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2° parte - Udine Cultura

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84<br />

Parnassius apollo<br />

Invertebrati: <strong>parte</strong> tassonomica<br />

■ Il popolamento delle rupi<br />

Molluschi. Anche se la stragrande<br />

maggioranza delle specie vive di<br />

preferenza in zone non aride, poco<br />

esposte all’insolazione diretta e ben<br />

coperte dalla vegetazione, i molluschi<br />

terrestri non mancano di elementi<br />

adattati alla vita in ambienti che possono<br />

sembrare particolarmente ostili come<br />

quelli delle pareti rocciose. Le specie<br />

rinvenibili in questi ambienti sono<br />

abbastanza numerose e ap<strong>parte</strong>ngono<br />

sia ai prosobranchi, il gruppo più primitivo<br />

dei gasteropodi, sia ai polmonati, il<br />

gruppo più evoluto che, grazie appunto<br />

all’acquisizione di una sorta di polmone,<br />

ha potuto diffondersi, con la linea<br />

evolutiva degli stilommatofori, anche in<br />

ambiente subaereo. Gli uni e gli altri,<br />

seppur decisamente diversi quanto ad<br />

organizzazione anatomica e a fisiologia,<br />

sono limitati agli ambienti di roccia<br />

calcarea, dalle quote più basse a quelle<br />

più alte dei nostri principali complessi<br />

montuosi. Essi vivono qui sulle superfici<br />

esposte, sia in ombra che in pieno sole,<br />

anche se invariabilmente tendono a<br />

concentrarsi nelle fessure, nelle<br />

spaccature, sotto aggetti o rilievi, tra i<br />

muschi, ovunque, insomma, sia più facile<br />

trovare cibo e un po’ di riparo sia<br />

dall’eccessiva insolazione, sia dal gelo.<br />

Le conchiglie, di dimensioni variabili,<br />

sono spesso caratterizzate da colorazioni<br />

non solo criptiche, ma anche capaci di<br />

respingere i raggi solari e diminuire il<br />

surriscaldamento dell’animale: grigiobiancastre,<br />

con sfumature ora giallastre,<br />

ora violette, ora rosate. A volte, inoltre, si<br />

presentano costulate, per poter meglio<br />

deflettere i raggi solari. Talvolta, infine,<br />

Paolo Audisio<br />

sono ricoperte di terra o di escrementi<br />

concrezionati, così da incrementare<br />

l’effetto anti-riscaldamento e ridurre la<br />

possibilità di individuazione da <strong>parte</strong> di<br />

eventuali predatori. La loro dieta è basata<br />

sulla vegetazione incrostante (muschi,<br />

licheni) o sul detrito vegetale che si<br />

accumula nelle spaccature o sullo scarso<br />

suolo dei gradoni e delle terrazze.<br />

È evidente come, nonostante la loro<br />

notevole xeroresistenza, la disponibilità<br />

d’acqua rappresenti per loro il principale<br />

fattore limitante. D’altra <strong>parte</strong>,<br />

l’adattamento dei loro apparati escretori<br />

(con altissimo riassorbimento di acqua),<br />

lo spessore delle conchiglie, la capacità<br />

di ritrarsi nelle conchiglie saldandone con<br />

muco l’apertura alla superficie rocciosa,<br />

Pyramidula fissate sulla superficie rocciosa<br />

la possibilità di trascorrere in stasi lunghi<br />

periodi di tempo, limitano notevolmente<br />

le perdite e consentono, quindi, la<br />

sopravvivenza anche sulle rupi più<br />

esposte, sulle quali l’unico apporto di<br />

acqua è, per periodi assai lunghi, quello<br />

dovuto alla condensa notturna.<br />

Molte specie, infine, sono anche capaci di<br />

resistere al freddo, potendo così<br />

colonizzare quote decisamente elevate.<br />

Da un punto di vista faunistico e<br />

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biogeografico, i molluschi delle rupi del<br />

nostro paese hanno grande interesse,<br />

essendo diversificati in una ricca serie di<br />

entità. La frammentazione in popolazioni<br />

proprie di aree spesso limitate e, quindi,<br />

il forte isolamento al quale sono state<br />

spesso costrette hanno fatto sì, infatti,<br />

che si innestassero processi di<br />

diversificazione morfologica più o meno<br />

spinti, che sono all’origine di una forte e<br />

non ancora completamente esplorata<br />

frammentazione tassonomica.<br />

Tra i prosobranchi, tipici elementi rupicoli<br />

sono quasi tutte le specie del genere<br />

Cochlostoma, caratterizzate da conchiglie<br />

di dimensioni contenute (altezza attorno<br />

al cm), coniche e più o meno allungate,<br />

talvolta lisce ma, più spesso, più o meno<br />

fittamente costulate. Il gruppo, diffuso in<br />

tutta Italia, grandi isole comprese, è<br />

differenziato in molte specie, non poche<br />

delle quali limitate ad aree ristrette.<br />

Tra queste vale la pena di ricordare<br />

Cochlostoma canestrinii, la specie<br />

italiana di taglia maggiore, endemica del<br />

complesso della Presolana lungo le<br />

Prealpi Orobie; C. porroi, endemica delle<br />

Prealpi lombarde e del Trentino<br />

occidentale; C. villae, dei Colli Euganei<br />

Cochlostoma villae Chondrina avenacea<br />

e Berici e delle Prealpi vicentine e<br />

veronesi; C. philippianum e C. henricae<br />

rispettivamente delle Prealpi Carniche e<br />

Giulie; C. scalarinum e C. tergestinum, del<br />

Carso triestino, C. crosseanum,<br />

dell’Appennino Toscano; C. sardoum, dei<br />

complessi calcarei della Sardegna centroorientale;<br />

C. paladilhianum, della Sicilia<br />

nord-occidentale.<br />

Assai più numerose sono le specie dei<br />

polmonati stilommatofori, ap<strong>parte</strong>nenti ai<br />

generi più diversi, collocati a vario livello<br />

nella scala evolutiva del gruppo.<br />

Tra i generi generalmente considerati più<br />

primitivi, si annovera Pyramidula (famiglia<br />

piramidulidi), con la specie P. pusilla,<br />

un’entità presente a quote variabili in tutta<br />

Italia, caratterizzata da una conchiglia di<br />

appena un paio di mm di diametro, a<br />

forma di trottola, color rosso vinaccia<br />

scuro e lievemente striata, spesso<br />

incrostata. Un po’ più grandi sono le<br />

conchiglie dei generi Rupestrella e<br />

Chondrina (3-12 mm di altezza),<br />

ambedue ap<strong>parte</strong>nenti alla famiglia<br />

condrinidi. Queste specie hanno<br />

un’ecologia simile, anche se le prime<br />

sono più schiettamente mediterranee e<br />

perlopiù di bassa quota, mentre le<br />

seconde sono di quota medio-alta e<br />

capaci di tollerare il freddo. Chondrina<br />

avenacea è molto diffusa in Italia, dalle<br />

Alpi all’Appennino e alle isole maggiori,<br />

con numerose sottospecie endemiche di<br />

questo o quel settore.<br />

Nelle regioni prealpine centro-orientali è<br />

spesso sostituita da altre entità molto<br />

simili, come C. clienta e C. megacheilos.<br />

Sulle Alpi Apuane, è, infine, conosciuta<br />

una specie endemica, C. oligodonta.<br />

Alla famiglia condrinidi appartiene un<br />

altro genere, Solatopupa, con conchiglia<br />

molto simile a quella delle specie del<br />

genere Chondrina, tuttavia di dimensioni<br />

mediamente maggiori (8-15 mm di<br />

altezza) e di colore prevalentemente<br />

biancastro. Solatopupa similis è la più<br />

diffusa (dal Nord della Spagna alla<br />

Liguria); S. juliana è prevalentemente<br />

presente in Toscana, S. pallida in un’area<br />

abbastanza limitata della Liguria,<br />

S. psarolena sulle Alpi Marittime e, infine,<br />

S. guidoni in Corsica, Sardegna e<br />

all’Isola d’Elba.<br />

Alla famiglia clausiliidi ap<strong>parte</strong>ngono<br />

alcuni generi che includono entità<br />

marcatamente rupicole, caratterizzate da<br />

conchiglie fusiformi, lunghe attorno ai<br />

10-20 mm, piuttosto spesse e robuste,<br />

lisce o costulate, di colore comunemente<br />

tendente al biancastro e con apertura<br />

esternamente dentellata, contenente, più<br />

all’interno, una sorta di tappo<br />

mineralizzato detto clausilio. Lungo la<br />

dorsale appenninica, a quote anche<br />

rilevanti, è molto diffusa Leucostigma<br />

candidescens, entità alquanto polimorfa<br />

a conchiglia di colore più nettamente<br />

biancastro. Talvolta difficilmente<br />

distinguibili da quest’ultima sono le<br />

specie del genere Medora, un gruppo a<br />

geonemia transadriatica, presente in<br />

Italia lungo la crinale appenninica, dalle<br />

Marche alla Calabria, e sul Gargano.<br />

Numerose popolazioni, abbastanza affini<br />

geneticamente a Medora albescens<br />

della Dalmazia, ma più o meno<br />

caratterizzate morfologicamente,<br />

colonizzano i principali complessi<br />

montuosi appenninici, mentre una<br />

popolazione apparentemente attribuibile<br />

ad un’altra specie dalmata, M. dalmatina,<br />

è stata individuata sui fianchi orientali<br />

del M. Pollino.<br />

Sempre ai clausiliidi ap<strong>parte</strong>ngono molte<br />

altre specie rupicole, presenti nell’Italia<br />

del Sud e in Sicilia, in massima <strong>parte</strong><br />

attribuite al genere Siciliaria, ma presenti<br />

perlopiù a basse quote, e che quindi non<br />

vengono qui trattate. In ultimo, alla<br />

famiglia elicidi ap<strong>parte</strong>ngono i generi più<br />

ricchi in specie rupicole montane e<br />

submontane: Chilostoma e Macularia.<br />

A Chilostoma si attribuisce una serie<br />

ricchissima di entità, descritte in passato<br />

quasi sempre come specie distinte (ma<br />

attualmente inserite nel ciclo di forme di<br />

Chilostoma cingulatum), proprie di singoli<br />

distretti all’interno di un areale che<br />

comprende il versante meridionale delle<br />

Alpi, la fascia prealpina e l’Appennino fino<br />

al Matese. Si ipotizza per queste, nella<br />

maggior <strong>parte</strong> dei casi, una discesa<br />

nell’Appennino in coincidenza di una<br />

qualche fase glaciale quaternaria e,<br />

successivamente, con il ristabilirsi di più<br />

miti condizioni climatiche, una risalita in<br />

quota, sui complessi montuosi calcarei<br />

più elevati, accompagnata da<br />

frammentazione, isolamento e, quindi,<br />

differenziazione locale.<br />

Analoga è la situazione del genere<br />

Marmorana, anche se questo si presenta<br />

come un taxon a distribuzione<br />

circumtirrenica e di aree a clima<br />

mediterraneo o submediterraneo, a quote<br />

medie. Una delle specie più comuni è<br />

Marmorana muralis, entità decisamente<br />

xerofila diffusa dall’uomo in ambienti<br />

antropogenici di varie località della<br />

Penisola e di altre aree del Mediterraneo.<br />

Interessanti sono anche varie entità della<br />

Sicilia occidentale, le cui distribuzioni<br />

spesso si intersecano, come M.<br />

globularis, M. platychela,<br />

M. scabriuscula. Marmorana nebrodensis,<br />

invece, è diffusa nella Sicilia<br />

nordorientale, tra le Madonie e i<br />

Peloritani, e M. fuscolabiata in Sicilia<br />

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occidentale (Monti Peloritani) e sul<br />

crinale appenninico dalla Calabria alla<br />

Campania. Molto prossima a questa<br />

specie è M. signata, conosciuta per varie<br />

località dell’Appennino centromeridionale,<br />

dall’Umbria al Matese.<br />

Limitata, invece, a poche aree ristrette<br />

della Toscana meridionale, alcune anche<br />

di bassa quota (Monte Amiata, Monti<br />

dell’Uccellina, Argentario e Isola del<br />

Giglio), è Marmorana saxetana.<br />

Crostacei. Gli isopodi sono di fatto quasi<br />

assenti dai substrati sassosi o rocciosi<br />

privi di vero suolo e non deve stupire<br />

che, malgrado la grande importanza del<br />

gruppo negli ambienti terrestri,<br />

soprattutto alle basse e medie quote,<br />

essi non presentino alcun rappresentante<br />

in qualche modo caratteristico di rupi e<br />

pareti rocciose. Solo qualche specie del<br />

vasto genere Armadillidium e di altri<br />

Armadillidium sp.<br />

generi con elevata attività notturna<br />

possono talora trovare rifugio<br />

temporaneo anche alla base di rupi e<br />

pareti rocciose, soprattutto a livello di<br />

cenge e terrazze, o in spaccature della<br />

roccia, dove un più significativo<br />

accumulo di depositi terrigeni può<br />

favorirne l’occasionale insediamento.<br />

Diplopodi. I diplopodi costituiscono un<br />

importante gruppo di artropodi terrestri,<br />

con numerose specie presenti in ambito<br />

montano. Come in molti altri gruppi non<br />

strettamente fitofagi, mancano dei veri<br />

specialisti degli ambienti rocciosi e<br />

rupestri, ma alcune specie, perlopiù<br />

elementi orofili associati a pascoli aridi e<br />

rocciosi, non sono infrequenti anche alla<br />

base di roccioni montani, tra le<br />

spaccature delle rocce e lungo le cenge<br />

di pareti rocciose.<br />

Tra queste specie possiamo ricordare<br />

almeno il glomeride Glomeris helvetica,<br />

specie circumalpina ad areale<br />

frammentato, che anche sulle Alpi<br />

italiane si rinviene con una certa<br />

frequenza fra pietraie, detriti rocciosi o<br />

legnosi alla base di depositi franosi,<br />

lungo stretti valloni, alla base di dirupi,<br />

ghiaioni e pareti scoscese, dalle basse<br />

quote fino a circa 2500 m.<br />

Tra i polidesmidi, Brembosoma<br />

castagnolense è un endemita alpino noto<br />

di Svizzera e Alpi Lombarde, raccolto in<br />

varie occasioni su lastroni calcarei in<br />

ambienti scoscesi, fino a 2500 m.<br />

Lo iulide Hypsoiulus alpivagus, altro<br />

endemita circumalpino ad areale<br />

discontinuo, predilige il piano alpino,<br />

dove sfiora i 2800 m, mentre a livello del<br />

piano montano sembra preferire gole<br />

profonde e ingressi di grotte. La specie<br />

sembra essere strettamente legata alla<br />

presenza di rocce sedimentarie e il suo<br />

carattere marcatamente petrofilo si<br />

evince dagli ambienti in cui è stata<br />

rinvenuta: ghiaioni, pietraie, detriti<br />

rocciosi e massi su prati alpini, lastroni e<br />

falesie, dirupi, gole fluviali.<br />

Analoga ecologia e simile distribuzione,<br />

sia geografica che altitudinale, presenta<br />

un altro iulide, Leptoiulus<br />

(Kolpophylacum) helveticus.<br />

Altre specie con esigenze ecologiche<br />

simili sono presenti anche lungo gli<br />

Appennini.<br />

Chilopodi. Anche i chilopodi, come tutti i<br />

predatori “camminatori”, non sembrano<br />

trovare ambienti favorevoli a livello di rupi<br />

e pareti rocciose montane. L’unica<br />

specie che con maggiore frequenza può<br />

trovare rifugio anche alla base delle<br />

pareti rocciose e sulle rupi montane delle<br />

Alpi sembra essere il comune e<br />

relativamente euriecio Lithobius<br />

lucifugus, ben più frequente nei pascoli<br />

Lithobius lucifugus<br />

alpini e negli ambienti erboso-sassosi<br />

delle medie ed alte quote, e in grado di<br />

colonizzare anche i boschi montani.<br />

Insetti. Gli insetti sono qui rappresentati<br />

soprattutto da specie fitofaghe in senso<br />

lato, mentre è ancora abbastanza<br />

rilevante la componente dei microfagi del<br />

suolo bruto; esigua è infine la<br />

componente dei predatori e dei<br />

parassitoidi.<br />

● Ortotteroidei. Benché molte specie di<br />

ortotteri possano più o meno<br />

occasionalmente raggiungere le rupi e le<br />

pareti rocciose montane, sono<br />

pochissime quelle che vi si avventurano<br />

con una certa regolarità. Tra queste,<br />

citiamo ad esempio Stenobothrodes<br />

cotticus, endemico delle Alpi<br />

occidentali, che colonizza soprattutto<br />

margini di ghiaioni e aree rocciose nude,<br />

ma che sovente raggiunge anche pareti<br />

rocciose con limitate cenge a<br />

Glyptobothrus mollis ignifer<br />

vegetazione erbacea rada, circa tra<br />

2000 e 2800 m di quota. Anche diverse<br />

specie del genere Glyptobothrus<br />

possono vivere in questi ambienti, con<br />

popolazioni significative, come G. mollis<br />

ignifer sulle Alpi piemontesi. Anche gli<br />

ensiferi Antaxius difformis e Chopardius<br />

pedestris vivono spesso ad alte quote,<br />

tra rupi e zone di frana sulle Alpi.<br />

A. difformis, delle Alpi centro-orientali,<br />

vive solo in ambienti montani alpini<br />

ed è localmente rappresentato da<br />

popolazioni anche cospicue.<br />

C. pedestris è presente con una<br />

sottospecie anche sulle Alpi Apuane<br />

(C. p. apuanus); questo ortottero vive<br />

anche a quote inferiori ed in una più<br />

vasta gamma di ambienti, ma<br />

Chopardius pedestris<br />

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Glyptobothrus alticola<br />

costituisce spesso un elemento<br />

caratteristico dei locali habitat rupestri<br />

montani. Individui più o meno isolati di<br />

parecchie altre specie orofile e<br />

xerotermofile si fanno peraltro<br />

sorprendere con una certa frequenza a<br />

“prendere il sole” a quote più o meno<br />

elevate su rocce e rupi bene esposte,<br />

come alcuni tettigoniidi decticini del<br />

genere Anonconotus e parecchi acrididi.<br />

● Eterotteri. Gli eterotteri, con regime<br />

trofico molto variabile, sono presenti<br />

con un discreto numero di specie negli<br />

ambienti rupestri montani, con una<br />

netta dominanza di<br />

specie fitofaghe tra<br />

quelle più<br />

rappresentative. Il<br />

reduviide Coranus<br />

subapterus (vedi<br />

disegno) è un<br />

predatore che vive sul<br />

terreno, negli<br />

interstizi tra pietre e<br />

rocce; è specie ad<br />

ampia distribuzione in<br />

Europa e nel<br />

Mediterraneo, che si<br />

rinviene in tutta Italia<br />

in zone montuose. Euryopicoris nitidus<br />

è invece un miride fitofago che si<br />

sviluppa su fabacee rupestri; si tratta di<br />

un elemento eurosibirico presente in<br />

Italia in poche località montane delle<br />

Alpi, dell’Appennino Emiliano, di<br />

Lucania e Calabria. Dimorphocoris<br />

poggii è un altro miride, endemico delle<br />

Alpi Liguri e scoperto solo<br />

recentemente; vive su poacee xerofile<br />

rupestri, a quote tra 1.600 e 2.000<br />

metri. Alla medesima famiglia<br />

appartiene anche Plagiotylus ruffoi,<br />

endemita siciliano che vive sui pulvini di<br />

Astragalus siculus (fabacee), una specie<br />

rupestre presente sui roccioni delle alte<br />

Madonie al di sopra del limite della<br />

vegetazione arborea. Un’altra specie<br />

abbastanza caratteristica è ancora il<br />

tingide Acalypta musci, specie tipica<br />

dei sistemi d’alta montagna di buona<br />

<strong>parte</strong> dell’Europa, in Italia lungo l’arco<br />

alpino e in alcune stazioni<br />

appenniniche, che si sviluppa sui<br />

muschi che crescono in alta montagna<br />

su roccioni e alla base di pareti<br />

rocciose, prediligendo i punti più<br />

ombreggiati e relativamente umidi, fino<br />

a circa 2300 m di quota; questa specie<br />

è peraltro presente anche a quote<br />

inferiori, in ambienti montani, su muschi<br />

arborei in sviluppo su ceppi e tronchi di<br />

conifere. Su rupi soleggiate e scoscese<br />

si rinvengono nelle aree montane di<br />

buona <strong>parte</strong> dell’Italia anche alcuni<br />

rappresentanti del curioso genere<br />

Copium, minuti tingidi fitofagi che<br />

producono galle su calici e corolle di<br />

piccole lamiacee rupestri del genere<br />

Teucrium, e caratteristici per gli ultimi<br />

due articoli delle antenne<br />

eccezionalmente sviluppati. Infine,<br />

ricordiamo ancora l’alidide Alydus<br />

rupestris, endemita alpino tipico della<br />

fascia altitudinale intorno a 2.000 m,<br />

raccolto alla base di roccioni montani<br />

su Vaccinum ed Empetrum.<br />

● Coleotteri. Insieme con i lepidotteri, i<br />

coleotteri sono di gran lunga la<br />

componente più significativa<br />

dell’entomofauna che colonizza<br />

stabilmente le rupi e le pareti rocciose.<br />

Carabidi. I carabidi, che pur<br />

comprendono in Italia oltre 1300<br />

specie, perlopiù predatrici di altri<br />

invertebrati, sono assai scarsamente<br />

rappresentati nell’entomofauna delle<br />

rupi e delle pareti rocciose montane.<br />

Risulta anzi perfino difficile individuarne<br />

qualcuno che sia anche solo<br />

regolarmente presente in questi habitat,<br />

molto ostili per i “camminatori”.<br />

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Carabus (Orinocarabus) pedemontanus<br />

Qualche Carabus del sottogenere<br />

Orinocarabus, in particolare C. bertolinii<br />

sulle Alpi Orientali, si può comunque<br />

occasionalmente far sorprendere in<br />

“arrampicata libera” lungo qualche<br />

parete rocciosa, mentre lungo Alpi e<br />

Appennini qualche minuta specie dei<br />

generi Microlestes e Syntomus può<br />

essere osservata con relativa frequenza<br />

in esplorazione sulla superficie di pareti<br />

rocciose, roccioni e grandi massi.<br />

Qualche raro Ocys si rinviene, infine,<br />

nelle spaccature e nelle fessure di<br />

rocce e rupi.<br />

Nitidulidi e cateretidi. Nitidulidi e cateretidi<br />

sono un gruppo di coleotteri con regime<br />

trofico molto variato, dalla fitosaprofagia o<br />

micetofagia fino alla stretta antofagia e<br />

spermofagia. Numerose sono le specie di<br />

nitidulidi e cateretidi caratteristiche o<br />

persino esclusive di rupi montane e<br />

submontane. Si può anzi sostenere che<br />

molte tra le specie più rilevanti della fauna<br />

italiana (inclusi alcuni endemiti o<br />

subendemiti) siano tipici di questi<br />

habitat. Tra le specie più<br />

caratteristiche possiamo citare<br />

alcuni nitidulidi antofagi del grande<br />

genere Meligethes, come M.<br />

subfumatus (vedi disegno),<br />

endemico di un ristretta area<br />

montana e submontana a ridosso<br />

delle Alpi Marittime, a cavallo tra<br />

Francia e Italia, e allo stadio larvale<br />

monofago sulla lamiacea Lavandula<br />

angustifolia (la lavanda utilizzata<br />

dall’industria cosmetica), dalle basse<br />

quote fino a circa 2000 m. Un’altra specie<br />

(M. nuragicus), endemica di Sardegna e<br />

Corsica, è pressoché esclusiva di rupi<br />

montane silicee, dove, a quote intermedie<br />

(600-1300 m), si sviluppa allo stadio<br />

larvale come monofago su un’altra<br />

lamiacea, Teucrium massiliense. Un altro<br />

elemento subendemico italiano,<br />

Meligethes lindbergi, fortemente<br />

xerotermofilo, è monofago sul più comune<br />

e diffuso Teucrium flavum, soprattutto<br />

lungo pareti calcaree scoscese e<br />

soleggiate, dall’entroterra ligure e triestino<br />

lungo buona <strong>parte</strong> della Penisola e in<br />

Sardegna e Sicilia, dove raggiunge quote<br />

anche relativamente elevate, intorno ai<br />

1500 m. Anche il raro Meligethes fumatus,<br />

anch’esso xerotermofilo, è presente in<br />

località montane e collinari xeriche dalla<br />

Valle d’Aosta alla Calabria, in stretta<br />

associazione ancora con un’altra<br />

lamiacea, Satureja montana, colonizzata<br />

da larve e adulti in periodi dell’anno insoliti<br />

per gli altri rappresentanti del genere,<br />

perlopiù a fenologia primaverile.<br />

Esso presenta infatti un periodo<br />

riproduttivo compreso tra la seconda<br />

metà di luglio e la metà di ottobre. In<br />

primavera vari altri Meligethes sono invece<br />

associati a svariate piccole brassicacee<br />

rupestri, tipiche delle fessure tra le rupi e<br />

dei siti più ombreggiati alla base delle<br />

pareti rocciose; tra questi sono da<br />

ricordare almeno Meligethes subaeneus,<br />

specie oligofaga, localmente legata<br />

con una certa frequenza a<br />

Cardaminopsis spp. in alcune<br />

località del Nord-Est, il<br />

subendemico M. spornrafti, legato<br />

ad Arabis spp. e presente dalle Alpi<br />

occidentali alla Calabria, e il raro e<br />

subendemico M. lunariae,<br />

monofago su Lunaria annua in<br />

ambienti di interfaccia tra rupi scoscese e<br />

rade boscaglie e presente dall’Italia<br />

centrale alla Calabria, fino a circa 1500 m.<br />

Un’altra specie legata ancora a<br />

brassicacee xerofile rupestri è il raro M.<br />

erysimicola, descritto solo in tempi<br />

recentissimi e strettamente legato, in<br />

buona <strong>parte</strong> dell’Europa meridionale, ai<br />

rappresentanti del genere Erysimum.<br />

È presente in buona <strong>parte</strong> delle Alpi e degli<br />

Appennini, da poche centinaia di metri di<br />

quota fino alle rupi e ai brecciai alpini ad<br />

oltre 2300 m. In ambienti rupestri montani<br />

del versante orientale del Gran Sasso, fino<br />

a oltre 1500 m, si rinviene anche M. tener,<br />

altra specie estremamente sporadica a<br />

gravitazione anatolico-balcanica (presente<br />

anche sul Gargano, a quote inferiori),<br />

legata come oligofaga a specie xerofile<br />

rupestri del genere Aurinia. In questo tipo<br />

di habitat rupestri e soleggiati vive,<br />

prevalentemente su serpentini, anche il<br />

rarissimo e strettamente affine Meligethes<br />

chlorocyaneus, di cui ancora si ignora la<br />

pianta ospite (peraltro si tratta quasi<br />

certamente di un’altra brassicacea di rupi<br />

e macereti), che presenta un curioso<br />

areale relitto e frammentato,<br />

comprendente solo poche aree montane<br />

della Bulgaria, della Bosnia, dell’Austria<br />

meridionale, della Slovenia, e in Italia la<br />

singola valle della Stura d’Ala, in Piemonte<br />

occidentale a Nord-Ovest di Torino, fino a<br />

circa 1500 m di quota. Da ricordare infine,<br />

a livello di molti settori montani<br />

dell’Appennino meridionale (dal Cilento<br />

alla Calabria) e di buona <strong>parte</strong> della Sicilia,<br />

una delle specie più caratteristiche di<br />

questi habitat, il subendemico Meligethes<br />

scholzi, strettamente associato, quasi dal<br />

livello del mare fino a oltre 2000 m di<br />

quota, alla lamiacea Ballota rupestris,<br />

lungo pareti rocciose calcaree, gole fluviali<br />

xeriche e rupi.<br />

Tra i cateretidi, i più caratteristici<br />

abitatori di rupi montane sono alcuni<br />

rappresentanti antofagi del genere<br />

Brachypterolus (tutti legati a<br />

scrofulariacee), come B. vestitus,<br />

caratteristico di ambienti rupestri<br />

soleggiati delle aree montane e<br />

submontane dell’Italia nord-occidentale,<br />

su Antirrhinum latifolium, più<br />

ampiamente diffuso in Francia<br />

meridionale e nella penisola Iberica, e il<br />

più comune B. linariae, frequente su<br />

Kickxia spp. e Linaria spp.<br />

Dasitidi e malachiidi. Queste due piccole<br />

famiglie di minuti coleotteri cleroidei<br />

comprendono un grande numero di<br />

specie soprattutto antofaghe, di norma<br />

abbondanti negli habitat xerici e ben<br />

soleggiati. Pochissime però sembrano<br />

essersi in qualche modo specializzate<br />

verso gli ambienti rupestri montani, dove,<br />

almeno in Italia, giungono solo entità<br />

xerofile di fatto più abbondanti alle quote<br />

inferiori (in Europa meridionale qualche<br />

“specialista” delle rupi di medio-alta ed<br />

alta quota è però noto, ad esempio, in<br />

Corsica e sui Pirenei). Possiamo citare il<br />

dasitide Danacea nigritarsis, che lungo<br />

l’Appennino meridionale raggiunge<br />

alcune località cacuminali del Massiccio<br />

del Monte Pollino, dove si rinviene su<br />

sassifraghe rupestri, ma che è ben più<br />

frequente in ambienti rupestri litoranei e<br />

sublitoranei. Sulle Prealpi Orobie (dal<br />

Canton Ticino all’Adamello) si trova<br />

comunque Dasytes lombardus, specie di<br />

altitudine legata ai prati aridi e talvolta<br />

molto abbondante su fiori di colore giallo<br />

di varie famiglie vegetali, che localmente<br />

frequenta anche rocce scoscese e rupi<br />

montane. Anche in questo caso non si<br />

può affermare che la specie sia<br />

effettivamente legata alla forte declività<br />

del substrato, ma certamente situazioni<br />

di questo tipo sembrano favorirla.<br />

Meloidi. I meloidi, che comprendono un<br />

paio di centinaia di specie in Europa,<br />

circa la metà delle quali presenti in Italia,<br />

93


94<br />

sono perlopiù frequentatori di ambienti<br />

steppici e parasteppici, dove la maggior<br />

<strong>parte</strong> delle specie si sviluppa allo stadio<br />

larvale a spese di ortotteri, di cui<br />

vengono parassitate le ovature. Una<br />

<strong>parte</strong> delle entità note, in particolare i<br />

rappresentanti della tribù dei meloini e<br />

soprattutto quelli della sottofamiglia delle<br />

nemognatine, sono invece associati a<br />

imenotteri (soprattuto apoidei) entro i cui<br />

nidi si sviluppano le larve, anche se<br />

soprattutto alle basse quote. Tra le entità<br />

più caratteristiche troviamo le<br />

nemognatine Sitaris muralis, parassitoide<br />

di imenotteri antoforidi, e tipica di pareti<br />

roccioso-terrose e muri a secco che,<br />

sebbene prevalentemente costiera e<br />

subcostiera, si spinge in quasi tutta Italia<br />

anche in aree xerotermiche montane<br />

dell’interno, fino ad almeno 1000 m di<br />

quota, colonizzando gole ed emersioni<br />

rupestri isolate e soleggiate. Occasionali<br />

alla base di rupi e pareti terroso-rocciose<br />

sono anche le due rare e sporadiche<br />

specie italiane del genere Stenoria,<br />

S. analis e S. apicalis, sovente associate<br />

a lamiacee xerotermofile rupestri, solo<br />

raramente a quote significative (perlopiù<br />

in Italia meridionale) e parassitoidi di<br />

imenotteri apoidei colletidi. Analoga<br />

ecologia presentano anche alcune<br />

Zonitis ed Euzonitis distribuite in buona<br />

<strong>parte</strong> della Penisola e in Sicilia,<br />

parassitoidi di imenotteri megachilidi,<br />

come Z. nana e Z. flava, o Euzonitis<br />

terminata ed E. quadrimaculata.<br />

Scarabeoidei. Gli scarabeoidei<br />

comprendono un grande numero di<br />

coleotteri con regime trofico molto<br />

diversificato da gruppo a gruppo (sono<br />

generalmente coprofagi o fitofagi in<br />

senso lato). Le rupi montane sono un<br />

ambiente nettamente inadatto agli<br />

scarabeidi e la loro presenza vi è<br />

piuttosto occasionale.<br />

A <strong>parte</strong> qualche afodiide coprofago poco<br />

specializzato che può seguire il pascolo<br />

caprino anche in questi habitat, le uniche<br />

specie che con una certa frequenza vi si<br />

rinvengono ap<strong>parte</strong>ngono ai melolontidi,<br />

come alcuni Rhizotrogus e Amphimallon e<br />

ancor più raramente qualche Anoxia (ad<br />

esempio A. australis lungo località rupestri<br />

xeriche delle Alpi e Prealpi occidentali), in<br />

volo crepuscolare estivo intorno a forme<br />

arboreo-arbustive di pinacee orofile (Pinus<br />

spp.), oltre al comune ed euriecio sericino<br />

Serica brunnea.<br />

Buprestidi. Il popolamento di buprestidi<br />

degli ambienti rupestri montani non è<br />

particolarmente ricco ed è legato<br />

soprattutto alla locale disponibilità di<br />

elementi arboreo-arbustivi abbarbicati<br />

sulle pareti scoscese ed esposte, dove,<br />

per lo stato di sofferenza che sovente li<br />

contraddistingue in queste condizioni<br />

estreme, possono risultare più facilmente<br />

attaccabili da questi ed altri coleotteri<br />

xilofagi. Oltre a numerose specie xerofile<br />

ed euriecie di piccole dimensioni e poco<br />

appariscenti, in particolare quelle del<br />

genere Anthaxia, perlopiù associate a<br />

pinacee orofile, si può ad esempio citare<br />

la ben più grande e rutilante Latipalpis<br />

plana, associata a querce xerofile,<br />

talvolta presente lungo l’Appennino<br />

anche su rupi soleggiate di media quota<br />

dove crescano lecci in forma arbustiva.<br />

Non si può comunque fare a meno di<br />

Buprestis splendens<br />

ricordare almeno il notissimo ma<br />

altrettanto raro e localizzato Buprestis<br />

splendens, divenuto una delle specie<br />

simbolo della conservazione della natura<br />

in Italia e in Europa (è specie di interesse<br />

comunitario), a distribuzione relitta in vari<br />

settori dell’Europa, e presente in Italia<br />

nelle aree montane del Parco Nazionale<br />

del Pollino a cavallo tra Basilicata e<br />

Calabria. In Italia questa bellissima<br />

specie vive infatti in stretta associazione<br />

con il raro e minacciato pino loricato<br />

(Pinus leucodermis), specie simbolo del<br />

Parco stesso, a sua volta uno degli<br />

elementi più caratteristici dei<br />

popolamenti di alta quota dell’Appennino<br />

Calabro-Lucano, che si spinge<br />

frequentemente a colonizzare anche le<br />

pareti rocciose e le creste montane più<br />

esposte e soleggiate.<br />

Crisomelidi. I crisomelidi, importante<br />

famiglia di coleotteri fitofagi, non<br />

comprendono in Italia molte specie<br />

caratteristiche delle rupi montane e delle<br />

pareti rocciose (sono invece ben più<br />

frequenti in ambienti rupestri<br />

mediterranei delle basse quote).<br />

Si possono ricordare, tra gli altri, alcuni<br />

alticini, come Psylliodes toelgi, ad ampia<br />

distribuzione sudeuropea e presente<br />

anche in svariati settori delle Alpi (dal<br />

Piemonte al Friuli), legato piuttosto<br />

strettamente a specie sia rupestri sia<br />

glareofile di brassicacee orofile del<br />

genere Biscutella, colonizzate talora<br />

anche da alcune Phyllotreta, come<br />

P. atra e P. ganglbaueri. Il congenere<br />

Psylliodes picipes, presente solo lungo le<br />

Alpi orientali, è legato a un certo numero<br />

di brassicacee rupestri.<br />

Curculionoidei. I curculionoidei sono<br />

un’imponente superfamiglia di coleotteri<br />

fitofagi, che annovera alcuni tra gli<br />

elementi più significativi della fauna<br />

rupestre montana. Tra gli apionidi, da<br />

ricordare almeno Osellaeus bonvouloiri,<br />

tipico di roccioni e rupi delle alte quote<br />

delle Alpi, su sassifragacee del genere<br />

Saxifraga, con due sottospecie,<br />

bonvouloiri delle Alpi occidentali italiane<br />

e francesi, e baldensis del Veneto. Tra i<br />

curculionidi, di grande rilievo sono<br />

soprattutto i rappresentanti del genere<br />

Dichotrachelus, con circa 15 specie<br />

endemiche o subendemiche di differenti<br />

aree montane e vallate delle Alpi, tutte<br />

legate ancora a Saxifraga spp., e tipiche<br />

dei roccioni scoscesi e delle pareti<br />

verticali dei grandi massi alle medie e<br />

alte quote. Altro elemento legato alle<br />

sassifragacee rupestri montane<br />

(Saxifraga aizoides) è Pelenomus<br />

hygrophilus, specie circumalpina.<br />

A quote inferiori lungo gli Appennini<br />

troviamo ancora, insieme a numerosi<br />

altri, Ceutorhynchus pinguis, endemita<br />

appenninico assai infrequente e legato<br />

ad Alyssum diffusum (brassicacee), e<br />

Ceutorhynchus verticalis<br />

(dall’emblematico epiteto specifico),<br />

endemita appenninico meridionale legato<br />

ad un’altra brassicacea, Aurinia saxatilis<br />

ssp. orientalis.<br />

● Imenotteri. Molte specie di apoidei<br />

trovano lungo le pareti soleggiate di rupi,<br />

canaloni e gole montane, habitat<br />

riproduttivi ottimali, quelli scavatori<br />

soprattutto quando la natura geologica di<br />

rupi e pareti sia di matrice calcarea e di<br />

origine sedimentaria più recente e meno<br />

compatta. Soprattutto molte specie di<br />

megachilidi, antoforidi, andrenidi e alictidi<br />

sono tra i maggiori frequentatori di questi<br />

habitat, sebbene di norma prediligano le<br />

quote inferiori. Tra i formicidi, assai<br />

scarsamente rappresentati lungo le rupi<br />

montane, se non da occasionali operaie<br />

esploratrici sulle pareti rocciose<br />

(ap<strong>parte</strong>nenti soprattutto a specie ad<br />

ampia valenza ecologica e di scarso<br />

interesse naturalistico), vale la pena di<br />

95


96<br />

ricordare alcune minute entità del genere<br />

Leptothorax, che con una certa<br />

frequenza trovano un microhabitat<br />

favorevole nelle spaccature di roccioni e<br />

pareti montane, dove comunque un<br />

minimo di accumulo di depositi terrigeni<br />

consenta la realizzazione dei loro nidi.<br />

● Lepidotteri. I lepidotteri, sia a volo<br />

diurno che notturno, comprendono un<br />

discreto numero di specie caratteristiche,<br />

se non esclusive, degli ambienti di rupi e<br />

falesie montane. Il papilionide Papilio<br />

alexanor (specie di interesse comunitario),<br />

a distribuzione fortemente disgiunta sul<br />

territorio italiano, presenta tipicamente<br />

colonie in aree xeriche rupestri fino a circa<br />

1000 m di quota, dove la larva si sviluppa<br />

a spese di apiacee del genere Trinia.<br />

Sempre tra i papilionidi, una decisa<br />

predilezione per gli ambienti rupestri viene<br />

mostrata dal notissimo Parnassius apollo<br />

(specie di interesse comunitario), ed in<br />

particolare dalle popolazioni<br />

dell’Aspromonte (P. apollo pumilus), in<br />

Erebia montana<br />

quanto i bruchi sono legati a crassulacee<br />

di rupi e roccioni dei generi Sedum e<br />

Sempervivum. Tra i pieridi, è opportuno<br />

ricordare le specie di Anthocharis, come<br />

A. euphenoides, presente in aree rocciose<br />

fino a circa 2000 m di altitudine sulle Alpi e<br />

gran <strong>parte</strong> degli Appennini, Pieris callidice,<br />

propria delle quote più elevate nella<br />

regione alpina, e le specie di Euchloe, in<br />

particolare E. bellezina, in aree collinari<br />

costiere del settore nordoccidentale.<br />

Tra i licenidi, da citare alcuni Agrodiaetus,<br />

in particolare A. ripartii, presente anche in<br />

ambienti rocciosi soleggiati soprattutto<br />

delle Alpi occidentali e associato a<br />

fabacee rupestri del genere Onobrychis, e<br />

A. galloi, endemico del gruppo del Pollino.<br />

Tra i lepidotteri diurni, i ninfalidi satirini<br />

sono i veri dominatori delle rupi montane;<br />

allo stadio larvale molte specie sono infatti<br />

legate a poacee xerotermofile e rupestri.<br />

Tra le numerose specie caratteristiche di<br />

questi habitat, oltre che di pendii erbososassosi<br />

xerici, a quote variabili da specie a<br />

specie, ma comunque presenti anche in<br />

ambito strettamente montano, ricordiamo<br />

in particolare Satyrus ferula (Alpi e<br />

Appennini), S. actaea (Alpi occidentali),<br />

Chazara briseis (tutta Italia eccetto la<br />

Sardegna), Pseudotergumia fidia ed<br />

Erebia scipio (Alpi occidentali), Hipparchia<br />

alcyone (Italia nordoccidentale e<br />

Appennino centro-settentrionale),<br />

H. statilinus (tutta Italia, eccetto la<br />

Sardegna), H. neomiris (Sardegna), Erebia<br />

styx, E. styria ed E. calcaria (Alpi orientali),<br />

Erebia christi (Piemonte), E. montana ed<br />

E. meolans (Alpi ed Appennini), e infine<br />

l’ampiamente distribuita Hyponephele<br />

lycaon. Ancor più ricca è la componente<br />

notturna di questo ordine, che nel<br />

complesso conta un numero di specie<br />

almeno dieci volte superiore rispetto a<br />

quelle diurne. La famiglia più<br />

rappresentata è quella dei nottuidi, nella<br />

quale spiccano numerose specie di varie<br />

sottofamiglie. Tra le nottuine meritano un<br />

cenno particolare Euxoa decora,<br />

Standfussiana lucernea, Epipsilia<br />

grisescens, Rhyacia helvetina, Chersotis<br />

ocellina, C. alpestris, C. oreina, Spaelotis<br />

senna e Megasema ashworthii.<br />

A sottolineare il legame tra le nottuine e gli<br />

ambienti rupestri va ricordato come molte<br />

specie del gruppo presentino un<br />

fenomeno di sintonizzazione cromatica al<br />

substrato e, per esigenze di<br />

camuffamento, si siano adattate a<br />

seconda delle zone al colore delle rocce<br />

su cui stazionano durante le ore diurne,<br />

esibendo ad esempio fenotipi albini su<br />

massicci calcarei, grigi in aree scistose e<br />

melanici sulle lave. Decisamente ricorrenti<br />

in ambienti rupestri sono altresì svariate<br />

adenine, tra le quali spiccano Hadula<br />

odontites, H. melanopa (boreoalpina a<br />

volo diurno), Sideridis kitti, Antitype suda<br />

e numerose specie di Hadena, le ultime<br />

prevalentemente legate a cariofillacee dei<br />

generi Silene, Lychnis e Dianthus.<br />

In ambienti rupestri al di sopra del limite<br />

della vegetazione arborea degne di nota<br />

sono, nella regione alpina, alcune plusine<br />

adattatesi secondariamente al volo<br />

diurno, tra le quali Syngrapha devergens<br />

e S. hochenwarthi. Particolarmente<br />

frequenti, sebbene non esclusive delle<br />

rupi montane, sono le briofiline (ad es.<br />

genere Cryphia), in virtù dei costumi<br />

lichenivori delle larve, e per lo stesso<br />

motivo comuni e spesso abbondanti<br />

sono numerosi arctiidi della sottofamiglia<br />

delle litosiine, tra cui ricordiamo Nudaria<br />

mundana e le specie del genere Setina.<br />

Decisamente cospicuo è anche il<br />

contingente di geometridi caratteristici di<br />

habitat rupestri, spesso caratterizzati da<br />

livree fortemente criptiche sulle rocce: su<br />

tutti spiccano le ennomine del “vecchio”<br />

genere Gnophos (ad es. G. obfuscatus),<br />

oggi suddiviso in più generi maggiormente<br />

circoscritti dal punto di vista sistematico,<br />

del genere Dyscia (ad es. D. raunaria e D.<br />

sicanaria) ed alcune larentine, tra cui non<br />

poche specie del genere Eupithecia (ad<br />

es. E. venosata). Caratteristici e<br />

facilmente osservabili sono poi i piralidi<br />

eliofili del genere Metaxmeste, dal<br />

caratteristico colore nero, che per<br />

scaldarsi stazionano sulle rocce montane<br />

in pieno sole ad ali aperte. Nelle Alpi, altri<br />

piralidi caratteristici delle zone rocciose<br />

altomontane sono il genere Orenaia e<br />

Catharia pyrenaealis. Vanno pure ricordati<br />

numerosi psichidi, in particolare dei<br />

generi Dahlica, Pseudobankesia, Luffia,<br />

Leptopterix e Oreopsyche, i quali spesso<br />

amano posizionare i loro astucci larvali<br />

sulle rocce montane, appena prima di<br />

impuparvisi, i tineidi del genere Eudarcia,<br />

le cui larve si nutrono di alghe verdi, e<br />

alcune Chamaesphecia, sesidi legati ad<br />

euforbiacee caratteristiche di questi<br />

ambienti. Da segnalare, infine, la curiosa<br />

abitudine del piccolo sfingide diurno<br />

Macroglossum stellatarum di esplorare<br />

con attenzione le pareti rocciose al fine di<br />

individuare anfratti e piccole cavità per lo<br />

svernamento.<br />

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98<br />

Oedipoda germanica<br />

■ Il popolamento dei ghiaioni<br />

Molluschi. La propensione dei<br />

gasteropodi terrestri a colonizzare i<br />

ghiaioni montani varia principalmente in<br />

funzione delle caratteristiche<br />

morfologiche e del grado di maturità di<br />

questi ambienti. Ghiaioni instabili,<br />

scarsamente vegetati e costituiti<br />

prevalentemente da elementi litoidi di<br />

modeste dimensioni (ciottoli e ghiaia)<br />

presentano in genere una malacofauna<br />

estremamente povera e sono pressoché<br />

privi di specie caratteristiche. I ghiaioni in<br />

cui ai ciottoli si alternano massi e banchi<br />

rocciosi, soprattutto se colonizzati da<br />

rada vegetazione erbacea o arbustiva,<br />

costituiscono invece habitat idonei ad<br />

ospitare una fauna a molluschi che risulta<br />

tanto più diversificata quanto più<br />

complesso è il mosaico ambientale. La<br />

presenza di interstizi tra i massi, di<br />

accumuli di detriti nelle fessure o alla<br />

base degli arbusti, di nicchie che<br />

consentano un tenore più elevato di<br />

umidità, sono tutti fattori che favoriscono<br />

la colonizzazione dei ghiaioni da <strong>parte</strong><br />

dei gasteropodi terrestri.<br />

Tra il limitato numero di specie che,<br />

seppure non essendone esclusive,<br />

mostrano spiccate preferenze per questi<br />

particolari ambienti annoveriamo<br />

Granaria stabilei e Candidula unifasciata,<br />

che frequentano le pietraie erbose,<br />

Tandonia simrothi ed alcune specie di<br />

vitrinidi dei generi Eucobresia,<br />

Phenacolimax e Oligolimax, che si<br />

possono invece rinvenire di preferenza<br />

sotto ai massi dei ghiaioni più stabili. Le<br />

specie presenti dipendono inoltre dal<br />

microclima, funzione soprattutto della<br />

quota, e dalla tipologia del substrato<br />

(calcareo o siliceo). Ad esempio alcune<br />

sottospecie di Chilostoma cingulatum,<br />

nonché C. alpinum, Cepaea sylvatica e<br />

Arianta chamaeleon si rinvengono sui<br />

ghiaioni d’alta quota con substrato<br />

Chilostoma cingulatum colubrinum<br />

calcareo, mentre Chilostoma millieri e<br />

C. zonatum denotano una spiccata<br />

preferenza per quelli a substrato siliceo.<br />

Infine anche l’estensione e l’ubicazione<br />

dei ghiaioni condizionano la<br />

composizione della malacofauna; i<br />

ghiaioni ricoprenti superfici modeste<br />

rappresentano infatti degli ecotoni che<br />

attingono spesso il loro popolamento<br />

dagli ambienti contigui, quali le pareti<br />

rocciose, i pascoli o persino le aree<br />

boschive limitrofe. I loro popolamenti<br />

possono pertanto presentarsi vari e<br />

diversificati, sebbene privi di specie<br />

caratteristiche di questa tipologia<br />

ambientale.<br />

Crostacei. Anche nei ghiaioni montani gli<br />

isopodi, per la mancanza di suoli<br />

significativi, risultano di fatto quasi<br />

assenti. Comunque, qualche specie<br />

orofila e a prevalente attività notturna, ad<br />

esempio alcuni Armadillidium, si può<br />

talora rinvenire alla base di pietre nude,<br />

più facilmente ai margini delle pietraie<br />

stesse, dove la componente terrigena<br />

assuma maggiore consistenza.<br />

Diplopodi. I diplopodi costituiscono,<br />

come abbiamo visto, un importante<br />

gruppo di artropodi terrestri, con<br />

numerose specie presenti in ambito<br />

montano. Pur mancando dei veri<br />

specialisti degli ambienti di ghiaioni<br />

99


100<br />

montani, alcune specie, soprattutto<br />

elementi orofili associati a pascoli aridi e<br />

rocciosi, non sono infrequenti anche in<br />

pietraie, brecciai e alla base di ghiaioni<br />

scoscesi con rada vegetazione e suoli<br />

bruti superficiali. Tra queste possiamo<br />

ricordare almeno il neoatractosomatide<br />

Pseudocraspedosoma grypischium,<br />

endemita circumalpino a relativamente<br />

ampia valenza ecologica, ma che<br />

colonizza con frequenza anche i margini<br />

di ghiaioni e i pendii roccioso-sassosi<br />

scoscesi, fino a quasi 3000 m di quota.<br />

Anche il craspedosomatide<br />

Bergamosoma canestrinii, ad analoga<br />

distribuzione alpina, è stato raccolto<br />

prevalentemente su suoli poco profondi,<br />

fra pietraie e detriti rocciosi, oltre che in<br />

aree aperte (gramineti xerici e sassosi<br />

montani) esposte a Sud, fino a quasi<br />

3000 m, così come alcuni altri<br />

rappresentanti della medesima famiglia,<br />

con areale ed ecologia molto simili (ad<br />

esempio Atractosoma meridionale,<br />

Rothenbuehleria minima e<br />

Dactylophorosoma nivisatelles),<br />

analogamente al polidesmide<br />

Polydesmus monticola e agli iulidi<br />

Leptoiulus alemannicus e L. riparius.<br />

Iulide<br />

Chilopodi. Le uniche specie che sulle<br />

Alpi con frequenza colonizzano i margini<br />

dei ghiaioni montani dove almeno siano<br />

presenti degli accumuli terrigeni più<br />

cospicui (pur non essendone realmente<br />

caratteristiche), sono alcuni litobiidi come<br />

Lithobius lucifugus, il quale nel settore<br />

orientale si accompagna con una certa<br />

frequenza con Lithobius schuleri. Insieme<br />

a L. lucifugus, che, pur caratterizzante,<br />

non è comunque esclusivo nemmeno<br />

delle praterie aride alpine e può anche<br />

trovarsi nei boschi montani, sulle Dolomiti<br />

talvolta si incontrano in questi habitat<br />

anche L. muticus e L. nodulipes, entrambi<br />

elementi a più ampia valenza ecologica e<br />

perciò meno significativi.<br />

Insetti Tra i gruppi più significativi<br />

dell’entomofauna, che colonizzano più o<br />

meno stabilmente i ghiaioni montani,<br />

troviamo ancora soprattutto i coleotteri,<br />

insieme a lepidotteri, ortotteri, eterotteri,<br />

ditteri ed imenotteri. La maggioranza delle<br />

specie di insetti dei ghiaioni è<br />

rappresentata da specie fitofaghe in<br />

senso lato, mentre è ancora abbastanza<br />

rilevante la componente dei microfagi del<br />

suolo bruto; esigua è infine la componente<br />

dei predatori e dei parassitoidi.<br />

● Ortotteroidei. Gli ortotteri (soprattutto gli<br />

acridoidei) sono uno dei gruppi più<br />

riccamente rappresentati a livello dei<br />

ghiaioni montani, benché siano poche le<br />

specie realmente specializzate nel<br />

colonizzarli in modo pressoché esclusivo.<br />

Il gruppo comprende comunque svariate<br />

famiglie (in particolare catantopidi e<br />

acrididi, oltre a qualche tetrigide) con<br />

specie più o meno strettamente<br />

infeudate a substrati xerici e<br />

prevalentemente sassosi, colonizzati solo<br />

da pulvini di piante pioniere e da rade<br />

poacee orofile e xerofile (nella tradizionale<br />

caratterizzazione ecologica degli ortotteri<br />

italiani rientrerebbero nell’associazione<br />

“saxicola campestre”, o lapidicola). Tra le<br />

specie più frequenti sulla vegetazione<br />

erbacea rada dei ghiaioni montani,<br />

soprattutto nei settori di interfaccia con i<br />

Epipodisma pedemontana<br />

seslerieti, o a ridosso di bassi cespuglieti<br />

a ginepri o rododendri, possiamo<br />

ricordare il tetrigide Tetrix bipunctata<br />

(Europa meridionale, arco alpino),<br />

fortemente criptica quando posata su<br />

rocce e pietre di colore bianco-grigiastro,<br />

e in grado di raggiungere i 3000 m di<br />

quota, oltre a molti catantopidi di differenti<br />

generi, come Epipodisma pedemontana<br />

(Alpi occidentali), svariate Italopodisma<br />

(tutte endemiche di limitati settori altomontani<br />

dell’Appennino centrale, ad<br />

affinità egeiche), Chorthopodisma cobellii<br />

(endemita dell’Italia nord-orientale), le<br />

specie del genere Podisma (con specie<br />

sia alpine che appenniniche) e soprattutto<br />

Melanoplus frigidus, tra le specie più<br />

criofile e meglio adattate alla vita su suoli<br />

rocciosi nelle Alpi. Anche l’euriecio e<br />

comune Calliptamus italicus (ampiamente<br />

distribuito nell’Europa meridionale e in<br />

Calliptamus italicus<br />

Italia) può spingersi fino alle fasce<br />

altitudinali montane, soprattutto nell’Italia<br />

meridionale. Prettamente legate al piano<br />

submontano, sono ancora da citare tra i<br />

catantopidi Calliptamus siciliae (specie<br />

distribuita nel bacino Mediterraneo che si<br />

spinge fino alla Manciuria) e Pezzotettix<br />

giornai (specie a distribuzione europeamediterranea).<br />

Queste due ultime specie,<br />

pur essendo riferibili all’associazione<br />

“erbicola campestre”, si rinvengono con<br />

elevata frequenza in aree montane lungo i<br />

sentieri pietrosi ed ai margini dei coni di<br />

Oedipoda caerulescens<br />

deiezione, dove spesso coabitano con gli<br />

acrididi del genere Oedipoda.<br />

Come accennato, sono numerosi i<br />

rappresentanti della famiglia degli acrididi<br />

che, pur se tutt’altro che esclusivi, trovano<br />

comunque habitat favorevoli nei ghiaioni<br />

montani alpini, prealpini e appenninici. Tra<br />

le molte specie, citiamo Psophus stridulus<br />

(arco alpino e Appennino centrale, fino a<br />

oltre 2000 m), le comuni e ampiamente<br />

diffuse Oedipoda caerulescens ed<br />

O. germanica (fino a oltre 2000 m), pure a<br />

marcato criptismo, ma caratteristiche per<br />

la rapida esposizione delle ali<br />

metatoraciche vivacemente colorate<br />

(rispettivamente azzurre e rossastre)<br />

quando spiccano il volo per brevi tratti,<br />

disorientando i potenziali predatori, ma<br />

anche gli ignari escursionisti lungo i<br />

sentieri montani. Ancora, Stenobothrodes<br />

rubicundulus, ad ampia distribuzione in<br />

101


102<br />

Europa meridionale, presente sulle Alpi e<br />

nell’Appennino centrale, fino a 2000 m,<br />

l’affine e già citato S. cotticus, e ancora<br />

Stenobothrus fischeri (in Italia a<br />

distribuzione discontinua tra Alpi, Prealpi<br />

e Appennino, fino in Calabria) e S.<br />

apenninus (endemita appenninco che in<br />

alcuni ambienti può costituire la specie<br />

dominante). Infine, Aeropus sibiricus (ad<br />

amplissima distribuzione, in Italia noto di<br />

quasi tutta la Penisola), Glyptobothrus<br />

binotatus daimai (Alpi occidentali) e<br />

G. alticola (in Italia lungo le Alpi e Prealpi<br />

centro-orientali), G. eisentrauti (Alpi) e<br />

Aeropedellus variegatus, una delle specie<br />

più marcatamente infeudate a questi<br />

habitat lungo le Alpi (soprattutto centrali<br />

e occidentali, fino a quasi 2500 m).<br />

Anche il comune e ampiamente diffuso<br />

Glyptobothrus brunneus brunneus può<br />

raggiungere le più alte quote, soprattutto<br />

nell’Appennino centro-meridionale,<br />

dove è particolarmente abbondante<br />

proprio nelle aree rocciose e pietrose.<br />

Myrmeleotettix maculatus è infine specie<br />

poco comune, ma spesso abbondante<br />

localmente, soprattutto in ghiaioni<br />

montani appenninici, ma anche nelle<br />

Alpi occidentali. Tra gli ortotteri ensiferi, i<br />

tettigoniidi Antaxius difformis e<br />

Chopardius pedestris sono tipici abitatori<br />

di ghiaioni montani, ma anche le specie<br />

del genere Anonconotus (diffuso con<br />

molte specie nelle Alpi occidentali, ma<br />

che raggiunge l’arco alpino centrale)<br />

possono colonizzare tali ambienti. In<br />

Sardegna alcune specie di tettigoniidi del<br />

genere Rhacocleis (del gruppo<br />

R. bacettii) vivono in ambienti di questo<br />

tipo sulle più alte cime dell’isola, come il<br />

Monte Ferru, Monte Corrasi, il Bruncu<br />

Spina ed il Monte Limbara.<br />

Tra gli altri ortotteroidei è da ricordare la<br />

specie endemica Forficula apennina, un<br />

dermattero che si trova frequentemente<br />

proprio nei ghiaioni più freddi delle<br />

Anechura bipunctata<br />

Altri dermatteri che possono colonizzare<br />

questi ambienti sono Chelidura aptera<br />

(delle Alpi Occidentali) e Anechura<br />

bipunctata (Alpi occidentali e Gran Sasso).<br />

Anche alcune specie del genere<br />

Chelidurella (soprattutto C. vignai e<br />

C. thaleri delle Alpi orientali) possono<br />

costituire popolazioni in ambienti montani<br />

e alpini. Da citare anche il blattodeo<br />

Ectobius montanus, che può vivere sulle<br />

rade graminacee vegetanti sui ghiaioni<br />

scoscesi, sempre sulle montagne<br />

dell’Appennino centro-meridionale.<br />

maggiori montagne appenniniche.<br />

● Eterotteri. Gli eterotteri sono<br />

rappresentati da un discreto numero di<br />

entità anche negli habitat dei ghiaioni<br />

montani, sebbene buona <strong>parte</strong> delle<br />

specie presenti sia associata anche a<br />

pascoli montani xerici e sassosi, o a pendii<br />

rocciosi e ambienti più schiettamente<br />

rupestri. Tra gli elementi più caratteristici<br />

possiamo ricordare i già citati tingidi del<br />

genere Copium, in particolare<br />

C. clavicorne, elemento dell’Europa<br />

centro-meridionale che in Italia è presente<br />

in tutte le regioni ad eccezione della<br />

Sardegna, legato a lamiacee del genere<br />

Teucrium presenti sia su rupi che su<br />

ghiaioni (in particolare T. chamaedrys,<br />

T. scorodonia e, almeno in Sicilia,<br />

T. flavum). Il congenere Copium teucrii,<br />

pure ad ampia distribuzione euromediterranea,<br />

è di norma più strettamente<br />

Carabus creutzeri<br />

infeudato ai ghiaioni montani,<br />

specialmente quando, ad esempio lungo<br />

l’arco alpino, si sviluppa prevalentemente<br />

a spese di Teucrium montanum. Tra gli<br />

aradidi si può ricordare Aradus frigidus,<br />

elemento eurosibirico noto in Italia di<br />

pochissime località montane delle Alpi e<br />

dell’Appennino meridionale, e che, a<br />

differenza delle specie congeneri (che si<br />

sviluppano tipicamente sotto cortecce di<br />

alberi abbattuti), vive invece sotto piccole<br />

pietre in zone sassose e rupestri di alta<br />

montagna. Anche il ligeide Geocoris<br />

grylloides è specie montana che si rinviene<br />

generalmente alla base dei cespugli di<br />

piccole lamiacee (Teucrium); si tratta di un<br />

elemento eurosibirico che in Italia è noto<br />

dalle Alpi e dall’Appennino centrale. Un<br />

altro ligeide, questa volta predatore e con<br />

caratteristica distribuzione boreoalpina, è<br />

Geocoris lapponicus, in Italia presente solo<br />

in poche località di quota dell’arco alpino.<br />

● Coleotteri. Carabidi. I carabidi sono<br />

numericamente tra i dominatori degli<br />

ambienti montani, soprattutto nei pratipascoli<br />

delle medie e alte quote, e negli<br />

ambienti alpini in genere. Tuttavia, a livello<br />

di ghiaioni e macereti anche in questa<br />

importante famiglia il numero di specie<br />

presenti con una certa frequenza e<br />

regolarità si riduce di molto. Tra i<br />

rappresentanti del vastissimo genere<br />

Carabus si rinvengono soprattutto alcune<br />

specie prevalentemente elicofaghe<br />

(cacciatrici di molluschi terrestri) del<br />

sottogenere Platycarabus, come Carabus<br />

depressus (Alpi) e C. creutzeri (Alpi<br />

orientali), non rari al margine dei ghiaioni,<br />

sotto la superficie di pietre appiattite anche<br />

di piccole dimensioni, e alcune del<br />

sottogenere Orinocarabus, come Carabus<br />

concolor (Alpi centro-occidentali) o<br />

C. baudii e C. heteromorphus (Alpi<br />

occidentali). Di particolare interesse e<br />

abbastanza caratteristici proprio dei<br />

ghiaioni e delle pietraie umide a ridosso di<br />

pareti rocciose montane sono invece<br />

alcuni rappresentanti alticoli e anche in<br />

questo caso elicofagi del genere Cychrus,<br />

perlopiù molto sporadici e localizzati e di<br />

notevole rilievo conservazionistico, come<br />

in particolare C. graius (endemico delle<br />

Cychrus schmidti<br />

Alpi Graie), C. cylindricollis (endemita<br />

lombardo delle Prealpi Orobie),<br />

C. angulicollis (Alpi Marittime) e<br />

C. schmidti (Alpi Giulie). Uno degli<br />

elementi più caratteristici dei ghiaioni<br />

alpini montani può comunque essere<br />

considerato Patrobus septentrionalis, un<br />

raro elemento orofilo delle Alpi orientali,<br />

a complessiva distribuzione di tipo<br />

boreoalpino (ovvero presente, con<br />

distribuzione frammentata e relitta, in<br />

Nord Europa e lungo l’arco alpino). Anche<br />

svariate specie orofile dei generi Amara,<br />

Pterostichus, Harpalus e Cymindis sono<br />

poi presenti con una certa regolarità<br />

lungo i ghiaioni montani, sebbene sia<br />

103


104<br />

Nebria germari<br />

piuttosto arduo ritenerle realmente<br />

caratteristiche di questi habitat.<br />

Frequenti nei ghiaioni relativamente più<br />

umidi delle Alpi sono anche svariati<br />

rappresentanti orofili di bembidiini del<br />

genere Ocydromus, in particolare quelli<br />

del sottogenere Testediolum, alcuni<br />

trechini del genere Trechus (soprattutto<br />

quelli del gruppo di T. strigipennis), molte<br />

Oreonebria, Nebria germari (Dolomiti),<br />

N. orsinii (Appennino centrale), e infine<br />

Licinus italicus, alcuni Platynus e Leistus<br />

glacialis (Appennino centrale).<br />

Stafilinidi. Lungo l’arco alpino, di<br />

grandissimo interesse è la fauna a<br />

stafilinidi associata ai ghiaioni calcareo-<br />

L. angustiarumberninae rosaorum<br />

(Prealpi lombarde)<br />

L. areraensis (Prealpi lombarde)<br />

L. baldensis (Prealpi venete)<br />

L. brachati (Prealpi venete)<br />

L. cavallensis (Prealpi venete)<br />

L. c. ceresoleana (Alpi occidentali)<br />

L. fauciumberninae<br />

(Alpi e Prealpi lombarde)<br />

L. grignaensis (Prealpi lombarde)<br />

L. knabli recticollis (Prealpi venete)<br />

L. mandli (Prealpi lombarde)<br />

L. manfredi (Dolomiti)<br />

Elementi stenoendemici nel genere Leptusa<br />

dolomitici dove questi vengono consolidati<br />

dai firmeti con Dryas octopetala (le<br />

cosiddette “scale a Dryas”). In questo tipo<br />

di ambiente si possono formare zolle con<br />

suolo abbastanza profondo che sono<br />

l’habitat d’elezione per molte specie attere<br />

e microftalme del genere Leptusa, da<br />

quelle a distribuzione più ampia fino a<br />

molti elementi stenoendemici.<br />

Sempre nei firmeti, sui fiori di Dryas e<br />

talvolta su altri fiori bianchi come quelli del<br />

genere Cerastium si rinvengono alcune tra<br />

le specie di Eusphalerum a distribuzione<br />

più ristretta: E. pulcherrimum delle Prealpi<br />

centrali, E. albipile delle Prealpi Venete,<br />

E. annaerosae delle Dolomiti e<br />

probabilmente anche E. angusticolle delle<br />

Alpi Marittime. Queste specie si trovano<br />

associate a Dryas solo nei firmeti: dove<br />

questa pianta è insediata su suoli più<br />

evoluti, essi mancano infatti del tutto.<br />

Molti altri stafilinidi, fitosaprofagi, predatori<br />

o antofagi (ad esempio altri omaliini) sono<br />

poi più o meno frequentemente presenti<br />

tra le pietre dei ghiaioni, o sui pulvini in<br />

fiore di alcune glareofite, ma si tratta<br />

perlopiù di elementi orofili generalisti, di<br />

norma ben più abbondantemente<br />

rappresentati nei contigui pascoli montani<br />

e nei seslerieti.<br />

L. montispasubii settei (Prealpi venete)<br />

L. montiumcarnorum (Alpi orientali)<br />

L. occulta (Prealpi venete)<br />

L. piceata (Alpi centro-orientali)<br />

L. portusnaoniensis (Prealpi venete)<br />

L. pratensis (Alpi orientali)<br />

L. rhaetoromanica (Alpi Retiche)<br />

L. rosai (Prealpi lombarde)<br />

L. sudetica (Alpi Retiche)<br />

L. t. tirolensis (Dolomiti)<br />

L. tridentina (Catena dei Lagorai)<br />

L. trumplinensis (Prealpi lombarde)<br />

L. vallisvenyi (Alpi occidentali).<br />

Nitidulidi e cateretidi. Numerose sono le<br />

specie di nitidulidi e cateretidi<br />

caratteristiche di ghiaioni e brecciai<br />

montani e submontani. Tra le specie più<br />

tipiche possiamo citare ancora alcuni<br />

nitidulidi antofagi del grande genere<br />

Meligethes, come il comune M.<br />

aeneus, associato a moltissime<br />

brassicacee anche coltivate e<br />

presente dal livello del mare fino<br />

a oltre 2500 m di quota, ma che<br />

nei ghiaioni di alta quota è di<br />

norma stenofago su<br />

Biscutella spp. Tra le<br />

numerose altre entità troviamo<br />

M. erysimicola e M. fumatus (vedi<br />

disegno), di cui già si è parlato<br />

per la fauna delle rupi, M. reyi e<br />

M. solidus, legati a cistacee orofile e<br />

alticole del genere Helianthemum,<br />

presenti in aree xerotermiche e ghiaioni<br />

soleggiati delle Alpi e Prealpi e lungo<br />

l’Appennino fino al Massiccio del Pollino,<br />

da 800 a oltre 2500 m, e M. oreophilus, dal<br />

significativo epiteto specifico, endemico<br />

dell’Italia geografica, a distribuzione<br />

alpino-appenninica, esclusivo di ghiaioni,<br />

pietraie e seslerieti di medio-alta ed alta<br />

montagna, a quote comprese tra 1200 e<br />

2500 m, e associato a lamiacee alticole del<br />

genere Thymus. Lungo le Alpi orientali e<br />

occidentali e in una isolata stazione<br />

dell’Appennino Laziale-Abruzzese (Monte<br />

Elefante nel gruppo del M. Terminillo) è<br />

presente anche il rarissimo M. devillei, in<br />

Europa meridionale esclusivo delle alte<br />

quote (1700-2600 m), e legato alle<br />

altrettanto rare specie orofile del genere<br />

Dracocephalum (lamiacee), in seslerieti e al<br />

margine di brecciai. Altra specie di rilievo è<br />

un’entità recentemente scoperta e<br />

descritta su materiale rinvenuto in vari<br />

paesi dell’Europa meridionale,<br />

M. arankae, in Italia peninsulare<br />

monofaga sulla rara brassicacea<br />

Hesperis laciniata, tipica glareofila<br />

montana. Probabilmente associato ai<br />

ghiaioni montani, su qualche<br />

brassicacea, è infine anche il rarissimo<br />

M. salvan, paleoendemita ad areale<br />

verosimilmente molto ristretto e descritto<br />

solo recentemente, dalla biologia ancora<br />

ignota e conosciuto sulla sola base dei<br />

tipi, raccolti agli inizi del secolo<br />

scorso sulle pendici del<br />

Monte Argentera (Alpi<br />

Marittime). Tra i cateretidi, il più<br />

caratteristico abitatore di<br />

ghiaioni montani è un<br />

rappresentante del genere<br />

Brachypterolus, il già citato<br />

B. linariae, frequente in<br />

ambienti xerici sassosi e<br />

soleggiati delle aree montane<br />

e submontane dell’Italia<br />

peninsulare, e legato a Kickxia spp. e<br />

Linaria spp. (scrofulariacee).<br />

Dasitidi e malachiidi. Queste due piccole<br />

famiglie di minuti coleotteri comprendono<br />

un gran numero di specie soprattutto<br />

antofaghe, di norma abbondanti negli<br />

habitat xerici e ben soleggiati. Pochissime<br />

però sembrano essersi in qualche modo<br />

specializzate negli ambienti dei ghiaioni<br />

montani, dove giungono svariate specie di<br />

dasitidi del genere Danacea, presenti però<br />

anche a quote di gran lunga inferiori.<br />

Da citare è comunque il curioso caso dei<br />

malachiidi del genere Malthodes riferibili al<br />

gruppo di M. trifurcatus, che si trovano<br />

generalmente su conifere (abete rosso,<br />

larice) ma che, in alta montagna, oltre il<br />

limite degli alberi, sono spesso presenti<br />

con popolazioni differenziate in “forme di<br />

alta quota” di non chiaro determinismo<br />

genetico e non sufficientemente esplorato<br />

rango tassonomico, caratterizzate in<br />

particolare da femmine attere e da maschi<br />

con gli ultimi segmenti addominali meno<br />

sviluppati, che vivono invece sul terreno,<br />

tra pietraie e pascoli aridi sassosi.<br />

Rappresentano una serie di presunte<br />

“sottospecie altitudinali”, per le quali non è<br />

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106<br />

ben noto quanto la declività e l’aridità del<br />

substrato siano determinanti, ma che<br />

certamente sono associate ad habitat in<br />

cui l’insolazione, la durata e lo spessore<br />

del manto nevoso, e altri fattori abiotici<br />

devono svolgere un ruolo importante. Si<br />

tratta in particolare di Malthodes trifurcatus<br />

atramentarius (Alpi occidentali e centrali),<br />

M. penninus icaricus (Alpi centrali),<br />

M. atratus (Alpi Marittime) e M. atratus<br />

samniticus (Gran Sasso).<br />

Meloidi. Tra le entità non proprio<br />

caratteristiche, ma occasionalmente<br />

presenti in ghiaioni submontani xerici a<br />

quote medie, spesso a ridosso di basse<br />

pareti rocciose, troviamo il meloino Meloe<br />

erythrocnemus, a fenologia tardo<br />

invernale-primaverile, più spesso<br />

associato a località xeriche di bassa quota<br />

con substrati sabbiosi, e diffuso, benché<br />

piuttosto raro, in buona <strong>parte</strong> dell’Italia<br />

peninsulare e in Sicilia. L’ospite degli stadi<br />

larvali è tipicamente l’imenottero<br />

megachilide Chalicodoma muraria.<br />

Analoga ecologia e simile etologia sembra<br />

presentare anche una specie a<br />

gravitazione maghrebina, Meloe aegyptius,<br />

rarissima in Italia, dove è nota di<br />

pochissime stazioni della sola Sicilia<br />

settentrionale, tra cui il Bosco di Ficuzza ai<br />

piedi della spettacolare Rocca Busambra.<br />

Anche alcuni milabrini orofili del genere<br />

Mylabris (in particolare del sottogenere<br />

Mylabris variabilis<br />

Micrabris) come M. pusilla e M. flexuosa,<br />

tipici dei prati-pascoli montani a carattere<br />

parasteppico, si rinvengono talora anche<br />

sulla rada vegetazione a graminacee<br />

xerofile dei ghiaioni di Alpi e Appennini,<br />

anche a quote elevate (2000-2500 m).<br />

Tenebrionidi. I tenebrionidi sono ben<br />

rappresentati negli ambienti pietrosi di<br />

media e alta quota. In questa famiglia<br />

sono infatti numerose le linee filetiche<br />

contraddistinte dall’atterismo e da<br />

un’elevata resistenza all’aridità. Tali<br />

caratteristiche rendono le specie di<br />

queste linee evolutive ”preadattate” alla<br />

vita negli ambienti pietrosi di alta quota,<br />

dove la presenza di venti forti tende a<br />

favorire gli insetti non volatori (i quali<br />

verrebbero più facilmente spazzati via),<br />

mentre la scarsità di acqua, soprattutto in<br />

estate, la scarsissima ritenzione idrica del<br />

terreno e la mancanza di copertura<br />

vegetale richiedono la capacità di<br />

sopravvivere a lungo in condizioni di forte<br />

evapotraspirazione, di elevate escursioni<br />

termiche e di mancanza d’acqua. Mentre<br />

in molti insetti si osservano specie<br />

cacuminali attere, in cui la perdita di ali è<br />

subentrata a seguito dell’adattamento alla<br />

vita d’alta quota, nel caso dei tenebrionidi<br />

si tratta di specie ap<strong>parte</strong>nenti a gruppi<br />

atteri primitivamente, che proprio grazie a<br />

questa caratteristica hanno potuto<br />

colonizzare meglio di altri questi ambienti<br />

inospitali. Sono quindi parecchie le<br />

specie di tenebrionidi “petrofile” (in cui<br />

cioè si osserva una più o meno spiccata<br />

specializzazione per la vita sotto pietre)<br />

presenti negli ambienti aridi di montagna,<br />

quali ghiaioni e macereti. Mentre sulle<br />

Alpi (da questo gruppo ricolonizzate solo<br />

dopo l’ultimo glaciale) mancano forme<br />

endemiche, lungo la catena appenninica<br />

sono presenti, negli ambienti montani<br />

aridi e pietrosi, due specie, endemiche<br />

italiane, con sottospecie caratteristiche<br />

delle vette: Asida pirazzolii e Colpotus<br />

strigosus. A. pirazzolii è una specie<br />

dell’Appennino centrale, suddivisa in due<br />

sottospecie: la forma tipica è piuttosto<br />

frequente sotto le pietre dei luoghi aridi,<br />

specialmente nei siti molto elevati, mentre<br />

la ssp. sardiniensis (che, a dispetto del<br />

nome non si trova in Sardegna) si<br />

localizza negli stessi ambienti a quote<br />

generalmente più basse. Colpotus<br />

strigosus colonizza, con diverse<br />

sottospecie, quasi tutta l’Italia<br />

appenninica, dall’Appennino Tosco-<br />

Emiliano alla Sicilia, con gravitazione<br />

lungo l’Appennino centro-meridionale,<br />

soprattutto nel versante tirrenico.<br />

La ssp. ganglbaueri è presente solo in<br />

poche stazioni dell’Appennino centrale,<br />

ove si rinviene sotto le pietre dei siti aridi.<br />

Un altro interessante tenebrionide è<br />

Crypticus quisquilius, una specie<br />

distribuita in tutta Europa, nel Caucaso, in<br />

Siberia e in Mongolia. La ssp. aprutianus<br />

è endemica dell’Italia appenninica centromeridionale,<br />

dove si trova sotto pietre di<br />

ambienti montani aridi. Infine ricordiamo<br />

due specie sublapidicole endemiche della<br />

Sardegna: Opatrum dahli (diffuso nella<br />

maggior <strong>parte</strong> dell’isola) e O. nivale<br />

(circoscritto al Gennargentu). Il primo è<br />

xerofilo ed è diffuso dal livello del mare<br />

fino a circa 1000 m di quota, mentre il<br />

secondo è presente tra 1200 e 1800 m.<br />

Elateridi. Gli elateridi che vivono a livello<br />

dei ghiaioni montani includono solo<br />

poche specie, alcune delle quali oltre<br />

tutto più propriamente legate a terreni<br />

detritici del piano alpino ma ripicole,<br />

nettamente igrofile, dunque viventi solo<br />

in prossimità di ruscelli e rivoletti da<br />

disgelo. Hypnoidus consobrinus è<br />

presente in Scandinavia e lungo l’arco<br />

alpino, anche a quote elevate.<br />

I congeneri H. rivularius e H. riparius<br />

sono elementi a più ampia distribuzione,<br />

in Italia limitati all’arco alpino o al<br />

massimo all’Appennino settentrionale.<br />

La presenza di un minimo di vegetazione,<br />

e dunque una relativa stabilità del suolo<br />

intorno a pulvini di qualche specie<br />

vegetale, sono comunque condizioni<br />

irrinunciabili per l’insediamento di queste<br />

specie, tutte con larva rizofaga; la loro<br />

presenza nei ghiaioni veri e propri è<br />

dunque da considerare marginale.<br />

Un’altra specie legata ai macereti è<br />

Berninelsonius hyperboreus, elemento<br />

boreoalpino presente in Italia solo sulle<br />

Alpi dalla Liguria al Trentino. Due specie<br />

di Selatosomus, S. amplicollis e<br />

Selatosomus sp.<br />

S. aeneus, sono invece elementi<br />

montani sublapidicoli che frequentano<br />

pietraie e macereti anche molto scoscesi.<br />

S. amplicollis (Europa meridionale e<br />

Turchia) in Italia si trova sulle Alpi Liguri e<br />

Marittime e lungo tutto l’Appennino fino<br />

ai Nebrodi e alle Madonie. Selatosomus<br />

aeneus (elemento sibirico-europeo)<br />

popola invece solo le Alpi e l’Appennino<br />

settentrionale. Anche alcune Ctenicera,<br />

con larve perlopiù rizofaghe (che<br />

necessitano dunque anche di un minimo<br />

di terreno consolidato per il loro<br />

sviluppo), da adulti sono abbastanza<br />

frequenti anche sulla rada vegetazione<br />

erbacea dei ghiaioni (sebbene siano ben<br />

più abbondanti nei pascoli xerici), in<br />

particolare C. pectinicornis, ad ampia<br />

distribuzione europea e sibirica, comune<br />

sulle più alte cime delle Alpi e<br />

dell’Appennino.<br />

107


108<br />

Scarabeoidei. Anche a livello dei ghiaioni<br />

montani la presenza degli scarabeoidei è<br />

piuttosto occasionale. A <strong>parte</strong> qualche<br />

coprofago poco specializzato che può<br />

seguire il pascolo anche ai margini di<br />

questi habitat, le uniche specie che con<br />

una certa frequenza vi si rinvengono sono<br />

alcuni afodiidi rappresentanti dei generi<br />

Agolius e Neagolius. Nel loro insieme si<br />

tratta di specie caratteristiche del piano<br />

alpino, e diffuse soprattutto nel mosaico<br />

di ambienti che si trovano fra 1800 e 2800<br />

metri di quota (pascoli alpini, vallette<br />

nivali, ghiaioni con chiazze di neve).<br />

Agolius abdominalis (Alpi e Carpazi),<br />

viene spesso raccolto in escrementi di<br />

marmotta, pernice, camoscio, pecora e<br />

talvolta bovini. I Neagolius, invece, si<br />

trovano soltanto sotto le pietre o in volo;<br />

probabilmente non sono coprofagi ma<br />

fitosaprofagi. Vale la pena di citare<br />

Neagolius pollicatus (Alpi orientali e<br />

Prealpi Venete), N. amblyodon (Alpi Cozie<br />

e Graie), N. montanus (dalle Alpi Venete<br />

alle montagne dei Balcani), N. limbolarius<br />

(dalle Alpi centrali alle montagne della<br />

Grecia settentrionale), N. schlumbergeri<br />

(Pirenei, Alpi, Appennini), N. liguricus (Alpi<br />

Liguri e Marittime), e infine N. penninus<br />

(endemico italiano; Alpi Pennine, gruppi<br />

montuosi a Sud del Monte Rosa). I<br />

Neagolius presentano un dimorfismo<br />

sessuale notevole, tanto che talvolta<br />

maschi e femmine sono stati descritti<br />

come specie distinte. In alcune specie le<br />

femmine sono microttere o brachittere, e<br />

depigmentate. Sembra che alcune specie<br />

siano attratte dalle superfici chiare e per<br />

questo si trovano spesso posate sulle<br />

rocce calcaree e sui ghiaioni.<br />

Crisomelidi. Anche a livello dei ghiaioni<br />

montani il popolamento di crisomelidi<br />

non è particolarmente ricco, e presenta<br />

sovente commistioni tra le cenosi<br />

caratteristiche dei pascoli xerici di media<br />

ed alta quota con quelle delle rupi.<br />

Possiamo comunque citare almeno<br />

l’alticino Longitarsus springeri, raro<br />

endemita delle medie ed alte quote<br />

dell’Appennino centrale, associato<br />

all’asteracea Senecio rupestris, e i<br />

minuscoli congeneri L. obliteratus e<br />

L. obliteratoides, a più ampia<br />

distribuzione europea, abbastanza<br />

frequenti tra 500 e almeno 1500 m di<br />

quota lungo buona <strong>parte</strong> della Penisola,<br />

e associati a lamiacee xerofile e<br />

glareofile, tra cui Satureja montana e<br />

specie orofile del genere Thymus.<br />

Sempre tra gli alticini Psylliodes instabilis,<br />

pure ad ampia distribuzione sudeuropea<br />

e italiana, è invece legato a brassicacee,<br />

come alcuni rappresentanti dei generi<br />

Alyssum, Aurinia, Iberis ed Erysimum.<br />

Dibolia rugulosa, ad ampia distribuzione<br />

in Europa meridionale e in Italia<br />

settentrionale, è infine frequentemente<br />

associata, a quote intermedie, sovente<br />

anche ai margini di ghiaioni, alla lamiacea<br />

Stachys annua. Tra i crisomelini, vale la<br />

pena di ricordare almeno Oreina viridis,<br />

ampiamente distribuita alle quote<br />

relativamente più elevate delle Alpi (dalle<br />

Marittime alle Giulie) e dell’Appennino<br />

centrale, dalla biologia larvale poco nota,<br />

e la congenere O. sibylla, endemica<br />

dell’Appennino centrale e associata,<br />

perlopiù in pascoli di quota, ad asteracee<br />

del genere Doronicum, ma presente<br />

anche sui ghiaioni contigui.<br />

Curculionoidei.<br />

I curculionoidei sono ben<br />

rappresentati anche<br />

nell’ambito della fauna dei<br />

ghiaioni montani. Oltre ad<br />

alcuni rappresentanti<br />

alpini del già citato<br />

genere Dichotrachelus<br />

(vedi disegno), presenti<br />

anche nelle pietraie delle<br />

medie e alte quote, sono<br />

da ricordare soprattutto Otiorhynchus sp.<br />

le quattro specie del genere<br />

Oreorhynchaeus (O. baldensis, O. focarilei,<br />

O. pacei e O. spectator), tutte endemiche<br />

di limitati settori del versante italiano di Alpi<br />

e Prealpi, legate ad ambienti di alta quota,<br />

probabilmente viventi a spese di minute<br />

cariofillacee alticole, e che si rinvengono<br />

frequentemente proprio tra le pietre dei<br />

ghiaioni montani. Nell’ambito della stessa<br />

famiglia va ricordato anche lo staflino<br />

Trachystyphlus alpinus, presente con<br />

diverse sottospecie sulle Alpi e lungo<br />

l’Appennino centrale, e i rari ceutorinchini<br />

Ceutorhynchus inaffectatus (aree montane<br />

dell’Italia settentrionale e centrale) e<br />

C. bifidus (aree montane dell’Italia centrale<br />

e meridionale), entrambi associati alla non<br />

frequente ma caratteristica brassicacea<br />

glareofila Hesperis laciniata.<br />

Oltre a svariati altri ceutorinchini, tichiini<br />

ed apionidi associati ad altre piante<br />

glareofile ed alticole (altri Ceutorhynchus,<br />

alcuni Brachyodontus, alcuni Apion,<br />

svariati Tychius, ecc.), annotiamo anche<br />

che un cospicuo numero di altri<br />

curculionidi di svariati generi sono<br />

frequentemente presenti sotto pietre,<br />

anche minute, soprattutto ai margini dei<br />

ghiaioni montani, dove aumenti la<br />

consistenza dei suoli; tra questi, ad<br />

esempio, alcune specie orofile ed alticole,<br />

endemiche italiane, dei generi<br />

Otiorhynchus (sottogenere Nilepolemis),<br />

Neoplinthus e Leiosoma.<br />

● Ditteri. Sirfidi. Tra i rappresentanti di<br />

questa importante famiglia che<br />

colonizzano ghiaioni e zone rocciose di<br />

media e alta quota troviamo tra gli altri<br />

Rohdendorfia alpina, specie petrofila a<br />

distribuzione alpina, tipica di substrati<br />

rocciosi, morenici e di ghiaioni, rinvenibile<br />

presso corsi d’acqua o ai margini dei<br />

ghiacciai, tra 2500 e 2800 m.<br />

È caratterizzata da un volo veloce e<br />

radente, interrotto da brevi pause sugli<br />

spuntoni di roccia più elevati: appena i<br />

raggi del sole vengono oscurati dal<br />

passaggio di una nuvola, scompare tra i<br />

ciottoli. Si nutre su fiori di Cerastium,<br />

Leucanthemopsis alpina e Sedum.<br />

Le femmine ricercano pietre dalla<br />

superficie piana circondate da vegetazione<br />

a cuscinetto (come cariofillacee del genere<br />

Cerastium), deponendo le uova sulla<br />

superficie inferiore delle stesse pietre.<br />

Cheilosia aristata, a distribuzione alpina, è<br />

un elemento orofilo tipico di ambienti<br />

rocciosi silicei preferibilmente esposti a<br />

Sud e ben soleggiati, tra 2300 e 2400 m.<br />

Si può osservare sui fiori di Silene<br />

rupestris. I maschi, fortemente territoriali,<br />

sostano sulle rocce ben soleggiate e<br />

piatte, staccandosene solo di tanto in<br />

tanto, rimanendo in volo stazionario<br />

presso la superficie (come molti altri<br />

sirfidi). Ischyroptera bipilosa, ancora a<br />

distribuzione alpina, è un altro elemento<br />

strettamente petrofilo, che si rinviene oltre<br />

i 2400 m su ghiaioni e substrati rocciosi<br />

compatti e con scarsa vegetazione.<br />

Gli adulti sono attivi tra maggio e giugno,<br />

soprattutto quando la neve è ancora<br />

presente in abbondanza in ampie aree.<br />

I maschi, diversamente dalla<br />

maggioranza delle altre specie, volano a<br />

circa 2-3 m d’altezza dal suolo.<br />

Tachinidi. Tra i numerosi rappresentanti di<br />

questa importante famiglia di ditteri<br />

parassitoidi troviamo ad esempio<br />

Sarromyia nubigena, distribuita dalle Alpi<br />

109


110<br />

centrali ai Pirenei. È specie rara, parassita<br />

del lepidottero psichide Oreopsyche<br />

leschenaulti. Vola a balzelli tra i ciottoli e<br />

la vegetazione prostrata su ghiaioni d’alta<br />

quota e macereti, di norma oltre i 2500 m,<br />

spesso su fiori di Rhododendron e di<br />

Loiseleuria. Analoga distribuzione alpinopirenaica<br />

ha Admontia cepelaki, i cui<br />

ospiti sono sconosciuti; appartiene<br />

comunque a un gruppo di entità parassite<br />

di larve di ditteri tipulidi. Come la specie<br />

precedente, vola a balzi a pochi<br />

centimetri dal suolo su ghiaioni d’alta<br />

quota, spesso a ridosso dei nevai, da<br />

2700 a 3300 m. Wagneria alpina,<br />

distribuita su Alpi e Pirenei, oltre che in<br />

Scandinavia e nella Russia europea, è un<br />

altro elemento xerofilo tipico di substrati<br />

rocciosi esposti a sud, non raro sulle Alpi<br />

in tali ambienti, oltre i 1200 m; i suoi ospiti<br />

sono pure sconosciuti (forse bruchi di<br />

micro- o macrolepidotteri).<br />

● Imenotteri. Molti sono gli imenotteri che<br />

colonizzano in via più o meno<br />

preferenziale i ghiaioni montani,<br />

soprattutto tra gli apoidei (in particolare<br />

apidi, andrenidi e megachilidi). Singolare<br />

è il comportamento di un vespide che<br />

vive e nidifica sulle Alpi al disopra di<br />

700–800 m. Si tratta di Polistes biglumis<br />

bimaculatus, che fissa il nido, formato da<br />

alcune cellette di cartone, sotto le pietre,<br />

soprattutto nei ghiaioni, purché abbiano<br />

un interspazio sufficiente per impiantarlo<br />

in modo che non sia in contatto con il<br />

terreno. Questa specie sfrutta così il<br />

particolare microclima con temperatura<br />

più elevata rispetto a quella della zona<br />

circostante, non soltanto perché il luogo è<br />

ben riparato, ma anche per il<br />

riscaldamento della pietra dovuto<br />

all’irraggiamento solare. Questo<br />

comportamento consente alla fondatrice<br />

del nido di sfruttare un periodo di<br />

sopravvivenza in montagna assai più<br />

lungo di quello solitamente possibile per<br />

la maggior <strong>parte</strong> degli altri imenotteri, ad<br />

esclusione forse degli apidi del genere<br />

Bombus. I bombi sono in effetti<br />

rappresentati da molte specie nelle<br />

praterie e nei pascoli aridi delle medie ed<br />

alte quote appenniniche ed alpine; gli<br />

adulti frequentano anche fiori ed<br />

infiorescenze di vegetali glareofili, ma<br />

nessuna specie è veramente<br />

caratteristica di ghiaioni e brecciai, visitati<br />

quasi esclusivamente per la raccolta del<br />

nettare sui fiori e per sfruttarne le<br />

condizioni termiche in genere più<br />

favorevoli. Anche qualche mutillide, in<br />

Mutilla europaea<br />

particolare la comune e diffusa Mutilla<br />

europaea, parassitoide massiva proprio<br />

dei nidi sotterranei di Bombus, è<br />

frequente almeno ai margini dei ghiaioni<br />

più soleggiati, dove qualche deposito<br />

terrigeno può consentire la realizzazione<br />

dei nidi stessi. Tra i formicidi, molte<br />

specie frequentano in esplorazione anche<br />

i ghiaioni montani, sebbene la maggior<br />

<strong>parte</strong> non sia in grado di stabilire i propri<br />

nidi nei substrati dei ghiaioni, al solito per<br />

la mancanza della componente terrigena.<br />

Tra gli elementi comunque più frequenti<br />

lungo Alpi ed Appennini, citiamo almeno<br />

numerose specie orofile e xerofile dei<br />

generi Lasius, Formica e Tetramorium.<br />

● Lepidotteri. I lepidotteri, sia a volo<br />

diurno che notturno, comprendono un<br />

cospicuo numero di specie tipiche anche<br />

negli ambienti dei ghiaioni montani.<br />

Spesso si tratta delle medesime entità<br />

che frequentano gli habitat rupestri, che<br />

eviteremo perciò di ricordare, ma non<br />

mancano specie che mostrano una<br />

precisa preferenza per i substrati<br />

rocciosi incoerenti, vuoi perché<br />

spiccatamente xerotermofile, vuoi<br />

perché legate allo stadio larvale a piante<br />

glareofile. Infatti, i ghiaioni ospitano una<br />

sorta di versione xerofila del biota delle<br />

rupi, in virtù del loro notevole drenaggio<br />

idrico e della conseguente maggiore<br />

aridità. Anche nei ghiaioni montani, i<br />

ninfalidi satirini sono una delle<br />

componenti più significative della<br />

lepidotterofauna. Tra le numerose entità<br />

caratteristiche di questi habitat<br />

ricordiamo Oeneis glacialis (Alpi) e varie<br />

erebie, come Erebia pluto ed E. gorge<br />

(Alpi e Appennini). Nel complesso, le<br />

caratteristiche salienti della componente<br />

notturna dei lepidotteri non differiscono<br />

molto da quelle già descritte per le rupi<br />

montane e submontane. Tra i licenidi,<br />

degno di nota è Scolitantides orion,<br />

presente con numerose colonie isolate<br />

in aree rocciose e sassose soprattutto<br />

Erebia pluto<br />

nel norditalia, e legato come larva a<br />

piante di Sedum (crassulacee).<br />

Sebbene non esclusivi dei ghiaioni<br />

montani, numerosi arctiidi, come ad<br />

esempio Chelis maculosa e Arctia<br />

festiva, trovano evidentemente il loro<br />

optimum ecologico in questi ambienti.<br />

Più strettamente legata ai brecciai ed<br />

alle morene glaciali è Holoarctia cervini,<br />

nota di pochissimi distretti alpini, dove<br />

vive a quote comprese tra i 2500 e i<br />

3300 m. Anche la notissima Arctia flavia,<br />

a distribuzione boreoalpina, sulle Alpi si<br />

incontra di preferenza sui brecciai<br />

altomontani fino a circa 3000 m di quota.<br />

Tra gli sfingidi, lepidotteri di<br />

ragguardevoli dimensioni, probabilmente<br />

il glareofilo più stretto è Hyles vespertilio,<br />

i cui bruchi si nutrono a spese di<br />

Epilobium. Nell’ambito della vasta<br />

famiglia dei nottuidi, caratteristici<br />

elementi sono le rare Sympistis, eliofile e<br />

presenti sulle Alpi alle più alte quote, ed<br />

Euxoa culminicola, anch’essa presente<br />

sulle Alpi ad elevata altitudine. I ghiaioni<br />

ospitano anche specie del tutto<br />

peculiari, per molte delle quali biologia e<br />

distribuzione sono scarsamente note.<br />

È questo il caso dei geometridi del<br />

genere Elophos, con due specie<br />

accertate per le Alpi italiane (E. caelibaria<br />

e E. zelleraria), le cui femmine presentano<br />

ali più o meno fortemente ridotte. Ma le<br />

specie certamente più caratteristiche dei<br />

ghiaioni sono Sciadia tenebraria e quelle<br />

del genere Glacies, con abitudini diurne e<br />

presenti anche a quote prossime ai 4000<br />

m nella regione alpina. In modo<br />

particolare, G. alticolaria e G. coracina<br />

sono note esclusivamente per poche<br />

località alpine, mentre G. canaliculata<br />

appare distribuita con maggiore<br />

continuità. Abbastanza caratteristiche di<br />

questi habitat sono infine anche alcune<br />

specie alpine di psichidi del genere<br />

Oreopsyche e vari gelechidi, in<br />

particolare del genere Caryocolum.<br />

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112<br />

Stambecco delle Alpi (Capra ibex)<br />

Vertebrati: <strong>parte</strong> tassonomica<br />

■ Anfibi<br />

Tra i pochi anfibi che possono<br />

sopravvivere negli ambienti semirupestri<br />

montani, la salamandra di Lanza<br />

(Salamandra lanzai) e la salamandra<br />

Salamandra alpina (Salamandra atra)<br />

alpina (Salamandra atra) sono le uniche<br />

specie che vi si possono insediare<br />

stabilmente, in virtù dei loro peculiari<br />

adattamenti fisiologici. Queste<br />

salamandre, infatti, riescono a resistere<br />

alle rigide temperature invernali che<br />

persistono a lungo alle alte quote,<br />

trascorrendo numerosi mesi in completa<br />

ibernazione all’interno del suolo, al di<br />

sotto della copertura nevosa. Inoltre, a<br />

differenza dagli altri anfibi, non<br />

necessitano di acque superficiali per<br />

riprodursi e svilupparsi. L’intera fase<br />

larvale viene infatti compiuta in ambiente<br />

intrauterino: gli embrioni ricevono<br />

sostanze nutritive dalla madre e si<br />

accrescono anche a spese di altri<br />

embrioni che sono quindi destinati a non<br />

svilupparsi; al termine di una gestazione<br />

che dura due o tre anni, le femmine<br />

partoriscono dei piccoli individui già<br />

metamorfosati, fino a cinque o sei alla<br />

volta nel caso della salamandra di Lanza,<br />

ma non più di due nel caso della<br />

salamandra alpina. Queste specie<br />

possono così colonizzare anche i<br />

versanti più rocciosi e acclivi, addirittura<br />

sui massicci carsici, dove il ristagno<br />

superficiale di acqua è infrequente. In<br />

assenza di altri urodeli possono quindi<br />

raggiungere densità di centinaia di<br />

individui per ettaro. Mentre la<br />

salamandra di Lanza è confinata a un<br />

ristretto settore delle Alpi Cozie, la<br />

salamandra alpina è invece<br />

maggiormente diffusa e vive in gran<br />

<strong>parte</strong> delle Alpi centro-orientali.<br />

■ Rettili<br />

Lucio Bonato<br />

Pochi sono pure i rettili che si spingono<br />

in questi ambienti, limitati soprattutto<br />

dalle loro necessità termiche.<br />

Spesso, infatti, le rigide condizioni<br />

meteorologiche non consentono loro di<br />

raggiungere una sufficiente temperatura<br />

corporea per muoversi, alimentarsi e<br />

riprodursi. Tuttavia la lucertola vivipara<br />

(Zootoca vivipara), ben diffusa sull’arco<br />

alpino, ha una peculiare tolleranza per il<br />

clima relativamente freddo e umido delle<br />

alte quote. Nonostante queste lucertole<br />

siano tendenzialmente terricole e<br />

frequentino di preferenza i suoli con<br />

buona copertura erbacea, si muovono<br />

anche su falde detritiche e risalgono<br />

superfici rocciose soprattutto per<br />

termoregolarsi e per cercare i piccoli<br />

artropodi di cui si nutrono. La lucertola<br />

vivipara vive infatti fino a quasi 3000 m<br />

di altitudine. A differenza delle<br />

popolazioni ovipare che vivono a quote<br />

inferiori, la maggior <strong>parte</strong> di quelle<br />

montane manifesta una modalità<br />

riproduttiva peculiare: le uova vengono<br />

113


114<br />

Lucertola di Horvath (Iberolacerta horvathi)<br />

trattenute all’interno del corpo materno,<br />

da cui vengono poi partorite piccole<br />

lucertole già attive.<br />

Rispetto alla lucertola vivipara,<br />

la lucertola di Horvath (Iberolacerta<br />

horvathi) ha minore tolleranza per le<br />

basse temperature, ma è ancora più<br />

selettiva nei confronti degli ambienti<br />

rupestri ed è abile nell’arrampicarsi su<br />

superfici acclivi. Questa specie vive<br />

quindi principalmente in una fascia<br />

altitudinale intermedia, ma quasi<br />

esclusivamente su pareti rocciose e<br />

accumuli pietrosi. Il suo areale è<br />

piuttosto circoscritto e ancora poco<br />

conosciuto, con un nucleo principale<br />

che si estende dalle Alpi Carniche verso<br />

est fino a quelle Dinariche.<br />

Lungo la catena Carnica, in particolare,<br />

sembra colonizzare regolarmente i<br />

ghiaioni e le rupi fino a 2000 m di quota.<br />

Su queste superfici caccia<br />

principalmente ragni e insetti.<br />

Lucertole, piccoli passeriformi e arvicole<br />

che frequentano queste superfici<br />

pietrose possono essere preda del<br />

marasso (Vipera berus). Come gli altri<br />

viperidi, questo serpente è strettamente<br />

terricolo e ricerca le sue prede<br />

basandosi sulla sua sensibilità olfattiva e<br />

termica: le avvicina con circospezione, le<br />

morde d’improvviso e le raggiunge in un<br />

secondo tempo, quando il suo veleno ha<br />

fatto effetto.<br />

A differenza di altre vipere, però, il<br />

marasso ha una maggiore tolleranza per<br />

le basse temperature e per escursioni<br />

termiche notevoli tra il dì e la notte. Ha<br />

quindi colonizzato gran <strong>parte</strong> dei territori<br />

temperati e subartici dell’Eurasia, mentre<br />

verso Sud è per lo più limitato ai rilievi<br />

montuosi. In Italia vive esclusivamente<br />

sulle Alpi, solitamente al di sopra dei<br />

1000 m. Qui frequenta spesso le pietraie<br />

più esposte, tra gli arbusteti e le praterie<br />

alpine, che gli consentono un’efficiente<br />

termoregolazione soprattutto durante la<br />

stagione primaverile. Particolarmente<br />

vantaggiosa per sopravvivere al clima<br />

montano è la sua modalità riproduttiva<br />

ovovivipara: gli embrioni non si<br />

sviluppano all’interno di uova deposte<br />

all’esterno, ma vengono trattenuti nel<br />

corpo materno, in un ambiente quindi<br />

più caldo e stabile; ogni due anni, le<br />

femmine partoriscono una decina di<br />

piccoli individui già attivi.<br />

Simile al marasso è la vipera dal corno<br />

(Vipera ammodytes), che manifesta una<br />

Vipera dal corno (Vipera ammodytes)<br />

predilezione ancora più spiccata per i<br />

substrati rocciosi ma che, pur essendo<br />

strettamente montana, non raggiunge<br />

altitudini altrettanto elevate. L’areale di<br />

questa specie è essenzialmente limitato<br />

alla regione balcanica, ma si estende ai<br />

rilievi alpini orientali, raggiungendo verso<br />

Ovest le stazioni più pietrose e aride<br />

della Vallagarina in Trentino.<br />

■ Uccelli<br />

Le pareti rocciose e le altre emergenze<br />

rupestri delle montagne italiane sono<br />

frequentate quasi esclusivamente da<br />

alcune specie di uccelli.<br />

Le nicchie e soprattutto le profonde<br />

fessure che si aprono nei bastioni rocciosi<br />

costituiscono siti di rifugio per il gracchio<br />

alpino (Pyrrhocorax graculus) e per il<br />

gracchio corallino (Pyrrhocorax<br />

pyrrhocorax). Gruppi di decine o anche<br />

centinaia di individui vi si rifugiano<br />

soprattutto durante l’inverno, mentre<br />

singole coppie o colonie vi nidificano<br />

durante la stagione estiva. Il piumaggio<br />

completamente nero di questi uccelli<br />

contrasta con la pelle rossa delle loro esili<br />

zampe e con il colore del becco.<br />

Quest’ultimo, sottile e allungato, è<br />

nettamente giallo e piuttosto corto nel<br />

gracchio alpino, mentre è vivacemente<br />

rosso e lungamente ricurvo nel gracchio<br />

corallino. La livrea scura contrasta ancora<br />

di più con il colore solitamente chiaro<br />

Gracchio alpino (Pyrrhocorax graculus)<br />

delle rocce affioranti e con la neve che<br />

ricopre a lungo le superfici dove questi<br />

uccelli si alimentano. I gracchi cercano<br />

infatti il cibo su terreni erbosi, solo<br />

parzialmente rocciosi, e quindi sugli alti<br />

pascoli e sui terrazzi dove si sia<br />

sviluppata una minima copertura di suolo:<br />

spostandosi a terra, rigirano sassi e<br />

sondano il terreno con il loro becco,<br />

raccogliendo insetti e altri artropodi<br />

nascosti. Volano spesso in gruppi anche<br />

numerosi, vociferi, per mantenersi in<br />

contatto, lanciando fischi e sibili più o<br />

meno squillanti che spesso vengono<br />

amplificati dall’eco che rimbalza sulle<br />

pareti e i costoni rocciosi. Sono animali<br />

piuttosto familiari agli escursionisti e alle<br />

altre persone che frequentano l’alta<br />

montagna, poiché spesso si avvicinano a<br />

malghe e rifugi montani per sfruttare il<br />

cibo abbandonato dall’uomo. In Italia<br />

entrambe le specie sono strettamente<br />

limitate ai territori più elevati dei massicci<br />

alpini e appenninici, nidificando<br />

raramente al di sotto dei 1500 m di quota<br />

115


116<br />

e spingendosi ad alimentarsi anche nelle<br />

zone nivali. Mentre il gracchio alpino è<br />

ampiamente diffuso e piuttosto comune<br />

su tutto l’arco delle Alpi, il gracchio<br />

corallino è attualmente ristretto al solo<br />

settore occidentale, dopo essersi estinto<br />

dal resto della catena. Le due specie<br />

convivono anche lungo l’Appennino, ma<br />

solo il gracchio corallino vive anche nella<br />

<strong>parte</strong> meridionale della penisola italiana,<br />

in Sicilia e in Sardegna.<br />

Anfratti e cavità sulle rupi montane<br />

vengono spesso utilizzate per nidificare<br />

anche dal corvo imperiale (Corvus corax),<br />

diffuso sia sull’intero arco alpino sia sui<br />

rilievi montuosi della penisola e delle<br />

isole. In realtà si tratta di una specie<br />

opportunista e generalista<br />

nell’alimentazione e nella scelta dei siti<br />

riproduttivi. Nell’ambito del suo ampio<br />

areale, che comprende la maggior <strong>parte</strong><br />

dell’America settentrionale e dell’Eurasia,<br />

frequenta ambienti molto vari, non solo<br />

quelli rocciosi montani, e può costruire il<br />

nido anche sugli alberi. Nell’Italia<br />

Corvo imperiale (Corvus corax)<br />

settentrionale, comunque, probabilmente<br />

a causa del disturbo antropico, è<br />

attualmente relegato sulle pareti rocciose<br />

meno accessibili, ma verso Sud è<br />

frequente anche a bassa quota e<br />

colonizza pure le falesie sul mare.<br />

Piumaggio completante nero e lucido, ali<br />

ampie, becco robusto e coda cuneata: il<br />

suo aspetto è possente e il suo volo è<br />

solitamente accompagnato dalla voce<br />

cavernosa e, a breve distanza, dal rumore<br />

delle ali che fendono l’aria. Depone le<br />

uova già a febbraio, quando il territorio<br />

circostante è spesso ancora innevato. Il<br />

nido è grande e ha struttura complessa:<br />

una piattaforma di più di un metro di<br />

diametro, costituita da robusti rami<br />

intrecciati, viene coperta da materiale<br />

vegetale più fine ed è superiormente<br />

foderata di terra, muschio e altro<br />

materiale morbido. Si alimenta al suolo,<br />

anche lontano dai siti rupestri, cacciando<br />

genericamente piccoli animali, ma<br />

raccogliendo anche materiale vegetale e<br />

rifiuti organici di varia origine.<br />

Rondine montana (Ptyonoprogne rupestris) Gheppio (Falco tinnunculus)<br />

Sulle pareti meglio esposte e meno<br />

ventose può riprodursi anche la rondine<br />

montana (Ptyonoprogne rupestris).<br />

È una specie legata a condizioni<br />

climatiche temperate, anche<br />

relativamente calde e secche, ma che si è<br />

insediata diffusamente negli ambienti<br />

rocciosi montani della fascia prealpina e<br />

della dorsale appenninica. Negli ultimi<br />

decenni nell’Italia settentrionale si è<br />

assistito anche a una sua espansione<br />

negli ambienti urbani, dove edifici, ponti e<br />

altre opere in muratura offrono condizioni<br />

simili agli ambienti riproduttivi originari. Il<br />

suo nido è una coppa semisferica,<br />

interamente costituito di materiale<br />

argilloso che viene raccolto, trasportato e<br />

modellato con il becco minuto; viene<br />

costruito sotto a balze e sporgenze, in<br />

corrispondenza di piccoli anfratti su<br />

superfici nude pressoché verticali.<br />

Piccola, slanciata, con ali appuntite, la<br />

rondine montana è estremamente abile<br />

nella sua attività aerea: planate sicure,<br />

accelerate e virate acrobatiche le<br />

consentono di sfrecciare sfiorando pareti<br />

rocciose o muri, sorprendendo gli insetti<br />

che vi si trovano e catturandoli al volo.<br />

Cenge e nicchie offrono siti inaccessibili e<br />

indisturbati anche per la riproduzione di<br />

alcune specie di falchi. I più diffusi sui<br />

rilievi italiani sono il gheppio (Falco<br />

tinnunculus) e il falco pellegrino (Falco<br />

peregrinus). Non costruiscono nidi, ma<br />

depongono le uova direttamente sulla<br />

superficie rocciosa o sullo scarso detrito<br />

sabbioso che si accumula in qualche sito<br />

riparato; talvolta utilizzano nidi in disuso,<br />

precedentemente costruiti da corvidi o<br />

altri uccelli. Sono predatori dotati di<br />

notevole manovrabilità in aria e cacciano<br />

sopra territori per lo più aperti, sfruttando<br />

la loro vista acuta. Il gheppio, più piccolo<br />

e snello e dal profilo alare più falcato,<br />

perlustra solitamente la superficie<br />

dall’alto, a parecchi metri d’altezza,<br />

fermandosi spesso in volo librato per poi<br />

atterrare velocemente su animali che si<br />

muovono al suolo, come grossi insetti o<br />

piccoli roditori. Il falco pellegrino, invece,<br />

più robusto, con becco e artigli più<br />

potenti e con ali più larghe e appuntite,<br />

caccia più spesso uccelli in volo,<br />

inseguendoli o sorprendendoli grazie a<br />

notevoli accelerazioni e a veloci picchiate<br />

ad ali chiuse su traiettorie inclinate.<br />

Mentre il gheppio nidifica diffusamente<br />

dal piano fino a 2000 m di quota e oltre,<br />

frequentando regolarmente gli ambienti<br />

prativi circostanti alle pareti montane, il<br />

117


118<br />

Il picchio muraiolo Lucio Bonato<br />

Inusuale per aspetto e abitudini, il picchio<br />

muraiolo (Tichodroma muraria) è di<br />

certo, tra i vertebrati, la specie più specializzata<br />

per vivere sulle pareti rupestri<br />

d’alta montagna. Le zampe robuste,<br />

con dita e unghie piuttosto lunghe, gli<br />

permettono di muoversi su superfici<br />

verticali o addirittura aggettanti, risalendole<br />

a piccoli saltelli, con sicurezza di<br />

presa e agilità. Assieme alle ali corte e<br />

proporzionalmente larghe e alla coda<br />

tozza, esse gli consentono inoltre di<br />

spiccare il volo velocemente e di atterrare<br />

con sicurezza, spostandosi tra le<br />

rupi con volo deciso e sfarfallante.<br />

Sulle pareti rocciose trova il suo cibo,<br />

insetti e aracnidi che frequentano regolarmente<br />

queste superfici o vi si trovano<br />

occasionalmente. Il picchio muraiolo si<br />

muove infatti sulle pareti, esplorandone<br />

i piccoli anfratti, gli alveoli di dissoluzione<br />

e le intercapedini di frattura, o anche<br />

i rari e minuti accumuli di terriccio e le<br />

fronde delle erbe rupicole che vi si<br />

ancorano. Il suo becco lungo e sottile,<br />

leggermente ricurvo, riesce a sondare<br />

in profondità anche anfratti molto stretti<br />

e la sua lingua sottile e bifida riesce a<br />

estrarre i piccoli invertebrati che vi si<br />

rifugiano. Agile e acrobatico, riesce<br />

anche a catturare al volo gli insetti che,<br />

disturbati, cercano di allontanarsi.<br />

Aggrappato a piccole scabrosità, quando<br />

tiene le ali a riposo il picchio muraiolo<br />

appare come una piccola sporgenza<br />

color cenere tra le fratture o le placche<br />

sporgenti delle rocce, poco visibile ai<br />

rapaci predatori che volteggiano tra le<br />

stesse pareti. Ma la nuda roccia è<br />

anche uno sfondo su cui comunicare<br />

con lampi di colore: durante le arrampicate<br />

a saltelli, il picchio muraiolo dispiega<br />

parzialmente le ali in modo repentino,<br />

per una frazione di secondo, sventagliando<br />

le penne remiganti primarie.<br />

L’effetto ottico è quello di un flash rosso<br />

carminio e di una rapida apparizione di<br />

un disegno contrastato bianco e nero.<br />

In volo i segnali cromatici sono ancora<br />

più evidenti, in quanto le macchie rosse<br />

e il mosaico chiaro e scuro delle ali<br />

sono completamente esposti. Inoltre,<br />

durante la stagione riproduttiva, che<br />

corrisponde alla tiepida primavera<br />

montana, i maschi acquistano un cupo<br />

colore nero sulla gola, che viene ostentato<br />

davanti alle femmine alzando il<br />

capo e puntando il becco verso l’alto.<br />

Anche la riproduzione avviene su queste<br />

stesse rupi. All’interno del territorio<br />

difeso da ogni coppia, che può coincidere<br />

con un’ampia parete o con un<br />

sistema di emergenze rocciose meno<br />

estese, maschio e femmina scelgono<br />

una fessura ben protetta dai predatori,<br />

dove costruire il nido. Tipici sono i voli<br />

circolari che il maschio esegue per indicare<br />

il sito di nidificazione prescelto,<br />

spesso accompagnati da lunghi sibili<br />

nasali. È la femmina a preparare il nido,<br />

intessendo ciuffi di muschio e fili d’erba,<br />

e approntando spesso due diversi<br />

sbocchi, uno usato per entrare e l’altro<br />

per uscire. Dopo una ventina di giorni di<br />

cova e quasi un mese di svezzamento,<br />

quattro o cinque piccoli faranno capolino,<br />

allungando il loro capo all’esterno,<br />

sospesi sul loro mondo verticale.<br />

falco pellegrino è meno abbondante ed è<br />

una presenza più tipica delle emergenze<br />

rupestri della fascia prealpina e degli<br />

avamposti appenninici dal piano collinare<br />

fino a circa 1500 m di quota. Entrambe le<br />

specie, comunque, non sono esclusive<br />

degli ambienti montani, ma colonizzano<br />

anche siti rocciosi simili nei territori<br />

collinari, falesie costiere e anche edifici e<br />

costruzioni in muratura in ambienti urbani<br />

o comunque antropizzati.<br />

Strettamente montana è invece l’aquila<br />

reale (Aquila chrysaetos), predatore con<br />

un rilevante ruolo ecologico in ambienti<br />

prativi e rupestri sommitali. Più di due<br />

metri di apertura alare, capo e collo<br />

robusti e becco uncinato, l’aquila reale<br />

perlustra in planata i terreni ondulati delle<br />

praterie rocciose d’alta quota per<br />

sorprendere lepri, marmotte e uccelli. Le<br />

gole e i torrioni che si sviluppano in questi<br />

paesaggi le offrono siti ben protetti per<br />

costruire il nido. Quest’ultimo è una<br />

piattaforma di rami intrecciati, ampia e<br />

spesso anche alta, dove ogni anno<br />

vengono deposte solitamente due uova e,<br />

di regola, viene svezzato un solo piccolo.<br />

Sulle stesse rupi inaccessibili potrebbe<br />

nidificare anche il gipeto (Gypaetus<br />

barbatus), un grande avvoltoio che<br />

raggiunge una lunghezza di un metro e<br />

copre tre metri di larghezza ad ali<br />

spiegate. In età adulta, il suo aspetto è<br />

molto singolare, poiché sul capo fulvo<br />

spicca una fascia di setole nere che<br />

scendono sotto il mento a formare una<br />

coppia di ciuffi. Con basse planate<br />

perlustra praterie e versanti semirocciosi<br />

per individuare carcasse, soprattutto di<br />

ovini e caprini, mentre solo raramente<br />

caccia animali vivi. Riesce a rompere le<br />

ossa facendole cadere dall’alto su<br />

un’incudine rocciosa, per poi estrarne il<br />

midollo con la lingua. Distribuito sulle<br />

catene montuose attorno al bacino del<br />

Mediterraneo, nei secoli scorsi il gipeto<br />

era diffuso anche sulle montagne italiane.<br />

Tuttavia la persecuzione diretta e la<br />

riduzione delle risorse alimentari, dovuta<br />

al declino dell’allevamento brado e della<br />

pastorizia montana, ne hanno segnato<br />

una graduale estinzione: è sopravvissuto<br />

sull’Appennino almeno fino al XVI secolo,<br />

in Sicilia si è estinto alla metà<br />

dell’Ottocento, sulle Alpi è gradualmente<br />

scomparso da Est verso Ovest fino<br />

all’uccisione degli ultimi individui ai primi<br />

del Novecento, mentre in Sardegna le<br />

ultime coppie erano ancora presenti negli<br />

anni Sessanta. Recenti iniziative di<br />

reintroduzione avviate sull’arco alpino,<br />

comunque, sembrano avere esito<br />

positivo, ma i tempi di ripresa delle<br />

popolazioni sono piuttosto lunghi: il ciclo<br />

vitale è relativamente lento, in quanto la<br />

maturità sessuale viene raggiunta dopo<br />

diversi anni, e il tasso riproduttivo è<br />

estremamente basso, poiché ogni coppia<br />

depone un solo uovo all’anno.<br />

Tra i vertebrati, comunque, la specie di<br />

gran lunga più specializzata per vivere,<br />

riprodursi e alimentarsi sulle pareti<br />

rocciose è sicuramente il picchio muraiolo<br />

(Tichodroma muraria). A differenza di<br />

quanto suggerisce il suo nome italiano, è<br />

un passeriforme che condivide con i<br />

picchi solo una notevole abilità<br />

nell’arrampicarsi su superfici verticali.<br />

Sulle rupi ricerca il cibo, risalendole ed<br />

esplorandole alla ricerca di piccoli<br />

artropodi, e sempre sulle rupi si riproduce<br />

e si rifugia. Durante l’estate frequenta le<br />

più alte pareti rocciose montane<br />

dell’intero arco alpino e dell’Appennino<br />

settentrionale e centrale, di preferenza<br />

quelle calcaree e dolomitiche, anche fino<br />

a 3000 m di quota, nidificando nei punti<br />

più protetti dai venti e meno accessibili ai<br />

predatori. In inverno, invece, quando in<br />

alta montagna le condizioni<br />

meteorologiche diventano difficili e le<br />

prede non sono più disponibili, il picchio<br />

muraiolo si porta a quote più basse, con<br />

brevi migrazioni essenzialmente<br />

119


120<br />

altitudinali. Sverna quindi nelle zone<br />

collinari prealpine e in quelle marginali<br />

della dorsale appenninica, ma anche nelle<br />

pianure, fino al livello del mare; frequenta<br />

comunque ambienti rupestri simili,<br />

preferendo quelli esposti a meridione e<br />

quindi più assolati e più ricchi di<br />

artropodi, siano essi pareti rocciose<br />

naturali, fronti di cave o mura di edifici.<br />

Altri uccelli insettivori frequentano invece<br />

macereti e i ghiaioni montani, dove<br />

trovano cibo tra massi e nicchie erbose<br />

durante i mesi più caldi. Tra questi, il<br />

codirosso spazzacamino (Phoenicurus<br />

ochruros), il culbianco (Oenanthe<br />

Culbianco (Oenanthe oenanthe)<br />

oenanthe) e il sordone (Prunella collaris) si<br />

trovano spesso assieme frequentando le<br />

stesse aree pietrose dove si alimentano e<br />

nidificano. Simili per ecologia, dimensioni<br />

e struttura corporea generale, si<br />

distinguono invece, oltre che per la<br />

specificità delle loro vocalizzazioni, per la<br />

colorazione del piumaggio: capo e tronco<br />

piuttosto uniformi e scuri ma timoniere<br />

ruggini nel codirosso spazzacamino,<br />

disegni contrastati bianchi e neri sul capo<br />

e sulla coda nel culbianco, livrea<br />

prevalentemente grigia ma con fianchi<br />

screziati di rosso mattone nel sordone.<br />

Nella stagione estiva queste specie sono<br />

diffusamente presenti lungo l’intero arco<br />

alpino; lungo la dorsale appenninica,<br />

invece, il sordone è limitato al settore<br />

centro-settentrionale, mentre il codirosso<br />

spazzacamino e ancor più il culbianco<br />

colonizzano l’intera penisola e anche i<br />

rilievi delle isole maggiori. Agili sulle loro<br />

esili zampe, saltellano e si muovono sul<br />

terreno e sopra i sassi, cercando le loro<br />

prede a vista, raggiungendole con rapide<br />

accelerazioni e catturandole con il loro<br />

becco sottile. Soprattutto il codirosso<br />

spazzacamino e il culbianco talvolta<br />

sostano in attesa su speroni rocciosi e<br />

altri punti emergenti, scrutando i dintorni<br />

e calandosi a terra sulle prede. In questi<br />

paesaggi scoperti ma irregolari, si<br />

spostano con voli corti e bassi, sostando<br />

sui punti più emergenti per controllare a<br />

vista i dintorni, ma in caso di pericolo si<br />

possono anche nascondere rapidamente<br />

tra gli anfratti dei massi emergenti. In tali<br />

condizioni, i segnali cromatici giocano un<br />

ruolo importante nella comunicazione:<br />

durante i voli bassi, ben evidente è il<br />

colore ruggine sulla coda del codirosso<br />

spazzacamino, così come il disegno<br />

contrastato bianco e nero su quella del<br />

culbianco. Durante la stagione<br />

riproduttiva i maschi marcano i loro<br />

territori con strofe canore brevi ma<br />

elaborate, emesse dalla cima di massi o<br />

speroni rocciosi, che possono essere<br />

anche molto elevati nel caso del<br />

codirosso spazzacamino. I nidi, costruiti<br />

con fili d’erba e muschio e rifiniti<br />

all’interno con peli e piume, vengono<br />

sistemati a terra, in anfratti ben protetti tra<br />

le rocce oppure in nicchie che si aprono<br />

sulle pareti. Al di fuori della stagione<br />

estiva, quando le risorse alimentari<br />

vengono a mancare in questi ambienti, gli<br />

uccelli scendono a quote più basse: il<br />

sordone rimane spesso nell’ambito delle<br />

stesse regioni alpine e appenniniche, ma<br />

si porta in siti rupestri ben esposti a<br />

mezzogiorno, in territori montuosi o<br />

collinari; il codirosso spazzacamino<br />

scende fino alle pianure e alle coste della<br />

penisola italiana e si stabilisce anche<br />

nelle campagne coltivate e presso gli<br />

insediamenti umani; il culbianco, invece,<br />

intraprende una notevole migrazione che<br />

lo porta a svernare nell’Africa<br />

subsahariana.<br />

Anche il fringuello alpino (Montifringilla<br />

nivalis) condivide con queste specie gli<br />

ambienti rupestri nelle zone sommitali,<br />

ma vi permane tutto l’anno. È una specie<br />

di passero che vive lungo le principali<br />

catene montuose, dall’Europa<br />

meridionale alla regione himalayana. In<br />

Italia è più diffuso lungo l’arco alpino, ma<br />

alcune popolazioni vivono anche<br />

sull’Appennino centrale. Un piumaggio<br />

contrastato bianco e nero è comune agli<br />

adulti di entrambi i sessi e viene<br />

mantenuto durante l’intero ciclo annuale.<br />

I fringuelli alpini possono raccogliere<br />

semi e artropodi zampettando a terra<br />

sulle praterie d’alta quota, ma soprattutto<br />

d’inverno, quando l’estesa copertura<br />

nevosa limita fortemente la disponibilità<br />

alimentare di questi territori, manifestano<br />

un comportamento opportunista e<br />

commensale nei confronti di<br />

escursionisti e sciatori, avvicinandosi ai<br />

rifugi alpinistici, agli impianti sciistici e<br />

ad altre strutture costruite dall’uomo in<br />

alta montagna.<br />

Gli stessi ambienti pietrosi che costellano<br />

le zone sommitali delle Alpi sono<br />

frequentati dalla pernice bianca (Lagopus<br />

mutus), sicuramente il tetraonide più<br />

specializzato per vivere nella tundra<br />

alpina. Questo uccello prettamente<br />

terricolo vive tutto l’anno ai margini dei<br />

ghiaioni e tra i macereti tappezzati di<br />

arbusti nani e di cuscini erbosi, lungo<br />

Pernice bianca (Lagopus mutus), con la tipica<br />

livrea estiva<br />

l’intero arco alpino, di solito al di sopra<br />

dei 2000 m di quota, ma non di rado<br />

anche oltre i 3000 m. D’inverno, lo<br />

spesso strato di neve che ricopre questi<br />

terreni realizza uno sfondo uniforme su<br />

cui le pernici bianche si muovono,<br />

mimetiche nel loro tipico piumaggio<br />

candido: solo le timoniere esterne della<br />

coda fanno eccezione, ma sono visibili<br />

esclusivamente durante i voli di fuga; nei<br />

maschi, inoltre, una sottile banda nera<br />

attraversa gli occhi. Si muovono a gruppi,<br />

zampettando sulla superficie del manto<br />

nevoso, evitando di sprofondare grazie<br />

alle robuste penne che ricoprono le dita e<br />

i tarsi. Nello spessore di questa copertura<br />

ghiacciata scavano pure i loro rifugi, per<br />

riposare o per ripararsi da condizioni<br />

meteorologiche avverse. Nella breve<br />

estate alpina, invece, quando lo<br />

scioglimento della neve scopre il mosaico<br />

di rocce e macchie vegetali, le pernici<br />

bianche assumono una livrea<br />

tendenzialmente scura, finemente<br />

macchiettata di bruno e nero, altrettanto<br />

mimetica in questo nuovo paesaggio<br />

stagionale. È in questo periodo che le<br />

femmine depongono e covano le uova,<br />

pure maculate e mimetiche, in una<br />

semplice depressione sul terreno.<br />

121


122<br />

Croda Cimoliana (Prealpi Carniche, Friuli Venezia Giulia)<br />

Mammiferi<br />

Il camoscio delle Alpi (Rupicapra<br />

rupicapra) e il camoscio appenninico<br />

(Rupicapra pyrenaica ornata) sono tra i<br />

mammiferi più grandi che frequentano<br />

regolarmente le falde detritiche che<br />

bordano le pareti rocciose. Questi<br />

ungulati sono in grado di risalire<br />

agilmente e anche velocemente queste<br />

pietraie instabili e acclivi, per raggiungere<br />

pascoli indisturbati e per sfuggire alla<br />

presenza dell’uomo e, quando presenti,<br />

dei predatori. Questo grazie alle notevoli<br />

prestazioni dei loro arti: i tendini robusti e<br />

le articolazioni resistenti possono<br />

sopportare notevoli tensioni e torsioni,<br />

mentre gli zoccoli duri e appuntiti e i<br />

cuscinetti plastici e divaricabili<br />

garantiscono una presa sicura su sassi<br />

instabili, rocce scivolose o depositi di<br />

ghiaccio. Inoltre, organi interni come il<br />

cuore e i polmoni sono particolarmente<br />

sviluppati per consentire corse<br />

sostenute. I camosci vivono dalle foreste<br />

Camoscio appenninico (Rupicapra pyrenaica ornata)<br />

anche continue dei versanti mediomontani<br />

agli ambienti arbustivi e rupestri<br />

al di sopra del limite della vegetazione<br />

arborea, fino ai piccoli lembi di prateria<br />

presenti tra le balze rocciose più elevate.<br />

È in estate che raggiungono le altitudini<br />

maggiori, mentre in inverno<br />

l’innevamento li costringe ad abbassarsi<br />

di quota. Attualmente il camoscio delle<br />

Alpi è ben diffuso lungo tutto l’arco<br />

alpino italiano, dalle Alpi Marittime alle<br />

Giulie, mentre il camoscio appenninico<br />

vive sui principali sistemi montuosi<br />

abruzzesi e in particolare sul gruppo<br />

della Camosciara, su quello della Meta,<br />

sul massiccio della Majella e sul Gran<br />

Sasso. Le popolazioni italiane delle due<br />

specie sono per lo più in incremento,<br />

anche grazie a recenti iniziative di tutela,<br />

di ripopolamento e di reintroduzione, in<br />

territori comunque spesso privi di<br />

predatori naturali. Fino a qualche<br />

decennio fa, invece, il loro stato di<br />

conservazione in Italia era alquanto<br />

preoccupante, in particolare per il<br />

123


124<br />

camoscio appenninico, a seguito di una<br />

contrazione di areale imputabile<br />

principalmente alla caccia. Nel passato,<br />

infatti, il camoscio appenninico, che<br />

probabilmente ha colonizzato la penisola<br />

italiana durante la penultima glaciazione,<br />

era diffuso almeno dai monti Sibillini al<br />

Pollino; il camoscio delle Alpi, invece,<br />

giunto dall’Europa orientale durante<br />

l’ultima glaciazione, si era diffuso su tutte<br />

le Alpi e nella <strong>parte</strong> più settentrionale<br />

degli Appennini.<br />

Ancor più drammatica è stata la<br />

contrazione demografica dello<br />

stambecco delle Alpi (Capra ibex),<br />

avvenuta negli ultimi secoli. In epoca<br />

storica questo ungulato era ancora<br />

abbondante su gran <strong>parte</strong> dell’arco<br />

alpino, dopo che la naturale mitigazione<br />

climatica seguita all’acme glaciale<br />

würmiano ne aveva determinato la<br />

scomparsa da altri territori europei.<br />

Secoli di caccia intensa ne hanno però<br />

determinato la quasi totale estinzione:<br />

nella seconda metà dell’Ottocento ne<br />

Lepre bianca (Lepus timidus) in abito estivo<br />

sopravviveva solo un centinaio di<br />

individui sul massiccio del Gran<br />

Paradiso, nelle Alpi Graie. L’istituzione di<br />

una Riserva Reale di caccia e<br />

successivamente di un Parco Nazionale<br />

ne hanno comunque consentito la<br />

sopravvivenza e nel Novecento ripetute<br />

reintroduzioni hanno ricostituito<br />

numerose popolazioni su tutto l’arco<br />

alpino. Specializzato a vivere negli<br />

ambienti alpini al di sopra del limite della<br />

vegetazione arborea e arbustiva, lo<br />

stambecco delle Alpi è capace di<br />

arrampicarsi agilmente su superfici<br />

rocciose scoscese e scivolose. Durante<br />

la breve estate raggiunge le povere<br />

praterie discontinue che si sviluppano<br />

anche al di sopra dei 3000 m, mentre<br />

d’inverno l’innevamento lo costringe a<br />

portarsi più in basso, attorno ai 1500-<br />

2000 m, sui versanti a migliore<br />

esposizione.<br />

Tra gli altri erbivori che si sono adattati a<br />

sfruttare la produttività stagionale delle<br />

praterie alpine e subnivali per la loro<br />

alimentazione, la lepre bianca (Lepus<br />

timidus) è una presenza diffusa negli<br />

ambienti alto-montani delle Alpi, anche<br />

ben al di sopra dei 2000 m di quota.<br />

Colonizza comunque regolarmente pure<br />

gli arbusteti e i boschi radi che si<br />

sviluppano a quote minori. I suoi incisivi<br />

a crescita continua e a forma di<br />

scalpello, più arcuati rispetto a quelli di<br />

altre lepri, le permettono di rodere radici,<br />

fusti di arbusti e steli fibrosi di<br />

graminacee. Come le altre lepri, ha le<br />

zampe posteriori adatte a una fuga<br />

veloce a balzi, per sfuggire ai predatori<br />

che frequentano i suoi pascoli.<br />

I padiglioni delle orecchie sono<br />

proporzionalmente più corti rispetto a<br />

quelli di altre lepri, in relazione alle<br />

temperature e ai venti freddi che deve<br />

sopportare alle quote alpine. Il regolare<br />

ed esteso innevamento stagionale ne ha<br />

inoltre selezionato il peculiare<br />

cambiamento ciclico della pelliccia, che<br />

durante i mesi invernali è completamente<br />

candida e quindi mimetica sulla neve.<br />

Ermellino (Mustela erminea) in abito estivo<br />

Analogo è il mimetismo cromatico<br />

stagionale dell’ermellino (Mustela<br />

erminea), un mammifero carnivoro ben<br />

adattato a muoversi e a cacciare tra<br />

massi e pietre. Muso appuntito, collo<br />

allungato, tronco snello e flessibile,<br />

zampe corte e agili, questo mustelide si<br />

arrampica agilmente sulle rocce, tende<br />

agguati a uccelli e piccoli mammiferi ed è<br />

in grado di catturarli accelerando in<br />

potenti balzi. Le popolazioni alpine, così<br />

come quelle delle estreme latitudini<br />

artiche, mutano il loro mantello estivo<br />

bruno rossiccio in una livrea invernale<br />

completamente candida, che termina<br />

tipicamente con un ciuffo di peli neri sulla<br />

punta della coda.<br />

L’arvicola delle nevi (Chionomys nivalis) è<br />

tra le prede più frequenti dell’ermellino.<br />

Questo piccolo roditore dalla pelliccia<br />

grigia colonizza prevalentemente i<br />

ghiaioni e i macereti più stabilizzati delle<br />

Alpi e degli Appennini. Si rifugia e si<br />

muove nel sottosuolo, sfruttando il<br />

complesso sistema di anfratti presenti<br />

125


126<br />

Marmotta (Marmota marmota)<br />

Arvicola delle nevi (Chionomys nivalis)<br />

all’interno dei depositi clastici, ma esce in<br />

superficie anche durante il dì, per<br />

raccogliere erbe e altre piante arbustive di<br />

cui si nutre e per scaldarsi sopra le<br />

superfici rocciose esposte al sole. Tra le<br />

numerose specie di arvicole<br />

euroasiatiche, è certamente la più<br />

adattata agli ambienti rocciosi e<br />

microtermi delle alte quote e può<br />

spingersi anche alle massime altitudini<br />

raggiunte dalle cime alpine, fino a 4000 m<br />

sul monte Bianco. Ben diffusa durante<br />

l’ultimo periodo glaciale lungo la penisola<br />

italiana anche a basse quote, l’arvicola<br />

delle nevi è oggi confinata sulle Alpi alle<br />

zone sommitali, ma ne persistono<br />

popolazioni relitte anche lungo<br />

l’Appennino.<br />

Un altro roditore che conduce una vita<br />

parzialmente sotterranea, ma che ha<br />

dimensioni corporee ben maggiori, è la<br />

marmotta (Marmota marmota). I cordoni<br />

morenici, più o meno stabilizzati, che<br />

cingono i circhi glaciali delle Alpi offrono<br />

condizioni ottimali all’insediamento delle<br />

colonie di questi animali. Mentre le<br />

macchie di cotica erbosa sono i loro<br />

terreni di foraggiamento, i massi erratici e<br />

le rocce emergenti costituiscono<br />

coperture favorevoli per gli sbocchi dei<br />

Toporagno alpino (Sorex alpinus)<br />

loro tunnel sotterranei; sono inoltre punti<br />

preferenziali dove le marmotte possono<br />

scaldarsi al sole e, allo stesso tempo,<br />

stare di vedetta controllando a vista il<br />

territorio circostante. Al sopraggiungere di<br />

un potenziale predatore o, comunque, al<br />

manifestarsi di un possibile pericolo,<br />

lanciano i loro penetranti e riecheggianti<br />

fischi d’allarme quindi, balzando<br />

agilmente tra le pietre, possono rifugiarsi<br />

nei loro cunicoli sotterranei.<br />

Gli interstizi più ristretti che permangono<br />

all’interno degli accumuli detritici offrono<br />

invece rifugio e vie di spostamento al<br />

toporagno alpino (Sorex alpinus). Tra gli<br />

insettivori, questa è la specie che può<br />

raggiungere le maggiori altitudini, anche<br />

se non è limitata agli ambienti scoperti al<br />

di sopra del limite della vegetazione<br />

arborea, ma può scendere a quote<br />

inferiori sui suoli rocciosi di vallette umide<br />

e boscose. I toporagni alpini si muovono<br />

in superficie principalmente di notte, per<br />

ricercare artropodi e altri invertebrati<br />

terricoli che riescono a individuare grazie<br />

alla notevole sensibilità tattile del loro<br />

muso. In Italia nord-orientale il toporagno<br />

alpino si spinge quasi sino all’alta<br />

pianura, scendendo a 160 m di quota<br />

(Cornino, Friuli Venezia Giulia).<br />

127


Aspetti di conservazione e gestione<br />

PAOLO AUDISIO · LUCIO BONATO · MARCELLO TOMASELLI<br />

■ Minacce<br />

Per molti aspetti le rupi e i ghiaioni<br />

montani sono tra gli habitat meglio<br />

conservati e meno minacciati nel panorama<br />

della diversità ambientale italiana.<br />

La loro natura scoscesa e aspra, l’intrinseca<br />

instabilità geomorfologica e le<br />

difficili condizioni climatiche ne hanno<br />

reso da sempre difficoltosi e rischiosi<br />

l’accesso e la frequentazione. Nei<br />

secoli passati, quindi, la presenza e<br />

Baita protetta alla base di un cono detritico<br />

(Val Grosina, Lombardia)<br />

l’intervento umano in questi territori rupestri sono sempre stati alquanto limitati,<br />

spesso solo stagionali se non addirittura occasionali, soprattutto per esigenze<br />

di caccia, per lo sfruttamento di risorse minerali o per il semplice transito<br />

lungo itinerari commerciali. Anche le vie di comunicazione, infatti, hanno solitamente<br />

evitato questi siti, sviluppandosi piuttosto lungo i fondivalle e sfruttando<br />

le selle più dolci; in tempi moderni, invece, strade e ferrovie hanno spesso inciso<br />

gli stessi massicci rocciosi mediante trafori, oppure li hanno superati con<br />

viadotti. Solo localmente e temporaneamente questi ambienti hanno ospitato<br />

insediamenti umani. Inoltre, l’assenza di un vero suolo e l’estrema permeabilità<br />

dei substrati detritici hanno reso impraticabile ogni forma di agricoltura. Scarsa<br />

è stata anche la vocazione selvicolturale di questi terreni, che non riescono di<br />

norma a sostenere una vegetazione arborea più consistente di rade laricete e<br />

boscaglie discontinue di pini mughi od ontani. Anche la pastorizia, per quanto<br />

molto sviluppata nel passato nei territori montani, poteva trovare sui terreni rocciosi<br />

e scoscesi solo magri pascoli discontinui. Invece, localmente, gli affioramenti<br />

rocciosi e le falde detritiche hanno talvolta alimentato attività estrattive,<br />

per materiali lapidei di vario utilizzo e per minerali di interesse industriale.<br />

Tuttavia, nonostante lo stato di conservazione generalmente buono che hanno<br />

ereditato, in tempi recenti le rupi e i ghiaioni montani sono stati interessati da<br />

nuove minacce, connesse a moderne attività umane che tendono a intaccarne<br />

soprattutto la qualità paesaggistica, ma che possono interferire anche con le<br />

naturali dinamiche fisiche e con le biocenosi.<br />

Ghiaione carbonatico alla base del massiccio del Monte Coglians (Alpi Carniche, Friuli Venezia Giulia)<br />

129


130 Arrampicata sportiva, alpinismo e altre attività ricreative. Una minaccia<br />

le: tutte queste azioni determinano nel<br />

particolarmente pesante deriva dalla frequentazione sempre più intensa delle<br />

pareti rocciose per motivi ricreativi e sportivi. L’arrampicata sportiva, l’alpinismo<br />

e le forme di trekking più impegnativo, quali quelle che si sviluppano<br />

su vie ferrate, si stanno sempre più diffondendo sulle montagne italiane e<br />

in contesti locali hanno anche assunto connotati di fenomeno di massa. I<br />

territori rocciosi più impervi, inoltre, sono talvolta scelti come quinte ideali<br />

per il volo con parapendio e le balze più esposte sono spesso utilizzate<br />

come favorevoli siti di lancio. La frequentazione di pareti rocciose per finalità<br />

sportive e ricreative si sta intensificando anche in siti collinari e medio montani,<br />

solitamente meno estesi, ma spesso di maggior valore naturalistico<br />

rispetto a quelli d’alta quota e proprio per questo più sensibili. Queste attività,<br />

quando svolte in modo intenso e non regolamentato come spesso<br />

accade, possono non solo disturbare la vita animale presente in questi<br />

ambienti, ma anche alterare diffusamente le superfici rupestri.<br />

La frequentazione ripetuta delle cosiddette “palestre di roccia”, l’armatura<br />

delle pareti rocciose con chiodi applicati mediante trapanatura, la sistemazione<br />

di funi e altri accessori per la progressione e la segnalazione, la costruzione<br />

di vie ferrate con strutture metalliche stabili, la ripulitura anche integrale di<br />

estese superfici rupestri dalla vegetazione allo scopo di aprire nuove vie di<br />

ascensione, il calpestio dei punti preferenziali di avvicinamento e di accampamento<br />

temporaneo, l’abbandono di rifiuti per la difficoltà di riportarli a val-<br />

Una via ferrata<br />

loro complesso un forte impatto sul<br />

valore paesaggistico di questi siti,<br />

danneggiano l’integrità e la funzionalità<br />

della vegetazione pioniera e specializzata<br />

e delle entomocenosi fitofaghe<br />

associate, disturbando inoltre la<br />

riproduzione dei rapaci rupicoli e di<br />

altri uccelli particolarmente sensibili<br />

durante il periodo primaverile ed estivo.<br />

È stato infatti documentato che il<br />

disturbo diretto, seppur involontario,<br />

nei pressi del nido, può causare una<br />

riduzione del successo riproduttivo,<br />

se non addirittura l’abbandono del<br />

nido stesso, per alcune specie anche<br />

rare e legalmente tutelate su scala<br />

europea, quali l’aquila reale e il falco Rocciatori in azione<br />

pellegrino. Alcune di queste specie<br />

hanno anche subito nel passato un prelievo di uova e pulcini al nido, per il<br />

collezionismo e la falconeria.<br />

Purtroppo, in assenza di una coscienza condivisa del valore naturalistico di<br />

questi ambienti, in molti casi queste attività ricreative vengono praticate liberamente<br />

in qualunque sito e in qualunque periodo. In altri casi sono state identificate<br />

delle aree di rispetto, sono stati stabiliti dei periodi di interdizione e<br />

associazioni quali il Club Alpino Italiano e l’Associazione Italiana Preparatori<br />

Itinerari d’Arrampicata hanno anche elaborato e diffuso codici di autoregolamentazione,<br />

ma spesso queste norme e limitazioni vengono disattese.<br />

Anche le attività turistiche che si sviluppano in territori montani meno acclivi<br />

coinvolgono talvolta negativamente i siti rupestri vicini. Questi sono talvolta<br />

attraversati da teleferiche al servizio di rifugi alpini presenti a quota maggiore,<br />

ma anche da funivie, cabinovie e ovovie appositamente costruite per sfruttare<br />

il valore paesaggistico di questi territori montani o più semplicemente per permettere<br />

l’ascensione e la discesa di turisti a siti d’alta quota, per lo scialpinismo<br />

o il trekking. Anche molti impianti sciistici di risalita, soprattutto lungo gli<br />

Appennini, possono disturbare questi ambienti e determinano spesso l’accumulo<br />

di rifiuti e vari oggetti accidentalmente caduti o gettati intenzionalmente.<br />

Inoltre, la manutenzione degli impianti di risalita mediante fuoristrada e trattori<br />

danneggia significativamente la vegetazione dei ghiaioni, innesca fenomeni<br />

erosivi nelle praterie alpine contigue e può causare il rilascio di materiale oleoso<br />

e altri inquinanti su questi substrati porosi.<br />

131


132 Strade e altre infrastrutture. Quando<br />

Cave e miniere. Un impatto locale ma distruttivo può provenire dall’attività di<br />

versanti rocciosi e detritici sovrastano<br />

edifici o vie di comunicazione, essi vengono<br />

spesso interessati da interventi<br />

atti a prevenire la caduta di materiale,<br />

essenzialmente frane e colate detritiche<br />

nelle stagioni piovose e slavine nel<br />

periodo invernale e primaverile. La<br />

sistemazione di reti metalliche di<br />

copertura, la costruzione di barriere<br />

emergenti e la rimozione periodica di<br />

materiale instabile, mediante intervento<br />

manuale o uso di esplosivi, hanno un<br />

effetto paesaggistico più o meno evidente.<br />

Le iniezioni e la copertura delle<br />

superfici rocciose con calcestruzzo,<br />

invece, compromettono completamen-<br />

Ripetitori sulla cima di una montagna (Sardegna)<br />

te la funzionalità ecologica di questi<br />

ambienti. Ciò è di particolare impatto<br />

quando siano localmente presenti piante rupicole di particolare valore, insieme<br />

alle entomocenosi fitofaghe associate.<br />

La costruzione di impianti idroelettrici ha spesso comportato la modificazione<br />

del locale microclima, a causa della presenza di imponenti masse idriche, ma<br />

alcune infrastrutture accessorie hanno anche interessato più direttamente le<br />

pareti rocciose, come le condotte forzate, i canali di deflusso e i camminamenti<br />

in galleria o in semi-galleria noti come “tracciolini”. Va comunque rilevato che<br />

queste ultime strutture sono state talvolta sfruttate per attività escursionistiche,<br />

quando abbandonate dalle società idroelettriche, e sono entrate a far <strong>parte</strong> di<br />

una sorta di condiviso patrimonio di archeologia industriale.<br />

I percorsi di elettrodotti e di cavi per la trasmissione telefonica e quindi l’ubicazione<br />

di tralicci e piloni, oltre che di ripetitori televisivi e telefonici, sono stati<br />

spesso individuati senza riconoscere alcun valore estetico e naturalistico ai<br />

territori montani più scoscesi. Di conseguenza il loro impatto paesaggistico<br />

può essere notevole, così come l’alterazione effettiva dell’ambiente locale sia<br />

in fase di realizzazione che in quella di manutenzione. I cavi multipli degli elettrodotti,<br />

inoltre, possono risultare mortali per elettrocuzione agli uccelli più<br />

grandi, quali rapaci e corvidi, soprattutto presso le pareti rocciose e le cenge<br />

dove nidificano. Ancora poco conosciuti, invece, sono gli effetti sulle biocenosi<br />

del cosiddetto “inquinamento elettromagnetico”. Installazioni militari, infine,<br />

hanno talora comportato una estesa cementificazione dei substrati e la realizzazione<br />

di strade anche in siti rupestri scarsamente accessibili.<br />

estrazione che si svolge su alcuni massicci montuosi, per ottenere materiale<br />

lapideo impiegato nell’edilizia e nella costruzione di strade e ferrovie, o specifici<br />

minerali di interesse industriale o di pregio ornamentale. L’impatto è rilevante<br />

non solo quando la coltivazione si svolge a cielo aperto ma anche quando viene<br />

effettuata in galleria, per l’accumulo del materiale di risulta, per il disturbo<br />

acustico, per le vibrazioni prodotte, e per l’immissione di particolato nell’aria.<br />

Sebbene attualmente l’attività estrattiva in montagna sia contenuta rispetto al<br />

passato e rispetto a siti analoghi a bassa quota, il suo impatto continua ancora<br />

significativamente su alcuni rilievi montuosi. Caso emblematico è quello delle<br />

Alpi Apuane, dove una secolare attività di estrazione del marmo ha asportato e<br />

modellato interi rilievi montani, con effetti devastanti. In realtà sono state anche<br />

create nuove pareti rocciose e ghiaioni e si sta attualmente stimolando un interesse<br />

turistico per questo paesaggio e per i suoi residui valori ambientali.<br />

Discariche. Piccoli comuni montani, soprattutto nell’Italia centro-meridionale,<br />

in Sicilia e in Sardegna, hanno talvolta localizzato le loro discariche in prossimità<br />

di ghiaioni montani a minore acclività o in forre asciutte, con ovvia perdita<br />

delle condizioni originarie di questi habitat. Molto più diffuse, nelle stesse aree,<br />

sono le discariche abusive che si sviluppano in siti rupestri, sfruttando la presenza<br />

di strade poco frequentate, scarsamente controllate, il ridotto valore economico<br />

riconosciuto a questi siti e la loro scarsa visibilità e frequentazione.<br />

Una cava di “marmo” nelle Alpi Carniche (Friuli Venezia Giulia)<br />

133


134 Pascolo. I ghiaioni e le morene più consolidate<br />

e i versanti rocciosi almeno<br />

parzialmente coperti da vegetazione<br />

appaiono spesso alterati da una secolare<br />

attività di pascolo brado, soprattutto<br />

da <strong>parte</strong> di ovini e caprini che sono in<br />

grado di risalire i versanti più scoscesi.<br />

Un carico di pascolo eccessivo ha infatti<br />

talvolta ridotto la copertura vegetale o<br />

ne ha comunque modificato la struttura<br />

e la composizione floristica, accelerando<br />

anche il naturale scorrimento detritico.<br />

L’accumulo di sterco alla base di<br />

grandi massi, sui terrazzamenti naturali<br />

e lungo i canaloni ha localmente<br />

arricchito il substrato di nutrienti, causando<br />

la scomparsa delle casmofite e<br />

glareofite più sensibili a favore di altre<br />

piante nitrofile e con più ampia tolleranza<br />

ecologica, determinando di<br />

Raponzolo di roccia (Physoplexis comosa)<br />

conseguenza una modificazione delle artropodocenosi epigee e fitofaghe.<br />

■ I valori e la situazione attuale<br />

Rupi e ghiaioni nel Massiccio del Monte<br />

Pramaggiore (Prealpi Carniche, Friuli Venezia<br />

Giulia)<br />

Di buon auspicio per il mantenimento delle condizioni naturali di questi<br />

ambienti rupestri è il riconoscimento del loro interesse comunitario nell’ambito<br />

dell’Unione Europea. Infatti, tra gli habitat la cui conservazione richiede la<br />

designazione di aree speciali, elencati nell’allegato I della Direttiva Habitat<br />

(92/43/CEE), sono inclusi anche i ghiaioni montani, sia silicei (Androsacetalia<br />

alpinae e Galeopsietalia ladani) sia calcarei (Thlaspietea rotundifolii), e le pareti<br />

rocciose con vegetazione casmofitica, sia silicee sia calcaree. Prioritari, inoltre,<br />

sono indicati i ghiaioni calcarei medio-europei e i pavimenti calcarei.<br />

La flora a rischio. Anche se la flora dei ghiaioni e delle rupi montane non è<br />

soggetta a pesanti e diffuse minacce, alcune casmofite e glareofite sono riconosciute<br />

come vulnerabili dal “Libro Rosso delle Piante d’Italia” e tra queste<br />

Berardia subacaulis, Rhamnus glaucophyllus e Saxifraga tombeanensis. Altre<br />

specie, invece, non ancora danneggiate o vulnerabili, ma comunque esposte a<br />

questo rischio, sono classificate come rare, e tra queste Achillea lucana, Adonis<br />

distorta, Androsace mathildae, Aquilegia champagnatii, Armeria gussonei,<br />

Ballota frutescens, Campanula morettiana, C. raineri, Daphne petraea, Helichry-<br />

135


136 sum montelinasanum, Linaria tonzigii, Moehringia dielsiana, M. lebrunii, M.<br />

mentre Erebia calcaria e Erebia christi frequentano solo occasionalmente i<br />

markgrafii, M. papulosa, M. sedifolia, Moltkia suffruticosa, Papaver degenii,<br />

Physoplexis comosa, Potentilla saxifraga, Primula allionii, Rhizobotrya alpina,<br />

Salix crataegifolia, Saxifraga arachnoidea, S. cochlearis, S. florulenta, Sedum<br />

aetnense, Silene elisabethae, Viola comollia, V. magellensis.<br />

Le comunità animali. Anche per<br />

quanto riguarda la fauna, lo stato di<br />

conservazione della maggior <strong>parte</strong> delle<br />

specie che vivono in questi ambienti<br />

non sembra destare particolari preoccupazioni.<br />

Tuttavia, alcune specie di<br />

uccelli rapaci rupicoli, strettamente<br />

legati a questi habitat per la nidificazione,<br />

hanno subito nel recente passato<br />

un drastico decremento, sia a causa<br />

della persecuzione diretta, sia a causa<br />

del disturbo e dell’alterazione dei loro<br />

ambienti elettivi. Tra questi, il gipeto si<br />

Erebia calcaria<br />

è addirittura estinto in Italia nel XX<br />

secolo e solo negli ultimi anni sta ricominciando a riprodursi in alcune località<br />

a seguito di iniziative di reintroduzione e di tutela. Migliore è invece la situazione<br />

del falco pellegrino e dell’aquila reale. Tra gli uccelli che vivono sulle rupi e<br />

sui ghiaioni montani, tutti i rapaci sono stati riconosciuti come minacciati dalla<br />

Direttiva Uccelli (79/409/CEE), e con essi anche il gracchio corallino e la pernice<br />

bianca che, sporadicamente, frequentano questi habitat.<br />

Forti decrementi demografici hanno subito anche alcuni mammiferi, quali il<br />

camoscio delle Alpi, il camoscio appenninico e ancor più lo stambecco delle<br />

Alpi, soprattutto come effetto dell’intensa caccia cui sono stati soggetti<br />

durante il XX secolo. Recentemente, comunque, iniziative di tutela e di reintroduzione<br />

hanno innescato un trend positivo. Il camoscio appenninico, in<br />

particolare, è stato riconosciuto come specie prioritaria tra quelle di interesse<br />

comunitario, ai sensi della Direttiva Habitat.<br />

Per quanto riguarda gli invertebrati, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del<br />

Territorio, con il supporto dell’Unione Zoologica Italiana, sta promuovendo la<br />

produzione di una “lista rossa” ufficiale, obiettiva e aggiornata. È prevedibile<br />

che vi saranno incluse anche alcune specie caratteristiche o esclusive di rupi e<br />

ghiaioni montani, soprattutto insetti fitofagi e molluschi, molte endemiche di<br />

aree ristrette. Tra le specie di interesse comunitario secondo la Direttiva Habitat,<br />

Buprestis splendens e Parnassius apollo sono tipiche delle rupi montane,<br />

Rosalia alpina e Zerynthia polyxena vi si trovano in maniera assai sporadica,<br />

ghiaioni montani.<br />

Molte delle specie endemiche o comunque di particolare valore naturalistico<br />

sembrano addensarsi lungo l’arco alpino, soprattutto nei settori più xerici e<br />

carbonatici. Altre specie di rilievo sembrano ancora concentrarsi lungo l’Appennino<br />

centrale, in particolare nel settore laziale-abruzzese, e in quello<br />

meridionale, in particolare nel settore calabro-lucano, oltre che nei territori<br />

montani più elevati della Sicilia (Nebrodi e Madonie) e della Sardegna (Gennargentu).<br />

■ Le prospettive<br />

Uno degli aspetti più preoccupanti per la conservazione della vita naturale di<br />

rupi e ghiaioni montani sembra rappresentato dalla difficoltà di sensibilizzare<br />

enti interessati, turisti ed escursionisti circa il grande valore ecologico,<br />

naturalistico e paesaggistico di questi ambienti. Spesso interventi infrastrutturali<br />

ad impatto puntiforme, ma localmente rilevante, non sono preceduti da<br />

una adeguata valutazione dei loro effetti su questi valori. Una scorretta percezione<br />

di questi ambienti come habitat del tutto inospitali e inutili è evidentemente<br />

alla base di questa situazione, che va opportunamente corretta con<br />

disposizioni normative più attente e mirate e con una maggiore educazione<br />

della popolazione.<br />

Gipeto (Gypaetus barbatus)<br />

137


Proposte didattiche<br />

MARGHERITA SOLARI<br />

■ Occhio agli uccelli di montagna<br />

● Obiettivi: acquisire competenze nel<br />

riconoscimento di alcune specie di<br />

uccelli tipiche dell’ambiente montano;<br />

sviluppare capacità di analisi e confronto<br />

dei fattori limitanti di vari habitat.<br />

● Livello: ragazzi della Scuola Primaria<br />

o Secondaria di Primo Grado (9-12 anni).<br />

● Attrezzatura: materiale bibliografico,<br />

manuali di riconoscimento di uccelli,<br />

binocoli, abbigliamento adeguato all’escursione,<br />

macchina fotografica.<br />

● Collaborazioni richieste: accompa-<br />

Aquila reale (Aquila chrysaetos)<br />

Sordone (Prunella collaris)<br />

gnatori per l’escursione, eventuale guida naturalistica o esperto ornitologo.<br />

FASE PRELIMINARE<br />

1. Introduzione, attraverso il dibattito in classe, alle caratteristiche dell’ambiente<br />

montano. Schematizzazione dei differenti ambienti che si possono individuare<br />

in quota: boschi, prati e pascoli, fasce boscate e fasce al limite del<br />

bosco, rupi, ghiaioni, laghetti, ecc.<br />

2. Suddivisione della classe in gruppi e svolgimento di una ricerca di materiale<br />

fotografico (da fotografie scattate durante le escursioni con la famiglia a<br />

immagini tratte da volumi o reperite su internet) illustrante gli ambienti di rupi e<br />

ghiaioni. Dibattito sugli elementi caratterizzanti questi habitat e sui fattori limitanti<br />

per animali e vegetali: assenza di acqua superficiale, mancanza di suolo,<br />

insolazione, esposizione ai venti, elevata escursione termica, instabilità e pendenza<br />

dei versanti, carenza di risorse alimentari, ecc. Riflessione sulla quasi<br />

totale assenza degli autotrofi e sulla conseguente scarsità degli eterotrofi.<br />

Riflessione sulle caratteristiche degli uccelli che consentono loro un maggiore<br />

accesso a questi ambienti rispetto a mammiferi, anfibi o rettili.<br />

3. Ricerca bibliografica, in gruppo, sulle caratteristiche morfologiche che consentono<br />

il riconoscimento di accipitridi, corvidi e falconidi (colori del piumaggio,<br />

becco e zampe, dimensioni, profilo in volo, ecc.). Approfondimento sulle<br />

139


140 abitudini alimentari di questi animali. Stesura di schede sintetiche illustrate per<br />

■ Ghiaioni in corso<br />

il riconoscimento di gheppio, aquila, falco pellegrino, gracchio alpino e corallino,<br />

corvo imperiale. Formulazione e condivisione di obiettivi chiari con i ragazzi,<br />

in modo da maturare un comportamento responsabile e consapevole<br />

durante l’escursione.<br />

ESCURSIONE<br />

4. Individuazione di un’area montana adatta all’escursione (preferibilmente<br />

raggiungibile con funivie o seggiovie, o con brevi tratti di cammino), su sentieri<br />

poco frequentati, non troppo vicini a rifugi sovraffollati. Suddivisione della<br />

classe in due o tre gruppi, ognuno dotato di binocoli e schede di riconoscimento;<br />

scelta di punti panoramici adatti all’appostamento (che andrebbe fatto<br />

nelle prime ore del mattino).<br />

5. Osservazioni sul campo da <strong>parte</strong> dei gruppi, stesura di appunti sull’ambiente<br />

e sugli uccelli osservati (tipo di volo, comportamento, gregarietà, ecc.);<br />

riprese fotografiche.<br />

FASE CONCLUSIVA<br />

6. Al rientro in classe, stesura di una relazione personale, attraverso il confronto<br />

con i compagni, con sintesi degli appunti presi sul campo.<br />

7. Sintesi dei lavori in classe, scambio di opinioni e considerazioni conclusive<br />

sull’esperienza e sulle difficoltà riscontrate nelle osservazioni.<br />

Esempio di volo di caccia di un’aquila che prima compie alcuni giri a volo veleggiato e poi scende di<br />

quota per catturare una preda<br />

● Obiettivi: acquisizione di competenze<br />

nel riconoscere e descrivere gli<br />

adattamenti delle piante di alta quota,<br />

in particolare di quelle che si insediano<br />

sui ghiaioni; sviluppare capacità di<br />

analisi e confronto, maturare la passione<br />

per la conoscenza della vegetazione,<br />

avvicinarsi al concetto di evoluzione<br />

climacica della vegetazione.<br />

● Livello: ragazzi dell’ultimo anno della<br />

Scuola Secondaria di Primo Grado o<br />

dei primi anni della Secondaria di<br />

Secondo Grado (12-15 anni).<br />

● Attrezzatura: materiale bibliografico,<br />

materiale di cancelleria per la stesura<br />

di schede illustrate e cartelloni, abbigliamento<br />

adeguato all’escursione,<br />

Ghiaioni nelle Alpi Carniche (Friuli Venezia Giulia)<br />

macchina fotografica con obiettivo macro, manuale divulgativo per il riconoscimento<br />

dei fiori di montagna.<br />

● Collaborazioni richieste: accompagnatori per l’escursione, botanico o guida<br />

naturalistica durante l’escursione, o eventualmente in classe prima e dopo<br />

l’uscita.<br />

FASE PRELIMINARE<br />

1. Dibattito in classe e individuazione degli elementi che definiscono l’ambiente<br />

montano e dei fattori ecologici caratteristici. Introduzione del concetto di<br />

piano altitudinale. Individuazione delle caratteristiche e dei fattori ecologici<br />

limitanti di un ambiente di ghiaione montano (temperatura media, gradiente<br />

altitudinale di temperatura, escursione termica diurna e annua, insolazione,<br />

cicli di gelo e disgelo, innevamento, mancanza di suolo, pendenza e instabilità<br />

del versante, ridotta pressione atmosferica, carenza idrica), anche attraverso il<br />

confronto delle opinioni maturate con l’esperienza personale dei ragazzi.<br />

2. Approfondimento in classe sugli adattamenti delle piante di alta montagna in<br />

relazione ai fattori ecologici generali e dell’ambiente di ghiaione in particolare.<br />

3. Suddivisione della classe in gruppi, ognuno dei quali sintetizza in una scheda<br />

illustrata uno degli adattamenti studiati (forme a rosetta o a cuscinetto, riduzione<br />

delle dimensioni, potenza degli apparati radicali, superfici fogliari lucide,<br />

presenze di cuticola, di rivestimenti cerosi o di peluria, succulenza, accorciamento<br />

del periodo vegetativo, vivace pigmentazione degli organi fiorali).<br />

141


142 4. Suddivisione della classe in cinque gruppi, diversi dai precedenti (scambio<br />

Glareofite migranti<br />

Suddivisione delle piante che vivono nei detriti in base alle forme di crescita<br />

Utilizzano lunghi polloni infilati nella ghiaia<br />

(Campanula cochlearifolia,<br />

Thlaspi rotundifolium, Viola calcarata)<br />

Glareofite striscianti<br />

Piccoli polloni foliati poggiati sui detriti<br />

(Arenaria biflora, Linaria alpina,<br />

Silene glareosa)<br />

Glareofite fissanti<br />

Mostrano polloni che si allungano ed<br />

estendono dritti dentro la copertura detritica<br />

(Doronicum, Hieracium intybaceum,<br />

Oxyria digyna)<br />

Glareofite coprenti<br />

Radicano sui detriti e formano<br />

coperture estese<br />

(Dryas octopetala, Gypsophila repens,<br />

Saxifraga oppositifolia)<br />

Glareofite sbarranti<br />

Cuscinetti e mazzi particolarmente<br />

resistenti con sottili radici<br />

(Androsace alpina, Carex firma,<br />

Ranunculus glacialis)<br />

di informazioni sugli adattamenti individuati e approfonditi). Sintesi su tabelloni<br />

(ad esempio formato 100x70 cm) illustrati da disegni, schemi e immagini<br />

della suddivisione delle piante, sulla base delle forme di crescita, in: glareofite<br />

migranti, striscianti, fissanti, coprenti e sbarranti.<br />

5. Illustrazione, semplificata, del concetto di evoluzione dell’ambiente e di<br />

vegetazione climax. Esame del ruolo della vegetazione nel consolidamento dei<br />

ghiaioni.<br />

6. Individuazione, con la guida naturalistica e gli accompagnatori, di un itinerario<br />

adatto dal punto di vista naturalistico, oltre che di facile raggiungibilità e<br />

impegno non eccessivo (limitare il tempo del cammino ad 1 ora e mezza circa,<br />

anche a seconda dell’allenamento dei ragazzi alle camminate in montagna).<br />

Concordare le finalità con la guida, evitando l’eccesso di nomenclatura scientifica.<br />

ESCURSIONE<br />

7. Osservazione guidata, nel gruppo classe, dell’ambiente di montagna, dell’habitat<br />

di ghiaione (riflessione sui fattori limitanti attesi).<br />

8. Individuazione delle piante più rilevanti dal punto di vista degli adattamenti,<br />

delle specie rare, delle specie significative dal punto di vista dell’evoluzione<br />

della vegetazione. Osservazioni sul campo, individuali o a gruppi, assieme alla<br />

guida naturalistica. Ripresa di immagini fotografiche.<br />

CONCLUSIONE DEL LAVORO IN CLASSE<br />

9. Sintesi delle conoscenze acquisite. Dopo la stampa delle fotografie, attribuzione<br />

della pianta ad una delle categorie individuate nel lavoro preliminare,<br />

completamento dei cartelloni con le immagini maggiormente significative.<br />

10.Dibattito in classe sulle peculiarità di questo habitat, sulle esigenze di preservazione<br />

e conservazione.<br />

Nota: Se accanto alle finalità e agli obiettivi enunciati si mira ad avvicinare i<br />

ragazzi alla fotografia naturalistica è necessario fornire loro alcune indicazioni<br />

fondamentali sulle riprese fotografiche (sempre che non sia possibile organizzare<br />

un mini-corso).<br />

In montagna in particolare si dovrebbe:<br />

● Utilizzare macchine fotografiche di tipo reflex con obiettivi diversi: 50 mm,<br />

teleobiettivo, grandangolare e macro per i fiori (le più moderne macchine digitali<br />

riuniscono discretamente tutte queste funzioni).<br />

● Con il teleobiettivo usare tempi non troppo brevi, per mettere a fuoco tutto<br />

il fiore, e diaframmi chiusi.<br />

● Preferire la luce diffusa dell’alba e del tramonto.<br />

● Utilizzare filtri UV per evitare l’eccesso di radiazione ultravioletta<br />

143


144 ■ Rocce, alghe e licheni<br />

micobionte. Esempi di licheni epilitici<br />

● Obiettivi: maturare la consapevolezza della diversità del mondo vivente e<br />

degli adattamenti delle specie ai diversi ambienti di vita; riconoscere le possibili<br />

applicazioni pratiche dei concetti studiati nel percorso scolastico.<br />

● Livello: ragazzi della Scuola Secondaria di Secondo Grado (15-18 anni).<br />

● Attrezzatura: materiale bibliografico, soprattutto fotografico, manuale scolastico<br />

di biologia, abbigliamento adeguato all’escursione, macchina fotografica.<br />

● Collaborazioni richieste: accompagnatori per l’escursione, eventuale guida<br />

naturalistica.<br />

FASE PRELIMINARE<br />

1. Recupero dei concetti di cellula procariote ed eucariote, organismi autotrofi<br />

ed eterotrofi, vie del metabolismo. Osservazione al microscopio di diversi<br />

organismi unicellulari, e loro classificazione.<br />

2. Approfondimento sulle modalità di fissazione al substrato delle alghe/piante<br />

epilitiche, sulla preferenza per substrati silicei o carbonatici (ripasso degli<br />

elementi di petrografia), sulle condizioni limitanti (presenza di lamina d’acqua<br />

per significativi intervalli di tempo, ad esempio alcune settimane, ecc.), sul<br />

ciclo vitale e la latenza in assenza di acqua.<br />

3. Analisi della simbiosi alga-fungo nei licheni, ruolo del ficobionte e del<br />

Rupi e pareti rocciose possono essere anche prossime agli abitati (Valtellina, Lombardia)<br />

ed endolitici.<br />

4. Individuazione, sul manuale di<br />

testo, della posizione sistematica dei<br />

cianobatteri. Analisi della suddivisione<br />

degli organismi, in base alle loro richieste<br />

nutritive, in fotoautotrofi, chemoautotrofi,<br />

fotoeterotrofi e chemoeterotrofi;<br />

discussione sull’attribuzione di piante<br />

e batteri alla prima di queste categorie<br />

(approfondimento da svolgersi previo<br />

ripasso dei meccanismi del metabolismo<br />

cellulare).<br />

5. Studio del fenomeno carsico, delle<br />

macroforme e delle microforme ad<br />

esso collegate, esame degli equilibri<br />

chimici che regolano il fenomeno carsico<br />

(ruolo di temperatura, pressione, Licheni<br />

pH, e della CO2 nella reazione e spostamento<br />

dell’equilibrio carbonato/bicarbonato). Riflessione sul fenomeno<br />

del fitocarsismo, sul ruolo delle piante esolitofile ed endolitofile su substrati<br />

carbonatici.<br />

EVENTUALE ESCURSIONE<br />

6. Individuazione di un’area adatta all’escursione, suddivisione della classe in<br />

due o tre gruppi, osservazioni sul campo, stesura di appunti.<br />

7. Riprese fotografiche dei licheni presenti su substrati rocciosi.<br />

PROSECUZIONE DEL LAVORO IN CLASSE<br />

8. Raccolta del materiale fotografico, sintesi delle osservazioni compiute.<br />

9. Eventuale collaborazione di guida naturalistica o lichenologo per il riconoscimento<br />

dei licheni ripresi o per il loro studio. È possibile fare riferimento a<br />

siti Internet che forniscono informazioni e chiavi di riconoscimento, come il<br />

sito della Società Lichenologica Italiana (dbiodbs.univ.trieste.it), oppure il sito<br />

indire (ospitiweb.indire.it), o altri (www.tamtamscuola.it/licheni, www.dister.<br />

unige.it/lablic).<br />

10.Dibattito e riflessioni sulla varietà del mondo vivente e sulla capacità di<br />

cogliere la presenza delle forme di vita ad un primo sguardo più insignificanti.<br />

Nota: Per l’avvicinamento dei ragazzi alla fotografia naturalistica, valgono le<br />

considerazioni espresse al termine della scheda precedente.<br />

145


Bibliografia<br />

AA. VV., 2004 - Italia. Atlante dei tipi geografici. Istituto Geografico Militare. Firenze.<br />

Atlante costituito da numerose tavole illustrative dei tipi geografici presenti nel territorio italiano. Le tavole<br />

sono raggruppate in venti temi, riguardanti sia la geografia fisica che quella umana.<br />

AESCHIMANN D., LAUBER K., MOSER D. M., THEURILLAT J.P., 2004 - Flora delle Alpi, 3 Voll. Traduzione italiana<br />

a cura di M. Bovio. Zanichelli, Bologna.<br />

Si tratta della più recente, aggiornata e completa guida alla flora delle Alpi. Ciascuna specie è illustrata<br />

attraverso splendide fotografie a colori e caratterizzata nella sua distribuzione ed ecologia attraverso<br />

cartine e disegni schematici. La consultazione di quest’opera è imprescindibile per chiunque voglia<br />

accostarsi al mondo della flora alpina, che annovera numerose specie rupicole e detriticole di grande<br />

interesse fitogeografico.<br />

BRICHETTI P., 1987 - Atlante degli uccelli delle Alpi Italiane. Ramperto, Brescia.<br />

È la principale opera divulgativa di sintesi dedicata all’ornitofauna montana della <strong>parte</strong> italiana dell’arco<br />

alpino, utile nonostante i dati distributivi siano ormai datati.<br />

CARTON A., PELFINI M., 1988 - Forme del paesaggio d’alta montagna. Zanichelli, Bologna.<br />

Volume a carattere divulgativo che affronta gli argomenti con rigore scientifico. Sono esaminate le forme<br />

ed i processi del paesaggio d’alta montagna con ricchezza di schemi e fotografie in particolare della<br />

regione alpina.<br />

CARRETTA L., 1988 - Rapaci in volo. Pirella editore, Genova.<br />

Il volume riporta informazioni generali sulle abitudini dei rapaci, in particolare per quanto riguarda il volo<br />

e, soprattutto, numerosi disegni relativi a osservazioni sul campo.<br />

CASTIGLIONI G. B., 1986 - Geomorfologia. UTET, Torino.<br />

Trattato di geomorfologia generale con una approfondita analisi dei vari sistemi morfogenetici, con ampi<br />

riferimenti alla geomorfologia del territorio italiano.<br />

FONTANA P., BUZZETTI F. M., COGO A., ODÈ B., 2002 - Cavallette, grilli, mantidi e insetti affini del Veneto.<br />

Museo Naturalistico Archeologico di Vicenza, Vicenza.<br />

Volume dedicato agli ortotteri corredato da un utile cd. Benchè l’illustrazione di questi particolari gruppi<br />

sia limitata al Vento, di fatto la pubblicazione è utile per tutto il territorio nazionale.<br />

GENSBOL B., 1992 - Guida dei rapaci diurni d’Europa. Zanichelli, Bologna.<br />

Testo autorevole che sintetizza informazioni sulla morfologia, la biologia e l’ecologia delle diverse specie<br />

di rapaci diurni presenti in Italia.<br />

FEOLI-CHIAPELLA L., 1983 - Prodromo numerico della vegetazione dei brecciai appenninici. “Collana del<br />

Progetto Finalizzato “Promozione della Qualità dell’Ambiente”, AQ/5/40, C.N.R., Roma<br />

Ampia e dettagliata monografia scientifica dedicata alla caratterizzazione fitosociologica della vegetazione<br />

delle falde detritiche di tutta la catena appenninica.<br />

GRABHERR G., MUCINA L., 1993 - Die Pflanzengesellschaften Österreichs. Teil II. Natürliche waldfreie<br />

Vegetation. Fischer Verlag, Jena.<br />

Guida scientifica, in lingua tedesca, dedicata alla vegetazione dell’Austria, utilizzabile comunque anche<br />

per la classificazione e la descrizione delle comunità vegetali delle rupi e dei detriti delle Alpi sudorientali.<br />

MINELLI A., CHEMINI C., ARGANO A., LA POSTA S., RUFFO A. (a cura di), 2002 - La fauna in Italia. Touring Club<br />

Italiano, Milano e Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, Roma.<br />

Aggiornata e completa trattazione della fauna d’Italia, con ampi riferimenti anche agli aspetti legislativi e<br />

conservazionistici.<br />

MINELLI A., RUFFO S., LA POSTA S., 1993-1995 - Checklist delle specie della fauna italiana. Calderini,<br />

Bologna.<br />

Elenca tutte le specie note della fauna italiana, rendendo possibile l’uso di una nomenclatura corretta e<br />

unificata. La collana è costituita da 110 fascicoli. Disponibile anche on-line all’indirizzo: http://<br />

checklist.faunaitalia.it<br />

147


148<br />

PINNA M., 1977 - Climatologia. UTET, Torino.<br />

Trattato di climatologia generale con analisi e classificazione dei vari climi della Terra, di utile consultazione<br />

per ogni tipo di ricerca a carattere ambientale.<br />

POLI MARCHESE E., 1965 - La vegetazione altomontana dell’Etna. Flora et Vegetatio Italica, Mem. 5, Sondrio.<br />

Storica monografia scientifica sulla vegetazione di altitudine del principale vulcano italiano, ricca di<br />

informazioni sulla vegetazione pioniera delle distese laviche.<br />

REISIGL H., KELLER R., 1990 - Fiori e ambienti delle Alpi. Museo Tridentino di Scienze Naturali, Trento.<br />

Opera con finalità di divulgazione scientifica. La flora e le comunità vegetali delle rupi e dei detriti sono<br />

chiaramente descritte, riccamente illustrate con fotografie e disegni originali e didattici. Alcuni dei disegni<br />

qui proposti sono tratti da questo volume.<br />

SPAGNESI M., TOSO S. (eds.), 1999 - Iconografia dei Mammiferi d’Italia. Ministero dell’Ambiente e della<br />

Tutela del Territorio, Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica A. Ghigi, Roma.<br />

Rappresenta la più aggiornata e completa opera sui mammiferi presenti in Italia; contiene informazioni<br />

sulla morfologia, sull’ecologia e sullo stato tassonomico delle popolazioni italiane; contiene inoltre accurate<br />

illustrazioni e carte distributive per tutte le specie.<br />

Glossario<br />

> Alleanza: categoria della tassonomia fitosociologica<br />

o sintassonomia immediatamente inferiore<br />

all’ordine e comprensiva di una o più associazioni.<br />

> Angiosperme: vegetali, in massima <strong>parte</strong> terrestri,<br />

provvisti di fiori ben differenziati.<br />

> Antofago: animale che utilizza le parti fiorali<br />

delle angiosperme come principale o esclusiva<br />

fonte alimentare, almeno durante una fase del suo<br />

ciclo vitale.<br />

> Apodo: animale privo di arti ambulatori (serpenti,<br />

forme larvali di alcuni insetti, ecc.).<br />

> Associazione: unità vegetazionale caratterizzata<br />

o differenziata da una particolare composizione<br />

floristica, che esprime una ben precisa relazione<br />

con l’ambiente; costituisce la categoria di base<br />

del sistema fitosociologico.<br />

> Biocenosi: l’insieme delle comunità animali e<br />

vegetali che coesistono in un determinato habitat.<br />

> Biomassa: massa corporea (espressa di norma<br />

come peso secco) di uno o più organismi.<br />

> Camefita: pianta legnosa caratterizzata dal fatto<br />

di portare le gemme svernanti all’apice di fusti o<br />

rami, ad un’altezza da uno fino a cinque decimetri<br />

sopra la superficie del suolo.<br />

> Capacità termica: quantità di calore richiesta<br />

per aumentare di un 1° C la temperatura di un<br />

oggetto, nel caso specifico della roccia o dei<br />

detriti.<br />

> Casmofita: specie vegetale tipicamente adattata<br />

a vivere su pareti verticali o subverticali.<br />

> Circadiano: relativo ad un ciclo giornaliero<br />

completo dì/notte.<br />

> Classe: la categoria più elevata della tassonomia<br />

fitosociologica o sintassonomia, comprensiva<br />

di uno o più ordini.<br />

> Clasto: un singolo frammento di un sedimento<br />

detritico prodotto dalla disgregazione di una più<br />

grande massa di roccia.<br />

> Criofilo: organismo che tende a colonizzare<br />

habitat con microclima piuttosto freddo.<br />

> Depositi quaternari: materiali sciolti, di varia<br />

natura (fluviale, glaciale, ecc.), la cui deposizione è<br />

avvenuta nel corso degli ultimi due milioni di anni<br />

(Quaternario).<br />

> Diploide: organismo dotato di due serie identiche<br />

di cromosomi, in numero doppio rispetto al<br />

numero di base.<br />

> Divisione: nota anche come phylum, costituisce,<br />

in botanica, la categoria tassonomica compresa<br />

tra il regno e la classe.<br />

> Edafico: attinente al suolo.<br />

> Endemita: elemento endemico, cioè esclusivo,<br />

di un’area geografica più o meno limitata, di cui<br />

contribuisce ad esprimere la peculiarità biogeografica.<br />

> Entomocenosi: l’insieme delle comunità di<br />

insetti presenti in un determinato ecosistema.<br />

> Esarazione glaciale: l’erosione operata da un<br />

ghiacciaio attraverso il suo movimento.<br />

> Euriecio: elemento ad ampia valenza ecologica,<br />

in grado di colonizzare un’ampia varietà di differenti<br />

tipologie ambientali.<br />

> Extrazonale: elemento la cui presenza in un<br />

determinato habitat è da considerare più o meno<br />

atipica, al di fuori comunque dagli habitat di norma<br />

colonizzati.<br />

> Fasce di vegetazione: superfici caratterizzate da<br />

un’omogeneità vegetazionale ed ecologica di fondo,<br />

disposte in sequenza altitudinale sul versante<br />

di un rilievo. Nel testo si fa riferimento ad una successione<br />

che, dal basso, comprende una fascia<br />

collinare caratterizzata da boschi misti di latifoglie<br />

decidue, una fascia montana con boschi di faggio<br />

nelle aree marginali delle Alpi, negli Appennini e in<br />

Sicilia e boschi di pino silvestre o abete rosso nelle<br />

Alpi interne, una fascia subalpina contraddistinta<br />

da boschi di conifere e formazioni a bassi arbusti,<br />

una fascia alpina completamente costituita da specie<br />

erbacee e caratterizzata dalla predominanza di<br />

praterie chiuse e continue e una fascia nivale con<br />

vegetazione rada e discontinua formata da poche<br />

specie, isolate o in piccoli gruppi, di piante vascolari<br />

erbacee, muschi e licheni.<br />

> Fenologico: in botanica riferito al ciclo vitale<br />

stagionale di una pianta e che culmina nel<br />

momento della sua fioritura.<br />

> Ferormonale: relativo a comunicazioni intraspecifiche<br />

operate mediante sostanze chimiche percepibili<br />

a distanza.<br />

> Fillofago: elemento che si sviluppa a spese di<br />

parti fogliari di vegetali.<br />

> Fitocenosi (o comunità vegetale): aggregazione<br />

di popolazioni di specie diverse di piante conviventi<br />

all’interno di uno stesso ecosistema.<br />

> Fitofago: organismo che si sviluppa a spese di<br />

parti di vegetali.<br />

> Fitosaprofago: organismo che si sviluppa a<br />

spese di elementi vegetali in decomposizione.<br />

> Fitosociologia: metodologia di descrizione e<br />

classificazione della vegetazione basata sull’analisi<br />

della sua composizione floristica. Le unità vegetazionali<br />

descritte vengono inserite in un sistema<br />

classificatorio, o sintassonomico, gerarchico ed<br />

inclusivo articolato in classi, ordini, alleanze ed<br />

associazioni.<br />

> Generalista: organismo non specializzato.<br />

> Germoglio: <strong>parte</strong> subaerea di una pianta vascolare,<br />

ordinariamente composto da fusto e foglie.<br />

> Giacitura a franapoggio: disposizione degli<br />

strati rocciosi con immersione concordante con il<br />

pendio sul quale li si osserva.<br />

> Giacitura a reggipoggio: disposizione degli<br />

strati rocciosi con immersione opposta al pendio<br />

del versante su cui li si osserva.<br />

> Glareofita: specie vegetale tipicamente adattata<br />

a vivere in macereti e ghiaioni.<br />

> Imaginale: riferito allo stadio adulto di insetti a<br />

sviluppo olometabolico.<br />

149


150<br />

> Litofilo/Litofita: organismo vegetale specializzato<br />

per vivere in ambienti rocciosi.<br />

> Mesofilo: organismo che tende a colonizzare<br />

habitat con microclima intermedio (né particolarmente<br />

freddo né particolarmente caldo).<br />

> Microfago: organismo che si nutre di particelle<br />

alimentari di dimensioni microscopiche.<br />

> Microtermo: organismo che tende a colonizzare<br />

habitat con microclima piuttosto freddo.<br />

> Monofago: organismo legato ad una fonte specializzata<br />

ed unica di cibo (in genere si tratta di<br />

una singola pianta ospite).<br />

> Neurotossica: dicesi dell’attività di sostanze<br />

chimiche tossiche a livello del sistema nervoso.<br />

> Ordine: in tassonomia per ordine si intende la<br />

categoria immediatamente inferiore alla classe e<br />

comprendente una o più famiglie; anche nella tassonomia<br />

fitosociologica o sintassonomia l’ordine<br />

è subordinato alla classe, ma, in questo caso,<br />

comprende una o più alleanze.<br />

> Parassitoide: organismo che si sviluppa a spese<br />

di un altro, procurandone la morte alla fine dello<br />

sviluppo stesso.<br />

> Pianta vascolare: pianta superiore che presenta<br />

tessuti ben differenziati, compresi quelli conduttori<br />

(o vascolari). Sono piante vascolari le felci e le<br />

piante con semi.<br />

> Pleistocene: primo periodo del Quaternario,<br />

compreso fra circa 2 milioni e 10.000 anni fa,<br />

caratterizzato da numerose glaciazioni e dalla<br />

comparsa dell’uomo.<br />

> Poliploide: organismo con un numero cromosomico<br />

multiplo del numero di base.<br />

> Processi periglaciali: processi tipici delle regioni<br />

a clima freddo dove è rilevante l’azione del<br />

ghiaccio e della neve, senza però la presenza<br />

diretta dei ghiacciai.<br />

> Produttività: la quantità di energia che viene<br />

accumulata in un ecosistema sotto forma di biomassa.<br />

> Relittuale: aggettivo che qualifica una distribuzione<br />

geografica di tipo residuale, se confrontata<br />

con una più ampia documentata per il passato.<br />

> Scapo: fusto privo di foglie, portante all’apice<br />

un fiore od un’infiorescenza.<br />

> Sciafilo: organismo che tende a colonizzare<br />

habitat che si mantengano preferenzialmente in<br />

ombra, non esposti alla diretta luce del sole.<br />

> Silicicolo: organismo legato a substrati particolarmente<br />

ricchi di biossido di silicio.<br />

> Simbiosi: condizione di interazione tra due specie<br />

diverse, che ne traggono reciproco vantaggio.<br />

> Spermofago: organismo che si sviluppa a spese<br />

dei semi di vegetali.<br />

> Submediterraneo: organismo che colonizza<br />

ambienti di tipo mediterraneo, presenti però di<br />

norma più all’interno delle aree strettamente<br />

costiere.<br />

> Tallo: struttura vegetativa non suddivisa in parti<br />

assimilabili a radice, fusto o foglia, tipici invece di<br />

un cormo.<br />

> Tettonica: lo studio delle deformazioni subite<br />

dalle rocce, le loro traslazioni e le strutture che ne<br />

risultano per effetto delle forze endogene della<br />

Terra.<br />

> Traspirazione: processo attraverso il quale<br />

avviene l’evaporazione dell’acqua in corrispondenza<br />

della superficie limite pianta-aria.<br />

> Umificato: ricco di humus.<br />

> Vicariante: si definiscono vicarianti due entità<br />

tassonomiche o sintassonomiche che si sostituiscono<br />

vicendevolmente in territori geograficamente<br />

distinti o in ambienti ecologicamente diversi.<br />

> Xerofilo: organismo che colonizza di preferenza<br />

habitat con microclima tendenzialmente secco e<br />

asciutto.<br />

> Xerotermofilo: organismo che colonizza di preferenza<br />

habitat con microclima tendenzialmente<br />

secco e caldo.<br />

> Xilofago: organismo che si sviluppa a spese di<br />

parti lignee di vegetali.<br />

> Zoocenosi: l’insieme delle comunità di animali<br />

presenti in un determinato ecosistema.<br />

Indice delle specie<br />

Abete rosso - 105<br />

Acalypta musci - 91<br />

Acarospora - 30<br />

Acetosa soldanella - 63<br />

Achillea - 7<br />

Achillea atrata - 70<br />

Achillea barrelieri - 67, 71<br />

Achillea erba-rotta - 64<br />

Achillea erba-rotta - 64, 69<br />

Achillea erba-rotta ssp. ambigua<br />

- 69<br />

Achillea lucana - 51<br />

Achillea lucana - 51, 71, 135<br />

Achillea mucronulata - 71<br />

Achillea nana - 69<br />

Achillea rupestris - 71<br />

Adenostyles leucophylla - 69<br />

Adiantum - 46<br />

Adiantum capillus-veneris - 34, 47<br />

Admontia cepelaki - 110<br />

Adonide curvata - 65, 67<br />

Adonis distorta - 65, 71, 135<br />

Aeropedellus variegatus - 102<br />

Aeropus sibiricus - 102<br />

Agolius - 108<br />

Agolius abdominalis - 108<br />

Agrodiaetus - 96<br />

Agrodiaetus galloi - 96<br />

Agrodiaetus ripartii - 96<br />

Alisso rupestre - 54<br />

Allium narcissiflorum - 69<br />

Alydus rupestris - 91<br />

Alyssoides utriculata - 26<br />

Alyssum - 64, 108<br />

Alyssum argenteum - 69<br />

Alyssum cuneifolium - 71<br />

Alyssum diffusum - 81, 95<br />

Alyssum ligusticum - 68<br />

Alyssum ovirense - 70<br />

Alyssum wulfenianum - 70<br />

Amara - 103<br />

Amphimallon - 94<br />

Anaglyptus gibbosus - 82, 83<br />

Andreaea - 33<br />

Androsace abruzzese - 51<br />

Androsace alpina - 43, 142<br />

Androsace brevis - 69<br />

Androsace dei ghiacciai - 43<br />

Androsace di Hausmann - 53<br />

Androsace di Vandelli - 43, 55<br />

Androsace emisferica - 43<br />

Androsace hausmannii - 53, 70<br />

Androsace helvetica - 43<br />

Androsace mathildae - 51, 71,<br />

135<br />

Androsace pubescens - 69<br />

Androsace vandellii - 43, 55<br />

Androsace vitaliana ssp.<br />

praetutiana - 71<br />

Androsace vitaliana ssp. sesleri<br />

- 70<br />

Androsace wulfeniana - 70<br />

Anechura bipunctata - 102<br />

Anonconotus - 91, 102<br />

Anoxia - 94<br />

Anoxia australis - 94<br />

Antaxius difformis - 89, 102<br />

Anthaxia - 94<br />

Anthemis aetnensis - 71<br />

Anthocharis - 96<br />

Anthocharis euphenoides - 96<br />

Antirrhinum latifolium - 93<br />

Antitype suda - 97<br />

Aphanothece - 29<br />

Apion - 109<br />

Aquila - 140<br />

Aquila chrysaetos - 119, 138<br />

Aquila di Bonelli - 83<br />

Aquila reale - 119, 131, 136, 138<br />

Aquilegia champagnatii - 71,<br />

135<br />

Aquilegia di re Otto - 81<br />

Aquilegia einseleana - 70<br />

Aquilegia magellensis - 71<br />

Aquilegia ottonis - 71, 81<br />

Arabis - 92<br />

Aradus frigidus - 103<br />

Arctia festiva - 111<br />

Arctia flavia - 111<br />

Arenaria biflora - 142<br />

Arenaria di Huter - 81<br />

Arenaria huteri - 69, 81<br />

Argna - 99<br />

Arhopalus ferus - 82<br />

Arianta chamaeleon - 99<br />

Arion - 99<br />

Armadillidium - 88, 99<br />

Armeria gussonei - 71, 135<br />

Armeria morisii - 51, 71<br />

Armeria sulcitana - 71<br />

Artemisia glacialis - 69<br />

Artemisia nitida - 70<br />

Artemisia petrosa ssp. eriantha -<br />

71<br />

Arvicola - 114, 127<br />

Arvicola delle nevi - 125, 127<br />

Asida pirazzolii - 107<br />

Asida pirazzolii ssp. sardiniensis<br />

- 107<br />

Asperula gussonei - 51, 71<br />

Asperula hexaphylla - 68<br />

Asperula pumila - 55, 71<br />

Asplenio del serpentino - 47<br />

Asplenio delle Dolomiti - 47<br />

Asplenio delle fonti - 47<br />

Asplenio grazioso - 47<br />

Asplenio ruta di muro - 47<br />

Asplenio settentrionale - 47<br />

Asplenio tricomane - 46, 47<br />

Asplenio verde - 47<br />

Asplenium - 46, 47, 53<br />

Asplenium cuneifolium - 47<br />

Asplenium fontanum - 47<br />

Asplenium lepidum - 47<br />

Asplenium ruta-muraria - 47<br />

Asplenium seelosii - 47<br />

Asplenium septentrionale - 47<br />

Asplenium trichomanes - 46, 47<br />

Asplenium viride - 47<br />

Astragalus siculus - 91<br />

Atamanta comune - 66<br />

Athamanta cretensis - 66<br />

Athamanta turbith - 69, 70<br />

Athamanta vestina - 69<br />

Atractosoma meridionale - 100<br />

Aubrieta deltoidea - 71<br />

Aurinia - 93, 108<br />

Aurinia saxatilis - 82<br />

Aurinia saxatilis ssp. orientalis -<br />

95<br />

Axinopalpis gracilis - 82<br />

Ballota frutescens - 68, 135<br />

Ballota frutescens - 135<br />

Ballota rupestris - 93<br />

Barbula bicolor - 33<br />

Barbula crocea - 35<br />

Berardia - 64, 65<br />

Berardia subacaulis - 64, 65,<br />

135<br />

Bergamosoma canestrinii - 100<br />

Berninelsonius hyperboreus -<br />

107<br />

Biscutella - 95, 105<br />

Bombo - 110<br />

Bombus - 110<br />

Brachyodontus - 109<br />

Brachypterolus - 93, 105<br />

Brachypterolus linariae - 93, 105<br />

Brachypterolus vestitus - 93<br />

Brassica repanda - 69<br />

Brembosoma castagnolense -<br />

88<br />

Buprestis splendens - 94, 136<br />

Calliptamus italicus - 101<br />

Calliptamus siciliae - 101<br />

Caloplaca - 30<br />

Calothrix - 28<br />

Camedrio alpino - 63<br />

Camoscio - 108, 123<br />

Camoscio appenninico - 123,<br />

124, 136<br />

Camoscio delle Alpi - 122, 123,<br />

124, 136<br />

Campanula - 48, 49, 64<br />

Campanula albicans - 68<br />

Campanula alpestre - 64<br />

Campanula alpestris - 64, 69<br />

151


152<br />

Campanula carnica - 70<br />

Campanula cenisia - 69<br />

Campanula cochleariifolia - 27,<br />

62, 142<br />

Campanula dei ghiaioni - 27, 62<br />

Campanula dell’arciduca - 49<br />

Campanula di Moretti - 49<br />

Campanula di Zois - 40, 49<br />

Campanula elatines - 49, 69<br />

Campanula elatinoides - 69<br />

Campanula excisa - 69<br />

Campanula forsythii - 71<br />

Campanula fragilis ssp. cavolinii<br />

- 51, 71<br />

Campanula macrorrhiza - 68<br />

Campanula morettiana - 49, 69,<br />

135<br />

Campanula napoletana - 50, 51,<br />

54<br />

Campanula petraea - 69<br />

Campanula piemontese - 49<br />

Campanula pollinensis - 71<br />

Campanula raineri - 49, 69, 135<br />

Campanula tanfanii - 71<br />

Campanula thyrsoides ssp.<br />

carniolica - 70<br />

Campanula zoysii - 40, 70<br />

Candidula unifasciata - 99<br />

Capelvenere - 34, 47<br />

Capovaccaio - 83<br />

Capra ibex - 72, 112, 124<br />

Carabus (Orinocarabus)<br />

pedemontanus - 92<br />

Carabus - 91, 103<br />

Carabus baudii - 103<br />

Carabus bertolinii - 92<br />

Carabus concolor - 103<br />

Carabus creutzeri - 103<br />

Carabus depressus - 103<br />

Carabus heteromorphus - 103<br />

Cardaminopsis - 92<br />

Cardo di Bertoloni - 64<br />

Cardo niveo - 65, 67<br />

Carduus chrysacanthus - 71<br />

Carex firma - 142<br />

Cariofillata delle pietraie - 62<br />

Carpino - 82<br />

Caryocolum - 111<br />

Catharia pyrenaealis - 97<br />

Cecilioides - 99<br />

Cedracca comune - 47<br />

Centaurea busambarensis - 51,<br />

71<br />

Centaurea scannensis - 71<br />

Centranthus trinervis - 71<br />

Cepaea sylvatica - 99<br />

Cephalaria mediterranea - 71<br />

Cerambyx scopolii - 82<br />

Cerastio di Carinzia - 70<br />

Cerastium - 104, 109<br />

Cerastium carinthiacum - 70<br />

Cerastium subtriflorum - 70<br />

Cerastium thomasii - 71<br />

Ceterach - 46<br />

Ceterach officinarum - 47<br />

Ceutorhynchus - 109<br />

Ceutorhynchus bifidus - 109<br />

Ceutorhynchus inaffectatus -<br />

109<br />

Ceutorhynchus pinguis - 81, 95<br />

Ceutorhynchus verticalis - 81,<br />

95<br />

Chalicodoma muraria - 106<br />

Chamaesphecia - 97<br />

Charpentieria - 83, 99<br />

Chazara briseis - 97<br />

Cheilosia aristata - 109<br />

Chelidura aptera - 102<br />

Chelidurella - 102<br />

Chelidurella thaleri - 102<br />

Chelidurella vignai - 102<br />

Chelis maculosa - 111<br />

Chersotis - 97<br />

Chersotis alpestris - 97<br />

Chersotis ocellina - 97<br />

Chersotis oreina - 97<br />

Chilostoma - 83, 87, 99<br />

Chilostoma alpinum - 99<br />

Chilostoma cingulatum - 87, 99<br />

Chilostoma cingulatum<br />

colubrinum - 99<br />

Chilostoma millieri - 99<br />

Chilostoma zonatum - 99<br />

Chionomys nivalis - 125, 127<br />

Chondrina - 83, 86, 87, 99<br />

Chondrina avenacea - 86<br />

Chondrina clienta - 87<br />

Chondrina megacheilos - 87<br />

Chondrina oligodonta - 87<br />

Chondrula - 99<br />

Chopardius pedestris - 89, 102<br />

Chopardius pedestris ssp.<br />

apuanus - 89<br />

Chorthopodisma cobellii - 101<br />

Cimiciotta spinosa - 81<br />

Cinquefoglia dell’Appennino -<br />

54<br />

Cinquefoglia penzola - 52<br />

Cinquefoglie delle Dolomiti - 52<br />

Cirsium bertolonii - 64, 70<br />

Clausilia - 83, 99<br />

Cochlicopa - 99<br />

Cochlodina - 99<br />

Cochlostoma - 83, 86, 99<br />

Cochlostoma canestrinii - 86<br />

Cochlostoma crosseanum - 86<br />

Cochlostoma henricae - 86<br />

Cochlostoma paladilhianum - 86<br />

Cochlostoma philippianum - 86<br />

Cochlostoma porroi - 86<br />

Cochlostoma sardoum - 86<br />

Cochlostoma scalarium - 86<br />

Cochlostoma tergestinum - 86<br />

Cochlostoma villae - 86<br />

Coclearia alpina - 64<br />

Codirosso spazzacamino - 120,<br />

121<br />

Coincya richeri - 69<br />

Colpotus strigosus - 107<br />

Colpotus strigosus ssp.<br />

ganglbaueri - 107<br />

Colutea - 96<br />

Conocephalum conicum - 34<br />

Copium - 82, 91, 102<br />

Copium clavicorne - 102<br />

Copium teucrii - 102<br />

Coranus subapterus - 91<br />

Corvo imperiale - 83, 116, 140<br />

Corvus corax - 83, 116<br />

Costolina appenninica - 66<br />

Crepis terglouensis - 70<br />

Cryphia - 97<br />

Crypticus quisquilius - 107<br />

Crypticus quisquilius ssp.<br />

aprutianus - 107<br />

Cryptogramma crispa - 61, 63<br />

Ctenicera - 107<br />

Ctenicera pectinicornis - 107<br />

Cuffia - 97<br />

Culbianco - 120, 121<br />

Cychrus - 103<br />

Cychrus angulicollis - 103<br />

Cychrus cylindricollis - 103<br />

Cychrus graius - 103<br />

Cychrus schmidti - 103<br />

Cymbalaria pallida - 71<br />

Cymindis - 103<br />

Cystopteris - 46, 47, 53<br />

Cystopteris alpina - 47<br />

Cystopteris dickiaeana - 47<br />

Cystopteris fragilis - 47, 53<br />

Dactylophorosoma nivisatelles -<br />

100<br />

Dafne minore - 69<br />

Dahlica - 97<br />

Danacea - 105<br />

Danacea nigritarsis - 93<br />

Daphne petraea - 53, 69, 135<br />

Dasytes lombardus - 93<br />

Delima - 83<br />

Dente di leone montano - 63, 66<br />

Deroplia genei - 82<br />

Dianthus - 97<br />

Dibolia rugulosa - 108<br />

Dichotrachelus - 95, 108<br />

Didymodon tophaceus - 34<br />

Dimorphocoris poggii - 91<br />

Discus - 99<br />

Doronico dei macereti - 63<br />

Doronico del granito - 63<br />

Doronicum - 108, 142<br />

Doronicum clusii - 63<br />

Doronicum glaciale - 70<br />

Doronicum grandiflorum - 63<br />

Draba aizoide - 55<br />

Draba aizoides - 55<br />

Draba dolomitica - 69<br />

Draba olympicoides - 71<br />

Dracocephalum - 105<br />

Dripide comune - 67<br />

Dryas - 104<br />

Dryas octopetala - 63, 104, 142<br />

Dryopteris villarii - 66<br />

Drypis spinosa - 67, 71<br />

Dyscia - 97<br />

Dyscia raunaria - 97<br />

Dyscia sicanaria - 97<br />

Ectobius montanus - 102<br />

Efedra nebrodense - 26, 81<br />

Elophos - 111<br />

Elophos caelibaria - 111<br />

Elophos zelleraria - 111<br />

Empetrum - 91<br />

Ephedra major - 26, 81<br />

Epilobium - 111<br />

Epipodisma pedemontana - 101<br />

Epipsilia grisescens - 97<br />

Erba cornacchia di Zanoni - 64<br />

Erba storna appennina - 65<br />

Erba storna rotundifolia - 62, 63<br />

Erba-perla rupestre - 54<br />

Erba-unta di Fiori - 81<br />

Erba-unta di Poldini - 81<br />

Erba-unta di Reichenbach - 81<br />

Erebia calcaria - 97, 137<br />

Erebia christi – 97, 137<br />

Erebia gorge - 111<br />

Erebia meolans - 97<br />

Erebia montana - 96, 97<br />

Erebia pandrose - 111<br />

Erebia pluto - 111<br />

Erebia scipio - 97<br />

Erebia styria - 97<br />

Erebia styx - 97<br />

Ermellino - 125<br />

Erysimum - 92, 108<br />

Euchalcia bellieri - 97<br />

Euchloe - 96<br />

Euchloe bellezina - 96<br />

Eucladium verticillatum - 34<br />

Eucobresia - 99<br />

Eudarcia - 97<br />

Eumenes - 82<br />

Eupithecia - 97<br />

Eupithecia venosata - 97<br />

Euryopicoris nitidus - 91<br />

Eusphalerum - 104<br />

Eusphalerum albipile - 104<br />

Eusphalerum angusticolle - 104<br />

Eusphalerum annaerosae - 104<br />

Eusphalerum pulcherrimum - 104<br />

Euxoa - 97<br />

Euxoa culminicola - 111<br />

Euxoa decora - 97<br />

Euzonitis - 94<br />

Euzonitis quadrimaculata - 94<br />

Euzonitis terminata - 94<br />

Exocentrus lusitanus - 82<br />

Faggio - 81, 82<br />

Fagus sylvatica - 81<br />

Falco - 117<br />

Falco biarmicus - 83<br />

Falco pellegrino - 78, 117, 119,<br />

131, 136, 140<br />

Falco peregrinus - 117<br />

Falco tinnunculus - 117<br />

Felce bulbifera - 34<br />

Felce di Villars - 66<br />

Felce regale - 34<br />

Felcetta crespa - 61, 63, 67<br />

Felcetta delle Alpi - 47<br />

Felcetta dickieana - 47<br />

Felcetta fragile - 47, 53<br />

Felcetta lanosa - 47<br />

Festuca alpina - 45<br />

Festuca appenninica - 67<br />

Festuca austrodolomitica - 69<br />

Festuca delle Dolomiti - 45<br />

Festuca dimorpha - 67, 71<br />

Festuca laxa - 70<br />

Festuca stenantha - 70<br />

Fienarola ciondola - 63<br />

Fiordaliso della Busambra - 51<br />

Forficula apennina - 102<br />

Formica - 110<br />

Fringuello alpino - 121<br />

Galeopsis reuteri - 68<br />

Galium magellense - 71<br />

Galium margaritaceum - 70<br />

Galium montis-arerae - 69<br />

Galium noricum - 70<br />

Galium pseudohelveticum - 69<br />

Galium saxosum - 68<br />

Galium tendae - 68<br />

Geocoris grylloides - 103<br />

Geocoris lapponicus - 103<br />

Geum reptans - 62<br />

Gheppio - 117, 140<br />

Ginepro - 100<br />

Gipeto - 119, 136, 137<br />

Gipsofila strisciante - 63<br />

Glacies - 111<br />

Glacies alticolaria - 111<br />

Glacies canaliculata - 111<br />

Glacies coracina - 111<br />

Globularia delle Apuane - 39, 50<br />

Globularia incanescens - 39, 70<br />

Globularia neapolitana - 71<br />

Gloeocapsa - 28<br />

Gloeocapsa ralfsiana - 28<br />

Gloeocapsa sanguinea - 28<br />

Glomeris helvetica - 88<br />

Glyptobothrus - 89<br />

Glyptobothrus alticola - 90, 102<br />

Glyptobothrus binotatus daimai<br />

- 102<br />

Glyptobothrus brunneus<br />

brunneus - 102<br />

Glyptobothrus eisentrauti - 102<br />

Glyptobothrus mollis ignifer - 89<br />

Gnophos - 97<br />

Gnophos obfuscatus - 97<br />

Gracchio - 115<br />

Gracchio alpino - 115, 116, 140<br />

Gracchio corallino - 115, 116,<br />

136, 140<br />

Gramigna argentea - 63<br />

Gramigna dei ghiaioni - 63<br />

Granaria stabilei - 99<br />

Grimmia - 31, 32, 33, 35<br />

Grimmia alpestris - 32<br />

Grimmia anodon - 32<br />

Grimmia anomala - 32<br />

Grimmia apiculata - 32<br />

Grimmia arenaria - 32<br />

Grimmia atrata - 32<br />

Grimmia caespiticia - 32<br />

Grimmia crinita - 32<br />

Grimmia curviseta - 32<br />

Grimmia limprichtii - 32<br />

Grimmia montana - 32<br />

Grimmia ovalis - 32<br />

Grimmia pilosissima - 32<br />

Grimmia pitardii - 32<br />

Grimmia sessitana - 32<br />

Grimmia teretinervis - 32<br />

Grimmia tergestina - 32<br />

Grimmia torquata - 32<br />

Gypaetus barbatus - 119, 137<br />

Gypsophila repens - 63, 142<br />

Hadena - 97<br />

Hadula melanoma - 97<br />

Hadula odontites - 97<br />

Harpalus - 103<br />

Helianthemum - 105<br />

Helianthemum lunulatum - 68<br />

Helichrysum - 51<br />

Helichrysum frigidum - 51, 71<br />

Helichrysum montelinasanum -<br />

71, 135, 136<br />

Helichrysum nebrodense - 54,<br />

71<br />

Heracleum pyrenaicum ssp.<br />

orsinii - 71<br />

Herniaria litardierei - 71<br />

Hesperis laciniata - 105, 109<br />

Hieraaetus fasciatus - 83<br />

Hieracium intybaceum - 142<br />

Hieracium portanum - 71<br />

Hipparchia alcione - 97<br />

Hipparchia neomiris - 97<br />

Hipparchia statilinus - 97<br />

Holoarctia cervini - 111<br />

Hyles vespertilio - 111<br />

Hymenostylium recurvirostre - 34<br />

Hypnoidus consobrinus - 107<br />

Hypnoidus riparius - 107<br />

Hypnoidus rivularius - 107<br />

Hypnum dolomiticum - 33<br />

Hyponephele lycaon - 97<br />

Hypsoiulus alpivagus - 88<br />

Iberis - 96, 108<br />

Iberis nana - 68<br />

Iberolacerta horvathi - 114<br />

Isatis alpina - 68<br />

Ischyroptera bipilosa - 109<br />

Issopo a foglie cuoriformi - 55<br />

Italopodisma - 101<br />

Jovibarba - 44<br />

Jovibarba allionii - 68<br />

Jovibarba arenaria - 70<br />

Kickxia - 93, 105<br />

Lagopus mutus - 121<br />

Lanario - 83<br />

Larice - 105<br />

Laserpitium garganicum - 55<br />

Laserpitium gaudinii - 70<br />

Laserpizio del meridione - 55<br />

Lasius - 110<br />

Latipalpis plana - 82, 94<br />

Lavandula angustifolia - 92<br />

Lecanora - 30<br />

Leccio - 81, 82, 94<br />

Lecidea - 30<br />

Leiosoma - 109<br />

Leistus glacialis - 104<br />

153


154<br />

Leontodon anomalus - 70<br />

Leontodon montanus - 63<br />

Lepre - 125<br />

Lepre bianca - 124, 125<br />

Leptoiulus (Kolpophylacum)<br />

helveticus - 88<br />

Leptoiulus alemannicus - 100<br />

Leptoiulus riparius - 100<br />

Leptopterix - 97<br />

Leptothorax - 95<br />

Leptusa - 104<br />

Leptusa angustiarumberninae<br />

rosaorum - 104<br />

Leptusa areraensis - 104<br />

Leptusa baldensis - 104<br />

Leptusa braccati - 104<br />

Leptusa cavallensis - 104<br />

Leptusa ceresoleana<br />

ceresoleana - 104<br />

Leptusa fauciumberninae - 104<br />

Leptusa grignaensis - 104<br />

Leptusa knabli recticollis - 104<br />

Leptusa mandli - 104<br />

Leptusa manfredi - 104<br />

Leptusa montispasubii settei -<br />

104<br />

Leptusa montiumcarnorum -<br />

104<br />

Leptusa occulta - 104<br />

Leptusa piceata - 104<br />

Leptusa portusnaoniensis - 104<br />

Leptusa pratensis - 104<br />

Leptusa rhaetoromanica - 104<br />

Leptusa rosai - 104<br />

Leptusa sudetica - 104<br />

Leptusa tirolensis tirolensis -<br />

104<br />

Leptusa tridentina - 104<br />

Leptusa trumplinensis - 104<br />

Leptusa vallisvenyi - 104<br />

Lepus timidus - 124, 125<br />

Leucanthemopsis alpina - 109<br />

Leucanthemum atratum ssp.<br />

ceratophylloides - 68<br />

Leucanthemum atratum ssp.<br />

coronopifolium - 69<br />

Leucanthemum atratum ssp.<br />

halleri - 70<br />

Leucanthemum laciniatum - 71<br />

Leucostigma - 83, 99<br />

Leucostigma candidescens - 87<br />

Lichene - 145<br />

Licinus italicus - 104<br />

Ligusticum ferulaceum - 68<br />

Limonium morisianum - 71<br />

Linaiola alpina - 62, 63<br />

Linaiola bergamasca - 64<br />

Linaria - 93, 105<br />

Linaria alpina - 62, 63, 142<br />

Linaria tonzigii - 64, 69, 136<br />

Lithobius lucifugus - 89, 100<br />

Lithobius muticus - 100<br />

Lithobius nodulipes - 100<br />

Lithobius schuleri - 100<br />

Loiseleuria - 110<br />

Longitarsus obliteratoides - 108<br />

Longitarsus obliteratus - 108<br />

Longitarsus springeri - 108<br />

Lonicera stabiana - 71<br />

Lucertola - 114<br />

Lucertola di Horvath - 114<br />

Lucertola vivipara - 113, 114<br />

Lunaria annua - 92<br />

Lychnis - 97<br />

Macroglossum stellatarum - 97<br />

Macularia - 87<br />

Malcolmia orsiniana - 71<br />

Malthodes - 105<br />

Malthodes atratus - 106<br />

Malthodes atratus samniticus -<br />

106<br />

Malthodes penninus icaricus -<br />

106<br />

Malthodes trifurcatus - 105<br />

Malthodes trifurcatus<br />

atramentarius - 106<br />

Marasso - 114<br />

Marmorana - 83, 87<br />

Marmorana fuscolabiata - 87<br />

Marmorana globularis - 87<br />

Marmorana muralis - 87<br />

Marmorana nebrodensis - 87<br />

Marmorana platychela - 87<br />

Marmorana saxetana - 88<br />

Marmorana scabriuscula - 87<br />

Marmorana signata - 87<br />

Marmota marmota - 126, 127<br />

Marmotta - 108, 126, 127<br />

Marsupella - 33<br />

Medora - 83, 87<br />

Medora albescens - 87<br />

Medora dalmatina - 87<br />

Megasema ashworthii - 97<br />

Melanoplus frigidus - 101<br />

Meligethes - 92, 105<br />

Meligethes aeneus - 105<br />

Meligethes arankae - 105<br />

Meligethes chlorocyaneus - 93<br />

Meligethes devillei - 105<br />

Meligethes erysimicola - 92, 105<br />

Meligethes fumatus - 92<br />

Meligethes lindbergi - 82, 92<br />

Meligethes lunariae - 92<br />

Meligethes nuragicus - 82, 92<br />

Meligethes oreophilus - 105<br />

Meligethes reyi - 105<br />

Meligethes salvan - 105<br />

Meligethes scholzi - 82, 93<br />

Meligethes solidus - 105<br />

Meligethes spornrafti - 92<br />

Meligethes subaeneus - 92<br />

Meligethes subfumatus - 82, 92,<br />

105<br />

Meligethes tener - 93<br />

Meloe aegyptius - 106<br />

Meloe erythrocnemus - 106<br />

Melosira - 28<br />

Meringia vescicolosa - 81<br />

Mesoxyonyx osellanus - 81<br />

Metaxmeste – 97<br />

Metzgeria - 33<br />

Micrabris - 106<br />

Micrabris flexuosa - 106<br />

Micrabris pusilla - 106<br />

Microlestes - 92<br />

Micromeria cordata - 55<br />

Micromeria marginata - 68<br />

Milax - 99<br />

Millefoglio di Barrelieri - 67<br />

Minuartia austriaca - 70<br />

Minuartia cherlerioides - 70<br />

Minuartia graminifolia - 69<br />

Minuartia grignensis - 69<br />

Minuartia rupestris ssp.<br />

clementei - 69<br />

Minuartia verna ssp. grandiflora<br />

- 71<br />

Mitopus morio - 77<br />

Moehringia bavarica - 53<br />

Moehringia bavarica ssp.<br />

bavarica - 70<br />

Moehringia bavarica ssp.<br />

insubrica - 69<br />

Moehringia concarenae - 69<br />

Moehringia dielsiana - 69, 136<br />

Moehringia glaucovirens - 69<br />

Moehringia lebrunii - 68, 136<br />

Moehringia markgrafi - 69, 136<br />

Moehringia papulosa - 71, 81,<br />

136<br />

Moehringia sedifolia - 136<br />

Moehringia sedoides - 68<br />

Moltkia suffruticosa - 54, 70,<br />

136<br />

Monachella - 83<br />

Monticola solitarius - 83<br />

Montifringilla nivalis - 121<br />

Murbeckiella zanonii - 64, 70<br />

Mustela erminea - 125<br />

Muticaria - 83<br />

Mutilla europaea - 110<br />

Mylabris (Hyclaeus) variabilis -<br />

106<br />

Mylabris - 106<br />

Myrmeleotettix maculatus - 102<br />

Neagolius - 108<br />

Neagolius amblyodon - 108<br />

Neagolius liguricus - 108<br />

Neagolius limbolarius - 108<br />

Neagolius montanus - 108<br />

Neagolius penninus - 108<br />

Neagolius pollicatus - 108<br />

Neagolius schlumbergeri - 108<br />

Nebria germari - 104<br />

Nebria orsinii - 104<br />

Neophron percnopterus - 83<br />

Neoplinthus - 109<br />

Nilepolemis - 109<br />

Nostoc - 28<br />

Notholaena - 46<br />

Notholaena marantae - 47<br />

Nudaria mondana - 97<br />

Ocydromus - 104<br />

Ocys - 92<br />

Oedipoda - 101<br />

Oedipoda caerulescens - 101<br />

Oedipoda germanica - 98, 101<br />

Oenanthe hispanica - 83<br />

Oenanthe oenanthe - 120<br />

Oeneis glacialis - 111<br />

Oligolimax - 99<br />

Onobrychis - 96<br />

Onobrychis - 96<br />

Ontano - 129<br />

Opatrum dahli - 107<br />

Opatrum nivale - 107<br />

Oreas martiana - 33<br />

Oreina sibylla - 108<br />

Oreina viridis - 108<br />

Orenaia - 97<br />

Oreonebria - 104<br />

Oreopsyche - 97, 111<br />

Oreopsyche leschenaulti - 110<br />

Oreorhynchaeus - 108<br />

Oreorhynchaeus baldensis - 108<br />

Oreorhynchaeus focarilei - 108<br />

Oreorhynchaeus pacei - 109<br />

Oreorhynchaeus spectator - 109<br />

Orinocarabus - 92, 103<br />

Osellaeus bonvouloiri - 95<br />

Osellaeus bonvouloiri ssp.<br />

baldensis - 95<br />

Osellaeus bonvouloiri ssp.<br />

bonvouloiri - 95<br />

Osmunda regalis - 34<br />

Otiorhynchus - 109<br />

Oxyria digyna - 63, 142<br />

Oxytropis fetida - 69<br />

Paederota bonarota - 70<br />

Paederota lutea - 70<br />

Pagodulina - 99<br />

Papaver degenii - 71, 136<br />

Papaver ernesti-mayeri - 70<br />

Papaver kerneri - 70<br />

Papaver rhaeticum - 66<br />

Papavero alpino - 66<br />

Papavero delle Alpi Giulie - 66<br />

Papilio alexanor - 82, 96<br />

Papillifera - 83<br />

Parietaria - 82<br />

Parnassius apollo - 75, 84, 96,<br />

136<br />

Parnassius apollo pumilus- 96<br />

Passero solitario - 83<br />

Patrobus septentrionalis - 103<br />

Pecora - 108<br />

Pedicularis aspleniifolia - 70<br />

Pelenomus hygrophilus - 95<br />

Pellia - 33<br />

Pellia endiviifolia - 34<br />

Pernice - 108<br />

Pernice bianca - 121, 136<br />

Perpetuini del Limbara - 51<br />

Perpetuini del Monte Linas - 51<br />

Perpetuini delle Madonie - 54<br />

Petractis clausa - 30<br />

Pezzotettix giornai - 101<br />

Phenacolimax - 99<br />

Phoenicurus ochruros - 120<br />

Phyllotreta - 95<br />

Phyllotreta atra - 95<br />

Phyllotreta ganglbaueri - 95<br />

Physoplexis comosa - 53, 70,<br />

134, 136<br />

Phyteuma cordatum - 68<br />

Phyteuma hedraianthifolium -<br />

49, 69<br />

Phyteuma humile - 49, 69<br />

Phyteuma sieberi - 70<br />

Picchio muraiolo - 118, 119<br />

Pieris callidice - 96<br />

Pinguicula fiorii - 71, 81<br />

Pinguicula hirtiflora - 71<br />

Pinguicula poldinii - 70, 81<br />

Pinguicula reichenbachiana - 81<br />

Pino loricato - 95<br />

Pino mugo - 129<br />

Pinus - 94<br />

Pinus leucodermis - 95<br />

Plagiotylus ruffoi - 91<br />

Platycarabus - 103<br />

Platynus - 104<br />

Poa laxa - 63<br />

Podisma - 101<br />

Polistes biglumis bimaculatus -<br />

110<br />

Polyblastia - 30<br />

Polydesmus monticola - 100<br />

Polygala carueliana - 70<br />

Polygonia egea - 83<br />

Pontia callidice - 111<br />

Potentilla apennina - 54, 71<br />

Potentilla caulescens - 52, 53<br />

Potentilla clusiana - 70<br />

Potentilla crassinervia - 71<br />

Potentilla grammopetala - 69<br />

Potentilla nitida - 52, 70<br />

Potentilla saxifraga - 68, 136<br />

Preissia - 33<br />

Preissia quadrata - 34<br />

Primula - 48, 49<br />

Primula albenensis - 50, 69<br />

Primula allionii - 48, 68, 136<br />

Primula apennina - 50, 70<br />

Primula appenninica - 50, 55<br />

Primula del Monte Alben - 50<br />

Primula delle Grigne - 50<br />

Primula di Allioni - 48, 53, 81<br />

Primula di Recoaro - 50<br />

Primula grignensis - 50, 69<br />

Primula hirsuta - 55<br />

Primula irsuta - 55<br />

Primula marginata - 69<br />

Primula recubariensis - 50, 69<br />

Primula spectabilis - 53<br />

Primula tyrolensis - 69<br />

Pritzelago alpina ssp.<br />

austroalpina - 70<br />

Protoblastenia - 30<br />

Protoblastenia immersa - 30<br />

Protoblastenia incrustans - 30<br />

Prunella collaris - 120, 139<br />

Pseudobankesia - 97<br />

Pseudocraspedosoma<br />

grypischium - 100<br />

Pseudotergumia fidia - 97<br />

Psophus stridulus - 101<br />

Psylliodes instabilis - 108<br />

Psylliodes picipes - 95<br />

Psylliodes toelgi - 95<br />

Pterostichus - 103<br />

Ptilostemon niveus - 65, 71<br />

Ptilotrichum cyclocarpum - 54<br />

Ptyonoprogne rupestris - 117<br />

Pupilla - 99<br />

Pyramidula - 85, 86<br />

Pyramidula pusilla - 86<br />

Pyrrhocorax graculus - 115<br />

Pyrrhocorax pyrrhocorax - 115<br />

Quercus ilex - 81<br />

Racomitrium - 31<br />

Ranno delle Apuane - 54<br />

Ranno spaccasassi - 52<br />

Ranuncolo dei ghiacciai - 63<br />

Ranuncolo di Traunfellner - 64,<br />

70<br />

Ranunculus glacialis - 63, 142<br />

Ranunculus magellensis - 71<br />

Ranunculus traunfellneri - 64, 70<br />

Raponzolo del Carestia - 49<br />

Raponzolo di roccia - 134<br />

Raponzolo retico - 49<br />

Rhacocleis - 102<br />

Rhamnus glaucophyllus - 54,<br />

70, 135<br />

Rhamnus pumilus - 52<br />

Rhizobotrya alpina - 64, 69, 136<br />

Rhizocarpon - 30<br />

Rhizocarpon geographicus - 31<br />

Rhizotrogus - 94<br />

Rhododendron - 110<br />

Rhyacia helvetina - 97<br />

Robertia taraxacoides - 66<br />

Rododendro - 100<br />

Rohdendorfia alpina - 109<br />

Romice scudato - 62, 67<br />

Rondine montana - 117<br />

Rosalia alpina - 82, 136<br />

Rothenbuehleria minima - 100<br />

Rumex scutatus - 62<br />

Rupestrella - 83, 86<br />

Rupicapra pyrenaica ornata -<br />

123<br />

Rupicapra rupicapra - 122, 123<br />

Sagina pelosa - 65<br />

Sagina pilifera - 65, 71<br />

Salamandra - 113<br />

Salamandra alpina - 113<br />

Salamandra atra - 113<br />

Salamandra di Lanza - 113<br />

Salamandra lanzai - 113<br />

Salix crataegifolia - 70, 136<br />

Saponaria siciliana - 65, 71<br />

Saponaria sicula - 65, 71<br />

Sarromyia nubigena - 109<br />

Sassifraga a due fiori - 65<br />

Sassifraga alpina - 42, 43<br />

Sassifraga dei graniti - 55<br />

Sassifraga dell’Argentera - 43,<br />

48, 55<br />

Sassifraga della Val di Fassa -<br />

67<br />

Sassifraga gialla - 27<br />

Sassifraga meridionale - 53, 54<br />

Sassifraga piemontese - 55, 68<br />

Sassifraga ragnatelosa - 41, 49<br />

155


156<br />

Sassifraga valdese - 49<br />

Satureja montana - 92, 108<br />

Satyrus actaea - 97<br />

Satyrus ferula - 97<br />

Saussurea alpina ssp. depressa<br />

- 69<br />

Saxifraga - 7, 48, 64, 95<br />

Saxifraga aizoides - 27, 95<br />

Saxifraga ampullacea - 71<br />

Saxifraga aphylla - 70<br />

Saxifraga arachnoidea - 41, 53,<br />

69, 136<br />

Saxifraga biflora - 65<br />

Saxifraga burseriana - 70<br />

Saxifraga callosa - 53, 54, 69<br />

Saxifraga cervicornis - 71<br />

Saxifraga cochlearis - 68, 136<br />

Saxifraga cotyledon - 55<br />

Saxifraga crustata - 70<br />

Saxifraga depressa - 67, 69<br />

Saxifraga diapensioides - 69<br />

Saxifraga facchinii - 69<br />

Saxifraga florulenta - 43, 48, 68,<br />

136<br />

Saxifraga glabella - 71<br />

Saxifraga hostii - 70<br />

Saxifraga italica - 71<br />

Saxifraga lingulata vedere<br />

Saxifraga callosa - 53<br />

Saxifraga oppositifolia - 142<br />

Saxifraga paniculata - 42, 43<br />

Saxifraga paniculata ssp.<br />

stabiana - 71<br />

Saxifraga pedemontana - 55, 68<br />

Saxifraga petraea - 70<br />

Saxifraga porophylla - 71<br />

Saxifraga presolanensis - 69<br />

Saxifraga retusa ssp. augustana<br />

- 69<br />

Saxifraga sedoides - 70<br />

Saxifraga speciosa - 71<br />

Saxifraga squarrosa - 70<br />

Saxifraga tenella - 70<br />

Saxifraga tombeanensis - 69,<br />

135<br />

Saxifraga valdensis - 49, 69<br />

Saxifraga vandellii - 53, 69<br />

Sceliphron - 82<br />

Schistidium - 31<br />

Sciadia tenebraria - 111<br />

Scleranthus annuus ssp.<br />

aetnensis - 71<br />

Scleranthus vulcanicus - 71<br />

Scolitantides orion - 111<br />

Scytonema - 28<br />

Sedum - 44, 96, 109, 111<br />

Sedum aetnense - 71, 136<br />

Sedum alsinefolium - 68<br />

Sedum brevifolium - 71<br />

Sedum fragrans - 69<br />

Segestria - 83<br />

Segestria bavarica - 83<br />

Segestria florentina - 83<br />

Segestria senoculata - 83<br />

Selatosomus - 107<br />

Selatosomus aeneus - 107<br />

Selatosomus amplicollis - 107<br />

Sempervivum - 44, 96<br />

Sempervivum - 96<br />

Sempervivum arachnoideum -<br />

44<br />

Semprevivo ragnateloso - 44<br />

Senecio aetnensis - 71<br />

Senecio ambiguus - 71<br />

Senecio candidus - 71<br />

Senecio rupestris - 108<br />

Serica brunnea - 94<br />

Sesleria ovata - 70<br />

Setina - 97<br />

Siciliaria - 83, 87, 99<br />

Sideridis kitti - 97<br />

Silene - 97<br />

Silene a cuscinetto - 43<br />

Silene acaulis - 43<br />

Silene campanula - 68<br />

Silene cordifolia - 68<br />

Silene delle ghiaie - 62<br />

Silene elisabethae - 69, 136<br />

Silene glareosa - 142<br />

Silene lanuginosa - 70<br />

Silene quadrifida - 70<br />

Silene requienii - 71<br />

Silene rupestre - 55<br />

Silene rupestris - 55, 109<br />

Silene saxifraga var. lojaconoi -<br />

71<br />

Silene veselskyi - 70<br />

Silene vulgaris ssp. glareosa -<br />

62<br />

Sitaris muralis - 94<br />

Solatopupa - 83, 87, 99<br />

Solatopupa guidoni - 87<br />

Solatopupa juliana - 87<br />

Solatopupa pallida - 87<br />

Solatopupa psarolena - 87<br />

Solatopupa similis - 87<br />

Soldanella minima - 70<br />

Sordone - 120, 121, 139<br />

Sorex alpinus - 127<br />

Spaelotis senna - 97<br />

Spillone di Moris - 51<br />

Spiraea decumbens - 81<br />

Spiraea decumbens ssp.<br />

decumbens - 70<br />

Spiraea decumbens ssp.<br />

hacquetii - 69<br />

Spirea cuneata - 81<br />

Stachys annua - 108<br />

Stambecco delle Alpi - 72, 112,<br />

124, 136<br />

Standfussiana lucernea - 97, 111<br />

Staurothele - 30<br />

Staurothele immersa - 30<br />

Stellina di Gussone - 51, 54<br />

Stellina di Sardegna - 55<br />

Stenhomalus bicolor - 82<br />

Stenobothrodes cotticus - 89,<br />

102<br />

Stenobothrodes rubicundulus -<br />

102<br />

Stenobothrus apenninus - 102<br />

Stenobothrus fischeri - 102<br />

Stenoria - 94<br />

Stenoria analis - 94<br />

Stenoria apicalis - 94<br />

Stigonema - 28<br />

Stromatium unicolor - 82, 83<br />

Sympistis - 111<br />

Syngrapha devergens - 97<br />

Syngrapha hochenwarthi - 97<br />

Syntomus - 92<br />

Tabellaria - 28<br />

Tandonia simrothi - 99<br />

Telekia speciosissima - 53, 69<br />

Testediolum - 104<br />

Tetramorium - 110<br />

Tetrix bipunctata - 101<br />

Teucrium - 82, 91, 102, 103<br />

Teucrium chamaedrys - 102<br />

Teucrium flavum - 92, 102<br />

Teucrium massiliense - 92<br />

Teucrium montanum - 102, 103<br />

Teucrium scorodonia - 102<br />

Thelidium - 30<br />

Thlaspi alpestre - 70<br />

Thlaspi rotundifolium - 62, 63,<br />

65, 142<br />

Thlaspi rotundifolium ssp.<br />

cepaeifolium - 70<br />

Thlaspi rotundifolium ssp.<br />

corymbosum - 69<br />

Thlaspi rotundifolium ssp.<br />

grignense - 69<br />

Thlaspi stylosum - 65, 71<br />

Thymus - 105, 108<br />

Tichodroma muraria - 118, 119<br />

Tiglio - 82<br />

Toporagno alpino - 127<br />

Tortella - 31<br />

Tortella tortuosa - 33<br />

Tortula - 31<br />

Trachystyphlus alpinus - 109<br />

Trechus - 104<br />

Trechus strigipennis - 104<br />

Trentepohlia - 28<br />

Trentepohlia - 29<br />

Trichoferus holosericeus - 82<br />

Trichoferus spartii - 82<br />

Trinia - 96<br />

Trisetum argenteum - 63, 70<br />

Trisetum distichophyllum - 63<br />

Tychius - 109<br />

Tyrrheniberus - 83<br />

Umbilicaria - 30<br />

Vaccinum - 91<br />

Valeriana elongata - 70<br />

Valeriana saxatilis - 70<br />

Valeriana supina - 70<br />

Verrucaria - 30<br />

Vertigo - 99<br />

Vesicaria maggiore - 26<br />

Vicia cusnae - 68<br />

Viola - 64<br />

Viola argenteria - 64, 68<br />

Viola calcarata - 142<br />

Viola cenisia - 69<br />

Viola comollia - 64, 69, 136<br />

Viola del Mocenisio - 69<br />

Viola dell’Argentera - 64<br />

Viola di Comolli - 64<br />

Viola di Valdieri - 64<br />

Viola magellensis - 71, 136<br />

Viola valderia - 64, 68<br />

Vipera ammodytes - 114<br />

Vipera berus - 114<br />

Vipera dal corno - 114<br />

Wagneria alpina - 110<br />

Woodsia - 46, 47<br />

Woodsia alpina - 47<br />

Woodsia glabella ssp. pulchella<br />

- 47<br />

Woodsia ilvensis - 47<br />

Woodwardia radicans - 34<br />

Zerynthia polyxena - 136<br />

Zonitis - 94<br />

Zonitis flava - 94<br />

Zonitis nana - 94<br />

Zootoca vivipara - 113<br />

157


Gli autori ringraziano:<br />

Roberto Argano (isopodi)<br />

Maurizio Biondi (coleotteri crisomelidi)<br />

Alessandro Biscaccianti (coleotteri cerambicidi)<br />

Marco Bodon e Folco Giusti (molluschi)<br />

Marco Alberto Bologna (coleotteri meloidi)<br />

Attilio Carapezza (eterotteri)<br />

Giuseppe Maria Carpaneto ed Emanuele Piattella<br />

(coleotteri scarabeoidei)<br />

Enzo Colonnelli (coleotteri curculionoidei)<br />

Alessio De Biase (coleotteri falacridi)<br />

Massimiliano Di Giovanni (diplopodi)<br />

Simone Fattorini (coleotteri tenebrionidi)<br />

Paolo Fontana, Bruno Massa e Fabio Collepardo<br />

Coccia (ortotteri)<br />

Renato Gerdol (vegetazione dei ghiaioni)<br />

Cesare Lasen (endemiti delle Alpi orientali)<br />

Gianfranco Liberti (coleotteri meliridi, dasitidi e<br />

malachidi)<br />

Andrea Liberto (coleotteri buprestidi ed elateridi)<br />

Paolo Maltzeff (coleotteri)<br />

Iuri Nascimbene (licheni)<br />

Guido Pagliano (imenotteri)<br />

Graziano Rossi (endemiti insubrici)<br />

Stefano Scalercio e Alberto Zilli (lepidotteri)<br />

Augusto Vigna Taglianti (coleotteri carabidi e dermatteri)<br />

Adriano Zanetti (coleotteri stafilinidi)<br />

Marzio Zapparoli (chilopodi)<br />

Un ringraziamento, inoltre, a<br />

Maria Manuela Giovannelli, Erika Gozzi,<br />

Paola Sergo e Maura Tavano<br />

La responsabilità di quanto riportato nel testo,<br />

nonché di eventuali errori ed omissioni, rimane<br />

esclusivamente degli autori.<br />

Il volume è stato realizzato con i fondi del<br />

Ministero dell’Ambiente e della<br />

Tutela del Territorio.


Finito di stampare<br />

nel mese di marzo 2006<br />

presso la Graphic linea print factory - <strong>Udine</strong><br />

Printed in Italy

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