />
Saxifraga - 7, 48, 64, 95<br />
Saxifraga aizoides - 27, 95<br />
Saxifraga ampullacea - 71<br />
Saxifraga aphylla - 70<br />
Saxifraga arachnoidea - 41, 53,<br />
69, 136<br />
Saxifraga biflora - 65<br />
Saxifraga burseriana - 70<br />
Saxifraga callosa - 53, 54, 69<br />
Saxifraga cervicornis - 71<br />
Saxifraga cochlearis - 68, 136<br />
Saxifraga cotyledon - 55<br />
Saxifraga crustata - 70<br />
Saxifraga depressa - 67, 69<br />
Saxifraga diapensioides - 69<br />
Saxifraga facchinii - 69<br />
Saxifraga florulenta - 43, 48, 68,<br />
136<br />
Saxifraga glabella - 71<br />
Saxifraga hostii - 70<br />
Saxifraga italica - 71<br />
Saxifraga lingulata vedere<br />
Saxifraga callosa - 53<br />
Saxifraga oppositifolia - 142<br />
Saxifraga paniculata - 42, 43<br />
Saxifraga paniculata ssp.<br />
stabiana - 71<br />
Saxifraga pedemontana - 55, 68<br />
Saxifraga petraea - 70<br />
Saxifraga porophylla - 71<br />
Saxifraga presolanensis - 69<br />
Saxifraga retusa ssp. augustana<br />
- 69<br />
Saxifraga sedoides - 70<br />
Saxifraga speciosa - 71<br />
Saxifraga squarrosa - 70<br />
Saxifraga tenella - 70<br />
Saxifraga tombeanensis - 69,<br />
135<br />
Saxifraga valdensis - 49, 69<br />
Saxifraga vandellii - 53, 69<br />
Sceliphron - 82<br />
Schistidium - 31<br />
Sciadia tenebraria - 111<br />
Scleranthus annuus ssp.<br />
aetnensis - 71<br />
Scleranthus vulcanicus - 71<br />
Scolitantides orion - 111<br />
Scytonema - 28<br />
Sedum - 44, 96, 109, 111<br />
Sedum aetnense - 71, 136<br />
Sedum alsinefolium - 68<br />
Sedum brevifolium - 71<br />
Sedum fragrans - 69<br />
Segestria - 83<br />
Segestria bavarica - 83<br />
Segestria florentina - 83<br />
Segestria senoculata - 83<br />
Selatosomus - 107<br />
Selatosomus aeneus - 107<br />
Selatosomus amplicollis - 107<br />
Sempervivum - 44, 96<br />
Sempervivum - 96<br />
Sempervivum arachnoideum -<br />
44<br />
Semprevivo ragnateloso - 44<br />
Senecio aetnensis - 71<br />
Senecio ambiguus - 71<br />
Senecio candidus - 71<br />
Senecio rupestris - 108<br />
Serica brunnea - 94<br />
Sesleria ovata - 70<br />
Setina - 97<br />
Siciliaria - 83, 87, 99<br />
Sideridis kitti - 97<br />
Silene - 97<br />
Silene a cuscinetto - 43<br />
Silene acaulis - 43<br />
Silene campanula - 68<br />
Silene cordifolia - 68<br />
Silene delle ghiaie - 62<br />
Silene elisabethae - 69, 136<br />
Silene glareosa - 142<br />
Silene lanuginosa - 70<br />
Silene quadrifida - 70<br />
Silene requienii - 71<br />
Silene rupestre - 55<br />
Silene rupestris - 55, 109<br />
Silene saxifraga var. lojaconoi -<br />
71<br />
Silene veselskyi - 70<br />
Silene vulgaris ssp. glareosa -<br />
62<br />
Sitaris muralis - 94<br />
Solatopupa - 83, 87, 99<br />
Solatopupa guidoni - 87<br />
Solatopupa juliana - 87<br />
Solatopupa pallida - 87<br />
Solatopupa psarolena - 87<br />
Solatopupa similis - 87<br />
Soldanella minima - 70<br />
Sordone - 120, 121, 139<br />
Sorex alpinus - 127<br />
Spaelotis senna - 97<br />
Spillone di Moris - 51<br />
Spiraea decumbens - 81<br />
Spiraea decumbens ssp.<br />
decumbens - 70<br />
Spiraea decumbens ssp.<br />
hacquetii - 69<br />
Spirea cuneata - 81<br />
Stachys annua - 108<br />
Stambecco delle Alpi - 72, 112,<br />
124, 136<br />
Standfussiana lucernea - 97, 111<br />
Staurothele - 30<br />
Staurothele immersa - 30<br />
Stellina di Gussone - 51, 54<br />
Stellina di Sardegna - 55<br />
Stenhomalus bicolor - 82<br />
Stenobothrodes cotticus - 89,<br />
102<br />
Stenobothrodes rubicundulus -<br />
102<br />
Stenobothrus apenninus - 102<br />
Stenobothrus fischeri - 102<br />
Stenoria - 94<br />
Stenoria analis - 94<br />
Stenoria apicalis - 94<br />
Stigonema - 28<br />
Stromatium unicolor - 82, 83<br />
Sympistis - 111<br />
Syngrapha devergens - 97<br />
Syngrapha hochenwarthi - 97<br />
Syntomus - 92<br />
Tabellaria - 28<br />
Tandonia simrothi - 99<br />
Telekia speciosissima - 53, 69<br />
Testediolum - 104<br />
Tetramorium - 110<br />
Tetrix bipunctata - 101<br />
Teucrium - 82, 91, 102, 103<br />
Teucrium chamaedrys - 102<br />
Teucrium flavum - 92, 102<br />
Teucrium massiliense - 92<br />
Teucrium montanum - 102, 103<br />
Teucrium scorodonia - 102<br />
Thelidium - 30<br />
Thlaspi alpestre - 70<br />
Thlaspi rotundifolium - 62, 63,<br />
65, 142<br />
Thlaspi rotundifolium ssp.<br />
cepaeifolium - 70<br />
Thlaspi rotundifolium ssp.<br />
corymbosum - 69<br />
Thlaspi rotundifolium ssp.<br />
grignense - 69<br />
Thlaspi stylosum - 65, 71<br />
Thymus - 105, 108<br />
Tichodroma muraria - 118, 119<br />
Tiglio - 82<br />
Toporagno alpino - 127<br />
Tortella - 31<br />
Tortella tortuosa - 33<br />
Tortula - 31<br />
Trachystyphlus alpinus - 109<br />
Trechus - 104<br />
Trechus strigipennis - 104<br />
Trentepohlia - 28<br />
Trentepohlia - 29<br />
Trichoferus holosericeus - 82<br />
Trichoferus spartii - 82<br />
Trinia - 96<br />
Trisetum argenteum - 63, 70<br />
Trisetum distichophyllum - 63<br />
Tychius - 109<br />
Tyrrheniberus - 83<br />
Umbilicaria - 30<br />
Vaccinum - 91<br />
Valeriana elongata - 70<br />
Valeriana saxatilis - 70<br />
Valeriana supina - 70<br />
Verrucaria - 30<br />
Vertigo - 99<br />
Vesicaria maggiore - 26<br />
Vicia cusnae - 68<br />
Viola - 64<br />
Viola argenteria - 64, 68<br />
Viola calcarata - 142<br />
Viola cenisia - 69<br />
Viola comollia - 64, 69, 136<br />
Viola del Mocenisio - 69<br />
Viola dell’Argentera - 64<br />
Viola di Comolli - 64<br />
Viola di Valdieri - 64<br />
Viola magellensis - 71, 136<br />
Viola valderia - 64, 68<br />
Vipera ammodytes - 114<br />
Vipera berus - 114<br />
Vipera dal corno - 114<br />
Wagneria alpina - 110<br />
Woodsia - 46, 47<br />
Woodsia alpina - 47<br />
Woodsia glabella ssp. pulchella<br />
- 47<br />
Woodsia ilvensis - 47<br />
Woodwardia radicans - 34<br />
Zerynthia polyxena - 136<br />
Zonitis - 94<br />
Zonitis flava - 94<br />
Zonitis nana - 94<br />
Zootoca vivipara - 113<br />
157
Gli autori ringraziano:<br />
Roberto Argano (isopodi)<br />
Maurizio Biondi (coleotteri crisomelidi)<br />
Alessandro Biscaccianti (coleotteri cerambicidi)<br />
Marco Bodon e Folco Giusti (molluschi)<br />
Marco Alberto Bologna (coleotteri meloidi)<br />
Attilio Carapezza (eterotteri)<br />
Giuseppe Maria Carpaneto ed Emanuele Piattella<br />
(coleotteri scarabeoidei)<br />
Enzo Colonnelli (coleotteri curculionoidei)<br />
Alessio De Biase (coleotteri falacridi)<br />
Massimiliano Di Giovanni (diplopodi)<br />
Simone Fattorini (coleotteri tenebrionidi)<br />
Paolo Fontana, Bruno Massa e Fabio Collepardo<br />
Coccia (ortotteri)<br />
Renato Gerdol (vegetazione dei ghiaioni)<br />
Cesare Lasen (endemiti delle Alpi orientali)<br />
Gianfranco Liberti (coleotteri meliridi, dasitidi e<br />
malachidi)<br />
Andrea Liberto (coleotteri buprestidi ed elateridi)<br />
Paolo Maltzeff (coleotteri)<br />
Iuri Nascimbene (licheni)<br />
Guido Pagliano (imenotteri)<br />
Graziano Rossi (endemiti insubrici)<br />
Stefano Scalercio e Alberto Zilli (lepidotteri)<br />
Augusto Vigna Taglianti (coleotteri carabidi e dermatteri)<br />
Adriano Zanetti (coleotteri stafilinidi)<br />
Marzio Zapparoli (chilopodi)<br />
Un ringraziamento, inoltre, a<br />
Maria Manuela Giovannelli, Erika Gozzi,<br />
Paola Sergo e Maura Tavano<br />
La responsabilità di quanto riportato nel testo,<br />
nonché di eventuali errori ed omissioni, rimane<br />
esclusivamente degli autori.<br />
Il volume è stato realizzato con i fondi del<br />
Ministero dell’Ambiente e della<br />
Tutela del Territorio.
Finito di stampare<br />
nel mese di marzo 2006<br />
presso la Graphic linea print factory - <strong>Udine</strong><br />
Printed in Italy