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00 cover_codice_armonico 5-03-2008 15:14 Pagina 1sempre crescenteverso le problematicheambientali e L’attenzionel’impatto delle attività umanesul territorio non possonoprescindere dalla conoscenzadel territorio stesso.Per questo motivo la ricercae lo studio di tutti gli aspettiscientifici, dalla geologia allabiologia, dalla chimica ambientalealle scienze naturali,diventano fondamentali.Questo volume, che raccoglie i contributi scientifici edivulgativi provenienti dal mondo accademico, istituzionale,museale e amatoriale, è il frutto della seconda edizionedel Congresso Codice armonico 2008, Congresso discienze naturali dedicato all’Ambiente toscano.CODICE ARMONICO 2008CODICE ARMONICO2008Secondo congresso di scienze naturaliAmbiente toscanoA cura diValentina Domenici, Alessandro Lenzie Elvezio MontesarchioEdizioni ETSETS


CODICE ARMONICO2008Secondo congresso di scienze naturaliAmbiente toscanoA cura di Valentina Domenici, Alessandro Lenzi e Elvezio MontesarchioEdizioni ETS


Questo volume è stato realizzato grazie al contributo di:Museo di Storia Naturale di Rosignano MarittimoComune di Rosignano MarittimoREA Rosignano Energia Ambiente spaTermoimpianti sncMuseo di Storia Naturale di Rosignano Marittimowww.musrosi.org - tel. 0586 767052 - info musrosi@tiscali.itComitato organizzatore:Alessandro Lenzi, Carlo Baldacci, Sara Baldacci, Bruno Brizzi, Carla De Santi, Valentina Domenici,Pierluigi Lenzi, Laura Leoni, Giacomo Luppichini, Elvezio Montesarchio, Pierpaolo Piombanti,Alessandro Riga, Marcello SantinelliComitato scientifico:Daniele Antonini, Massimo Antonini, Roberto Autieri, Bruno Brizzi, Pierdomenico burgassi,Gabriele Cacialli, Rita Cervo, Ferruccio Chiesa, Giorgio Culivicchi, Francesco Lenzi, Giacomo Lorenzini,Renzo Mazzanti, Paolo Orlandi, Carlo Pretti, Paolo Squarci© Copyright 2008EDIZIONI ETSPiazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisainfo@edizioniets.comwww.edizioniets.comDistribuzionePDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze]ISBN 978-884672019-1


indice1. Ricostruzione della dinamica idrogeologica dell’antica cassadi colmata Tanali (ANPIL Tanali, Comune di Bientina) 9M. Ambrosio, M.T. Fagioli, C. Curcio, R. Chierici, M. Lupi2. Risultati dell’indagine preliminare sul Sito di Interesse Regionale“Monte Pelato”, Rosignano Marittimo (LI) 20R. Branchetti, F. Sammartino3. Ripple marks e tracce fossili nelle formazioni del Cretaceo superioredel Rio Ardenza, Livorno 30F. Sammartino, M. Bisconti, A. Borzatti de Loewenstern, E. Carnieri4. Storia evolutiva tardo-olocenica del corso terminale del fiume Cecina 35G. Moratti, M. Benvenuti, M. Bonini, M. Ricci, C. Tanini, P. Squarci5. Raccontare la scienza 44Classe 4E Liceo Scientifico “Leonardo da Vinci”, Firenze6. Calanchi e biancane, suggestive forme d’erosione nelle argilledelle colline toscane 53G. Lari7. Rapida panoramica sullo sviluppo delle conoscenze geologichenella provincia di Livorno e dintorni dalla metà del secolo XX 61R. Mazzanti8. Modificazioni ambientali e faunistiche durante l’Olocene sull’Isoladi Pianosa (Arcipelago Toscano, Italia): le evidenze malacologiche 66E. Carnieri, M. Bisconti9. La xenodiversità animale delle acque interne italiane: la situazionein Toscana 70E. Tricarico, S. Cianfanelli, E. Lori, A. Nocita, F. Gherardi10. Nidificazione della Cicogna bianca (Ciconia ciconia) nel Comunedi Cascina (PI) 77E. Zarri11. Il comportamento di ovoposizione nella vespa sociale Polistesdominulus: preliminari indizi di un comportamento ritmico 83A. Cini, V. Lecat, T. Monnin12. Possibile attività pronuba svolta dall’ape (Apis mellifera:Hymenoptera, Apoidea) nell’impollinazione dell’olivo (Olea europaea) 89S. Marcucci, G. Flamini, M. Pinzauti, M. Conidi, L. Filippi,G. Bedini, A. Felicioli13. Analisi climatica dell’isola di Pianosa 94I. Nicotra, F.P. Vaccari, A. Crisci


14. Caratterizzazione geochimica dei suoli dell’area urbana di Sienaed utilizzo dei lombrichi come bioindicatori 103F. Nannoni, G. Protano, F. Riccobono15. Distribuzione, mobilità e biodisponibilità di Co, Cr, Cu, Ni, Sr e Znnel sistema roccia-suolo-pianta in Toscana meridionale 113S. Rossi, G. Protano, F. Riccobono16. Contenuti e distribuzione del tallio in suoli e piante spontaneedella Toscana meridionale 122A.Pisani, G. Protano, F. Riccobono17. Il biomonitoraggio degli inquinanti atmosferici: il caso dell’ozono 130C. Nali, G. Lorenzini18. Il capriolo (Capreolus capreolus L.) come bioindicatore della qualitàdell’ambiente in Toscana meridionale 138F. Baroni, L.A. Di Lella, A. Pisani, E Pizzetti, G. Protano, F. Riccobono19. L’evoluzione biologica nei percorsi e nei laboratori didatticidi zoologia e antropologia presso il Museo di Storia Naturaledel Mediterraneo di Livorno 146M. Bisconti, E. Carnieri, A. Roselli20. “I Musei narrano la Scienza”: un progetto educativo 153M.R. Ghiara, C. Petti, A. Mormone, M. Rossi21. La redazione della Carta dello Stato di Conservazione della Naturaa supporto della gestione naturalistica di un Sito d’ImportanzaComunitaria: il caso delle Colline delle Cerbaiee del Padule di Bientina 160S. Bacci, A. Bernardini, R. Corsi, F. Malfanti, M. Petrolo22. Le torbiere a sfagno della Lucchesia 166L. Zocco Pisana, R. Narducci, P.E. Tomei23. Dall’ambiente un aiuto per l’ambiente: l’impiego di biofitofarmaciper un’agricoltura sostenibile 170G. Vannacci, S. Sarrocco24. Il sistema di aree protette della Provincia di Livorno 175F. Ruggeri25. Una bellezza da salvaguardare: le Orchidee della costa toscana 183G. Baldassari26. Per una flora critica dei macromiceti nel territorio pisano 186R. Narducci, M. Marchetti, P.E. Tomei27. Chiave di determinazione del sottogenere Telamonia(Agaricales, Cortinarius) delle leccete toscane 190D. Antonini, M. Antonini28. Andar per funghi… in mare? 196G. Vannacci


29. Catture e rendimenti da pesca di reti da posta con differenticolorazioni nel litorale di Castiglioncello (LI) 202R. Silvestri, P. Sartor, R. Baino, B. Francesconi, M. Ria, M. Sbrana30. Caratteristiche delle catture del rombo di rena Bothus podas podas(Delaroche, 1809) 205M. Ria, R. Baino, R. Silvestri, F. Serena31. La metodologia CARLIT nell’ambito del monitoraggio marinocostiero del litorale toscano 210D. Pelli, E. Cecchi32. Le Secche della Meloria: un fiore all’occhiello del mare toscano 218A.M. De Biasi, L. Pacciardi33. Studio sulle presenze fitozoobentoniche in due aree situatetra Capo Pero e l’Isola di Palmaiola individuate come possibili sitiper il deposito di piloni in cemento armato antipesca a strascico 221R. Bedini, M. Pertusati, F. Batistini34. Riproduzione ed allevamento dell’Octopus vulgaris in Toscana:ricerche e risultati nel periodo 2002-2007 229F. Lenzi, T. De Wolf, S. Lenzi35. Studio sulla popolazione e sulle abitudini alimentari di Galeusmelastomus (Rafinesque, 1810) nel Mar Ligure Sud-orientale 237G. Bulgheri, M. Scali, A. Voliani36. L’invasione delle specie aliene e i cambiamenti climatici globali:l’esempio di Caulerpa racemosa var. cylindracea sulle coste italiane 243L. Pacciardi, A.M. De Biasi37. Controllo ambientale sulla biometria e demografia di coralli solitarinel mar Mediterraneo 248S. Goffredo, E. Caroselli, E. Pignotti, G. Mattioli, F. Zaccanti38. Diversità delle comunità fitoplanctoniche nelle acque costiere toscane 258S. Cappella, C. Nuccio, L. Lazzara39. Il Pesce San Pietro 268G. Neto40. La Mazzancolla 270G. Neto41. Le Torpedini 272G. Neto42. Cervello umano: quale destino? 274F. ChiesaIndice alfabetico delle parole chiave 283Indice degli Enti rappresentati 287


Se dovessi pensare a quale ragione ci ha spinto ancora una volta a proporre la secondaedizione di questo congresso, potrei dire solo questo: una sana ostinazione e perseveranza,una autentica passione per la scienza e la divulgazione che accomunatutti coloro che hanno contribuito alla organizzazione. Dovendo però fare una prefazionenon posso fare a meno di pensare alla mia personale esperienza di cultore delle scienzenaturali e di socio fondatore della Associazione «Amici della Natura Rosignano» e per farquesto partirò dal nostro Museo di Storia Naturale che ha sede in una scuola, la scola elementare«Europa» di Rosignano Solvay. Il nome adesso è del tutto normale, ma negli sessanta,quando fu costruita, questo nome, fu una autentica sfida. Si cominciava a parlare diEuropa, si capiva che quegli orizzonti che sino pochi anni prima qualcuno aveva credutodi aprire ed estender, anzi, di squarciare letteralmente con quella sciagurata vicenda dellaseconda guerra mondiale, ora si potevano dischiudere con il dialogo e la cultura. Quellascuola divenne allora, l’emblema di questa sfida. Non fu dunque un caso che fosse chiamatoa dirigerla un uomo dotato di talento e di grandi visioni, il professor Aldo Benincasa.Io in quegli anni frequentavo questa scuola, magica, bellissima, moderna, con ogniclasse intitolata ad un paese europeo, grecia, iberia, regione danubiano carpatica, sveziae così via. Il Professore ci aveva abituato ad imparare le cose ascoltando grandi personaggi,esploratori, scrittori e scienziati come Thor Heyerdahl, Bruno Vailati, Folco Quiliciche vennero a tenere conferenza a noi, dei bambini, a noi che forse non capivamo a fondociò che ci dicevano ma che eravamo una scommessa per il futuro. Eravamo allora comedei piccoli acusmatici dell’antica scuola pitagorica. Ascoltavamo per utilizzare in futurogli argomenti che ci venivano forniti. Da allora la curiosità per il sapere mi ha rapito e laconservo viva anche nelle mie iniziative presso il Museo di Storia Naturale di RosignanoSolvay oltreché nell’ambito professionale. È con questo spirito, o se volete con questo‘sacro fuoco’ di conoscenza, che abbiamo organizzato questo congresso; con la precisavolontà di dare occasione a tutti coloro che sono studiosi di scienze naturali, siano essidel mondo accademico o studiosi animati da spirito scientifico, di comunicare i risultaidelle proprie ricerche, svolte con passione e con quella curiosità che anima da semprel’uomo, la ricerca del perché delle cose, la ricerca dei meccanismi che regolano la naturache noi, un po’ poetizzando abbiamo chiamato ricerca del ‘codice armonico’.Rosignano, 3 Marzo 2008Museo di Storia Naturale di Rosignano SolvayAssociazione Amici della Natura Rosignanoil Presidente Alessandro Lenzi7


1 / Sez. ScientificaRicostruzione della dinamica idrogeologicadell’antica cassa di colmata Tanali(ANPIL Tanali, Comune di Bientina)Michele Ambrosio 1 , Maria-Teresa Fagioli* 1 , Chiara Curcio 1 , Roberta Chierici 2 , Matteo Lupi 3Parole chiave: idrogeologia, aree umide, statisticaL’oasi del Tanali è quanto rimane di una cassa di colmata abbandonata e completamente rinaturalizzata,con aspetti floro-faunistici molto prossimi a quelli originali dell’ambiente umido perilacustre dell’anticolago di Bientina, sede di endemismi faunistici.Negli ultimi due decenni è stata notata una marcata riduzione sia della superficie che dei tempi di permanenzadei corpi idrici superficiali che ne caratterizzavano le zone umide nei periodi piovosi.Per quantificare il fenomeno, che minaccia la conservazione della biodiversità del biotopo, e progettareadeguate contromisure è stata avviata un’indagine dettagliata dell’idrogeologia dell’area in relazioneal suo interno ed alle precipitazioni meteorologiche.La ricostruzione della dinamica idrogeologica dell’oasi è stata ottenuta attraverso lo studio stratigraficodi dettaglio su una rete di sondaggi superficiali, appositamente realizzati, e l’analisi dei rapporti fra lavariazione dei livelli della falda superficiale, in continuità con i corpi idrici liberi, e gli apporti meteorici.L’analisi comparata di freatimetrie mensili e piovosità giornaliere ha identificato differenti zone i cui livellifreatici si correlano con le precipitazioni con ritardi compresi fra i tre ed i quattro mesi.La zonazione idrogeologica concorda con l’eterogeneità areale dei terreni, già riscontrata dalle stratigrafie,e indica negli apporti sotterranei provenienti dal prospiciente fianco del Monte Pisano la principalefonte di ricarica idrogeologica.Gli apporti superficiali che storicamente alimentavano la cassa di colmata risultano ad oggi avere effettimoderati ed effimeri.Lo sviluppo successivo del lavoro con la quantificazione dei fenomeni osservati, attraverso modellazionenumerica, consentirà il collaudo comparativo virtuale delle contromisure possibili per mitigare lacrisi idrica dell’Oasi.IntroduzioneLa tutela della biodiversità di aree di riconosciutointeresse naturalistico ha come presupposto imprescindibile,comprendere il mantenimento dellecondizioni fisiche peculiari di ciascun habitat. Per learee umide la stessa persistenza di superfici di acqualibera (chiari) può essere minacciata da un’ampia varietàdi cause, sia naturali che di origine antropica.L’ANPIL di Tanali è un’area le cui caratteristicheidrogeologiche derivano da azioni antropiche inizialmentemirate alla sua trasformazione da areaumida ad area stabilmente emersa, da dedicarsi allecoltivazioni.Il parziale fallimento del tentativo, ed il conseguenteabbandono pluridecennale, hanno consentito una rinaturalizzazioneche ha riprodotto un ambiente moltoprossimo a quello dell’originaria fascia perilacustre.9


Nell’ultimo decennio è stata osservata una progressivariduzione dei tempi di permanenza e delle dimensionidei chiari, con conseguente minaccia per lasopravvivenza di flora e fauna che li abitano.Per studiare specifiche contromisure al fenomeno osservato,nell’ambito di una collaborazione fra AFgtc eLega Ambiente Valdera (gestore dell’Oasi), è statoorganizzato ed eseguito uno studio idrogeologico didettaglio esteso nell’arco di un anno idrologico.Risultati e valutazioni, hanno consentito di produrreun modello concettuale della circolazione idrica sotterraneae superficiale dell’area, che costituirà la baseper una modellazione numerica quantitativa, indispensabileper progettare e quantificare le contromisurecollaudandole preventivamente in modo«virtuale».Inquadramento idrogeologico dell’area e cennipaleogeograficiLa pianura Bientinese (figura 1) può considerarsi, inprima approssimazione, fin da epoca Pleistocenica,come l’ultimo tratto della valle del fiume Serchio,quando questo (fino ad epoca medievale) confluiva,almeno parzialmente ed occasionalmente, in Arno.Come la maggior parte della pianura di Pisa, l’area èstata interessata dalle trasgressioni marine, chel’hanno a tratti trasformata in un vasto golfo di maresottile (Sinus Pisanus) che ha occupato a più riprese,sin dal Pliocene Superiore, l’intera pianura pisana finoltre l’attuale abitato di Pontedera.Dal termine dell’ultima glaciazione, circa 14000 annifa, fino all’età etrusca, il fiume Auser (il Serchio deglietruschi e dei romani), che non tagliava ancora versoil mare attraverso la soglia di Ripafratta, correva lungola piana ad est del Monte Pisano, ma la sua confluenzain Arno veniva progressivamente ostacolatadal sovralluvionamento generato dall’Arno stesso.L’Arno, infatti, correva pensile, sbarrando sia il proprioaffluente Auser, che tendeva quindi a tracimareda Ripafratta, sia l’ultimo tratto, pianeggiante, dellasua valle, che si impaludava e rimaneva sommersosempre più a lungo.Il Lago di Bientina si è quindi originato come lago disbarramento da sovralluvionamento, ad opera dell’Arno,occupando dall’epoca etrusca fino al diciottesimosecolo l’area morfologicamente depressa tra i rilievidel Monte Pisano ad ovest e delle Cerbaie ad est.Probabilmente sin da epoca romana, e sicuramenteda epoca tardo medievale, vari raggruppamenti diFigura 1: Ubicazione dell’area di studio.umani hanno tentato, di volta in volta, di alzare o abbassareartificialmente il livello del lago, sia per finiagronomici che di navigabilità, che politici e militari(l’area era al punto triplo di confine tra territorio pisano,lucchese e fiorentino, e più volte lo stratega diturno ha cercato di usare il lago per affogare «il nemico»fosse esso assediato o assediante).gli autori1 AF Geoscience and TechnologyConsulting s.r.l. Campo (PI)afconsulting@afgtc.com2 Libera professionista Volterra (PI)robertach@interfree.it3 Borsista Heriot-Watt University(Edinburgh) matteo.lupi@email.it* autore per corrispondenza10


Ricostruzione della dinamica idrogeologica dell’antica cassa di colmata Tanali (ANPIL Tanali, Comune di Bientina)Alla metà del diciannovesimo secolo, immediatamenteprima dell’unità d’Italia, con un grandioso e,per l’epoca, audacissimo progetto, il Granducato diToscana faceva aprire un sottopasso idraulico (detto«La Botte») al di sotto del letto dell’Arno per consentirelo svuotamento del lago verso i bassopiani e lepaludi di Coltano e di Calambrone che all’epoca circondavanoa nord e ad est la città di Livorno.L’opera, tuttora efficiente ed in esercizio, non haperò mai garantito il costante mantenimento all’asciuttodell’intera area dell’ex bacino lacustre, e solonegli ultimi sessanta o settant’anni, con l’impiego diimpianti idrovori, il prosciugamento è stato completato,ferma restando la frequente sommersione invernaledelle parti morfologicamente più depressedella conca dell’ex lago.L’oasi di Tanali (cassa di colmata e problematiche)L’attuale oasi naturalistica «Bosco di Tanali» (figura2) è ubicata ai piedi del fianco orientale dei Monti Pisanial margine dell’antico lago di Bientina; essacomprende una cassa di colmata realizzata agli inizidel XX secolo con il doppio scopo di laminare i picchidi piena del rio Tanali e del rio della Valle degli Alberi(corsi d’acqua a regime torrentizio che drenano ilfianco orientale del Monte Pisano) consentendone ildeflusso regimato attraverso il canale Emissario eFigura 2: Ubicazione dell’’Oasi di Tanali.Figura 3: Ubicazione dei sondaggi stratigrafici epiezometri.catturare i sedimenti, da detti torrenti trasportati,utilizzandoli per innalzare il livello del terreno e prevenirnela periodica sommersione in previsione dellasua messa a coltura.Il primo obiettivo è stato pienamente raggiunto, mentreil secondo, stante la modesta quantità del trasportosolido dei due rii affluenti è fallito poiché i tempi diultimazione del colmamento sono risultati troppo lunghiper mantenere un significato economico.Neppure i tentativi di frazionare il colmamento, dicui restano le vestigia degli arginelli interni alla cassa,hanno avuto successo.Una concausa del fallimento della bonifica può essereindividuata nella subsidenza generalizzata che hainteressato l’intera conca lacustre prosciugata a causadelle riduzioni delle pressioni neutre all’internodei sedimenti lacustri ed alla loro conseguente compattazioneper i fenomeni di sovraconsolidamentoconseguenti l’emersione. Evidenza del fenomeno èemersa anche dallo studio delle sezioni stratigraficheche mostrano un abbassamento di circa 1m delleporzioni di sedimenti di colmata che poggiano sul lacustrerispetto a quelle con al letto i depositi grossolanidi conoide.11


Metodi sperimentaliL’area della cassa di colmata del Tanali, benché giàoggetto di studi di tipo naturalistico su flora e fauna,non risultava essere mai stata indagata, specificamente,dal punto di vista idrogeologico.La mancanza di dati bibliografici, ha imposto un’indaginedi campagna, mirata anche alla ricostruzionestratigrafica di base, almeno dei depositi più superficialiche ospitano la falda i cui affioramenti costituisconole aree umide d’interesse.Di seguito sono riportate le fasi del lavoro di terreno:• Rilievo planimetrico GPS degli elementi morfologiciminori non presenti nella cartografia esistente(fossi, arginelli interni alla cassa).• Esecuzione di n. 18 sondaggi superficiali (eseguiticon campionatore per suoli di tipo Edelmann e carotatorecontinuo inguainante AF) con profondità da 2 a9 m, ciascuno attrezzato con piezometri a tubo aperto.Lettura diretta sul campo dei campioni ed interpretazionestratigrafica. L’ubicazione dei sondaggistratigrafici (figura 3)è stata fortemente controllatadalle necessitàlogistiche di raggiungibilitàe di minimizzazionedell’impatto sull’assettovegetazionaleesistente; queste esigenzehanno limitatola possibilità di distribuirea maglia regolarei punti di campionamentoe misura ma taledisomogeneità nonè stata ritenuta criticaviste le ridotte dimensionidell’area ed il relativamentealto numerodi sondaggi.• Rilievo altimetricodelle teste dei piezometrimediante livellazionetecnica dalmezzo.• Campagne freatimetriche,con cadenzamensile, sui piezometri(misurazioni dagiugno 2006 a maggio2007).I dati ottenuti in campagna sono stati sistematizzatisu GIS. La successiva elaborazione ha comportatol’interpretazione e la correlazione delle stratigrafie,la costruzione delle carte isofreatiche mensili (integratecon il metodo Natural neighbor), lo studio statisticodelle relazioni fra le serie temporali freatimetrichedi ciascun piezometro e le pluviometrie giornalieredelle due stazioni metereologiche più prossimedi San Giovanni alla Vena e Monte Serra.StratigrafiaLa porzione direttamente indagata di sottosuolo dellacolmata di Tanali risulta a microscala piuttostocomplessa, mentre a mesoscala può essere ragionevolmentesintetizzata in 4 orizzonti; essi vengono descrittidi seguito dal più superficiale al più profondo.La figura 4 riporta alcune stratigrafie significativeeseguite nell’area di studio.Figura 4: Sezioni stratigrafiche: Sez. R ed M rappresentative del pedemonte,Sez. E ed S rappresentative dell’area centrale della colmata.12


Ricostruzione della dinamica idrogeologica dell’antica cassa di colmata Tanali (ANPIL Tanali, Comune di Bientina)• Orizzonte superficiale ricco di materia organica:Orizzonte ad elevatissima componente organica esubordinata componente minerale a granulometrialimosa. Questo orizzonte, fortemente pedogenizzatoin superficie, risulta arealmente molto variabile siain spessore (da 30 cm fino ad 1 m) che nella percentualedi componente organica. La conducibilitàidraulica varia da media ad elevata in funzione dellapressoché totale assenza di compattazione della suacomponente organica costituita quasi esclusivamenteda resti di vegetazione erbacea palustre. Si trattadi un deposito recentissimo, sin ma soprattutto postcolmamento, in cui gli apporti di sedimento risultanoestremamente subordinati rispetto all’accumulo dimateria vegetale autoctona.• Orizzonte di colmata:Orizzonte a totale composizione minerale, con granulometriaprevalentemente limo argillosa ma conlocale occorrenza di livelletti ghiaiosi o sabbiosi subcentimetrici,più frequenti in prossimità del pedemonte.Gli spessori sono molto variabili da 0.2 m ad 1m, fino a 0 in alcuni sondaggi. Si tratta di un depositodi colmata i cui spessori sono stati controllati dallequote topografiche della superficie preesistente e legranulometrie dalla maggiore o minore prossimitàcon il punto d’immissione delle onde di piena.La conducibilità idraulica è molto bassa ma risultafortemente anisotropa, con valori pressoché nulli inverticale e medi in orizzontale.• Orizzonti di limi e torbe:Orizzonte potente, con spessore variabile dai 2 ai 7m, costituito mediamente dal 70% di sedimento limosoe per il restante 30% da frammenti di vegetazioneprevalentemente erbacea palustre ma occasionalmenteanche arborea, dispersi nella matrice limosa.L’orizzonte risulta sempre molle e poco consolidato.Si riconoscono almeno due livelli totalmente torbosi,probabilmente rappresentanti episodi di prolungataemersione, in una sequenza prevalentemente palustre.Non sono rari livelletti sabbiosi, di sabbia sciolta,di potenza subdecimetrica; unici livelli a permeabilitàmedio-alta all’interno di un orizzonte nell’insiemeben poco permeabile.Ancora una volta la conducibilità idraulica è fortementeanisotropa, molto bassa in verticale, media inorizzontale.Questo orizzonte, in prossimità del pedemonte, risultaeteropico e spesso intercalato con livelli dighiaia e sabbia a matrice limosa privi di componenteorganica, con ogni probabilità derivanti da una maggiorprossimità delle zone di provenienza del trasportosolido. L’intero orizzonte è ascrivibile ad unciclo di sedimentazione, a carattere prevalentementepalustre precedente il colmamento.• Orizzonte di argilla limosa lacustre:Si ritrova solo in alcuni sondaggi a profondità superioriai 2 m. È costituito in prevalenza da argille grigie,molli, microstratificate, con frequenti intercalazionidi limo e rare di torba. La permeabilità del depositoè molto bassa. Questo orizzonte è stato considerato,nel presente studio, come il basamento impermeabiledella sequenza studiata, anche se a rigore,non si può escludere, nei tempi lunghi, una suamoderata capacità di scambio idrico.Dall’esame delle correlazioni stratigrafiche (figuraFigura 5: Sezioni stratigrafiche correlate.13


5) si sono potuti osservare i rapporti stratigrafici frainterno ed esterno della cassa di colmata e fra latopedemonte e zona più prossima alla conca lacustre.Le sezioni della figura 5 (realizzate con scala delle altezzeesagerata 30:1 rispetto all’orizzontale) mostranoun relativamente brusco approfondimento dell’orizzontedi colmata. È ragionevole supporre che taleorizzonte si sia sedimentato in piano o su una superficiea debolissima pendenza. La relativamente bruscavariazione di quota (circa 1m) può essere, in primaapprossimazione, attribuita a compattazione differenzialedei sottostanti limi torbosi; compattazionedifferenziale indotta dalla progressiva riduzione dellepressioni neutre e dalla compattazione del sottostanteorizzonte di torbe e limi, conseguenza di lungotermine del prosciugamento del lago e del crescentecarico litostatico dei materiali di colmamento.FreatimetrieLe misure freatimetriche mensili sono riportate in tabella3 mentre la figura 6 riporta una selezione dellecarte freatimetriche più significative dell’andamentodella falda superficiale.Il deflusso sotterraneo risulta seguire, in linea dimassima, un andamento da est ad ovest in accordocon i gradienti topografici dell’area e con la presenza,ad est del rilievo del Monte Serra (zona di ricarica)ed ad ovest del canale Emissario che agisce dadrenaggio.L’escursione totale della falda, nel corso dell’annoidrologico, risulta di poco superiore ad 1.6 m. In dettagliosi può notare il periodico formarsi (giugno2006, febbraio 2007, maggio 2007) di un innalzamentodei livelli piezometrici nella zona centrale dellaTabella 1: Misure freatimetriche mensili.FREATIMETRIE (mm s.l.m.)PiezometroCoordinateGauss-BoagaQuotapiezometro(mm s.l.m.)Giugno-06Luglio-06Agosto-06Settembre-06Ottobre-06Dicembre-06Gennaio-07Febbraio-07Marzo-07Aprile-07Maggio-07ABCDFGHILMPQRSTUET1W1630524.03 ;4845617.631630660.61 ;4845600.401630750.68 ;4845580.271630784.14 ;4845660.761630909.86 ;4845899.531630871.80 ;4846007.161630804.94 ;4845971.891630620.44 ;4845878.731630597.83 ;4845910.391630427.16 ;4845753.351630587.30 ;4845756.411630547.19 ;4845839.761630477.21 ;4845665.251630816.90 ;4845765.651630460.70 ;4845420.411630589.07 ;4845414.621630674.69 ;4845721.151630502.61 ;4845416.101630630.36 ;4845550.674162 4692 2882 2712 2482 2273 2822 3112 3812 3772 3552 34224634 3854 3594 3304 3254 3274 4834 4264 4634 4394 4134 41144270 3820 3520 3380 3510 3520 4570 4270 4540 4270 4150 42204191 3671 3301 3111 3171 3231 4691 4111 4521 4191 4191 41913660 3220 2780 -- -- -- -- -- -- -- -- --3670 3230 2870 -- 2450 2547 3920 3670 3970 3670 3500 35303644 3324 2854 2594 2554 2614 3894 3694 3844 3644 3544 35244168 3638 3398 3228 3318 3298 4148 3838 4138 3898 3798 37785731 5331 4931 4661 4751 4731 5491 5561 5691 5651 5481 54919907 8347 8347 8347 -- -- -- -- -- -- -- --5339 4229 4149 3969 3889 3839 4909 4989 5339 5489 4809 52896157 5407 5107 4727 4507 4517 5507 5567 5737 5627 -- --8262 6782 6432 6442 6382 6262 7022 7082 7722 7622 7342 72624141 3791 3551 3331 3311 3351 4641 4141 4471 4141 4161 41416330 -- -- 4720 4870 -- -- -- -- -- -- --6599 -- -- 5049 -- -- -- -- -- -- -- --4191 -- -- -- -- -- -- -- -- -- -- --6330 -- -- -- -- -- -- 5740 5790 5680 -- --6599 -- -- -- -- -- -- -- 6289 5809 5669 578914


Ricostruzione della dinamica idrogeologica dell’antica cassa di colmata Tanali (ANPIL Tanali, Comune di Bientina)Figura 6: Carte delle freatimetrie.cassa di colmata, mentre pressoché sistematicamentei suoi fianchi nord e sud (nord in particolare) nonmostrano variazioni di rilievo. Nelle carte piezometrichedi Fig 6 ciò è evidenziato dal periodico avanzaree ritrarsi di una protuberanzadelle curveisofreatiche; tale avanzamentorisulta marcatamentediacrono rispettoai periodi dimassima precipitazione(figura 7) e non puòquindi essere direttamenteriferito all’afflussosuperficiale deirii Valle degli Alberi eTanali.Dall’andamento regolaredei livelli freaticinei piezometri si differenzianettamente ilpiezometro A.Questo comportamentopuò esserespiegato con la sua posizionein un puntoidraulicamente complesso;esso infatti èmolto prossimo all’ingressodel tratto artificialedel rio Tanali nellacassa di colmata.L’ingresso è marcatodalla presenza di unponte in muratura lecui fondazioni agisconodi fatto da sfioratoree, subito prima delponte, l’alveo artificialedel Tanali è sottopassatoda una chiavicache collega direttamenteil microbacinoin sinistra del rio con ildrenaggio esterno allacassa che raggiungedirettamente il canaleEmissario. L’andamentofreatimetricodel piezometro A (internoalla cassa) suggerisceuna marcata influenza locale di detto nodoidraulico; influenza che esula dal suo funzionamentodi progetto disturbando al contempo il normale andamentodella falda all’interno dell’Oasi.15


Relazione falda/piovositàFigura 7: Istogramma pioggie medie A) giornaliere e B) mensili per le stazionidi Monte Serra e San Giovanni alla Vena.In prima approssimazione,i fattori principaliche controllanol’andamento della faldasuperficiale nell’Oasisono: gli apportidiretti sia per precipitazionimeteorichesulla zona che per gliafflussi dei due rii chevi sfociano, la ricaricalaterale sotterranea el’andamento generaledella falda dell’interoalveo dell’ex lago diBientina.Per una prima valutazionedegli effetti di ricaricadiretta e ricaricasotterranea si è procedutoad un’analisistatistica delle relazionifra freatimetria epiovosità derivanti dalledue stazioni pluviografichepiù prossime(Monte Serra e SanGiovanni alla Vena).L’analisi degli effettidel terzo componente(strettamente correlatoal deflusso) saràpossibile solo dallostudio dei risultati dellamodellazione numerica attualmente in corso. Almomento si considereranno quindi, solo gli effettidella ricarica.Gli effetti della ricarica diretta e sotterranea sonostati indagati calcolando la correlazione delle seriecronologiche freatimetriche di ciascun piezometrocon l’andamento delle precipitazioni medie giornaliere(Stazioni Monte Serra e San Giovanni alla Vena)per intervalli di tempo crescenti precedenti ciascunamisura (giorni 5, 15, 30, 45, 60, 75, 90, 105, 120, 135,150, 165, 180).La figura 8 mostra per le stazioni Monte Serra e SanGiovanni alla Vena i diagrammi dei coefficienti dicorrelazone contro l’ampiezza dell’intervallo di temposu cui sono state mediate le precipitazioni mediepregresse.Dall’analisi multivariata delle correlazioni esistentifra piezometrie, piovosità del Monte Serra e piovositàdi San Giovanni alla Vena è risultato che la serietemporale meglio correlata con le piezometrie èquella del Monte Serra per cui di seguito si descriveràin dettaglio solo quest’ultima.I periodi di significativa correlazione fra serie temporalifreatimetriche e pluviometrie medie pregressesono risultati 105 e 135 giorni; a 5 giorni si riscontraun picco secondario, non uniforme per tutti i piezometrie chiaramente riconducibile agli apporti diretti.I picchi significativi a 105 e 135 giorni permettono didistinguere due famiglie di piezometri che peraltro16


Ricostruzione della dinamica idrogeologica dell’antica cassa di colmata Tanali (ANPIL Tanali, Comune di Bientina)riflettono una zonazione areale di punti di misura (figura9); con comportamento intermedio fra i duegruppi si osserva solo il piezometro G, all’estremonord-est dell’area, con picco a 120 giorni.La correlazione ottimale per i piezometri più prossimial monte (R, P, Q, L) si ha con le precipitazioni mediegiornaliere pregresse di 135 giorni mentre per ipiezometri (B, C, D, S H, I) ubicati sul lato della cassaverso la conca lacustre, si hanno per precipitazionimedie giornaliere pregresse di 105 giorni.Questo comportamento può essere spiegato conun’influenza prevalente di ricarica laterale (tempimaggiori) proveniente dal Monte Serra per il gruppodi piezometri del pedemonte e con una ricarica sempreprevalentemente laterale ma con significativacomponente legata ad apporti superficiali ed infiltrazionediretta per i piezometri ubicati verso il bacinolacustre.Viste le ottime correlazioni rilevate si è ritenuto opportunoper il piezometro più significativo di ognigruppo (piezometro C per il gruppo verso la concaFigura 8: Diagrammi dei coefficienti di correlazione freatimetria contro l’intervallotemporale di precipitazione media pregressa per le stazioni di a)Monte Serra e b) San Giovanni alla Vena.lacustre e piezometro R per il gruppo al pedemonte)calcolare le rette di regressione lineare delle precipitazionimedie pregresse (ai rispettivi tempi significativi)contro la serie temporale piezometrica.Le equazioni delle rette di regressione, rappresentatein figura 10 ed i rispettivi parametri statistici sono:Serietemp.C = 3222.09 + 252.956*MS105Coefficiente di Correlazione = 0.960455R 2 = 92.2473 %Errore Standard della Stima. = 129.475Errore assoluto medio = 99.3847P Durbin-Watson = 2.21163 (P=0.5183) No autocorrelazioneSerietemp. R = 5911.05 + 337.12*MS135Coefficiente di Correlazione = 0.960173R 2 = 92.1933 %Errore Standard della Stima. = 152.209Mean absolute error = 108.875Errore assoluto medio = 1.74059 (P=0.2137) No autocorrelazioneI dati statistici per ledue regressioni indicanoche c’è una significativacorrelazionefra serietemp.C edMS105 e fra serietemp.Red MS135 al95.0% di confidenza.I valori di R 2 sempremaggiori del 92% indicanoun buon fittingmentre il coefficientedi correlazione > di0.96% indica forte relazionefra le variabili.Le equazioni sonoquindi direttamenteimpiegabili per prevedere,sulla base dellepiogge pregresse, i livellipiezometrici attesiper aree significativeall’interno dell’Oasi.Nella successiva fasedi modellazione questorisultato intermediopotrà venir tradottoin simulazioni previsionalidell’anda-17


Il regime idraulico originario del progetto della cassadi colmata risulta ad oggi totalmente superato dall’evoluzioneidrogeologica e dalle variazioni dellecondizioni al contorno, dettate dal progredire delleattività di bonifica e bonifica meccanica dall’epoca direalizzazione della colmata. L’andamento dei chiari,grazie alle relazioni di regressione calcolate, può essereprevisto con un errore residuale inferiore al 5%,sulla base degli andamenti pluviometrici medi.La successiva fase di modellazione idrogeologica numerica,attualmente in corso, mirerà alla definizionequantitativa dei fabbisogni idrici minimi necessari almantenimento di chiari perenni, in funzione delle variazionipluviometriche e delle condizioni di drenaggio-deflussoall’esterno della cassa.Figura 9: Raggruppamento areale di piezometri acomportamento simile. In rosso freatimetrie a correlazioneottimale a 105 gg, in verde freatimetrie acorrelazione ottimale a 135 gg in blu piezometro Ga correlazione ottimale a 120 gg.RingraziamentiSi ringrazia la Lega Ambiente Valdera per il supportofornito con l’opera dei volontari ed un particolare rin-mento dei chiari in funzione del regime pluviometricocon elevata attendibilità statistica.ConclusioniIl sottosuolo della cassa di colmata di Tanali è costituitoda un «basamento» di argille lacustri sormontatoda depositi palustri eteropici, lato monte, con detritie sedimenti più grossolani; al tetto la serie di colmataed i depositi palustri recenti affioranti.Sia i depositi palustri che quelli di colmata mostranochiare evidenze di subsidenza ascrivibili ad effettodel sovraccarico da colmamento ed a riduzione dellepressioni neutre dovute a drenaggio (bonifica) deisedimenti palustri.La falda superficiale, affiorante nei chiari, risulta, almenoparzialmente, sospesa sui livelli lacustri e mostraun andamento stagionale pulsante con ricaricaprevalentemente sotterranea dal fianco del MontePisano. Le variazioni del livello di falda risultano statisticamenteben correlate con le piogge medie pregressedi un periodo variabile fra i 105 ed i 135 giorni,mentre la ricarica meteorica diretta e gli apportisuperficiali dei rii mostrano avere influenza solo subordinataed effimera.Figura 10: Diagrammi di regressione altezze freatimetriche- precipitazioni medie pregresse (105 ggper piezometro C e 135 gg per piezometro P).18


Ricostruzione della dinamica idrogeologica dell’antica cassa di colmata Tanali (ANPIL Tanali, Comune di Bientina)graziamento al dott. Luciano Carlotti per aver fattivamentecontribuito all’impostazione generale ed allalogistica del lavoro.Si ringraziano inoltre l’Ufficio idrografico di Pisa cheha messo gratuitamente a disposizione le pluviometriegiornaliere recenti, il Prof. Giacomo D’AmatoAvanzi ed il Dott. Geol. Roberto Giannecchini chehanno deciso di dedicare all’argomento una tesi dilaurea di I livello in Scienze GeologicheBibliografia[1] M. Ambrosio, L. Carlotti, M.T. Fagioli, G. Dellomonaco,Progettazione di un chiaro perenne perla sosta dell’avifauna migratoria mediante tecnicheintegrate di idrochimica e modellazione idrogeologicanumerica nel SIR ex Lago di Bientina(PI), Codice Armonico - Primo congresso di scienzenaturali della Regione Toscana Febbraio 2006 -Atti del Convegno, 2003.[2] Autorità di bacino del fiume Arno Piano di bacinodel fiume Arno, vol. V. Firenze 1996.[3] C. Arias, G. Bigazzi, F.P. Bonadonna, Studiocronologico e paleontologico di alcune serie sedimentariedell’Italia Appenninica. C.N.R., Progr.Fin. Geodinamica, Pubbl. 1981, 356: 1441-1448.[4] D. Barsanti, L. Rombai, La guerra delle acquein Toscana. Edizioni Medicea, Firenze 1986.[5] D. Barsocchini, Sull’antico corso del Serchio.Atti della R. Accademia Lucchese. Tomo XIV. Lucca1853.[6] C. Bartolini, G. Pranzino, Evoluzione dell’idrografianella Toscana centrosettentrionale.Boll.Mus. St. Nat. Lunigiana, 6-7 (1986-1987), Aulla1988, 79-83.[7] M. Boccaletti, M. Coli, La tettonica della Toscana:assetto ed evoluzione. Mem. Soc. Geol. It.1985, 25 (1983): 51-62.[8] G. Caciagli, Il Lago di Bientina: vicende storicheed idrogeologiche. Bandecchi e Vivaldi Editori,Pontedera 1984.[9] C. Cresti, La Toscana dei Lorena. Politica delterritorio e architettura. Banca Toscana, Firenze1987.[10] L. Dallan, Ritrovamento di Alephis Lyrix nelleargille della serie lacustre di Montecarlo (Lucca)e considerazioni stratigrafiche sui depositi continentalidell’Area tra il Monte Albano e il Monte Pisano.Atti Soc. Tosc. Sc. Nat. Nem. Ser. A 1988,95: 1-17.[11] P.R. Federici, Il territorio di Bientina: dallageologia alla storia. In «Il Padule di Bientina:aspetti naturalistici ed agronomici». Pacini Editore,Pisa 1987.[12] P.R. Federici, R. Mazzanti, Paleogeographicfeatures of the drainage pattern in the Lower ArnoValley and the Serchio Valley in the Tuscany(Italy). J. Meeting on Geom. Hazard, I.G.U. (Versioneitaliana: L’evoluzione della paleogeografia edella rete idrografica del Valdarno inferiore).Boll. Soc. Geogr. It. 1988, ser. XI, 5: 573-615.[13] M. Marroni, R. Mazzanti, C. Nencini, Geologiae morfologia delle colline Pisane. Suppl. n. 1 aiQuad. Mus. Stor. Nat. di Livorno 1990, 11: 1-40.[14] R. Masini, L’idrografia del Serchio in epocapreistorica e storica. Atti Soc.Tosc. Sc. Nat.,Mem., Lucca 1956, pp. 18-25.[15] R. Mazzanti, La pianura di Pisa e i rilievi contermini,la nature e la storia. Edizioni del Cerro,Società Geografica Italiana, Roma 1994.[16] R. Nardi, Geologia della zona tra la Paniadella Croce, Gallicano e Castelnuovo Garfagnana(Alpi Apuane). Boll. Soc. Geol. It. 1961.[17] C. Nencini, Il passaggio Plio-Pleistocene e isedimenti plio-pleistocenici delle colline di MonteCastello (Pisa). Boll. Soc. Geol. It. 1983, 102: 391-398.[18] G. Nolledi, F. Mezzetti, Indagini idrogeologichefinalizzate alla ricostruzione ed al controllodello stato della falda soterranea del Padule diBientina utilizzata per scopi potabili. Relazionetecnica per il Comune di Bientina 2003.[19] G. Nolledi, Valutazioni idrogeologiche sullapianura di Lucca. Lavoro inedito, 2004.[20] P.E. Tomei, Il padule di Bientina e la sua flora.In «Il padule di Bientina, aspetti naturalisticied agronomici». Pisa 1987.[21] P.E. Tomei, E. Guazzi, P.C. Kugler, Le zoneumide della Toscana: indagine sulle componentifloristiche e vegetazionali. Regione Toscana, Firenze2001.[22] L. Trevisan, G.P. Brandi, L. Dallan, R. Nardi,G. Raggi, A. Rau, P. Squarci, L. Taffi, M. Tongiorgi,Note illustrative della carta geologica d’Italiaalla scala 1:100000. Foglio 105 Lucca. 1-51.Min. Ind. Comm. Art., Serv. Geol. d’It. 1971, 51pp.19


2 / Sez. ScientificaRisultati dell’indagine preliminare sul Sitodi Interesse Regionale «Monte Pelato»,Rosignano Marittimo (LI)Roberto Branchetti 1 , Franco Sammartino* 1Parole chiave: biodiversità, protezione habitat, specie vegetali e animali, emergenzegeo-mineralogiche, aree archeologicheVengono esposti i risultati di una ricerca condotta sul Sito di Interesse Regionale «Monte Pelato», ubicatonel Comune di Rosignano Marittimo. Lo studio ha preso spunto da una relazione finalizzata a valutarel’incidenza degli effetti indotti dal nuovo Regolamento Urbanistico sul sito in oggetto [1].La ricerca, effettuata nell’arco di due anni, è stata svolta da alcuni componenti del Gruppo Archeologicoe Paleontologico Livornese, con il contributo dei ricercatori del Museo di Storia Naturale del Mediterraneodi Livorno e del Museo di Storia Naturale di Rosignano Solvay.Il sito ha un’estensione di circa 835 ettari e si colloca territorialmente fra due aree del Sistema Provincialedelle Aree Protette: a sud-est il Parco dei Poggetti, distante circa 4 km, e a nord l’A.N.P.I.L Valledel Chioma, posta a circa 1 km. Il perimetro del SIR Monte Pelato dista dai centri abitati più vicini(Nibbiaia, Castelnuovo della Misericordia e Castiglioncello) circa 1 km, è quasi interamente circondatoda boschi e racchiude un’area pressoché disabitata. La rete viaria minore (strade vicinali e poderali) èinteramente sterrata, inadatta quindi ad un traffico veicolare intenso. La quota sale dai 40 m s.l.m. vicinoalla foce del Botro Fortulla, fino ai 375 m di Monte Pelato.Materiali e metodiLe aree ecosistemiche presenti al suo interno(tabella 1) sono state desunte dalla «Carta dell’usodel suolo» in scala 1:5000, redatta per fotointrepretazioneda immagine satellitare del 2003e controllo a terra.L’insieme dei suddetti ecosistemi definisce un quadroambientale eterogeneo e diversificato, dove allaprevalente presenza del bosco si unisce un’agricolturasemiestensiva condotta in modo tradizionale, conlargo uso del pascolo ovino e del biologico. L’abbondanzadi siepi «residue» (nei terreni a seminativo) e«rigenerate» (sui terrazzamenti abbandonati), garantisceun buon livello di naturalità all’interno dellostesso agroecosistema.Habitat e specie vegetaliLe fitocenosi caratteristiche sono costituite da:• Macchia mediterranea di arbusti sempreverdicon dominanza di Juniperus macrocarpa nelle zonecacuminali più rocciose.gli autori1 Gruppo Archeologico PaleontologicoLivornese, c/o Museo di Storia Naturaledel Mediterraneo, via Roma 230,57127 Livorno* autore per corrispondenzafsammartino@alice.it20


Risultati dell’indagine preliminare sul Sito di Interesse Regionale «Monte Pelato», Rosignano Marittimo (LI)• Macchia di sclerofille sempreverdi con infiltrazionipiù o meno abbondanti di Fraxinus ornus (nelversante nord del Monte Pelato), Quercus pubescense Ostrya carpinifolia (nei versanti e nelle vallecolepiù fresche del Poggio San Quirico e Poggio alTedesco).• Boschetti di caducifoglie mesofile ripariali neglialvei dei corsi d’acqua a regime stagionale.• Lecceta lungo il corso del botro Fortulla (spondasinistra).• Pratelli con garighe rade, ricche di bulbose tra cuile liliacee e le orchidaceae.• Associazioni pioniere con camefite su rocce verdiod ofiolitiche.• Pinete di Pinus pinaster e Pinus halepensis nellearee interessate dai rimboschimenti delle ex cave dimagnesite di Castiglioncello e CampoleccianoGli habitat soggetti a protezione (Allegato A1 dellaL.R. 56/2000), secondo la scheda «SIR B 10 MontePelato» della delibera di G.R. 644/04, sono riportatiin tabella 2.Ulteriori habitat sono stati individuati durante le indaginidi campagna, tra i quali, di particolare interesse,la vegetazione pioniera delle rocce ultramafiche(Monte Pelato [2], Monte Carvoli) con presenza diendemismi ad areale quasi esclusivamente toscano; lesorgenti con formazione attiva di travertino (SorgentePadula e Cerri Bianchi), caratterizzate da accentuataigrofilia, presenza di stillicidi, popolamenti di crittogame;oltre 10 cavità ipogee (gallerie e condotti di aerazionedi miniere abbandonate), probabili rifugi di Chirotteried altre specie faunistiche. Nel complesso, glihabitat rilevati sono riportati in tabella 3.Ad integrazione dell’elenco floristico di tabella 4, siriporta una lista delle orchidee spontanee (non inseritenell’allegato A3 della LR 56/2000) rinvenute nelSIR Monte Pelato, dove sono state censite 18 speciepari al 43% di quelle presenti nel comprensorio deiMonti Livornesi.Spiranthes spiralis (L.) Chevall.; Dactylorhiza maculatasubsp. fuchsii (Druce) Hyl.; Orchis provincialisBalb. ex Lam. & DC; Orchis morio L.; Orchis coriophoraL.; Orchis purpurea Huds.; Serapias linguaL.; Serapias cordigera L; Ophrys fusca Link; Ophrysapifera Huds.; Ophrys bertolonii Moretti; Ophrys fuciflora(F.W. Schmidt) Moench; Ophrys sphegodes Mill;Cephalanthera longifolia (L.) Fritsch; Cephalantherarubra (L.) Rich.Tabella 1: Ecosistemi presenti nel sito.Tipologia di ecosistemaUso delsuoloSuperficie(ha)Copertura%Boschi e macchie L1, L2, L3 743,3 88,9Garighe su rocce N 19,1 2,3Ex-coltivi in fase di rinaturazione L6, G2 7,7 0,9Aree agricole a colture erbacee (seminativi, prati eC1, M 53,8 6,4pascoli, colture a perdere)Aree agricole con piante legnose (oliveti) G1, D1 4,6 0,6Siepi L5 5,7 0,7Corpi idrici (corsi d’acqua, laghetti collinari) R, S 0,1 0,01Area agricola urbanizzata C3, strade 2,1 0,2TOTALE 836,4 100Tabella 2: Habitat soggetti a protezione.HabitatCod.CorineCod.Nat.2000All. Dir.92/43/CEEBoscaglie a dominanza di Juniperus sp.pl. 32.13 5210 AIBoscaglie a dominanza di Juniperus oxycedrus ssp.32.131 5211 AIoxycedrus dei substrati serpentinosi.Garighe a Euphorbia spinosa (non rilevato dagli scriventi). 32.44121


Tabella 3: Altri habitat di particolare interesse.Habitat LR 56/2000(Allegato A1)Boscaglie a dominanza di Juniperusoxycedrus ssp. Oxycedrus deisubstrati serpentinosi.Sorgenti con formazione attiva ditravertino. Sorgenti pietrificate conformazione di travertino(Cratoneurion)Boschi e vecchi impianti artificialidi pini mediterraneiFormazioni erbose seccheseminaturali e facies coperte dacespugli su substrato calcareo(Festuco-Brometalia) (stupendafioritura di orchidee)Vegetazione pioniera dellesuperfici rocciose silicee (inclusoquelle ultramafiche)Cavità ipogee. Cavità artificiali divario tipo, quali cave miniere nonpiù attive, sotterraneiDirettiva92/43/CEE(Allegato)Habitatprioritario(Direttiva92/43/CEE)CodiceCorineCodiceNatura 2000AI 32.131 5211AI si 54.12 7220AI si 34.3234.3342.8 95406210AI 62.3 8230Foreste di Quercus ilex AI 45.3 9340Specie animali di interesse regionale, comunitarioo prioritarie (tabelle 5-11)Fra i Mammiferi inseriti negli allegati IV e A2, rispettivamentedella Dir 92/43/CEE e della LR 56/2000, èaltamente probabile la presenza di alcune specie diChirotteri (Myotis spp., Nyctalus spp., Pipistrellus pipistrellus,Rhinolophus ferrumequinum), che trovanoil loro habitat ideale nella presenza di vaste aree boschiveassociate a campi aperti destinati a pascolo ealla presenza di ripari, tra i quali si ricordano le galleriedelle ex-miniere presenti in zona (miniere di ferrodella Macchia Escafrullina e miniere di magnesitedi Campolecciano e Castiglioncello). È auspicabileuno studio specifico che porti al censimento delle coloniepresenti, all’individuazione dei rifugi e dellearee di foraggiamento al fine di predisporre le adeguatemisure di protezione.Il SIR Monte Pelato e la fascia di territorio circostantecomprendente le località: Spianate, Masaccio, Bucacce,Tagliola, La Macchia, Giammaria e Serre, costituisconoun’area di notevole importanza per la sostadi uccelli migratori e per la nidificazione di alcunespecie inserite nella Lista Rossa Regionale [4], a rischiodi scomparsa per la rarefazione degli habitat.Le aree a pascolo, le praterie, l’agricoltura semiestensiva di questi luoghi, costituiscono un ambienteresiduale prezioso dal punto di vista ornitologico.Più delle moderne pratiche agricole qui sono da temerei processi di rinaturalizzazione che interessanoi coltivi (abbandonati ormai da molti anni), i qualievolvono verso formazioni dense ed arborate, uniformandoil paesaggio e riducendo la diversificazionedegli habitat.Nelle pozze di abbeverata di Casa San Quirico è statarilevata la presenza di tritoni che non è stato possibileclassificare (febbraio 2006).Nel Botro Fortulla è da segnalare anche la presenzadi Anguilla anguilla e del Mollusco Ancylus fluviatilis,specie non inserite negli elenchi della LR 56/2000.22


Risultati dell’indagine preliminare sul Sito di Interesse Regionale «Monte Pelato», Rosignano Marittimo (LI)Tabella 4: Specie vegetali rare o di interesse conservazionistico.SpecieDir 92/43/CEE(Allegato)LR 56/2000(Allegato)Lista di attenzioneR.E.N.A.T.O.(Status in Toscana)Alyssum bertolonii Desv. A3 VulnerabileAllium moschatum L.A3Armeria denticulata (Bertol.) DC. A3 A più basso rischioAsparagus acutifolius L.A3-C1Asparagus tenuifolius Lam.A3-C1Asplenium cuneifolium Viv.A3Biscutella pichiana Raffaelli ssp.A3 A più basso rischioPichiana RaffaelliCampanula medium L.A3-CCentaurea paniculata L. subsp.A3-C In pericolo (*)maremmana (Fiori); syn: Centaureaaplolepa Moretti subsp. maremmana(Fiori) DostalCrocus etruscus Parl. IV A3-C A più basso rischioEuphorbia nicaeensis All. subsp.A3 In pericolo (*)prostrata (Fiori) ArrigoniJonopsidium savianum (Caruel) Ball ex II-IV A3 VulnerabileArcang.Juniperus macrocarpa Sibth. et Sm.A3Lavatera olbia L. In pericolo critico (*)Narcissus poeticus L.A3Narcissus serotinus L.A3Onosma echioides L.A3Orchis papilionacea L. subsp.A3papilionaceaPeriploca graeca L.A3Plantago marittima LA3Polygala flavescens DC.A3Ruscus hypoglossum L.A3Salix apennina SkvortsovA3Serapias vomeracea (Burm.) Briq.A3Serapias neglecta De Not.A3Silene paradoxa L.A3Stakys recta L. subsp. serpentini (Fiori)A3 A più basso rischioArrigoniStipa tirsa Steven A3 A più basso rischioTymus acicularis W. et K. Var.A3 In pericolo (*)ophioliticus Lac.Tulipa australis LinkA3-CVinca minor L.A3Legenda lista di attenzioneII = specie vegetali di interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione.IV = specie vegetali di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa. A3 = specie vegetali di interesseregionale la cui conservazione può richiedere la designazione di Siti di Importanza Regionale (SIR). C = specievegetali protette. C1 = specie vegetali soggette a limitazioni nella raccolta. (*) = specie segnalata nel volume «La Biodiversitàin Toscana. Specie e habitat in pericolo» [3].23


Tabella 5: Mammiferi di interesse conservazionistico presenti nel sito.SpecieNomeitalianoDirettiva92/43/CEE(Allegato)LR 56/2000(All.to)L.R.3/94Lista di attenzioneR.E.N.A.T.O.(Status in Toscana)Martes martes Martora V A2 P* In pericolo (*)Mustela Puzzola V A2 P* In pericolo (*)putoriusHystrix cristata Istrice IV* PMuscardinusavellanariusMoscardino IV A2 P A più basso rischioLegenda lista di attenzioneIV = specie animali di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa. IV* = specie prioritaria. V = specieanimali di interesse comunitario «il cui prelievo nella natura e il cui sfruttamento potrebbe formare oggetto di misuredi gestione». A2 = specie animali di interesse regionale la cui conservazione può richiedere la designazione di Sitidi Importanza Regionale (SIR). P = specie protette. P* = specie particolarmente protette. (*) = specie segnalata nel volume«La Biodiversità in Toscana. Specie e habitat in pericolo».Aspetti geo-mineralogiciL’area in studio è caratterizzata da notevoli affioramentidi serpentiniti dalla costa fino alla cima delMonte Pelato, interrotti nella parte centrale dai sedimentidel Cretaceo inferiore consistenti in argilloscistie calcari silicei «Palombini», e da quelli del Cretaceosuperiore formati da argilloscisti varicolori delFortulla e dal Flysch di Poggio S. Quirico del Paleocenemedio [5]. In queste formazioni, sul Botro Fortullasi ha un’esposizione di una piega tettonica di notevolebellezza. Nell’area di studio sono presenti anchelimitati affioramenti di diabase e gabbro. Nella partenord del SIR, si trova inoltre un modesto, ma moltointeressante, affioramento di idrotermaliti, rocce originatedalla profonda alterazione di ofioliti, caratteristicheper la presenza di numerosi filoncelli di calcitee quarzo distribuiti nella massa rocciosa con andamentocaotico.Degne di nota sono le formazioni di travertino neipressi di Occhibolleri e lungo il corso di vari torrenti.L’erosione del substrato umifero e l’esposizione aiventi impedisce lo sviluppo vegetazionale se non informe di gariga in ampie zone del Monte Pelato, permettendouna notevole esposizione delle rocce. L’areadel Monte Pelato è quella con la più ampia esposizionerocciosa naturale dei Monti livornesi.Sul versante occidentale sono state aperte in passatovarie trincee, pozzi, cave e gallerie per la ricerca e l’estrazionedella magnesite e di ossidi di manganese.Le più note sono la miniera di ferro di Macchia Escarfullina,le miniere di magnesite di Campolecciano,Castiglioncello e Macchia Escarfullina, e le cave,sempre di magnesite di Botro Masaccio, Mammellone,Santa Barbara e Speranza. Questi giacimenti, chele cave e le gallerie sono andate ad intercettare, sonodi tipo filoniano e sono dovuti all’azione idrotermaledi acque particolarmente ricche di anidride carbonica,risalite lungo le faglie correlate ai filoni. L’ipotesidella genesi idrotermale trova riscontro anche nellapresenza delle sorgenti termali ancora attive, ricchedi anidride carbonica, di Occhibolleri e Padula a nordovest di Monte Pelato e di grande interesse naturalistico.Tracce di trincee per l’estrazione di ossidi dimanganese si trovano nella zona di Campolecciano[6], inoltre a poche decine di metri dalla sommità diMonte Pelato è stata individuata di recente, una piccolagalleria, lunga circa 20 m, scavata nel serpentino.Sono ancora in corso indagini per stabilire lo scopodella sua escavazione. Potrebbe trattarsi di un tentativodi ricerca di minerali di rame data la presenzadi malachite e azzurrite nelle vicinanze.In relazione alla modesta entità dell’area in studio,notevole è il numero delle specie e delle varietà mineralogichepresenti [7], oltre trenta, alcune dellequali individuate di recente, ancora in fase di studio24


Risultati dell’indagine preliminare sul Sito di Interesse Regionale «Monte Pelato», Rosignano Marittimo (LI)Tabella 6: Uccelli di interesse conservazionistico di cui è stata rilevata la presenza nel sito.SpecieAlcedo atthisAnthuscampestrisCalandrellabrachydactylaCaprimulguseuropaeusCircuscyaneusCircuspygarguCoturnixcoturnixFalcotinnunculusLaniuscollurioLaniussenatoLullulaarboreaMonticalasolitariusOenatheoenantheNomeitalianoMartinpescatoreDirettiva79/409CEE (All.)LR56/2000(All.)LR3/94Lista RossaReg.leLista di attenzioneR.E.N.A.T.O.(Status in Toscana)I A2 P MinacciatoCalandro I A2 P B* VulnerabileCalandrella I A2 P Prossimo allaminacciaSucciacapre I A2 P Prossimo allaminacciaAlbanellarealeAlbanellaminoreI A2 P*I A2 P* B In pericolo (*)Quaglia A2 B* VulnerabileGheppio A2 P* B* Prossimo allaminacciaAverlapiccolaAverlacapirossaI A2 P VulnerabileA2 P B* In pericolo (*)Tottavilla I A2 P Prossimo allaminacciaPasserosolitarioA2 P B* VulnerabileCulbianco A2 P B In pericolo (*)Otus scops Assiolo A2 P* B* Prossimo allaminacciaSylviahortensisSylviaundataTichodromamurariaBigia grossa A2 P B In pericolo critico (*)Magnanina I A2 P B* VulnerabilePicchiomuraioloA2 P C VulnerabileLegenda lista di attenzioneI = specie per le quali sono previste misure speciali di conservazione per quanto riguarda l’habitat. A2 = specie animalidi interesse regionale la cui conservazione può richiedere la designazione di Siti di Importanza Regionale (SIR). P =specie protette. P* = specie particolarmente protette. B = altamente vulnerabile. B*=mediamente vulnerabile. C =specie rara. (*) = specie segnalata nel volume «La Biodiversità in Toscana. Specie e habitat in pericolo» [3].25


Tabella 7: Rettili di interesse conservazionistico presenti nel sito.Specie Nome italiano Dir 92/43/CEE(Allegato)ElaphequatuorlineataLR 56/2000(Allegato)Lista di attenzioneR.E.N.A.T.O.(Status in Toscana)Cervone II-IV* A2 VulnerabileLacerta bilineata Ramarro II-IV* BPodarcis muralisPodarcis siculaTestudo hermanniLucertolamuraiolaLucertolacampestreTestuggine diHermannAnguis fragilis Orbettino BIV* A2 A più basso rischioIV* A2 A più basso rischioII-IV* A2 A più basso rischioTarentolamauritanicaGecoBLegenda lista di attenzioneII = specie animali di interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione.IV = specie animali di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa. IV* = specie prioritaria. B= specie animali protette.Tabella 8: Crostacei di interesse conservazionistico presenti nel sito.Specie Nome italiano Dir 92/43/CEE(Allegato)Potamon fluviatileLegenda lista di attenzioneB = specie animali protette.Granchio difiumeLR 56/2000(Allegato)BLista di attenzioneR.E.N.A.T.O.(Status in Toscana)VulnerabileTabella9: Anfibi di interesse conservazionistico presenti nel sito.Specie Nome italiano Dir 92/43/CEE(Allegato)LR 56/2000(Allegato)Bufo bufo Rospo comune BLista di attenzioneR.E.N.A.T.O.(Status in Toscana)Rana esculenta Rana verde B1Legenda lista di attenzioneB = specie animali protette. B1 = specie animali soggette a limitazioni di prelievo.26


Risultati dell’indagine preliminare sul Sito di Interesse Regionale «Monte Pelato», Rosignano Marittimo (LI)Tabella 10: Pesci di interesse conservazionistico presenti nel sito.Specie Nome italiano Dir 92/43/CEE(Allegato)LR 56/2000(Allegato)Lista di attenzioneR.E.N.A.T.O.(Status in Toscana)Rutilus rubilio Rovella II A2 A più basso rischioLegenda lista di attenzioneII = specie animali di interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione.A2 = specie animali di interesse regionale la cui conservazione può richiedere la designazione di Siti di ImportanzaRegionale (SIR).Tabella 11: Insetti di interesse conservazionistico presenti nel sito.Specie Nome italiano Dir 92/43/CEE(Allegato)Charaxes jasus (*)Erythrommaviridulum (**)Farfalla delCorbezzoloLibellulaLR 56/2000(Allegato)A2 - BLista di attenzioneR.E.N.A.T.O.(Status in Toscana)Vulnerabile(*) Fonte: htpp://web,rete.toscana.it/renatoapp/ListeAttenzione/Risultati.jsp(**)Fonte:SIRA–ARPAT http://sira.arpat.toscana.it/sira/Bioitaly/BIT_IT5150104.htm.ed in attesa di determinazione: marcasite, pirite, melnikovite?,magnetite, quarzo, calcedonio, opale,brookite, anatasio, limonite, goethite, magnesite, dolomite,calcite, aragonite, malachite, azzurrite, barite,melanterite, epsomite, copiapite, andradite, vesuvianite,clorite, diallagio, antigorite, crisotilo, steatite ,halloysite, wolchonskoite e la rara melanoflogite, unicosito al mondo dove si può trovare con una certa abbondanza[8].Da citare anche la presenza di ematite, di provenienzaalloctona (Isola d’Elba), a testimonianza di attivitàmetallurgiche (di varie epoche), delle quali, frequentemente,si trovano tracce lungo la costa livornese.Aspetti paleontologiciIn questo territorio non si hanno importanti giacimentifossiliferi, comunque sono da evidenziare numeroseimpronte fossili, lasciate da animali invertebratisu fondali marini di oltre sessanta milioni di annifa, individuati in diversi strati nelle formazioni delCretaceo inferiore. Assai interessanti sono delle formazioniconcentriche, anche di 20 cm di diametro,tuttora in corso di studio, che sembrerebbero appartenerea formazioni algali, sempre del Cretaceo.Presenze archeologicheLa presenza umana nell’area è documentata dal ritrovamentodi testimonianze riferibili a periodi che vannodal Paleolitico medio all’età contemporanea; un filocomune lega le diverse civiltà che nel corso dei secolivi hanno lasciato tracce più o meno evidenti: losfruttamento delle abbondanti (e talvolta particolari)risorse naturali che la zona poteva offrire.Il SIR è coperto per il 93% da vegetazione per cui la ricercaarcheologica di superficie è particolarmentedifficoltosa, comunque in alcuni punti, privi di coperturavegetale, sono state trovate tracce di frequentazioneumana anche nella preistoria [9]. Sono statiraccolti in superficie alcuni manufatti di tipo Paleoliticomedio in località Campolecciano, Le Spianate, alleCave di magnesite, Casa Masaccio e a Case SanQuirico. Pochissimi reperti di tipo Paleolitico superioreprovengono da Pian dei Lupi, Le Serre, e CaseSan Quirico mentre all’Eneolitico è stata attribuita27


una bellissima cuspide di freccia in diaspro in rosso,rinvenuta negli anni sessanta del secolo scorso, semprea Case San Quirico [10]. Il reperto è associabilealle attività di caccia praticate nella selva locale.Di eccezionale importanza, la necropoli etrusca databilefra gli inizi del III e la fine del II a. C. scoperta aPian dei Lupi, non distante dall’antica strada di crinaledelle «Serre». La necropoli ha restituito oltre 70sepolture, per la maggior parte a pozzetto, ma anchea cassetta, a testimonianza di pratiche rituali di incinerazionee inumazione. I corredi sono composti dasuppellettili in ceramica sia acroma che a vernice nera,e da oggetti in ferro e bronzo e da ornamenti in argentoe oro che rivelano la presenza di un ceto aristocraticoche traeva la sua ricchezza dall’agricoltura edal commercio delle derrate pregiate ivi prodotte[11]. Di non minore importanza la fortezza d’alturadi Monte Carvoli, sempre di epoca etrusca, che conservaancora parte delle possenti mura disposte sudue livelli. La cinta inferiore (a quota 310 m s.l.m.),realizzata in blocchi di serpentinite irregolari, sovrappostia secco, ha uno spessore di 1,5 m ed è visibileper una lunghezza di circa 465 m. La cinta superiore(a quota 350 m s.l.m), realizzata in conci squadrati,è lunga 167 m e racchiude un’area di 1500 mq.La frequentazione umana in epoca romana è al momentotestimoniata da resti di laterizi e scarsi frammentidi vasellame, in località Poggio al Tedesco, LeSpianate e presso le sorgenti ipotermali di Occhibollerie Padula. In quest’ultima località furono rinvenuti,nella seconda metà dell’Ottocento, abbondanti reperticostituiti da vasi, utensili e numerose monete dietà romana, che attesterebbero una frequentazionedella sorgente per scopi termali [12]. Al medioevopotrebbe essere riconducibile la presenza della chiesadi S. Giusto di Monteremo, di cui si è persa ognitraccia, ubicata secondo Virgili ad ovest del PoggioS. Quirico, non distante dal torrente Fortulla [13].Per quanto concerne l’Età moderna una rappresentazionedel territorio in esame è fornita dal plantarioallegato all’Estimo di Castelnuovo della Misericordia(1795) dove compaiono interessanti toponimi derivatidal sistema di vita dell’epoca, ora legati all’economiadel bosco (Porcareccia di S. Quirico alto, Carbonaiadei Cerri Bianchi, Piazza di Mattiolo, etc.) ora allapresenza di sorgenti di acque «minerali» (del Crocino,di Occhibolleri) [14]. All’età contemporanea risaleil «Muraglione», possente diga costruita intornoalla metà dell’Ottocento nell’alta valle del Fortullaper raccogliere riserve d’acqua necessaria al funzionamentodi alcuni mulini posti più a valle [15].ConclusioniL’indagine di campagna ha confermato il pregio ambientalee naturalistico dell’area, rafforzando quantoriportato nella bibliografia di riferimento. Sono stateindividuate emergenze geo-mineralogiche e nuovihabitat ed è stato implementato l’elenco delle specieanimali e vegetali di interesse regionale presenti nelSIR. Visto l’elevato valore delle componenti ecosistematichein gioco, considerata l’ampiezza dell’area distudio e le testimonianze storico culturali che l’uomovi ha lasciato in passato, è auspicabile che a questaindagine «preliminare» segua una ricerca multidisciplinarepiù approfondita, così da definire in manieraancor più esaustiva il quadro ecologico delle conoscenzeed il ruolo che le componenti biologiche edantropiche rivestono nella strutturazione del paesaggio.Tali conoscenze ci appaiono indispensabili perorientare correttamente le scelte gestionali dell’area,così da garantire un adeguato livello di protezionee, di conseguenza, il mantenimento di un’elevatasoglia di biodiversità.RingraziamentiL’implementazione dei dati censuari sulle specie diinteresse regionale o comunitario è stata condottacon il contributo di persone di fiducia, che qui ringraziamoe rammentiamo:Dott. Carlo Baldacci (Gruppo Ornitologico, Mus. Stor.Nat. di Rosignano Solvay): comunicazione scritta.Dott. Mairo Mannocci, Sig. Bruno Quochi (GruppoBotanico Livornese e Gruppo Italiano per la Ricercasulle Orchidee Spontanee, Mus. Stor. Nat. del Mediterraneodi Livorno): comunicazione scrittaDott. Alessandro Voliani (ARPAT - Livorno).Bibliografia[1] R. Branchetti, Relazione per la valutazione diincidenza sui siti di interesse regionale: «ZPS Tombolidi Cecina» e «SIR Monte Pelato». Comune diRosignano Marittimo: 2007.[2] L. Zocco Pisana, P.E. Tomei, Contributo allaconoscenza della flora livornese: gli affioramentiserpentinicoli di Monte Pelato e Poggio alle Fate.Quad. Mus. Stor. Nat. Livorno 1990, 11: 1.[3] Regione Toscana, La Biodiversità in Toscana.Specie e habitat in pericolo, 2002.28


Risultati dell’indagine preliminare sul Sito di Interesse Regionale «Monte Pelato», Rosignano Marittimo (LI)[4] P. Sposimo, G. Tellini, Lista Rossa degli uccellinidificanti in Toscana. Riv. Ital. Orn, 1995, 64 (2):131.[5] E. Bartoletti, A. Bossio, M. Esteban, R. Mazzanti,R. Mazzei, G. Salvatorini, G. Sanesi, P.Squarci, Studio geologico del territorio comunaledi Rosignano Marittimo in relazione alla carta geologicaalla scala 1:25.000. Suppl. 1, Quad. Nus. St.Nat. Livorno. 1985, 6: 33.[6] P. Savi, G. Orosi, Notizie geologiche e chimicheintorno alle acque acidule e ferruginose di SanQuirico presso Livorno, Livorno: 1894.[7] R. Nannoni, F. Sammartino, I minerali deiMonti Livornesi. Ed. Calderini, Bologna: 1979.[8] M. Grassellini Troysi, P. Orlandi, Sulla melanoflogitedel Fortullino (Livorno). Atti Soc. Tosc.Sc. Nat., Mem., Serie A. 1972, 79: 245.A. Lenzi, 1996. La melanoflogite di località Fortullino,Informatore, Giornale del Museo di StoriaNaturale di Rosignano Solvay. 1996, 1: 10.[9] F. Sammartino, Ritrovamenti preistorici nelterritorio di Rosignano M.mo, Suppl. 1, Quad.Mus. Stor. Nat. Livorno. 1985, 6: 185.[10] G. Cremonesi, A. M. Radmilli, Guida alla sezionepreistorica del Museo Archeologico di Firenze.Firenze: 1963.[11] A. Maggiani, S. Palladino, E. Regoli, La necropolidi Pian dei Lupi, St. Etr. 2007, 71: 146.[12] P. Vigo, Montenero, Guida storico-urbanistica-descrittivacon appendice di documenti nediti.Tip. Gius. Fabbreschi, Livorno: 1902.[13] E. Virgili, Le pievi e i castelli della Diocesi Pisananella Marittima (secoli XI-XVI). Pacini Editore(Pi): 1995.[14] G. Milanesi, R. Branchetti, 1995. Strade dipietra. Vie d’acqua e di vento. Un viaggio tra memoriae progetto. Pisa: 1995.[15] R. Branchetti, M. Taddei, Antichi mulini delterritorio livornese. Comune di Livorno. Quadernidell’Ambiente 11. Pisa: 2006.29


3 / Sez. ScientificaRipple marks e tracce fossili nelle formazionidel Cretaceo superiore del Rio Ardenza, LivornoFranco Sammartino* 1 , Michelangelo Bisconti 1.2 , Antonio Borzatti de Loewenstern 1.3 ,Emiliano Carnieri 1.4Parole chiave: ripple marks, tracce fossili, arenarie, argilliti, siltiti, Cretaceo superiore, Rio ArdenzaIn questo lavoro vengono descritti i ripple marks e le tracce fossili di animali invertebrati individuatesull’alveo del Rio Ardenza presso Livorno, negli affioramenti di Formazioni del Cretaceo superiore delComplesso Alloctono Intermedio con arenarie, siltiti e argilliti. Si tratta di impronte lasciate da onde ecorrenti sottomarine e dall’attività di vari organismi sulla superficie di fondali, principalmente pistedovute all’attività di spostamento (repichnia), riposo (cubichnia), esplorazione (fodinichnia), nutrimento(pascichnia), ma anche tracce di tane (domichnia). Difficilmente questi tipi di tracce fossili consentonodi individuare la specie che le ha prodotte mentre sono determinanti per la ricostruzione dell’ambiente.Le caratteristiche geomorfologiche del sito e lo stato di conservazione di queste paleosuperficirendono questa località particolarmente adatta all’ inserimento in un percorso didattico-scientificoall’interno del «Parco dei Monti Livornesi», insieme ad altre tuttora in corso di studio, necessitandoquindi di un’azione di tutela e salvaguardia.Introduzionedi studio comprende un tratto di circa150 m dell’alveo del Rio Ardenza, posto fra leL’areaquote di 40 e 42 m slm; l’area è individuabilesulla carta IGM con le coordinate 43° 30’ 50’’N, 2°05’ 30’’E (figura 1).In questo tratto l’alveo del torrente, in passato moltostretto e coperto da fitta vegetazione, è stato recentementesottoposto a lavori di sistemazione idraulicache lo hanno allargato notevolmente, in alcuni puntianche fino a 20 m. In questo tratto sono affiorate formazionisedimentarie tettonicamente disturbate constrati inclinati e pieghe, anche rovesciate, che si individuanoanche dall’osservazione delle impronte econtroimpronte di invertebrati. Precedentemente ailavori, le formazioni che attualmente sono espostesugli argini, erano coperte da frane e da terreno alluvionale;dette strutture sono emerse anche nell’alveodel torrente che, in alcuni tratti, è da esse attraversato.Si tratta in prevalenza di strati di laminiti siltitichee argillitiche di colore grigio-nerastro intercalate astrati di arenarie molto fini dello spessore variabileda 10 a 40 cm anch’esse di colore grigio, con superficidi ossidazione beige-marrone chiaro e con presenzadi olistostromi di argilliti e calcari silicei. Sulla basedelle microfaune rinvenute (foraminiferi, poriferie radiolari), queste formazioni, che in passato affioravanosolamente sul lato sinistro del Rio Ardenza aquote relativamente più alte rispetto all’alveo, sonostate attribuite genericamente al Cretaceo superiore[1]. Insieme a queste alternanze si osservano sequenzedi deposizioni torbiditiche insieme a strutturesedimentarie come ripple marks, load casts, flutemarks e strutture di bioturbazione.Sulle argilliti e sulle siltiti sono stati rinvenuti numerosiicnofossili riconducibili ad attività di animali invertebratiattivi sul substrato o immediatamente al di30


Ripple marks e tracce fossili nelle formazioni del Cretaceo superiore del Rio Ardenza, Livornomarks sono in quantità nettamente inferiori a quellenelle quali si osservano resti di attività biologiche. Sitratta quasi sempre di micro-increspature da correnti,dove la lunghezza e l’ampiezza delle onde, sono inmedia rispettivamente 2 e 1,5 cm, indicative di unoscorrimento medio/basso (lento) delle acque. Solamentein pochi frammenti dall’aspetto fisico fresco,rimossi dalla giacitura originale dall’azione delle ruspe,si conservano impronte di onde anche di 5 cm dilunghezza, ma sempre con un’ampiezza limitata adun massimo di 2 cm (figura 2).IcnofossiliFigura 1: Località di rinvenimentoMappa di parte del corso del Rio Ardenza. Nel riquadroè indicata la località di rinvenimento degliicnofossili descritti in questo lavoro. Il lato lungodel rettangolo rappresenta circa 150 m.sotto di esso. L’obiettivo di questo lavoro è descriverepreliminarmente le tipologie principali di icnofossilirinvenuti in questo sito in modo da fornire unquadro paleoecologico del bacino di sedimentazioneCretaceo superiore.Le impronte fossili di attività biologiche di invertebratisi sono conservate in vari strati ancora in postoe su singoli blocchi derivanti dalla demolizione meccanicadegli strati stessi. Nei campioni prelevati si sonoosservate diverse tipologie di icnofossili: trappoleagro-alimentari (agrichnia), strutture di nutrizione(fodinichnia), strutture di abitazione (domichnia) edi reptazione (repichnia) (figure 3 e 4) [2, 3].Gli icnofossili più spettacolari comprendono alcunetrappole agro-alimentari (agrichnia) in parte illustratein figura 3 (nn. 2, 7, 10). Nei campioni studiati si osservanostrutture a gallerie formanti reticoli dati daMateriali e metodiGli icnofossili rinvenuti si trovano quasi esclusivamentesu una delle superfici esposte di blocchi derivantidalla frantumazione meccanica degli strati laminitici,argillitici e siltitici operata da mezzi meccanicinel corso dei lavori di sistemazione idraulica. I blocchisono stati recuperati in parte e sono conservati pressoil Museo di Storia Naturale del Mediterraneo di Livorno.Gli icnofossili sono generalmente ben conservatie per il loro studio non è stata necessaria alcunaoperazione di preparazione meccanica o chimica.Per lo studio degli icnofossili e della mineralogia deicampioni si è fatto uso di lenti di ingrandimento e diuno stereomicroscopio binoculare con massimo poteredi magnificazione di 40x.Descrizione dei materialiRipple marksLe superfici sulle quali si sono conservati i ripplegli autori1 Museo di Storia Naturaledel Mediterraneo, via Roma 234, 57127,Livorno. E-mail:fsammartino@alice.it2 Museo di Storia Naturaledel Mediterraneo, via Roma 234, 57127,Livorno. E-mail:zoologia.museo@provincia.livorno.it3 Museo di Storia Naturaledel Mediterraneo, via Roma 234, 57127,Livorno. E-mail:a.borzatti@provincia.livorno.it4 Museo di Storia Naturaledel Mediterraneo, via Roma 234, 57127,Livorno. E-mail:e.carnieri@provincia.livorno.it*autore per corrispondenza31


Figura 2: Ripple marksEsempi di ripple marks osservati sulle laminiti siltitiche e argillitiche del Cretaceo superiore del Rio Ardenza(Livorno). Le immagini non sono in scala (per avere un’idea delle dimensioni delle strutture, v. testo).Figura 3: Esempi di icnofossili dal Cretaceo superiore del Rio Ardenza (Livorno).1, repichnia; 2, agrichnia (Paleodictyon isp.); 3, fodinichnia (Phycodes isp.); 4, fodinichnia; 5, probabilerepichnia (cfr. Gyrolithes isp. attraversato da frattura); 6, repichnia; 7, agrichnia (cfr. Spirorhapheisp.); 8, repichnia; 9, fodinichnia (Chondrites isp.); 10, pascichnia (Helminthoida cfr. H.labyrinthica); 11, fodinichnia; 12, fecal pellets.32


Ripple marks e tracce fossili nelle formazioni del Cretaceo superiore del Rio Ardenza, LivornoFigura 4: Schemi di icnofossili dal Rio Ardenza.1, agrichnia (Paleodictyon isp.); 2, agrichnia (Spiroraphe isp.); 3, agrichnia(cfr. Graphoglyptid isp.); 4-5, fodinichnia; 6, fodinichnia; 7, probabilerepichnia (cfr. Gyrolithes isp. attraversato da frattura).una successione di moduli esagonali (Paleodyctionisp.), strutture costituite da gallerie ad andamentospiraliforme sviluppate parallelamente alla superficiedello strato (Spiroraphe isp.).Si tratta di piste lasciate da animali vagili in cerca dicibo, che si spostavano sulla superficie del substratoo appena al disotto, con andamento spesso spiraliformee meandriforme, creando delle gallerie che nonsi incrociavano mai. La maggior parte di queste improntesono attribuite ad anellidi, ma anche ad artropodie molluschi. (figura 3, nn. 7, 10). Queste strutturesono caratteristiche di depositi pelagici ed emipelagicicostituiti da detrito finissimo e sono costruitida invertebrati fossatori, dal corpo molto sottile, chepassavano svariate volte nelle gallerie allo scopo dicatturare i microrganismi ed i batteri rimasti intrappolati.Si tratta di piste e tane disposte in modo paralleloalla superficie del fondale, con andamento geometricoregolare, disegnando spirali, meandri complessie reticolati (figure 3 e 4).Nel caso delle strutturedi nutrizione del tipofodinichnia, si trattadi gallerie di animaliessenzialmente detritivori,poco mobili,che utilizzano le sostanzetrofiche contenutenei sedimenti.Questi animali scavanogallerie a forma diU o ramificate in tuttele direzioni, che non siintersecano mai fra diloro, allo scopo di individuaresostanze nutritive.Praticamenteda una galleria principaledipartono numerosicunicoli, dai qualia loro volta vengonoscavate diramazionisecondarie. Importantiindicazioni paleoecologicheci vengonodate dalle strutture tipofodinichnia, perchéle numerose ramificazioni,quando sonopresenti, sono indicativedella presenza diabbondanti sostanze nutritive (figura 3, nn. 3, 4, 9,11; figura 4, nn. 4, 5).DiscussioneGli icnofossili rinvenuti nelle laminiti del Cretaceosuperiore del Rio Ardenza sono tipici dell’icnofaciesNereites che è indicativa di un ambiente alla base discarpate continentali, profonde oltre i 200-300 m, conacque calme. Una conferma viene dai tipi di attivitàindicati dalle impronte, principalmente pascichnia,agrichina e fodinichnia, caratteristiche di ambientebatiale e indicative di una buona ossigenazione delfondo marino. La straordinaria abbondanza di fecalpellets e di gallerie di nutrizione suggerisce un intensopopolamento del fondale particolarmente sviluppatosulla superficie o immediatamente al di sotto diessa. La presenza di icnofossili del tipo Chondritesisp. mostra però anche attività di nutrizione sviluppa-33


te verticalmente tra gli strati suggerendo abbondantepresenza di materia organica sepolta.Alcuni icnofossili non illustrati in questo lavoro sonoda riferirsi a forme simili a Rusophycus e suggerisconoabbondante presenza di artropodi come trilobiti ecrostacei ma al momento nessun macrofossile riferibilea questi gruppi è stato scoperto nei sedimentianalizzati.Il bacino di sedimentazione delle argilliti e calcari siliceidel Cretaceo superiore del Rio Ardenza dovevadunque essere densamente abitato da invertebrati acorpo molle e artropodi. La notevole diversità degliicnofossili documenta dunque un vasto repertoriocomportamentale esibito da differenti specie di invertebratie mostra soprattutto attività di nutrizione acarico di materia organica depositatasi sulla superficiedegli strati o sepolta suggerendo l’esistenza diuna catena di detrito ben sviluppata probabilmentedipendente dalla precipitazione di resti organici daquote superiori nella colonna d’acqua.Bibliografia[1] A. Lazzarotto, R. Mazzanti, C. Nencini, Quad.Mus. Stor, Nat. Livorno. 1990, 11 (Suppl. 2): 1.[2] A. Seilacher, Biogenic sedimentary structures.In Approaches to Paleoechology. Wiley & Sons:New York: 1964a.[3] A. Seilacher, Sedimentology. 1964b, 3: 253.34


4 / Sez. ScientificaStoria evolutiva tardo-olocenica del corsoterminale del fiume CecinaMarco Benvenuti 1,2 , Marco Bonini 2 , Giovanna Moratti* 2 , Marianna Ricci 1 , Chiara Tanini 1 ,Paolo Squarci 3Parole chiave: pianura alluvionale, geomorfologia, tettonica attiva, Olocene, fiume Cecina,ToscanaNuovi dati stratigrafico-sedimentologici, geomorfologici e morfotettonici, raccolti durante il rilevamentogeologico svolto nell’ambito della Convenzione fra la Regione Toscana e l’Istituto di Geoscienze e Georisorsedel CNR, hanno permesso una ricostruzione dettagliata dell’evoluzione del corso terminale delFiume Cecina durante l’Olocene. In particolare, viene messa in evidenza, per la prima volta, l’avulsionein tempi storici del corso del Cecina. L’analisi di alcune sezioni stratigrafiche in una cava attiva difronte allla città di Cecina, correlate a dati di pozzo ed a dati geomorfologici e tettonici, indica che dallafine del Pleistocene e per la maggior parte dell’Olocene il corso del Cecina era spostato verso nord, dove,al suo sbocco in mare, formava un delta cuspidato. La piana dove scorre attualmente il Cecina erala corrispondente area di deposizione da sovralluvionamento e questa configurazione è persistita finoalla fine del 16° secolo, quando piene eccezionali hanno causato la migrazione verso sud-ovest del corsodel Cecina nell’attuale posizione. Tale area, interessata da una faglia normale, presentava una fortesubsidenza e poteva quindi agire da richiamo per l’avulsione del fiume. Con questo lavoro presentiamoquindi un esempio in cui due fattori, climatico e tettonico, hanno concorso a favorire l’avulsione del Cecina.Entrambi i fattori sono stati essenziali per lo sviluppo di questo processo: la subsidenza tettonicapuò essere considerata il fattore predisponente, mentre l’evento di piena eccezionale rappresenta il fattorescatenante che porta alla completa avulsione fluviale.IntroduzioneLa dinamica geo-morfologica delle pianure costiereè regolata da una complessa interazionetra le oscillazioni eustatiche, la mobilità tettonica,la variabilità climatica e, in particolare negli ultimimillenni, le varie attività umane. Tra gli aspettiche caratterizzano tale dinamica si considera, in questostudio, l’instabilità (avulsione) dei canali fluvialiprossimi ad una foce. L’avulsione è un processo dimigrazione, talora estremamente rapida, dei canalifluviali su cui può agire un’ampia gamma di fattori intrinsecio esterni al sistema fluviale [11]. Fra questi,nel presente studio si discute il ruolo della tettonicaattiva nel determinare, gradualmente o improvvisamente,modificazioni dei gradienti topografici tali dainfluenzare l’equilibrio dei sistemi fluviali [8,9]. Inaggiunta, si considera l’effetto concomitante del regimedelle portate fluviali che, durante eventi di pienaeccezionale, può determinare condizioni di instabilitàdei canali fluviali con improvvisi cambiamentidi corso.Il caso di studio si riferisce all’evoluzione tardo-olocenica,con particolare riferimento a periodi storici, deltratto terminale del Fiume Cecina in prossimità del litoraletoscano, argomento più ampiamente trattato inuna recente pubblicazione [12]. Oltre a documentareattraverso l’integrazione di dati geomorfologici, geologico-strutturali,stratigrafico-sedimentologici e storico-archeologicila dinamica avulsiva di questo tratto35


fluviale, il presente studio vuole enfatizzare come unapproccio geologico all’analisi di cambiamenti idrograficirecenti possa supplire alla carenza di informazionisulla storia del territorio in esame.Inquadramento geo-morfologicoIl Fiume Cecina (figura 1a), scorre per circa 80 kmtra la Toscana centrale e la costa tirrenica drenandoun bacino idrografico di circa 900 km 2 in cui si alternanotratti morfologici significativamente diversi. Iripidi pendii della porzione prossimale si impostanosulle rocce carbonatiche, terrigene e ignee (ofioliti)appartenenti alle unità tettonico-stratigrafiche toscane,che costituiscono l’ossatura della catena nordappenninica.La maggior parte del corso del fiume, tuttavia,si sviluppa su morfologie meno acclivi associateai depositi, in gran parte clastici, sia continentaliche marino-costieri, dei bacini neogenici di Radicondolie Volterra e della fascia costiera dove affioranosedimenti di età prevalentemente quaternaria. Suidepositi di quest’area recenti rilevamenti geologicidi dettaglio, promossi dalla Regione Toscana e effettuatidagli scriventi (figura 1b), hanno stimolato unarevisione di studi morfo-stratigrafici precedenti [16].In particolare, evidenze morfologiche e stratigrafichehanno consentito di suddividere la pianura alluvionaleolocenica in due distinte unità terrazzate;unità 5, quella più elevata e più antica, unità 4, la piùbassa e più recente.Due aspetti specifici della geomorfologia costiera sonoparticolarmente interessanti per la discussione diquesto studio: 1) la foce di tipo-estuario del Fiume Cecinae 2) il tratto di costa sabbiosa a nord di Cecina, traCapo Cavallo e Punta Tesorino, caratterizzato da unamorfologia piano-cuspidata. Si cercherà di dimostrarecome queste due evidenze siano strettamente connessee prodotte da cambiamenti idrografici recenti.Descrizione dei dati a sostegno di un’avulsionestorica del tratto terminale del Fiume CecinaEvidenze geomorfologiche e storico-archeologicheLa costa tra Capo Cavallo e Punta Tesorino (figura2b) si caratterizza come un litorale sabbioso che nell’immediatoentroterra risulta costituito da cordoniparalleli formatisi in antichi ambienti litoranei durantegli ultimi 2.000 anni [2,5]. La risultante morfologiacuspidata, riferita a fenomeni di rifrazione del motoondoso [3], prosegue nella parte sommersa dellaspiaggia e nella piattaforma come indicato dal trendbatimetrico dell’altofondo noto come Secche di Vada(figura 1c). A fronte di tale morfologia, l’attuale focedel Fiume Cecina mostra un assetto di tipo estuario,priva cioè di un apparato deltizio in accrescimentocome invece è presente alle foci dei fiumi Arno e Ombrone[6] rispettivamente a nord e sud dell’area distudio (figura 2a, 2c). A prescindere dalle minori dimensionidel bacino idrografico del Cecina rispetto aquesti fiumi, l’assenza di un delta appare anomala similmente,peraltro, a quanto si verifica per il Serchioe il Magra, due ulteriori fiumi che sfociano nel MarLigure (figura 2d, 2e). Nel caso del Fiume Serchiol’assenza di un delta all’attuale foce esprime uno spostamentodel corso fluviale avvenuto in gran parteper intervento umano a partire dal 5° secolo D.C[1,12]. La presenza/assenza di delta sul litorale tirrenicosettentrionale potrebbe quindi essere determinatada persistenza in una stessa posizione o spostamentorecente dei corsi d’acqua.Un’osservazione accurata della morfologia della pianuracecinese a nord del fiume, effettuata mediantel’analisi di foto aeree e della cartografia topograficain scala 1:10.000, mette in evidenza una stretta depressionelineare, enfatizzata dall’andamento dellacurva di livello dei 10 metri, più bassa da 1 a 3 metricirca relativamente alla pianura circostante (figuragli autori1 Dipartimento di Scienze della Terra,Università di Firenze, Via G. La Pira 4 -50121 Firenze, marcob@geo.unifi.it2 CNR - Istituto di Geoscienze e Georisorse,Via G. La Pira 4 - 50121 Firenze,mbonini@geo.unifi.it;gmoratti@geo.unifi.it3 CNR - Istituto di Geoscienze e Georisorse,Via Moruzzi 1 - 56124 Pisa,paolosquarci@virgilio.it* autore per corrispondenzaCNR - Istituto di Geoscienze e Georisorse,Via G. La Pira 4 - 50121 Firenze,gmoratti@geo.unifi.it36


Storia evolutiva tardo-olocenica del corso terminale del fiume CecinaFigura 1: (a) Carta geologica semplificata del bacino idrografico del Fiume Cecina. (b) Carta geologicadell’area di studio (modificata dai rilevamenti degli autori per il Servizio Geologico della Regione Toscana).(c) Batimetria delle Secche di Vada [3].37


Figura 2: Localizzazione e tipi di foce di alcuni fiumi toscani: (a) delta cuspidato del fiume Ombrone[6]; (b) estuario del fiume Cecina; (c) delta cuspidato del fiume Arno [6]; (d) estuario del Fiume Serchio;(e) estuario del fiume Magra.38


Storia evolutiva tardo-olocenica del corso terminale del fiume Cecina3a). Tale depressione è più o meno in asse con la costapiano-cuspidata a nord della foce del Cecina e siraccorda con il corso del fiume. L’esame morfologicoindica inoltre che tale depressione è parzialmenteoccupata dalle piccole conoidi alluvionali dei torrentiFigura 3: (a) Foto aeree del corso terminale del Fiume Cecina. I triangolineri indicano la scarpata morfologica. La linea tratteggiata indica l’anticocorso del Cecina. I coni alluvionali dell’Acquerta e del Tripesce. (b) Partedella Carta Etruria di Egnazio Danti che illustra la Toscana costiera fra ifiumi Fine e Cornia, sulla quale è evidente delta del Fiume Cecina [10].Acquerta e Tripesce che sembrano essere progradatesulla morfologia preesistente.La dinamica del controllo antropico del territorio costieroposto tra le attuali foci dei fiumi Cecina e Fine èframmentariamente registrata da evidenze archeologichee storiche. Le testimonianzematerialidi antichi insediamentilungo la costa in esamesono fornite dal sito diS. Gaetano (figura 1c),nei pressi di Vada, doveun villaggio risalenteal 9° secolo a.C. divenne,tra il periodo Ellenisticoed il primoMedio Evo, un’areaportuale e commerciale[14] di grande importanzaper l’anticaVolterra. La primastruttura, indizio diun’occupazione stabiledell’area intorno all’attualecittà di Cecina, èrappresentata dalla villaromana di S.Vincenzino,edificata sullasponda meridionaledel Fiume Cecina, precisamentesu un terrazzoalluvionale 5 metrial di sopra della pianura(figura 1b). Il poetaRutilio Namazianonella cronaca del suoritorno definitivo inGallia (De Reditu Suo,primo libro), raccontain forma poetica il suoapprodo a S. Gaetanoche evidentemente nel5° secolo d.C. era ancoral’unico luogo di attraccooperativo sullacosta tra Cecina e Vada.Il poeta descrisseun breve soggiornonella villa del suo nobileamico Albinus, ritenutacoincidente con la39


Villa di S. Vincenzino[7]. Rutilio Namazianogiunse alla villa di Albinusverosimilmente daterra e non dalla focedel Cecina che dovevatrovarsi più a nord dell’attuale[14]. Di fatto,il poeta descrisse l’areacostiera visibile dallavilla come un luogo caratterizzatoda lagunepoco profonde (saline)connesse al mare dapiccoli canali [De RedituSuo, primo libro; 7]senza fare riferimentoad alcuna ampia focefluviale come attualmentevisibile dallostesso punto di vista.Le prime testimonianzecerte di un assettomorfologico e idrograficodella pianura cecinesecoincidente conl’attuale, sono forniteda alcune edificazionimedicee (il Fitto e laMagona del Ferro)realizzate tra la fine del16° e l’inizio del 17° secoloin sinistra del fiume,nei pressi dell’attualecittadina di Cecina.La fondazione dellecittà di Marina di Cecinae Cecina, risalenteFigura 4: (a) Localizzazione e (b) correlazione di tre sezioni stratigrafichemisurate in una cava attiva presso Cecina, sulle unità 4 e 5.rispettivamente alleprime metà dei secoli18° e 19°, testimonia una piena urbanizzazione solo aseguito di bonifiche della porzione meridionale dellapianura alluvionale, fino ad allora un territorio paludosoed acquitrinoso.Un’ulteriore evidenza di variazioni geografiche especificatamente idrografiche, è fornita dal repertoriostorico di cartografia geografica che documentaquesto territorio fin dal primo 16° secolo. In questecarte, reperibili all’Istituto Geografico Militare di Firenze,fino al tardo 1500 la foce del Cecina è rappresentatamolto vicino alla città di Vada. Nella mappaarazzoEtruria (figura 3b), realizzata da EgnazioDanti nel 1580 quale elemento della Galleria Vaticanadelle Carte Geografiche [10], si nota inoltre unchiaro andamento cuspidato della foce del Fiume Cecinache sembra ben corrispondere al tratto tra CapoCavallo e Punta del Tesorino.Evidenze stratigrafico-sedimentologicheLa presenza di cave attive in sinistra idrografica del40


Storia evolutiva tardo-olocenica del corso terminale del fiume CecinaFiume Cecina, circa 5 km a monte della foce, ha permessoun’osservazione particolareggiata dei depositialluvionali costituenti le unità 4 e 5 in cui viene suddivisala pianura del fiume.Fronti di cava alti fino a 15 metri mettono in ottimaesposizione i depositi riferiti a tali unità. Sulla basedei caratteri litologici e sedimentologici cinque subunitàvengono definite nell’unità 5 mentre l’unità 4 èstata suddivisa in tre sub-unità, nell’insieme descrittein dettaglio in un recente articolo [figura 4; 13].Campioni di sostanza organica (legno carbonizzato,gusci di molluschi terrestri) hanno consentito la datazionedelle varie sub-unità con il metodo del radiocarbonio.Le unità 5 e 4 si differenziano significativamentein termini litologici: pelitico-sabbiosa l’unità 5,ghiaioso-sabbiosa l’unità 4. Tali differenze esprimonoprocessi ed ambienti di sedimentazione diversi,seppure in un generale contesto alluvionale, succedutisidurante l’evoluzione olocenica della pianura(si veda [13] per ulteriori dettagli) e che verranno discussidi seguito. L’unità 4 in particolare tra la finedel 16° e l’inizio del 17° secolo.Discussione e conclusioniEvidenze diverse supportano l’ipotesi di una recentee relativamente rapida avulsione verso sud del FiumeCecina che avrebbe anche causato la disattivazionedi un apparato deltizio alimentato da questo fiume.La particolare morfologia piano-cuspidata dellacosta tra Capo Cavallo e Punta del Tesorino è un’evidenzaconvincente di un antico delta dominato damoto ondoso (figura 5a) alimentato da canali del FiumeCecina le cui vestigia sono in parte visibili nelladepressione ad andamento ovest-est a nord dell’attualefiume. La migrazione del canale distributoreverso sud determinò l’interruzione dell’apporto sedimentarioal delta che entrò in progressiva erosionea causa del moto ondoso (figura 5b).La stratigrafia della pianura alluvionale in sinistradell’attuale Cecina rivela che per la maggior partedell’Olocene la pianura ha ricevuto sedimenti fini diesondazione (unità 5). Solo dal tardo 16° secolo uncanale fluviale, in cui transitava e si accumulava materialegrossolano (unità 4), era chiaramente localizzatonella posizione dell’attuale corso d’acqua. Evidentementei pochi secoli intercorsi da quando il fiumesfocia nella sua attuale posizione non hanno consentitol’accrescimento di un nuovo apparato deltizio,determinando quindi la configurazione a estuarioche caratterizza l’attuale foce.I dati storico-archeologici corroborano ulteriormentel’ipotesi di un recente spostamento verso sud delcorso fluviale: 1) gli insediamenti più antichi sono anord di Vada; 2) la costa prospiciente l’attuale cittadinadi Cecina era in epoca tardo-romana priva di unafoce significativamente ampia da poter essere attribuitaal Fiume Cecina; 3) la cartografia geograficastorica fino al tardo 1500 rappresenta la foce del Cecina,di forma cuspidata, posta poco a sud di Vada; 4)solo a partire dalla fine del 1500 si comincia a occuparee ad edificare un territorio che fino ad allora dovevaessere acquitrinoso, come è normale per una pianuraalluvionale costiera, quindi insalubre e pocopraticabile. L’incisione naturale di un nuovo canaledel Cecina unita ad importanti opere di bonifica messein atto soprattutto nel 18° e 19° secolo, favorironoil drenaggio di questo territorio rendendolo pienamentefruibile.Benvenuti et al. imputano questa recente modificazioneidrografica a due fattori concomitanti. Il primofattore, considerato predisponente, è relativo allapossibile tettonica attiva che interessa il tratto terminaledella valle del Fiume Cecina. Dati morfostrutturalidescritti in dettaglio in Benvenuti et al., individuanonel tratto rettilineo in sinistra del fiume, compresotra la costa e la zona di Fiorino (figura 3a), unafaglia normale ad andamento OSO-ENE (Faglia diCecina), che ribassa la pianura e sul cui lato rialzatosi sviluppa l’abitato di Cecina. Il tratto della faglia finoalla valle del Torrente Linaglia è decisamente più«fresco» in termini morfologici rispetto a quellonord-orientale, che risulta più frastagliato. Tale evidenzasuggerisce un’attività recente del tratto sudoccidentale.La ricostruzione del sottosuolo attraversola pianura alluvionale (sezioni geologiche in figura1b), presentata in Benvenuti et al. (in stampa), indicauna possibile paleovalle tardo-quaternaria delCecina (sezione B-B’ in figura 1b, figura 5), colmatada alcune decine di metri di sedimenti, che si addossaverso la faglia di Cecina. Nell’insieme questi elementisuggeriscono che l’attività recente di talestruttura può aver significativamente condizionato losviluppo del tratto terminale del fiume. Una maggiorsubsidenza verso sud, infatti, avrebbe favorito unamigrazione (come nel caso) o persistenza della posizionedel canale in questa zona. L’attività tettonica,evidentemente, non è stata continua come dimostrala posizione più settentrionale occupata dal canaledurante parte dell’Olocene, periodo in cui si può ipotizzareuna stasi tettonica.41


Figura 5: Evoluzione del drenaggio del Fiume Cecina alla fine del 16° secolo e all’inizio del 17° secolo, erelative sezioni geologiche schematiche, non in scala.Il secondo fattore, considerato scatenante per l’avulsionefluviale, è da ricercare nella dinamica della portatafluviale regolata dalla variabilità climatica. Lacartografia geografica storica da un lato, e l’edificazionedel Fitto e della Magona del Ferro dall’altro,vincolano lo spostamento del canale fluviale tra la finedel 1500 e l’inizio del 1600, intervallo confermatoanche dalla datazione radiocarbonio dell’unità 4 cheregistra un paleocanale del Cecina su cui si è impostatol’attuale corso. Dati sulla frequenza e grandezzadegli eventi di piena nei fiumi europei del 16° secolo[15] indicano, per l’Italia centro-settentrionale,piene frequenti e di piccola-media intensità nella primametà del secolo e piene relativamente meno frequenti,ma più catastrofiche, nella seconda metà. Ilregime idroclimatico del 16° secolo, quindi, potrebbeaver reso via via meno stabile il canale del FiumeCecina a nord dell’attuale. Eventi di piena eccezionale,come quella che colpì duramente Firenze nel1589 [4,15], avrebbero infine causato il brusco superamentodefinitivo di un equilibrio geomorfico precarioinducendo il corso fluviale a spostarsi più a sud.In conclusione i dati geo-morfologici presentati inquesto studio integrano e colmano le lacune della documentazionestorica di eventi che necessariamenteebbero un importante impatto su questo territoriocostiero. La mancata documentazione storica dellatrasformazione territoriale è da imputare alle condizionidi depopolamento di un’area che a lungo nonaveva garantito condizioni fisiche e sanitarie favore-42


Storia evolutiva tardo-olocenica del corso terminale del fiume Cecinavoli a stabili insediamenti umani. In casi come questosi comprende come le Scienze Naturali, in particolarele Scienze della Terra, e le Scienze Umanedebbano e possano sempre più integrarsi per megliocomprendere e gestire i rapidi cambiamenti ambientaliin atto o possibili in un prossimo futuro.RingraziamentiLavoro svolto nell’ambito di una Convenzione fraServizio Geologico della Regione Toscana e Istitutodi Geoscienze e Georisorse del CNR.Bibliografia[1] B. Della Rocca, R. Mazzanti, E. Pranzini,Geogr. Fis. Din. Quat. 1997, 10: 56.[2] D. Bresci, S. Carli, E. Pranzini, L. Rossi, StudiCostieri. 2006, 11: 17.[3] E. Aiello, C. Bartolini, G. Gabbani, R. Mazzanti,E. Pranzini, G. Valleri, Boll. Soc. Geol. It.1981, 100: 339.[4] E. Caporali, M. Rinaldi, N. Casagli, Giorn.Geol. Appl. 2005, 1: 177.[5] E. Pranzini, ARCA, Firenze, 1996.[6] E. Pranzini, Geomorphology. 2001, 38: 125.[7] F. Donati, L’Africa romana. 2002, 1: 8.[8] J. Peakall, M. Leeder, J. Best, P. Ashworth,Basin Research, 2000, 12: 413.[9] J.M. Holbrook, S.A Schumm, Tectonophysics.1999, 305: 287.[10] L. Gambi, A. Pinelli, 1997. La galleria dellecarte geografiche in Vaticano. Panini Editore, Modena,1997.[11] L.S. Jones, S.A Schumm, Spec. Publ. Int.Ass. of Sediment. 1999, 28: 171.[12] M. Benvenuti, M. Mariotti-Lippi, P.Pallecchi,M. Sagri, The Holocene. 2006, 16: 863.[13] M. Benvenuti, M. Bonini, G. Moratti, M. Ricci,C. Tanini, Geomorphology.[14] M. Pasquinucci, P. Gambogi, Proc. 19° Conv.Studi Etruschi e Italici, Volterra.[15] R. Brazdil, R. Glaser, C. Pfister, P. Dobrovolny,J-M Antoine, M. Barriendos, D. Camuffo,M. Deutsch, S. Enzi, E. Guidoboni, O. Kotyza,F.S. Rodrigo, F.S, Clim. Change. 1999, 43: 239.[16] R. Mazzanti, Boll. Soc. Geol. It., 1983, 102:419.43


5 / Sez. DivulgativaRaccontare la scienzaClasse 4E Liceo Scientifico «Leonardo da Vinci», FirenzeParole chiave: didattica, scienze naturali, scuola, scuola dell’obbligo, didattica interattivaFra le scuole superiori fiorentine, il «Leonardo da Vinci» è il più antico Liceo Scientifico. Fondato nel 1924, pocodopo la riforma Gentile, possiede una ricchissima collezione scientifica, consistente in strumenti, reperti animali,vegetali ed umani, fossili, minerali, rocce etc. Dal 2003 il corso E della scuola sta procedendo al restauro ed al riordinodelle collezioni, con l’intento di realizzare un Museo Didattico-Scientifico aperto al pubblico: in quest’ottica,dal 2005 il Liceo ha aperto il Museo ed i suoi laboratori – di informatica, chimica, fisica e biologia – alle scuole elementarie medie del territorio, realizzando il «Museo Aperto», un progetto di divulgazione scientifica che prevede difar effettuare esperienze ai ragazzi della scuola dell’obbligo coadiuvati, in qualità di tutor d’aula, dagli studenti deicorsi sperimentali di Scienze, coordinati dal Conservatore del Museo, il prof. Alessandro Fei. Al momento attualepiù di 1500 alunni delle scuole, fiorentine e del comprensorio, hanno partecipato, in orario extrascolastico, alleesperienze del progetto «Museo Aperto».Come trasformare una collezione scientifica licealein un Museo Didattico-Scientifico interattivoLe Scienze Fisiche, Chimiche e Naturali rivestonoun ruolo centrale nella formazione del ragazzo:fin dalla più tenera età i bambini sonoportati ad osservare il mondo naturale che li circonda,con un’attrazione spiccata verso quei fenomeniche tendono ad assumere una dimensione fantastica(il caso «dinosauri» è l’esempio più eclatante, ancheper i bambini in età prescolare). La scuola primaria èmolto sensibile a tal riguardo: fin dal primo anno sicerca di far capire quale sia il lavoro dello scienziato,ma purtroppo la carenza di spazi adibiti a svolgereesperienze obbliga i maestri a limitarsi alla visione difilmati didattici. Anche nel corso delle visite ai museiscientifici universitari – visite che, peraltro, raramentevengono effettuate nel primo ciclo – il tempo riservatoalle esperienze è limitato e si contano sulle ditadi una mano i musei che, sulla falsariga dell’Exploratoriumdi San Francisco, propongono percorsi didatticidi scoperta.Eppure le prime esperienze di didattica interattivaapplicata alle scienze sono state condotte proprio inItalia, a seguito dell’intuizione geniale di Luigi Bombicci(1833-1903): nel 1884 il grande naturalista decidedi realizzare un Museo Didattico Scientifico 1 chein novanta cassetti raccoglie «piccoli oggetti attinentiai tre regni della Natura e che riguardi le necessitàumane del vestire, del mangiare e dell’abitare», con loscopo precipuo di «far circolanti, come lo sono i libridi una biblioteca, e da cantonale a cantonale 2 , quindida classe a classe, i cassetti delle novanta collezioni».L’iniziativa riscuote un tale successo da essere premiatacon una medaglia d’oro all’Esposizione Italianadi Torino nel 1898, con un’altra medaglia d’oro all’EsposizioneAgricola di Villa Borghese a Roma nel1899 ed un’altra ancora, molto più prestigiosa, nell’ambitodell’Esposizione Universale di Parigi del1900.Anche se molte scuole recepiscono l’idea di Bombic-44


Raccontare la scienzaci, attrezzandosi con strumenti per dimostrazioni ereperti da poter mostrare in classe, il museo itinerantebolognese rimane per il primo quarto del Novecentoun polo essenziale per la didattica delle scienze:ancora nel 1925 il direttore centrale della PubblicaIstruzione afferma esplicitamente che «il MuseoBombicci è il più completo e geniale sussidio didatticoper le scuole», mentre l’anno successivo il professorGiuseppe Michele Ferrari, titolare della cattedradi Pedagogia dell’Università di Bologna, lo definisce«un sussidio indispensabile per far conoscere ai propriallievi il metodo induttivo da seguirsi nei primi gradidell’insegnamento e per preparare i futuri professori diPedagogia degli Istituti Magistrali».Nel 1926 la riforma Gentile istituisce il Liceo Scientifico,con l’obiettivo di potenziare l’istruzione matematica,fisica e scientifica in senso lato. La lezione di Bombicciè ormai così radicata da far sì che l’insegnamentodelle scienze – fino ad allora limitato allo stadio puramentedescrittivo – non possa più essere disgiuntodall’osservazione in classe di reperti scientifici e dall’effettuazionedi esperienze pratiche.In questo stesso anno a Firenze viene costituito il primoliceo scientifico, intitolato a Leonardo da Vinci 3 .Figura 1: Modelli di fiori della rinomata ditta Brendelacquisiti dalla prof.ssa Zoli attorno al 1935.La nuova istituzione scolastica ha bisogno di materialiad uso didattico: molte associazioni scientificheed industrie – tra cui le prestigiose Officine Galileo diRifredi – offrono spontaneamente modelli di strumentiscientifici, animali impagliati ed altri sussidi didattici.Ma il Museo, così come oggi si presenta, nonnasce in questa fase: le collezioni sono catalogate inmodo sommario, disperse negli armadi o riposte,senza alcun criterio espositivo, nel Gabinetto diScienze; i singoli campioni sono purtuttavia a disposizionedei docenti, che li portano con sé in aula asupporto delle lezioni.Pochi anni dopo il Ministero della Pubblica Istruzionedelinea una nuova figura a sostegno della didattica,il Docente Tecnico Laureato 4 , ruolo che nel nostroLiceo viene ricoperto da Angela Zoli, ancor oggi ricordatacome «la preziosa Angiolina».Rinunciando alla cattedra, in anni di paziente lavoroella riesce ad acquisire un notevole quantitativo dimateriale utile per l’insegnamento curricolare dellematerie scientifiche in tutti e quattro gli anni del Liceo(dalla seconda alla quinta classe): preziosi modellidi piante e fiori, ossa umane – tra cui uno scheletroumano completo – animali impagliati, vetreria,carte murali ed altro ancora.In concomitanza con il trasferimento della scuolanella sede attuale di Via de’ Marignolli la cattedra discienze viene assegnata al prof. Umberto Zingoni, ilquale rapidamente conquista la fiducia della professoressaZoli, sostituendola nel ruolo di curatore. Alui si deve la creazione del Museo didattico quale oggilo vediamo: «il mio obiettivo divenne riempire tuttigli ‘spazi vuoti’ del reparto Scienze con armadi contenentimateriale scientifico in modo da creare, seppurnella sua limitatezza, un Museo di Scienze costituitoda pezzi non asportabili altro che in casi eccezionali».Giorno dopo giorno, dando prova non solo di ungrande amore per le Scienze, ma anche di una noncomune capacità organizzativa, egli riesce a trasformarei corridoi del settore scientifico in un Museovero e proprio, allestendo una collezione zoologica(composta sia da animali impagliati che in formalina),di reperti paleontologici, invertebrati, conchiglie(tra cui un preziosissimo esemplare di Tridacnagigas), campioni di rocce, minerali e, fiore all’occhiello,uno splendido diorama della fauna appenninica inestate 5 . Nel 1982 il prof. Zingoni va in pensione esembra che il Museo sia destinato all’oblio.Nel decennio successivo la scuola italiana vive unavera e propria “rivoluzione copernicana”: la didatticaquotidiana deve adeguarsi all’informatizzazione45


Figura 2a: Alcune vetrine (Paleontologia, Zoologiadegli Invertebrati, Osteologia, Botanica) delMuseo Didattico-Scientifico del Liceo «Leonardoda Vinci» realizzate dal prof. Zingoni nel 1962.Figura 2b: Alcune vetrine (Mineralogia e Petrografia;Meraviglie del Mare) del Museo Didattico-Scientifico del Liceo «Leonardo da Vinci» realizzatedal prof. Zingoni alla fine degli anni Sessanta.ed all’avvento di Internet;i docenti si devono confrontarecon nuovi mezzidi comunicazione mentresi fa sempre più strada l’ideadel dialogo educativo,con il conseguente abbandonodella paludatalezione frontale.Con sempre maggiorefrequenza si parla di centralitàdella persona, di intersoggettività,di itineraridi scoperta e di percorsiinterattivi, al punto che alcunipedagogisti ventilanola possibilità, in un futuroquanto mai prossimo,di poter «educare animandoe al tempo stessoanimare educando», nellaconvinzione, come affermail pedagogista genoveseGianfranco Calabrese,che «la didattica e l’animazionenon sono solo percorsiche s’intersecano e sirichiamano a vicenda, madiventano, nella loro ricchezzaepistemologica, ununico itinerario, che comeTabella 1: Le collezioni del Museo Didattico-Scientifico.Il Museo attualmente è suddiviso nelle seguenti sezioniBotanica: un erbario di piante mediterranee, una collezione di licheni, modelli microscopicidi tessuti vegetali, una ricca collezione di vetrini di tessuti vegetali, modelli macroscopicidi fiori e piante ed un orto botanico per piante officinali, aromatiche e medicamentose.Entomologia: scatole entomologiche di coleotteri ed una collezione di farfalle.Anatomia, istologia e fisiologia umana: reperti ossei umani (tra cui tre scheletricompleti), organi in formalina, modelli in gesso e plastica del corpo umano, una riccadotazione di vetrini istologici umani di organi sani e non, strumenti per effettuazionedi esperienze di fisiologia umana.Malacologia: due collezioni di conchiglie mediterranee e tropicali, una collezione dicelenterati, antozoi, madrepore etc.Mineralogia: cinque collezioni di minerali, una collezione di modelli di cristalli, strumentiper la misurazione dei cristalli.Paleontologia: una collezione di vertebrati del Quaternario, una collezione di ostrichefossili, una collezione dei più comuni fossili-guida recentemente implementatacon bellissimi esemplari di crostacei.Petrografia: una collezione petrografica di rocce italiane, una collezione di pietre ornamentali,un microscopio polarizzante ed una serie di vetrini per osservazioni petrografiche.Planetario virtuale: affianca i due planetari meccanici, rispettivamente del Settecentoe dell’Ottocento.Strumenti scientifici: strumenti per esperimenti di meccanica, ottica, acustica, termologiae calorimetria, elettrologia ed elettromagnetismo.Zoologia: collezioni di uccelli, di mammiferi impagliati, di invertebrati marini, una collezioneosteologica, una di preparazioni in formalina ed un acquario per pesci tropicalid’acqua dolce.46


Raccontare la scienzaFigura 3: L’acquario per pesci tropicali, prima innovazionedel nuovo Conservatore, prof. AlessandroFei.Figura 4: Intervento di accoglienza scientifica peril 1° anno della scuola primaria «Le stanze dellascienza».fine vuole formare la persona in modo armonico».Nel dicembre 2003 il prof. Alessandro Fei, titolaredella cattedra sperimentale di Scienze Naturali 6 , decidedi seguire le orme del prof. Zingoni: una voltanominato nuovo Conservatore inizia, assieme aglialunni dell’ultimo anno, a riordinare il materiale ed arestaurare le collezioni. Nella primavera 2005 il restauroè praticamente completato: con l’aiuto deglistudenti del triennio del corso E, sperimentale diScienze Naturali, il prof. Fei decide quindi di dare avvioad una serie di esperienze di didattica interattivarivolte agli alunni della scuola dell’obbligo, gettandocosì le basi di un vero e proprio Museo Didattico-Scientifico aperto al pubblico 7 .Il progetto «Museo Aperto»Tabella 2: Prospetto riepilogativo delle attività del «Museo Aperto».Dall’anno scolastico 2005/06 il Museo ospita il «MuseoAperto», un progetto di didattica interattiva dellescienze, che ha come obiettivo cardine la realizzazionedi esperienze pomeridiane nelle quali gli alunnidella scuola dell’obbligosono i protagonisti.I giovani ed i giovanissimipossono infatti:a) assistere a dimostrazionidi laboratorio,condotte da un docenteo un tecnico dilaboratorio relative afenomeni inerenti ilmondo delle Scienzefisiche, chimiche e naturali;b) effettuare sempliciesperienze nei laboratoridel Liceo, sotto laguida di un docente odi un tecnico di laboratorio,coadiuvati dauno o più studenti deltriennio dei corsi sperimentalidi Scienze47


Figura 5: Esperienza «Staticamente» (scuola secondariadi I grado).Figura 6: Esperienza «L’enigma del moto» (scuolasecondaria di I grado).del Liceo in qualità di tutor d’aula.L’iniziativa riscuote un notevole successo, al puntoche viene ripetuta per i tre anni successivi.La tabella 2 fornisce un prospetto riepilogativo delleattività finora effettuate.Punto fermo del progetto è l’assoluta mancanza dischemi “preconfezionati”: le singole esperienze vengonoideate e realizzate assieme ai docenti referentidelle varie scuole ospitate, in modo da armonizzarsiil più possibile con le singole programmazioni, affinchél’evento sperimentale diventi parte integrantedelle medesime.Al momento attuale sono stati ideati e realizzati trediversi tipi di esperienze per la scuola dell’infanzia,dieci per la scuola primaria ed altri dieci per la scuolasecondaria di I grado 8 , ma niente vieta di progettarneancora altre a seguito di specifiche richieste deisingoli docenti.Novità di quest’anno è la realizzazione dei cosiddetti«interventi di accoglienza scientifica» tenuti da studentidei corsi sperimentali del triennio di ScienzeNaturali e del Piano Nazionale Informatica-PNI: nelcorso di tali interventi gli studenti stessi sono chiamatia “mostrare la scienza” ai più giovani – tanto aglialunni della scuola primaria quanto a quelli della secondariadi I grado – attraverso la realizzazione inprima persona di esperienze di fisica, chimica, biologianonché presentando attività didattiche da lorostessi ideate e realizzate.Al momento dell’adesione al Progetto vengono predispostele schede con i prerequisiti richiesti e leeventuali necessità, come nello schema riportato inTabella 3.Figura 7: Esperienza «Aiutiamo Mamma Aquila»(scuola primaria).A termine di ogni esperienza è previsto uno specificomomento di rielaborazione, consistente nella stesuradi un breve testo o un disegno per i bambini dellascuola primaria, e di una relazione sull’esperienzasvolta per i ragazzi della secondaria di I grado. Infine,previo appuntamento, i tutor d’aula incontrano ibambini direttamente nelle loro classi per un ulterioremomento di approfondimento.Trasmettere la scienza ai “fratelli minori”La grande novità del Museo Aperto è proprio il coinvolgimentoin prima persona degli studenti, cosa chepermette loro di poter trascendere la stretta dimensionedi “discenti” a favore di una maggiore intera-48


Raccontare la scienzaTabella 3: Una scheda descrittiva di un’esperienza.ESPERIENZA «I SEGRETI DELL’ACQUA»Ogni alunno è affiancato da un tutorI bambini verranno divisi in due gruppi, uno davanti all’acquario e l’altro nel laboratorio di Biologia, al microscopio.Osservazione acquarioCon la presente esperienza si intende offrire agli alunni un’esperienza di acquariofilia, improntata sullo studio del comportamentodi una comunità di pesci tropicali (es. ruolo della pinna caudale e delle pinne ventrali; distribuzione delmangime ai pesci e verifica delle gerarchie alimentari; distinzione tra carnivori, erbivori e detrivori etc.). Naturalmentesi esaminerà anche il ruolo che hanno le piante nell’acquario, la funzione della luce, la catena alimentare etc. Convieneeffettuare delle fotografie dei vari animali. Tener presente che lo spazio non è eccessivo e che i ragazzi devono stare sedutiper terra. È comunque un’esperienza coinvolgente. Si raccomanda il silenzio – i pesci ci sentono benissimo! – e nonsi deve assolutamente battere sul vetro.Prerequisiti: nessuno.Sede dell’esperienza: corridoio davanti all’acquario.Apparecchi antinfortunistici richiesti: nessuno.Richieste particolari: indossare il grembiule (per non sporcarsi i vestiti).InfusoriCon la presente esperienza s’intende offrire ai bambini l’occasione di avvicinarsi, forse per la prima volta, alla microscopia,attraverso l’osservazione della vita microscopica dell’acqua Si prenderà in esame una colonia di infusori, protozoiunicellulari presenti nell’acqua stagnante. Gli alunni saranno invitati a riconoscere «cosa si nasconde» in una gocciad’acqua, cercando di individuare le più comuni specie (Paramecium spp., Vorticella spp., Copepodae spp. etc.). I bambinisaranno coinvolti in un appassionante «gioco» nel quale si chiederà loro di «contare» i protozoi che ciascuno riesce a vede,facendo una specie di «gara» a chi ne individua di più o di forme diverse. Infine, utilizzando il microscopio proiettorere,vengono osservati i batteri presenti, ingrandendo il vetrino a 650 X.Prerequisiti: nessuno.Sede dell’esperienza: aula di Biologia.Apparecchi antinfortunistici richiesti: nessuno.Richieste particolari: nessuna.Figura 8: Esperienza «I segreti dell’acqua: gli infusori»(scuola primaria).zione con l’ambiente scolastico che quotidianamenteli circonda.Trovare le parole giuste per spiegare a bambini dellascuola primaria concetti complessi può risultare difficile,ma al contempo quanto mai stimolante: spessoi ragazzi riescono ad approcciarsi alla materia in mododiverso da come farebbe un docente, applicandosial massimo per farsi capire e coinvolgere i loro interlocutori.Eloquente, a tal proposito, è il commentodi uno dei tutor al termine di un incontro: «non è assolutamentepesante prepararsi, perché sono ragazzi comenoi». Inoltre il tipo di approccio, tutt’altro checonvenzionale, al museo permette di infrangerequella “quarta parete” che troppo spesso nei Museiscientifici si frappone tra il visitatore e l’oggetto ammirato:dover maneggiare un campione, prelevandolodalla vetrina, ed «utilizzarlo» permette di vincerequel sacro e reverenziale timore che troppo spesso49


si traduce in una sorta di distacco nei riguardi delloscienziato e della stessa idea di scienza.RingraziamentiUn particolare ringraziamento va al prof. DaniloTorre, già Direttore del Museo di Paleontologia –ora Sezione Paleontologia del Museo Nazionale diStoria Naturale – dell’Università di Firenze ed attualePresidente del Museo Fiorentino di Preistoria,per i preziosi consigli durante la stesura del lavoro.Si ringraziano inoltre i proff. Massimo Agapito,Alessandro Fei, ed Umberto Zingoni per la collaborazioneofferta. Si ringraziano infine le proff. RosaChiricosta ed Alessandra Feri per l’attenta letturadel manoscritto.Appendice: le esperienze finora progettate perle classi della scuola dell’obbligoTutte le esperienze sono effettuate sotto la guida deitutor d’aula, del tecnico di laboratorio e dei docenti.Esperienze per la scuola dell’infanziaA nanna, amici animali!: i bambini allestisconodei semplici «nidi» dei vari animali, utilizzando laricca collezione zoologica.Le case degli animali: i bambini allestiscono deisemplici diorami illustranti situazioni del mondoanimale quali il sottobosco, gli uccelli sulla rivadel mare etc. utilizzando la ricca collezione zoologica.Shhh! Parlano i nostri amici pesci: i bambini osservanol’acquario ed imparano a riconoscere ilmaschio, la femmina, ed imparano il ruolo dei singolicomponenti dell’acquario (gli animali carnivori,gli erbivori, i pulitori etc.) e le piante. Successivamente,attraverso un gioco didattico, ripetonoi movimenti dei pesci nell’acquario.Esperienze per la scuola primariaAl termine di ogni esperienza viene richiesta laproduzione, da parte dei bambini, di un disegnoo di un testo. Successivamente, il docente coordinatoreed i tutor d’aula si recano nella scuolaospitata incontrando nuovamente i bambini, perraccogliere i loro commenti e rispondere alleeventuali curiosità emerse a seguito dell’esperienza.BiologiaAiutiamo mamma aquila: i bambini allestisconoun diorama utilizzando le collezioni di animali impagliatidel Museo.Portiamo a casa il topino Johnny: il percorso, appositamentestudiato per una prima della scuolaprimaria, prevede di realizzare un insolito e coinvolgente«gioco dell’oca» con gli animali impagliati,attraverso il quale i bambini sono invitati astudiare il movimento degli animali ed il lorocomportamento.I segreti dell’acqua: i bambini osservano l’acquariodella scuola, studiando il comportamento deipesci, ed osservano al microscopio una colonia diinfusori.Il mio amico Mortimer: i bambini, sfruttando loscheletro – vero – conservato nell’Aula di Scienze,i modelli in plastica ed in gesso del Museo,nonché i vetrini istologici (proiettati su grandeschermo), indagano il funzionamento del corpoumano.Paleontologia che passione!: i bambini «scoprono»in appositi diorami una serie di fossili di conchiglie.Successivamente saranno individuati i generiper un confronto con le conchiglie contemporanee.Infine i bambini devono poi ridisegnare leconchiglie fossili che hanno «scoperto».ChimicaAlla scoperta della chimica: i bambini assistono aduna simpatica presentazione di reazioni chimiche– in assoluta sicurezza – nonché determinano, attraversol’elettrolisi di una soluzione acquosa dicarbonato sodico, la formula chimica dell’acqua.50


Raccontare la scienzaFisicaI segreti della luce: i bambini effettuano esperimentisulla polarizzazione della luce, sull’otticageometrica, sull’interferenza/diffrazione della luce.Con il laser studiano la rifrazione della luce; attraversoil disco di Newton ed un prisma si studialo spettro della luce bianca.Zap! Elettricità!: i bambini effettuano esperimentidi elettrostatica, misurano la deflessione di unelettroscopio caricato sull’elettrizzazione dei corpied assistono all’accensione di un generatore diVan der Graaf; quindi viene spiegato loro il funzionamentodel rocchetto di Rumkhorff, e, attraversolo studio dei raggi catodici, viene spiegato ilfunzionamento del televisore.Il grande mistero del volo: i bambini studiano lastruttura dello scheletro dei volatili e la strutturadell’ala degli uccelli, arrivando al concetto di portanzaaerodinamica; quindi, attraverso un semplicestrumento, studiano il meccanismo del volodegli alianti e degli aerei a reazione.Pianeti misteriosi: i bambini analizzano il planetariovirtuale della scuola, imparando a riconoscerele più comuni costellazioni visibili nel nostro emisfero;inoltre osservano i pianeti del Sistema Solare,sempre attraverso il telescopio virtuale, analizzandola struttura della superficie della Luna e diMercurio, le nubi di Venere, le nubi di Giove, glianelli di Saturno e la struttura dei pianeti di ghiaccio.Infine i bambini osservano delle immaginidelle più comuni nebulose e delle galassie più vicine,imparando a individuarle sulla volta celeste.Esperienze per la scuola secondariadi I gradoAl termine di ogni esperienza viene richiesta laproduzione, da parte dei ragazzi, di un grafico o diuna relazione. Successivamente, il docente coordinatoreed i tutor d’aula si recano nella scuolaospitata incontrando nuovamente i ragazzi, perraccogliere i loro commenti e rispondere agli interrogativiemersi a seguito dell’esperienza.ChimicaI segreti della chimica: i ragazzi effettuano una seriedi esperienze di chimica – in assoluta sicurezza– e determinano, attraverso l’elettrolisi di unasoluzione acquosa di carbonato sodico, la formulachimica dell’acqua. Si realizza ed analizza la reazionechimica fra sodio metallico ed acqua, arrivandoalla impostazione di un’equazione chimica.FisicaAlla scoperta della luce: i ragazzi effettuano esperimentisulla polarizzazione della luce, sull’otticageometrica, sull’interferenza/diffrazione della luce,focalizzando il concetto di fenomeno ondulatorio.Con il laser studiano la rifrazione della luce;attraverso il disco di Newton ed un prisma studianolo spettro della luce bianca. Con l’ausilio di unospettroscopio Kirchhoff-Bunsen studiano lo spettrovisibile di vari elementi (sodio, mercurio, cadmio).Vengono inoltre effettuate, in laboratorio dichimica, delle esperienze di saggio alla fiamma.L’enigma del moto: i ragazzi effettuano rilevazionisul moto rettilineo uniforme ed uniformementeaccelerato sfruttando la rotaia a cuscino d’aria delLaboratorio di Fisica. Inoltre osservano urti totalmenteanelastici e totalmente elastici. Con l’apparecchiodei sette pendoli si esplora quindi la conservazionedella quantità di moto.Alla scoperta del suono: i ragazzi effettuano esperienzedi acustica, focalizzando la loro attenzionesui fenomeni ondulatori, effettuando i battimenti,la risonanza e la propagazione delle onde sonoreed altre onde meccaniche.Staticamente: i ragazzi effettuano una serie diesperienze di statica, che vanno dalla composizionedelle forze alla spinta di Archimede, dall’equilibriodei momenti alla struttura di una bilancia adue piatti.Il magico mondo dei fluidi: i ragazzi effettuanouna serie di esperienze di fluidodinamica.I raggi catodici: i ragazzi assistono ad una dimostrazionesulla genesi dei raggi catodici fino ad arrivareal principio che ha dato origine ai nostri televisori.51


BiologiaLe leggi della mitosi: i ragazzi effettuano degli studial microscopio sulla mitosi degli apici radicalidi cipolla ed osservano su grande schermo, le variefasi su un vetrino preparato.Indagine sul cervello dei vertebrati: i ragazzi studianol’evoluzione dell’encefalo e del sistema nervosodei vertebrati, evidenziando, in base all’evoluzioneed alle necessità, l’aumento di complessitàdelle aree cerebrali e l’aumento delle funzioni.Inoltre viene studiato, attraverso una simpaticasimulazione, il meccanismo di trasmissionedell’impulso nervoso e di risposta agli stimoli nell’uomo.La digestione dei cibi: i ragazzi studiano l’apparatodigerente, individuando il ruolo dei singoli organied analizzando i criteri per una corretta alimentazione;attraverso l’analisi della piramide alimentaree di quello che un gruppo di loro ha mangiato apranzo si analizza il tipo di pranzo (carente di unalimento, eccessivo, frugale etc.); inoltre vienepresentata ai ragazzi una serie di diete tratte da rivistenon specializzate (settimanali, rotocalchietc.) che vengono analizzate e criticate assieme.Piero Bargellini – le corna del cervo, affogato a causa delladisastrosa alluvione del 4 novembre.6Attualmente il Liceo conta ben tre cattedre sperimentalidi Scienze Naturali: tale sperimentazione è la più richiesta7In una recente intervista, il prof. Fei si è così espresso:«Sogno un museo aperto a tutti, in cui il bambino di tre annivenga accompagnato dal nonno che gli dice: ‘Dai, andiamo avedere gli animali ed a fare gli esperimenti!’ in cui non si sachi in realtà si diverta di più…».8L’elenco è riportato in Appendice.Bibliografia[1] Gianfranco Calabrese, Animare l’educazione.Per una didattica interattiva. I fondamenti, FrancoAngeli editore, Milano: 2007 2 .[2] Comitato San Mattia: Il Museo Bombicci:http://digilander.libero.it/comitatosanmattia.bo/bombicci.html [visto il 14-1-2008].Note1Sicuramente il primo in Italia; vi sono indizi che sia il primoin tutta Europa.2Per cantonale si intenda un gruppo di scuole.3Dal 1924 al 1957 è ubicato in Via Capponi, indi in Via Masaccio,successivamente viene trasferito nell’attuale sede diVia de’ Marignolli. Rimarrà l’unico liceo scientifico fiorentinofino al 1967, anno di fondazione del Liceo «Castelnuovo».4Oggi tale incarico viene ricoperto da due ruoli diversi:l’Insegnante Tecnico-Pratico (I.T.P.) ed il personale A.T.A.(Amministrativo, Tecnico ed Ausiliario).5In una recente intervista, il prof. Zingoni ha raccontatomolti curiosi aneddoti sull’allestimento del Museo: per realizzareil diorama si faceva regolarmente chiudere dentro lascuola, uscendone solo a notte fonda; assieme ad alcuni studentisi recava nelle grotte senesi per raccogliere campionidi stalattiti e stalagmiti precedentemente fratturate da speleologiinesperti; per acquisire animali impagliati e conchigliea prezzo d’ingrosso, ha girato «regolarmente in terzaclasse, per risparmiare» tutto il nord Italia e si è recato personalmente,nel novembre 1966, a visitare ciò che restavadel piccolo zoo fiorentino delle Cascine per acquisire – dopoaver ricevuto il permesso dell’allora Sindaco di Firenze,52


6 / Sez. DivulgativaCalanchi e biancane, suggestive forme d’erosionenelle argille delle colline toscaneGiancarlo Lari*Parole chiave: argilla, badlands, biancana, calanco, creta, mattaioneCalanchi e biancane, un tempo assai diffusi nel paesaggio toscano delle colline argillose che caratterizzanoampie zone del volterrano e delle crete senesi, sono ormai una rarità, a causa della loro sistematicadistruzione con lo scopo di trasformare quei terreni ad uso agricolo o pastorale.La salvaguardia delle ultime forme superstiti è importante per conservare memoria di un paesaggio delpassato in gran parte scomparso.PremessaLa presente nota fa seguito alla precedente, G.Lari e F. Saggini, 2006 [5], presentata il 19 febbraio2006 a Castiglioncello, in occasione del 1°Congresso regionale toscano di Scienze NaturaliCODICE ARMONICO. Essa completa la trattazionedel tema «Forme d’erosione: balze, calanchi e biancane»che, oltre all’interesse scientifico nell’ambito delleScienze della Terra, riveste valenza ed importanzadi carattere didattico, ambientale e turistico, ne è lariprova l’istituzione dell’itinerario dei calanchi, operativocon moderna segnaletica nella campagna diVolterra (zona di S. Cipriano).A livello di ricerca sperimentale, sul tema delle caratteristichefisico-chimiche e mineralogiche delleargille che influiscono sulla morfologia di una regione,sono importanti gli studi effettuati negli anni‘70 dai ricercatori dell’Istituto sperimentale per lostudio e la difesa del suolo di Firenze, con il suocentro sperimentale S. Elisabetta di Vicarello (Volterra);segnalo in particolare i lavori di M. Sfalanga- P.G. Malesani - S. Vannucci, 1974 [16]; M. Sfalanga- V. Rizzo, 1974 [17] - M. Sfalanga - S. Vannucci, 1975[18].Altro importante studio sperimentale sull’origine dicalanchi e biancane si deve al Geologo S. Vittorini,1977 [24].A livello divulgativo è importante lo studio di Geomorfologiadel Neogene di R. Mazzanti e G. Rodolfi,1988 [10] che tratta anche di balze, calanchi e biancane,studio a cui si rinvia per gli approfondimenti.La presente nota, oltre alla divulgazione a livello didatticoe ambientale del tema trattato, si prefigge loscopo di richiamare l’attenzione sulla situazione dicalanchi e biancane, dopo gli interventi distruttiviperpetrati a partire dalla fine degli anni ’50 e protrattisifino ad oggi, con l’intento di sensibilizzare Entipubblici e Istituzioni preposti alla salvaguardia delterritorio, affinché emanino provvedimenti di tuteladi queste curiose e suggestive forme del terreno.Calanchi e biancane: definizione e origineEntrambi i vocaboli calanco e biancana sono di originedialettale.Il termine calanco è di origine emiliana; fu elevato alrango di termine scientifico dal naturalista LuigiBombicci (Siena, 1833 - Bologna, 1903) nella secondametà dell’800 e successivamente accettato dal geografoRoberto Almagià (Firenze, 1884 - Roma, 1962).53


Il termine biancana è originario dell’area volterranae fu ufficialmente adottato nel linguaggio scientificoda G. Stefanini, 1914 [20].Calanchi - Minuscoli bacini imbriferi ramificati, localizzatiin pendìi argillosi scoscesi e generalmentespogli. Sono costituiti da una serie di solchi e crestesubparalleli, ripidi, stretti e allungati. I due versantidi ciascun calanco sono incisi a loro volta da numerosisolchi minori di erosione (vallecole) subortogonalialla linea di cresta principale. Le vallecole lateraliconfluiscono in profonde incisioni che separano i singolicalanchi.I calanchi si formano preferibilmente nei versantiesposti a sud, a causa del più rapido disseccamentodel terreno a componente argillosa e del conseguentedifficile attecchimento della vegetazione ancheerbacea.Biancane - Serie di cupolette d’argilla spoglie o quasi,a forma mammellonare e dosso arrotondato, dicolore biancastro, tipico dell’argilla asciutta. Il colorechiaro è talvolta accentuato da efflorescenze di sale(Na 2SO 4).I primi studi sulle biancane sono stati fatti nelle argilledi facies piacenziana della Toscana collinare (mattaionidel territorio Volterrano e crete senesi).Caratteristica comune a calanchi e biancane è lapressoché totale assenza di vegetazione sia arbustivache erbacea che facilita i processi erosivi ad operadelle acque di ruscellamento.Nella zona di S. Cipriano, presso Volterra, G. Rodolfie F. Frascati, 1979 [14] distinsero due forme fondamentalidi calanchi, denominate di tipo A e B.Il calanco di tipo A corrisponde sostanzialmente alladescrizione tipo di cui sopra, mentre il calanco di tipoB è caratterizzato da profili meno acclivi e nontroppo affilati ed è delimitato da vallecole più ampie,a fondo concavo. Tali caratteristiche strutturali permettonoil parziale attecchimento della vegetazioneerbacea e talvolta arbustiva negli impluvi tra due calanchicontigui.Il territorio di calanchi e biancane è brullo, impervioe caratterizzato da solchi e precipizi scavati dall’erosionedelle acque. L’aspetto paesaggistico di questearee collinari appare tuttavia suggestivo e talvoltamaestoso, soprattutto in primavera, quando l’argillabiancastra delle aree calanchive contrasta con il coloreverde dell’erba spontanea circostante, della vegetazionearbustiva in fiore o con i colori vivaci dellecolture di frumento e delle erbe da foraggio (trifoglio,erba medica, sulla, colza, ecc.) che crescono rigogliosenelle colline adiacenti.Figura 1: I calanchi di S. Cipriano - Volterra (fotodell’Autore).Figura 2: Le biancane di Mazzolla - Volterra (fotodell’Autore).Nel Volterrano 1 l’argilla grigio-azzurra, di età Plioceneinferiore-medio, è detta anche mattaione, mentrenella campagna a sud di Siena la stessa argilla è notacome creta, da cui il termine Crete Senesi riservato alterritorio compreso fra Siena e Montalcino.La sorte di calanchi e biancane è strettamente legataall’agricoltura o, meglio, all’evoluzione del tipo di coltivazioneagricola praticata nei terreni argillosi. Que-l’autore* autore per corrispondenzaGeologo - Volterra, piazza Martiridella Libertà, 7Tel e fax (c.a.): 0588-87106italgeostudio@libero.it54


Calanchi e biancane, suggestive forme d’erosione nelle argille delle colline toscaneFigura 3: I calanchi di S. Cipriano (fig. 1), sumappa IGM (F. 112 Volterra, Tavoletta Villamagna),sono contraddistinti da barbette con le punteconvergenti verso gli assi degli impluvi. Si noticome i calanchi sono presenti solo nei versantiesposti a sud. Il cerchio in basso indica il punto diripresa della foto di figura 1.sti ultimi, spogli di vegetazione arbustiva ed arboreaa causa del facile inaridimento dovuto alla impermeabilitàdell’argilla, consentono l’attecchimentostagionale, nel periodo primaverile e autunnale, divegetazione erbacea e, quando sono oggetto di coltivazioneagricola, possono ospitare con successo soltantomonocolture. Sono dunque, i nostri in esame,paesaggi agrari assai condizionati dalla natura deiterreni e, da sempre, possono accogliere solo specifichecolture a seminativo.I paesaggi dei mattaioni volterrani e delle crete senesi,fino alla metà del secolo scorso, erano costellati dinumerose plaghe di terreno modellate naturalmentea calanchi e biancane; la coltivazione semimeccanizzatapraticata nell’ultimo trentennio della civiltà contadina(1930-1960) non aveva un gran che scalfito lamorfologia naturale di queste curiose e suggestiveforme d’erosione.Le biancane furono decritte per la prima volta da G.Targioni Tozzetti 1769 [23]: «Biancana, … dal colorequasi bianco che prende la superficie asciutta del mattaione,a cagione della fioritura salina e selenitica».E. Repetti, 1846 [12] rammenta sia le biancane di Volterrache quelle di Asciano (SI) (figura n. 4) ed accennaal territorio «sparso di tumuli e di gibbose irregolaridune, pressoché tutte coperte di crete marnoseconchigliari».Il geografo A. Martelli, 1908 [7] ed i Geologi P. Savi,1839 [15] e P. Principi, 1941 [11] descrissero calanchie biancane nelle rispettive note scientifiche sulterritorio volterrano.Giuseppe Stefanini, Geologo docente universitarioprima a Firenze e poi a Pisa, dedicò tre pubblicazioni[19-20-21] alle forme d’erosione dei terreni neogenicidel volterrano e del senese: «balze, calanchi e biancane»,accogliendo per primo in ambito scientifico iltermine biancana, fino ad allora in uso tra la popolazionedel Volterrano.Infine, fra la fine dell’800 e i primi del 900, due grandidella letteratura restarono ammirati alla vista delpaesaggio delle biancane.Paul Borget (Amiens, 1852 - Paris, 1935) romanzieree saggista francese esprime in Sensation d’Italie,1891 [1] ammirazione per il paesaggio delle biancane:«l’immens ocean des mamelons ravinés … descollines après des collines, des mamelons après desmamelons».Gabriele D’Annunzio, nel romanzo Forse che si, forseche no, pubblicato nel 1910 [3] ed ambientato a Volterra,dedica varie frasi al paesaggio delle biancane:«la landa malvagia, il deserto di cenere … la campagnagibbosa, la terra tutta occupata di tumuli, … lebiancane nell’albore lunare simili alla crosta d’un pianetaestinto …i cumuli di creta, ove le rasure dell’acquasi disponevano come le nervature delle fogliemacere, o come le rughe nelle zampe enormi dei pachidermi».Le frasi del Borgét e di D’annunzio descrivono unpaesaggio all’epoca costellato di innumerevoli biancane;oggi non è più così, le biancane sono state oggettodi sistematica distruzione in un recente passato.Con l’avvento dell’agricoltura meccanizzata, aratritrivomeri, ruspe ed escavatori hanno spianato e55


distrutto le suggestive cupolette d’argilla biancastrache un tempo costellavano le lande argillose della toscanacollinare.Calanchi e biancane sono dovuti a fenomeni erosiviin terreni argillosi e danno luogo a forme tipiche, comenella campagna volterrana e nelle crete senesi, inToscana (figure 1-2-3-4). Famosi sono inoltre i calanchidel subappennino emiliano-romagnolo (RiservaNaturale Geologica del Piacenziano [figura 5] e Parcodell’Abbadessa), i calanchi abruzzesi (Riserva diAtri), i calanchi lucani (Aliano, Tursi, ecc. [figure 6-8]), ed i calanchi presenti lungo la costa ionica dellaCalabria, tra Punta Stilo e Locri.Condizioni di formazione di calanchi e biancanePoiché calanchi e biancane si formano in terreni acomponente argillosa, per comprenderne l’origineoccorre richiamare alcuni concetti geotecnici fondamentalisul comportamento dell’argilla.Si tenga presente innanzitutto che comunementevengono chiamati argillosi i terreni che in realtà sonoa «componente argillosa», ossia terreni in cui l’argillaè uno dei componenti ma non l’esclusivo.I terreni incoerenti sono distinti in 4 tipi principali e illimite fra l’uno e l’altro è funzione delle dimensionidelle particelle. Si usa definire i 4 differenti litotipi infunzione del loro diametro equivalente D (limitiA.G.I. Associazione Geotecnica Italiana) espresso inmillimetri:Ghiaia: D > 2Sabbia: 0,06 < D


Calanchi e biancane, suggestive forme d’erosione nelle argille delle colline toscaneallo stato liquido se il contenuto d’acqua raggiunge illimite di liquidità.L’argilla di calanchi e biancane, plastica in superficie,quando assorbe acqua diviene facilmente erodibileed è sottoposta all’asportazione dello strato epidermicoche può subire un processo gravitativo dicolamento.La predisposizione di un territorio alla formazione dicalanchi e biancane dipende dalle proprietà del terrenocoesivo affiorante, specialmente dalla granulometriae dalla composizione mineralogica.L’argilla è composta di vari minerali distinguibili neitre gruppi principali del caolino, dell’illite e dellamontmorillonite, con caratteristiche diverse perquanto riguarda la capacità di assorbire acqua. Lamontmorillonite è il minerale con la più alta capacitàd’assorbimento, il caolino la più bassa. La morfologiadelle Formazioni a componente argillosa del Neogene,può dunque variare in rapporto alla differentecomposizione mineralogica di questi terreni (S. Vittorini,1977 [24]).Quando in un sedimento argilloso prevalgono i mineraliespandibili, il terreno, a causa dell’alternarsidi periodi di siccità a periodi piovosi, manifesta il fenomenodella fessurazione, fenomeno quest’ultimoche, consentendo l’infiltrazione d’acqua a profonditàdi alcuni metri, facilita il processo di plastificazionedell’argilla, predispondendo il terreno all’innesco difenomeni gravitativi.L’intensa erosione, cui sono sottoposti i teneri terreniargillosi della Toscana collinare, si manifesta confenomeni come ruscellamenti, soliflussi, creeping e,nella forma parossistica, con frane di colamento e discoscendimento.Quando l’erosione diventa regolare, ordinata, ripetitivae segue l’avvicendarsi dei cicli stagionali, le formeche ne derivano non sono più casuali e caotichecome ad esempio nei soliflussi, ma assumono unaspetto subgeometrico tipico di calanchi e biancane.Moderne ricerche sperimentali sull’origine di calanchie biancane, in rapporto alle caratteristiche geotecnichee mineralogiche dei terreni a componenteargillosa, si devono al Geologo Michele Sfalangache, insieme ad altri ricercatori, ha finalmente chiaritoalcune condizioni di esistenza di queste forme delterreno. I principali risultati di tali ricerche sono contenutinelle seguenti note scientifiche:1. M. Sfalanga, P.G. Malesani, S. Vannucci, 1974[16] esaminando i terreni argillosi del Valdarno superiore,della Val d’Era e della Val d’Elsa constatanoche le caratteristiche geomorfologiche e i fenomenid’instabilità dei versanti sono dovuti al loro contenutod’acqua allo stato naturale che a sua volta è condizionatodalla composizione mineralogica dell’argilla.2. M. Sfalanga, V. Rizzo, 1974 [17] affermano, in basea dati sperimentali, che le differenze morfologicheosservabili nei paesaggi argillosi, in particolarela formazione di calanchi, sono legate non solo a fattoridi esposizione ma anche a caratteristiche intrinsechedei sedimenti fra cui la granulometria e lacomposizione mineralogica.3. M. Sfalanga, S. Vannucci, 1975 [18] effettuano unaricerca su due differenti bacini sperimentali posti incorrispondenza, il primo della base delle Argille grigio-azzurredi età Pliocene inferiore-medio, privo dicalanchi e l’altro nella parte più alta della medesimaFormazione, in presenza di argille sabbiose, in un’arearicca di calanchi. Essi giungono alla conclusioneche le forme calanchive presenti in uno dei due bacinisono impostate su sedimenti a parziale componenteargillosa (limi argillo-sabbiosi), mentre i terreni argillosi,peculiari dell’altro bacino, a elevato tenore in mineralia reticolo espandibile e ad alta plasticità, dannoluogo a morfologie stondate e a bassa acclività.Ricerche indipendenti dal gruppo di Michele Sfalangasono state effettuate da S. Vittorini, 1977 [24].Questo autore, dopo aver sperimentato che i mineralidei gruppi della Montmorillonite e del Caolino hannocomportamenti opposti riguardo alla capacitàd’assorbire acqua, ipotizza che esistano rapporti fratipi di argilla e forme d’erosione.Sperimentata la diversità mineralogica dei terreni argillosipliocenici e pleistocenici di quattro differenticomparti (tabella 1), di cui due in Toscana, Val d’Era(PI), Val d’Orcia (SI), uno in Abruzzo, Valle del FiumePiomba (TE) e uno in Basilicata, Valle del FiumeBasento (MT), l’Autore giunge alla conclusione chenei terreni argillosi, dove è massima la concentrazionedei minerali espandibili, si rinvengono calanchi acreste stondate e biancane (Valle del F. Basento).Laddove sono scarsi i minerali espandibili si trovanocalanchi scoscesi a creste aguzze e assenza di biancane(Valle del F. Piomba).Per quanto riguarda l’aspetto granulometrico S. Vittorini,1977 [24] concorda con M. Sfalanga e S. Vannucci,1975 [18] che i calanchi sono associati ai limiargillo-sabbiosi, mentre le biancane si formano interreni a granulometria più fine (argille limose).L’autore mette in risalto che nei calanchi l’erosioneprevalente è di tipo lineare ed avviene per asportazionemeccanica delle particelle dovuta al ruscellamento,mentre nelle biancane l’erosione è di tipo57


areale ed avviene perplastificazione dell’argillae conseguentecolamento.Tabella 1: Quadro riassuntivo dei minerali argillosi presenti nei campionidelle quattro valli in esame, da S. Vittorini, 1977 [24].Badlandse «jaramme»Il termine badlands(letteralmente «cattiveterre») indica genericamenteparticolariregioni di bassi rilievi,prive di vegetazione,dove le rocce, profondamente incise dall’erosione,presentano forme e colori spettacolari. L’erosione ècausata principalmente dall’alternarsi di periodi dipiogge intense e devastanti, intervallati da lunghi periodidi siccità.Le badlands, a livello internazionale e in senso lato,sono aree brulle e incolte più o meno estese in cuispicca un paesaggio arido, spoglio e desolato, impostatosu terreni impermeabili ad elevato grado dierodibilità. Esse sono caratterizzate dalla presenzadi tipiche e suggestive forme d’erosione.In senso stretto le badlands sono identificabili conuna regione dello stato americano del Sud Dakota,nell’omonimo Parco Nazionale che si sviluppa suuna superficie di 982 Km 2 , tra le Black Hills, a ovest,e il corso del Fiume Missouri a est.Le badlands americane (figura 7) sono differenti dacalanchi e biancane italiani, essendo stratificate eformate da alte torri e pinnacoli, tanto da assomigliaread una sorta di piramidi di terra. Esse sono costituiteda banchi di argille tenere ed erodibili, alternatea strati di rocce più dure (arenarie).I terreni sedimentari delle badlands del Sud Dakotasi depositarono nell’Era Terziaria, dall’Eocene all’Oligocene,ossia dai 37 ai 26 milioni di anni fa, mentre iterreni modellati dai calanchi e dalle biancane dellaToscana sono più recenti, in genere del Pliocene edel Quaternario.Le «badlands» della Lucania interessano circa il 30%del territorio regionale, nel settore sud-orientale. Esseoccupano la maggior parte delle aree collinari digradantiverso il Mar Jonio comprese fra le valli deiFiumi Agri, Sauro e Basento. In dialetto lucano il terminecalanco indica biancana mentre i calanchi vengonoappellati jaramme (burroni, precipizi), secondoquanto riferitomi dal giornalista della Gazzettaxxx, abbondante; xx, presente; x, scarso; t, tracce. Le parentesi indicano una presenzadiscontinua.del Mezzogiorno Salvatore Verde di Tursi.Allo scopo di tutelare e conservare le caratteristichenaturali e paesaggistiche della zona è in via di istituzioneun parco regionale che comprenderà vari Comunidelle province di Potenza e Matera, fra cui Alianoe Tursi (figure n. 6-8).Il maestoso paesaggio dei calanchi di Aliano è statodescritto dallo scrittore Carlo Levi, 1945 [6] nel celebreromanzo storico Cristo si è fermato a Eboli. L’Autore,esule in quel paese alla fine degli anni ’30, descrivea più riprese il paesaggio circostante: «… e daogni parte non c’erano che precipizi di argilla bianca,senz’alberi e senz’erba, scavata dalle acque in buche,coni, piagge di aspetto maligno, come un paesaggiolunare …»; illustrando mirabilmente anche l’effettodelle intense precipitazioni concentrate in brevi periodidell’anno: «Le argille cominciarono a sciogliersi,a colare lente per i pendìi, scivolando in basso, grigitorrenti di terra in un mondo liquefatto».Figura 7: Paesaggio delle Badlands americane(foto South Dakota Geological Survey - USA).58


Calanchi e biancane, suggestive forme d’erosione nelle argille delle colline toscaneFigura 8: Calanchi (jaramme) di Tursi (Lucania)loc. Santuario di Anglona (foto Salvatore Verde).La salvaguardia di calanchi e biancaneG. Lari e M. Cinci, 1999 [4] lanciano l’allarme sulla sistematicadistruzione di calanchi e biancane per recuperarearee considerate marginali all’uso agricoloe propongono interventi legislativi di salvaguardiaagli Enti locali.Nelle Norme Tecniche d’Attuazione (Artt. 28 e 78)del nuovo Piano strutturale del Comune di Volterra,adottato con Delibera Consiglio Comunale n. 31 del25 maggio 2007, è stata recepita la proposta, riconoscendoil valore estetico, paesistico e ambientale dicalanchi e biancane e preannunciando l’emanazionedi adeguate disposizioni di salvaguardia a livello diRegolamento Urbanistico.Si segua l’esempio della Basilicata, dove per tutelaree conservare le caratteristiche naturali e paesaggistichedell’immenso e prezioso paesaggio dei calanchi,è in via di istituzione un parco regionale la cui estensionecomprenderà vari Comuni delle province diMatera e Potenza, fra cui Aliano e Tursi.RingraziamentiDesidero esprimere la mia gratitudine:• al Dr. Derric Iles, State Geologist of South DakotaGeological Survey (U.S.A.) per le foto del grandiososcenario delle badlands americane;• a Don Pierino Dilenge e Luigi De Lorenzo di Aliano(MT) ed in particolare a Salvatore Verde di Tursi(MT), giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno eDirettore del bimestrale TURSITANI, per le magnifichefoto inviatemi del maestoso paesaggio dei calanchilucani;• al Direttore del sito web www.fototoscana.it ed aiGeologi Dr. Enrico Capezzuoli e Dr. Riccardo Aquè,dottori di ricerca e contrattisti al Dipartimento diScienze della Terra dell’Università di Siena, per le fotodelle crete senesi;• al Dr. Gianluca Raineri, Direttore della RiservaNaturale Geologica del Piacenziano di Castell’Arquato(PC) per le foto dei calanchi del subappenninopadano.Un ringraziamento particolare a mia moglie Patrizia,docente di Scuola media, per la collaborazione prestatanella stesura finale del testo.Note1Con il termine «Volterrano» s’intende il vasto territorioun tempo sotto l’influenza della città-stato etrusca di Volterra(Velathri) e successivamente compreso entro i confiniamministrativi del Municipio della città romana (Volaterrae).Il Volterrano oggi è un territorio diviso fra le provincedi Pisa, Firenze, Siena, Grosseto, Livorno e comprende, anord le colline della media Val d’Era (Chianni, Terricciola,Pèccioli) e parte della Val d’Elsa (Montaione). Il confine delterritorio Volterrano ad est della città è il fiume Elsa (in epocaetrusco-romana il confine giungeva fino al fiume Pesa),con il territorio di Castelfiorentino a sinistra del Fiume e diGambassi. A sud il confine è segnato dai Comuni di Montierie Monterotondo M.mo, mentre ad ovest il territorio volterranogiunge fino alla linea di costa e comprende Bibbona,Cecina e Vada (ex porto di Volterra).2I limiti di plasticità (L.P.) e di liquidita (L.L.) vengonodetti Limiti di Atterberg. Ai fini di classificare lo stato fisicodi un’argilla è importante anche l’Indice di Plasticità (Ip =L.L. - L.P.).Bibliografia[1] P. Bourget, Sensations d’Italie. Editeur Plon,Paris 1891.[2] G.B. Castiglioni, Geomorfologia. EdizioniUTET, Torino 1979, pp. 436.[3] G. D’Annunzio, Forse che si, forse che no. EdizioniTreves, Milano 1910.[4] G. Lari, M. Cinci, Salviamo le ultime biancane!,in «La Spalletta» (settimanale volterrano), 22maggio 1999, pp. II-III.[5] G. Lari, F. Saggini, Volterra, l’avanzata dellebalze. Le balze di Volterra fra storia e nuove conoscenzegeologico-strutturali. Estratto dagli Atti59


del 1° Congresso regionale toscano di Scienze Naturali,Castiglioncello 19.2.2006 - Tagete Edizioni,2006.[6] C. Levi, Cristo si è fermato a Eboli. EdizioniEinaudi, Torino 1945.[7] A. Martelli, Le balze di Volterra. Riv. Geogr.It., 1908, vol. 15, pp. 91-101.[8] R. Mazzanti, Le vicende geologiche e la morfologiadel territorio, in A. Cecchella, M. Pinna, LaCaldera. Studio economico e territoriale. CentroStudi Economico Finanziari, Pisa, 1988, pp. 25-53.[9] R. Mazzanti, C. Nencini, Geologia della Vald’Era. Quaderni del Museo di Storia Naturale diLivorno, 1986, vol. 7: 1-37.[10] R. Mazzanti, G. Rodolfi, Evoluzione del rilievonei sedimenti argillosi e sabbiosi dei cicli neogenicie quaternari italiani, in: La gestione delle areefranose, a cura di P. Canuti ed E. Pranzini. Edizionidelle Autonomie, Roma 1988, pp. 13-60.[11] P. Principi, La geologia e la pedologia delcomprensorio di bonifica dell’Alta Val d’Era. Tip.Mariano Ricci, Firenze 1941.[12] E. Repetti, Dizionario geografico, fisico e storicodella Toscana. Edizioni Mazzoli, Firenze1846.[13] G. Rodolfi, Forme di erosione nei sedimentineogenici e quaternari, in: La gestione delle areecollinari argillose e sabbiose, a cura di R. Mazzanti.Edizioni delle Autonomie, Roma 1991, pp. 19-30.[14] G. Rodolfi, F. Frascati, Cartografia di baseper la programmazione degli interventi in areemarginali - Area rappresentativa dell’Alta Valdera.1° - Memorie illustrative della Carta Geomorfologica.Annali dell’Istituto sperimentale perla difesa del suolo, Tipografia R. Coppini & C., Firenze,1979, Vol. X, pp. 37-80.[15] P. Savi, Memorie per servire allo studio dellacostituzione fisica della Toscana. Tipografia F.lliNistri, Pisa 1839.[16] M. Sfalanga, P.G. Malesani, S. Vannucci, Relazionifra caratteristiche mineralogiche e parametrifisici delle argille: alcune considerazioni sullastabilità dei versanti. Annali dell’Istituto sperimentaleper la difesa del suolo, Tipografia R. Coppini& C., Firenze 1974, Vol. V, pp. 229-254.[17] M. Sfalanga, V. Rizzo, Caratteristiche tecnichedelle argille plioceniche e pleistoceniche in relazioneal loro assetto morfologico. Annali dell’Istitutosperimentale per la difesa del suolo, TipografiaR. Coppini & C., Firenze 1974, Vol. V, pp.255-277.[18] M. Sfalanga, S. Vannucci, Ricerche mineralogico-petrografichesui sedimenti neoautoctoni. Annalidell’Istituto sperimentale per la difesa del suolo,Tipografia R. Coppini & C., Firenze 1975, Vol.VI, pp. 111-168.[19] G. Stefanini, Nicchie d’erosione nei terrenipliocenici della Val d’Era. Riv. Geogr. It., Firenze1909, pp. 209-225.[20] G. Stefanini, Sulle biancane del volterrano edel senese. Riv. Geogr. It., Firenze 1914, pp. 657-667.[21] G. Stefanini, Le Balze di Volterra e le formedel suolo nei terreni pliocenici, in: Toscana centralee Maremma. Guida per l’escursione scientifica estorica dell’VIII Congresso Geografico Italiano.F.lli Alinari, Firenze 1921, pp. 16-18.[22] J. Steiner, South Dakota badlands. Publicationof the Badlands National Park. U.S. Departmentof the Interior - P.O. Box 6, Interior, SD57750, 1993.[23] G. Targioni Tozzetti, Relazioni d’alcuni viaggifatti in diverse parti della Toscana. 2 a Edizione,Tomo III, Stamperia Granducale, Firenze 1769.[24] S. Vittorini, Osservazioni sull’origine e sulruolo di due forme d’erosione nelle argille: calanchie biancane. Boll. Soc. Geogr. It., Ser. X, Roma1977, vol. VI, pp. 25-54.60


7 / Sez. ScientificaRapida panoramica sullo sviluppodelle conoscenze geologiche nella provinciadi Livorno e dintorni dalla metà del secolo XXRenzo MazzantiParole chiave: geologia, Toscana, tettonica, stratigrafiaIl presente lavoro si propone di fornire un breve quadro di sintesi delle conoscenze sulla geologia toscanamaturate in quasi un secolo di studi evidenziando i progressi ottenuti grazie all’introduzione dellemoderne tecniche di prospezione e di indagine di laboratorio e anche grazie ad una attenta e condivisaricerca dei meccanismi tettonici alla base della evoluzione geologica toscana.Negli anni Trenta entrarono in crisi le teorieche spiegavano gli ingenti movimenti tangenzialinecessari alla formazione delle pieghe edelle falde di ricoprimento (talora estese su centinaiadi km 2 ) con la necessità di ammettere che porzioni dicrosta terrestre ad esse sottostanti avessero la possibilitàdi scorrere per «spingere a tergo» le falde stesse,secondo il modello classico introdotto da M.Bertrandnel 1884 per le Alpi Svizzere e reso famoso daE.Argand nel 1916 specialmente per la struttura ditutte le Alpi, veduta come conseguenza della strettain una gigantesca morsa fra il continente Paleoeuropeoe quello Paleoafricano. Infatti, nuove conoscenzesull’interpretazione delle ‘onde sismiche’ hannomostrato, in quegli anni, l’esistenza di una litosferasuperficiale e a comportamento d’insieme rigido chesi estende come una «crosta» su tutto il globo terrestrepur avendo composizione diversa e maggiorespessore sui continenti e minore sugli oceani. Secondoquesto nuovo modo di vedere, le «zattere» continentali(in seguito dette «placche»), trovandosi a galleggiarein un fondo oceanico rigido, «pietrificato»,non sarebbero libere di andare alla deriva (come indicatonel 1912 dalla teoria di A.L. Wegener pienamenteaccettata da E. Argand); veniva così a caderela spiegazione di quelle forze che avrebbero «spintoa tergo» le falde nei loro movimenti di «carreggiamento»anche su distanze lunghissime. Altra notevoledifficoltà riguardava come una «vis a tergo» potessetrasmettersi dalle radici alle fronti delle falde attraversomateriali di scarsa rigidità, come nel caso dimolte delle falde riconosciute nell’Appennino Settentrionalefin dal 1907 in due lavori, contemporanei maindipendenti, eseguiti da G. Steinrnann e da L. DeLaunay. Fra gli studiosi di tettonica degli anni Trentaha trovato così sempre maggiore interesse la teoriadegli «scivolamenti gravitativi» per la quale il carreggiamentodelle falde sarebbe dovuto in prevalenza alloro stesso peso quando fossero venute a trovarsi supiani inclinati dovuti a differenze di sollevamento delsubstrato. Nel 1952 G.Merla, ordinario di Geologia ePaleontologia a Firenze, pubblicava la prima vera epropria sintesi completa sull’Appennino Settentrionaledopo quella di B.Lotti, uno dei maggiori geologirilevatori di campagna del Servizio Geologico d’Italiaal quale si deve la I Edizione in scala 1:100.000 delFoglio IlI-Livorno, uscita nel 1884. Nella sintesi diG.Merla la «Serie Toscana» è considerata autoctonal’autoreMuseo di Storia Naturaledi Rosignano Solvay61


Schema dei rapporti stratigrafico-strutturali delle unità presenti nella toscanameridionale: i. contatto stratigrafico erosivo. ii. sovrascorrimentoprimario. iii. sovrascorrimento secondario.e continua nell’arco di circa 200 Ma (= milioni di anni)dal Trias all’Oligocene (rocce di quest’ultimo periodocorrispondono all’arenaria Macigno affioranteintorno la Calafuria lungo la costa livornese). Dallateoria dei «cunei composti» di C.I. Migliorini, formulatanel 1933, G. Merla traeva la struttura tettonicafondamentale per la Serie Toscana: essa sarebbe stataconformata in un certo numero di «rughe tettoniche»,larghe 30-40 km, allungate praticamente pertutto l’Appennino Settentrionale da NW a SE, più omeno rettilinee, parallele fra di loro e formate, appuntosecondo il modello dei cunei composti, da faglieinverse (compressive) sul fianco orientale e dafaglie dirette (distensive) sul fianco occidentale.Queste rughe si sarebbero evolute secondo un’ondadi orogenesi parossismale, da occidente verso oriente,il cui passaggio in ogni località avrebbe coincisocon l’arrivo delle «Argille Scagliose», considerate alloctonesopra la Serie Toscana essenzialmente autoctona(la maggior parte dei Monti Livornesi è costituitada Argille Scagliose e veniva considerata appartenentealla II ruga di G. Merla, mentre l’Isolad’Elba avrebbe corrisposto alla I ruga).Sulla natura delle Argille Scagliose, G. Merla accettavauna fondamentale origine da smescolamento tettonico,secondo la formulazione ideata da F. Pentanel 1950, ma faceva notare tuttavia che in questo insieme«caotico» compaiono alcuni lembi menoscompaginati di frammenti di serie come quella delleOfioliti-Diaspri-Argillee calcari «Palombini»e quella dellaPietraforte Alberese.Va notato che mentregli strati della SerieToscana sono in generericchi di macrofossili,gli unici comunementestudiati dai paleontologifin dal XIXsecolo, gli strati delleArgille Scagliose contengonosolo microfossilie il loro studioè stato trascuratofino agli anni Sessantaquando tutte le Universitàcominciaronoa dotarsi di ricercatorie attrezzature adatteallo studio di questi ultimifossili, in precedenza curato principalmente dallecompagnie petrolifere, poco inclini a divulgare illoro utilissimo impiego in stratigrafia. Fu così che siarricchirono enormemente le conoscenze delle moltesuccessioni stratigrafiche con scarsi o prive di macrofossilie vennero abbandonate le teorie, spessoassai fantasiose, quale quella di un prevalente smescolamentotettonico «caotico» nella stratigrafia delleArgille Scagliose.Nel 1954 usciva, a cura di A. Malatesta, la II Ediz.delFoglio III-Livorno del Servizio Geologico d’Italia, primodi questa seconda edizione che sarà quasi completatanei vent’anni successivi e alla quale io stessoho partecipato nel Foglio 112-Volterra (stampato nel1965) e nel Foglio 119-Massa M.ma (stampato nel1969), insieme a due altri geologi della nuova generazione,P. Squarci (di Rosignano) e L. Taffi (di Cecina),formatisi alla scuola di L. Trevisan, ordinario di Geologiae Paleontologia a Pisa, e di E. Giannini, suo assistentee in seguito ordinario di Geologia e Paleontologiaa Siena. La carta geologica con la relativa notaesplicativa di A. Malatesta ovviamente è nata nell’ambitodella sintesi di G. Merla che ha rappresentato ilmassimo successo della teoria degli scivolamenti gravitativiche, come è stato argutamente osservato nel1984 da L. Trevisan: «...è stata accettata quasi senzaresistenze...» per questo motivo principale: «...andavabene sia per i faldisti che per gli autoctonisti ed ancheper i mobilisti wegeneriani e per i fissisti. Agli autoc-62


Rapida panoramica sullo sviluppo delle conoscenze geologiche nella provincia di Livorno e dintorni dalla metà del secolo XXtonisti e ai fissisti appariva come un accettabile compromesso,perché muoveva la pelle lasciando fermele ossa: ai faldisti consentiva di superare certe difficoltàinerenti alla meccanica dei movimenti».Agli inizi degli anni Sessanta nell’ambito delle attivitàdel Centro di Geologia dell’Appennino Settentrionaledel CNR (allora con sede mista presso gli istituti diGeologia e Paleontologia di Firenze e di Pisa e sottola direzione dei proff. G. Merla e L. Trevisan) fu decisoun nuovo studio geologico della Toscana Marittima,tra i fiumi Cecina e Cornia e la regione boraciferadi Larderello, con lo scopo di rintracciare buoneesposizioni stratigrafiche nelle quali eseguire analisimicropaleontologiche sia negli strati della Serie Toscanasia delle Argille Scagliose sia dei sedimenti deicicli del Miocene Superiore, del Pliocene e del Pleistocene,ampiamente affioranti in quelle località etraversati da molte perforazioni per il vapore e il salgemma.A quei lavori ho partecipato io stesso connote particolari eseguite da solo o in collaborazionecon micropaleontologi e stratigrafi, inizialmente conA. Lazzarotto (di origine veneta ma di studi livornesie pisani), L. Giannelli, G. Salvatorini ai quali in seguitosi sono aggiunti A. Bossio (livornese) e R. Mazzei.I maggori risultati di questo insieme di ricerche sonostati la pubblicazione delle sopra ricordate II Edizionedei Fogli 112-Volterra e 119-Massa M.ma per i tipidel Servizio Geologico d’Italia. Questo filone di ricercheè proseguito con la pubblicazione di una serie divolumi, tutti documentati da carte geologiche a coloriin scala 1:25.000, che ho curato per il Museo di StoriaNaturale della Provincia di Livorno e che costituisconoun tutto unico riunibile in una sola carta dell‘intera parte continentale della Provincia di Livornoe di parte di quella di Pisa. In sintesi i criteri adottatiper l’allestimento di queste carte considerano il territoriodella Provincia di Livorno (Arcipelago compreso)come un tratto della Catena Paleoappenninica,sviluppatosi nell’Oligocene Superiore-Miocene Inferiore(Piano Aquitaniano) (tra 28 e 22 Ma) per effettodella collisione fra il Margine del PaleocontinenteEuropeo e la Microplacca Adria, promontorio nordorientaledel Paleocontinente Africano, ed entrata inregime di collasso post-collisionale a iniziare dalla finedel Miocene Inferiore (Burdigaliano Superioretra 18 e 16 Ma), in conformità ai princìpi (definiti neglianni Sessanta e Settanta) della «Tettonica a placchecrostali» secondo i quali la superficie della Terraè costituita da un mosaico di «placche» mobili; percui, in relazione a come queste interagiscono, si generanuova crosta oceanica, che si espande appuntodalle dorsali centrooceaniche, mentre i continentivanno alla deriva e possono scontrarsi formando lecatene montuose iungo i margini di collisione, lungoi quali avvengono i sovrascorrimenti caratteristicidelle aree orogenetiche.Per quanto riguarda lo sviluppo geologico dell’AppenninoSettentrionale (al quale appartiene l’interaarea della Provincia di Livorno, tranne l’Isola di Gorgona,piccola appendice delle Alpi tra il Capo Corso ela Liguria di Ponente) sono rintracciabili gli effetti dideformazioni tettoniche verificatesi in fasi diverse ainiziare dalla fine del Cretaceo Inferiore (99 Ma), edin ambienti paleogeografici differenti, con polaritàorogenetica verso l’«avampaese» adriatico. I movimenti,verificatisi durante gli eventi pre e sin-collisionali,hanno contribuito alla costruzione di un edificioa falde tettoniche di ricoprimento. Esso prevede lapresenza, al di sopra dell’Unità di Monticiano-Roccastrada, corrispondente nei sondaggi all’Unitàdella Toscana metamorfica, di una successione diunità alloctone che, quando completa, è costituita dalbasso da:a) Unità della Toscana non metamorfica (o Falda Toscana);b) Unità Subliguri, in quanto derivano dalDominio Subligure; c) Unità Liguri. In quanto derivanodal Dominio Ligure; formate dall’Unità di SantaFiora, dall’Unità ofiolitifera di Monteverdi Marittimo-Lanciaia, dall’Unità ofiolitifera delle Argille a «Palombini»,nell’ordine di sovrapposizione tettonica.I termini b) e c), prima delle ricerche micropaleontologiche,venivano assemblati nell’unico complessodelle Argille Scagliose. Il corrugamento di questeunità (cioè il piegamento e l’accavallamento tettonicodegli strati) si è verificato, procedendo dal DominioLigure verso l’avampaese adriatico, dal CretaceoSuperiore all’Eocene Superiore (tra 65 e 36 Ma), finocioè alla completa chiusura del Bacino Ligure (unasorta di paleoceano che si estendeva tra la Paleoeuropae la Paleoafrica. Gli eventi deformativi che cadonoin questo intervallo di tempo vengono indicati conil nome di «fasi liguri».Nell’Oligocene Superiore si struttura, in corrispondenzadel margine della Microplacca Adria, un sistemaorogenetico di «catena-avanfossa» (=Paleoappennino-Paleoadriatico),che contraddistingue la fasecollisionale. All’interno di tale sistema si sviluppauna sedimentazione, in prevalenza clastica (cioè detritica,sabbioso-limoso-argillosa), in bacini fortementesubsidenti, detti di avanfossa, posti tra la catenamontuosa e l’avampaese, ed in bacini più piccoli,detti bacini satelliti, a più debole subsidenza, situati63


sulla catena. Il sistema catena-avanfossa nord-appenninicoha subìto, dall’Oligocene all’Attuale, una migrazioneverso l’avampaese, con spostamento inizialmenteverso Est e successivamente verso NE dei depocentri(=centri di maggiore sprofondamento tettonico),ampia rotazione antioraria e graduale ricoprimentoe corrugamento dei settori di avanfossa piùoccidentali. Gli eventi deformativi che coincidonocon la fase collisionale vengono indicati con il nomedi «fasi appenniniche». La strutturazione della CatenaPaleoappenninica si verifica nel Miocene Inferiore.Durante tale evento si determina l’accavallamentodelle Unità Subliguri e Liguri sul Dominio Toscano:quest’ultimo subisce un forte corrugamento e vaa sovrapporsi al Dominio Umbro-Marchigiano. LaCatena Paleoappenninica, pertanto, nel Miocene Inferioresi configura come un edificio a falde di ricoprimentoche sarà, più tardi, in gran parte smantellatodalla tettonica distensiva (postcollisionale). Essasi è sollevata in un’area ben più occidentale rispetto aquella nella quale si estende la Catena Appenninicaattuale. L’assetto strutturale della Toscana ad occidentedella Catena Appenninica attuale è dominatodalle deformazioni collegate alla tettonica distensivapost-collisionale che nel Neogene e nel Quaternario(negli ultimi 18 Ma) ha determinato il collasso e losmembramento di questo ampio settore dell’AppenninoSettentrionale. Recenti studi sul Tirreno Settentrionalee sui depositi epiliguri (cioè sedimentati al disopra delle Unità Liguri) della Toscana Marittima(Isola di Pianosa compresa) pongono l’inizio deglieventi deformativi in regime di distensione alla finedel Miocene Inferiore. A iniziare da questo momentosono stati distinti nella Toscana Marittima due diversieventi distensivi: durante il primo evento, riferitoad un intervallo di tempo compreso tra il Miocene Inferioreed il Superiore (tra 16 e 6 Ma), si è verificatauna denudazione della crosta superiore ad opera difaglie dirette a basso angolo e geometria complessa;ne è derivata una situazione geometrica molto caratteristica,nota con il nome di «serie ridotta», che consistenella elisione di forti spessori di successionestratigrafica e nella diretta ed anomala sovrapposizionedelle Unità Liguri direttamente sulla formazioneanidritica del Trias Superiore (210-200 Ma) o addiritturasui termini superiori dell’Unità di Monticiano-Roccastrada.Il grado di estensione è di almeno il60%. Durante il secondo evento, che è riferito ad unintervallo di tempo iniziato durante la parte superioredel Miocene Superiore (circa 6 Ma), si sono sviluppatefaglie a geometria listrica (cioè ripide in superficiee appiattentesi in profondità, secondo i datidei sondaggi e dei rilievi geofisici) che hanno datoorigine ad un sistema di fosse tettoniche, subparallele,allungate in direzione da S-N a SE-NW, la cui aperturanon si è verificata contemporaneamente ma èproceduta con gradualità da occidente ad oriente.Il grado di estensione calcolato in questo secondoevento è sensibilmente inferiore a quello del primo esi aggira su un valore di circa il 7%.Nella Toscana Marittima esiste un’ampia documentazioneattestante che lo sviluppo sedimentario neogenico-quaternarioè stato in gran parte condizionatoda movimenti verticali della crosta, indotti dallatettonica distensiva post-collisionale, con conseguentivariazioni relative del livello del mare. Moltopiù difficile è invece documentare, in sedimenti chesiano stati notevolmente interessati dall’attività tettonica,gli effetti di una ciclicità del livello del mare derivantedalle variazioni delle masse glaciali per fattoriclimatici e della circolazione oceanica.Sulla base delle analisi degli ambienti di sedimentazionee della identificazione delle discontinuità di carattereregionale è stato possibile suddividere la«Successione sedimentaria neogenicoquaternariadel versante tirrenico dell’Appennino Settentrionale»(ex «Successione Neoautoctona» per gli specialistidi vecchia maniera ancora convinti della presenzaeffettiva in profondità di un autoctono toscano) in ottounità deposizionali (dette UBSU; oggigiorno nessunosi salva dalle sigle!). A queste si aggiunge un’unitàdeposizionale in precedenza indicata come «epiligure»e corrispondente all’Arenaria di Ponsano,(località presso Volterra) nella quale affiora questosedimento secondo lo schema seguente nell’ordinedall’alto: Unità di Chiani-Tevere-Montescudaio (PleistoceneInferiore), Unità Pliocene III (Pliocene Superioreo, più correttamente, Villafranchiano Inferiorein quanto continentale), Unità Pliocene II (PlioceneMedio, presente a Pianosa e a Sud di Volterra),Unità Pliocene I (Pliocene Inferiore e Medio), UnitàLago-mare (Miocene Superiore), Unità di Castelnuovo(Miocene Superiore), Unità dell’Acquabona-Spicchiaiola(Miocene Superiore), Unità del «Lignitifero»(Miocene Superiore, o, più correttamente, Turolianoin quanto continentale), Unità di Ponsano(Miocene Medio, nel Grossetano, nel Senese e nelVolterrano) all’Isola di Pianosa Miocene Inferiore-Medio.Quest’ultima stringata sintesi dell’Appennino Settentrionaleè opera di A. Lazzarotto, attualmente ordinariodi Geologia a Siena, e comparirà nelle note illu-64


Rapida panoramica sullo sviluppo delle conoscenze geologiche nella provincia di Livorno e dintorni dalla metà del secolo XXstrative dei Fogli a scala 1:50.000 Pomarance (a curadel prof. F. Sandrelli), Massa M.ma (a cura del prof.A. Costantini), e dei Fogli di Volterra e di RosignanoM.mo (a cura mia).Bibliografia[1] E. Argand, Sur l’arc des Alpes occidentales.Eclogae Geol. Helv. 14, 1916: 146-204.[2] M. Bertrand, Rapports des structures des Alpesde Glarus et du bassin houiller du Nord. Bull.Soc. Géol., France, 12, 1884: 318-330.[3] L. De Launay, La métallogènie de l’Italie et desregions avoisinantes, II. Note sur la Toscane miniéreet l’île d’Elbe. X Congr. Géol. Internaz.,Mexico: 1907.[4] G. Merla, Geologia dell’Appennino settentrionale.Boll. Soc. Geol. It., 70 (1951), 1952: 95-382.[5] C.I. Migliorini, Considerazioni su di un particolareeffetto dell’orogenesi. Boll. Soc. Geol. It.,52, 1933: 25-48.[6] Penta F., Sulle argille scagliose. Atti 42° RiunioneSoc. Ital. Progr. Sc. (1949), Roma: 1950.[7] Steinmann G., Alpen und Apennin. Monatsberder Deutsch Geol. Ges. 59, 1907: 177-183.[8] A. Wegener, La Genèse des continents et deocéans (trad. Lerner). Parigi: 1915.65


8 / Sez. ScientificaModificazioni ambientali e faunistiche durantel’Olocene sull’Isola di Pianosa (ArcipelagoToscano, Italia): le evidenze malacologicheEmiliano Carnieri* 1 , Michelangelo Bisconti 2Parole chiave: isola di Pianosa, malacofauna, OloceneÈ stata effettuata una comparazione tra la malacofauna terrestre rinvenuta negli strati neolitici (circa6.300 B.P.) di Grotta Giovanna e Cala Giovanna Piano (Cala San Giovanni) e quella attuale. Si è evidenziatoun cambiamento considerevole nella composizione tassonomica della comunità dei molluschiterrestri che probabilmente riflette un cambiamento complessivo degli ecosistemi dell’Isola. Vengonoformulate delle ipotesi sulle relazioni biogeografiche tra la malacofauna dell’Isola di Pianosa e quelledelle altre isole dell’Arcipelago Toscano. Un confronto è stato eseguito anche sulla malacofauna marinaconfermando l’ipotesi che durante l’Olocene si sono verificati significativi cambiamenti della distribuzionebiogeografica di molte specie.Introduzionedi Pianosa è situata nel Mar Tirreno settentrionalee fa parte delle sette Isole dell’ArcipelagoToscano (Capraia, Elba, Pianosa,L’isolaGiannutri, Giglio, Gorgona e Montecristo). È situataa tredici chilometri a Sud dell’Isola d’Elba, cinquantadalla costa continentale e quaranta dalla Corsica. Daun punto di vista strutturale costituisce una piccolaporzione emersa della dorsale Elba-Pianosa (anchedetta Dorsale o Altofondo di Pianosa), che separa ilbacino della Corsica dalla piattaforma toscana. Taledorsale si allunga dallo «Scoglio d’Africa» (alcunichilometri ad ovest dell’Isola di Montecristo) in direzioneNord-Sud, chiudendosi pochi chilometri adEst dell’Isola di Capraia. L’Isola di Pianosa si distinguedalle altre isole dell’Arcipelago, tutte con morfologiacollinare-montuosa, per il suo andamento peneplanare.Un’altra peculiarità è che Pianosa è l’unicaad essere costituita esclusivamente da terreni sedimentaridi età neogenico-quaternaria.In questi ultimi anni, a seguito della chiusura dellacolonia penale nel 1998, si sono succeduti numerosistudi e progetti di riqualificazione dell’isola, che bensi presta, per sua natura, alla ricerca in vari ambiti disciplinari.Il primo agosto del 2006 la Provincia di Livornoha approvato con Deliberazione di Giunta n.193 il «Progetto Pianosa» che si propone, attraversola compartecipazione di più linee finanziarie, di af-gli autori1 Museo di Storia Naturaledel Mediterraneo, Via Roma, 23457127 Livornoe.carnieri@provincia.livorno.it2 Museo di Storia Naturaledel Mediterraneo, Via Roma, 23457127 Livornozoologia.museo@provincia.livorno.it* autore per corrispondenza66


Modificazioni ambientali e faunistiche durante l’Olocene sull’Isola di Pianosa (Arcipelago Toscano, Italia): le evidenze malacologichfrontare il problema del suo sviluppo, cercando simultaneamentedi salvaguardare l’ambiente naturale,promuovere un turismo eco-compatibile ed incentivarela ricerca. Anche in questo quadro si inserisceil presente studio che in particolare pone l’attenzionesui cambiamenti climatici e ambientali, cercando,ove è possibile, di individuare il rapporto tra le modificazioniecologiche dell’Isola e l’azione umana.Il presente lavoro costituisce il primo contributo diun’attività di ricerca sull’Isola che, partendo dai datiarcheozoologici, zoologici, paleoclimatici e climaticiattuali, ha lo scopo di analizzare e interpretare il cambiamentonella composizione tassonomica della comunitàdei molluschi terrestri che probabilmente rifletteun mutamento complessivo degli ecosistemidell’Isola. È stato eseguito uno studio anche sulla malacofaunamarina confermando l’ipotesi che durantel’Olocene si sono verificati significativi cambiamentidella distribuzione biogeografica di molte specie.Materiali e metodiNel periodo luglio-settembre 2007 il personale scientificodel Museo di Storia Naturale del Mediterraneoha effettuato la prima campagna di ricerca sulla malacofaunaterrestre e marina dell’isola di Pianosa pereffettuare uno studio sistematico, ecologico e biogeografico,aggiornando i dati presenti in letteratura[1, 2] e confrontando le specie attualmente presenticon quelle provenienti dallo scavo archeologico delsito neolitico di Cala Giovanna Piano [3, 4], condottodalle Università di Pisa e Corte, in collaborazionecon la Sopraintendenza, dal 1997 al 2004. Durantequesta prima campagna di ricerca il prelievo dellamalacofauna terrestre è stato effettuato in 15 stazionilungo la costa dell’Isola e in una interna, mentre icampioni di malacofauna marina sono stati raccolti in5 stazioni (figura 1).È stato realizzato, inoltre, un primo censimento in situdelle specie marine presenti in località Cala SanGiovanni, durante il quale è stata individuata una popolazionedi Pinna nobilis L. (figura 2).In questa fase gli esemplari raccolti sono costituiti danicchi vuoti, poiché lo studio, per adesso, non necessitadi analisi su individui prelevati ancora vivi. Laclassificazione degli esemplari è stata effettuata attraversoun confronto con quelli della collezione malacologicadel Museo di Storia Naturale del Mediterraneoe l’utilizzo di lavori specializzati e atlanti [5, 6].Sono stati presi in considerazione anche esemplariFigura 1: Immagine satellitare dell’Isola di Pianosa;i pallini neri rappresentano le stazioni diraccolta della malacofauna terrestre durante lericerche del 2007, mentre i quadratini rossi quelledella malacofauna marina.Figura 2: Due esemplari di Pinna nobilis (freccie)a circa tre metri di profondità.frammentari per avere dati più completi e il conteggioè stato effettuato prendendo in considerazionegli esemplari con umbone [7].RisultatiLo studio della malacofauna terrestre e marina hafornito notizie importanti sulle caratteristiche pa-67


Figure 3 e 4: Cladogramma e distribuzione della malacofauna secondo laParsimony Analysis of Endemicity (PAE).leoambientali e climatiche dell’Isola di Pianosa [3,4]. Infatti, le specie raccolte nel sito neolitico di CalaGiovanna Piano sono ancora viventi e, confrontandolecon quelle che costituiscono i diversi ecosistemiattuali [8], è stato possibile ricostruire l’ambientepianosino di oltre 6000 anni fa. Le analisi indicano unambiente diversificato caratterizzato dalla presenzadi dune costiere, bosco, prato, campo coltivato e habitatrocciosi. Da segnalare la presenza importantedi specie tipiche di ambienti particolarmente umidi(Ferussaccia paulucciana, Pleuropunctum micropleurum,Hygromia cinctella) che suggerisce unacerta piovosità stagionale in grado di creare microhabitattali da consentirne la sopravvivenza. Lacampagna di raccolta del luglio-settembre 2007 equelle future consentiranno di effettuare un confrontotra i dati attuali e quelli del sito neolitico. Inoltre,partendo dai dati del 1970, si cercherà in un lavorofuturo di individuare eventuali variazioni nella composizionetassonomica e nella distribuzione dei molluschiterrestri di Pianosa, determinate dalla progressivaaridità registrata negli ultimi venti anni (Nicotracom. pers.).Le malacofaune pubblicate negli anni ’70 [1] sonostate utilizzate nell’ambito di uno studio finalizzatoall’individuazione delle relazioni biogeografiche intercorrentitra i molluschi delle varie isole dell’ArcipelagoToscano. Le forme listate in letteratura [1] sonostate ridenominate in accordo a tassonomie piùaggiornate e sono state inserite all’interno di una matricedi presenza/assenza in cui ad ogni isola è statoassociato un contenuto malacologico. Questa matriceè stata sottoposta ad una analisi denominata ParsimonyAnalysis of Endemicity (PAE). Sviluppata neglianni ’80 [9, 10], questa analisi è finalizzata alla ricostruzionedi un diagrammaad albero nelquale a ciascun ramoterminale è associatoil nome di una delleisole considerate e incui il pattern di ramificazionee la posizionerelativa dei vari ramiterminali corrispondonoa precise relazionidi affinità biogeograficabasate su condivisionedi taxa. L’analisiè stata condottautilizzando il programmaPAUP 4.10b [11] e tenendo presente i limiti dellaPAE evidenziati nella letteratura più recente [12].ConclusioniIl risultato dello studio consiste nel cladogramma presentatoin Figura 3 dove si osserva una particolare affinitàbiogeografica tra le isole di Capraia e Montecristoe un grande clade nel quale sono incluse l’Elba, ilGiglio, Gorgona, Pianosa e Giannutri. L’interpretazionedi questo cladogramma è piuttosto complessa datoche apparentemente isole lontane come Capraia eMontecristo mostrano maggiore affinità di isole vicinecome Capraia e Elba o Montecristo e Pianosa.È probabile che particolari fattori batimetrici (fig. 4)e ecologici possano interpretare la distribuzione dellemalacofaune analizzate e che questi fattori possanoalmeno in parte spiegare le affinità particolari osservatein queste isole. È già stato dimostrato infattiche l’estensione delle isole insieme con peculiaritàecologiche possono influenzare i risultati di una PAE[13]. Il grande clade che include Elba, Giglio, Gorgonia,Pianosa e Giannutri suggerisce la possibilità chein passato queste isole potessero formare un unicogrande ecosistema con costante flusso genico traun’isola e l’altra che, attraverso fenomeni di risalitadel livello del mare associati alla fine dell’ultima glaciazione,è poi andato incontro a frammentazionecon isolamento di singoli ecosistemi nei quali l’evoluzionedelle comunità malacologiche è proceduta indipendentemente.A questo livello, la PAE può fornire solo un primoelemento di studio e di riflessione; essa va integratacon modelli teorici di diffusione delle faune che fac-68


Modificazioni ambientali e faunistiche durante l’Olocene sull’Isola di Pianosa (Arcipelago Toscano, Italia): le evidenze malacologichciano più largo uso di dati geodinamici grazie ai qualii risultati ottenuti possano essere testati e valutati positivamenteo negativamente. Studi futuri utilizzerannoqueste informazioni e anche dati di natura archeologicain grado di fornire indicazioni sull’evoluzionedelle comunità malacologiche negli ultimi5000 anni.Using Parsimony (*and other methods). Version 4.Sinauer Associates, Sunderland, Massachussets:2002.[12] D. Brooks, M. Van Veller, Journal of Biogeography2003, 30: 819.[13] M. Bisconti, W. Landini, G. Bianucci, G.Cantalamessa, G. Carnevale, L. Ragaini, G. Valleri,Journal of Biogeography 2001, 28: 495.RingraziamentiGli autori desiderano ringraziare la dott. Irene Nicotraper i dati climatici e la dott. Jessica Viacava per larealizzazione della fotografia in figura 2.Bibliografia[1] F. Giusti, Lav. Soc. ital. Biogeogr. 1970.[2] F. Giusti, Lav. Soc. ital. Biogeogr. 1976, 5: 99.[3] E. Carnieri, B. Zamagni, La malacofauna marinadi Pianosa, Cala Giovanna Piano. In: Il primopopolamento olocenico dell’area corso-toscana.Edizioni ETS,. Pisa: 2000.[4] M. Bisconti, Malacologia del sito di Cala GiovannaPiano: paleoecologia, paleobiogeografia eprelievo antropico. In: Preistoria e protostoriadell’area tirrenica. Felici Editore, Pisa: 2007.[5] G. Repetto, F. Orlando, G. Arduino, Conchigliedel Mediterraneo. Museo F. Eusebio, Alba:2005.[6] T. Cossignani, G. Cossignani, Atlante delleconchiglie terrestri e dulciacquicole italiane.L’informatore Piceno, Ancona: 1995.[7] P. Kouloury, C. Dounas, C. Arvanitidis, D.Koutsoubas, Scientia Marina 2006, 15: 573.[8] G. Zanchetta, F. P. Bonadonna, F. Marcolini,A Campalini, A. Fallick, G. Leone, L. Michelucci,Boll. Soc. Paleont. It. 2004, 18: 331.[9] B. Rosen, From fossils to earth history: appliedhistorical biogeography. In: Analytical Biogeography:an integrated approach to the study ofanimal and plant distributions. Chapman andHall, London: 1988.[10] B. Rosen, A. Smith, Tectonics from fossils?Analysis of reef-coral and sea-urchin distributionsfrom late Cretaceous to Recent using a newmethod. In: Gondwana and Tethys. Special Publicationof the Geological Society of London 1988,37: 275.[11] D. Swofford, PAUP* Phylogenetic Analysis69


9 / Sez. ScientificaLa xenodiversità animale delle acque interneitaliane: la situazione in ToscanaElena Tricarico* 1 , Simone Cianfanelli 2 , Elisabetta Lori 2 , Annamaria Nocita 2 ,Francesca Gherardi 1Parole chiave: acque interne, specie non-indigene, ToscanaLe acque interne sono particolarmente vulnerabili alle invasioni biologiche a causa di una molteplicitàdi fattori, tra i quali lo stretto legame con le attività umane e la rapidità di dispersione delle specie acquatiche.Come conseguenza di questo fenomeno, che si somma alla perdita e alla frammentazione deglihabitat, all’inquinamento e allo sfruttamento delle risorse ittiche da parte dell’uomo, la riduzione dellabiodiversità nelle acque interne mondiali sta avvenendo più rapidamente che negli ecosistemi terrestri.Questo lavoro ha come obiettivo quello di tracciare un quadro generale della «xenodiversità» in Toscana.Nella lista qui presentata sono stati inclusi invertebrati (liberi o parassiti), pesci, e anche anfibi, rettili,uccelli e mammiferi legati all’acqua per il completamento del loro ciclo vitale. In Toscana, la xenodiversitàanimale consta di 48 specie (delle 112 registrate in Italia) che rappresentano più del 3% dellafauna dulcacquicola regionale. Tra queste, 11 specie sono incluse nella lista dei più pericolosi invasoridelle acque interne. In analogia con quanto osservato in Italia e in Europa, i pesci risultano essere iltaxon più colpito tra i vertebrati, mentre i crostacei e i molluschi tra gli invertebrati. Il bacino dell’Arnopresenta il maggior numero di specie non-indigene, ma è il bacino del Serchio-Magra ad avere la più altadensità di specie non-indigene. Le attività di pesca e di acquacoltura, molto sviluppate soprattuttonella zona del Serchio-Magra, rappresentano probabilmente le principali cause di arrivo di nuove speciein Toscana. Ulteriori studi sono necessari per approntare mirati interventi di gestione verso le specienon-indigene già stabilizzate e per identificare i nuovi potenziali invasori delle acque toscane.IntroduzioneIcambiamenti nella distribuzione delle specie sonoeventi naturali, che spesso si realizzano nelcorso dei tempi geologici in associazione con i fenomeniclimatici [8,9]. Tuttavia, l’intervento dell’uomocome agente di dispersione è più frequente e potentedei fenomeni naturali. L’azione umana ha infattiincrementato il tasso temporale con cui le specie sidiffondono e le distanze che possono percorrere,realizzando in pochi decenni quello che non si sarebbemai potuto compiere per effetto esclusivo di eventinaturali [14]. La frequenza delle introduzioni causatedall’azione antropica è aumentata in modo esponenzialenegli ultimi anni, come risultato della crescitadella popolazione umana e dell’incremento dellepotenzialità di intervento sull’ambiente. Un numerocrescente di persone si muove più frequentementee un sempre maggior volume di beni e di materialiè traslocato tra nazioni e continenti [17]. La combinazionedi questi fattori ha determinato la comparsa diun numero crescente di specie non-indigene in tuttigli ecosistemi fino ad oggi censiti. Si stima che oltre480000 specie non-indigene siano state introdottenei vari ecosistemi del pianeta [17] e che queste sianoarrivate a dominare negli ultimi 500 anni circa il70


La xenodiversità animale delle acque interne italiane: la situazione in Toscana3% della sua superficie [8,9]. La dominanza delle specienon-indigene nei vari sistemi è rafforzata dai cambiamenticlimatici, che tendono a favorirne la diffusionenaturale e la proliferazione [6]. Recentemente,è stato stimato che le specie che l’uomo, per via accidentaleo deliberata, introduce annualmente al difuori del loro areale naturale di distribuzione oscillanotra le 100 e le 10000 unità [14].Molteplici vettori possono trasportare le specie nonindigene,quali l’acquacoltura, l’agricoltura e il commerciodi animali da compagnia, ma anche il mercatotramite web [8,9]. La deregolarizzazione degliscambi nazionali e internazionali ha inoltre indebolitole barriere per il commercio e la sorveglianza. Infine,l’impatto delle specie introdotte è stato reso inizialmentepiù intenso dal ritardo con cui il comportamentoumano e le norme sociali hanno risposto ainuovi rischi [8,9]. Mentre alcune specie non-indigeneproducono effetti neutrali o apportano apparentibenefici agli ecosistemi, altre possono diventare invasive,esercitando un impatto ecologico rilevantecon l’estinzione locale di specie native e l’alterazionedei processi propri degli ecosistemi invasi [14]. Lespecie invasive producono inoltre costi diretti alle attivitàproduttive: è stato stimato che le specie non-indigeneproducono negli Stati Uniti un danno monetariocomplessivo di 137 miliardi di dollari l’anno [17],mentre in Italia il controllo della sola nutria per i danniai canali e ai sistemi di irrigazione costa tra i 2 e i 4milioni di Euro (P. Genovesi, comunicazione personale).Infine, le specie invasive possono favorire ladiffusione di virus, batteri e altri parassiti che agisconosulla salute dell’uomo [8,9].Le acque interne rappresentano per l’uomo una risorsaindispensabile e di valore illimitato. Laghi, fiumie aree umide contribuiscono per il 20% al valoreglobale dell’intera biosfera, che si stima ammontarea 33000 miliardi di dollari americani per anno [8,9].Valori così elevati giustificano l’attuale preoccupazioneper il degrado dei sistemi dulcacquicoli (come peraltroespresso dalla Direttiva Europea nel settoredelle acque n. 2000/60). Questo appare inevitabilmentelegato al rapido tasso di estinzione della biodiversitàdulcacquicola [8,9], che si stima superiore allavelocità di estinzione di specie negli ecosistemiterrestri e marini [8,9]. A livello globale le acque internesono state oggetto di ben note invasioni biologiche(per una revisione completa vedi [8,9]), comel’introduzione della perca del Nilo, Lates niloticus,nel Lago Vittoria con la conseguente estinzione dicirca 200 specie di ciclidi endemici, l’alterazione dellecomunità indigene dei Grandi Laghi americani pereffetto della lampreda di mare, Petromyzon marinus,e della cozza zebrata, Dreissena polymorpha. In ambientedulcacquicolo sono in corso anche invasionimeno note, ma altrettanto dannose, quali quelle delgambero americano Procambarus clarkii [7], dell’anfipodeDikerogammarus villosus, di varie specie dipesci, quali Lepomis gibbosus e Carassius auratus, edi Rana catesbeiana [8,9]. Le cause di tale vulnerabilitàalla colonizzazione di specie non-indigene sonoda ascriversi alla forte affinità tra l’uomo e i corsid’acqua, in costante intensificazione (come effettodelle attività commerciali, del trasporto e della ricreazione[9]), e alle capacità dispersive delle speciedulcacquicole [9]. I sistemi dulcacquicoli sono soggetti,soprattutto alle nostre latitudini, a modificazioninel regime termico stagionale, come risultato delriscaldamento globale, e, anche nei paesi in via di sviluppo,a un forte disturbo antropico.Per una gestione migliore delle specie non-indigeneè quindi necessario comprendere la dinamica e lecause del loro arrivo al fine di prevenire o controllarefuture invasioni e ridurre i loro effetti. In prima istanzaè necessario conoscere la xenodiversità (vedi [13]per il significato del termine) presente nell’area interessata:attualmente in Europa sono in corso progettiche indagano la situazione nelle acque interne emarine europee (DAISIE: «Delivering Alien InvasiveSpecies Inventories for Europe») e in acquacoltura(IMPASSE: «Environmental Impacts of Alien Speciesin Aquaculture»). In Italia, recentemente è statagli autori1 Dipartimento di Biologia Animalee Genetica, Università di Firenze,via Romana 17, 50125 Firenzeelena.tricarico@unifi.itfrancesca.gherardi@unifi.it2 Museo di Storia Naturale,Sezione di Zoologia «La Specola»,Università di Firenze, Via Romana 1750125 Firenzesimone.cianfanelli@unifi.itelisabetta.lori@unifi.itnocita@unifi.it* autore per corrispondenza71


stilata la prima lista di specie non-indigene delle acqueinterne [11], analizzandone tempi, cause e modalitàd’ingresso e distribuzione attuale. Nel complesso,è emerso che la xenodiversità animale italianaconsta di 112 specie che costituiscono circa il 2%dell’intera fauna. Il trasporto accidentale, in associazionecon partite di pesci per semina o di prodotti cerealicoli,è stata la principale causa d’ingresso degliinvertebrati, mentre i vertebrati sono stati prevalentementerilasciati in natura per via intenzionale. Icontinenti di origine delle specie non-indigene sonosoprattutto Asia, Nord America e il resto dell’Europa,mentre le regioni italiane più colpite sono quelledel Nord e del Centro. L’obiettivo del presente lavoroè stato quello di analizzare in via preliminare la situazionenelle acque interne della Toscana, una delle regionipiù colpite del Centro Italia.Materiali e metodiLa lista è stata compilata sulla base delle informazionireperibili nella letteratura scientifica; le informazioniraccolte sono state validate da esperti e implementate.Sulla base delle «Linee guida per la reintroduzionee il ripopolamento di specie animali e vegetalidi interesse comunitario» (Ministero dell’Ambiente,14 Febbraio 2006), sono state consideratenon-indigene quelle specie arrivate in Italia dopo lascoperta dell’America (vedi [5]). Sono stati analizzatianfibi, rettili, uccelli e mammiferi legati all’acquaper il completamento del loro ciclo vitale, invertebrati(parassiti e non) e pesci. Per acque interne si intendonotutte le acque ferme e correnti sulla superficieterrestre (Direttiva 2000/60/EC del Parlamento Europeoe del Consiglio che istituisce un quadro per l’azionecomunitaria in materia di acque). Nell’analisisono state considerate le specie non native dell’Italia[5] e non le traslocate (specie introdotte da altri baciniitaliani). Tra le specie non-indigene presenti in Toscana,sono state considerate «endemiche» quellepresenti solo in Toscana, «pandemiche» quelle presentiin almeno 15 regioni italiane. Dove possibile,per ognuna è stata indicata la distribuzione nei quattrobacini più importanti della Toscana: Arno, Serchio-Magra,Ombrone-Fiora, Tevere.Per le analisi statistiche sono stati utilizzati il G testcon la correzione di Williams (G) e il test di Studentper un campione (t). Il livello di significatività per ilquale l’ipotesi nulla viene rigettata è α= 0.05.RisultatiIn Toscana, sono presenti 48 delle 112 specie non-indigenesegnalate in Italia (Tabella 1), senza alcuna significativadifferenza tra vertebrati (29) e invertebrati(19) per la loro frequenza specifica (G=2.08, df=1,P>0.1). Come in Europa e nell’intera Italia, anche inToscana gli Osteitti rappresentano tra i vertebrati iltaxon più affetto da xenodiversità (figura 1A,B,C),con 24 specie non-indigene presenti contro le 19 autoctone.In Toscana, sono inoltre presenti 13 specieittiche originarie del versante padano-veneto, ma traslocatenella nostra regione. Nel caso degli invertebrati,analogamente a quanto osservato in Europa ein Italia, i crostacei (6) e i molluschi (8) sono i taxa incui le specie non-indigene costituiscono una frazionepiù elevata. Sono inoltre presenti due specie di invertebratiparassiti dei pesci (Anguillicola crassus e Gyrodactylussalaris). La figura 1A illustra il contributodi ogni taxon alla xenodiversità delle acque internedella Toscana, mentre la Tabella 2 mostra la frazionedi specie non-indigene per taxon. I pesci, seguiti damammiferi, rettili, crostacei Decapoda e crostaceiCladocera sono i taxa maggiormente affetti.La percentuale di specie non-indigene è maggiorenei vertebrati (29/92: 31.52%) che negli invertebrati(19/1389: 1.37%). Complessivamente, le specie nonindigenecontribuiscono per il 3.2% alla fauna presentenelle acque interne toscane (1481 specie secondostime di [1,2,4,16,18,19]). Il mollusco gasteropodeHelisoma anceps (Henrard 1968) e il crostaceo CopepodeApocyclops panamensis possono essere considerati«endemici alieni»: il primo è riportato comesporadico solo nella nostra regione [4], il secondo èstato individuato solo nel Lago di Massaciuccoli [3].Inoltre, in Toscana sono presenti 2 vertebrati (Oncorhynchusmykiss, Rattus norvegicus) e 4 invertebrati(Anguillicola crassus, Gyrodactylus salaris, Haitiaacuta e Potamopyrgus antipodarum) non-indigeni«pandemici».Dal confronto tra i 4 maggiori bacini della Toscana,l’Arno presenta il numero maggiore di specie aliene,seguito dal bacino dell’Ombrone-Fiora, del Serchio-Magra e del Tevere (G=26.57, df=3, P


La xenodiversità animale delle acque interne italiane: la situazione in ToscanaTabella 1: Le specie non-indigene nelle acque interne della Toscana73


Tabella 2: Numero delle specie non-indigene (NIS) e delle indigene (IS) rilevatenelle acque interne della Toscana e percentuale delle specie non-indigeneper ogni phylum/divisioneDiscussioneI risultati ottenuti da questo studio preliminare mostranoche la xenodiversità delle acque interne toscaneconsta di 48 specie non-indigene, che contribuisconoper oltre il 3% alla fauna toscana. Sicuramentequesto numero è una sottostima della xenodiversitàtoscana, in parte perché l’interesse scientificoper le invasioni biologiche si è sviluppato solo recentemente(negli ultimi dieci anni, [8,9]), in parteperché mancano ancora conoscenze riguardo ad alcunitaxa di invertebrati (ad esempio dei Copepoda,Cladocera ed altri Artropoda). La situazione in Toscanariflette su piccola scala la situazione in Europae in Italia. I vertebrati, specialmente i pesci, sembranoessere il taxon più colpito dalle introduzioni e laloro comparsa in natura sembra sia dovuta al rilascioper via intenzionale operato dall’uomo. Le principalicause di arrivo dei vertebrati sono infatti la pescasportiva, il commercio, l’acquacoltura, l’allevamento.In particolare, il rilascio volontario di specie ittiche innatura è un fenomeno assai diffuso in Europa [5] epraticato intensamente in Italia, dove i controlli inpassato erano assenti o inefficaci. Di conseguenza, ipesci non-indigeni sono più numerosi in Italia rispettoad altri paesi europei [5] e rappresentano la quartacausa di minaccia per i pesci indigeni [20]. La situazionetoscana riflette molto bene questa problematica:i pesci non-indigeni sono più numerosi degli indigenie competono conloro (ad esempio, Silurusglanis in Arno oMicropterus salmoidesnel Lago di Massaciuccoli).Per quantoriguarda gli invertebrati,in Italia il trasportoaccidentale, associatoalle introduzioniittiche, sembra siastato il vettore principaledi arrivo. Una dinamicasimile potrebbeessere ipotizzataanche per la Toscana,visto l’elevato numerodi specie ittiche nonindigenepresenti.Un’eccezione è costituitasicuramente dalgambero rosso dellaLouisiana, Procambarus clarkii, importato intenzionalmentein Toscana per allevamento [7].Considerando i bacini toscani, anche se l’Arno risultaessere il più esteso e popolato, la densità apparemaggiore nel bacino del Serchio-Magra. L’attività diacquacoltura nella zona potrebbe spiegare questo risultato:in provincia di Lucca si registra infatti il numeropiù elevato di impianti di acqua dolce di tutta laToscana (22), mentre solo 4 sono situati nelle provincedi Firenze e di Pistoia (bacino dell’Arno) (dati AR-SIA 2002). Infine, tra le regioni del Centro Italia (Lazio,Umbria, Marche, Abruzzo, Molise) la Toscanapresenta il numero più elevato di specie non-indigene(Lazio: 36, Umbria: 25, Marche: 22, Abruzzo: 13,Molise: 9). L’intensa attività di acquacoltura in Toscanapotrebbe essere una delle cause maggiori di «invasività»(52 impianti in Toscana, 25 nel Lazio, 14 nelleMarche, 10 in Umbria, 8 in Abruzzo, 6 in Molise:dati da [12]).Tra le specie non-indigene presenti in Toscana, 11sono inserite nella lista delle 100 specie più invasived’Europa e del mondo (DAISIE, IUCN, [15]): Anguillicolacrassus, Gyrodactylus salaris, Dreissena polymorpha,Procambarus clarkii, Aedes albopictus, Pseudorasboraparva, Salvelinus fontinalis, Rana catesbeiana,Trachemys scripta, Myocastor corpus, Rattusnorvegicus. Per alcune di queste specie è già conosciutoil loro impatto sugli ecosistemi nativi, compresiquelli della Toscana (per una revisione completa74


La xenodiversità animale delle acque interne italiane: la situazione in ToscanaFigura 2. Frequenza delle specie non-indigene(NIS) (A) e densità di NIS (B) nei quattro baciniprincipali della Toscana. La densità è data da(numero di NIS presenti nel bacino/estensione delbacino) x 1000.Figura 1. Frequenza (in %) della xenodiversitàper taxon nelle acque interne della Toscana (A),dell’Italia (B: dati da Gherardi et al. 2007), dell’Europa(C: dati da DAISIE e IMPASSE).Ann=Annelida, Amp=Amphibia, Alt= Altri taxa,Art=Arthropoda, Ave=Aves, Cho= Chordata,Cni=Cnidaria, Cru=Crustacea, Hex=Hexapoda,Mol=Mollusca, Ost=Osteichthyes, Pla=Plathyhelminthes,Mam=Mammalia, Nem=Nematoda,Rep=Reptilia, Rot=Rotifera. I Chordata della Figura1C comprendono Osteichthyes e Agnatha.vedi [10,11]): la superiorità competitiva sulle specieindigene (P. clarkii); la modificazione dell’habitat el’alterazione della funzionalità dell’ecosistema (M.coypus); l’introduzione di parassiti e di agenti patogeni(Anguillicola crassus, Aedes albopictus, Pseudorasboraparva); i danni alle attività socio-economiche,ricreative e alla salute umana (D. polymorpha). Tuttavia,restano ancora scarsamente investigati gli effettia lungo termine sulle comunità indigene. Ulterioristudi sono quindi necessari per approfondire le conoscenzesulle specie non-indigene della Toscana alfine di approntare interventi mirati di gestione versole specie già stabilizzate e di identificare (ed eventualmenteprevenire) i nuovi potenziali invasori delleacque toscane.Bibliografia[1] Aa.Vv., Database «Checklist della fauna italiana.mdb»http://www.minambiente.it/index.php?id_sezione=1929. Cited 1 Jun 2007: 2007.[2] Aa.Vv. ,La Banca dati del Repertorio NaturalisticoToscano (RENATO). http://web.rete.toscana.it/renato/:2000.[3] G.N. Baldaccini, P. Ercolini, M. Mattioli, Eutrofizzazionedel Lago di Massaciuccoli: composizioneed evoluzione temporale delle communitàzooplanctonica e macrobenthonica. In: Aa.Vv. Lagodi Massaciuccoli. Ricerche finalizzate al risanamento,1997, 13: 289-346..[4] S. Cianfanelli, E. Lori, M. Bodon, Alien freshwatermolluscs in Italy and their distribution, .pp103-121. In: Biological invaders in inland waters:profiles, distribution, and threats. Gherardi F(ed.), Springer, Dordrecht, The Netherlands: 2007.75


[5] G.H. Copp, P.G. Bianco, N.G. Bogutskaya, T.Erós, I. Falka, M.T. Ferreira, M.G. Fox, J.Freyhof, R.E. Gozlan, J. Grabowska, V. Ková?,R. Moreno-Amich, A.M. Naseka, M. Pe?áz, M.Pov?, M. Przybylski, M. Robillard, I.C. Russell,S. Stak?nas, S. ?umer, A. Vila-Gispert, C. Wiesner,J. Appl. Ichthyol. 2005, 21: 242-262. To be,or not to be, a non-native freshwater fish?[6] I.G. Cowx, Analysis of threats to freshwater fishconservation: past and present challenges, pp.201-220. In: Conservation of freshwater fishes:options for the future. M.J. Collares-Pereira, I.G.Cowx, M.M. Coelho (eds.), Blackwell Science.Oxford, U.K.: 2002.[7] F. Gherardi, Mar. Fresh. Behav. Physiol.,2006, 39: 175-191. Crayfish invading Europe: thecase study of Procambarus clarkii.[8] F. Gherardi, Biological invasions in inland waters:an overview, pp. 3-25. In: Biological invadersin inland waters: profiles, distribution, and threats.Gherardi F (ed.), Springer, Dordrecht, TheNetherlands: 2007.[9] F. Gherardi (ed.), Biological invaders in inlandwaters: profiles, distribution, and threats. Springer.Dordrecht, The Netherlands: 2007.[10] F. Gherardi,The impact of freshwater NIS:what are we missing?, pp. 437-462. In: Biologicalinvaders in inland waters: profiles, distribution,and threats. Gherardi F (ed.), Springer, Dordrecht,The Netherlands: 2007.[11] F. Gherardi, S. Bertolino, M. Bodon, S. Casellato,S. Cianfanelli, M. Ferraguti, E. Lori, G.Mura, A. Nocita, N. Riccardi, G. Rossetti, E. Rota,R. Scalera, S. Zerunian, E. Tricarico, BiologicalInvasions, in press, doi: 10.1007/s10530-007-9142-9: 2007. Animal xenodiversity in Italian inlandwaters: distribution, modes of arrival, andpathways.[12] ISMEA (Istituto di Servizi per il MercatoAgricolo Alimentare), Il settore ittico in Italia e nelmondo: le tendenze recenti. Roma: 2006.[13] E. Leppäkoski, S. Gollasch, S. Olenin, Alienspecies in European waters, pp. 1-6. In: Invasiveaquatic species of Europe: distribution, impactand management. Leppäkoski E, Gollasch S, OleninS (eds.), Kluwer Academic Publisher,Dordrecht,The Netherlands: 2002.[14] D.M. Lodge, Trends in Ecology and Evolution1993, 8: 133-137. Biological invasions: lessons forecology.[15] S. Lowe, M. Browne, S. Boudjelas, M. DePoorter, Aliens 2000, 12: 1-12. 100 of the world’sworst invasive alien species. A selection from theGlobal Invasive Species Database.[16] A. Nocita, S. Zerunian, Aquatic Invasions,submitted, 2007. Native and exotic freshwater fishesin Italy.[17] D. Pimentel, S. McNair, J. Janecka, J. Wightman,C. Simmonds, C. O’Connell, E. Wong, L.Russel, J. Zern, T. Aquino, T. Tsomondo. Economicand environmental threats of alien plant, animal,and microbe invasions, pp. 307-329. In: Biologicalinvasions. Economic and environmental costsof alien plant, animal, and microbe species. D.Pimentel (ed.), CRC Press, Boca Raton, USA:2002.[18] S. Ruffo, F. Stoch (eds.), Checklist e distribuzionedella fauna italiana. Memorie del Museo Civicodi Storia Naturale di Verona, Serie 2. Sezionedi Scienze della Vita, 2005, 16: 1-307.76


10 / Sez. ScientificaNidificazione della Cicogna bianca(Ciconia ciconia) nel Comune di Cascina (PI)Enrico Zarri* 1Parole chiave: ornitologia, cicogna bianca, CascinaDopo secoli di assenza la Cicogna bianca (Ciconia ciconia), grazie a progetti di allevamento e reintroduzionein natura intrapresi da Enti ed associazioni ambientaliste, ha iniziato a nidificare in diverse regioniitaliane. In Toscana dal 2005 una coppia si riproduce tutti gli anni ai margini del Padule di Fucecchio.Il ritorno della cicogna è stato favorito anche dall’adozione di misure di tutela (è una specie “particolarmenteprotetta”) e da interventi di miglioramento ambientale che, in molte aree, hanno determinatonuove condizioni favorevoli all’insediamento della specie.Nella primavera 2007 si sono verificati due tentativi di nidificazione nella piana pisana, di cui uno andatoa buon fine; in questo lavoro vengono descritte le varie fasi dell’evento, seguito per conto del Centrodi Ricerca, Documentazione e Promozione del Padule di Fucecchio su incarico del Comune di Cascina,e vengono proposti alcuni interventi per la messa in sicurezza dei nidi e per favorire l’insediamentodi altre coppie.IntroduzioneLa Cicogna bianca (Ciconia ciconia) è una speciemigratrice a distribuzione eurocentroasiaticomediterranea;nidifica alle medie latitudini inEuropa, Asia Minore e Nord Africa e sverna prevalentementein Africa, a sud del Sahara.Le principali rotte migratorie passano per Gibilterraed il Bosforo, ma anche l’Italia è interessata da uncrescente passaggio primaverile ed autunnale, dovutoprobabilmente all’aumento delle popolazioni deipaesi confinanti, come la Svizzera e la Francia [2].Durante le migrazioni la specie è gregaria e formagrandi stormi, ma nella fase riproduttiva ha un comportamentoterritoriale; coppie solitarie, o localmenteraggruppate, costruiscono i nidi su alberi, edifici,tralicci e strutture artificiali.Per l’alimentazione frequenta spazi aperti, generalmentedi pianura: ambienti agricoli tradizionali oestensivi (ancora intervallati da incolti, siepi alberate ecanali irrigui), oppure aree umide naturali o artificiali.La Cicogna bianca si riproduceva in epoca romana intutto il Paese (Plinio e Varrone in [5]), ma già nel XVsecolo era confinata come nidificante alla Pianura Padanae forse già dal XVI secolo completamente estintain Italia [2].La scomparsa in tempi storici è da attribuire, in un primomomento, ai massicci prelievi di pulli a scopo alimentare(soprattutto nel Rinascimento) e, successivamente,alle diffuse alterazioni ambientali che hannoprofondamente modificato le aree di alimentazione.Nella seconda metà del XX secolo, il mancato insediamentodi alcune coppie di Cicogna bianca è dovuto all’abbattimentoillegale di soggetti in periodo riproduttivo,nonostante che la specie sia protetta in Italia giàdal 1937 [1].Attualmente, numerose perdite sono dovute al moltiplicarsidelle linee elettriche: la folgorazione infatticostituisce, in Italia come nel resto d’Europa, unadelle più importanti cause di decesso.77


Considerando che, in questa situazione, un recuperospontaneo della popolazione nidificante italiana apparivapoco probabile, nel 1985 la LIPU (Lega ItalianaProtezione Uccelli) intraprendeva una campagnadi sensibilizzazione ed un primo progetto di reintroduzione.A Racconigi (CN) veniva creato un centrodi allevamento di cicogne bianche, partendo da unnucleo di individui forniti dal Centro svizzero gestitoda M. Bloesch in collaborazione con la Stazione OrnitologicaSvizzera di Sempach.Altri centri specializzati venivano realizzati negli annisuccessivi anche in altre regioni italiane, fra cui laToscana (Centro Carapax di Massa Marittima), contribuendosia all’opera di sensibilizzazione nei confrontidella salvaguardia della specie, sia al rilascio innatura di nuovi stock di potenziali riproduttori.Dopo vent’anni di impegno per la conservazionedella specie, nella stagione riproduttiva 2005 ben160 coppie di Cicogna bianca nidificavano in Piemonte,Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia,Emilia Romagna, Toscana, Campania, Calabria, Puglia,Sicilia e Sardegna. Gran parte dei nidi era legato,direttamente o indirettamente, a programmi dirilascio, ma le coppie dell’Italia meridionale sembravanoavere origini completamente selvatiche, testimoniandoanche le capacità di recupero naturaledella popolazione.La prima nidificazione allo stato libero in Toscana risaleproprio al 2005, quando una coppia mista, costituitada una femmina proveniente dal Centro Carapaxdi Massa Marittima e da un maschio probabilmenteselvatico, si insediava su un traliccio ENEL aimargini del Padule di Fucecchio (FI-PT), riproducendosicon successo anche nei due anni successivi.Nel 2005, si registrava a Campi Bisenzio (FI), il tentativodi nidificazione di un’altra femmina di cicogna,anch’essa proveniente dal Centro Carapax. Purtroppo,il ferimento e la morte del maschio interrompevanola nidificazionee. Nel 2006 la stessa femmina,con un nuovo partner, deponeva le uova ad Agliana(PT), abbandonandole poi dopo un intervento diemergenza effettuato da ENEL sulla linea elettrica.Seguivano poi, nella primavera 2007, i due tentativi dinidificazione nel Comune di Cascina (PI), uno deiquali andato a buon fine, che costituiscono l’oggettodi questo articolo.Materiali e metodiNel corso della stagione riproduttiva 2007, sono stateeffettuate complessivamente 14 visite ai due nidi diLatignano e di Titignano (Comune di Cascina - PI),compiendo osservazioni con l’ausilio di un binocolo8x40 ed un canocchiale 20-60 ingrandimenti.Ci si è avvalsi inoltre anche di osservazioni e segnalazionidi appassionati del territorio, che hanno collaboratogarantendo un monitoraggio continuativo deidue tentativi di nidificazione.RisultatiIl nido di LatignanoAll’inizio del mese di marzo 2007 viene segnalata lapresenza di una coppia di Cicogna bianca su un traliccioENEL, in località Latignano.Il traliccio, lungo una linea della media tensione(15.000 volts) adiacente ad una linea dell’alta tensione,è situato a breve distanza (meno di 15 metri) dauna strada provinciale molto trafficata (s.p. 31 fra Cascinae Lavoria).Durante un sopralluogo effettuato il 9 marzo, vieneeffettivamente osservata sul traliccio una coppia dicicogne in fase di costruzione del nido: uno dei dueesemplari è contrassegnato con un anello in PVC(leggibile a distanza), mentre l’altro non ha alcun segnodi riconoscimento.L’esemplare inanellato, che in base all’osservazionenella fase di accoppiamento (nelle cicogne non c’è undimorfismo sessuale evidente) risulterà essere lafemmina, proviene dal Centro Carapax di Massa Marittima,dove è nato nel 2003 ed è stato inanellato nel2006. Di solito le cicogne riprodotte nei Centri di allevamentovengono trattenute in cattività per almeno 3anni, in modo da ridurne il naturale istinto migratorioe legarle maggiormente al territorio.Dato che la nidificazione sul traliccio comporta deirischi di elettrocuzione, il Comune di Cascina, il Cen-l’autore1 Centro di Ricerca, Documentazionee Promozione del Padule di Fucecchio,Via Castelmartini n. 125/a,51036 Larciano, PTfucecchio@zoneumidetoscane.it* autore per corrispondenza78


Nidificazione della Cicogna bianca (Ciconia ciconia) nel Comune di Cascina (PI)Figura 1: Sito di nidificazione di Latignano (fotoE. Zarri).Figura 2: Intervento di messa in sicurezza del nido(foto L. Martelli - ENEL).tro R.D.P. del Padule di Fucecchio (coinvolto per l’esperienzapluriennale maturata grazie alla nidificazionedi Fucecchio) e le associazioni ambientalistelocali concordano con ENEL un intervento di messain sicurezza, da effettuare prima che vengano depostele uova per evitare che l’operazione compromettala covata.Il 21 marzo i tecnici ENEL della Zona di Pisa salgonosul traliccio, in assenza delle cicogne, ricoprendocon una guaina di protezione il conduttore e rivestendocon un apposito nastro anche le parti metallicheFigura 3: Sito di nidificazione di Titignano (fotoE. Zarri).che sostengono gli isolatori; tutto ciò al fine di diminuirele possibilità di folgorazione dei due adulti e soprattuttodei nuovi nati, meno esperti, durante i primivoli.Le cicogne non sembrano eccessivamente infastiditedal lavoro dei tecnici, nè dal disturbo dovuto ai curiosiche ormai visitano quotidianamente il nido, tenutiad una certa distanza da una transennatura appostadal Comune di Cascina a seguito di un’ordinanza ditutela. Nei giorni successivi avviene la deposizionedelle uova, comprovata dall’alternarsi dei due partnernella cova, e tutto sembra andare per il meglio.All’inizio di aprile inizia a frequentare i dintorni delnido anche un terzo esemplare di cicogna, riconoscibileper un anello in PVC e anche in questo caso natopresso il Centro Carapax.Purtroppo questa cicogna entra in competizione conil maschio della coppia nidificante che il 12 aprile,probabilmente durante un conflitto con l’intruso, siferisce gravemente (forse urtando i cavi elettrici) eriporta una brutta frattura all’articolazione dell’ala sinistra;l’animale viene catturato e condotto per le cureal CRUMA (Centro Recupero Uccelli Marini e Acquatici)della LIPU di Livorno.L’evento mette fine di fatto alla nidificazione, datoche nel giro di pochi giorni la femmina abbandona lacovata.Il nido di TitignanoAll’inizio di maggio viene segnalata una coppia di cicogneche sta costruendo il nido su un traliccioENEL, sempre nel Comune di Cascina ma a circa 579


chilometri di distanza dal sito precedente, in localitàTitignano, nei pressi di una serie di capannoni dellazona industriale; si tratta ancora di una linea dellamedia tensione (15.000 volts) che passa sotto una lineadell’alta tensione.Anche in questo caso l’ENEL ha programmato un interventodi messa in sicurezza del nido, analogo aquello realizzato a Latignano, ma quando ci si rendeconto che la coppia è già in cova l’intervento vieneannullato, per non rischiare di provocare l’abbandonodelle uova.Durante un sopralluogo effettuato il 5 giugno, sul nidoè presente un esemplare in cova, contrassegnatocon un anello in PVC: risulta inanellato nel 2006 pressoil Centro Carapax di Massa Marittima, dove è natoprobabilmente nel 2003.L’altro esemplare ha solo un anello metallico, senzasigle o numeri, per cui non è possibile conoscernel’origine anche se è probabile che provenga anch’essodallo stesso centro di allevamento. Inoltre, è impossibileconoscere il sesso dei due esemplari, datoche non ci sono testimonianze certe sulle fasi di accoppiamento.Certo è che si tratta di una nuova coppia rispetto aquella di Latignano, e che quindi il tentativo di nidificazioneè avvenuto in maniera assolutamente indipendentein due diverse località del Comune di Cascina.Alla visita successiva, il 12 giugno, le due cicogne sidanno il cambio al nido e il partner in arrivo lascia caderesul fondo acqua e materiale solido (sembranoresidui di Gamberi della Louisiana), segno che le uovasi sono già schiuse; da una posizione di osservazionesopraelevata, si riescono in effetti a vedere duepulli nati da poco.Sembra quindi che la deposizione sia avvenuta all’iniziodi maggio, con un mese di ritardo rispetto allacoppia di Latignano ed oltre un mese e mezzo dopola coppia di Fucecchio.Nelle settimane successive, prosegue l’allevamentodei due pulli che crescono velocemente, alimentatida entrambi i genitori. Già all’inizio di luglio, quandohanno circa un mese, vengono anche lasciati soli nelnido, almeno nelle ore centrali della giornata.Alla fine di luglio, a circa 8 settimane di età, i giovaniiniziano le prime prove di volo e a metà agosto, dopocirca 11 settimane dalla nascita, lasciano per la primavolta il nido scendendo nei campi circostanti. Anchein questa fase sono spesso da soli, a differenza diquanto avviene normalmente a Fucecchio dove i giovanisono accompagnati da almeno un genitore durantele prime esplorazioni del territorio e la famigliaFigura 4: I genitori portano l’imbeccata al nido(foto M. Forti).Figura 5: I giovani a sei settimane dalla nascita(foto E. Zarri).Figura 6: I giovani a otto settimane (foto E. Zarri).80


Nidificazione della Cicogna bianca (Ciconia ciconia) nel Comune di Cascina (PI)Figura 7: Prime prove di volo a circa 10 settimane(foto M. Forti).Figura 8: I giovani in un campo vicino al nido (fotoM. Forti).rimane unita per molto tempo anche dopo l’abbandonodel nido.I giovani verranno visti per l’ultima volta nei dintornidel sito di nidificazione il 26 agosto, data oltre la qualenon ci sono ulteriori segnalazioni.Lo svernamento delle cicogneA partire dal mese di ottobre viene segnalata di nuovola presenza di esemplari di cicogna, nelle ore notturne,sui due nidi: a Latignano, la femmina, mentrea Titignano entrambi i membri della coppia che haportato a termine la nidificazione. Le cicogne arrivanodi solito al tramonto e lasciano il nido all’alba.Lo stesso comportamento è stato osservato a Fucecchiodove dal 2005 la femmina di cicogna nidificante,che proviene dal Centro Carapax, passa l’invernonelle vicinanze del nido, mentre il maschio(presumibilmente selvatico) e i giovani migrano, ritornandosolo nel mese di marzo per la nuova stagioneriproduttiva.Il comportamento delle cicogne provenienti dai centridi allevamento è quindi molto diverso da quellodei soggetti adulti selvatici, che ogni anno si spostanoverso i quartieri di svernamento africani subsahariani.Gli immaturi possono tuttavia tornare neiluoghi di riproduzione anche dopo 2-3 anni di vita.DiscussioneLa nidificazione di Cicogna bianca a Cascina (Titignano),insieme a quella di Fucecchio, è la secondaandata a buon fine in Toscana, e ci sono buone probabilitàche in futuro non solo si ripeta l’evento, ma possanoinsediarsi nuove coppie.Il ritorno delle cicogne in Toscana è dovuto indubbiamente,in primo luogo, al lavoro del Centro Carapaxdi Massa Marittima, che negli ultimi anni ha realizzatoun progetto di allevamento e liberazione in naturadi esemplari con un ridotto istinto migratorio. Intutti i tentativi di nidificazione che si sono verificatidal 2005 ad oggi almeno uno dei due partner provenivadal Centro.Se, nel caso di Fucecchio, l’insediamento della coppiaè stato certamente favorito anche da interventi dimiglioramento ambientale nell’area umida, i due diversitentativi nella Piana pisana testimoniano la ricchezzaambientale di tale territorio.Il paesaggio della piana cascinese è formato, infatti,da un mosaico di ambienti rurali (zone a coltivazioneestensiva, pascoli, incolti) e piccole zone umide (canali,chiari venatori e cave esaurite ed allagate) chenel loro complesso ammontano a qualche centinaiodi ettari ed ospitano piante palustri anche rare.In particolare, le zone umide che sono state createnegli ultimi decenni dalle attività estrattive stanno andandoincontro ad un rapido processo di rinaturalizzazione,costituendo habitat importanti per l’avifaunaacquatica: basti ricordare le cave di Titignano, doveha nidificato per diversi anni il Cavaliere d’Italia.Sarebbe opportuno promuovere la tutela di questiambienti sia tramite l’istituzione di specifiche areeprotette (ANPIL o Riserve Naturali) sia con la realizzazionedi interventi di manutenzione e ripristino81


ambientale finalizzati alla creazione ex novo o alla rinaturalizzazionedelle aree umide esistenti.Nell’ambito delle strategie di conservazione degli ambientidi alimentazione della Cicogna bianca, è auspicabileun potenziamento della tutela e della riqualificazionedegli ambienti agricoli tradizionali, dei pascoli edelle aree incolte, utilizzando gli strumenti normativilegati al recepimento dei regolamenti comunitari.Per quel che riguarda i siti di nidificazione, in accordocon ENEL si dovranno realizzare a breve termineinterventi di messa in sicurezza dei tralicci interessatie di quelli adiacenti, al fine di diminuire le possibilitàdi folgorazione.Come ulteriore misura di sicurezza, il nido dovrà essereallontanato dai cavi, con una tecnica già adottatacon successo anche a Fucecchio: si tratta di montare,sia sul traliccio di Latignano che su quello di Titignanouna piattaforma artificiale rialzata, riposizionandovisopra il vecchio nido.Successivamente potranno essere posizionate anchealtre piattaforme, in modo da favorire l’insediamentodi nuove coppie nidificanti. Oltre agli esemplari chegià gravitano sul territorio, è possibile che i giovani,una volta raggiunta la maturità sessuale (3-4 anni), ritorninoa nidificare nell’area.Contemporaneamente, dovrà essere attuato un programmadi educazione e di sensibilizzazione dellapopolazione residente, coinvolgendo le categorie interessate(in particolar modo gli agricoltori) e lescuole di ogni ordine e grado, per far comprenderel’importanza dell’evento e le esigenze di tutela dellaspecie.Infine, dovrà essere mantenuta una attività continuativadi monitoraggio dei siti di nidificazione, con l’ausiliodi tutti gli Enti e Associazioni interessati ed ilsupporto fondamentale dei cittadini, veri custodi delritorno della Cicogna bianca.associazioni ambientaliste locali (Legambiente, LI-PU e WWF) che hanno dato un supporto fondamentaleal controllo delle due nidificazioni tramite le proprieGuardie Ambientali Volontarie.L’ornitologo Yuri Simoncini, che ha svolto in passatoattività di inanellamento presso il Centro Carapaxdi Massa Marittima, ha mostrato una grande disponibilitàfornendo dati preziosi sulle cicogne contrassegnate.Infine, un ringraziamento particolare a Paola Ascani,Elena Bacchi, Bernardo e Glauco Baldassari, MariateresaBucciante, Maurizio Forti, Carlo Galletti, ValeriaNeri, Luca Odetti, Giulia Valentini, FabrizioVangelisti e a tutti gli altri appassionati che con le lorosegnalazioni mi hanno consentito di seguire costantementeil corso degli eventi su un territorio altrimentitroppo distante.Bibliografia[1] P. Brichetti, P. De Franceschi, N. Baccetti,Fauna d’Italia. Aves I, Vol. 29. Calderini, Bologna:1992.[2] P. Brichetti, G. Fracasso, Ornitologia italiana.Vol. 1, Gaviidae-Falconidae. Alberto Perdisa Editore,Bologna: 2003.[3] S. Cramp, K.E.L. Simmons (eds.), The birdsof Western Palearctic. 1. Ostrich to Ducks. OxfordUniversity Press, Oxford: 1977.[4] A. Gariboldi, A. Andreotti, G. Bogliani, Laconservazione degli uccelli in Italia. Strategie eazioni. Alberto Perdisa Editore, Bologna: 2003.[5] F. Pratesi, Esclusi dall’arca - Animali estinti ein via di estinzione in Italia. Arnoldo MondadoriEditore, Milano: 1978.RingraziamentiQuesta attività di monitoraggio non sarebbe statapossibile senza il contributo del Comune di Cascina,che ha incaricato ufficialmente con una apposita convenzioneil Centro R.D.P. Padule di Fucecchio ed hafornito il pieno appoggio dell’Assessorato all’Ambienteper le necessarie azioni di tutela della nidificazione.Si ringraziano anche, per ENEL, il responsabile delsettore Comunicazione Toscana Dr. Luciano Martellied i tecnici locali che hanno effettuato l’interventodi messa in sicurezza del nido di Latignano; inoltre le82


11 / Sez. ScientificaIl comportamento di ovoposizione nella vespasociale Polistes dominulus: preliminari indizidi un comportamento ritmicoAlessando Cini* 1,2 , Vincent Lecat 2 , Thibaud Monnin 2Parole chiave: insetti sociali, bioritmi, orologi biologici, comportamento sociale, HymenopteraUn passo fondamentale nello studio del comportamento animale è la conoscenza dei diversi moduli comportamentalipropri di ogni specie. Oltre alla costruzione di un catalogo dei vari comportamenti (etogramma),è necessario anche approfondire quantitativamente ogni modulo comportamentale. Tra i variaspetti del comportamento, quelli legati alla riproduzione sono da sempre i più seguiti dagli etologi.Nelle vespa sociale Polistes dominulus il comportamento di ovoposizione è studiato da oltre sessant’anni,a partire dalle pionieristiche ricerche condotte da Leo Pardi. Nonostante questa pluridecennale attenzione,alcuni aspetti di questo comportamento rimangono ancora poco definiti. Ad esempio gli aspettitemporali hanno ricevuto fino ad oggi limitata attenzione.In questo lavoro si fornisce una preliminare caratterizzazione del decorso temporale giornaliero delladeposizione di uova in questa specie. I nostri risultati evidenziano la tendenza delle vespe a deporre durantele prime ore della mattina. La distribuzione non uniforme delle deposizioni durante l’arco delleventiquattro ore suggerisce che tale comportamento possa essere influenzato da un ritmo endogeno ditipo circadiano.IntroduzioneGli organismi viventi hanno evoluto moltepliciadattamenti per affrontare le periodiche variazionidelle condizioni ambientali determinatedai cicli geofisici regolari (giorno solare, giorno lunare,stagioni). Di conseguenza una grande varietàdi processi sia nelle piante che negli animali mostranoun andamento ritmico: il comportamento di moltianimali marini, ad esempio, riflette i cicli ambientalitidali e lunari, così come variazioni stagionali moltomarcate sono osservate nel comportamento di diversespecie, dalle migrazioni degli uccelli al letargo dialcuni mammiferi [1] [2].Tra i vari cicli, quello solare è molto marcato e causaestremi cambiamenti di intensità luminosa e temperaturadal giorno alla notte. Di conseguenza molti organismisi sono specializzati nell’effettuare determinateattività in particolari momenti della giornata [2].Numerosissimi sono gli esempi: dai movimenti diapertura e chiusura dei petali dei fiori alla ritmicitàgiornaliera nella capacità di fotosintesi di organismifitoplanctonici [3] [1], dall’attività locomotoria spontaneain scoiattoli e topi [4] al ritmo di divisione delleloro cellule [5].È ormai noto da diversi decenni che a regolare questicicli sono orologi biologici interni all’organismo, iquali generano una ritmicità endogena con periodocircadiano (cioè con durata leggermente superiore oinferiore a ventiquattro ore), corretta poi nella fase enella frequenza da fattori esterni, detti sincronizzatori(«zeitgeber» nel termine antico). I sincronizzatorimettono quindi il ciclo interno in registro con le condizionigeofisiche locali. Tra questi fattori i più im-83


portanti sono sicuramente la luce, la temperatura el’umidità.Gli orologi biologici, la cui presenza è stata dimostratain quasi tutti gli organismi studiati, determinanopatterns ciclici ad ogni livello di organizzazione dellamateria vivente, dalla sintesi di Dna al ciclo cellulare,dall’elettrofisiologia neuronale fino al comportamentoanimale [2].Negli insetti sociali molta attenzione è stata recentementerivolta al comprendere se fattori legati al comportamentosociale possano avere influenze sullasincronizzazione dei ritmi endogeni. Molto interessantisono ad esempio le ipotesi riguardo alla possibileinfluenza delle interazioni sociali intracoloniali: siritiene cioè che oltre a fattori fisici come luce e temperaturaanche comportamenti sociali all’internodella colonia possano avere un ruolo determinantenel «mettere in fase» i ritmi circadiani endogeni diquesti animali, funzionando così da «social zeitgeber»([6] per le api; [7] per i bombi).Tra i vari comportamenti che vengono effettuati all’internodelle colonie di insetti sociali e che possonoessere influenzati dal funzionamento di orologi biologiciinterni uno ci sembra particolarmente rilevante:la deposizione di uova.L’ovoposizione è uno dei comportamenti maggiormentepresi in considerazione dagli studiosi del comportamentoanimale. Essa, infatti, è elemento fondamentaledella vita coloniale degli insetti sociali, poichéè il mezzo per produrre la forza lavoro (le operaie) e altempo stesso per generare gli individui riproduttori, ilvero investimento riproduttivo dell’intera colonia.Inoltre l’ovoposizione riveste notevole interesse ancheper i ricercatori, poiché può essere utilizzatacome misura della produttività di una colonia, delsuo successo e, infine, della fitness dell’individuodeponente.Questo lavoro prende in esame l’attività di ovoposizionein un insetto sociale, la vespa cartonaia Polistesdominulus. Tra i vari insetti sociali studiati dai sociobiologi,il genere Polistes rappresenta sicuramenteuno dei cavalli di battaglia. Alcune caratteristiche comela facilità di allevamento e osservazione e la notevoleflessibilità comportamentale fanno di questo genereun vero e proprio modello per lo studio dell’evoluzionedel comportamento sociale [8].Nella specie Polistes dominulus le colonie sono fondateall’inizio della primavera da una o più femminefecondate. Sul nido una di esse diventa la femminadominante (individuo alfa) e le altre subordinate, assumendocompiti da operaie come il foraggiamentofuori dal nido o la cura della prole [9] [10]. Dopo lanascita di alcune generazioni di operaie (le colonieraggiungono dimensioni di decine o centinaia di individui[11]) nascono gli individui riproduttori cheabbandonano il nido e si accoppiano. Le femmine poisi aggregano per passare l’inverno e fondare nuovecolonie l’anno successivo.Sebbene la riproduzione spetti quasi esclusivamentealla regina [12], in certe condizioni si può osservareanche la deposizione delle fondatrici subordinate odelle operaie. In colonie monoginiche (ovverosiafondate da una sola femmina) è dimostrato che unadrastica diminuzione della produttività della alfa inducele operaie a deporre uova, e risultati simili sembranoapplicarsi anche alle colonie con più fondatrici,nelle quali sia le operaie che le subordinate depongonouova. Tali uova vengono tuttavia rimossedal nido, in modo che alla fine la alfa riesce a garantirsiil quasi assoluto monopolio riproduttivo [13][14].L’ovoposizione è quindi un comportamento moltostudiato, e proprio in Polistes dominulus molte ricerchehanno utilizzato il tasso di deposizione delle uovacome stima della fitness di un particolare individuoo gruppo. Nonostante quest’ampio utilizzo sitratta di un comportamento poco conosciuto nei suoidettagli. Mentre si conoscono ad esempio alcuni deiconflitti che possono nascere intorno alla deposizionedi uova (come illustrato in precedenza) e sono conosciutealcune delle basi fisiologiche [15][16], pochissimistudi hanno preso in esame altre caratteristichedi tale comportamento, in particolare le suecaratteristiche temporali. Alcune osservazioni in naturafanno ad esempio ritenere che la deposizionenon avvenga ugualmente in tutta la giornata, ma, alpari di altri comportamenti in altre specie di insettisociali, mostri un andamento ciclico, con picchi di at-gli autori1 Scuola Normale Superiore,Piazza dei Cavalieri, 56126, Pisa2Laboratoire Fonctionnementet évolution des systèmes écologiquesCNRS, UMR 7625, Université Pierreet Marie Curie, 7 quai Saint Bernard,75 005 Paris*autore per corrispondenzacini_ale@yahoo.it84


Il comportamento di ovoposizione nella vespa sociale Polistes dominulus: preliminari indizi di un comportamento ritmicotività in certi momenti della giornata (Cervo, com.pers.). Si tratta tuttavia di osservazioni aneddotiche,non essendo stati condotti (a nostra conoscenza)estesi studi in proposito.È a questo scopo che intendiamo presentare in questasede i risultati di una valutazione preliminare diquesto fenomeno.Utilizzando un database di videoregistrazioni della vitacoloniale di alcune colonie di Polistes dominulus, facenteparte di un progetto di ricerca ancora in corso,abbiamo condotto una analisi sulla parte di dati attualmentedisponibile, onde condurre uno studio pilotache possa mettere in luce eventuali linee di approfondimentosul decorso temporale dell’attività di deposizionein questa specie. Il tipo di sperimentazione condotta(registrazione tramite telecamere, rif. materialie metodi) permette per la prima volta di approfondireil fenomeno superando il carattere inevitabilmenteaneddotico delle precedenti osservazioni.La domanda che il nostro studio si pone è quindi sel’attività di ovoposizione in Polistes dominulus avvengain maniera uniforme durante l’arco delle ventiquattroore o se possa essere individuata una preferenzaper certi momenti della giornata.Materiali e metodiRaccolta e allevamento in laboratorioVenti colonie poliginiche (numero di fondatrici compresotra 2 e 5) di Polistes dominulus (Christ) sonostate raccolte nei pressi di Firenze nel mese di giugno2006, prima dello sfarfallamento delle operaie.La raccolta è avvenuta manualmente prima del levardel sole, quando la bassa temperatura inibisce l’attivitàdelle vespe. Il nido e tutte le vespe presenti su diesso sono state trasportate in laboratorio, dove ognicolonia (vespe fondatrici e nido) è stata alloggiata inuna gabbia di plastica delle dimensioni di cm15x15x15 e fornita di larve di Galleria melonella, zuccheroe acqua ad libitum. La temperatura è statamantenuta tra i 28 e 33 gradi centigradi ed il ciclo diluce/buio, ottenuto tramite lampade al neon per acquario,è stato di luce dalle 7:00 alle 21:00 all’iniziodell’esperimento e dalle 6:30 alle 21:00 alla fine dell’esperimento,per mimare il più fedelmente possibilele condizioni naturali del periodo estivo. Nelle restantiore le colonie rimanevano al buio, eccezion fattaper una piccola luce rivolta verso il pavimento (emai verso il nido), tenuta accesa per ottenere visibilitànelle registrazioni.Le fondatrici di ogni colonia sono state marcate sultorace con pennarelli Unipant Marker (MitshubishiPencil Co., Japan) al fine di permetterne l’identificazione.L’esperimento è cominciato circa una settimana dopolo sfarfallamento delle prime operaie, quando lecolonie avevano tra le 4 e le 40 operaie sul nido.Videoregistrazione del comportamentoTutte le colonie sono state videoregistrate in formatoS-video a 4,5 immagini al secondo, utilizzando un registratorePanasonic AG-TL750 S-VHS collegato a videocamereSony Camcorder Digital-8. La registrazioneè avvenuta in continuo 24 ore su 24 per duegiorni consecutivamente, utilizzando la funzione«super night shot» onde registrare anche di notte. Alfine di minimizzare le ore di videoregistrazione daanalizzare e per poter registrare il maggior numeropossibile di colonie, le registrazioni sono state effettuatesolo ai giorni 1+2, 5+6, 9+10, 13+14, 17+18,21+22 dell’esperimento. Ogni videocamera riprendevacontemporaneamente due colonie diverse.Le videocassette sono state analizzate al fine di registrareogni ovoposizione, quale vespa la effettuasse(alfa, fondatrice subordinata o operaia), l’ora di inizioe fine della deposizione. La modalità di registrazioneè stata continua all’interno dei giorni di registrazione(2 giorni circa di registrazione ogni 4). Tuttavia, re-Figura 1: Un’operaia sta deponendo un uovo. Lavespa marcata in rosso sul torace è la regina dellacolonia. Foto di Thibaud Monnin.85


gistrando circa 27 ore su una videocassetta della duratadi 3 ore, la risultante frequenza è di circa 4,5 fotogrammial secondo. Tale frequenza è ampiamentesufficiente per individuare con sicurezza e precisionei comportamenti desiderati. Il campionamento èquindi un «all occurrences sampling», focalizzato suun solo item comportamentale (ovoposizione) ed avvienein registrazione continua.Per riconoscere la deposizione è stato fatto riferimentoa quanto riportato da Gervet [17][18] e daLiebig e collaboratori [13] e descritto qui di seguito.Nel comportamento di ovoposizione la vespa inserisceil suo addome profondamente nella celletta, conle zampe e le ali che rimangono distese all’esternodella celletta. La vespa rimane immobile per un periodovariabile tra uno e due minuti circa, dopodichèriprende attività ed estrae l’addome dalla celletta.Prima e dopo questo pattern comportamentale è frequenteosservare ispezioni ripetute nella celletta daparte della vespa deponente. Questa sequenza comportamentaleè stata confermata da alcune osservazionipreliminari ad occhio nudo, nelle quali si è osservatal’effettiva presenza dell’uovo al termine dellasuddetta sequenza di azioni.Per il calcolo dell’ora di deposizione abbiamo consideratol’ora d’inizio della deposizione.Le relazioni gerarchiche all’interno della colonia sonostate stabilite con osservazioni comportamentali.Per le statistiche circolari è stato impiegato Oriana2.00, seguendo le indicazioni riportate nel manualedi istruzione e le linee guida presenti in Batschelet[19].Poiché la durata delle videoregistrazioni differivadalle 24 ore esatte e poiché l’ora d’inizio delle registrazioninon era costante, alcuni periodi del giornopresentavano un maggior sforzo d’osservazione rispettoad altri. Questo avrebbe potuto portare ad errorinel valutare la distribuzione delle deposizioninell’arco delle 24 ore. Per valutare se fosse questo ilcaso abbiamo calcolato il numero di deposizioni presentiin ciascuno di dodici intervalli di due ore sceltiarbitrariamente (es. 6-8 del mattino). Abbiamo correttopoi questi dati ponderandoli per lo sforzo di osservazioneeffettivo in ciascun periodo. Il confrontofra le due serie di dati (deposizioni effettuate in ogniintervallo vs numero ponderato di deposizioni effettuatein ogni intervallo) non ha mostrato differenzesignificative (Wilcoxon test per dati appaiati, p>0,05per ogni intervallo considerato). Abbiamo quindi decisodi utilizzare direttamente i dati non ponderatiper le successive analisi.Per testare l’uniformità delle varie distribuzioni (secioè si trattasse di una distribuzione casuale lungol’arco delle 24 ore o se ci fossero momenti in cui ladeposizione fosse più probabile) è stato utilizzato ilRayleigh test [19].Per confrontare le distribuzioni di vespe di differenterango abbiamo utilizzato il test di Mardia-Watson-Wheeler (Uniform Scores). Si tratta di un test nonparametrico, e il suo utilizzo si è reso necessario inquanto alcuni campioni non rispettavano le assunzionidi normalità.L’analisi del ciclo giornaliero di deposizione è stataeffettuata in totale su 1056 ore di osservazione (mediadi 105,6 ore di osservazione per colonia, minimo=72 ore, massimo =120 ore).Le distribuzioni prese in considerazione sono: 1) daticumulati per tutte le colonie; 2) tutte le deposizionidelle vespe alfa di tutte le colonie («alfa»), 3) tutte ledeposizioni delle vespe fondatrici subordinate di tuttele colonie («fondatrici subordinate»), e 4) tutte le deposizionidelle operaie di tutte le colonie («operaie»).RisultatiLa distribuzione delle deposizioni differisce da unadistribuzione casuale (Rayleigh test: controlli,n=172, z=9,916, p0,05, n= 138, 18 e 19 rispettivamente).Non vi sono differenze cioè tra le distribuzionidegli orari di deposizione di vespe alfa, subordinatee operaie.86


Il comportamento di ovoposizione nella vespa sociale Polistes dominulus: preliminari indizi di un comportamento ritmicoFigura 2: Distribuzione degli orari di deposizione.Gli istogrammi corrispondono al numero di deposizioniosservate. Ogni intervallo di 15° d’arcocorrisponde a 1 ora. Un arco all’esterno del cerchioindica l’orario medio (raggio del cerchio) el’intervallo di confidenza al 95%. La scala differiscenei vari grafici a causa della diversa dimensionedei campioni. I dati sono cumulati per le 20 colonieosservate. L’assenza dell’intervallo di confidenzaindica la non affidabilità del parametro,poiché calcolato a partire da una distribuzionestatisticamente uniforme delle osservazioni delcampione.DiscussioneI risultati mostrano che l’attività di deposizione avvienelungo tutto l’arco delle ventiquattro ore, ma nonrisulta uniformemente distribuita, concentrandosinelle ore del mattino, approssimativamente dalle ore6 alle ore 12.Nessuna differenza è riscontrabile inoltre tra i patternrelativi a vespe di vario rango (alfa, fondatrici subordinate,operaie). La nostra indagine mette dunquein evidenza la presenza di un’attività di ovoposizionerelativamente concentrata nel tempo, e non influenzatada fattori legati all’individuo, come il suorango.Questi dati mettono in luce l’esistenza di una preferenzanel periodo di deposizione durante la giornata.È ipotizzabile quindi che esista un ritmo endogenoche influenzi l’attività di deposizione, probabilmenteaccoppiato ad un sistema di regolazione esterno. L’esistenzadi tali meccanismi nel determinare varie attivitàche si presentano con pattern temporali cicliciè stata discussa e dimostrata fin da tempo [1,2]. Taleeventualità andrebbe tuttavia sottoposta a controllosperimentale, osservando l’attività di ovoposizionein totale e prolungata oscurità.Riteniamo inoltre opportuno fare una precisazione.L’ora esatta di maggior attività di deposizione, chepotrebbe essere estrapolata dai nostri dati, è a nostroavviso poco importante. Si tratta, infatti, di uno studiocondotto in laboratorio, e le condizioni sperimentalipotrebbero differire in qualche maniera dallecondizioni ambientali, rendendo inaffidabile il valoreesatto dell’ora in cui avviene la maggior parte delledeposizioni. Inoltre, lo sforzo di campionamento èstato lievemente minore proprio in una parte del periodoin cui le vespe risultano deporre di più; questopotrebbe spostare in una certa misura l’ora esatta delpicco di deposizioni.I nostri studi suggeriscono quindi la necessità di approfondirel’analisi, allargando il database delle registrazionidel comportamento (che permetterebbe adesempio di avere maggiori dati sulla ovoposizionedelle operaie) nonché ripetendo l’esperimento incondizioni differenti. Oltre alla totale e prolungataoscurità sarebbe infatti interessante anche valutarecome variazioni di fattori fisici (temperatura, umidità)o sociali (condizione della colonia quali produttività,presenza di conflitti in corso, stadio del ciclo vitale)possano influenzare il pattern di deposizione danoi evidenziato. Riteniamo dunque che future ricerchedebbano spingersi in tali direzioni.Per il momento i nostri dati possono essere utili nellafutura pianificazione di esperimenti che abbiano comeoggetto il comportamento di deposizione. Saperequando è più probabile osservare un comportamentoche intendiamo analizzare può permettere un rilevanterisparmio di tempo e risorse, e nel caso di registrazionedi comportamenti imprevedibili (a priori)come l’ovoposizione il risparmio può essere ancheingente.87


RingraziamentiDesideriamo ringraziare Dimitri Giunchi per l’aiutonell’analisi statistica circolare e il Gruppo Vespe dell’Universitàdi Firenze per la raccolta delle colonie.A.C. desidera inoltre ringraziare la Scuola NormaleSuperiore per il supporto finanziario nell’attività di ricercapresso l’Universitè Pierre et Marie Curie di Parigi.Il progetto di ricerca è stato finanziato dalla FondationFyssen (www.fondation-fyssen.org).Bibliografia:[1] J.D. Palmer, An introduction to biologicalrhytms. Academic Press Inc., New York: 1976.[2] J.C. Dunlap, J.J. Loros, P.J. DeCoursey, Chronobiology:biological timekeeping. Sinauer AssociatesInc., Sunderland: 2004.[3] J.W. Hastings, L. Astrachan, B.M. Sweeney, J.Gen. Physiol. 1961, 45: 69.[4] P.J. De Coursey, Z. Vergl. Physiol. 1961, 44:331.[5] T. Matsuo, S. Yamaguchi, S. Mitsui, A. Emi, F.Shimoda, H. Okamura, Science 2003, 302-5643:255.[6] D. Moore, J. Ins. Physiol. 2001, 47: 843.[7] S. Yerushalmi, S. Bodenhaimer, G. Bloch, J. ofExp. Biol. 2006, 209: 1044.[8] H.E. Evans, Proc. 10th Int. Cong. Entomol.1958: 449.[9] L. Pardi, Boll. Entomol. Bologna 1942, 14: 1.[10] L. Pardi, Boll. Ist. Entom. Univ. Bologna1946, 15: 25.[11] S. Turillazzi, Le società delle vespe. AlbertoPerdisa Editore, Bologna: 2003.[12] D.C. Queller, F. Zacchi, R. Cervo, S. Turillazzi,M. Henshaw, L. Santorelli, J.E. Strassmann,Nature 2000, 405: 784.[13] J. Liebig, T. Monnin, S. Turillazzi, Proc.Roy. Soc. Lond. Ser. B. 2005, 272: 1339.[14] A. Cini, I conflitti riproduttivi intracolonialiin Polistes dominulus. Tesi di Laurea, Universitàdi Pisa: 2007.[15] P.F. Röseler, I. Röseler, A. Strambi, Beh.Ecol. Sociobiol. 1985, 18: 9.[16] P.F. Röseler, I. Röseler, A. Strambi, R. Augier,Beh. Ecol. Sociobiol. 1984, 15: 133.[17] J. Gervet, Ann. Sci. Nat. (zool.) 1964, 12: 601.[18] J. Gervet, Ins. Soc. 1964, 11: 343.[19] E. Batschelet, Circular Statistics in Biology.Academic Press, New York: 1981.88


12 / Sez. ScientificaPossibile attività pronuba svolta dall’ape(Apis mellifera: Hymenoptera, Apoidea)nell’impollinazione dell’olivo (Olea europaea)Stefano Marcucci* 1 , Guido Flamini 2 , Mauro Pinzauti 1 , Mario Conidi 1 , Luciano Filippi 3 ,Gianluca Bedini 1 , Antonio Felicioli 4Parole chiave: impollinazione, Apis mellifera, Olea europaea, polline, composti volatiliIn questo lavoro è stata indagata la possibile presenza di una sindrome ape-olivo e la possibilità di verificarel’applicazione delle varie tecniche di impollinazione guidata di tipo entomofilo su questa piantacosì da incrementare il livello qualitativo e quantitativo della produzione di olive.L’esigenza di focalizzare l’attenzione sul ruolo che gli apoidei possono avere nella impollinazione dei fioridi olivo, considerati anemofili, scaturisce, in gran parte, da tre constatazioni principali. La primanasce dalla carenza e contraddittorietà della bibliografia disponibile sull’argomento. La seconda nascedal fatto che il polline di olivo ha caratteristiche intermedie tra i pollini considerati anemofili e quelliconsiderati entomofili. In fine la terza dal fatto che molti apicoltori hanno affermato e continuano adaffermare di vedere molte api posarsi sull’olivo durante la fioritura.Particolare attenzione è stata rivolta allo studio delle molecole volatili emesse dal polline e dall’interofiore di olivo. Tale studio è stato condotto mediante un gas cromatografo accoppiato ad uno spettrometrodi massa.L’efficacia dell’ape mellifica è stata valutata testando branche in fioritura in differenti condizioni diisolamento con e senza insetti.Parallelamente sono stati condotte analisi palinologiche e melissopalinologiche su mieli e scorte pollinicheprovenienti da nidi appositamente collocati negli oliveti utilizzati lungo la costa toscana.Dai risultati ottenuti, si è evidenziata, per alcune condizioni ambientali, una interessante concomitanzatra elevata frequentazione dei fiori da parte delle api mellifiche ed elevata presenza di alcuni terpenisul fiore di diverse cultivar di olivo.Questa ricerca, pur necessitando di maggiori approfondimenti, indica una reale possibilità di messa apunto di strategie e tecniche di impollinazione guidata di questa pianta così importante nell’economia,tradizione e paesaggio italiani.IntroduzioneIl fiore dell’olivo (Olea europaea L.) non è nectariferoe la pianta è comunemente considerata anemofila[1]. Nonostante questo, il polline è morfologicamenteintermedio tra i pollini delle specie consideratetipicamente anemofile e quelle consideratetipicamente entomofile [2] [3] [4]. Inoltre, a sostegnodi quest’ultima affermazione, alcune ricerche riportanoche le api (Apis mellifera L.), in particolarianni, visitano il fiore dell’olivo contribuendo alla suaimpollinazione [5] [6] [7] [8].Per investigare la possibile relazione tra l’ape e l’olivosono state condotte osservazioni dirette, è stato rea-89


lizzato un test di impollinazione guidata e sono statecompiute analisi palinologiche su polline e miele raccoltidai nidi. Inoltre, vista l’assenza in letteratura dilavori riguardanti l’emissione di composti volatili daparte del fiore di Olea europaea, è stato condotto, indue anni consecutivi, uno studio dettagliato delle molecolevolatili rilasciate nell’ambiente sia dal pollineche dal fiore di differenti cultivars campionate.Materiali e metodiLe località di coltivazione sono state scelte come rappresentantii differenti habitat lungo la parte costieradella regione.Le piante di olivo sono state scelte con età tra i 10 e25 anni e coltivate seguendo le tradizionali tecnicheagronomiche locali.L’efficienza impollinatrice degli apoidei, Apis melliferaligustica e Megachile rotundata, è stata investigatacon le cvs. Leccino e Frantoio a Follonica. L’efficienzaimpollinatrice dei due apoidei è stata valutata testando:branche fiorite isolate da una possibile azionedell’insetto, branche fiorite isolate da una possibileazione del vento e brache fiorite isolate con al lorointerno l’insetto opportunamente confinato.Per investigare i composti volatili emessi dall’interoapparato riproduttore sono stati raccolti, per ciascuncampionamento, cinquanta fiori ed immediatamenteposizionati in contenitori sterili di vetro da 20ml.Stesso procedimento è stato seguito per raccoglierei campioni di polline nei contenitori sterili di vetro da20ml. Ogni campione di polline è stato raccolto scuotendoalcune infiorescenze all’interno dei contenitorifino ad ottenere 5mg di polline, quantità consideratasufficiente per poter svolgere le successive analisi alGC/MS. Tutti i contenitori usati per i campionamentisono stati coperti con pellicola di alluminio ed introdottiin ambiente refrigerato per prevenire possibilialterazioni dovute alla luce ed alla temperatura.Tutti i campioni sono sempre stati analizzati entro letre ore dalla raccolta.Nei siti di Fosdinovo, Colognole e Follonica, ognicampione è stato raccolto in piena fioritura alle ore12:00.I composti volatili provenienti da ogni campione sonostati raccolti mediante Solid Phase Micro-extraction(SPME). SPME è una tecnica veloce e priva dell’utilizzodi solventi, basata sulla partizione dei volatiliall’interno di una matrice campione, lo spazio di testasopra il campione raccolto, ed una fase stazionariaattorno ad una fibra assorbente. Successivamente,i volatili assorbiti vengono estratti termicamentedalla fibra nella porta dell’iniettore del cromatografo.Per campionare lo spazio di testa di tutti i campioniraccolti è stato utilizzato un dispositivo Supelco SP-ME ricoperto con polydimethylsiloxane (PDMS,100 µm). Dopo la stabilizzazione, la fibra veniva espostaallo spazio di testa per 15 minuti alla temperaturadi 25°C. A campionature finite la fibra veniva ritirataall’interno dell’ago protettivo e trasferita alla portadell’iniettore del GC e del sistema GC/MS, in entrambii casi usando l’iniettore alla temperatura di250°C.Durante la raccolta dei campioni nei siti di campionamentoprescelti sono state fatte anche osservazionidirette sui fiori degli olivi e sulle api allo scopo dideterminare la frequenza delle visite sui fiori e ilcomportamento tenuto dall’insetto durante la visita.Inoltre sono stati prelevati campioni di miele e pollinidall’interno dei nidi che erano stati posizionatipreventivamente nell’oliveto. I campioni di miele epolline raccolti sono stati analizzati mediante tecnichepalinologiche.gli autori1 Dipartimento di Coltivazione e Difesadelle Specie Legnose, via San Micheledegli Scalzi, 2, 56126 Pisaiccucram@inwind.it*mpinzaut@agr.unipi.it;mconidi69@yahoo.itgianlucabedini@virgilio.it2 Dipartimento di Chimica Bioorganicae Biofarmacia, Via Bonanno 33, 56126 Pisaflamini@farm.unipi.it3 Gruppo Italiano Ricerca OrchideeSpontanee, via Napoli, 30,57023 Cecina (LI)luciano.filippi6@tin.it4 Dipartimento di Anatomia,Fisiologia e Biochimica Veterinaria,via delle piagge 2, 56126 Pisaa.felicioli@vet.unipi.it* autore per corrispondenza90


Possibile attività pronuba svolta dall’ape (Apis mellifera: Hymenoptera, Apoidea) nell’impollinazione dell’olivo (Olea europaea)RisultatiNel sito di Follonica i due tipi di apoidei utilizzati nonhanno raccolto polline dai fiori degli olivi sui qualierano stati confinati.La quantità di frutti prodotta dalle piante utilizzate aFollonica non presenta differenze tra le piante testatecon gli insetti e quelle testate senza insetti. Inoltrenon ci sono differenze tra le attività impollinatrici deidue tipi di epoidei e nessuna differenza di comportamentodei due tipi di api con le due cultivars esaminate.A conferma delle osservazioni, le successive analisimelissopalinologiche sui campioni di miele, raccoltidai nidi collocati nell’oliveto, indicano percentualidi polline di olivo inferiore al 1% (tabella 1).Nella località di Fosdinovo sono state osservate molteapi operaie raccogliere il polline sul fiore di olivoschiacciando le antere con le mandibole e successivamentecaricare i grani di polline nella curbicula sulterzo paio di zampe (figura 1).Tabella 1: Percentuali di polline di differenti specievegetali individuate mediante analisi melissopalinologichesu campioni di miele raccolti in olivetidi due località lungo la costa della Toscana.Figura 1: Ape in raccolta sul fiore di olivo. In evidenzala curbicula piena di polline.Anche in questo caso, a conferma delle osservazioni,le analisi palinologiche svolte sia sul polline della curbiculache sul polline proveniente dal favo indicanopercentuali di polline di olivo elevate con massimidel 100% (tabella 2). Inoltre le analisi melissopalinologicheeseguite su campioni di miele provenientedagli stessi nidi mostrano percentuali di polline diolivo del 91% (tabella 1).Tabella 2: Percentuali di polline di olivo individuato,mediante analisi palinologiche, in campionidi polline raccolto sulle api e nei nidi posizionatinell’oliveto di Fosdinovo, Toscana.91


Dove sono state osservate api operaie raccogliere ilpolline dal fiore dell’olivo, le successive analisiGC/MS hanno mostrato un alta percentuale di monoterpeni,sia dal polline (ca. 62%) che dal fiore (ca.45%) (Tabelle 3 e 4), mentre il polline e i fiori provenientidalle altre località dove non sono state osservateapi bottinaie le percentuali erano circa il 25% e il0,3% rispettivamente (Tabelle 3 e 4).DiscussioneDalle analisi dei dati è possibile dire che in due delletre località di coltivazione scelte (Follonica and Colognole)le api non hanno avuto nessun ruolo nell’impollinazionedell’olivo, mentre, a Fosdinovo, l’elevatonumero di api operaie che sono state osservate sulfiore dell’olivo e i dati ottenuti dalle analisi svolte mostranocome in questa località le operaie abbiano foraggiatosu questo fiore.I risultati ottenuti a vanno a confermare quanto piùvolte indicato dal proprietario dell’oliveto del sito diFosdinovo ed evidenziando quanto questa interazioneolivo-ape sia scarsamente trattata in letteratura.I risultati ottenuti sembrerebbero indicare che «l’effettoambientale», sulla presenza di specifici compostivolatili riscontrati all’interno del sito di indagine,sia superiore a qualsiasi «effetto cultivars», comesembrerebbe essere suggerito dalla forte somiglianzadella composizione dell’aroma, sia del polline chedei fiori, riscontrata tra le due cultivars, Frantoio eLeccino, campionate a Follonica (tab. 3 e 4).La principale differenza tra Fosdinovo e gli altri siti(indipendentemente dalla cultivar) sembra esseredata essenzialmente dalla presenza, sui fiori di olivodi questa località, di una maggiore percentuale dimonoterpeni.Nonostante ulteriori verifiche siano auspicabili pri-Tabella 3: Percentuali dei composti volatili individuati, rispetto alle cultivars, località ed anni, mediantesolid-phase micro extraction (SPME) analysis su campioni di polline di olivi coltivati in Toscana.Tabella 4: Percentuali dei composti volatili rispetto alle cultivars, località ed anni individuate mediantesolid-phase micro extraction (SPME) analysis su campioni di fiori completi di olivi coltivati in Toscana.92


Possibile attività pronuba svolta dall’ape (Apis mellifera: Hymenoptera, Apoidea) nell’impollinazione dell’olivo (Olea europaea)ma di pervenire a conclusioni definitive, tuttavia, laconcomitanza, nel sito di Fosdinovo, di una particolarecomposizione dell’aroma del polline ed il peculiarecomportamento delle api e da qui la spiegazionedell’uno con la presenza dell’altro è così affascinanteche qualche speculazione può essere fatta, in primoluogo ad esempio potrebbe essere presa seriamentein considerazione la possibilità di poter aumentare laproduttività degli oliveti analizzandone in una primafase il chemiotipo, in modo da poter intervenire inseguito con l’introduzione sul territorio del pronubopiù adatto come nel caso della zona di Fosdinovo perla quale l’ape mellifica sembrerebbe essere eleggibilecome il più idoneo.Bibliografia[1] A. Morettini, Olivicoltura. R.E.D.A., Roma1972.[2] R.F. Wodehouse, The fundamentals of fruitproduction. Ed. Mc. Graw-Hill Book Comp., NewYork 1935, 554.[3] G.E. Mameli Calvino, Osservazioni sul pollinedell’olivo e altri temi di studio. Annali della SperimentazioneAgraria, 1953.[4] G. Ricciardelli D’albore, F. Intoppa, Flora eApi: la flora visitata dalle api e dagli altri apoideiin Europa. Edagricole, 2000.[5] N.H. Griggs, H.T. Hartmann, M.V. Bradley,B.T. Iwakiri, J.E. Whisler, The olive pollination inCalifornia. California Agricultural ExperimentStation, 1975, Bulletin n. 869.[6] S.E. McGregor, Insect pollination of cultivatedcrop plants. Agricolture Handbook 1976, 496:267-268.[7] E. Barbier, L’olivier. La pollinisation des cultures.Edmond, 1986, 426-431.[8] S. Lavee, Biologia e fisiologia dell’olivo. Enciclopediamondiale dell’olivo, Consiglio OleicoloInternazionale, 1996.93


13 / Sez. ScientificaAnalisi climatica dell’isola di PianosaIrene Nicotra* 1 , Francesco Primo Vaccari 2 ,Alfonso Crisci 3Parole chiave: isola di Pianosa, regime termico, regime pluviometrico, regime anemometrico,tendenze del climaScopo del presente lavoro è l’analisi climatica dell’isola di Pianosa nel periodo 1951-2002. Lo studio èstato realizzato grazie alla ricostruzione di una serie storica di dati meteorologici effettuata dall’Istitutodi Biometeorologia del CNR ed all’acquisizione di nuovi dati rilevati dalla stazione meteo posizionatarecentemente sul territorio, ad opera del medesimo Isituto. Attraverso l’analisi dei dati è stato possibilevalutare l’andamento delle temperature e delle precipitazioni su un intervallo di tempo abbastanza ampioper poter giungere a significative conclusioni sulle tendenze del clima.IntroduzionePianosa (Long. 10° 04’ 44’’ Est e Lat. 42 ° 35’ 07’’Nord) é l’isola più occidentale dell’ArcipelagoToscano e la quinta per estensione tra le setteisole che lo compongono. È situata a 13 km a Sud dell’isolad’Elba, 50 km dalla costa continentale e 40 kmdalla Corsica.È nel complesso pianeggiante, non a caso il suo nome(anticamente «Planasia») ricorda questa sua peculiarità;si presenta come un tavolato di forma subtriangolare, leggermente basculato verso Est. Haun’estensione di 10,2 km 2 , un perimetro costiero dicirca 18 km e un’altezza topografica massima sul livellodel mare di 34 m (isolotto della Scola). Complessivamentel’altitudine media dell’isola si attestasui 18 m circa.Per quanto sia evidente che l’influenza del mareesplichi su tutte le isole dell’Arcipelago un’azionepreponderante, le differenze che si registrano tra diesse in merito ad estensione, altitudine e morfologiaconsentono delle diversificazioni climatiche. Laconformazione topografica che Pianosa possiede leconsente di godere di una tale peculiarità climaticada farle guadagnare l’appellativo di «Sicilia della Toscana»[1]. La totale assenza di rilievi limita di fatto lacondensazione delle masse d’aria e determina un regimepluviometrico nettamente inferiore a quellodelle altre isole dell’Arcipelago, soprattutto rispettoad alcune località della vicina Elba, che presenta l’altitudinemaggiore nel M.te Capanne (1083 m s.l.m.).Precedenti studi climatici [2], [3] hanno già delineatole peculiarità dell’isola, che costituisce un unicumnel panorama della Toscana insulare, sebbene le recentivalutazioni sui cambiamenti a livello globale inducanoa rivolgere una più approfondita attenzionealle oscillazioni climatiche intervenute sull’isola inquesti ultimi anni.Dati sperimentaliÈ stata ricostruita dall’IBIMET-CNR una serie termo-pluviometricastorica completa, da cui prendeorigine il presente studio, a partire dal 1951 sino al2002, sulla base dei dati rilevati sull’isola e, ove mancanti,interpolando i valori con i dati delle stazioni limitrofe,apportando le dovute correzioni per even-94


Analisi climatica dell’isola di PianosaTabella 1: Temperature medie mensili ed annue (in °C) nelle stazioni di Pianosa, Livorno e Grosseto nelperiodo 1960-2000.tuali differenze di altitudine, latitudine ed esposizione[4]. I dati più remoti sono stati estratti dai registridei valori rilevati dalla vecchia stazione meteorologicadell’isola, inizialmente posta sul tetto della scuolaed in seguito spostata sul tetto della «Casa dell’agronomo»,entrambe situate in paese, a pochi metris.l.m. I dati più recenti provengono in forma digitaledal database meteo-climatico dell’IBIMET che provvedeal rilevamento, elaborazione e restituzione dellemisure fornite da una moderna stazione meteo installatasull’isola a partire dal maggio 2000 [5].Nell’ambito e per le finalità del presente lavoro i datigiornalieri sono stati elaborati su base media mensileed annua, onde ottenere dei valori medi utilizzabili peruna ricostruzione della climatologia del periodo analizzatoe per calcolare il bilancio idrico del sito oggettodi studio, necessario per la tipizzazione climatica.Andamento delle temperatureNella tabella 1 sono riportati per la stazione di Pianosai valori elaborati sulla base dei dati forniti dall’IBI-MET, della temperatura media mensile ed annua nelperiodo 1960-2000, mentre per le stazioni di Livornoe Grosseto sono riportati i valori delle medie mensilied annue ricavati dal sito del Comma-Med [6], calcolatesempre nel periodo 1960-2000. Si precisa che,non disponendo di dati ulteriori per le stazioni di Livornoe di Grosseto ed esclusivamente ai fini dellaseguente analisi, si è operato utilizzando i dati delletre stazioni elaborati nel medesimo arco temporale,affinché fossero paragonabili.Confrontando i dati della tabella si nota che il valoremedio annuo della temperatura di Pianosa, pari a15,8 °C, risulta leggermente più elevato rispetto allemedie annue delle due stazioni continentali costierepressoché di pari altitudine, rispettivamente 15,6 °Ce 15,2 °C. Questa considerazione si allinea con leconclusioni tratte da Vittorini [2], il quale attribuiscequesta differenza sostanzialmente ad inverni più mitisull’isola per l’elevato grado di marittimità della stazionedi Pianosa, come si può verificare confrontandole temperature medie invernali ed estive delle trestazioni (figura 1) e le escursioni annue (figura 2).Per quanto riguarda il regime termico, esso è similein tutte le stazioni, sulle quali si registrano temperaturemedie autunnali maggiori di quelle primaverilisempre in ragione della marittimità, che prevede fortirilasci di calore legati all’inerzia del mare, come dimostral’andamento del grafico di figura 1. La spiegazionerisiede nel fatto che alle nostre latitudini le localitàmarittime cedono durante l’autunno il caloreaccumulato negli strati superficiali del mare, nel cosiddettotermoclino, durante il periodo estivo (maggio-settembre),rendendo il clima autunnale termicamentepiù mite [2]. Il fenomeno inverso è presente inprimavera nei mesi di marzo e aprile, come si può notaredalla figura 1, dove il mare agisce come accumulatoredi calore.Esamindando l’escursione media annua (figura 2),valutata sulla differenza tra la temperatura mediamensile del mese più caldo e quella del mese piùfreddo, si nota che è minore a Pianosa rispetto alle altrestazioni marittime.Anche questa caratteristica è imputabile alla notevo-gli autori1 Provincia di Livorno, DipartimentoInfrastrutture e Protezione,c/o Complesso della Gherardesca,Via Galilei, 54 - Livornoi.nicotra@provincia.livorno.it2 Istituto di Biometeorologia del CNR,Via Giovanni Caproni, 8 - Firenzef.vaccari@ibimet.cnr.it3 Istituto di Biometeorologia del CNR,Via Giovanni Caproni, 8 - Firenzea.crisci@ibimet.cnr.it* autore per corrispondenza95


Figura 1: Diagrammi delle temperature medie mensili nel periodo 1960-2000 elaborate dai dati delle stazioni di Pianosa, Livorno e Grosseto.Figura 2: L’escursione annua alle stazioni marittime di Pianosa, Livorno eGrosseto (1960-2000).le influenza del mare sul clima, che si manifesta maggiormentesulle isole di piccole dimensioni.Se consideriamo esclusivamente le osservazioni termometrichedella stazione di Pianosa (figura 3) nelperiodo 1951–2002, si nota che la temperatura mediaannua si attesta sui 16,0 °C, valore leggermente piùalto rispetto a quello di 15,8 °C del periodo1960–2000. L’escursione annua risulta lievementeminore, passando da 14,6 °C a 14,4 °C. Il dato è damettere in relazione all’aumento della temperaturamedia mensile del mese più freddo (febbraio) chepassa da un valore di 9,3 °C a quello di 9,6 °C, mentreil valore della temperaturamedia mensiledel mese più caldo(agosto) rimane sostanzialmenteinvariato(24,0 °C).Esaminando le variazionipluriennali si notache il trend complessivolineare dell’andamentodelletemperature del periodo1951-2002 è in diminuzione,con un decrementomedio calcolatodi 0,4 °C ogni dieci anni;in particolare a partiredal 1981 fino al2000 le temperaturemedie annue si attestanoal di sotto dellamedia normale, conpunte minime nel 1981(14,0 °C) e nel 1984,anno in cui si registrail valore più basso ditutto il periodo (13,6°C) ed uno scarto negativodalla media normaledi 2,5 °C.Confrontando l’analisisinora esposta con lostudio di Vittorini [2]si nota nel lungo periodouna inversione deltrend delle variazionipluriennali. Egli esaminale variazioni dellatemperatura alla stazione di Portoferraio (isola d’Elba,altitudine m. 25 s.l.m.) e rileva un trend in aumentosu un intervallo di trentasette anni (1933-1970) conun incremento medio calcolato linearmente di 0,12°C ogni dieci anni. Oltremodo rilevante è il repentinoaumento della temperatura che si verifica negli ultimianni, messo in evidenza nel grafico di figura 3. Si notache, a partire dal 1995 in cui si registra un minimo relativopari a 14,4 °C, le temperature medie annue subisconoun continuo aumento e addirittura un’impennatanegli ultimi due anni; in particolare proprio nel2002 si registra il valore medio annuo di temperaturapiù alto di tutto l’intervallo esaminato, con la punta96


Analisi climatica dell’isola di Pianosamassima di 18,8 °C eduno scarto positivodalla media normale di2,7 °C.Le osservazioni sonocoerenti con la bibliografiaitaliana e internazionalesugli studisui cambiamenti climatici.Il trend negativodelle temperature èda ricondurre al calodella radiazione globaleosservato non soloin area mediterranea[7], [8], [9]. L’inversionedella tendenza apartire proprio dal1995 è invece legata all’evoluzionedei processilegati al Globalwarming [10].Andamento delle precipitazioniOsservando la tabella 2 si nota che la media delleprecipitazioni annue registrate a Pianosa, pari a496,1 mm di pioggia, nell’arco di tempo 1960-2000, èdecisamente inferiore a quella delle stazioni marittimedi Livorno e di Grosseto, rispettivamente pari a790,3 e 656,8 mm di pioggia.L’andamento del grafico di figura 4, costruito sullaserie dei dati riportati in tabella 2, mostra inoltre unregime pluviometrico dissimile tra le varie stazioni.Si rileva una sostanziale affinità nell’andamento dellepiogge nella stagione autunnale tra le varie stazioni,con la presenza di un massimo assoluto delle rispettivecurve a Pianosa e a Livorno nel mese di ottobre, enel mese di novembre a Grosseto.In tutte le stazioni si registra il minimo assoluto diFigura 3: Diagramma delle temperature medie annue registrate a Pianosanel periodo 1951-2002. Sono indicate la retta e le curve di tendenza (II e VIordine), con le relative equazioni, e la media normale.piogge nel mese di luglio, con un valore più bassodelle altre nella stazione di Pianosa. Tuttavia, analizzandoi grafici, si osserva che a Pianosa e a Livornoesiste un massimo secondario di piogge annuo, nellaprima registrato in inverno (febbraio) e nella secondain primavera (aprile), mentre a Grosseto questomassimo relativo non si riscontra. Inoltre si individuaun minimo relativo nel mese di gennaio a Pianosae di febbraio a Livorno, mentre risulta assente aGrosseto. Si verifica quindi la coincidenza di un massimodi piogge in inverno a Pianosa con un minimo aLivorno. Riassumendo possiamo operare una distinzionetra il tipo di regime pluviometrico [7] che caratterizzale tre stazioni:• Pianosa, presenza di due massimi relativi (in autunnoil massimo principale, in inverno quello secondario)e due minimi (in estate quello principale, in invernoquello secondario). Regime pluviometrico definitodi tipo submediterraneo (AIPE) 1 ;• Livorno, presenza di due massimi relativi (in autunnoil massimo principale e in primavera quello se-Tabella 2: Precipitazioni medie mensili ed annue registrate alle stazioni di Pianosa, Livorno e Grossetonel periodo 1960-2000.97


Figura 4: Diagrammi delle precipitazioni medie mensili nel periodo 1960-2000 elaborate dai dati delle stazioni di Pianosa, Livorno e Grosseto.Figura 5: Precipitazioni annue a Pianosa nel periodo 1951-2002. Sono indicatela retta e le curve di tendenza (II e VI ordine), con le relative equazioni,e la media normale.condario) e due minimi (in estate quello principale ein inverno quello secondario). Regime pluviometricodefinito di tipo sublitoraneo (APIE) 2 ;• Grosseto, presenza di un solo massimo (autunno)e un solo minimo (estate). Regime pluviometricodi tipo submediterraneo.È da notare la forte differenza tra i valori di precipitazionimedie annue rilevata tra la stazione di Pianosa ele altre due stazioni marittime, che è da ascriversiprincipalmente alla scarsità di piogge autunnali sull’isola,oltre che aduna tendenza costantea piovere meno nell’arcodi tutto l’anno.Esaminando i valoridelle precipitazioninell’arco temporale1951-2002 si rileva cheil valore complessivodiminuisce leggermente,passando da496,1 (periodo 1960-2000) a 480,7 mm dipioggia, mentre il regimerimane sostanzialmentelo stessocon la presenza di unmassimo principale inautunno (ottobre) edun massimo secondarioin inverno (febbraio),un minimo assolutoin estate (luglio)ed un minimo relativoa gennaio.Se si osservano le variazionipluriennalidelle precipitazioniannue a Pianosa delperiodo 1951-2002 (figura5), si rileva untrend lineare in aumento,con incrementomedio calcolato di24,5 mm annui e puntamassima (716,1 mmpioggia) nell’anno1984, con uno scartopositivo dalla medianormale di 245,6 mmdi pioggia.Studiando la curva legata al trend non lineare si rilevauna variazione di tendenza a partire dall’anno1989 e successivamente un andamento in diminuzione.Si registra difatti un minimo assoluto delle precipitazionimedie del periodo esaminato nel 1999, conuno scarto negativo dalla media normale di ben294,45 mm di pioggia.Esaminando il diagramma termo-pluviometrico dellemedie mensili (figura 6) si nota una perfetta concordanzatra il minimo estivo delle precipitazioni e il mas-98


Analisi climatica dell’isola di Pianosasimo assoluto delletemperature (luglio);nondimeno al massimosecondario delleprecipitazioni corrispondeil minimo relativodelle temperatureinvernali (gennaio).Per quanto riguarda levariazioni pluriennalidelle medie termopluviometrichenel medesimoarco di tempo (figura7) si osservanodallo studio delle curvedei trend non linearicome le diminuzionidelle precipitazioni siaccordino perfettamentecon l’aumentodelle temperature medie,mentre alle diminuzionidi temperaturacorrispondano aumentidelle precipitazioni.In particolare si verificauna diminuzionedelle precipitazioni nelperiodo 1951-1963 alquale corrisponde unaumento di temperatura;a partire dal 1963 leprecipitazioni medieaumentano, con concomitantediminuzionedella temperatura,fino al 1989. Dal 1989 in poi le precipitazioni diminuisconocon un contestuale aumento di temperature.Condizioni anemometricheFigura 6: Diagramma termo-pluviometrico delle medie mensili calcolate nelperiodo 1951-2002 (Pianosa).Figura 7: Diagramma termo-pluviometrico con le variazioni pluriennalidelle temperature medie annue messe a confronto con le precipitazioni totaliannue alla stazione di Pianosa (1951-2002).In riferimento alle condizioni anemometriche dell’isola,non disponendo purtroppo di un periodo altrettantolungo di rilevazioni anemometriche dell’IBI-MET rispetto ai dati termo-pluviometrici analizzati inprecedenza, ci si è limitati a studiare soltanto le osservazionidegli anni 2002-2003, per verificare se inquest’ultimo periodo ci fossero stati segnali di possibilivariazioni del regime dei venti, rispetto a quantorilevato negli studi precedenti. In particolare, analizzandoi dati forniti dal Servizio Meteorologico dell’Aeronauticaper il periodo 1960-1969, Vittorini [2]conclude osservando che i venti predominati sul territoriosono quelli con direzione meridiana, ovvero iventi di sud e di nord, che presentano rispettivamenteil 16,0% e il 18,6% delle frequenze medie annue. Anchelo Scirocco presenta una frequenza alta, con il16,1%, mentre il Libeccio, vento dominante sulle costedella Toscana, presenta soltanto il 5,4% delle frequenzea Pianosa. Inoltre si rileva che i venti più velocisono il Maestrale e la Tramontana, con velocitàmedia ponderata rispettivamente di 27,7 e 26,1km/h. Seguono il Grecale (24,5 km/h), i venti daSud (22,6 km/h) e lo Scirocco (22,5 km/h). Il ventomeno veloce risulta essere il Levante, con 20,1km/h. Vittorini [2] inoltre riferisce che non esiste un99


Figura 8: Distribuzione delle frequenze medie percentualiin relazione alle direzioni principali dellaRosa dei Venti. Dati 2002-2003, CNR-IBIMET.avvicendamento stagionale dei venti, poiché i ventida sud soffiano durante tutto l’anno, con un massimoa giugno, e complessivamente si verifica una maggioreventosità durante i mesi estivi.In figura 8 è riportata la rosa dei venti elaborata inquesta sede sui dati dell’intervallo in esame e, comesi può notare a prima vista, si rileva una sostanzialeuniformità nella distribuzione delle frequenze analizzatarispetto all’esame compiuto da Vittorini [2]. Anchese i singoli valori delle frequenze non sono significativi,dato il breve intervallo temporale studiato,complessivamente si osserva una prevalenza deiventi del settore Nord e del settore Sud, e si riconfermala bassa frequenza del Libeccio. Studiando infinela distribuzione dell’intensità del vento relativa allediverse direzioni (medie orarie in m/s), sono risultatiquali venti più veloci lo Scirocco ed il Maestrale, rispettivamentenell’intorno delle direzioni 150° e350° Nord. Se questo dato venisse confermato da unesame su un significativo intervallo temporale, indicherebbeun aumento rilevante dell’intensità deiventi di Scirocco, rispetto al passato.Il tipo di climaPer individuare il tipo di clima di Pianosa si può utilizzareil metodo di Thornthwaite [8] attraverso il calcolodei seguenti di indici:• indice di umidità (I u= e / E px 100)• indice di aridità (I a= d / E px 100)• indice di umidità globale o Moisture index(I m= I u– I a)(con e = eccedenza idrica annua, d = deficit idrico annuoed E p= Evapotraspirazione potenziale annua).Secondo questo metodo, attraverso il calcolo delMoisture Index (I m), si possono definire sei classi climaticheove poter collocare il territorio oggetto di indagine,nell’intervallo temporale preso in esame. Siriportano di seguito le classi climatiche diThornthwaite [8]:1. tipo perumido, I m= oltre 1002. tipo umido, I m= 0 ÷ 1003. tipo sub-umido, I m= 0 ÷ 204. tipo sub-arido, I m= 0 ÷ -33,35. tipo semiarido, I m= -33,3 ÷ -66,76. tipo arido, I m< -66,7Si definisce Evapotraspirazione potenziale (E p)laquantità massima di acqua (in mm) che evaporerebbee traspirerebbe, in date condizioni climatiche, sele riserve idriche del suolo venissero costantementerinnovate. Questo parametro, che dipende esclusivamentedall’energia disponibile a fare evaporare l’acqua,coincide con i bisogni idrici della vegetazione[8]. Essa si calcola partendo dai valori mensili dellatemperatura. Nell’ambito del presente lavoro sonostati utilizzati per Pianosa i valori medi dell’intervallo1951-2002. Il risultato ottenuto è pari a 821,7 mm annui(tabella 3).L’evapotraspirazione reale annua (E r)corrispondeinvece alla quantità di acqua che evapora e traspirarealmente dal suolo, ed è sempre valida la relazioneE r≤ E ppoiché in condizioni naturali la disponibilitàd’acqua è sempre limitata [9].Si definisce eccedenza idrica (e) annua il quantitativodi acqua (in mm) che supera l’evapotraspirazionereale nell’arco di un anno e che defluirebbe a mare opotrebbe essere utilizzata, ed è pari alla differenzatra le precipitazioni annue e l’evapotraspirazione realeannua (P - E r). Si costituisce una volta superata lacapacità idrica del suolo.Il deficit idrico (d) annuo (in mm di acqua) risulta invecedalla differenza tra l’evapotraspirazione potenzialeannua e quella reale annua (E p- E r).Per il calcolo degli indici climatici con il metodo diThorthonwaite [8] è necessario disporre del valorecorrispondente ad E r.Non essendo stato possibile misurare sperimentalmentel’evapotraspirazione reale del suolo, E rvienecalcolata approssimando il valore della capacità mas-100


Analisi climatica dell’isola di PianosaTabella 3: Foglio di calcolo per la stima dei parametri relativi al bilancio idrico del bacino di Pianosa(Thornthwaite, 1948). Con il colore azzurro è contrassegnata la stagione umida, con il colore giallo lastagione secca.sima d’acqua utilizzabile dalle piante a 100 mm [9].Attraverso una serie complessa di operazioni [10],[11] si giunge ad ottenere i valori corrispondenti all’evapotraspirazionereale annua (Er), all’eccedenzaidrica annua (e) ed al deficit idrico annuo (d). Possiamoriassumere i passaggi fondamentali:e = P – E r= 480,7 – 462,9 = 17,8 (mm)d = E p- E r= 821,6 – 462,9 = 358,8 (mm)Si possono dunque calcolare gli indici per la definizionedella classe climatica di appartenenza:I u= e / E px 100 = 2,2I a= d / E px 100 = 43,7I m= I u– I a= 11,54 - 53,03 = - 41,5Risulta quindi che il clima di Pianosa, nel periodoesaminato, rientra nel tipo semiarido, secondo laclassificazione di Thornthwaite [8], avendo ottenutoil valore I m= -41,5 (-33,3 < I m< -66,7). Questo risultatoappare in linea con le conclusioni riportate da Vittorini[2], che ha ottenuto il valore I m= -46,2 (decennio1960-1969); in particolare si osserva che l’elaborazionedei dati relativi all’intervallo 1951-2002 conducead un indice di aridità leggermente più basso in valoreassoluto, pur rimanendo sempre all’interno delrange del tipo semiarido.ConclusioniComplessivamente si può concludere che il trend linearedi variazioni termopluviometriche sull’isola diPianosa nell’arco di tempo analizzato (1951-2002)non desta particolari preoccupazioni, anzi la tendenzagenerale della temperatura risulta essere in diminuzionenel lungo periodo; in coerenza ad essa la tendenzagenerale delle piogge risulta essere in aumento.Tale affermazione è confermata dal calcolo dell’indiceclimatico di Thornthwaite, o Moisture index,il quale permette di porre l’isola ampiamente all’internodel range del tipo semiarido, come in passato,con un valore leggermente spostato verso il limitecon il tipo sub-arido. Tuttavia, esaminando le oscillazionitermopluviometriche di più breve periodo, siosserva che, alla fine del periodo analizzato, l’isola sipone in una fase di riscaldamento come tutta l’areamediterranea, con una concomitante diminuzionedelle precipitazioni. L’incompletezza della serie termopluviometricadel periodo 2002-2006 per problemistrumentali non ha consentito purtroppo l’elaborazionesistematica dei dati in questa sede, sebbenedall’esito di studi preliminari si possa confermare latendenza rilevata nel breve periodo. A ciò si aggiungerebbe,se confermata, la rilevazione dell’aumentodell’intensità dei venti di Scirocco e della sua frequenzaannuale, rispetto al passato.I risultati conseguiti con la presente analisi su un intervallodi tempo significativo per un’analisi climatica (51anni) confermano l’obbligo di esaminare, quando èpossibile, archi temporali più ampi per raggiungereconclusioni di carattere generale sulle tendenze delclima, che devono essere validate, oltre che da valutazionisulla bontà della strumentazione e della correttaubicazione della stessa, anche da opportune verifichenelle aree limitrofe. Lo studio dei dati rilevati nel lungoperiodo permette inoltre di apprezzare le oscilla-101


zioni di breve periodo e di inserirle nel più ampio contestodelle tendenze generali del clima.RingraziamentiSi ringrazia per la disponibilità dimostrata e la gentilecollaborazione: il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano,l’Amministrazione Penitenziaria di Portoazzurro,l’Associazione Amici di Pianosa, il dott. GabrieleBrugnoni e il dott. Franco Miglietta, AlessandroZaldei e Francesco Sabatini dell’IBIMET-CNR.Note1Autunno, Inverno, Primavera, Estate.2Autunno, Primavera, Inverno, Estate.Bibliografia[1] V. Simonelli, Boll. R. Com. Geol. d’It. 1889,10: 193.[2] S. Vittorini, L’Univ. 1976, 56: 147.[3] F. Rapetti, S. Vittorini, Carta climatica dellaToscana centro-meridionale e insulare. Pacini editore,Pisa: 1994.[4] R. Baraldi, F.P. Vaccari, M.R. Colom, M.F. Cotrufo,L. D’Acqui, Journ. Medit. Ecol. 2004, 5: 5.[5] A. Zaldei, F. Sabatini, F.P. Vaccari, F. Miglietta,La stazione meteorologica installata a Pianosa.In: Il progetto PianosaLab, ricerche sugli ecosistemiterrestri dell’area mediterranea. Forum editrice,2000.[6] Comma-Med: http://www.lamma.rete.toscana.it[7] G. Stanhill, S. Cohen, Agric. and For. Meteorol.2001, 107: 255.[8] M. Bindi, M. Pieri, L.Fibbi, G. Maracchi, Riv.Meteorol. Aeron. 1995, 55: 37.[9] L. Fibbi, M. Bindi, M. Pieri, G. Maracchi, Riv.Meteorol. Aeron. 1998.[10] M. Wild et al., Science 2005, 308: 847.[11] A. Mori, Carta dei regimi pluviometrici in Italia.C.N.R., Roma: 1969.[12] C.W. Thornthwaite, Geogr. Rew. 1948, 38: 55.[13] P. Celico, Prospezioni Idrogeologiche. LiguoriEditore, Napoli: 1986.[14] C.W. Thornthwaite, J.R. Mather, Climat.1955, 8: 1.[15] C.W. Thornthwaite, J.R.Mather, Climat.1957, 10: 185.102


14 / Sez. ScientificaCaratterizzazione geochimica dei suoli dell’areaurbana di Siena ed utilizzo dei lombrichicome bioindicatoriFrancesco Nannoni*, Giuseppe Protano, Francesco RiccobonoParole chiave: elementi in traccia, suolo, lombrichi, area urbana, traffico veicolare, SienaNelle aree urbane il traffico veicolare rappresenta una delle principali fonti di inquinamento dell’ambientedi superficie, la cui chimica, in seguito alla variazione qualitativa e quantitativa dei contaminantiimmessi, è soggetta ad una continua trasformazione.Nell’area di Siena è in fase di realizzazione una ricerca geochimica finalizzata alla valutazione dell’impattodel traffico veicolare sull’ambiente di superficie attraverso la determinazione dei contenuti deglielementi in traccia in differenti comparti di esposizione: aria, suolo, organismi vegetali ed animali. Sienaè una città di dimensioni medio-piccole, dove le attività industriali sono limitate; pertanto nell’areaurbana la principale fonte di inquinanti è rappresentata dal traffico veicolare a cui, in inverno, si aggiungel’apporto fornito dal riscaldamento domestico.In questo lavoro sono riportati i risultati preliminari inerenti le concentrazioni di elementi in traccia diinteresse ambientale (per es., piombo, antimonio, cadmio, nichel, rame e zinco) in suoli ed esemplari dilombrico della specie Nicodrilus caliginosus (Savigny), campionati in siti urbani, peri-urbani ed extraurbanidella città di Siena. Nell’ambito della ricerca sono stati determinati i contenuti totali degli elementi:Cd, Co, Cr, Cu, Fe, Mn, Ni, Pb, Pd, Pt, Rh, Sb, U, Zn, nonché la loro ripartizione nelle principalifrazioni del suolo (estraibile, riducibile, ossidabile e residuale) allo scopo di definire la mobilità e labiodisponibilità delle specie chimiche di interesse. Come bioindicatori della qualità del suolo sono statiutilizzati i lombrichi poiché in grado di assorbire ed accumulare gli elementi chimici sia attraverso l’assorbimentodermale sia mediante l’ingestione delle particelle di suolo.I dati analitici prodotti hanno indicato che piombo ed antimonio sono gli elementi chimici maggiormenteinfluenzati dalla circolazione veicolare, con le più elevate concentrazioni medie registrate nei suoli urbani(Pb = 112.5 mg/kg; Sb = 5.6 mg/kg). Per cadmio, manganese, rame e zinco, nei suoli dei siti interessatidal traffico stradale, è stato riscontrato un minore incremento delle loro concentrazioni rispetto albackground geochimico locale. Per gli altri elementi chimici analizzati (cobalto, cromo, ferro, nichel,uranio e platinoidi) non è stata rilevata nessuna significativa variazione dei loro livelli nei suoli dell’areadi studio.Negli esemplari di lombrico le concentrazioni degli elementi analizzati delineano un modello di distribuzioneanalogo a quello descritto per i contenuti totali nel suolo. Zinco e cadmio sono risultati gli unicielementi bioconcentrati, con contenuti nei lombrichi che superano di circa un ordine di grandezza quellidel suolo.103


IntroduzioneNell’epoca attuale le aree urbane sono semprepiù interessate da una crescente pressioneantropica a causa dell’immissione nell’ambientedi superficie di una pluralità di contaminantiorganici ed inorganici. Per altro nelle aree urbane èconcentrata la gran parte della popolazione, con ovvieripercussioni sull’intensità del traffico veicolare esulle emissioni da riscaldamento domestico. Senzadimenticare che spesso, nelle immediate vicinanzedelle aree urbane, possono essere presenti poli industrialied importanti nodi stradali.Ad oggi, il traffico veicolare sembra rappresentare laprincipale causa di inquinamento atmosferico in moltearee urbane. I principali inquinanti prodotti dallacircolazione stradale provengono essenzialmentedai gas di scarico e dalle particelle incombuste deimezzi di trasporto, dall’usura delle varie componentiveicolari (per es., pneumatici, freni, carrozzeria) edall’abrasione del manto stradale.In particolare il traffico veicolare contribuisce all’immissionenell’ambiente di un’ampia gamma di elementiin traccia, tra cui alcuni con rilevante valenzatossicologica. Tra questi Cd, Cu, Mn, Ni, Pb, Zn sonocomunemente associati al residuo incombusto delprocesso di combustione dei carburanti [1, 2]; Cd,Cr, Fe, Pb, Sb, Zn sono immessi nell’ambiente dal deterioramentodelle componenti della struttura deiveicoli; Cd e Zn si originano per il consumo dei pneumatici,Cr, Mn, Pb e Sb dall’usura del ferodo dei freni[3, 4]; infine gli elementi del gruppo del platino, oplatinoidi (Pd, Pt e Rh), vengono liberati dal deterioramentodelle marmitte catalitiche.La deposizione sul terreno dei suddetti inquinantiinevitabilmente influenza la chimica dei suoli. Neconsegue che il suolo delle aree urbane rappresentaun importante orizzonte di intrappolamento in cuinumerose specie chimiche, tra cui gli elementi intraccia, possono accumularsi ed in successivo passaggioessere trasferite alla biosfera.Infatti, elementi chimici come piombo, antimonio,rame e zinco, possono essere assorbiti attraversomeccanismi di sorption dai colloidi del suolo (mineraliargillosi, ossidrossidi di ferro e manganese, sostanzaorganica), e quindi essere trasferiti nella retetrofica. A tal proposito è stata riscontrata la tendenzaall’accumulo di alcune specie chimiche in organismiterricoli quali lombrichi, gasteropodi ed artropodi[5, 6, 7].In considerazione dell’importante problematica ambientalesopra descritta, presso il Dipartimento diScienze Ambientali «G. Sarfatti» dell’Università degliStudi di Siena, è stata intrapresa una ricerca finalizzataalla determinazione nell’ambiente urbano eperi-urbano di Siena dei livelli e della distribuzione,nei vari comparti (aria, suolo, pianta) degli elementiin traccia legati a vario grado al traffico veicolare econ differente valenza tossicologica.Il presente lavoro riporta i risultati preliminari inerentile concentrazioni di alcuni elementi chimici(Cd, Co, Cr, Cu, Fe, Mn, Ni, Pb, Sb, U, Zn e platinoidi:Pd, Pt e Rh), in campioni di suolo ed esemplari dilombrico della specie Nicodrilus caliginosus (Savigny),prelevati nelle aree urbana, peri-urbana ed extra-urbanadi Siena. Sono stati determinati i contenutitotali dei suddetti elementi nel suolo nonché la lororipartizione nelle principali frazioni di questa matrice(estraibile, riducibile, ossidabile e residuale), alloscopo di studiarne la mobilità e la biodisponibilità.I lombrichi (Anellidi della famiglia Lumbricidae) sonostati utilizzati come bioindicatori della qualità delsuolo, poiché in grado di assorbire ed accumularegli elementi chimici sia attraverso l’assorbimentodermico sia mediante l’ingestione delle particelle disuolo [8].Materiali e metodiL’area di studio comprende il centro urbano di Sienae le zone limitrofe, peri-urbane ed extra-urbane. Sienaè una città di dimensioni medio-piccole, in cui leattività industriali sono limitate ed il traffico veicolareè stimato, in media, attorno ai 48.000 veicoli circolantiogni giorno [9]. Quindi l’apporto di inquinantinell’area urbana è riconducibile prevalentemente altraffico veicolare cui, nei mesi invernali, si aggiungonole emissioni del riscaldamento domestico.gli autoriDipartimento di Scienze Ambientali«G. Sarfatti», Unità di Ricercadi Geochimica Ambientale,Università degli Studi di Siena,via del Laterino 8, 53100 Siena, Italianannoni@unisi.it* autore per corrispondenza104


Caratterizzazione geochimica dei suoli dell’area urbana di Siena ed utilizzo dei lombrichi come bioindicatoriIn base alle stime sultraffico ed a sopralluoghipreliminari, nell’areadi studio sono statiindividuati 24 siti dicampionamento delsuolo e dei lombrichi.Questi siti ricadono inzone caratterizzate dauna diversa intensitàdella circolazione stradale(figura 1):• aree extra-urbanenon trafficate (siti 6);• zone verdi cittadine(siti 2);• aree peri-urbane situatein corrispondenzadelle principali arterieviarie (siti 6);• aree urbane trafficate(siti 10).In ciascun sito è statoprelevato un campionecomposito di suolosuperficiale (primi 20cm) costituito dall’unione di 3 sub-campioni. Nellestazioni di prelievo nelle aree urbane e peri-urbane ilcampione di suolo è stato raccolto ad una distanzamassima di 2 metri dal margine stradale.I suoli prelevati hanno un substrato litologico comunerappresentato da sedimenti marini a prevalentegranulometria sabbiosa di età pliocenica (Sabbie diSan Vivaldo) [10].In 8 siti sono stati raccolti esemplari di lombrico dellaspecie Nicodrilus caliginosus, per un numero complessivodi 80 (10 per stazione).In laboratorio i campioni di suolo sono stati essiccatiin stufa ad una temperatura di 40°C e setacciati al vagliodi 2 mm. Il passante è stato quartato ed un’aliquotadi circa 100 grammi è stata polverizzata. Quindi0.2 grammi di suolo polverizzato sono stati solubilizzatiper digestione acida usando una miscela compostada: 2 ml HNO 3, 2 ml HCl, 1 ml HF e 1 mlHClO 4.Per la caratterizzazione della ripartizione degli elementichimici nella varie frazioni di suolo è stata utilizzatala tecnica dell’estrazione sequenziale che consistenell’utilizzo di diversi reagenti in grado di rimuoverein maniera selettiva determinate fasi e/ofrazioni.Figura 1: Area di studio ed ubicazione dei siti di campionamento.Un’estrazione sequenziale consiste in una serie diestrazioni chimiche selettive effettuate in successionesu uno stesso campione, ognuna delle quali hauna specifica capacità estrattiva ed una maggiore aggressivitàrispetto alla precedente. Tra le tecniche diestrazione sequenziale riportate in letteratura [11],in questo studio è stata utilizzata quella proposta dallaCommunity Bureau of Reference [12], per la quale èdisponibile uno standard analitico di riferimento(BCR701-sediment). In base a questa procedura,ogni campione di suolo è stato sottoposto a 4 stadiconsecutivi di estrazione delle seguenti frazioni:• estraibile (F est): solubile in acqua, scambiabile edacido-solubile;• riducibile (F rid): essenzialmente legata agli ossidrossididi Fe e Mn;• ossidabile (F oss): essenzialmente legata alla sostanzaorganica;• residuale (F res): presente nei reticoli cristallini diminerali residuali e di neoformazione.Gli esemplari di lombrico sono stati accuratamentepuliti attraverso un lavaggio con acqua bidistillata;successivamente allo scopo di eliminare il suolo contenutonel tratto intestinale, sono stati spurgati per96 h e liofilizzati. Ciascun esemplare è stato solubiliz-105


zato con una miscela di acidi ultrapuri: 3 ml HNO 3e 1ml H 2O 2.La determinazione dei contenuti degli elementi considerati,nei suoli e nei lombrichi, è stata effettuataper spettrometria di massa accoppiata al plasma induttivo(ICP-MS), utilizzando uno spettrometro dellaPerkin-Elmer.RisultatiContenuti totali nel suoloPer l’illustrazione dei contenuti totali degli elementichimici nel suolo, di seguito si farà riferimento allaconcentrazione media nei suoli, raggruppati per zonadi provenienza: aree urbane, peri-urbane, extraurbanee verdi cittadine. In particolare l’abbondanzamedia di ciascun elemento nei suoli prelevati nel settoreextra-urbano, è stata assunta quale valore delfondo geochimico naturale, o background. Scostamentipiù o meno marcati delle concentrazioni dell’elementorispetto al suo valore di background, definitiattraverso il fattore di arricchimento (FA), sono statiutilizzati come indice dell’apporto antropico dovutoessenzialmente al traffico veicolare.Sulla base del fattore di arricchimento nel suolo, glielementi chimici analizzati possono essere suddivisinei seguenti gruppi:• Gruppo 1: elementi significativamente arricchitinei suoli delle aree urbane e peri-urbane, con FA>4:piombo ed antimonio.• Gruppo 2: elementi debolmente arricchiti neisuoli delle aree urbane e peri-urbane, con fattori diarricchimento nell’intervallo 1-2: cadmio, manganese,rame e zinco.• Gruppo 3: elementi con contenuti totali nel suoloomogenei in tutte le aree considerate (FA intorno a1): cobalto, cromo, ferro, nichel, uranio, platinoidi.Gruppo 1: piombo ed antimonioNei suoli dell’area urbana, peri-urbana ed extra-urbanadi Siena sono state misurate concentrazioni dipiombo che variano tra 15.1 e 258.9 mg/kg. I più bassicontenuti di piombo, nell’intervallo 15.1-37.5mg/kg (media = 22.8 mg/kg) sono stati riscontratinei campioni di suolo prelevati nelle aree extra-urbane(figura 2). Questo intervallo di valori è da ritenersirappresentativo del background geochimico dell’elementonei suoli formatisi dalle Sabbie di San Vivaldo.A sostegno di ciò, analoghi contenuti di piombo(in media 19 mg/kg) [13] caratterizzano l’orizzonteA dei suoli agricoli formatisi dai sedimenti sabbiosipliocenici.Concentrazioni di piombo significativamente più elevatedel background contraddistinguono i suoli dellearee peri-urbane ed urbane. Nello specifico, i suoliprelevati nel comprensorio urbano, hanno un’abbondanzamedia di piombo pari a 112.5 mg/kg, con unfattore di arricchimento prossimo a 5. Questo livellomedio di piombo scaturisce da contenuti che ricadononell’intervallo 70-180 mg/kg, con picchi di concentrazione(Pb>150 mg/kg) riscontrati nei suoliprovenienti da settori dell’area urbana dove la circolazionedegli autoveicoli è caratterizzata da ripetuti«stop and go» dovuti alla presenza di semafori. Questoaspetto è in accordo con il fatto che in queste condizionidi traffico aumenta l’input di piombo, per l’incrementosia delle emissioni legate alla combustionedei carburanti, sia dell’usura di alcune loro componenticome i freni.Un livello medio di piombo di 92.6 mg/kg, con un fattoredi arricchimento di 4.1, è stato determinato neisuoli raccolti in prossimità delle principali arteriestradali dell’area peri-urbana, le quali rappresentanole più importanti vie di accesso e di uscita dalla città[14]. Tuttavia va segnalato che in questo raggruppamentodi suoli i contenuti di piombo si distribuisconoin un ampio intervallo di valori (28.0-258.9 mg/kg),con gran parte dei dati inferiori a 100 mg/kg.Per quanto detto risulta che, nei suoli peri-urbani,nonostante il maggior numero di veicoli circolanti, lapresenza di piombo è in genere inferiore a quanto registratoin quelli urbani. Questo potrebbe dipendereda più cause: i) la gran parte delle arterie viarie periurbanesono state realizzate o rifatte in tempi relativamenterecenti (dalla fine degli anni ’80 ad oggi); ii)i suoli peri-urbani, rispetto a quelli urbani, sono statiinteressati in minor misura dal rilascio di piombo daparte dai veicoli alimentati da benzine rosse, in cuil’elemento era aggiunto come antidetonante (a riguardova ricordato che l’utilizzo delle «benzine rosse»è andato progressivamente diminuendo negli anni’90, fino alla completa abolizione nel 2001); iii) solitamentela circolazione dei veicoli nelle aree peri-urbanenon avviene attraverso frequenti soste e ripartenze;iv) nell’area peri-urbana non vi sono efficaciostacoli alla diffusione degli inquinanti come inveceavviene frequentemente nell’area urbana caratterizzatada strade spesso bordate da edifici.Nei suoli raccolti in alcune delle aree verdi cittadineè stato misurato un contenuto medio di piombo di56.5 mg/kg ed un FA di 2.5. Questo incremento delle106


Caratterizzazione geochimica dei suoli dell’area urbana di Siena ed utilizzo dei lombrichi come bioindicatoriconcentrazioni rispetto al background geochimico èverosimilmente dovuto alla dispersione a vasta scaladi questo elemento.Dal confronto con i dati di letteratura si deduce chele concentrazioni di piombo misurate nei suoli dell’areaurbana e peri-urbana sono significativamente inferioria quanto rilevato in altre città italiane di medio-grandidimensioni. Per esempio nell’area urbanadi Palermo la presenza di piombo nel suolo è risultata,in media, di 253 mg/kg [15], mentre un tenoremedio pari a 262 mg/kg è stato trovato a Napoli, insuoli di aree urbane trafficate [16].Nei campioni di suolo la distribuzione delle concentrazionidi antimonio è simile a quella descritta per ilpiombo (figura 2). I più bassi contenuti dell’elemento,tra 0.8 e 1.3 mg/kg, sono stati misurati nei suoliextra-urbani. Da contenuti intorno a 1 mg/kg, prossimial background, la presenza dell’antimonio crescenei suoli delle aree verdi cittadine (1.9 mg/kg, in media),raggiungendo la massima concentrazione neisuoli peri-urbani e urbani, con tenori medi rispettivamentedi 3.7 e 5.6 mg/kg.Nel dettaglio, nell’area peri-urbana i suoli mostranoconcentrazioni di antimonio generalmente compresetra 1.5 e 4 mg/kg, con un FA di 3.5. Più elevata è la presenzadell’elemento nei suoli del settore urbano, convalori compresi tra 1.5 e 14.8 mg/kg, ed un FA di 5.3.Poiché l’input di antimonio derivante dal traffico è legatoprincipalmente al deterioramento di alcunecomponenti della struttura veicolare e dall’usura delferodo dei freni, la distribuzione dell’elemento nelsuolo, come descritto per il piombo, è essenzialmenteespressione dei tempi di «esposizione» dei suoli altraffico e delle modalità di circolazione degli autoveicoli.Come ulteriore conferma, i livelli più elevati diantimonio (>7 mg/kg) sono stati trovati nei suoli prelevatiin prossimità degli incroci nell’area urbana.Analoghi livelli di antimonio sono stati misurati neisuoli urbani di Palermo, con una presenza media di3.7 mg/kg, e massimi di concentrazione di 27.5mg/kg [15].Gruppo 2: cadmio, manganese, rame e zincoNei suoli studiati le concentrazioni di cadmio, manganese,rame e zinco mostrano una distribuzione simile,che appare debolmente influenzata dagli inputderivanti dal traffico veicolare. D’altra parte, l’origine«veicolare» di questi elementi è nota, dato che sonoassociati alla frazione incombusta dei carburantinonché presenti nei pneumatici ed in varie componentidegli autoveicoli.I contenuti più elevati dei suddetti elementi contraddistinguonoi suoli delle aree peri-urbane ed urbane,con livelli medi rispettivamente di 0.22 e 0.26 mg/kgper il cadmio, 101.1 e 127.7 mg/kg per lo zinco (figura2), 48.4 e 46.6 mg/kg per il rame, 764.7 e 632.9mg/kg per il manganese. Si tratta, nel complesso, dilivelli leggermente più elevati (FA compresi tra 1.1 e1.6) dei contenuti medi di questi elementi nei suoliprelevati nei siti extra-urbani (Cd = 0.16 mg/kg, Zn =79.1 mg/kg, Cu = 39.2 mg/kg, Mn = 604.4 mg/kg).Gruppo 3: cobalto, cromo, ferro, nichel, uranio eplatinoidi (Pd, Pt, Rh)Per cobalto, cromo, ferro, nichel ed uranio non sonostate riscontrate significative differenze di concentrazionetra i suoli raccolti nelle varie zone interessateda un diverso impatto antropico (figura 2). Infattila presenza di questi elementi nel suolo rimane pressochéuniforme al variare dell’intensità del trafficoveicolare, con FA intorno a 1. Ne consegue che questielementi sono da considerarsi geogenici, ovveroelementi la cui abbondanza nel suolo è essenzialmentelegata a fattori naturali, quali la geochimica ela mineralogia del substrato litologico nonché l’esitodei processi pedogenetici e di weathering.A questo gruppo appartengono anche i platinoidi(palladio, platino e rodio), poiché anche per questielementi è stata riscontrata un’uniformità delle concentrazioninei suoli analizzati. Questo aspetto sembrerebbenon congruente con il fatto che nell’ultimodecennio, soprattutto nelle aree urbane, le concentrazionidi questi elementi nel suolo sono significativamenteaumentate in relazione al loro utilizzo nellemarmitte catalitiche. Tuttavia va ricordato che inquesto studio la profondità di campionamento delsuolo è stata di 20 cm, mentre in letteratura è riportatoche i platinoidi sono concentrati essenzialmentenei primi 2 cm [17].Attualmente è in corso di realizzazione una ricercaper determinare la distribuzione dei platinoidi nelprofilo del suolo.Frazionamento chimico nel suoloDi seguito sono commentati i risultati dello studiodel frazionamento chimico di alcuni elementi in tracciadi interesse, finalizzato alla definizione del lorocomportamento nel suolo, in termini di mobilità ebiodisponibilità. A riguardo l’attenzione è stata focalizzatasu piombo ed antimonio, elementi che, come107


Figura 2: Contenuti medi di Pb, Sb, Cd, Zn, Co e Ni nei suoli dell’area di studio.descritto, sono quelli maggiormente influenzati daltraffico veicolare.Nei suoli in studio il piombo mostra un modello di ripartizione,tra le componenti del suolo, piuttostoomogeneo, caratterizzato da una preminente presenzadell’elemento nella frazione riducibile (F rid), in mediail 49.3% del contenuto totale, e nella frazione residuale(F res= 43.4%; figura 3). Questo comportamentoè in accordo con i risultati di altre ricerche [18], checonsiderano gli ossidrossidi di ferro e manganese importantiscavenger di elementi pesanti. Molto minoreè l’aliquota di piombo presente nella frazione ossidabile(F oss= 6.8%), mentre le più basse concentrazionisono state misurate in quella estraibile (F est), pari allo0.5% del contenuto totale dell’elemento.Alcune interessanti differenze emergono se si consideranoi campioni di suolo per area di provenienza. Atale riguardo, è stato riscontrato che, con l’aumentaredell’incidenza del traffico veicolare si ha un incrementodel contenuto percentuale di piombo nella F rid, conun massimo (55.2%, in media) che caratterizza i suolidell’area urbana. Un trend analogo si osserva anche108


Caratterizzazione geochimica dei suoli dell’area urbana di Siena ed utilizzo dei lombrichi come bioindicatoriFigura 3: Frazionamento del piombo nei suoli dell’area di studio.Figura 4: Frazionamento dell’antimonio nei suoli dell’area di studio.per il piombo della frazione ossidabile, i cui contenutipercentuali variano da 4.9% (suoli extra-urbani) a 7.7%(suoli urbani). Al contrario, all’aumentare dell’influenzadella circolazione stradale diminuisce la presenzapercentuale di piombo nella frazione residuale, prevalentenei suoli raccolti nelle aree verdi ed in quelle extra-urbane,rispettivamente pari a 56.2% e 50.6% delcontenuto totale. Rimane essenzialmente immutatal’aliquota di piombo associata alla frazione estraibile.Quanto sopra esposto indica che gli ossidrossidi diferro e manganese nonché la sostanza organica delsuolo giocano un ruolo importante nell’assorbimentodel piombo di derivazione antropica. Ne consegueche la disponibilità del piombo legato alle frazioniriducibile ed ossidabile è per lo più regolata dallecondizioni redox del suolo, che sono determinantiper la stabilità di queste fasi redox-sensitive portatricidell’elemento.Nei suoli studiati circa il 43%, in media, del piombo totaleè da considerarsi poco mobile in quanto associatoalla frazione residuale. Infine, si sottolinea che l’aliquotadi piombo associata alla frazione estraibile (circalo 0.5% del totale), rappresenta la componente dimaggiore rilevanza ambientale, in quanto si tratta dellafrazione più mobile e biodisponibile per l’assorbimentoda parte degli organismi che vivono nel suolo.Nei campioni di suolo l’antimonio è essenzialmentelegato alla frazione residuale, con un contenuto percentualemedio di 94.6% (figura 4). L’aliquota restantedi antimonio è pressoché equamente suddivisa trale rimanenti frazioni analizzate: F est= 2.5%, F rid=1.9%, F oss= 1.1%.109


Pertanto i dati analitici ottenuti indicano che l’antimonioè un elemento da considerarsi poco mobilenei suoli in studio, anche se vanno tenute in debitaconsiderazione le concentrazioni nella frazioneestraibile.Come mostrato in Figura 4, non si denotano sostanzialidifferenze nel frazionamento chimico dell’antimonionei suoli distinti per area di provenienza. L’unicalieve diversità sta nel fatto che nei suoli prelevatinelle aree maggiormente trafficate diminuisce, di poco,l’aliquota media dell’antimonio legato alla frazioneriducibile (≈ 2.4% vs ≈ 1.7%), mentre aumenta quellaassociata alla frazione ossidabile (≈ 0.7% vs ≈ 1.2%).Contenuti nei lombrichiI dati analitici relativi ai campioni di lombrico prelevatinell’area di studio hanno evidenziato che le concentrazionidegli elementi analizzati delineano, nelcomplesso, un modello di distribuzione conforme aquello descritto per i contenuti totali nel suolo.Come illustrato in Figura 5, i contenuti di piombo edantimonio (elementi del Gruppo 1), aumentano neilombrichi con l’incremento del traffico veicolare. Infatti,i lombrichi prelevati nei siti extra-urbani hanno ipiù bassi tenori di questi 2 elementi (in media, Pb =0.47 mg/kg e Sb = 0.10 mg/kg). In linea con quantodetto, significativamente più elevata è la presenza dipiombo ed antimonio nelle aree trafficate, soprattuttoin quelle urbane, dove si raggiungono i picchi diconcentrazione (Pb = 3.03 mg/kg e Sb = 0.32mg/kg).Tuttavia va segnalato che i livelli di piombo nei lombrichidell’area di Siena sono nettamente inferiori aquelli trovati in esemplari della stessa specie in altricontesti urbani (130 mg/kg in media) [19].Per quanto riguarda gli elementi del Gruppo 2, in generalesi osserva un leggero incremento della loropresenza nei lombrichi raccolti nelle aree urbane eperi-urbane. A titolo di esempio, le concentrazioni dirame aumentano, in media, da 10.1 mg/kg nei siti extra-urbaninon trafficati a circa 16 mg/kg nei sitimaggiormente interessati dalla circolazione su strada(figura 5).Le concentrazioni degli elementi del Gruppo 3, neilombrichi raggruppati per area di provenienza, nonmostrano significative variazioni. Nel caso del cobal-Figura 5: Concentrazioni medie di Pb, Sb, Cu e Co nei lombrichi di Siena.110


Caratterizzazione geochimica dei suoli dell’area urbana di Siena ed utilizzo dei lombrichi come bioindicatorito, a testimonianza del fatto che per questo elementol’input derivante dal traffico veicolare è trascurabile,si riscontra un decremento dei contenuti dell’elementopassando dai siti extra-urbani (6.1 mg/kg) aquelli urbani e peri-urbani (3-4 mg/kg; figura 5).Il confronto tra le concentrazioni totali nel suolo e neilombrichi ha evidenziato un differente grado di accumulodegli elementi chimici analizzati. In particolarenei lombrichi Pb, Sb, Mn, Fe, Cr, Ni ed U hanno concentrazioniinferiori da 1 a 2 ordini di grandezza rispettoal contenuto totale dell’elemento nel suolocorrispondente. Co e Cu hanno mostrato abbondanzeanaloghe. Zn e Cd sono elementi in traccia chevengono bioconcentrati: infatti i loro contenuti neilombrichi superano di un ordine di grandezza quellidel suolo. Questo comportamento trova confermanei dati di letteratura [20].ConclusioniL’insieme dei dati analitici prodotti in questo lavoro,sui campioni di suolo e lombrico prelevati nell’areadi Siena s.l., consente di trarre le seguenti considerazioni.1) Gli elementi chimici maggiormente influenzatidal traffico veicolare risultano piombo ed antimonio,che sono significativamente arricchiti nei suoli urbanie peri-urbani (FA>4). Un minore incremento delleconcentrazioni rispetto al background geochimico localeè stato riscontrato nei siti interessati dalla circolazionestradale per cadmio, manganese, rame e zinco(FA compreso tra 1 e 2). Per gli altri elementi analizzatinon è stata rilevata nessuna variazione significativadei loro livelli nei suoli, da cui si evince che laloro presenza in questa matrice è essenzialmente imputabilea fattori e processi naturali.2) Per quanto riguarda il frazionamento chimico delpiombo, i dati analitici indicano che gli ossidrossididi ferro e manganese ed, in minor misura, la sostanzaorganica giocano un ruolo importante nella ripartizionedi questo elemento nel suolo. In particolare,l’aumento delle quantità di piombo legate alle frazioniriducibile ed ossidabile dei suoli in aree trafficatefa ritenere che un’aliquota del piombo di derivazioneantropica sia assorbita dai suddetti colloidi delsuolo.3) L’antimonio è per lo più associato alla frazione residualedel suolo, e non sono state osservate sostanzialidifferenze nel frazionamento chimico di questoelemento nei suoli raggruppati per area di provenienza.Tuttavia la presenza di antimonio nella frazioneestraibile, quella più biodisponibile, è significativae le quantità assolute ad essa associate aumentano alcrescere dell’intensità del traffico.4) Negli esemplari di lombrico prelevati nell’area distudio le concentrazioni degli elementi chimici analizzatidelineano un modello di distribuzione analogoa quello descritto per i contenuti totali nel suolo.5) Zinco e cadmio sono gli unici elementi in tracciabioconcentrati dai lombrichi, difatti i contenuti nei lorotessuti superano di un ordine di grandezza quellidel suolo.Bibliografia[1] E. Swietlicki, S. Puri, H.C. Hansson, H. Edner,Atmos. Environ. 1996, 30: 279.[2] Y.F. Wang, K.L. Huang, C.T. Li, H.H. Mi, J.H.Luo, P.J. Tsai, Atmos. Environ. 2003, 37: 4637.[3] G. Weckwerth, Atmos. Environ. 2001, 35:5525.[4] E. Manoli, D. Voutsa, C. Samara, Atmos. Environ.2002, 36: 949.[5] A. Heikens, W.J.G.M. Peijnenburg, A.J. Hendriks,Environ. Poll. 2001, 113: 385.[6] D. Kennette, W. Hendershot, A. Tomlin, S.Sauvé, App. Soil Ecol. 2002, 19: 191.[7] J.E. Morgan, A. J. Morgan, App. Soil Ecol.1999, 13: 9.[8] R. Lanno, J. Wells, J. Conder, K. Bradham, N.Basta, Ecotox. Environ. Saf. 2004, 57: 39.[9] Centro Studi ACI, Consistenza parco veicolaredell’interland senese. Automobile Club d’Italia:2004.[10] A. Costantini, F.A. Decandia, A. Lazzarotto,D. Liotta, R. Mazzei, V. Pascucci, G. Salvatorini,F. Sandrelli, Note illustrative della carta geologicad’Italia alla scala 1:50000, Foglio 296 Siena - ServizioGeologico d’Italia. Università di Siena, Siena:in press.[11] C. Gleyzes, S. Tellier, M. Astruc, Trend.Anal. Chem. 2002, 21: 451.[12] A. Sahuquillo, J.F. Lopez-Sanchez, R. Rubio,G. Rauret, R.P. Thomas, C.M. Davidson,A.M. Ure, Anal. Chim. Acta. 1999, 38: 317.[13] G.P. Acquaviva, Lineamenti podologici e geochimicidei suoli agricoli della provincia di Siena.Università di Siena, Siena: 2007.[14] Schema Metropolitano dell’Area Senese. Comunedi Siena, Siena: 2005.111


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15 / Sez. ScientificaDistribuzione, mobilità e biodisponibilitàdi Co, Cr, Cu, Ni, Sr e Zn nel sistemaroccia-suolo-pianta in Toscana meridionaleSara Rossi*, Giuseppe Protano, Francesco RiccobonoParole chiave: elementi in traccia, sistema roccia-suolo-pianta, frazionamento chimico, estrazionisequenziali, biodisponibilità, Hypericum perforatum L., Toscana MeridionaleIl presente lavoro si propone di studiare il comportamento geochimico di sei elementi in traccia di interesseambientale quali: Co, Cr, Cu, Ni, Sr, Zn, in sistemi roccia-suolo-pianta tipici della Toscana meridionale.Nel dettaglio, lo studio è stato realizzato in 27 stazioni ubicate in zone di affioramento di alcunedelle principali litologie presenti nell’area di studio: rocce magmatiche acide (rioliti, daciti e monzograniti),intermedie (trachiti e trachidaciti) ed ultrabasiche (serpentiniti e peridotiti serpentinizzate), roccecarbonatiche (calcare cavernoso e travertino) e sedimenti argilloso-siltosi della formazione delle Argilleazzurre plioceniche. In ogni stazione sono stati prelevati campioni del suolo superficiale e dellaroccia madre, nonché esemplari appartenenti alla specie vegetale spontanea Hypericum perforatum L.Gli scopi principali della ricerca sono stati: i) delineare il comportamento geochimico dei suddetti elementiin traccia nella pedogenesi; ii) ricostruire, attraverso il frazionamento chimico, la speciazione diCo, Cr, Cu, Ni, Sr, Zn nel suolo; iii) stabilire il grado di assorbimento e la traslocazione degli elementi intraccia da parte dell’H. perforatum.Gli elementi in traccia analizzati mostrano una notevole variabilità dei contenuti totali sia nei suoli che,soprattutto, nelle rocce, in cui i più ampi intervalli di distribuzione, da 2 a 3 ordini di grandezza, sonostati riscontrati per cobalto (0.8-140 mg/kg), cromo (1.3-4093 mg/kg), nickel (1-2280 mg/kg) e stronzio(0.5-1397 mg/kg).Nei suoli formatisi da litologie di natura carbonatica sono stati rilevati gli arricchimenti maggiori di Co,Cr, Cu, Ni e Zn rispetto alle abbondanze nella parent rock. Unica eccezione riguarda lo stronzio che tendead impoverirsi. Negli altri tipi di suolo in studio i contenuti degli elementi in traccia sono molto similia quelli presenti nella roccia madre con fattori di arricchimento medi tra 0.8 e 2.Il frazionamento chimico nel suolo ha evidenziato che Cr, Cu, Ni, Zn sono prevalentemente presenti nellafrazione residuale. Importanti aliquote di Co sono associate alla frazione riducibile, mentre lo Sr è risultatol’elemento più mobile con apprezzabili contenuti nella frazione estraibile.L’abbondanza degli elementi in traccia nell’apparato radicale dell’H. perforatum è influenzata principalmentedalla natura del suolo e la traslocazione degli stessi verso le parti aeree coinvolge soprattuttole specie chimiche essenziali quali rame e zinco.113


IntroduzioneLa distribuzione ed il comportamento degli elementichimici nell’ambiente di superficie sonoprincipalmente regolati dall’insieme di reazionie processi geochimici che intervengono nel sistemaroccia-suolo-pianta. In questo sistema, il suolo rivesteun ruolo chiave in quanto si trova al centro degliscambi tra le varie sfere geochimiche (litosfera, idrosfera,atmosfera e biosfera).Un aspetto di grande rilievo rispetto alla mobilità deglielementi chimici ed il loro potenziale trasferimentoalla biosfera è rappresentato dal frazionamentochimico nel suolo, ovvero dalla ripartizione degli elementiin questione nelle principali fasi e/o frazioni diquesta fondamentale matrice ambientale.Ad oggi, numerose ricerche sono state rivolte alladefinizione del comportamento geochimico deglielementi chimici nella pedogenesi [1] [2], come anchealle modalità del loro trasferimento dal suolo allabiosfera [3] [4] [5]. Viceversa, sono molto scarse lericerche geochimiche riferite allo studio del sistemaroccia-suolo-pianta visto nel suo insieme [6].L’ottica in cui si pone il presente lavoro è quella diuno studio della geochimica di sei elementi in traccia(Co, Cr, Cu, Ni, Sr, Zn) nel sistema roccia-suolo-piantain contesti geopedologici tipici della Toscana meridionale.Questo studio è stato incentrato su alcunedelle principali litologie affioranti in Toscana Meridionale,i suoli su di esse formatisi ed una specie vegetalespontanea e cosmopolita quale l’Hypericumperforatum L. La ricerca si prefigge vari scopi checonsistono in: i) determinazione dei contenuti totalidei sopraelencati elementi in traccia nei suoli e nellerocce madri; ii) definizione del loro comportamentogeochimico nella pedogenesi; iii) ricostruzione, tramiteil frazionamento chimico, della speciazione diCo, Cr, Cu, Ni, Sr, Zn nel suolo; iv) determinazionedel grado di assorbimento degli elementi in tracciada parte dell’apparato radicale dell’H. perforatumnonché della loro traslocazione alle parti aeree.Materiali e metodiLo studio ha riguardato 3 matrici ambientali: roccia,suolo e specie vegetali, campionate in 27 siti distribuitisul territorio della Toscana Meridionale (Fig.1). Le stazioni di campionamento sono state ubicatenelle zone di affioramento di alcune delle litologiepiù comuni tra quelle presenti nella regione. In particolare,in 9 stazioni la geologia tuito da rocce carbonatiche(calcare cavernoso e travertini in 5 siti perciascuno), in 8 siti dai sedimenti argilloso-siltosi dellaformazione delle Argille azzurre (di seguito definitaFAA).Tutti i siti di prelievo ricadono in zone in cui è minimol’impatto antropico e non sono segnalate mineralizzazionio anomalie geochimiche di rilievo.In ogni stazione sono stati prelevati lungo il profilocampioni del suolo superficiale autoctono (primi 20cm) e della roccia madre. Ogni campione di roccia edi suolo è composito costituito da 3 sub-campioniraccolti entro un raggio di 10 m. Sono stati altresì raccoltiin ogni stazione da 3 a 5 esemplari della specievegetale spontanea Hypericum perforatum L., cresciutisul suolo campionato.La preparazione dei campioni di roccia per l’analisichimica è consistita in una triturazione e polverizzazionemeccanica al fine di rendere omogenea e rappresentativaun’aliquota di circa 100 g.I campioni di suolo sono stati asciugati in stufa allatemperatura di +40°C. Quindi, sono stati setacciati alvaglio di 2 mm ed il passante è stato quartato. Un’aliquotadi circa 100 g è stata polverizzata.Circa 4 g di polvere dei campioni di roccia e di suolosono stati utilizzati per la preparazione di pasticcheper l’analisi in spettrometria di fluorescenza a raggi X.Per i suoli sono stati determinati: il pH [7], la percentualedi carbonato di calcio mediante il calcimetro DeAstis, la capacità di scambio cationico (CSC) con ilmetodo proposto da Hendershot e Douquette [8], lapercentuale di carbonio organico con la metodologiaWalkley-Black [9].Per determinare i contenuti degli elementi in tracciaassociati alle principali frazioni del suolo, è stata utilizzatala tecnica dell’estrazione chimica che consistenell’utilizzo di un reagente o di una serie di reagentiin grado di portare in soluzione, in manieragli autoriDipartimento di Scienze Ambientali«G. Sarfatti», Unità di Ricercadi Geochimica Ambientale,Università degli Studi di Siena,Via del Laterino 8, 53100 Siena, Italia.*autore per corrispondenzarossi174@unisi.it114


Distribuzione, mobilità e biodisponibilità di Co, Cr, Cu, Ni, Sr e Zn nel sistema roccia-suolo-pianta in Toscana meridionaleFigura 1: Ubicazione dei siti di campionamento.specifica e selettiva,determinate fasi e/ofrazioni del suolo. Unaestrazione sequenzialeconsiste in una seriedi estrazioni chimicheselettive effettuatein successione suuno stesso campione.Tra le numerose tecnichedi estrazione sequenzialeriportate inletteratura [10] [11][12], è stata scelta inquesto studio la proceduradefinita dalBCR-Community Bureauof Reference [13],di cui è, tra l’altro, disponibileuno standardanalitico di riferimento(BCR701-sediment).Nel dettaglio,ogni campione di suolopolverizzato è statosottoposto a 4 stadiconsecutivi di estrazionedelle seguentifrazioni: 1) estraibile(solubile in acqua +scambiabile + acidosolubile);2) riducibile(legata principalmenteagli ossidrossidi diferro e manganese);3) ossidabile (associataprincipalmente allasostanza organica); 4)residuale. In Tabella 1sono riassunte le piùimportanti caratteristichedei 4 stadi dellaprocedura di estrazionesequenziale adottata.I campioni vegetali della specie H. perforatum sonostati puliti attraverso fasi successive di lavaggio: dapprimain acqua, poi in bagno ad ultrasuoni ed in soluzionedi acido cloridrico al 3%. A seguire si è procedutoall’essiccatura a +40°C fino a peso costante edogni esemplare di H. perforatum è stato suddiviso inradici e parti aeree. I campioni così ottenuti sono statipolverizzati ed un’aliquota di circa 500 mg è statasolubilizzata impiegando una miscela costituita da 3ml di HNO 3e 0.5 ml di H 2O 2.I contenuti totali di Co, Cr, Cu, Ni, Sr, Zn nei campionidi roccia e suolo sono stati determinati sulle pasticchedi polvere in spettrometria di fluorescenza araggi X (XRFS), utilizzando uno spettrometro Magi’Xdella Philiphs.115


Tabella 1: Schema della procedura di estrazione sequenziale adottata.Le concentrazioni degli elementi in traccia nelle 4 frazionidi suolo, ottenute con la procedura di estrazionesequenziale, e nei campioni di radici e parti aeree diH. perforatum sono state determinate in spettrometriadi emissione ottica con sorgente al plasma ad accoppiamentoinduttivo (ICP-OES), avvalendosi dellospettrometro Optima 2000 DV della Perkin Elmer.RisultatiDi seguito sono illustrati per ciascuno degli elementiin traccia analizzati le concentrazioni totali nei campionidi roccia e suolo, il comportamento geochimiconella pedogenesi, in termini di arricchimento edimpoverimento nel suolo rispetto alla roccia madre,il frazionamento chimico nel suolo, l’assorbimentoda parte di H. perforatum e la traslocazione in questaspecie vegetale.Contenuti totali nelle rocceTra i tipi di rocce analizzati il nickel raggiunge i contenutipiù elevati nelle litologie ultrabasiche con unlivello medio di 2214 mg/kg, mentre le più basseconcentrazioni (


Distribuzione, mobilità e biodisponibilità di Co, Cr, Cu, Ni, Sr e Zn nel sistema roccia-suolo-pianta in Toscana meridionaleNelle rocce magmatiche si registra usualmente untrend verso l’impoverimento dei due elementi procedendodai termini basici a quelli sialici.In accordo con il comportamento geochimico dellostronzio, il quale è un vicariante del calcio, il picco diconcentrazione di questo elemento in traccia è statoriscontrato nei travertini (555 mg/kg, in media) ed aseguire nei sedimenti della FAAenico di una originariasuccessione evaporitica costituita da dolomite eanidride.Riguardo alle litologie magmatiche, i contenuti maggiorisono stati dosati nelle magmatiti intermedie (finoa 725 mg/kg), mentre notevolmente inferiore è risultatoil livello medio dell’elemento in traccia nellemagmatiti acide (81 mg/kg) e soprattutto in quelleultrabasiche (


Figura 2: Fattori di arricchimento medi di Co, Cr, Cu, Ni, Sr, Zn nei suoli in studio.più elevati, intorno al 90%, sono stati ritrovati nei suoliformatisi da magmatiti acide ed intermedie, mentrequelli più bassi si hanno nei suoli sviluppatisi sullemagmatiti ultrabasiche e sui sedimenti della FAA.Nelle altre frazioni del suolo considerate nel presentelavoro, i contenuti sono distribuiti nell’ordine: frazioneriducibile (F rid) > frazione ossidabile (F ox) >frazione estraibile (F estr). La maggiore aliquota percentualedi nickel nella frazione riducibile (22%, inmedia) è presente nei suoli da magmatiti ultrabasichee a seguire da quelli formatisi sui sedimenti dellaFAA riddelle altre tipologie di suolo. Il trend di variazioneillustrato segue la distribuzione quantitativadegli ossidrossidi di ferro e manganese nei suoli in118


Distribuzione, mobilità e biodisponibilità di Co, Cr, Cu, Ni, Sr e Zn nel sistema roccia-suolo-pianta in Toscana meridionalestudio. Ciò è in modo particolare reso chiaro dallacorrelazione positiva che lega i contenuti di nickel emanganese nella F rid.Nei suoli in studio i contenuti di nickel nella F oxsonorisultati, in genere, molto simili a quelli determinatinella F rid, espressione di una distribuzione pressochéparitetica di questo elemento tra gli ossidrossididi Fe-Mn e la sostanza organica del suolo.Nella frazione estraibile la presenza di nickel variatra 0.9 e 5.5%, con i contenuti più elevati nei suoli damagmatiti ultrabasiche.Il cromo ha un comportamento molto omogeneo intutti i suoli studiati ed è ripartito principalmente nellafrazione residuale (F res) con percentuali, rispetto altotale, sempre superiori al 90%. L’aliquota di cromorimanente è distribuita nelle altre frazioni del suolocon: F ox> F rid> F estr.I contenuti medi di cromo oscillano tra 4.8% e 7% nellafrazione ossidabile, e tra 1.1 e 3.3 % nella frazioneriducibile. La frazione estraibile è quella più poverain cromo con percentuali che vanno da 0.043 a 0.13%.Il cobalto mostra una forte affinità per la frazione riducibiledei suoli in studio, in accordo con quanto rilevatoin altre ricerche [16]. Ciò è maggiormente evidentenei suoli da magmatiti ultrabasiche e da travertiniin cui il contenuto medio percentuale dell’elementoè intorno al 60%. Quantità di cobalto variabili, maconfrontabili tra loro a livello di singolo campione disuolo, sono state determinate nella frazione estraibile(4.3-13.8%) ed in quella ossidabile (2.3-14.4%). I valorimedi più elevati per queste frazioni sono di pertinenzadei suoli formatisi dai sedimenti della FAA.I dati analitici indicano che il rame è prevalentementeassociato alla frazione residuale, con contenutimedi che vanno da 53.6% (suoli da sedimenti dellaFAA) a 83.8% (suoli su rocce carbonatiche). Nella frazioneriducibile ed in quella ossidabile il rame è presentein quantità percentuali tra loro confrontabili etalora piuttosto elevate (F rid=4.6-33.1%; F ox=7.9-28.1%), in linea con l’affinità dell’elemento per questedue frazioni del suolo [17].Per quanto concerne la frazione riducibile, è da segnalareche i più elevati contenuti percentuali di ramecaratterizzano i suoli legati ai sedimenti dellaFAA e che le concentrazioni di questo elemento intraccia aumentano all’aumentare del ferro riducibile.Una aliquota importante di rame è associata alla F oxdei suoli da magmatiti acide ed intermedie (rispettivamente28.1 e 16.1%). In questi suoli è stata rilevatauna significativa correlazione tra i contenuti dell’elementoe quelli della sostanza organica. La frazioneestraibile è quella più povera in rame, con abbondanzepercentuali che vanno da 0.2 al 2.5%.La partizione dello zinco nel suolo individua una generaleaffinità dell’elemento per la frazione residuale,con abbondanze comprese tra il 65.3 e 93%. Un ruoloimportante in riferimento alla mobilità dello zinco èrivestito dagli ossidrossidi di ferro e manganese edalla sostanza organica. Ciò è vero soprattutto per isuoli derivati dai sedimenti della FAA, in cui le concentrazionidi zinco della F ride della F oxsono rispettivamentepari al 17.5% e 15.7% del contenuto totale. Leconcentrazioni più basse di zinco sono state misuratenella frazione estraibile, in genere inferiori a 1.5%.Lo stronzio ha mostrato un frazionamento eterogeneonei suoli in studio espressione di una partizionevariabile nella frazione residuale ed in quella estraibile.Infatti, in percentuale lo stronzio è presente nellaF resin un ampio intervallo di valori compreso tra11.3% (suoli da sedimenti della FAA) a 98.6% (magmatitiintermedie). Speculare è la ripartizione dellostronzio nella F estr, la quale è guidata principalmentedal contenuto di carbonato di calcio (calcite) nel suolo.Esiste, peraltro, una chiara correlazione positivatra i contenuti di stronzio nella F estre le percentualidi CaCO 3dei suoli. Nelle altre frazioni studiate, laF ridha costantemente contenuti di stronzio più elevatidi quelli della F ox. I suoli dai sedimenti della FAA edalle magmatiti ultrabasiche presentano le percentualimaggiori di stronzio sia nella F rid(15.3% e 21.6%rispettivamente) che nella F ox(5.2% e 3.3%).Assorbimento e traslocazione nell’H. perforatumI dati analitici rimarcano una chiara influenza dellanatura del suolo sulla abbondanza degli elementi intraccia studiati nell’apparato radicale degli esemplaridi H. perforatum.Le concentrazioni più elevate di stronzio nelle radici(13.69 mg/kg, in media) appartengono ai campionivegetali cresciuti su suoli con substrato calcareo. Cobalto,cromo e nickel raggiungono il picco dei contenutinelle parti subaeree degli esemplari raccolti susuoli derivati da magmatiti ultrabasiche (1.83, 11.88,30.73 mg/kg rispettivamente). Rame e zinco hanno,invece, tenori piuttosto uniformi nelle radici di H.perforatum (Cu da 3.37 a 13.43 mg/kg; Zn da 9.65 a31.72 mg/kg). Questo aspetto è, presumibilmente, damettere in relazione con il particolare ruolo che i 2 elementichimici rivestono nella fisiologia dei vegetali.In merito alle relazioni che intercorrono tra le concen-119


Figura 3: Frazionamento chimico medio di Co, Cr, Cu, Ni, Sr, Zn nei suoli in studio.120


Distribuzione, mobilità e biodisponibilità di Co, Cr, Cu, Ni, Sr e Zn nel sistema roccia-suolo-pianta in Toscana meridionaletrazioni degli elementi in traccia nella frazione estraibiledel suolo e quelle nelle radici di H. perforatum, soloper nickel e stronzio si ha una correlazione positivache sembra avere qualche influenza sul loro assorbimentoradicale. Per gli altri elementi chimici non sonoindividuabili dei trend significativi. È ipotizzabile chenelle radici vi sia un accumulo di questi elementi ingrado di mascherare le effettive relazioni presenti trala frazione biodisponibile del suolo e l’uptake radicale.Il rapporto dei contenuti di Co, Cr, Cu, Ni, Sr, Zn nelleparti aeree e nell’apparato radicale, definito fattoredi traslocazione (FT), fa emergere che lo zinco è l’elementomaggiormente traslocato verso le parti aeree(FT=1.7, in media), seguito dal rame con un fattoredi traslocazione medio di 1.4. Il comportamento diCu e Zn è conseguenza del ruolo chiave che entrambigli elementi rivestono in molteplici processi enzimaticiall’interno della cellula vegetale.Anche lo stronzio è traslocato in modo apprezzabile(FT=1.2), probabilmente per la sua somiglianza geochimicacon il calcio. Cobalto e nickel hanno, invece,contenuti nelle parti aeree più bassi di quelli nelle radici(FT rispettivamente di 0.82 e 0.74). Il cromo ècertamente l’elemento meno mobilizzato dall’H.perforatum come sta a dimostrare un fattore di traslocazionemedio pari a 0.34.ConclusioniA conclusione dell’illustrazione dei dati analitici ottenutiin questo lavoro possono essere fatte le seguenticonsiderazioni.1) Gli elementi in traccia analizzati mostrano una notevolevariabilità dei contenuti totali sia nei suoli che,soprattutto, nelle rocce. I più ampi intervalli di distribuzionedei tenori appartengono a cobalto, cromo,nickel e stronzio (da 2 a 3 ordini di grandezza), qualeconseguenza dei picchi di concentrazione nelle magmatitiultrabasiche e nelle rocce carbonatiche.2) I gain/loss degli elementi in traccia nel suolo rispettoalla roccia madre, sottolineano che gli arricchimentipiù marcati contraddistinguono i suoli consubstrato carbonatico dove si hanno valori di FA costantementesuperiori a 6 con punte fino a 83 per ilcromo. Fa eccezione lo stronzio che in questi suoli risultaimpoverito. Negli altri tipi di suolo in studio icontenuti degli elementi in traccia sono molto similia quelli presenti nella parent rock con fattori di arricchimentomedi che insistono tra 0.8 e 2.3) Gli elementi in traccia studiati hanno evidenziato 3differenti pattern di ripartizione nel suolo:i) elementi prevalentemente associati alla frazioneresiduale: Cr, Cu, Ni, Zn,ii) elementi caratterizzati da una importante aliquota,talora dominante, associata alla frazione riducibile:Co,iii) elementi caratterizzati da una importante aliquota,talora dominante, associata alla frazione estraibile: Sr.4) L’abbondanza degli elementi in traccia nell’apparatoradicale dell’H. perforatum è chiaramente influenzatadalla natura del suolo.5) Rame e zinco sono gli elementi maggiormente traslocatinelle parti aeree di questa specie vegetale,mentre il cromo è quello meno mobilizzato.Bibliografia[1] T. Sterckeman, F. Douay, D. Baize, H. Fourrier,N. Proix, C. Schvartz, Appl. Geochem. 2004,19: 89.[2] J.S. Munroe, G. Farrugia, P.C. Ryan, Catena2007, 70: 39.[3] S. Dudka, M. Piotrowska, A. Chlopecka, WaterAir Soil Pollut. 1994, 76: 333.[4] A. Kabata-Pendias,Geoderma, 2004, 122: 143.[5] I. Cattani, G. Fragoulis, R.Boccelli, E. Capri,Chemosphere 2006, 64: 1972.[6] J.S. Lee, H.T. Chon, J.S. Kim, K.W. Kim, J.Geochem. Expl. 1998, 65: 61.[7] EPA (2002). Soil and waste pH. Method 9045-D.[8] W.H. Hendershot, M. Duquette, Soil Sci. Soc.Am. J. 1986, 50: 605.[9] A. Walkley, I.A. Black, Soil Sci. 1934, 37: 29.[10] A. Tessier, P.G.C. Campbell., M. Bisson,Anal. Chem. 1979, 51: 84.[11] A.M. Ure, The Sci. of the Tot. Env. 1996,178: 3.[12] C. Gleyzes, S. Tellier, M Astruc, TrAC 2002,21: 451.[13] P. Quevauviller, G. Rauret, B. Griepink, Int.J. Env. Anal. Chem. 1993, 51: 231.[14] J.E. Mielke. Composition of the Earth’s crustend distribution of the elements. In: F.R. Siegel(ed.), Review of research of modern problems ingeochemistry, Paris: 1979.[15] C. Reimann, P. de Caritat. Chemical Elementsin the Environment. Springer-Verlag, Berlin:1998.[16] W. De Vos, T. Tarvainen. Geochemical Atlasof Europe. Part 2. Geological Survey of Finland,Espoo: 2006.121


16 / Sez. ScientificaContenuti e distribuzione del tallio in suoli e piantespontanee della Toscana meridionaleAnastasia Pisani* 1 , Giuseppe Protano 1 , Francesco Riccobono 1Parole chiave: tallio, suolo, piante spontanee, aree minerarie, Toscana meridionaleIl tallio è un elemento chimico di notevole rilevanza ambientale in quanto è una specie molto tossica, contossicità paragonabile a quella di elementi pesanti quali cadmio, mercurio e piombo. Tuttavia, ad oggi,sono pochi i dati disponibili sul comportamento geochimico del tallio nell’ambiente di superficie ed inparticolare sul trasferimento di questo elemento alla biosfera.In considerazione di quanto detto, è stata avviata una ricerca finalizzata alla definizione del comportamentogeochimico del tallio nel sistema suolo-pianta. Il presente lavoro riporta alcuni risultati preliminaririguardanti i livelli di tallio dosati in campioni di suolo e di specie vegetali spontanee raccolti inaree della Toscana meridionale interessate da un impatto antropico differenziato. Un gruppo di campioni(Gruppo 1) proviene da zone non soggette a rilevante pressione antropica, in cui affiorano le piùcomuni e/o rappresentative litologie presenti nell’area di studio. Campioni di suolo e piante (Gruppo 2)sono stati prelevati anche nel distretto minerario delle Colline Metallifere e nel sito antimonifero delTafone.L’insieme dei dati analitici prodotti mette in evidenza una notevole variabilità delle concentrazioni ditallio nel suolo e soprattutto nelle specie vegetali erbacee ed arbustive considerate.L’abbondanza e la distribuzione del tallio nei suoli studiati appaiono strettamente legate alla natura litologicadel substrato. Nei suoli da litologie magmatiche ultrabasiche e sedimentarie del Gruppo 1 leconcentrazioni di tallio sono usualmente inferiori a 1 mg/kg. Contenuti più elevati caratterizzano i suoliformatisi da magmatiti acide ed intermedie (1.80-5.71 mg/kg), da sedimenti alluvionali in zone minerarie(0.69-6.11 mg/kg) e da materiali di discarica mineraria (2.12-3.62 mg/kg).Le specie vegetali studiate hanno tenori di tallio nelle radici che, nel complesso, appaiono correlate alcontenuto totale dell’elemento nel suolo.Un importante fenomeno di accumulo di tallio è stato riscontrato negli esemplari delle specie Silene vulgarisL., Plantago lanceolata L. e Dorycnium hirsutum L.(Ser), cresciuti su suoli formatisi dai materialidella discarica mineraria del Tafone. Nelle radici di questi esemplari sono state misurate concentrazionidi tallio tra 185 e 655 mg/kg, valori più elevati di 2 ordini di grandezza del contenuto totale dell’elementonel suolo. Per queste stesse specie è stata riscontrata una traslocazione piuttosto efficiente dell’elementoverso le parti aeree.I dati analitici hanno indicato anche per la specie Mentha aquatica L. una capacità di concentrare tallionelle radici (63 mg/kg, in media) e di traslocarlo nelle foglie (6 mg/kg).122


Contenuti e distribuzione del tallio in suoli e piante spontanee della Toscana meridionaleIntroduzioneIl tallio è un elemento del gruppo XIII della TavolaPeriodica e ha proprietà sia calcofile che litofile. Èpresente in natura in due stati di ossidazione Tl + eTl 3+ . La specie monovalente è quella dominante nellecondizioni di Eh e pH presenti nella maggior partedegli ambienti naturali [1].Il tallio ha una spiccata affinità geochimica con glielementi alcalini e sostituisce quelli di raggio ionicocomparabile nei siti reticolari di vari minerali quali:plagioclasi, k-feldspato e minerali argillosi [2].La concentrazione media di tallio nella crosta continentaleè pari a 0.52 mg/kg [3], mentre in quellaoceanica è di 0.013 mg/kg [4]. I contenuti nelle roccemagmatiche aumentano progressivamente daitermini ultrabasici (0.07-0.30 mg/kg) a quelli acidi,con i valori più elevati registrati nei graniti (0.6-3.5mg/kg; [5]). Nelle rocce sedimentarie i tenori di talliosono in genere tra 0.1 e 2 mg/kg, con un picconelle litologie arenacee (1-3 mg/kg). Le concentrazionipiù basse dell’elemento si hanno nelle roccecarbonatiche (0.01-0.14 mg/kg; [6]). Nel suolo l’abbondanzamedia dell’elemento è stimata 0.5 mg/kg[7].Il tallio può essere trasferito, con relativa facilità, dalsuolo alla biosfera, principalmente per la «somiglianza»tra le specie Tl + e K + , con evidenti possibiliripercussioni sugli organismi vegetali ed animali edanche pericolo per la salute umana [8]. È stato osservatoche il grado di assorbimento del tallio daparte delle piante è, in genere, rapportabile alle concentrazionidell’elemento nel suolo [9], secondo unprocesso che è altamente specie-specifico. Alcuniautori hanno dimostrato che il tallio tende ad accumularsiin piante ricche in zolfo come quelle appartenentialla famiglia delle Brassicaceae [8, 10, 11, 12,13, 14].Il tallio può avere vari effetti sul metabolismo dellepiante. Tra questi sono annoverati la riduzione dellecapacità fotosintetiche e di traspirazione nonché l’inibizionedella germinazione.Questa ricerca, anche in considerazione dei non moltidati disponibili per questo elemento in traccia, intendeportare un contributo alla conoscenza delcomportamento geochimico del tallio nel sistemasuolo-pianta attraverso lo studio dei livelli di concentrazionein suoli e specie vegetali spontanee della Toscanameridionale.Materiali e metodiL’abbondanza e la distribuzione del tallio nel sistemasuolo-pianta sono stati studiati in campioni di suolo edi specie vegetali spontanee raccolti in aree della Toscanameridionale interessate da un impatto antropicodifferenziato.Un gruppo di campioni di suolo e piante spontanee,di seguito indicato come Gruppo 1, proviene da zonedella Toscana meridionale non soggette a rilevantepressione antropica. Si tratta di zone scarsamenteabitate, dove le attività agricole, industriali e minerariesono assenti o poco rappresentate. I campioni delGruppo 1 sono stati prelevati in 25 siti in cui affioranole più comuni e/o rappresentative litologie presentinell’area di studio: formazione delle Argille azzurreUn secondo gruppo di campioni di suolo e piante(Gruppo 2) proviene dal distretto minerario delleColline Metallifere, interessato fino agli inizi deglianni ’90 da una importante attività mineraria riconducibilealla coltivazione di mineralizzazioni a piritee solfuri misti, quali quelle di Campiano, Fenice Capannee Niccioleta. In questa zona sono stati prelevati16 campioni di suolo formatisi sui sedimenti alluvionali(overbank) dei seguenti corsi d’acqua: FossoZanca, che nasce nell’area mineraria di Niccioleta;Fosso dei Noni, che drena le discariche della minieradi Fenice Capanne; T. Merse, che attraversa il comprensoriominerario Merse-Campiano. Sono stati ancheraccolti 42 esemplari di specie vegetali spontaneecresciute sui suoli di cui sopra.Al Gruppo 2 appartengono anche campioni di suoloe piante provenienti dal sito minerario antimoniferodel Tafone. I campioni di suolo (n=5) e piante (n=57)sono stati raccolti nella discarica mineraria essenzialmentecostituita dagli scarti di coltivazione dellamineralizzazione del Tafone. Questa discarica circondaun invaso (lago del Tafone), che coincide conl’open pit della miniera.gli autori1 Dipartimento di Scienze Ambientali«G. Sarfatti», Unità di Ricercadi Geochimica Ambientale,Università degli Studi di Siena,Via del Laterino 8, 53100 Siena, Italia* autore per corrispondenzapisani6@unisi.it123


Figura 1: Ubicazione dei siti di campionamento.Il campionamento delsuolo ha riguardatol’orizzonte superficialerappresentato daiprimi 20 cm (topsoil).Allo scopo di limitaregli effetti dell’eterogeneitàdi questa matrice,sono stati prelevati,in ogni stazione, 3sub-campioni di suoloin un raggio di 10 m, iquali sono andati a costituireun unico campionecomposito. Insiemeal suolo sonostati raccolti esemplaridelle più comunispecie vegetali spontaneepresenti nel sito.Per ciascuna specievegetale sono statiprelevati, ove possibile,3 esemplari.In laboratorio, i campionidi suolo sono statiasciugati in stufa allatemperatura di +40°C,setacciati a 2 mm,quartati e polverizzati.Una aliquota di circa200 mg della polvereottenuta è stata solubilizzataper digestioneacida aggiungendo: 2ml di HNO 3, 2 ml diHCl, 1 ml di HF e 1 mldi HClO 4.In laboratorio, ogniesemplare delle specievegetali campionate è stato accuratamente ripulitodalle particelle di suolo, attraverso successive fasidi lavaggio: dapprima in acqua, poi in bagno ad ultrasuonie quindi in una soluzione di acido cloridrico al3%. Al termine il campione è stato risciacquato conacqua deionizzata e quindi asciugato in stufa allatemperatura di +40°C fino al raggiungimento di unpeso costante. A seguire, le parti ipogee della piantasono state separate da quelle aeree e ogni componentedel campione è stata polverizzata. Una aliquotadi circa 500 mg della polvere ottenuta è stata solubilizzataper digestione acida mediante aggiunta di 5ml di HNO 3e 2 ml di H 2O 2. Per la solubilizzazionedei campioni di suolo e delle specie vegetali sono statiutilizzati reagenti ultrapuri.I contenuti di tallio nei campioni di suolo e delle specievegetali sono stati determinati in spettrometria dimassa accoppiata la plasma induttivo (ICP-MS) utilizzandolo spettrometro Elan 6100 della Perkin-ElmerSciex. L’accuratezza dei dati è stata determinatautilizzando i seguenti standard analitici di riferimento:SRM 2709 del National Institute of Standard and124


Contenuti e distribuzione del tallio in suoli e piante spontanee della Toscana meridionaleTechnology per i suoli, e GBW07603 (Bush Branchesand Leaves) dell’Institute of Geophysical and GeochemicalExploration, per le specie vegetali.RisultatiSuoliIn Tabella 1 sono riportate le concentrazioni di talliomisurate in suoli formatisi da vari tipi di substrato litologicoed in diversi contesti ambientali della Toscanameridionale.Come in precedenza detto, i suoli in studio sono statisuddivisi in 2 gruppi. Il Gruppo 1 è rappresentato dasuoli sviluppatisi da alcune delle più diffuse litologiemagmatiche e sedimentarie affioranti in Toscanameridionale, e sono stati prelevati in zone con bassoimpatto antropico. Il Gruppo 2 comprende suoli campionatiin aree minerarie e formatisi da sedimenti alluvionalie materiali di discarica.Ad un primo esame dei dati analitici si può osservareche l’abbondanza e la distribuzione del tallio nei suoliin studio sono strettamente legate alla natura delsubstrato litologico.Nei suoli da litologie magmatiche ultrabasiche e sedimentariedel Gruppo 1 le concentrazioni di talliosono usualmente sotto 1 mg/kg. Questi tenori sonoin linea con i livelli dell’elemento nei suoli non contaminati:0.5 mg/kg [7]; 0.66 mg/kg [15]; 0.25-0.71Tabella 1: Contenuti di tallio nei suoli in studio.Gruppo 1Gruppo 2suoli da litologie magmaticheultrabasiche e sedimentariesuoli da litologie magmaticheacide ed intermediesuoli da sedimenti alluvionali(alto bacino del T. Zanca)suoli da sedimenti alluvionali(parte finale del bacino del T. Zanca)suoli da sedimenti alluvionali(Fosso dei Noni)suoli da sedimenti alluvionali(T. Merse)suoli da materiale di discarica(miniera del Tafone)mg/kg [16]. A titolo di esempio, i suoli formatisi daisedimenti della formazione delle Argille azzurre,provenienti per lo più dal Bacino di Siena, hanno contenutidi tallio compresi tra 0.69 e 0.87 mg/kg, conun valore medio di 0.78 mg/kg. Si tratta di concentrazionipiuttosto omogenee che suggeriscono unastima del livello medio di presenza di tallio nell’ambientedi superficie della Toscana meridionale. Ciò,tenuto conto dell’ampio sviluppo areale di questi suolie del fatto che i sedimenti da cui essi derivano rappresentanouna sorta di media geochimica delle rocceaffioranti nella regione durante la sedimentazionepliocenica [17].Come trend generale, i tenori di tallio nei suoli studiatiaumentano al crescere delle concentrazioni deglielementi maggiori, potassio e sodio, e degli elementiin traccia, rubidio e bario. Questo dato è in accordocon la tendenza del tallio a «seguire» geochimicamentegli elementi alcalini, sostituendo in particolareil potassio nei siti reticolari del k-feldspato e diminerali argillosi quali illiti, vermiculiti e smectiti.Nell’ambito del Gruppo 1, sono risultate significativamentepiù elevate le concentrazioni di tallio nei suolila cui parent rock è rappresentata da magmatiti acideed intermedie. Le abbondanze sono distribuite nell’intervallo1.80-5.71 mg/kg, con un livello medio di3.06 mg/kg. I contenuti di tallio nei suoli formatisi daqueste rocce sono da considerarsi naturali e riflettonoil pattern di distribuzione dell’elemento nella parentrock magmatica. Come sottolineato in precedenza,il tallio tende ad arricchirsinelle roccenumerocampionitallio(mg/kg)20


matisi dai sedimenti alluvionali presenti nell’alto bacinodel T. Zanca a circa 2 km dall’area mineraria diNiccioleta. Più a valle, i tenori diminuiscono collocandositra 2.84 e 3.84 mg/kg. I livelli di tallio determinatinel bacino del T. Zanca sono verosimilmenteinfluenzati dall’attività mineraria a Niccioleta comestarebbe ad indicare il trend in diminuzione allontanandosidal sito in questione.I suoli formatisi dai sedimenti alluvionali del Fossodei Noni, che drena l’area mineraria di Fenice Capanne,hanno tenori di tallio piuttosto omogenei nell’intervallo1.57-1.91 mg/kg. I contenuti più bassi dell’elemento(0.69-0.74 mg/kg) sono stati misurati neisuoli da overbank prelevati nel bacino del T. Merse, avalle del comprensorio minerario Merse-Campiano.Ad eccezione dei campioni raccolti nel bacino del T.Merse, i suoli da sedimento alluvionale del distrettominerario delle Colline Metallifere hanno tenori ditallio maggiori di quanto rilevato per gran parte deisuoli formatisi dalle più comuni litologie della Toscanameridionale. Ciò è in linea con il comportamentoanche calcofilo dell’elemento e la tendenza del tallioad entrare nei reticoli dei solfuri. Ne consegue che lemineralizzazioni a solfuri costituiscono una rilevantefonte di immissione dell’elemento nell’ambiente disuperficie.Nei suoli del Gruppo 2 prelevati nella discarica dellaminiera del Tafone e formatisi da materiale di coltivazionemineraria, le concentrazioni di tallio sono costantementesopra 2 mg/kg, con un tenore medio di2.69 mg/kg (Tabella 1). Si tratta di valori in accordocon la natura dei materiali di discarica arricchiti insolfuri (per lo più stibina ed arsenopirite).PianteDi seguito sono illustrati e commentati i contenuti ditallio dosati in esemplari di piante spontanee dellaToscana meridionale cresciuti sui suoli appartenential Gruppo 1 e al Gruppo 2. Sono state analizzate lespecie erbacee Hypericum perforatum L. e Plantagolanceolata L. per i suoli del Gruppo 1, e le specie erbacee(Achillea ageratum L., Aster squamatus(sprengel) Hieron., Atriplex patula L., Carex pendulaHudson, Eupatorium cannabinum L., Galactites tomentosaL., Glyceria fluitans L., Holoschoenus vulgaris(Link), Inula viscosa L.(Aiton), Medicago sativaL., Melilotus alba Med., Mentha aquatica L., Phragmitesaustralis (Cav.) Trin., Plantago lanceolata L.,Reicardia picroides L., Silene vulgaris L., Trifoliumincarnatum L.) ed arbustive (Dorycnium hirsutumL.(Ser), Rosa canina L.) per i suoli del Gruppo 2.La concentrazione di tallio è stata determinata anchein alcune delle componenti epigee (rami e foglie) diesemplari di Quercus ilex L., cresciuti su suoli sia delGruppo 1 che del Gruppo 2.Gruppo 1: Hypericum perforatum L. e Plantagolanceolata L.Le concentrazioni di tallio nell’apparato radicale e nelleparti aeree di esemplari di H. perforatum (n=48)appaiono influenzate dal contenuto totale dell’elementonel suolo. Infatti, i livelli di presenza più elevatisono stati rilevati nei campioni cresciuti su suoli formatisida magmatiti acide ed intermedie. Questi hannoconcentrazioni medie di tallio di 0.12 mg/kg (range= 0.04-0.42 mg/kg) nelle radici, e di 0.05 mg/kg(range = 0.02-0.17 mg/kg) nelle parti aeree.Gli esemplari di H. perforatum radicati nelle altre tipologiedi suolo del Gruppo 1 hanno evidenziato tenoridi tallio più bassi di un ordine di grandezza, in lineacon il contenuto totale dell’elemento nel suolo.La concentrazione di tallio è risultata in media di 0.01mg/kg nell’apparato radicale, e di


Contenuti e distribuzione del tallio in suoli e piante spontanee della Toscana meridionale0.08 mg/kg nelle foglie. Nelle specie H. vulgaris e G.fluitans i contenuti medi di tallio sono risultati rispettivamentedi 0.13 e 0.23 mg/kg nelle radici, e di 0.01e 0.03 mg/kg nella parti aeree.Negli esemplari di I. viscosa (n=6) e C. pendula (n=6)le concentrazioni di tallio sono variabili in dipendenzadalla zona di provenienza. Riguardo all’I. viscosa,gli esemplari raccolti nel bacino del Fosso Zancahanno tenori di tallio più elevati di un ordine di grandezzarispetto a quelli misurati nei campioni presinel comprensorio minerario di Merse-Campiano, eciò sia nelle radici che nelle parti aeree. Per le fogliedi I. viscosa si passa da 0.02 mg/kg, in media, negliesemplari prelevati a valle delle miniere del Merse edi Campiano a 0.12 mg/kg nei campioni provenientidal bacino del Fosso Zanca. Questo tipo di distribuzioneè in linea con il trend di variazione dei contenutitotali di tallio misurati nei suoli da sedimenti alluvionalidei 2 corsi d’acqua sopra menzionati.Anche per la specie C. pendula gli esemplari provenientidal bacino del Fosso Zanca hanno mostratoconcentrazioni più elevate di tallio, 2.80 mg/kg inmedia nell’apparato radicale e 1.01 mg/kg nelle partiaeree.Gruppo 2: piante erbacee ed arbustive (area minerariadel Tafone)Campioni di piante erbacee ed arbustive sono statiprelevati in 2 siti (di seguito indicati S5 e S6) ubicatinella discarica della miniera del Tafone. In ogni sitosono stati raccolti 3 esemplari per ogni specie vegetale.Le concentrazioni di tallio misurate negli esemplaridelle specie vegetali prelevate nel sito S5 individuanorispetto all’abbondanza dell’elemento 2 differenti popolazioni.Alla prima appartengono le specie R. picroides,S. vulgaris, I. viscosa, T. incarnatum e R. canina,in cui i tenori di tallio nelle radici si collocanousualmente sotto 0.3 mg/kg. Nelle specie della secondapopolazione di dati (P. lanceolata, A. ageratum,G. tomentosa, M. sativa) sono state misurate concentrazioninell’apparato radicale significativamente piùelevate (da 0.9 a 9.5 mg/kg). Si tratta di valori che sononello stesso ordine di grandezza del contenuto totaledell’elemento nel suolo (2 mg/kg, in media).Complessivamente, le piante erbacee ed arbustive dicui sopra non danno luogo a fenomeni significativi ditraslocazione del tallio verso le parti aeree.Nel sito S6 le concentrazioni di tallio nelle piante erbaceeed arbustive analizzate sono risultate speciedipendentie notevolmente più elevate di quelle trovatenel sito S5. Infatti, nelle radici degli esemplari diS. vulgaris, D. hirsutum e P. lanceolata di questa stazionedi campionamento sono state dosate concentrazionitra 185 e 655 mg/kg. Si tratta di valori che indicanoun importante accumulo di tallio, con livellidell’elemento nell’apparato radicale più elevati di 2ordini di grandezza del contenuto totale dell’elementonel suolo (3 mg/kg). In queste stesse specie vegetalisono stati riscontrati alti tenori dell’elemento anchenelle foglie (46-374 mg/kg), il che sottende importantifenomeni di traslocazione verso le parti epigeedella pianta.Un accumulo di tallio, anche se di minore entità rispettoa quanto sopra descritto, è stato riscontratonelle radici delle specie I. viscosa (22 mg/kg, in media)e P. australis (15 mg/kg). In queste piante si hauna diminuzione dei contenuti dell’elemento nellatraslocazione dalle radici alle parti aeree, con concentrazioninelle foglie paragonabili a quelle del suolo.Le specie A. patula e M. alba hanno quantità di tallioconfrontabili con i contenuti dell’elemento nel suolo,con un decremento di circa un fattore 10 nelle foglie.Infine, nelle specie A. squamatus e A. ageratum leconcentrazioni di tallio sono minori rispetto alle altrepiante erbacee analizzate, con valori intorno a 0.6mg/kg nelle radici e 0.4 mg/kg nelle parti aeree.Confrontando i dati analitici nel sistema suolo-piantarelativamente ai 2 siti di campionamento (S5 e S6) èda sottolineare che, a parità di contenuti totali di tallionel suolo, alcune specie vegetali (S. vulgaris, P.lanceolata e I. viscosa) hanno evidenziato una diversarisposta a livello di assorbimento e di accumulodell’elemento. Questo dato potrebbe dipendere da: i)una diversa mobilità e biodisponibilità del tallio nelsuolo in relazione ad una diversa partizione dell’elementonelle principali fasi costituenti il suolo stesso;ii) una eterogeneità molto spinta del suolo (formatosida materiali di discarica) a piccola scala.Un commento particolare è dovuto per la M. aquatica,specie vegetale diffusa negli ambienti umidi, cheè in grado di assorbire quantità rilevanti di elementichimici sia dal substrato su cui è radicata sia dalle acquein cui viene ad essere saltuariamente o costantementeimmersa. In virtù di questa capacità di estrazioneed accumulo la M. acquatica potrebbe avere, inipotesi, un potenziale impiego nelle applicazioni diphytoremediation.Gli esemplari di M. aquatica prelevati ai bordi del lagodel Tafone hanno messo in luce la spiccata capacitàdi questa specie di concentrare arsenico e di traslocarloalle foglie [18]. Gli stessi campioni vegetali127


hanno mostrato una capacità di accumulo anche peril tallio. Infatti, a fronte di un contenuto totale di tallionel substrato attorno a 2 mg/kg e di circa 9 mg/Lnelle acque del lago, sono state misurate nelle radiciconcentrazioni medie di 63 mg/kg. Nella traslocazionealle foglie l’abbondanza di tallio si riduce di circaun ordine di grandezza, essendo state dosate, nellacomponente epigea della pianta, concentrazioni di6 mg/kg in media.Gruppo 1 e Gruppo 2: Quercus ilex L.In questo lavoro sono state analizzate foglie di esemplaridi Q. ilex (leccio) cresciuti su suoli formatisi siada rocce magmatiche acide (vulcaniti di Roccastrada)che da materiali di discarica della miniera delTafone.I campioni di foglie (n=5) raccolte da 5 esemplari dileccio nella zona di Roccastrada hanno fornito contenutidi tallio estremamente variabili tra 0.04 e 4.08mg/kg. Tuttavia, in genere, i tenori di tallio sono superioria 1 mg/kg, in linea con le concentrazioni totalidell’elemento nei suoli di questa zona (1.80-2.31mg/kg).Nell’area mineraria del Tafone le foglie prelevate da2 esemplari di leccio nei siti S5 e S6, hanno dato concentrazionidi tallio tra loro diverse. Nel sito S5 i tenorinei campioni di foglie (n=10) sono distribuiti inun ampio intervallo compreso tra 0.03 e 35.2 mg/kg,con picco di frequenza dei valori intorno a 3 mg/kge, quindi, in linea con il contenuto totale dell’elementonel suolo.Nel sito S6, invece, le concentrazioni di tallio dosatenei campioni di foglie di leccio (n=5) si attestano suvalori che sono generalmente superiori ai 30 mg/kg,con un massimo di 92 mg/kg. Si tratta di contenutiche indicano un accumulo di tallio importante edanalogo a quanto visto per alcune specie erbacee edarbustive ivi presenti.Dall’esemplare di leccio del sito S5 sono stati raccoltied analizzati anche 15 campioni di rami con diversogrado di accrescimento (da 1 a 4 anni). I risultati mostranolivelli di tallio variabili nell’intervallo 0.01-21mg/kg ed una buona corrispondenza tra contenutinelle foglie e nei rami. Inoltre, sembra esistere untrend in diminuzione delle concentrazioni di tallio all’aumentaredell’età dei rami.ConclusioniL’insieme dei dati analitici presentati in questo lavoromette in evidenza una rilevante variabilità delleconcentrazioni di tallio nel suolo e soprattutto nellespecie vegetali erbacee ed arbustive considerate.L’abbondanza e la distribuzione del tallio nei suolistudiati appaiono strettamente legate alla natura litologicadel substrato. Le concentrazioni più elevatecaratterizzano i suoli formatisi da magmatiti acide edintermedie, da sedimenti alluvionali in zone minerariee da materiali di discarica mineraria.Le specie vegetali studiate hanno tenori di tallio nelleradici che, nel complesso, appaiono correlate al contenutototale dell’elemento nel suolo, con valori delBAC (Biological Absorption Coefficient = rapporto trail contenuto dell’elemento nelle radici e quello totalenel suolo) che si pongono usualmente tra 0.01 e 0.1.Nel trasferimento alle parti aeree i livelli di tallio diminuisconodi un fattore variabile tra 2 e 10.Un fenomeno importante di accumulo del tallio è statoriscontrato nelle specie S. vulgaris, P. lanceolata eD. hirsutum. Gli esemplari di queste specie cresciutisu suoli formatisi dai materiali della discarica minerariadel Tafone, presentano valori del BAC compresitra 50 e 200. Queste stesse specie rivelano ancheuna traslocazione piuttosto efficiente dell’elementoverso le parti aeree.Per quanto detto l’accumulo di un elemento come iltallio in specie erbacee potenzialmente appetibili peril bestiame brado pone una questione che richiedeuna particolare attenzione.I dati analitici hanno rimarcato anche per la specieM. acquatica la capacità di concentrare tallio nelle radicie di traslocarlo, in parte, nelle foglie.Nelle foglie di Q. ilex sono state misurate concentrazionivariabili di tallio. Queste pur essendo, nel complesso,confrontabili con l’abbondanza totale dell’elementonel suolo segnalano, talora, fenomeni non trascurabilidi accumulo.Bibliografia[1] B.W. Vink, Chem. Geol. 1993, 109: 119.[2] V. Jovíc, Thallium. In: C.P. Marshall & R.W.Fairbridges (eds.), Encyclopedia of Geochemistry.Dordrecht, Germany: 1999.[3] K.H. Wedepohl, Geochim. Cosmochim. Acta1995, 59: 1217.[4] T.A Delvalls, V. Saenz, A.M. Arias, J. Blasco,Cienc Mar 1999, 25 (2): 61.[5] K.H. Wedepohl, Handbook of Geochemistry.Springer-Verlag, Berlin-Heidelberg: 1978.128


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17 / Sez. ScientificaIl biomonitoraggio degli inquinanti atmosferici:il caso dell’ozonoCristina Nali* 1Parole chiave: educazione ambientale, qualità dell’aria, smog fotochimicoIl termine «biomonitoraggio» comprende le procedure che utilizzano indicatori biologici per trarreinformazioni sullo stato dell’ambiente. Essi costituiscono un utile strumento di indagine che ben si integracon i tradizionali metodi chimico-fisici, in relazione anche ai loro ragionevoli costi di gestione. Il metodoè basato sulla individuazione e valutazione di sintomi tipici presenti su idonee specie vegetali, chevengono definite «indicatrici». Tali piante, coltivate o spontanee, devono rispondere con effetti macroscopicispecifici a concentrazioni minime di un dato inquinante. Nel caso della contaminazione da ozono,la metodologia che meglio sintetizza le possibilità anche operative delle tecniche in oggetto è rappresentatadalla cv. Bel-W3 di tabacco. Essa presenta interessanti aspetti, a cominciare dalla elevata sensibilitàall’ozono, essendo sufficienti esposizioni di poche ore a concentrazioni dell’ordine di 40 ppb perprovocare la comparsa delle tipiche lesioni in forma di necrosi, inizialmente puntiformi e tondeggianti,visibili su entrambe le pagine della foglia. Il posizionamento nei siti di interesse avviene in contenitori incondizioni standardizzate, ponendo a confronto piante di una varietà di tabacco resistente (Bel-B) perassicurare che la manifestazione del danno fogliare sia effettivamente dovuta all’inquinante. Il DipartimentoColtivazione e Difesa delle Specie Legnose «G. Scaramuzzi» dell’Università di Pisa ha messo apunto, ormai da più di 10 anni, un sistema miniaturizzato che utilizza piantine molto giovani (15 giornidi età) di tabacco in base all’ormai consolidata capacità delle stesse di manifestare sintomi. All’internodei programmi europei per la valutazione dei danni indotti da ozono sulla vegetazione spontanea e non,sono comunemente utilizzati due cloni di Trifolium repens. In questo caso, il parametro utilizzato è la riduzionedi biomassa epigea del clone sensibile (NC-S) in risposta al contaminante, rispetto a quella delresistente (NC-R), che rimane tal quale. A questi bioindicatori ne sono stati affiancati recentemente altricome la Centaurea jacea, una specie modello da utilizzare nelle valutazioni delle risposte visive dipiante autoctone all’ozono. È importante anche ricordare l’aspetto didattico che questa attività rivolgenei confronti degli studenti. A questo proposito, sono già numerose le esperienze nell’ambito dell’educazioneambientale condotte in collaborazione con le scuole (dalle materne alle superiori) toscane e umbre.Il lavoro costituisce una rassegna delle principali metodiche ad oggi in uso per il biomonitoraggiodell’ozono, evidenziandone le caratteristiche e le finalità per eseguire al meglio una corretta campagnadi bioindicazione.130


Il biomonitoraggio degli inquinanti atmosferici: il caso dell’ozonoIntroduzioneIn tutta Europa – e in particolare nel bacino Mediterraneo– si assiste all’aumento progressivo dellaconcentrazione di ozono (O 3) nella troposfera [1]:ciò significa che «l’aria pulita» di oggi (e di domani)differisce da quella di alcuni decenni fa, con gravi conseguenzeper la salute umana e non solo. Questo inquinanteè in grado di alterare la composizione chimicae il clima di tale parte dell’atmosfera; pertanto, esisteun interesse crescente sulle conoscenze della suadistribuzione e sull’impatto ambientale che esso determinasia sugli organismi viventi che sui manufatti.Sebbene le aree urbane siano le fonti principali deiprecursori (ossidi di azoto ed idrocarburi), a causa diben noti fenomeni di trasporto, la presenza di livelli significatividi O 3si osserva anche nelle zone rurali piùdistanti. È, quindi, evidente come sia impellente la necessitàdi formulare un tracciato dettagliato dei livellidel contaminante nelle zone considerate più vulnerabili.Gli studi inerenti la distribuzione di O 3sul territorioitaliano sono un campo di ricerca relativamentegiovane: in questo Paese, le misure sono affidate principalmentea strumenti automatici che si basano sulprincipio di assorbimento dei raggi ultravioletti. Unadecina di anni fa erano in funzione circa 50 analizzatorisul nostro territorio; la loro localizzazione era – purtroppo– irregolare e grandi zone geografiche, in particolarenell’Italia del Sud, risultavano non coperte. Atitolo di esempio, in Toscana (22997 km 2 , circa 3,5x10 6 abitanti, 287 comuni), gli analizzatori operanoquotidianamente solo in 20 comuni, coprendo solo il40% degli abitanti e il 7% dei comuni. Inoltre, solo unapiccola parte di queste aree è monitorata da lungotempo e le informazioni fornite sono comunque frammentariee non raccolte in archivi storici.In Italia, la comparsa di sintomi indotti da O 3sullepiante è stata segnalata per la prima volta in Toscanaall’inizio degli anni ‘80 [2], ma soltanto molto più tardisono stati dimostrati gli effetti nocivi di questo inquinantesulla produttività delle piante coltivate.Danni visibili sono stati osservati su foglie di pescoin zone rurali del centro Italia, nonché su varie colture,quali fagiolo, zucchino, vite, peperone, ravanello,soia, spinacio e pomodoro. Quadri sintomatici attribuibiliall’O 3sono stati riscontrati anche sulla vegetazionenaturale: Robinia pseudoacacia, Ailanthus altissimae pioppo [3].Le zone rurali e forestali dell’Italia sono esposte aconcentrazioni di O 3che eccedono di gran lunga i livellicritici stabiliti. A maggior ragione, ciò si verificadurante i periodi estivi particolarmente caldi, comenel 2003 quando l’Italia è stata investita da una vera epropria «ondata di calore». La figura 1 mostral’AOT40 (esposizione accumulata sopra la soglia di40 ppb) calcolata per nove stazioni di monitoraggiotoscane (due per ciascuna delle province di Arezzo,Firenze e Pistoia e una per ciascuna di quelle di Lucca,Pisa e Prato) dall’1 al 15 agosto 2003 rispetto allaserie storica (1999-2002 + 2004): nell’ultimo giorno ladifferenza tra i due valori raggiungeva i 2,5 ppm h [4].Il monitoraggio biologico può essere definito comela misura delle risposte degli organismi viventi aicambiamenti dell’ambiente che li circonda. Dal momentoche, in generale, le piante sono più sensibilialle principali sostanze inquinanti dell’aria (comel’O 3) rispetto agli animali (e, quindi, anche all’uomo),questa metodologia può essere applicata osservandoe analizzando specie spontanee o coltivate presentiin una data area di studio (cosiddetto biomonitoraggiopassivo) o condotta su soggetti selezionatiesposti deliberatamente in aria ambiente in condizionistandardizzate (biomonitoraggio attivo). Essa puòconsentire una copertura capillare del territorio, conragionevoli costi di gestione e senza vincoli per ilrifornimento elettrico, del quale invece necessitanole centraline automatiche. Il tutto con valenze educativee didattiche incomparabili!Inizialmente è stata adottata la metodologia sviluppatadagli scienziati olandesi [3] che per primi hannostabilito e formalizzato una rete di biomonitoraggiocon piante di tabacco all’interno del loro paese. Mediantequesto tipo di indagini, affiancate dall’elaborazionedei dati di alcune stazioni di analisi chimico-fisica,è stato accertato anche il trasporto a lunghissimadistanza (parecchie centinaia di chilometri) dell’O 3prodotto nella enorme area metropolitana tra WashingtonD.C. e New York City sino all’isola di Nantucket,nell’oceano Atlantico [5]. Tra gli altri numerosiesempi si possono citare quelli relativi alla Granl’autore1 Dipartimento di Coltivazione e Difesadelle Specie Legnose «GiovanniScaramuzzi» dell’Università di Pisa,Via del Borghetto 80 56124 Pisacristina.nali@agr.unipi.it*autore per corrispondenza131


Nonostante la bontà del principio, le applicazioni pratichedi monitoraggio biologico degli inquinanti aerodiffusisono state relativamente scarse, in relazionead alcuni fattori limitanti. Senza dubbio, l’esempioche meglio sintetizza le possibilità, anche operative,delle metodiche in oggetto è rappresentato dalla cv.Bel-W3 di tabacco, usata sin dal 1962 per il rilevamentodegli effetti dell’O 3. Essa presenta interessantiaspetti, a cominciare dalla elevata sensibilità all’agenteossidante, essendo sufficienti esposizioni dipoche ore a concentrazioni dell’ordine di 40 ppb perprovocare la comparsa di lesioni tipiche (figura 2)[7]. Ed è da segnalare che proprio 40 ppb è consideratala soglia discriminante tra i livelli di O 3naturali equelli derivanti da attività fotochimica!Figura 1: valori giornalieri di AOT40, osservati innove stazioni di monitoraggio toscane nel periodo1-15 agosto 2003, confrontati con la rispettiva seriestorica (1999-2002 + 2004). Le barre verticaliindicano le deviazioni standard delle medie [4].Bretagna, ad Israele, alla Danimarca, all’Australia,agli USA, nonché a ripetute esperienze nazionali, realizzateanche in collaborazione con autorità ambientali,pubbliche amministrazioni, società private, gruppiambientalisti ed istituzioni scolastiche, anche nell’ambitodi programmi di educazione ambientale.L’utilizzo di specifici bioindicatori si è rivelato utileper coinvolgere i cittadini nella diagnosi ambientale.Una delle funzioni chiave dello sviluppo sostenibileè, infatti, la partecipazione attiva della popolazione alleproblematiche ambientali. Tuttavia, l’obiettivo finaledel biomonitoraggio non è sicuramente quellodi sostituire il metodo fisico-chimico convenzionale:una integrazione dei due sistemi è la soluzione piùadatta per la valutazione della qualità dell’aria.Il presente lavoro costituisce una analisi delle principalimetodiche ad oggi in uso per il biomonitoraggiodell’ozono, evidenziandone le caratteristiche e le finalitàper eseguire al meglio una corretta campagna dibioindicazione. Per una trattazione approfondita dell’argomento,si rimanda ad una recente rassegna [6].Metodi sperimentaliIl biomonitoraggio dell’ozono con il sistema tabaccocvv. Bel-W3 e Bel-BFigura 2: Biomonitoraggio dell’ozono troposfericocon piante supersensibili di tabacco (Nicotianatabacum cv. Bel-W3. (a): pianta adulta espostaper una settimana all’aria ambiente (a sinistra),in confronto ad una mantenuta in aria filtrata;(b): vista dall’alto: si noti la peculiare distribuzionedei sintomi nelle foglie di diversa età; (c): confrontotra lesioni fresche (di colore più scuro) emature; (d): dettaglio di una foglia; (e): particolareal microscopio elettronico a scansione di unadelle lesioni.132


Il biomonitoraggio degli inquinanti atmosferici: il caso dell’ozonoI sintomi sono costituiti da necrosi bifacciali tondeggianti,del diametro di alcuni millimetri, a contornonetto. Le lesioni sono facilmente identificabili e quantificabili,ed è possibile individuare se siano di vecchiao nuova formazione (il loro colore schiarisce danerastro a bianco-avorio in pochi giorni, figura 2c); larisposta è di tipo quantitativo, essendo possibile unacorrelazione tra indice di danno fogliare (che è in relazionealla superficie necrotizzata) e dose a cui lepiante sono esposte. Di norma, si affiancano alle piantedella cv. Bel-W3, individui della Bel-B (resistenti),allo scopo di avere la certezza che le lesioni che compaionosiano effettivamente attribuibili all’O 3.Anche se il rilevamento dei dati di campagna può essereeffettuato con tecniche sofisticate di elaborazionedell’immagine, di norma, la valutazione dell’intensitàdelle lesioni fogliari si realizza in campo in modosintetico, con l’attribuzione di ogni foglia ad una classe,in relazione alla percentuale di area coperta danecrosi; specifici atlanti fotografici rappresentano unutile elemento di supporto.Il metodo è veloce e non distruttivo e non richiedeparticolari livelli di professionalità, anche se – trattandosidi una valutazione visiva – presenta forti rischidi soggettività. Eventuali problemi possono essere,comunque, risolti con un adeguato addestramentodegli operatori [8].La tecnica operativa finora maggiormente seguita eraquella messa a punto dai ricercatori dell’Imperial Collegedi Londra, basata sulla determinazione dell’Indicedi Danno Fogliare (Leaf Injury Index, LII). In sintesi,ciascuna foglia viene identificata (con un numero):ciò permette di seguire nel tempo l’evoluzionedell’intensità dei sintomi; essa viene «letta» ogni settimanae le viene assegnato un indice in relazione alladiffusione delle necrosi, che viene registrato in unaapposita scheda. La metodica è stata standardizzatadall’ANPA (Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente;attualmente APAT, Agenzia per la protezionedell’ambiente e i servizi tecnici) [9] e, più recentemente,dall’Associazione degli ingegneri tedeschi,VDI (Verein Deutscher Ingenieure) [10].Altri approcciEsiste la sensazione diffusa che queste metodichesiano esposte a troppi fattori di incertezza e di rischio,in confronto ai metodi strumentali ormai consolidati.In sintesi, alcuni degli elementi in discussionesono di seguito descritti:• la scarsità di adeguati criteri di standardizzazione,dalle modalità di scelta del materiale a quelle diallevamento e di esposizione, sino a quelle di valutazionedegli effetti; l’istituzione di centri specializzatiper la conservazione del germoplasma, l’organizzazionedi corsi di formazione per tecnici, la compilazionedi manuali operativi, sono alcune tappe obbligatorieper lo sviluppo e la definitiva affermazionedel biomonitoraggio; in questo contesto devono trovarespazio anche processi di valutazione della qualitàdei dati;• una certa incomprensione che gli amministratoridimostrano nei confronti di queste tecniche;• i pochi interessi economici che il biomonitoraggiolascia intravedere;• effettivi limiti logistici, quali la possibilità di operaresolo in determinati periodi dell’anno e la mancanzadi adeguati bioindicatori per importanti inquinanti.In realtà, i fenomeni biologici sono caratterizzati daun alto grado di variabilità intrinseca, dovuto allacomplessità del soggetto. Il problema dell’incertezza(e quindi della qualità dei dati) è un aspetto epistemologicofondamentale per le scienze ambientali.Un fattore operativo di notevole limitazione, adesempio nelle campagne di monitoraggio dell’O 3conle piante di tabacco, è costituito dalle dimensioni dellepiante adulte e dalla fragilità delle loro foglie, cherendono talvolta difficoltoso l’impianto simultaneo distazioni su aree estese. Per ovviare a questi inconvenienti,è stato sviluppato un sistema basato sull’impiegodi germinelli di tabacco, allevati in piastre percolture di tessuti (figura 3), sfruttando il fatto che laFigura 3: Una recente applicazione del biomonitoraggio:un kit miniaturizzato costituito da unapiastra per colture di tessuti, nei cui pozzetti sonoospitati germinelli (1-2 settimane di vita) di tabaccosupersensibile (cv. Bel-W3) all’ozono. Sono benevidenti i sintomi indotti dall’esposizione all’ariaambiente per una settimana.133


sensibilità dei cotiledoni e delle prime foglie inespansione (lunghezza anche inferiore ad 1 cm) èben correlabile a quella delle foglie mature. Oltre allamaneggevolezza ed alla facilità di trasporto, il metodo,che è stato predisposto in forma di pratico«kit», offre il vantaggio di poter disporre in uno spazioconcentrato di un ampio numero di individui (inuna piastra sono ospitati 16 germinelli di Bel-W3 e 7di Bel-B), così che la ricchezza di dati compensa inparte la loro discreta variabilità [11].Come già accennato, di norma, la risposta dei bioindicatoriè costituita dalla comparsa sulle foglie di lesioninecrotiche, che devono essere quantificate.Poiché in condizioni di campo si opera mediante scaledi comparazione sintetiche, può sussistere unacerta limitazione alla ripetibilità e riproducibilità deidati, legata a fenomeni di soggettività.Un esperimento condotto in campo risalente agli anni‘80 [12] ha rivelato l’esistenza di un ampio range divariabilità nella sensibilità all’O 3da parte di genotipidi trifoglio bianco appartenenti alla linea commercialeRegal. La propagazione vegetativa delle piante selezionateha portato all’individuazione di due cloni arisposta differenziale: l’NC-S (O 3-sensibile) e l’NC-R(O 3-resistente), che sono stati successivamente saggiatiper la loro utilità come bioindicatori. La particolaritàdel sistema è quella di mostrare, in presenza diO 3, una differenza misurabile in termini di produzionedi biomassa epigea (figura 4). Questo metodo puòcontribuire a valutare le perdite economiche causatedagli effetti dell’O 3sulla produttività delle colture. Lasua utilità è stata riconosciuta anche dagli addetti alsettore sugli effetti dell’inquinamento atmosferico inquesto ambito nel quadro del programma di cooperazioneinternazionale UN/ECE (ICP-Vegetation).Nel Nord dell’Europa, il trifoglio è stato individuatoda tempo come un adeguato bioindicatore del livellodi O 3, in grado di sostituire l’impiego della cv. Bel-W3di tabacco, laddove le basse temperature non ne permettonol’utilizzazione. Il suo ampio areale di diffusionee la possibilità di una misura oggettiva del dannocostituiscono caratteristiche ottimali per l’impiegosu vasta scala. Nell’ambito di questo programma,sono stati condotti esperimenti anche in Italia.Estrapolare una risposta universale da queste piantee renderla applicabile alla vegetazione semi naturaleè sicuramente difficile a causa delle differenze sianella struttura genetica che nella composizione dellecomunità. Le piante autoctone, che crescono in situ,sono solitamente preferite per le indagini che riguardanola vegetazione spontanea. Questi bioindicatoriFigura 4: Effetti dell’esposizione all’aria ambienteper quattro settimane dei cloni di trifoglio biancoNC-S (sensibile all’ozono, a sinistra) e NC-R (resistente,a destra).rispondono visibilmente all’O 3soltanto quando postiin situazioni di sufficiente irrigazione del terreno e lecondizioni climatiche permettono l’assorbimento diO 3in quantità sufficiente affinché vengano inattivatii meccanismi antiossidanti di difesa.Di recente, è stato introdotto un bioindicatore alternativoai sistemi già esistenti [13]. Si tratta della Centaureajacea, la quale – solo dopo pochi giorni di esposizionead O 3– manifesta sintomi caratteristici in formadi stipple, che risultano identici a quelli riscontratinegli esperimenti in open top chamber [14]. Comeprevedibile, è stata riscontrata una forte variazioneintraspecifica nella risposta all’inquinante: la comparsadi effetti macroscopici, in condizioni ambientaliidentiche, varia in modo consistente all’interno di popolazioniprovenienti da differenti zone (e, quindi, climie livelli di inquinamento ambientale diversi).L’esperienza italianaLa prima pionieristica esperienza di biomonitoraggioin Italia è avvenuta in Toscana nel 1983 [2]. Da alloramolti studi sono stati condotti, oltre che in questaregione, anche in Liguria, Umbria, Veneto, Sicilia,in molte zone della Valle del Po e di Roma ed ancheall’interno dei progetti pilota dell’Unione Europea[15]. Nella città di Firenze, studi ambientali integrati[16] hanno fornito risultati di monitoraggio biologicoin accordo con quelli forniti dallo strumentale;come previsto, i bioindicatori del centro urbano eranocaratterizzati da danni fogliari minori: ciò è coerentecon quanto previsto per la distribuzione dell’O 3134


Il biomonitoraggio degli inquinanti atmosferici: il caso dell’ozononelle grandi aree urbane, poichè l’abbattimento diquesto inquinante risulta più elevato laddove l’emissionedi ossido d’azoto è più alta [3].L’introduzione dell’uso del kit miniaturizzato di germinellidi tabacco cv. Bel-W3 e Bel-B ha permesso diampliare ulteriormente le aree (anche remote) monitorate,rispetto a quanto consentito dal monitoraggioconvenzionale, ma anche da quello biologicocondotto con piante adulte. Un esempio è fornito dallacampagna condotta in Toscana, dove sono state indagateben sette province, riscontrando la presenzadi O 3fitotossico anche nelle piccole isole di Capraia eGorgona, le cui fonti locali di precursori dell’inquinantesono minime [17].Ogni anno, dal 1996, talee dei due cloni di trifogliovengono esposte in aria ambiente, secondo un protocollocomune a 32 gruppi di ricerca presenti in tuttaEuropa e in Nord America. La figura 5 illustra la relazionetra il rapporto tra la biomassa epigea di NC-Ssu quella di NC-R e l’AOT40. Le migliori correlazionitra l’esposizione all’O 3e il rapporto NC-S su NC-R sonostate evidenziate analizzando dati provenienti dacampionamenti per anni successivi in singole postazioni,piuttosto che da zone diverse, ed utilizzando ladose dell’inquinante effettivamente assorbita dallafoglia. Un metodo basato sull’uso delle mini-stazionidi trifoglio è stato sviluppato con successo da ungruppo di ricerca romano [18].Figura 5: Associazione tra il rapporto della biomassaepigea di NC-S e quella di NC-R di trifoglio biancoe l’AOT40 nel periodo 1997-2006 a Pisa; le lineetratteggiate indicano gli intervalli di confidenza (P≤0,05) (y = 9,03e -1 - 2,69e -5 x, R 2 = 0,55).Il biomonitoraggio dell’ozono nei programmi dieducazione ambientaleIn Italia, dopo la nascita nel 1986 del Ministero dell’Ambiente,sono state intraprese intese istituzionaliper il coordinamento delle iniziative nel campo dell’educazioneambientale. La stessa legge istitutivadel Ministero stabilisce l’esigenza di sensibilizzarel’opinione pubblica su queste problematiche, ancheattraverso la scuola e di concerto con il Ministerodella Pubblica Istruzione. L’ultimo protocollo di collaborazionetra i due Ministeri tende a favorire unacorretta conoscenza di questa tematica nel mondoscolastico e un comportamento responsabile e attivoverso il comune patrimonio ambientale. Il Ministerodell’Ambiente ha, inoltre, avviato Programmi Triennalidi Tutela Ambientale e il programma INFEA(INformazione Formazione Educazione Ambientale)un progetto coordinato di interventi nei settoridell’informazione e dell’educazione ambientale, checostituiscono strumenti operativi indispensabili peroperare i processi di cambiamento nell’ambito dellasostenibilità dello sviluppo, così come indicato nell’AgendaXXI sottoscritta a Rio de Janeiro nel 1992.In realtà, l’educazione ambientale è un settore di studipedagogici e di pratiche di intervento piuttosto recente.Secondo il concetto che «più si è informati epiù ci si comporta responsabilmente», l’obiettivo èquello di creare una sensibilità verso i problemi delpianeta che, come dice con uno slogan molto fortunato«non è nostro, ma lo abbiamo avuto in prestito dainostri figli».Sulla scia del progetto INFEA sono nati centri di formazionein tutta Italia, l’obiettivo comune dei quali èavvicinare il mondo scolastico (ma non solo) all’ambienteed introdurlo attraverso un’attiva partecipazionedegli alunni alle problematiche connesse. Sonoampiamente noti programmi di lavoro, in cui glistudenti partecipano ad attività sperimentali volte ascoprire le strette relazioni tra attività umane e mutamenticlimatici.In Italia sono stati compiuti alcuni studi pilota, chehanno coinvolto numerose scuole impegnate nel delinearela distribuzione dell’O 3attraverso l’utilizzo dipiante indicatrici [19, 20], rappresentando un vero casodi problem-solving. Così, sotto la supervisione deiloro insegnanti, migliaia di allievi (dai 6 ai 18 anni)hanno avuto l’occasione di intraprendere un camminomultidisciplinare in grado di integrare studi di naturabiologica, chimica, ecologia, geografia, oltre ad elaborazionidi dati con tecniche di geostatistica (figura 6).135


Figura 6: Esempio di elaborato in forma di posterrealizzato dagli alunni di una scuola elementareal termine di una campagna di biomonitoraggionel Comune di Livorno.ConclusioniL’O 3troposperico è ormai riconosciuto come unaproblematica prioritaria in Europa. In particolare, inItalia, durante la stagione estiva, si riscontrano concentrazionidi questo inquinante, che eccedono sistematicamentei livelli critici di lungo e breve periododefiniti per le foreste, le colture e la vegetazione naturale[21]. Le conseguenze che questo fenomenopuò causare sugli organismi devono essere consideratein modo adeguato e, quindi, il biomonitoraggiodelle sostanze inquinanti dell’aria è sicuramente unmezzo fondamentale per capire le situazioni ambientalicritiche, auspicando il suo uso integrato a fiancodei metodi strumentali fisico-chimici.I mass-media sono molto interessati alla diffusionedei dati di monitoraggio biologico, in quanto la conoscenzafornita dalle piante indicatrici ha valore incomparabilesia da un punto di vista didattico cheeducativo: la visione di lesioni macroscopiche, chel’aria ambiente contaminata provoca agli organismisensibili, può stimolare nel cittadino una partecipazionepiù profonda alle campagne ambientali.Di fondamentale importanza risulta la discussionesull’uso futuro del tabacco cv. Bel-W3 sia come direttoindicatore di O 3sia come riferimento della tossicitàche questo inquinante determina su altre piante,in relazione ad altri bioindicatori come il trifogliobianco e la C. jacea. È, inoltre, possibile ipotizzarel’impiego di piante perenni selezionate: a questo scopo,sono stati selezionati due cloni di pioppo caratterizzatida una risposta differenziale all’O 3su base fenomenologica,che rispecchia un comportamento diversodi carattere biochimico e fisiologico [3].Il biomonitoraggio, comunque, deve ancora superarealcune limitazioni, tra le quali si citano le più importanti:una scarsa comprensione della validità edella versatilità di questo sistema e la mancanza diuna procedura per la selezione, le procedure per lastandardizzazione del germoplasma, l’istruzione e lavalutazione degli operatori che operano in pienocampo. L’uso di tecniche semplici, quale il kit miniaturizzatodi tabacco, dovrebbe essere favorito, cercandodi intensificare la ricerca di base e i corsi diformazione per il personale attraverso seminari inmodo da rendere più «visibile» questa metodologia.Bibliografia[1] F. Meleux, F. Solmon, F. Giorgi, Atmos. Environ.2007, 41: 7577.[2] G. Lorenzini, E. Triolo, A. Materazzi, Riv. Ortoflorofruttic.Ital. 1984, 68: 81.[3] G. Lorenzini, C. Nali, Le piante e l’inquinamentodell’aria. Springer, Milano: 2005.[4] E. Pellegrini, G. Lorenzini, C. Nali, Water AirSoil Pollut. 2007, 181: 401.[5] T.J. Kelleher, W.A. Feder, Environ. Pollut.1978, 17: 187.[6] C. Nali, A. Francini, G. Lorenzini, J. Environ.Monit. 2006, 8: 25.[7] H.E. Heggestad, Environ. Pollut. 1991, 74:264.[8] G. Lorenzini, C. Nali, M.R. Dota, F. Martorana,Environ. Monit. Assess. 2000, 62: 175.[9] C. Piccini, S. Salvati, Biomonitoraggio dellaqualità dell’aria sul territorio nazionale. AgenziaNazionale per la Protezione dell’Ambiente, Roma:1999.[10] VDI 3957, Part 6, 2003.[11] G. Lorenzini, Appl. Biochem. Biotechnol.1994, 48: 1.[12] A.S. Heagle, J.E. Miller, D.E. Sherril, J. Environ.Qual. 1994, 23: 613.[13] H. Harmens, G. Mills, F. Hayes, P. Williams,Air pollution and vegetation. UNECE ICP Vegetation.Annual report 2003/2004. Centre for Ecology& Hydrology, Bangor (UK): 2004[14] P. Bungener, G.R. Balls, S. Nussbaum, M.Geissmann, A. Grub, J. Fuhrer, New Phytol.1999, 142: 271.136


Il biomonitoraggio degli inquinanti atmosferici: il caso dell’ozono[15] Biomonitoraggio dell’ozono: http://www.biomonitoraggio.org.[16] C. Nali, M. Ferretti, M. Pellegrini, G. Lorenzini,Env. Monit. Assess. 2001, 69: 159.[17] G. Lorenzini, C. Nali, M. Biagioni, Sci. TotalEnv. 1995, 166: 193.[18] F. Manes, F. De Santis, M.A. Giannini, C.Vazzana, F. Capogna, I. Allegrini, Sci. Total Env.2003, 308, 133.[19] G. Lorenzini, C. Nali, J. Biol. Educ. 2004, 38:158.[20] C. Nali, G. Lorenzini, Env. Monit. Assess.2007, 131: 201.[21] M. Ferretti, M. Fagnano, T. Amoriello, M.Badiani, A. Ballarin Denti, A. Buffoni, F. Bussotti,A. Castagna, S. Cieslik, A. Costantini, A. DeMarco, G. Gerosa, G. Lorenzini, F. Manes, G. Merola,C. Nali, E. Paoletti, B. Petriccione, S. Racalbuto,G. Rana, A. Ranieri, A. Tagliaferri, G. Vialetto,M. Vitale, Environ. Pollut. 2007, 146: 648.137


18 / Sez. ScientificaIl capriolo (Capreolus capreolus L.)come bioindicatore della qualità dell’ambientein Toscana meridionaleFabio Baroni, Luigi A. Di Lella*, Anastasia Pisani, Emauele Pizzetti, Giuseppe Protano,Francesco Riccobono.Parole chiave: capriolo, bioindicatore, sangue, elementi pesanti, Toscana meridionaleNumerosi organismi, sia animali che vegetali, sono utilizzati come bioindicatori per monitorare la qualitàdell’ambiente. Alcune specie sono particolarmente adatte per la determinazione della distribuzionenell’ambiente di superficie di elementi pesanti quali: piombo, cadmio, arsenico e mercurio, e per una valutazionedei rischi di esposizione. Il capriolo (Capreolus capreolus L.), il membro europeo degli Odocoileini,rivela di possedere le caratteristiche di un eccellente bioindicatore, in virtù del suo comportamentoe delle abitudini dietetiche. Ciò in quanto questo animale è, dal punto di vista dell’alimentazione,un brucatore ed insiste su un home-range piuttosto ristretto (1-2 km). In una tale situazione il sangue, ilpelo ed alcuni organi (fegato e rene) del capriolo possono essere utilizzati per l’individuazione di eventualicontenuti anomali di sostanze inquinanti nell’area in cui l’animale vive.È in questa ottica che è stato varato un progetto di ricerca volto alla determinazione delle concentrazionidi un ampio spettro di elementi in traccia nel sangue ed in altri reperti (fegato, pelo e zoccolo) diesemplari di capriolo abbattuti in Toscana meridionale. Nel presente lavoro sono riportati e commentatii dati relativi ai contenuti di alcuni elementi pesanti (zinco, rame, cadmio, arsenico, mercurio e tallio)nel sangue di caprioli vissuti in zone della provincia di Grosseto. Questi dati sono stati confrontati con irisultati di una analoga ricerca condotta su caprioli del territorio senese.IntroduzioneNumerosi organismi viventi sono da tempo impiegaticon successo per monitorare la qualitàdell’ambiente in relazione a diverse sostanzenocive tra cui alcuni elementi pesanti. L’utilizzo di animaliselvatici è risultato in certi casi decisivo per rilevaredanni ambientali e per individuare percorsi dispecifici contaminanti [1]. In base ad un comportamentomarcatamente territoriale ed alle abitudini alimentarialcune specie di mammiferi sono risultateparticolarmente adatte per la valutazione della distribuzionedi elementi pesanti in un dato territorio.Il capriolo (Capreolus capreolus L.), membro europeodegli Odocoileini, possiede le caratteristiche sopracitate e, dove sono presenti importanti popolazioni,risulta essere un ottimo bioindicatore della qualitàdell’ambiente [1, 2].La Toscana meridionale ospita una popolazione numerosadi caprioli, che è in rapida crescita. San Josèet al. [3] hanno studiato il loro comportamento in talearea, indicando per questi ungulati una densità di37 capi per km 2 .Per mantenere la popolazione di caprioli all’interno diadeguati limiti di densità, dagli inizi degli anni ‘90 anniè stata promossa nelle province di Grosseto e Sienala caccia controllata per questa specie (caccia di selezione).In tale ambito, con l’ausilio dei cacciatori coinvoltinella caccia di selezione, è stato possibile attivareun progetto di ricerca incentrato sul prelievo edanalisi di campioni di sangue e di altri reperti organici(fegato, peli, zoccolo) di caprioli abbattuti nei distrettivenatori delle province di Grosseto e Siena.L’obbiettivo principale di questa ricerca è quello di138


Il capriolo (Capreolus capreolus L.) come bioindicatore della qualità dell’ambiente in Toscana meridionalevalutare la qualità dell’ambiente di un vasto territoriodella Toscana meridionale attraverso la determinazionedelle concentrazioni di un ampio spettro di elementiin traccia nel sangue ed in altri reperti organicidi caprioli abbattuti nelle province di Siena e Grosseto.Nella prima fase della ricerca si è tentato di individuarele relazioni esistenti tra i contenuti di alcunielementi pesanti nel sangue dei caprioli ed i lineamentilitologici e giacimentologici dell’area studiata.In Toscana meridionale, in modo particolare nellaprovincia di Grosseto, sono presenti numerose mineralizzazionia solfuri che sono state intensamentecoltivate fino agli inizi degli anni ’90. L’attività minerariaha avuto, e tuttora ha, ovvie ripercussioni sull’ambientesoprattutto per quanto riguarda l’immissionedi elementi pesanti (per es., Pb, Zn, Cu, As, Cd,Hg, Sb) nel ciclo geochimico di superficie.In questo lavoro sono illustrati i dati analitici relativialle concentrazioni di alcuni elementi pesanti (Zn,Cu, As, Cd, Hg, Tl) nel sangue di caprioli abbattutinella provincia di Grosseto. Gli elementi chimici inquestione sono stati scelti in considerazione del diversoruolo che hanno negli organismi (elementi essenzialie tossici) e del possibile livello di influenzadei lineamenti geo-giacimentologici dell’area studiata.I dati analitici dei caprioli della provincia di Grossetosono stati posti a confronto con gli esiti di unaanaloga ricerca condotta nella provincia di Siena [2].Materiali e metodiL’area di studio abbraccia un ampio settore della provinciadi Grosseto, la quale, ai fini della caccia di selezione,è suddivisa in 9 distretti (figura 1). Si tratta diun territorio in larga parte ricoperto da boschi ceduie con una buona percentuale di terreno coltivo o apascolo.La geologia è abbastanza complessa e caratterizzatada formazioni geologiche di diversa origine, naturaed età. Le litologie dominanti sono quelle a prevalentenatura argillosa e, a seguire, depositi sabbiosi erocce arenacee. È da segnalare la presenza di importantiaffioramenti di rocce silicoclastiche (Gruppodel Verrucano) e di Calcare cavernoso.Nella zona in studio sono presenti numerose mineralizzazioniper lo più a pirite o a solfuri misti (figura 2).Queste mineralizzazioni sono maggiormente concentratenel Distretto 1 (comuni di Montieri, MonterotondoMarittimo e Massa Marittima). Nel Distretto7 (comune di Castell’Azzara) ricadono le mineralizzazionia mercurio dell’area amiatina.I lineamenti geochimici del territorio in studio sonocoerenti con le caratteristiche litologiche e geo-giacimentologiche.Infatti, carte geochimiche basate susedimenti fluviali [4], hanno rivelato delle anomaliegeochimiche per alcuni elementi pesanti quali: As,Cd, Cu, Pb, Sb, Zn, centrate nelle zone in cui insistonole principali mineralizzazioni dell’area e dove piùintensa è stata l’attività di coltivazione mineraria. Alcontrario, il territorio della provincia di Siena apparedecisamente più «pulito» e non sono segnalati scostamentisignificativi delle concentrazioni degli elementidi cui sopra rispetto al fondo geochimico locale.Come detto in precedenza, questa ricerca non avrebbepotuto essere intrapresa senza l’aiuto e la collaborazionedi centinaia di cacciatori delle province diSiena e Grosseto. Prima della stagione venatoria1998-99 ogni cacciatore è stato istruito circa le modalitàdi campionamento del sangue e di alcuni organidel capriolo in modo da evitare possibili contaminazioniaccidentali. Nonostante le raccomandazioni alcunicampioni di sangue hanno fornito valori analiticidi piombo ed antimonio non plausibili e probabilmentedovute ad una modalità errata di prelievo delsangue: dal foro di ingresso del proiettile o dalla cassatoracica durante la macellazione degli animali.Questi campioni sono stati scartati ed i dati analiticirelativi non sono stati utilizzati in fase di elaborazioneed interpretazione.Per la provincia di Grosseto, in totale sono stati ricevuti304 campioni di sangue. Di questi ne sono statianalizzati 286 e validati 268. Un approccio analogoera stato adottato in precedenza per i campioni disangue di individui di capriolo abbattuti nella provinciadi Siena nella stagione venatoria 1997-98, per untotale di 730 campioni validati.Come si vede in figura 1, i caprioli abbattuti nella provinciadi Grosseto ricadono principalmente nel setto-gli autoriDipartimento di Scienze Ambientali«G. Sarfatti», U.R. GeochimicaAmbientale, Università degli Studidi Siena, via del Laterino 8, 53100 Siena,Italia* autore per corrispondenzadilella@unisi.it139


Figura 1: Area di studio suddivisa in distretti venatoried ubicazione dei siti di abbattimento deicaprioli.Figura 2: Ubicazione dei principali siti mineraripresenti nell’area di studio.re settentrionale. Relativamente al Distretto 9, pergran parte dei caprioli non sono state fornite le coordinatedel punto di abbattimento. I relativi dati analiticisono stati pertanto utilizzati unicamente per definirele relazioni con età e sesso degli esemplari.In laboratorio, i campioni di sangue sono stati conservatiin congelatore. Per ciascun reperto, circa 2grammi di sangue sono stati digeriti mediante attaccoacido con 6 ml di HNO 3al 70% e 1 ml di H 2O 2al30%. I reagenti utilizzati sono tutti del tipo ultrapuro(Baker). La solubilizzazione è stata effettuata inbombe di teflon poste in un digestore a microonde(Ethos 900 della Milestone) per 30 minuti. I preparatiottenuti sono stati filtrati, portati ad un volume di100 ml aggiungendo acqua ultrapura e, quindi, analizzatiin spettrometria di massa accoppiata al plasmainduttivo (ICP-MS), utilizzando lo spettrometro Elan6100 della Perkin-Elmer Sciex.Lo standard analitico certificato utilizzato nella presentericerca è stato Trace Elements Serum Level 1 -Serenorm TM prodotto dalla SERO AS (Norvegia).L’accuratezza e la precisione sono risultate inferiorial 5% per tutti gli analiti considerati.Per arsenico, cadmio, mercurio e tallio un numerovariabile di campioni ha fornito valori di concentrazioneinferiori al rispettivo limite di rilevabilità strumentale.Solo per cadmio e mercurio il numero deidati non-detect è risultato non elevato e confrontabilecon la soglia del 15% oltre la quale è consigliato nonprocedere all’applicazione del «metodo della sostituzionesemplice» [5]. Nella elaborazione statistica deidati analitici di cadmio e mercurio le concentrazioniinferiori al limite di detezione sono state sostituitecon un valore costante pari alla metà di tale limitedell’elemento.RisultatiDi seguito sono illustrati i contenuti di due elementiessenziali (zinco e rame) e di alcuni elementi tossici(arsenico, cadmio, mercurio e tallio) trovati nel sanguedei caprioli abbattuti nella provincia di Grosseto.I dati analitici, come contenuto mediano nel sangue,sono stati confrontati con quelli analoghi determinatinel sangue dei caprioli della provincia di Siena [2].In caso di un non corretto prelievo del fluido ematico(ad esempio attingendo direttamente alla ferita) vipuò essere una influenza dei proiettili sulle concentrazionidi piombo ed antimonio nel sangue dei caprioliabbattuti (i proiettili sono usualmente costituitida una lega di piombo con una percentuale di antimonioche può essere intorno al 3%). Per essere ingrado di discriminare eventuali campioni contaminatidai proiettili è in corso un approfondimento della ricercaincentrata sull’analisi di altri reperti di capriolo140


Il capriolo (Capreolus capreolus L.) come bioindicatore della qualità dell’ambiente in Toscana meridionale(fegato, pelo e zoccolo). Così stando le cose si è preferitonon commentare, in questa sede, i dati analiticidi piombo ed antimonio.ZincoLo zinco è un elemento essenziale per la vita degli esseriumani e degli animali superiori, essendo l’elementonecessario per la crescita, lo sviluppo e la riproduzionedegli organismi [6]. Lo zinco è anche implicatonel funzionamento della vista, dell’olfatto, deltatto e della memoria, ed una sua carenza può causaredisfunzioni. Nei mammiferi, l’assunzione di zincoè dovuta essenzialmente all’ingestione di alimenti.Lo zinco contenuto nel sangue è una parte molto piccoladel totale del metallo presente nel corpo (75%) è associato ai globulirossi [9].In tabella 1 sono riportati i contenuti di zinco nel sanguedei 268 campioni di capriolo abbattuti nella provinciadi Grosseto. Le statistiche per lo zinco, e pergli altri elementi considerati, sono relative sia all’interoset analitico sia a dei subset basati sull’età ed ilsesso degli animali. L’home-range piuttosto limitatodi questa specie (1-2 km), rende fattibile una correlazionedei valori degli elementi pesanti trovati nel sanguedegli animali con i lineamenti litologici e geochimicispecifici del territorio nel quale sono vissuti.Per lo zinco i dati analitici relativi all’intero set dicampioni (n=268) indicano che le concentrazioni nelsangue ricadono nell’intervallo 2,34-45,70 mg/L, conun livello mediano di 5,05 mg/L. Questo dato è circail doppio della concentrazione mediana di zinco (2,85mg/L) determinata nel sangue dei caprioli abbattutinella provincia di Siena (range: 0,99-5,69 mg/L). Tuttavia,nei campioni di capriolo della provincia diGrosseto la presenza di zinco nel sangue è usualmenteinferiore a 10 mg/L, collocandosi con maggiorefrequenza nell’intervallo 2-8 mg/L. Si tratta di valoriconfrontabili con l’usuale presenza dell’elementonel sangue di mammiferi come i bovini [10].In base al sesso dei caprioli, le concentrazioni di zincosono risultate leggermente più elevate nei maschi(5,22 mg/L) rispetto alle femmine (4,85 mg/L), comedel resto è stato riscontrato anche nei caprioli delterritorio senese. Relativamente all’età i contenutipiù elevati dell’elemento contraddistinguono il san-Tabella 1: Concentrazioni, in mg/l, di zinco e rame nel sangue di caprioli abbattuti nella provincia diGrosseto.141


gue degli esemplaricon età inferiore ad unanno (piccoli; 5,84mg/L); più bassi e similitra loro sono risultatii livelli mediani nelsangue degli individuigiovani (1–2 anni; 4,83mg/L) ed adulti (>2anni; 5,08 mg/L).Per quanto riguarda lerelazioni con i lineamentilitologici dell’home-rangesi è osservatoche lo zinco,in genere, è più abbondantenel sangue deicaprioli vissuti in zone,come il Distretto 1,la cui geologia è dataprevalentemente dalCalcare cavernoso(mediana: 6,01mg/L). I caprioli abbattutinel Distretto 1hanno fornito una concentrazione di zinco nel sanguepari 6,12 mg/L. Va, altresì, segnalato che all’internodi questo stesso distretto sono presenti la granparte delle mineralizzazioni a solfuri misti ed a piritedell’area di studio (figura 2).RameTabella 2: Concentrazioni, in mg/l, di arsenico e tallio nel sangue di caprioliabbattuti nella provincia di Grosseto.Il rame è un metallo essenziale per le piante e per lacrescita e lo sviluppo del corpo dei mammiferi. Giocaun ruolo importante nel metabolismo: dalla normaleattività del cervello, del sistema nervoso e cardiovascolare,al trasporto del ferro fino alla protezione dellecellule contro l’ossidazione. Il rame è un elementoassunto principalmente attraverso l’ingestione di ciboed acqua.La concentrazione di rame ricade in genere tra 0,5 e2 mg/L nel sangue umano [11, 12], e tra 0,2 e 1,3mg/L nel sangue di ruminanti [10].Le concentrazioni di rame nel sangue dei capriolistudiati variano da 0,39 a 70,97 mg/L (tabella 1); il livellomediano, pari a 0,78 mg/L, è confrontabile conquello determinato nel sangue dei caprioli abbattutinella provincia di Siena (0,71 mg/L). La presenza delrame nel sangue dei caprioli della provincia di Grossetoè normalmente inferiore a 1,3 mg/L, con unmassimo di frequenza nell’intervallo 0,5-1,1 mg/L.In relazione al sesso, il rame sembra essere più abbondantenel sangue degli esemplari maschi (0,80mg/L), come è stato, peraltro, riscontrato nei caprioliabbattuti nei territori della provincia di Siena. Il ramemostra i contenuti più elevati nel sangue degliesemplari piccoli (0,90 mg/L), nonché nei capriolivissuti in aree dove affiorano in prevalenza il Calcarecavernoso (0,90 mg/L) e magmatici acide (0,88mg/L). Il rame mostra, pertanto, un modello di distribuzionesimile a quello già descritto per lo zinco.ArsenicoL’arsenico è un elemento tossico, la cui tossicità è inbuona parte legata alla sostituzione del fosforo in alcunefondamentali reazioni biochimiche. L’elementoè assunto dai mammiferi principalmente per digestione,respirazione e assorbimento attraverso la pelle.L’assunzione dell’arsenico da parte degli organismiè legato alla speciazione chimica ed alla solubilità,fattori che influenzano il potenziale trasferimentodell’elemento al sangue.Secondo alcuni autori [10] il contenuto medio di ar-142


Il capriolo (Capreolus capreolus L.) come bioindicatore della qualità dell’ambiente in Toscana meridionalesenico nel sangue dei bovini si colloca intorno a 3µg/L.Nel sangue dei caprioli abbattuti nella provincia diGrosseto, per 228 campioni su 268 (85%), le concentrazionidi arsenico sono risultate inferiori al limite dirilevabilità strumentale (10 µg/L). Nei restanti campionila presenza di arsenico nel sangue varia da 10 a63 µg/L, fatta eccezione per 2 esemplari nel cui sanguesono stati misurati tenori dell’elemento sensibilmentepiù elevati (133 e 226 µg/L; tabella 2). Questiultimi provengono dal Distretto 1 in cui, come detto,ricadono la gran parte delle mineralizzazioni a solfurimisti ed a pirite dell’area di studio.I contenuti di arsenico nel sangue dei caprioli abbattutinella provincia di Siena presentano un intervallodi valori analogo (fino a 186 µg/L). Si sottolinea, tuttavia,che l’incidenza percentuale delle concentrazioniinferiori a 10 µg/L è più elevata (97%).CadmioIl cadmio non ha alcun ruolo biologico negli animali;è, infatti, tossico anche a basse concentrazioni e tendead accumularsi negli organismi.Ricerche condotte su campioni di sangue umanohanno indicato che le concentrazioni di cadmio sonousualmente inferiori a 15 µg/L, con un massimo difrequenza nell’intervallo 0,1-5 µg/L [11, 12, 13]. Nelsangue di bovini sono stati misurati contenuti di cadmiocompresi tra


dei campioni (73%) sono state misurate concentrazioniinferiori a 2 µg/L.In relazione al sesso e all’età, il contenuto medianopiù alto di cadmio è stato riscontrato nel sangue degliesemplari maschi (7,40 µg/L) ed in quelli adulti(7,59 µg/L).In base ai lineamenti litologici dell’home-range diquesti animali il cadmio sembra essere più abbondantenel sangue dei caprioli che hanno vissuto in zonedove la geologia di superficie è in prevalenza costituitada rocce silicee e silicoclastiche (mediana =8,45 µg/L).MercurioIl mercurio è un elemento pesante tossico presentein natura con numerose forme organiche ed inorganiche,qualificate da un variabile grado di pericolosità.A tale riguardo il dimetilmercurio (C 2H 6Hg) è laforma più insidiosa.Nell’uomo le concentrazioni di mercurio nel sanguesono, in genere, sotto 20 µg/L [11, 12]. Al contrariopoco si conosce riguardo al contenuto di mercurionel sangue di mammiferi, come gli erbivori selvatici.Nel sangue dei caprioli studiati le concentrazioni dimercurio sono distribuite nell’intervallo 50 µg/L) sonostati misurati in sei esemplari provenienti dal suddella provincia (Distretti 7 e 9), dove sono rispettivamentepresenti mineralizzazioni a cinabro e manifestazionitermali.Anche per i caprioli abbattuti nella provincia di Sienale concentrazioni di mercurio nel sangue oscillano inun ampio intervallo di valori (3 mg/L) caratterizzano il sanguedi alcuni caprioli del Distretto 1.ConclusioniL’insieme dei dati analitici riportati in questo lavoro,relativi alle concentrazioni di zinco, rame, arsenico,cadmio, mercurio e tallio nel sangue di 268 caprioliabbattuti nella provincia di Grosseto, consente dioperare le considerazioni che seguono.Nel sangue dei caprioli in studio la concentrazionedegli elementi chimici dosati mostra una notevole variabilità.Gli intervalli più ampi nella distribuzione deitenori sono stati riscontrati per cadmio e mercurio.La gran parte dei dati analitici ottenuti per zinco, rame,arsenico, cadmio, mercurio e tallio è confrontabilecon l’usuale intervallo di presenza di questi elementinel sangue di mammiferi.In relazione al sesso dei caprioli, zinco, rame e cad-144


Il capriolo (Capreolus capreolus L.) come bioindicatore della qualità dell’ambiente in Toscana meridionalemio evidenziano le più elevate concentrazioni medianenel sangue dei maschi, il mercurio in quello dellefemmine. Gli esemplari adulti hanno fornito i contenutipiù elevati di cadmio e mercurio nel sangue,mentre gli individui giovani quelli di zinco e rame.In base ai lineamenti geo-giacimentologici dell’areain studio, risulta che, a livello mediano, i tenori piùelevati di zinco, arsenico, mercurio e tallio appartengonoal sangue dei caprioli abbattuti nel territoriodel Distretto 1, dove sono presenti numerose mineralizzazionia pirite ed a solfuri misti. Una relazioneanaloga si riscontra per le concentrazioni di mercurionel sangue degli esemplari provenienti dal Distretto7, nel quale ricadono numerose mineralizzazionicinabrifere del campo minerario amiatino.L’intervallo delle concentrazioni di zinco, rame, arsenico,cadmio e mercurio nel sangue dei caprioli abbattutinelle province di Grosseto e Siena, non mostrasignificativi differenze. Tuttavia, non vi è dubbioche i contenuti in assoluto più elevati degli elementiin studio e la loro incidenza quantitativa sono propridei caprioli vissuti nella provincia di Grosseto.[8] N.D. Grace, J. Agric. Res. 1983, 26: 59.[9] K.M. Hambridge, C.E. Casey, N.F. Krebs,Zinc. In: Trace Elements in Human and AnimalNutrition (5 th edition), Academic Press Inc., NewYork: 1986.[10] M. López Alonso, J.L. Benedito, M. Miranda,C. Castillo, J. Hernández, R.F. Shore, Sci. TotalEnviron. 2000, 246: 237.[11] C. Minoia, E. Sabbioni, P. Apostoli, R. Pietra,L. Pozzoli, M. Gallorini, G. Nicolau, L. Alessio,E. Capodaglio, Sci. Total Environ. 1990, 95:89.[12] P. Heitland, H.D. Köster, J. Trace Elem.Med. Biol. 2006, 20: 253.[13] U. Forstner, Cadmium. In Handbook of EnvironmentalChemistry, Springer-Verlag, Berlin andHeidelberg: 1980.[14] F.H. Kemper, H.P. Bertram, Thallium. InMetal and Their Compounds in the Environment.Ernest Merian, Weinheim: 1991.Bibliografia[1] B. Bobek, K. Perzanowski, W.L. Regelin, GlobalTrends. In: Wildlife Management. Transactionvol. 1. 18th IUGB Congress. Swiat Press, Krakow-Warszawa: 1991.[2] F. Baroni, G. Protano, F. Riccobono, G. Sabatini,Essential and toxic elements in roe deer blood(Siena County, Italy). In: Trace Elements in theEnvironment - Their Distribution and Effects. Elsevier,Amsterdam: 2000.[3] C. San Josè, S. Lovari, N. Ferrari, Acta Theriolog.1997, 42 (2): 235.[4] G. Protano, F. Riccobono, G. Sabatini, Mem.Des. Carta Geologica d’Italia 1998, 55: 119.[5] EPA, Practical Methods for Data Analysis.EPA QA/G-9, QA00 Update. In: Guidance for DataQuality Assessment. Office of EnvironmentalInformation, U.S. Environmental ProtectionAgency, Washington D.C.: 2000.[6] F.K. Ohnesorge, M. Wilhelm, Zinc. In: Metalsand Their Compounds in the Environment, VCHpublisher,Weinheim: 1991.[7] National Research Council. Zinc. Committeeof medical and biological effects of environmentalpollutants, National Academy of Sciences, WashingtonD.C.: 1978.145


19 / Sez. DivulgativaL’evoluzione biologica nei percorsi e nei laboratorididattici di zoologia e antropologia presso il Museodi Storia Naturale del Mediterraneo di LivornoMichelangelo Bisconti 1 , Emiliano Carnieri* 1 , Anna Roselli 1Parole chiave: antropologia, evoluzione biologica, laboratorio didattico, Museo di Storia Naturale,zoologiaVengono illustrati i percorsi e i laboratori sull’evoluzione biologica, con particolare riferimento ai primatinon umani e alla specie umana, svolti presso il Museo di Storia Naturale del Mediterraneo di Livorno.I percorsi sono stati seguiti per lo più da allievi delle Scuole Primarie. Questi studenti mostranolivelli di preparazione disomogenei ma comportamenti, capacità di ragionamento critico e sistemi dicredenze formati in ambienti extra-scolastici molto omogenei. La gran parte dei problemi incontratinella didattica dell’Antropologia fisica, come anche della Zoologia generale, potrebbero essere risoltiattraverso un sistematico insegnamento dell’evoluzione biologica, e di concetti di base inerenti a biodiversitàe filogenesi.IntroduzioneNel corso degli ultimi anni le indicazioni ministerialiper la preparazione delle attività didattichedelle Scuole Primarie e Secondarie perquanto riguarda la trattazione dell’evoluzione biologica,e in particolare dell’origine ed evoluzione dell’uomo,sono andate verso un ridimensionamentoevidente [1, 2, 3]. Attualmente, la preistoria viene affrontatanel corso del terzo anno della Scuola Primarianell’ambito dei programmi di Storia e Scienze. Gliinterventi dei docenti prevedono la trattazione diaspetti di Antropologia fisica con l’illustrazione dellecaratteristiche anatomiche delle specie di primatistrettamente correlate all’evoluzione umana e la descrizionedell’origine e dello sviluppo della tecnologiaumana basata sulla lavorazione della pietra. Parallelamente,si tratta delle forme di economia preistoricache possono essere dedotte sulla base delladocumentazione archeologica e dell’origine di comportamentiastratti e complessi come la sepoltura deidefunti e la nascita dell’arte e di forme di spiritualità.La funzione di una istituzione scientifica come il Museodi Storia Naturale del Mediterraneo di Livorno(MSNM) nel contesto della didattica relativa alla biologiaevoluzionistica in queste categorie scolastichenon può che essere di ausilio alla didattica frontalesvolta nelle classi. Naturalmente si tratta di un aiutoin grado di utilizzare strumenti normalmente non disponibilinelle scuole e che derivano dalla conservazionedi materiale zoologico all’interno di collezioniscientifiche; detto materiale è in parte reso fruibilead un vasto pubblico attraverso l’allestimento di settoriespositivi. Parallelamente a questo aspetto cheha a che fare con la natura stessa del museo, la realizzazionedi laboratori didattici all’interno di un Centrodi Educazione Ambientale (CEA) e la disponibilità dipersonale specializzato in discipline-chiave comel’Antropologia, le Scienze della Terra, la Fisica, la Botanicae la Zoologia consente al MSNM una partecipazioneattiva all’insegnamento delle scienze naturaliin scuole di ogni ordine e grado. Nell’ambito delladidattica dell’Antropologia e della Zoologia la disponibilitàdi reperti e modelli, in parte conservati all’internodelle collezioni e in parte acquisiti allo scopo diconsentire l’esecuzione di percorsi di laboratorio,146


L’evoluzione biologica nei percorsi e nei laboratori didattici di zoologia e antropologiapermette la realizzazione di una serie di attività calibratesu studenti di diverse fasce d’età garantendol’erogazione di un servizio di ausilio all’insegnamentodell’Antropologia e della Zoologia ad una fascia diutenza molto vasta.Materiali e metodiIl MSNM dispone di due settori espositivi direttamentelegati alle tematiche dell’evoluzione umana(la Sala dell’Uomo e la Sala dell’Uomo nel Mediterraneo)e di uno che tratta la storia della vita sulla Terra(Sala di Geo-Paleontologia). In particolare nella primavengono illustrate le tappe fondamentali dell’evoluzionedella nostra specie attraverso calchi di fossili,diorami e una serie di strumenti litici e manufattiprovenienti da vari siti localizzati in provincia di Livorno.I reperti sono inseriti all’interno di un contestofatto di didascalie esplicative e immagini graziealle quali si forniscono informazioni immediatamentecomprensibili di molti aspetti della vita degli ominidi.La Sala dell’Uomo nel Mediterraneo dispone invecedi una estesa collezione di reperti archeologicie di copie di strumenti litici e metallici che rappresentanotestimonianze della vita di Homo sapiens dalMesolitico fino agli albori dell’età storica. Due dioramipresentano infine uno spaccato di vita del Neoliticoe l’officina di un fabbro protostorico.L’impiego coordinato di materiali didattici (calchi diprimati e ominidi) insieme con i settori espositivi haconsentito l’elaborazione di percorsi interattivi di Antropologianei quali gli studenti osservano e individuanodirettamente sui reperti quelle caratteristicheche sono state utilizzate dagli studiosi per definire imodelli dell’evoluzione umana. Il concetto del Laboratoriodi Antropologia prevede dunque un’attività diosservazione attenta e critica da parte degli studentiche dovrebbe consentire loro di concettualizzare somiglianzee differenze tra le varie specie umane e diprimati in modo da ricostruire la sequenza di cambiamentiche si è realizzata nel corso dell’evoluzione.I percorsi didattici di Antropologia fisica che vengonorealizzati presso il CEA del MSNM sono quattro: IPrimati, Origine ed evoluzione dell’uomo, Alla scopertadello scheletro umano e Il paleoantropologo sulloscavo. I primi tre fanno uso della collezione didatticae dei settori espositivi; il quarto prevede l’esecuzionedi uno scavo simulato.Domande e pregiudiziGli oltre 1300 studenti che hanno seguito i percorsidi Antropologia fisica presso il MSNM hanno mostratouna preparazione globalmente omogenea. Nelpresente lavoro poniamo l’attenzione alla domandatra le più ricorrenti che gli studenti hanno fatto liberamentedurante gli incontri. Questo quesito rivelaun certo indottrinamento operato in ambienti extrascolasticidi cultura non evoluzionistica: Se l’uomoderiva dalle scimmie, perché non vediamo le scimmietrasformarsi sotto i nostri occhi in esseri umani? Questadomanda è circolata spesso in ambienti non evoluzionisticied è stata variamente formulata agli scriventida numerose persone, giovani e meno giovani,dalla scarsa preparazione scientifica ed evoluzionistica.Si tratta di una questione formulata sulla base diuna grande mancanza di conoscenza in materia evoluzionistica.È ovvio che le scimmie non si trasformanoin esseri umani. È ovvio che le scimmie (tutte lescimmie o solo alcune? Non è chiaro dalla domanda)non si sono trasformate in esseri umani nel senso intuitivodel termine. La trasformazione è avvenuta nelcorso di milioni di anni e si è realizzata in una particolarelinea di scimmie antropomorfe [4] (quindi nontutte le scimmie si sono trasformate in esseri umani,tant’è vero che esistono molte specie di primati nonumani ancora viventi). È ovvio che la trasformazionenon si è mai svolta nell’arco di poche ore o pochi secondicome la domanda sembra lasciar credere ma icambiamenti si sono susseguiti a piccole o piccolissimedosi di generazione in generazione e in presenzadi cambiamenti genetici che si sono affermati nellepopolazioni per selezione naturale secondo le leggidi Hardy-Weinberg. La domanda, così com’è formulata,mostra una totale ignoranza della teoria dell’evoluzioneper selezione naturale, ignoranza che evidentementeporta ad una visione distorta del cam-gli autori1 Museo di Storia Naturaledel Mediterraneo, via Roma 234, I-57100,Livornozoologia.museo@provincia.livorno.ite.carnieri@provincia.livorno.ita.roselli@provincia.livorno.it* autore per corrispondenza147


iamento evolutivo. Come si vedrà nelle conclusionidi questo lavoro, una piena conoscenza della nuovasintesi darwiniana rappresenterebbe un punto dipartenza molto importante per affrontare ogni aspettodella storia evolutiva dell’uomo e degli altri organismi.Domande e affermazioni di questo tipo induconoa ritenere che l’approccio con il quale si insegnal’evoluzione biologica va radicalmente rivisto.Difficoltà della didattica dell’evoluzione umanaSono stati individuati alcuni aspetti critici nelle interazionitra operatore e studenti, emersi in circa treanni di didattica dell’evoluzione umana al MSNM.L’attenzione verrà focalizzata su tre categorie di problemi:capacità di ragionamento critico, passato vs.presente, story-telling.Capacità di ragionamento criticoQuanto gli studenti affrontino criticamente l’oggettodi studio denominato Evoluzione umana è difficile adirsi. Le risposte date frequentemente a domande ripetutead ogni incontro suggeriscono che in realtàgli studenti fondino la loro conoscenza più sulla memorizzazionedi dati che sull’approfondimento e sullapiena comprensione degli argomenti trattati. Gliincontri del Percorso 2 del Laboratorio di Antropologiaal MSNM cominciano sempre con una domandaformulata dall’operatore: «Secondo voi, quali sonogli animali più simili all’uomo?» La risposta è semprela stessa e viene fornita in maniera corale e ad altavoce dagli studenti: «Le scimmie». La seconda domandaposta dall’operatore è più insidiosa: «Perché?»L’operatore specifica poi i termini della questione:«Quali sono quelle caratteristiche comuni alcorpo delle scimmie e degli esseri umani che fannodire agli studiosi che esseri umani e scimmie sonocosì simili?» A questa domanda segue di solito un silenziolungo qualche decina di secondi. Il silenzio èpoi rotto da uno studente che statisticamente formulala seguente risposta: «Le scimmie sono gli animalipiù simili all’uomo perché l’uomo discende dallescimmie». In realtà questa non è una risposta alla domandaperché non fornisce quelle caratteristiche fisicherichieste dall’operatore che dovrebbero supportarel’affinità morfologica di esseri umani e scimmie.La risposta fornita dallo studente prevede la ricostruzionedi un percorso storico (filogenetico) effettuataa partire da comparazioni morfologiche egenetiche che lo studente di 9 anni non è in grado dipadroneggiare. E questo ultimo punto è dimostratodal fatto che questo studente non è stato in grado difornire il dato biologico richiesto. Altre risposte statisticamentemolto comuni sono le seguenti: «Lescimmie sono simili all’uomo perché camminano sudue gambe», «perché hanno uno scheletro», «perchéhanno un grosso cervello». Ovviamente ogni rispostaviene accuratamente smontata dall’operatore.Una risposta più interessante, ma ancora formalmentelontana da ciò che si è richiesto, è «Le scimmiesono simili all’uomo perché hanno le mani». Naturalmentela manus (l’estremità dell’arto anterioredotata di dita) è tipica di tutti i tetrapodi dal Devoniano(circa 360 milioni di anni fa) a oggi (con rare eccezioni)per cui la risposta non è accettabile. Da questarisposta deriva però una pletora di affermazioni:«perché con le mani possono stringere oggetti»,«perché con le mani possono prendere cose», etc.Alla fine di questo lungo percorso di ragionamentosi arriva al concetto di pollice opponibile, un concettoche la stragrande maggioranza degli studenti conoscegià per averlo studiato a scuola prima di arrivareal museo. Nel momento in cui la risposta correttaviene indicata («Le scimmie sono simili all’uomopiù di ogni altro animale perché scimmie e uomohanno il pollice opponibile») allora tutti gli studentisi meravigliano di non averci pensato prima e moltisi lamentano che si erano dimenticati questo dettaglio.Naturalmente ci sono anche altre caratteristichecorporee comuni a esseri umani e scimmie (sitratta dei caratteri diagnostici dell’ordine Primates)ma per motivi di tempo e di chiarezza in questa faseci si limita a richiedere questo particolare dettaglioagli studenti mentre altre caratteristiche (occhi frontalietc.) vengono presentate dall’operatore. Le rispostefornite alla domanda dell’operatore permettonodi fare alcune osservazioni. Dire che tutti i primaticamminano su due gambe significa o che glistudenti non hanno fatto mai esperienza di scimmie(improbabile: tutti sanno com’è fatto uno scimpanzé,un orango o un gorilla) o che gli studenti non dannopeso a ciò che conoscono di questi animali. Infattiquando l’operatore spiega il meccanismo locomotoriodello knuckle-walking quasi tutti gli studenti affermanodi conoscerlo.Un’altra domanda formulata dall’operatore alla qualegli studenti rispondono in modo molto variegata è lapresente: «Ci sono oggi altri animali bipedi oltre all’uomosul nostro pianeta?» Le risposte tipicamente148


L’evoluzione biologica nei percorsi e nei laboratori didattici di zoologia e antropologiaprevedono la sequenza che viene riportata di seguito:«L’uomo», «Le altre scimmie», «Il canguro», «Ilconiglio», qualche raro studente arriva a dire che ilserpente e il cavallo camminano su due gambe. Unasingola studentessa di III Elementare nell’anno 2006-2007 ha detto timidamente: «I pesci». L’operatorechiede esplicitamente di non tirare a indovinare masi direbbe che la strategia della classe è quella di direun gran numero di animali sperando di individuare larisposta giusta per puro caso. Qualcuno, dopo un po’,arriva a dire «La gallina», «Il gabbiano», «Il piccione»ma ci vuole un po’ perché gli studenti arrivino a generalizzaree a dire «Gli uccelli». Dopo che la rispostapiù generale è stata fornita ed è stata esaltata dall’operatore,alcuni studenti continuano a ripetere nomidi uccelli diversi convinti di dire qualcosa di nuovoe di corretto anche se in realtà stanno fornendoun’informazione ridondante e non più richiesta.Le risposte fornite a queste domande e la frenesiacon cui gli studenti si accalcano per rispondere (disolito sbagliando) mostrano una generale volontà dipartecipazione e di esibizione di sé stessi, ma unascarsa padronanza degli argomenti trattati e una altrettantoscarsa capacità di riflessione critica suglioggetti della questione. Nonostante ci sia una pausadi riflessione a seguito della domanda relativa al perchéle scimmie sono considerate gli animali più similiall’uomo, pure con grande difficoltà gli studenti arrivanoa dare una risposta al limite dell’accettabile edopo un percorso di affinamento che può durare parecchiminuti. Sembra quasi che si formi una sorta diblocco mentale che impedisce il ragionamento e l’osservazione.Oppure, in alternativa, preparandosi all’incontroal MSNM, gli studenti si sono limitati a studiarela lezione a memoria senza realmente comprendereciò che stavano studiando. È questa unapossibilità da considerare seriamente vista anche lagenerale inadeguatezza dei libri di testo nei quali gliargomenti evoluzionistici sono trattati con una certavelocità e con ben pochi schemi esplicativi. D’altraparte una certa superficialità da parte degli studentisi evince dalle risposte fornite alla domanda sul bipedismoin animali non umani che rende conto del fattoche esistono meccanismi comportamentali che portanogli studenti ad esibirsi anche se attraverso affermazioniche mostrano tutta la confusione che hannonella mente e una scarsa capacità di riflessione critica.Da questo punto di vista risultano premiate quellestrategie didattiche volte ad indurre una partecipazioneattiva alla lezione da parte di tutti gli studentima risultano altresì penalizzate le strategie didattichevolte a far sì che gli studenti comprendano realmenteciò che viene loro insegnato.Passato vs. presenteEsiste una generale difficoltà a parlare dell’evoluzionedegli organismi (e dell’uomo) dal momento cheper vari motivi è facile che nella mente degli studentisi generi una confusione tra presente e passato.Un primo elemento di confusione riguarda l’atteggiamentoche gli studenti delle Scuole Primarie hannonei confronti dei primati non umani: gli studenti parlanonormalmente delle scimmie al passato, come seoggi non vi fossero altri primati al di fuori dell’uomosul nostro pianeta. Ed è piuttosto difficile far capire abambini di 9 anni che in realtà esistono molte speciediverse di scimmie che vivono contemporaneamenteagli esseri umani. Questo punto è anche uno dei motiviche porta a far rispondere ad alcuni studenti chele scimmie sono gli animali più simili all’uomo perchél’uomo discende dalle scimmie: in altre parole,una volta c’erano le scimmie e poi queste si sono«evolute» in esseri umani; in questo modo è facileconcludere che grazie a questo meccanismo oggi cisono gli esseri umani e le scimmie non ci sono più.Naturalmente si tratta di una idea sbagliata che derivada un’immagine lineare del processo evolutivoche prevede la formazione, nella mente degli studenti,di una vera e propria schala naturae culminantecon l’origine della nostra specie. Per risolvere questoproblema occorre promuovere una comprensionedella filogenesi modellata sul concetto di «cespuglio»e non di scala. Occorre che gli studenti sappianoe comprendano profondamente il fatto che le specieche esistono oggi hanno milioni di anni di evoluzionealle spalle e occorre che imparino a capire ilconcetto di «antenato comune» che rende conto dellaparticolare situazione evolutiva nella quale sonoimplicati l’uomo e lo scimpanzé. Il concetto di antenatocomune dovrebbe essere anche in grado di consolidarel’idea dell’origine dell’uomo a partire da unparticolare gruppo di scimmie antropomorfe demolendoi preconcetti e le concezioni erronee, come adesempio quella secondo la quale uomo e scimmie antropomorfesi sono staccate a partire da un non-primate,cioè la tupaia [5]. In questo senso uno strumentodidattico non facile da usare ma di eccezionalepotenza è l’albero filogenetico. Comparando graficamentediversi alberi filogenetici è immediatamenteevidente la differenza tra le concezioni espresse149


dai vari autori, anche se nella maggior parte dei casisi evince chiaramente il fatto che l’antenato comunealle scimmie antropomorfe attualmente viventi el’uomo era una scimmia antropomorfa. Il problemaesaminato in questo paragrafo si ripresenta sottomolteplici forme durante lo svolgimento degli incontri.L’evoluzione umana viene illustrata al MSNM attraversol’uso di calchi di fossili e viene presentatacome una sorta di «viaggio nel tempo virtuale». L’operatorepone la massima cura nel separare bene ciòche fa riferimento al passato e ciò che invece fa riferimentoal presente. In generale il viaggio nel tempoviene effettuato in maniera il più possibile ininterrottain modo da non ingenerare confusione nella mentedegli studenti. Sfortunatamente, nel momento incui si devono trattare le prime conquiste tecnologichedegli ominidi si deve interrompere il viaggio neltempo e bisogna tornare al presente. Nella filosofiache sta alla base del percorso su origine ed evoluzionedell’uomo, in accordo con le linee espresse da Tibone[6] nel capitolo sull’evoluzione umana, assumeuna grande importanza la collocazione delle caratteristichefisiche e comportamentali umane all’internodel mondo naturale. In altre parole, dato che uno degliargomenti più importanti di questo percorso consistenel passaggio da scimmie antropomorfe a ominidi,occorre che gli studenti comprendano il fattoche le caratteristiche umane si sono originate a partireda caratteristiche non umane che possiamo rintracciarenelle scimmie antropomorfe. In questosenso risulta particolarmente efficace la narrazionedelle forme di cultura che sono state messe in luce all’internodi macachi, scimpanzé e altri primati pertrasmettere agli studenti un concetto di cultura chesia il più generale possibile e che sia biologicamenteben fondato. Inoltre, è molto importante che gli studenticonoscano le capacità manipolatorie dellescimmie antropomorfe che, in certi casi, sono in gradodi usare oggetti naturali con scopi ben precisi eche, in altri casi, sono in grado di progettare e realizzareveri e propri strumenti fino ad arrivare a scheggiarela pietra per ottenere lame e coltelli. La descrizionedi questi comportamenti nelle scimmie antropomorfeattualmente viventi riporta gli studenti allacredenza che ciò che viene descritto era parte del repertoriocomportamentale di primati che oggi nonesistono più essendo stati sostituiti dall’uomo che èportatore di una cultura materiale ben più sofisticata.Nonostante il fatto che la coesistenza di uomo escimmie antropomorfe sia stata pienamente affermata,sottolineata ed enfatizzata dall’operatore trattandodel bipedismo, pure la credenza che le scimmieabbiano preceduto l’uomo appare così radicatanelle menti degli studenti da riaffiorare di continuocostringendo l’operatore a riprendere di nuovo il discorsosulla contemporaneità dei primati attualmenteviventi e i concetti di filogenesi già spiegati.In conclusione, si direbbe che agli studenti manchinodue concetti fondamentali grazie ai quali i problemienunciati in questo paragrafo dovrebbero poteressere risolti: il concetto di filogenesi e quello di biodiversità.Gli studenti mostrano un approccio eminentementestorico alla biodiversità dei primati e apparentementedimenticano o ignorano il fatto che attualmente,sul nostro pianeta, esiste una diversitàprimatologica importante. Essi inoltre non hannochiaro il fatto che questa diversità ha avuto una suastoria evolutiva e che i rapporti di parentela tra lespecie attualmente viventi possono essere illustratida alberi filogenetici interpretabili come successionedi eventi di speciazione a partire da una sequenzadi antenati comuni. Per procedere allo studio dell’evoluzioneumana nella maniera più corretta apparedunque fondamentale la conoscenza dei primati attualmenteviventi. Sfortunatamente, le scuole chehanno frequentato i percorsi del MSNM solo in rarissimicasi hanno optato per questo tipo di approccioprenotando il percorso N. 1 del Laboratorio di Antropologiaper l’appunto intitolato I Primati.Story-tellingMentre la disponibilità di documentari, film e librisulla storia naturale può aiutare a costruire una dettagliatamappa della diversità animale in bambini dai3 ai 6 anni, questi stessi mezzi di comunicazione sonoin grado di costruire delle credenze molto radicatenelle menti di bambini dai 6 anni in avanti indipendentementedalla qualità delle informazioni che attraversodi essi vengono trasmesse. Per esempio, inun recente documentario è stata narrata per immaginila vita di uno degli australopiteci più famosi: Lucy.In questo documentario si sono visti momenti di vitacome il camminare, l’attraversare fiumi, la gravidanza,l’alimentazione e aspetti della vita emotiva nondocumentabili attraverso l’indagine scientifica (qualiil disinteresse verso membri del gruppo feriti o morenti).Ebbene, questo documentario si è impressocosì vividamente nella mente di un gran numero dibambini di III Elementare che è difficilissimo far capireloro che si tratta di una ricostruzione frutto in150


L’evoluzione biologica nei percorsi e nei laboratori didattici di zoologia e antropologiagran parte delle scelte registiche di un documentaristae che molte delle cose ivi illustrate non possonoessere date per buone. La narrazione rappresenta unmeccanismo potentissimo di trasferimento di informazioni.Essa è dunque in grado di costruire credenzee sistemi di credenze che si radicano assai fortementenelle menti dei giovani studenti. Mentre lanarrazione può essere molto importante per iniziarea fornire informazioni embrionali sulla diversità degliesseri viventi a bambini in età pre-scolare, essatende ad essere immagazzinata come verità incontrovertibileda studenti delle Scuole Primarie. Il suouso scolastico ed extra-scolastico dovrebbe dunqueessere calibrato attentamente da personale adeguatamentepreparato in grado di comprendere pienamentela bontà dell’informazione che attraverso lanarrazione viene veicolata.ConclusioniDalle osservazioni espresse in questo studio si possonoevincere le seguenti conclusioni.Gli studenti mostrano una generale attenzione e unnotevole interesse verso gli argomenti oggetto delladidattica svolta nell’ambito del Laboratorio di Antropologiadel MSNM. Essi apprezzano le lezioni e le visitealle sale del museo e interagiscono continuamentecon l’operatore partecipando attivamente agliincontri attraverso contributi che vanno dalla narrazionedel loro vissuto personale alle risposte alle domandeformulate dall’operatore.Mentre le strategie didattiche volte a far sì che glistudenti partecipino alle lezioni in maniera attiva risultanovincenti, in quanto i bambini effettivamentepartecipano con un certo trasporto alle lezioni, quellevolte a far sì che gli studenti apprendano in manieracritica le informazioni che vengono loro trasmesserisultano in gran parte fallimentari. I bambini imparanomolte cose a memoria ma non sono quasi maiin grado di utilizzare le informazioni imparate per risponderea domande precise formulate in un contestoextra-scolastico. In generale si nota una tendenzaa rispondere in maniera casuale alle domande senzauna vera e propria riflessione. È opportuno che gli insegnantivigilino su questi meccanismi e che approfondiscanoil livello di conoscenza e di comprensioneottenuto dai loro studenti.Nelle menti degli studenti si formano diversi cortocircuitilogici dovuti al mancato sviluppo di una pienacomprensione di concetti biologici importanti. Inparticolare, esiste una generale tendenza alla formazionedi un concetto di schala naturae nella mentedegli studenti per cui tutte le scimmie si sono trasformatein esseri umani; questo concetto porta un grannumero di studenti a credere che i primati non umanisiano una realtà del passato e che oggi non esistanopiù. Inoltre, la descrizione del processo evolutivoumano in termini narrativi conduce gli studenti aprendere per vere le narrazioni di ipotetici momentidi vita di primati estinti (tra cui ominidi) veicolate attraversodocumentari-fiction molto attraenti dal puntodi vista grafico. È noto che la narrazione rappresentaun meccanismo molto potente attraverso ilquale è possibile trasmettere informazioni e il suoutilizzo a fini didattico-educativi è ragionevole. Èperò fondamentale tenere presente il fatto che attraversola narrazione è possibile trasmettere un grannumero di informazioni non direttamente attinentiall’argomento di cui si sta trattando, informazioniche spesse volte non sono supportate da prove scientifiche.In virtù della sua potenza, la narrazione diquesti aspetti non scientificamente provati può radicarenella mente degli studenti credenze non accettabilisul piano scientifico e di difficile eradicazione.La narrazione, come meccanismo didattico-educativo,andrebbe dunque usata con grande cautela e dovrebbeessere sempre assistita da personale adeguatamentepreparato che sia in grado di far discernereagli studenti ciò che può essere dimostrato attraversol’evidenza da ciò che invece dipende dalla fantasiadei registi.Uno dei più importanti problemi della Biologia contemporaneaè rappresentato dal fenomeno della biodiversitàe dei processi che sono stati responsabilidella formazione dell’attuale diversità biologica sulnostro pianeta. Gli studenti che hanno frequentato ipercorsi del Laboratorio di Antropologia e del Laboratoriodi Zoologia hanno mostrato una generalescarsa conoscenza del fenomeno e una scarsa capacitàdi riflessione e di ragionamento sulle forme esulle abitudini degli animali. Lo studio della diversitàdella vita rappresenta il punto di partenza per unapiena comprensione dell’evoluzione biologica e dell’evoluzionedell’uomo. È opinione degli scriventiche gli insegnanti debbano porre una maggiore attenzioneall’analisi di questo fenomeno per metteregli studenti in condizioni di poter affrontare argomentivia via più complessi e più legati ai meccanismidell’evoluzione biologica. In caso contrario, la rispostadegli studenti ad una presentazione superficialedi questo fenomeno o alla sua totale omissione è co-151


stituita da una cattiva comprensione, dalla formazionedi preconcetti e di sintesi personali basate suinformazioni (spesso erronee) raccolte in ambientiextra-scolastici. Questo tipo di risposta porta, insiemecon quanto esposto precedentemente, alla formazionedi credenze non scientificamente informatedi difficile o difficilissima eradicazione.Gli insegnanti hanno a disposizione uno strumentomolto importante e utile alla comprensione del processostorico che ha condotto all’origine dell’attualebiodiversità (entro la quale si colloca l’uomo): l’alberofilogenetico. È questa una rappresentazione schematicache rende conto dei tempi dell’origine dellespecie e del fatto che le specie che vediamo oggi sonoil risultato di lunghi periodi di evoluzione indipendentea partire dall’antenato che condividono conspecie a loro particolarmente imparentate. L’alberofilogenetico è uno strumento eccezionale per la suagenerale intuitività e perché è in grado di veicolaremolte informazioni in immagini facilmente comprensibilie memorizzabili. Naturalmente è necessarioche gli insegnanti spendano del tempo per trasferireagli studenti un vocabolario in grado di consentire lorouna autonoma interpretazione degli alberi filogeneticiin maniera metodologicamente corretta.È possibile che gli operatori del CEA del MSNM continuinoad effettuare percorsi didattici e di laboratoriosugli argomenti di cui si è parlato in questo studio.Tuttavia, è fondamentale che gli insegnanti cooperinoattivamente con il mondo dell’università e dellaricerca scientifica affinché si possano veicolareagli studenti non solo le nozioni ma anche i metodi egli strumenti interpretativi di cui hanno bisogno persviluppare la propria, indipendente capacità di ragionamentocritico. È questo uno dei fini della ricerca edella cultura scientifica in generale che dovrebbe essereperseguito attraverso un processo di più attivaintegrazione tra scuole di diverso ordine e grado,editoria scolastica e mondo della ricerca.[4] J. Finarelli, W. Clyde, Paleobiology 2004, 30:614.[5] S. Pavone, B. Gallicano, Biologia. Le Monnier,Firenze: 1999.[6] F. Tibone, Facciamo scienze. Volume B, Vita.Zanichelli, Bologna: 2004.Bibliografia[1] MIUR, I nuovi ordinamenti scolastici. Strumentie materiali per l’innovazione. Ufficio RegionaleScolastico per la Toscana, 2004.[2] Ministero Pubblica Istruzione, Indicazioni peril curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primociclo di istruzione. Roma: 2007.[3] T. Pievani, In difesa di Darwin. Bompiani, Milano:2007.152


20 / Sez. Divulgativa«I Musei narrano la Scienza»:un progetto educativoMaria Rosaria Ghiara* 1 , Carmela Petti 1 , Angela Mormone 2 , Manuela Rossi 2Parole chiave: musei, educazione e didattica museale, scienze della TerraI musei svolgono una funzione educativa sempre più incisiva e, operando di concerto con la scuola, possonocontribuire a migliorare il livello dell’istruzione pubblica ampliando il panorama delle informazioni.Il Centro Musei delle Scienze Naturali dell’Università di Napoli Federico II ha ideato, sulla base di indicazionifornite dai docenti delle scuole elementari, medie e superiori, il progetto «I Musei narrano laScienza».Il progetto ha la finalità di iniziare i giovani alla curiosità scientifica, al rispetto della natura e alla conoscenzadel patrimonio museale.Sono stati elaborati percorsi didattici per i diversi cicli scolastici, che si basano sull’attenta osservazionedei reperti del museo, potenziando così, nei giovani, la capacità di analisi. Questi oggetti reali, custoditiin luoghi ricchi di storia, consentono di far conoscere ai giovani il ruolo fondamentale che la scienzaha avuto e continua ad avere nello sviluppo della società civile.Nell’esecuzione del progetto un importante ruolo è stato svolto dagli operatori museali. Il dialogo costruttivocon gli operatori ha consentito agli studenti di interiorizzare facilmente i concetti scientifici edi cogliere i molti aspetti del nostro pianeta con il quale certamente hanno instaurato un rapporto piùcorretto.PremessaSono trascorsi ben sedici anni da quando il Parlamentoitaliano ha approvato la Legge 113 ∗ chepone solide basi atte a favorire la diffusione dellacultura scientifica e la valorizzazione del patrimoniotecnico-scientifico di interesse storico conservatonei musei del nostro Paese. La Legge 113 favoriscela valorizzazione ed il potenziamento delle istituzioniimpegnate nella diffusione della cultura scientifica,sostiene l’istituzione di nuove strutture e, in particolare,auspica un loro efficace ed incisivo coordinamento.Purtroppo quanto auspicato non si è verificatoe l’Italia appare, ancora oggi, un paese refrattarioallo sviluppo della scienza; il calo delle iscrizionialle facoltà scientifiche e le più o meno esplicite rimostranzemosse al mondo della scienza da alcune frangedella società, sono una chiara testimonianza diquesto infausto clima.Nei fatti sono state supportate solo poche istituzioni,per motivi essenzialmente politici, e alcune insistentinelle regioni a statuto speciale; l’auspicato coordinamento,infine, è del tutto inesistente.Fra le varie componenti che hanno contribuito a farperdere fascino e credibilità alla scienza sicuramenteun ruolo fondamentale è giocato dal modo in cui lastessa è presentata. In merito, non esistono »lineeguida» univoche ed universalmente accettate su comecomunicare la scienza. I convegni internazionalidi Public Communication of Science and Technologytrattano prevalentemente dell’interazione fra scienziatie giornalisti scientifici e quindi, della comunica-153


zione scientifica tramite articoli su quotidiani e periodicio per mezzo di trasmissioni televisive. La comunicazionescientifica nei musei, negli science center onella stessa scuola è del tutto ignorata.Per modificare questa tendenza i musei scientificidevono impegnarsi sempre di più nel campo della divulgazionescientifica. È più che mai necessario,quindi, portare a conoscenza dei cittadini, sin daquando sono studenti, i progressi conoscitivi conseguitigrazie alle ricerche scientifiche ed i relativi beneficiper la collettività. Carlo Rubbia suggerisce diseguire gli insegnamenti del grande Galileo: « Nel divulgarela scienza Galileo cercava di risvegliare lospirito scientifico moderno nelle menti del maggiornumero possibile di persone. Cercò di portare lascienza fuori dalla cerchia ristretta degli scienziati facendoneun fenomeno di interesse generale che permeassetutti i livelli della società. E mise un’energiastraordinaria in questo tentativo… Imitiamolo in manierapiù umile ma ugualmente infaticabile».Il pubblico dei musei scientifici è costituito essenzialmenteda scolaresche. Ciò impone alla didattica museale[1] precisi criteri che, solo se funzionali con leattività scolastiche, produrranno un efficace apprendimentonei giovani visitatori [2].Non va dimenticato, infine, che il percorso formativonon si limita a quanto sviluppato nelle aule scolastichee che, sempre più, gli studiosi suggeriscono diutilizzare l’innata capacità educativa dei musei.Il ruolo dei musei scientificiNel corso della «storia», i musei hanno spesso modificatoil proprio ruolo in funzione di precise richiesteed esigenze sociali [3]. In merito a tali mutamenti, EilenHooper-Greenhill [4] ha sottolineato che i museiesplicano in maniera ottimale la loro funzione di offrire«conoscenza» solo se le innovazioni e le tradizionisono sapientemente bilanciate.I musei siano essi d’arte o scientifici sempre più devonolegittimare la propria esistenza in quanto istituzioniche simboleggiano la nostra storia e la nostracultura [5]. Pertanto il compito fondamentale deimusei scientifici nell’attuale millennio è senza dubbioquello di rendere la scienza accessibile a tutti icittadini sottolineando il ruolo fondamentale che essaha avuto e che continua ad avere nello sviluppodella società civile. Ciò ha richiesto una precisa specializzazionedegli operatori museali e una definizionedelle personalità e dei comportamenti degli utentidel museo [6]. A tal fine sono state intensificate lecollaborazioni tra i musei scientifici e gli esperti di didatticamuseale e di pedagogia sperimentale [7] chehanno consentito di formulare tecniche di presentazioneed informazione atte a rendere le visite ad altoimpatto cognitivo [8].In particolare, i musei scientifici «storici» fortementecollegati allo sviluppo storico-sociale del proprioterritorio, si caratterizzano per la presenza di collezioniper buona parte connesse alla didattica ed allericerche; sono veri e propri archivi della memoriadell’evoluzione scientifica che gli studenti devonopoter aprire ed esplorare [9]. Le collezioni sono ingrado di trasmettere ai giovani stimoli e suggestionitali da suscitare la loro curiosità, elemento essenzialeper attivare il desiderio di conoscenza [10].Guida scientifica, operatore didattico, animatore…Una categoria senza un nome, senza tutelaIn un articolo del dicembre 2005 sul Journal of ScienceCommunication, Paola Rodari e Maria Xanthoudaki[11] illustrano il ruolo e le varie tipologie «dell’esercitodi persone, in gran parte costituito da giovanistudenti, che accoglie i visitatori nei musei, sciencecenter, mostre, laboratori, festival, etc», ovvero «l’interfacciaumana» tra il museo ed il pubblico.L’importante ruolo di questa categoria è testimoniatodalla presenza, nel convegno del giugno 2005, delCSITE (European Collaborative for Science and TechnologyExibitions), di ben due sessioni di discussionecentrate su questo tema.In sintesi, è emerso che questa categoria, definitaora «animatore» ora «guida scientifica» oppure «educatormédiateur», non ha un univoco profilo profes-gli autori1 Centro Musei delle Scienze NaturaliUniversità degli Studi di Napoli Federico II,via Mezzocannone, 8 - 0134 Napoli2 Dipartimento di Scienze della TerraUniversità degli Studi di Napoli Federico II,via Mezzocannone, 8 - 80134 Napoli* autore per corrispondenzamghiara@unina.it154


«I Musei narrano la Scienza»: un progetto educativosionale né tanto meno una formazione omogenea eciò non solo fra i vari paesi, ma anche nell’ambito dellostesso paese e delle diverse istituzioni.È noto che il linguaggio scientifico è rigoroso; ci sidomanda: perché coloro che comunicano la scienzanon devono essere esclusivamente individuati suqueste basi e confusi o assimilati agli «animatori»,simpaticissimi signori che ci fanno divertire nei villaggidelle vacanze? Il significato della parola è importantee non deve ingenerare false attese, non deveingenerare confusione!Va inoltre rimarcato che chi fa comunicazione scientificanon fa attività ludica; si è fortemente scivolati inuna cattiva interpretazione dei modelli diffusi negliUSA che vedevano nella sola strada del gioco l’accessoalla conoscenza. È auspicabile che chi fa comunicazionescientifica si attenga alla prassi scientificaeuropea che vede, nei ragazzi, uomini in formazione.In merito alla comunicazione scientifica, EmilianoRicci, nel suo libro «La magia della scrittura» [12], afferma:»Il principale problema nel comunicare lascienza è quello del linguaggio» e precisa «chi devecomunicare la scienza si trova nel ruolo di interpreteche traduce da una lingua complessa a una lingua piùaccessibile» ma che non deve perdere il rigore e laprecisione. Va inoltre sottolineato che la crescita dirichiesta di cultura, connessa con lo sviluppo del turismoculturale che ha aperto la porta al cosiddetto«valore economico associabile ai musei» [13], nonautorizza a svilire la professionalità e la funzione dichi è impegnato a comunicare la scienza, né il ruolodel museo.In merito, si è ingenerata una pericolosa confusionefra educazione museale e marketing dei musei ∗ . Dueaspetti importanti ma che non vanno confusi. NicolettaGazzeri, nel seminario »Educazione museale emarketing: per una definizione non conflittuale diambiti e scopi» tenutosi ad Alba del 2004, ha sottolineatoche il problema nasce in assenza di equilibrio eprecise distinzioni fra questi due aspetti del mondomuseale.Occorre rimarcare, infine, che il dilettantismo inscienza è estremamente dannoso poiché laddove dovrebberegnare il rigore ci si imbatte nel pressappochismo,e dove bisognerebbe incontrare una visioneampia e articolata si rischia di entrare nel particolarismosemplicistico. In sintesi, se si continua a percorrerequesta strada si allontana sempre più il cittadinodalla scienza e, dequalificando le professionalità, sirinuncia ad educare.La struttura proponente il progettoIl Centro Musei delle Scienze Naturali dell’Universitàdegli Studi di Napoli Federico II, istituito nel1992, è costituito dai seguenti quattro musei: RealMuseo Mineralogico (1801), Museo zoologico(1813), Museo di Antropologia (1881), Museo di Paleontologia(1932). Il Centro occupa una superficiedi circa 4000 mq ed il patrimonio museale è costituitoda più di 150.000 reperti. Grazie al non indifferenteimpegno economico messo a disposizione dall’Universitàdegli Studi di Napoli Federico II per sostenerele sue attività, i musei sono aperti al pubblico dallunedì alla domenica e anche nei giorni festivi.L’alto valore scientifico e storico delle collezioni, ingran parte legate a ricerche effettuate sin dagli ultimianni del Settecento dai ricercatori che operaronoe operano presso l’Ateneo Fridericiano, e il rilevanteinteresse artistico e culturale delle sale espositive[14] ne fanno una struttura che si pone in chiara evidenzanei confronti delle altre istituzioni museali nazionalied internazionali.Nella veste di educatore e di divulgatore della scienzasi rivolge a soggetti eterogenei che vanno daglistudenti di ogni ordine e grado, ai cultori ed amantidel mondo della natura ed a chi desidera ampliare ilproprio bagaglio di conoscenze [15]. Il Centro Musealeha conseguito un’ampia esperienza in meritoalle diverse categorie di pubblico per le quali ha predispostospecifiche opportunità di fruizione.Perché il progetto educativo?Dalla bibliografia si evince che il museo è un luogoeducativo interattivo che si caratterizza per il trasferimento,tramite i reperti, delle conoscenze scientifiche.Richard Sandell [16] sostiene che i musei contribuisconoai processi di «inclusione sociale a livello individualee di comunità» e sottolinea, inoltre, che parteciparealle attività dei musei può produrre esiti positivinon solo a livello individuale, quali l’incrementodell’autostima o della creatività, ma anche a livello diintere comunità quale «catalizzatore per la rigenerazionesociale». Il museo è quindi un luogo di incontroe di scambio culturale ove si apprende dalle collezioni,dalle mostre e dai percorsi didattici realizzati.I musei naturalistici della Federico II si trovano inuna regione che rappresenta, per gli elementi geologici,paleontologici e mineralogici, per le rarità biologichee i paesaggi spettacolari, un’area a forte voca-155


zione naturalistica. A fronte di questo straordinariopatrimonio, sono operanti solo sporadiche struttureidonee all’educazione naturalistica e alla valorizzazionedel territorio.Il Centro, nei suoi quindici anni di attività, si è fortementeimpegnato a sperimentare e mettere a puntotecniche di comunicazione scientifica per trasmettereconoscenza e messaggi tesi al rispetto e alla protezionedegli ambienti naturali, cercando di sviluppareun legame emotivo e spirituale fra il cittadino e la natura.Mai come in questo momento storico la regioneCampania necessita di abitanti che si impegnino perproteggere il territorio dallo scempio.Stephen Jay Gould biologo, geologo e noto divulgatorescientifico, ha ben sottolineato che «non si lottaper salvare qualcosa che non si ama», e l’assenza diconoscenza induce a non amare la natura.Il progetto è stato ideato e realizzato per favorire e facilitarel’apprendimento delle scienze naturali e perporre solide basi al concetto che il rispetto del patrimonionaturalistico è un dovere e che deve essere unelemento costante che ci accompagna per tutto l’arcodella vita [17].Il progetto vuole far conoscere al meglio il mondodella scienza poiché un giovane che impara a correlarecon metodo scientifico i dati ottenuti dalle sueosservazioni sarà sempre in grado di elaborare ragionamentiaffidabili e saprà fare scelte corrette.Il progetto educativo: «I Musei narrano laScienza»In numerosi incontri con docenti della scuola èemerso che la mineralogia e la litologia sono disciplinequasi sempre non adeguatamente trattate nel corsodelle lezioni di scienze. Muovendo da questi contattiè stato predisposto un progetto educativo che harecepito queste esigenze e che è parte integrante diun protocollo d’intesa con la Direzione Generale dell’UfficioScolastico Regionale per la Campania.Elemento essenziale di tutte le tecniche di comunicazionemuseale è la centralità dei «reperti» che riesconoa trasmettere, con relativa facilità, importanti ecomplessi concetti scientifici.Pertanto, nell’organizzazione del percorso didattico,particolare cura è stata rivolta alla scelta dei reperti,che devono avere valenza storica e scientificaper veicolare in maniera incisiva le conquiste dellascienza e le potenzialità degli studi scientifici nelmigliorare la vita dell’uomo senza interferire negativamentesull’ambiente.I progetti che coinvolgono il mondo della scuola sonodi non facile attuazione per i seguenti motivi:a) riluttanza e diffidenza degli insegnanti ad intraprenderenuove sperimentazioni; b) limitazione dellerisorse economiche disponibili e mancanza di personalespecializzato; c) necessità di predisporre percorsididattici differenziati in relazione all’età dei discentie alla tipologia della scuola di provenienza; d)necessità di svolgere un lavoro continuativo e nonsaltuario; e) organizzare attività di laboratorio checonsentano agli studenti di verificare e sperimentareautonomamente [18].Tralasciando il punto a) e parte del punto b) la cuitrattazione esula da questo articolo, per il Centro èstato prioritario preparare gli operatori che illustranoi percorsi didattici. Poiché il Centro non ha fra il personalestrutturato questa figura professionale, sonostati selezionati e formati giovani laureati in disciplinenaturalistiche, afferenti ad associazioni onlus.Gli operatori museali presentano agli insegnanti estudenti, una serie di percorsi didattici caratterizzatida diverse tematiche, illustrandone le finalità essenziali.Scelto il percorso, inizia una sorta di viaggio virtualealla scoperta della natura dove gli studenti ed ireperti sono i protagonisti e l’operatore funge da importanteintermediario il cui compito è quello di facilitarela metamorfosi degli oggetti in concetti scientifici.I percorsi hanno come obiettivo primario, nonsolo quello di far conoscere le scienze, ma anche difar comprendere che nei territori, anche se fortementeantropizzati e degradati, ci si può adoperareper migliorare la situazione ambientale.Gli operatori museali, nell’organizzazione esplicativa,non tralasciano gli elementi letterari, storici, socialie artistici largamente presenti nei quattro museinaturalistici della Federico II e pongono particolareaccento sulla centralità dell’uomo nell’avanzamentodelle conoscenze.Per quanto attiene il punto c) sono stati predispostipercorsi didattici di due livelli: uno calibrato per glistudenti delle scuole elementari e delle scuole medieinferiori, ed uno per le scuole medie superiori. I percorsisono costruiti evitando una eccessiva specializzazione,al fine di non incutere nello studente un sensodi soggezione, e le informazioni sono fornite informe semplici, cercando di mettere in chiara evidenzaquei fenomeni naturali che spesso non sonopalesi o che non emergono spontaneamente.La moderna ricerca scientifica nel campo delle scienzenaturali, inoltre, tende ad analizzare i singoli argo-156


«I Musei narrano la Scienza»: un progetto educativomenti sotto molteplici angolazioni ed a ricercare leopportune correlazioni. Questo è un aspetto particolarmentecurato nella programmazione dei percorsi.In sintesi, lo studente è continuamente incoraggiatoad analizzare ed esplorare autonomamente i complessisistemi naturali [19]. Gli studenti sono coinvoltiin prima persona in quanto è data loro la possibilitàdi interagire manualmente con i reperti e di osservaregli stessi con strumenti di facile uso (punto e).In merito al punto d) ogni percorso consente di approfondiresolo alcuni aspetti delle discipline naturalistichee solo al termine dell’intero ciclo di visite lostudente avrà realizzato un percorso formativo completoed interiorizzato gli elementi essenziali delmondo della natura.Le offerte educative sono soggette alla valutazioneper stimarne la produttività e l’impatto cognitivo.Pertanto gli studenti compileranno delle schede predisposteda colleghi del Dipartimento di Scienze dell’Educazionee del Laboratorio di Pedagogia sperimentaledell’Università degli Studi di Roma 3 e cheverranno da loro elaborate.Qui di seguito vengono descritti, a titolo d’esempio,due percorsi formativi, scelti tra i dodici predisposti.Percorso didattico di primo livello «In laboratoriocon Michelangelo», tematica trattata: il colore deiminerali e la pittura.Sono previsti due incontri da due ore ciascuno.Il percorso inizia con la visita guidata nelle sale delmuseo. L’operatore museale condurrà gli studentiverso le vetrine dove sono esposti bellissimi repertidagli splendidi colori; si soffermerà di fronte a quellein cui sono esposti minerali che, pur essendo schedaticon lo stesso nome, presentano colorazione marcatamentedifferente. Nei giovani visitatori nascerannospontanee richieste di spiegazione concernenti l’origineed il perché delle variazioni di colore. Sarà l’operatoremuseale che, a seconda del livello scolastico,spiegherà l’assorbimento selettivo della luce solarepolicromatica e quindi la comparsa, nei minerali, deicolori. Il percorso proseguirà con le attività svolte autonomamentein laboratorio. Qui ogni studente faràosservazioni dirette su cristalli e rocce, effettuerà osservazionial microscopio e scoprirà interessanti fenomenilegati all’interazione tra il raggio di luce e ilminerale. Preliminarmente saranno state illustratein forma schematica le varie parti di un microscopio.Dopo aver appreso che i minerali sono stati utilizzatidall’uomo per produrre tempere e malte colorate sindalla preistoria, come testimoniano le pitture rupestri,i ragazzi vedranno un cortometraggio tratto dalFigura 1: Studenti di 4a elementare in visita alReal Museo Mineralogico.film « La ragazza con l’orecchino di perla» in cui è riprodottoil clima della bottega del pittore olandeseJan Vermeer (1632-1675). Nel filmato è ben documentatoil lavoro di preparazione dei colori sin dalmomento dell’acquisto dei minerali che avveniva infarmacia. I garzoni e lo stesso artista passavano giornateintere a macinare e miscelare malachite, cinabro,lapislazzuli, ocra. Agli studenti saranno mostratii minerali citati nel filmato e ne saranno illustrate leproprietà e la genesi. L’operatore museale si soffermeràanche ad illustrare le caratteristiche mineralogichedelle cosiddette terre coloranti e delle ocre efarà riferimenti alla moderna industria del colore. Aquesto punto il laboratorio si trasformerà in una bottegarinascimentale e con l’ausilio di mortai, di spatole,oli e altri strumenti di lavoro, gli studenti imparerannoa ottenere pigmenti provenienti dal mondo naturalecon i quali realizzeranno un dipinto.Percorso didattico di secondo livello «Dal museo alcomplesso vulcanico del Somma-Vesuvio».Tematica trattata: inquadramento geo-vulcanologicodel Somma-Vesuvio; minerali e rocce.Sono previsti due incontri da due ore ciascuno e unescursione di cinque ore.È un percorso educativo che vuol far conoscere ilcomplesso vulcanico del Somma-Vesuvio e le problematicheconnesse con il rischio vulcanico su cui imedia di tutto il mondo discutono molto.Gli operatori museali iniziano il percorso con la «storia»del complesso vulcanico e, avvalendosi di rappresentazionigrafiche, di modelli tridimensionali edi brevi filmati, mettono in chiara evidenza l’alternarsidi manifestazioni laviche effusive e di manifesta-157


Figura 2-3: Studenti di 5a elementare impegnati nel percorso educativo «In laboratorio con Michelangelo».zioni esplosive. Queste ultime sono descritte conparticolare cura sia per quanto attiene la loro dinamicache la loro capacità distruttiva di cui vengono illustratiesempi storici.Si passa quindi, a visionare le collezioni di minerali erocce di cui il Real Museo di Mineralogia è particolarmentericco; alcune collezioni sono considerateuniche e sono meta di numerose visite anche da partedegli specialisti.Gli studenti spesso restano sorpresi dalla notevolevarietà di specie cristalline prodotte dal Somma-Vesuvio.I minerali vengono presentati nella loro realegiacitura e lo studente realizza, con relativa facilità,che esistono precise relazioni tra minerali e ambientedi formazione. Lo studente imparerà a distinguerei minerali di alta temperatura presenti nelle lave daquelli di relativamente bassa temperatura connessicon le attività fumaroliche ed idrotermali; quello cheera un quadro mineralogico complesso e diversificatodiviene agli occhi dello studente un quadro via viapiù semplice in cui riesce a leggere precisi messaggiscientifici. Tra questi le strette relazioni tra l’abbondanzadei gas ed il carattere esplosivo di alcune manifestazioni.Gli operatori museali puntualizzerannoche il controllo delle manifestazioni gassose in atto èun metodo per stabilire la pericolosità di un vulcano.In laboratorio e con l’ausilio dei microscopi gli studentirivedranno in dettaglio gli aspetti mineralogicie petrografici discussi durante la visita alle collezionicui potranno aggiungere nuovi elementi quali quellirelativi alle sequenze di cristallizzazione e alla stabilitàdei minerali.Il percorso didattico, infine, contempla una escursionedi cinque ore al complesso vulcanico del Somma-Vesuvio. Gli studenti rivedranno rocce e minerali macon un occhio ormai allenato a cogliere gli elementiimportanti, inoltre, prenderanno visione delle apparecchiatureinstallate per segnalare con congruo anticipo,eventuali riprese dell’ attività. Il Vesuvio nonsarà più visto come un pericolo incombente ma comeun luogo che ci aiuta a comprendere meglio la dinamicadel nostro pianeta.Note∗Nuova legge sulla divulgazione della cultura scientifica.∗Da Lewis, 1991: marketing è il processo di gestione checonferma la missione di un museo ed è responsabile dell’efficienteidentificazione, anticipazione e soddisfazione deisuoi utenti.Bibliografia[1] E. Nardi, Didattica generale e didattica museale:continuità e autonomia. CADMO, Anno V,13/14, 1997: 47-53.[2] B. Vertecchi, Il museo come dimensione dell’apprendimento.CADMO, Anno V, 13/14, 1997:75-84.[3] S. Alpers, Il museo come modo di vedere. In:Culture in mostra Politiche e politiche dell’allestimentomuseale, a cura di I. Karp, S.D. Lavine,CLUEB, 1995: 4-13.[4] E. Hooper-Greenhill, I Musei e la formazionedel sapere. Le radici storiche, le pratiche del presente.Il Saggiatore, 1992: pp. 286.158


«I Musei narrano la Scienza»: un progetto educativo[5] M. De Luca, Comunicazione ed educazionemuseale. In: Comunicare la cultura Franco Angeli,Napoli: 2007.[6] E. Nardi, L’esperienza del Museo. Un’indaginesul pubblico in Italia. In: Musei e Pubblico. Unrapporto educativo a cura di E. Nardi, Franco Angeli,2004: 11-34.[7] L. Solima, Dall’informazione alla conoscenza:indagine sulla comunicazione nei musei italiani. In:Museo e pubblico un rapporto educativo a cura diE. Nardi, Franco Angeli, Milano, 2004: 113-127.[8] A. Nuzzaci, Esposizioni temporanee e collezionipermanenti. Un’analisi comparata dei pubbliciper migliorare la qualità della proposta didattica.In: Musei e Pubblico. Un rapporto educativo a curadi E. Nardi, Franco Angeli, 2004: 35-66.[9] M.R. Ghiara, C. Petti, Didattica e minerali,ovvero duecento anni di Museo. CADMO, Anno IXn. 27, 2001: 115-121.[10] E. Nardi, Evoluzione e continuità della didatticanei musei scientifici. In: Atti del Bicentenariodel Real Museo Mineralogico a cura di M.R. Ghiarae C. Petti, 2001: 65-73.[11] P. e M. Rodari, M. Xanthoudaki, Journal ofScience Communication 4 (4): 2005.[12] E. Ricci, Divulgazione scientifica: dialogo trascienza, giornalismo e persuasione. In: La magiadella scrittura, Sperling & Kupfer: 2005.[13] L. Solima, La gestione imprenditoriale deimusei. CEDAM, A. Milanesi, Padova: 1998.[14] Aa.Vv., I Musei Scientifici dell’Università diNapoli Federico II, a cura di A. Fratta, FridericianaEditrice Universitaria, Napoli: 1999.[15] E. Nardi, I Musei universitari: un laboratorioper la didattica. In: Atti del Convegno Decennaledel Centro Musei delle Scienze Naturali 1992-2002, a cura di M.C. del Re e di M.R. Ghiara, Napoli,2003: 45-48.[16] R. Sandell, Social inclusion, the museum andthe dynamics of sectoral change. In: Museum andsociety, 1 (1), 2003: 45-62.[17] F. Pesarini, Musei di Scienze Naturali. In:Leggere il Museo Proposte Didattiche, a cura di E.Nardi,. SEAM editore, 2001: 163-196.[18] J. Bloom, I musei della scienza e della tecnicadi fronte al futuro. In: Scienza in pubblico: Museie divulgazione del sapere, a cura di J. Durant,CLUEB, 1998: 17-32.[19] F. Drugman, Imparare dalle cose. In: Impararedalle cose. La cultura materiale nei musei, acura di R. Riccini, CLUEB, 2003: 11-23.159


21 / Sez. DivulgativaLa redazione della Carta dello Statodi Conservazione della Natura a supportodella gestione naturalistica di un Sitod’Importanza Comunitaria: il caso delle Collinedelle Cerbaie e del Padule di BientinaStefano Bacci* 1 , Andrea Bernardini 1 , Raffaello Corsi 2 , Francesca Malfanti 2 ,Massimiliano Petrolo 1Parole chiave: fitocenosi, vegetazione potenziale, piano di gestione, emergenze naturalistiche,sfagneta, sito d’importanza comunitariaIl presente studio deriva da una più ampia progettualità promossa e condotta in seno al Polo Ambientale«Colline delle Cerbaie/Padule di Bientina», istituzione pubblica che riunisce la Provincia di Pisa e leAmministrazioni Comunali insistenti sui territori del SIC e dei SIR «Cerbaie» (SIR63), «Montefalcone»(SIR64), «ex-alveo del Lago di Bientina» (SIRB03), comprendendo anche l’ANPIL «Bosco Tanali» diBientina.La ricerca è stata effettuata usufruendo delle professionalità tecnico-scientifiche dell’Ecoistituto delleCerbaie e di Legambiente Valdera.Lo studio, svoltosi nel periodo marzo-dicembre 2007, ha avuto lo scopo di aggiornare puntualmente lostato delle conoscenze ecologico-floristico-vegetazionali del territorio dei SIR interessati, intendendopervenire all’elaborazione di uno strumento utile da un lato alla conoscenza degli ecosistemi/ambienti/specie presenti e dall’altro alla gestione sostenibile degli stessi in un’ottica di conservazione della diversitàbioecologica.Lo strumento è rappresentato dalla Carta dello Stato di Conservazione della Natura con la relazioneallegata.IntroduzioneLe Colline delle Cerbaie e il Padule di Bientinarappresentano un territorio ricco ancora di ambientidi pregio e di ecosistemi rari con associazionie specie vegetali che ne fanno uno dei luoghi apiù alta biodiversità della Regione Toscana.Le Cerbaie sono costituite da un pianalto (altitudinemassima 115 metri s.l.m), situato fra la valle dell’Arnoa sud ed i Paduli di Bientina e Fucecchio rispettivamentea ovest e est, che risulta costituito prevalentementeda sabbie fini fluvio-lacustri del Pleistocene,ghiaie e conglomerati alloctoni del M. Pisano e delleAlpi Apuane, con affioramento di sabbie gialle Pliocenichedi facies marina nel versante meridionale. Ibrevi corsi d’acqua che percorrono il pianalto hannosolcato abbastanza profondamente il substrato disabbie e conglomerati, originando stretti «vallini» incui si registrano condizioni microclimatiche chehanno consentito una variegata presenza floristica ela sopravvivenza di fitocenosi relittuali di clima freddoanche a quote altimetriche molto basse.Il Padule di Bientina è un’importante area umida residuodi un più ampio lago (l’ex-Lago di Sesto) e racchiusafra le Cerbaie a est e il Monte Pisano a ovest edelimitata a sud dalla piana dell’Arno e a nord daquella di Lucca. In molte stazioni del Padule resistonoambienti ad elevata complessità costituiti da cenosivegetali di pregio ormai scomparse nei dintorni.L’area delle Colline delle Cerbaie è attualmente designatacome Sito d’Importanza Comunitaria ai sensidella Direttiva CEE 43/92 «Habitat». Il Padule di160


La redazione della Carta dello Stato di Conservazione della NaturaBientina è Sito d’Importanza Regionale ai sensi dellaLR 56/2000.Le conoscenze sulle tipologie e lo stato di conservazionedegli ecosistemi presenti in questa parte di Toscanaderivano da studi e ricerche condotti in manierasistematica negli ultimi cinquant’anni da studiosiche, progressivamente, hanno ampliato il quadro deidati acquisiti, nonostante, e la presente ricerca lo hadimostrato con una quantità rilevante di scoperteinedite, molte porzioni di questo territorio risultanoancora poco note o addirittura inesplorate.È stato infatti solo nella seconda metà del ‘900 che DiMoisè ha eseguito quella che ancora oggi è l’indaginefloristica di maggior dettaglio riferita al comprensorioin oggetto anche se questo autore inseriscenell’area di studio anche territori che non possonoessere compresi in quel complesso collinare indicatocon il nome di Cerbaie come il laghetto di Sibolla.Più recentemente Arrigoni, in un ampio studio di caratterevegetazionale, arricchisce ulteriormente i datifloristici di questo territorio. Attualmente la floranota per il comprensorio ammonta a circa 800 entità;di queste alcune specie reperite in passato non sonostate ritrovate recentemente, mentre altre precedentementenon segnalate – sono state rinvenute solo inquesti ultimi anni.Dati sperimentaliLe ricerche sono state condotte con osservazioni direttesul campo e la metodologia utilizzata ha teso aoperare con la seguente griglia criteriale:• determinazione della cenosi (formazione) vegetale– COSA È;• determinazione del valore ambientale e dello statodi conservazione della cenosi – QUANTO VA-LE/COME È;• determinazione delle indicazioni di gestione dellacenosi – COSA FARE.Il valore ambientale di un ecotopo è dato dalla presenzadi ecosistemi e/o specie protette e/o d’interesseregionale e/o di valore biogeografico ai sensidella LR 56/00.Lo stato di conservazione di un ecotopo è dato dal suolivello di integrità strutturale e funzionale.L’ecotopo può essere definito come un’unità di paesaggio:• con simili e omogenee caratteristiche territorialifisiche (condizioni topografico-edafiche e ambientali– temperatura, umidità, luce…);• con simili caratteristiche biologiche relative:a) a popolazioni di organismi anche differenti maaventi simili esigenze ecologico-ambientali;b) alla struttura fisica e al grado di vitalità di tali popolazioni;c) alla presenza di particolari specie vegetali;• con un’identità ecologica che può dipendere, oltreche dai suddetti fattori biologico-fisici, anche dal rilevatorapporto valore ambientale/stato di conservazione.La natura fitocenotica dei vari ecotopi, corrispondenteal peculiare complesso di popolazioni vegetali presentiin una stazione con specifici caratteri fisici, èstato quindi il criterio iniziale con cui si sono lette leunità di paesaggio con la conseguente suddivisionedel territorio in fitocenosi/formazioni vegetali.Il passo successivo ha implicato l’utilizzo della lentenaturalistica con i fattori legati all’importanza/integritàdelle risorse presenti, arrivando a determinarel’attribuzione successiva degli ecotopi alle varie classigrazie alla valutazione qualitativa del rapporto valoreambientale/stato di conservazione.Tale combinazione di fattori ha prodotto una classificazionedi aree che risponde, a una visione immediata,più a criteri di valore/stato (che divengono centralinella definizione del quadro analitico) che a determinantiecologiche che comunque rimangono,per molti aspetti, condizionanti la natura qualitativadegli ecotopi.Risultati1. La classificazione delle aree e la Carta delloStato di Conservazione della NaturaI dati acquisiti tramite la ricerca sul campo sono statitradotti su GIS in scala 1:10.000, pervenendo all’elaborazionedella Carta dello Stato di Conservazionegli autori1 Ecoistituto delle Cerbaie,Corso Garibaldi, 4 - 56024 San Miniato (PI)info@ecocerbaie.it2 Legambiente Valdera,Via Fiumalbi, 9 - 56025 Pontedera (PI)legambientevaldera@yahoo.com* autore per corrispondenza161


della Natura dei territori SIC e SIR delle Cerbaie edel Bientina che è stata realizzata suddividendo il territorioin esame in cinque classi areali corrispondentia stati progressivi di valore ambientale/stato diconservazione. Dalle aree in cui si è rilevato il più altovalore/conservazione (classe 1) a quelle in cui il livellodi degrado ha raggiunto stadi difficili da renderlireversibili (classe 5).Classe 1 - Aree di massima protezioneAree in cui sono presenti ecotopi di massimo pregioambientale per cui è necessaria una gestione attivamirata alla conservazione (querco-carpineti di fondovalle,ontanete, tilio-carpineti).Classe 2 - Aree di conservazioneAree in cui sono presenti ecotopi di pregio ambientalee/o in fase di successione progressiva per i quali ènecessaria una gestione di tipo conservativo e/o tradizionale(querceti misti, fustaie di pino marittimocon sottobosco di latifoglie, querceti aperti in fase progressiva,saliceti, fragmiteti, prati naturali con specieprotette).Classe 3 - Aree potenzialiAree in cui sono presenti ecotopi potenziali e/o degradatiper i quali sono necessari interventi di monitoraggioattivo e/o di gestione finalizzati al recuperofunzionale (boschi invasi da Robinia pseudoacacia,fustaie di pino marittimo a bassa densità di latifoglie,arbusteti post-incendio, pioppete in fase di rinaturalizzazione,arbusteti a rosacee, incolti).Classe 4 - Aree trasformateAree in cui sono presenti ecotopi antropizzati (seminativi,colture arboree, maneggi)Classe 5 - RobinietiAree in cui sono presenti ecotopi a dominanza assolutadi Robinia pseudoacacia.La Carta dello Stato di Conservazione è risultata comeda immagine seguente, essendo l’area cromaticamenteconsiderata il confine dei diversi SIR presenti.Si è avuta pertanto una ripartizione percentuale dellediverse aree così quantificata:Classe 1 Aree di massima protezione 8%Classe 2 Aree di conservazione 35%Classe 3 Aree potenziali 30%Classe 4 Aree trasformate 22%Classe 5 Robinieti 5%2. Considerazioni di gestioneDa ciò si evince l’elevata diversificazione ecologica siadal punto di vista tipologico che conservazionistico,producendo un mosaico complesso che descrive unasituazione in notevole dinamismo ambientale in cui,come tendenza generale, comprovata anche dalleanalisi comparate realizzate negli ultimi anni, si riconosceil progressivo impoverimento delle cenosi/stazionidi pregio con la non sporadica perdita esiziale dispecie e associazioni (figura 1). La causa più frequente,oltre agli effetti spesso non secondari di diffusi incendie estensivi e poco accurati tagli fitosanitari (peril Matsucoccus feytaudi), risulta essere la gestione forestaleche, quasi sempre, non tiene conto dei dinamismispesso involutivi innescati da interventi che nonFigura 1: La Genziana palustre (Gentiana pneumonantheL.), specie vulnerabile secondo il LibroRosso della Flora italiana (Conti et al., 1992 e1997), scomparsa (o non più ritrovata) negli ultimianni nelle Cerbaie.162


La redazione della Carta dello Stato di Conservazione della Naturaconsiderano né la presenza di cenosi di pregio né iprocessi di impoverimento ambientale che si possonoattivare (invasione di Robinia, distruzione fisica di stazioni,alterazione strutturale dell’ecosistema per dissesti,cambiamenti di illuminazione…).La classificazione nelle diverse aree ha permesso dideterminare una griglia progressiva di necessità diinterventi utili per il mantenimento e l’implementazionedel patrimonio ambientale ad oggi presente,pervenendo a un modello di analisi che consente, alpianificatore/gestore, di operare nei prossimi anniconsiderando, in via non facoltativa, il grado e il valoredegli ambienti da preservare.Ogni classe prevede quindi delle indicazioni di gestionegenerali che intendono indirizzare verso gliobiettivi prefissi le azioni e gli orientamenti di utilizzodei soprassuoli. Ogni azione sul territorio dovràquindi, nello specifico della situazione particolare,valutare l’intervento secondo i dinamismi innescabilinell’ottica della conservazione.Le aree a massima protezione, ad esempio, sono rappresentateda cenosi forestali in cui si conserva lamaggior parte delle risorse naturalistiche che hannoreso questo territorio Sito d’Importanza Comunitaria.I boschi integri dei vallini (i querco-carpineti confarnia e rovere, le ontanete, i tilio-carpineti) hannomantenuto una struttura e una funzionalità tale da essereritenuti relitti bioecologici in quanto ospitanticomunità di piante che sono caratterizzate da raritàassoluta o da bizzarria biogeografica in ragione delladisgiunzione netta dai loro areali di diffusione, rappresentatidalle alte latitudini o elevate altitudini.Un tratto di foresta a farnia e carpino bianco, con sporadicitigli selvatici, noccioli e roveri esprime un lemborelitto di antica foresta planiziale diffusa nel periodopre-neolitico nel territorio contermine e ospita popolamenti,assolutamente sorprendenti, di campanelliniinvernali – Leucojum vernum – e bucaneve –Galanthus nivalis – a fine inverno, fioriture inimmaginatedi arisari – Arisarum proboscideum, agli selvatici– Allium ursinum – e latree – Lathraea clandestina– a marzo-aprile, apparizioni di gerani nodosi –Geranium nodosum – a maggio-giugno mentre i tigliiniziano a effondere il profumo dei fiori intensi.E, negli angoli più remoti, oltre ad altre stazioni,morfo-ecologicamente bizzarre, non è raro scovareun cuscinetto di sfagno accompagnato dalla fedelefelce florida – Osmunda regalis – e dall’accessorialonchite minore – Blechnum spicant -, testimoniandoulteriormente il valore assoluto di queste stazioni delicatissime.Questi ambienti, sempre più rarefatti, necessitano digestioni conservative in cui eventualmente progettareutilizzi compatibili con il rinnovo e l’ampliamentodelle risorse ancora presenti.3. Cenni sulla flora e sulle cenosi di pregioLa ricerca ha consentito altresì di aggiornare le conoscenzefloristiche dell’area oltre che di rinveniresiti di estremo interesse naturalistico.Sono stati infatti individuati 60 siti denominati EmergenzeNaturalistiche di cui 21 classificati prioritari inragione della loro estensione e/o complessità. Sitratta di stazioni areali o puntiformi in cui sono presentiecosistemi e/o specie vegetali protette e/od’interesse regionale costituenti i cosiddetti Relittiecologici, siti cioè in cui sono sopravvissute piante tipichedi climi del passato e/o di ambienti oggi scomparsie che oggi rivestono un’importanza eccelsa inragione della loro rarità o interesse biogeografico.Tali emergenze sono state cartografate con un simbolopoligonale bianco, apponendo un asterisco perquelle considerate prioritarie.Di tutti e 60, si può affermare come 42 rappresentinoscoperte inedite, ciò confermando una volta di più,l’assoluta rilevanza ambientale (oltre che fertilitàscientifica) del territorio delle Cerbaie.Fra le scoperte inedite più interessanti, le stazioni diRanunculus trichophyllus Chaix., Ornithogalum pyrenaicumL., Hepatica nobilis Miller, specie fino ad ogginon segnalate per le Cerbaie, nuovi siti di Hottoniapalustris L. (figura 2), Hydrocotyle vulgaris L., Ophioglossumvulgatum L., Melampyrum pratense L., Utriculariaminor L., Potamogeton polygonifoliusPourret, Leucojum aestivum L., Dictamnus albus L.,specie date in via di scomparsa oltre a presenze arboreedi pregio assoluto e dal notevole valore biogeograficocome saltuarie comparse di Fagus sylvatica L.o estese porzioni di versanti orientati verso i quadrantisettentrionali a Tilia cordata Miller.Figura 2: Hottonia palustris in emersione nel vallinoomonimo sulle Cerbaie.163


Meritano una menzione particolare le aree a sfagno(Sphagnum sp. pl.) (figura 3) costituenti, nelle stazionimeglio conservate, superfici di qualche centinaiodi metri quadri e, nei siti residuali e meno complessi,cuscinetti di qualche metro quadro che compaionoin situazioni morfologiche diversificate, in ogni casocomunque sempre testimoniando pregresse estensioniben più rilevanti e oggi alterate.opulus L., Geranium nodosum L., Narcissus poeticusL., Carex elata L., Cirsium palustre (L.) Scop.,Nuphar luteum L., Hypericum mutilum L., Lathraeaclandestina L., Veratrum album subsp. lobelianumBernh., quest’ultima presente in un’unica stazioneumida in un fondovalle ombroso dal chiaro significatorelittuale, a soli 25 m s.l.m. e perciò ed al limite altitudinaleinferiore per il territorio italiano.Figura 3: Sfagneta della Sammartina con Droserarotundifolia corsica.Figura 5: Leucojum vernum.Delle 28 stazioni a sfagno censite nel territorio inesame, ben 17 risultano nuove segnalazioni, fra cuialcune di rilevante pregio naturalistico per estensionee/o complessità, con specie associate di notevolevalore come Osmunda regalis L. (figura 4), Potamogetonpolygonifolius Pourret, Hydrocotyle vulgaris L.,Nymphaea alba L., Blechnum spicant L..Figura 4: Osmunda regalis.Una citazione particolare per la stazione di Droserarotundifolia L. subsp. corsica Maire, presente in unadelle sfagnete meglio conservate e, ad oggi, costituenteforse l’unico sito al mondo segnalato per questasottospecieFra le altre specie vegetali meritevoli di speciale tutela,in ragione della loro importanza e diffuse per lopiù nelle aree di massima protezione (classe 1), si citanoaltresì Leucojum vernum L (figura 5), Galanthusnivalis L., Allium ursinum L., Arisarum proboscideum(L.) savi, Asarum europaeum L., ViburnumConclusioniLa ricerca in oggetto ha permesso un rielvante aggiornamentodello stato di conoscenze delle risorsenaturalistiche del territorio delle Cerbaie e del Bientina,anche determinando la scoperta di cenosi e specieinedite o date per scomparse a testimonianza delvalore ambientale dell’area.L’obiettivo ultimo è stato produrre uno strumento ingrado di iniziare a orientare la pianificazione e la gestionedelle risorse (in primo luogo forestali) in mododa invertire la tendenza dell’impoverimento progressivodella variabilità biologica e volgere verso modellidi utilizzo del soprassuolo arboreo improntati alla selvicolturanaturalistica verso un bosco multifunzionale.Il territorio, le Istituzioni, le Associazioni e gli Enti diRicerca sono impegnati in questo non semplice processovolto a tutelare il valore ambientale di una dellearee a più elevata biodiversità della Toscana.RingraziamentiUn ringraziamento particolare alle AmministrazioniComunali presenti nel territorio dei SIR studiati oltrealla Provincia di Pisa per il sostegno e il supporto tecnico-economico-amministrativoprofuso in questoanno di ricerca con l’auspicio di una sempre maggioree proficua collaborazione volta alla tutela del patrimonioambientale del territorio.164


La redazione della Carta dello Stato di Conservazione della NaturaBibliografia[1] P.V. Arrigoni (1995), Documenti per la Cartadella vegetazione delle Cerbaie (Toscana settentrionale).Parlatorea 2: 39-71.[2] A. Bottini (1919), Sfagnologia italiana. Realeaccademia dei lincei, Roma, ser. V, 13 (1): 1-88.[3] B. Di Moisè (1959), Ricerche sulla vegetazionedell’Etruria. XII. Flora e vegetazione delle «Cerbaie»(Valdarno inferiore). Nuovo Giorn. Bot.Ital., n.s., 65: 601-745. 1958.[4] G. Ficini, A. Giordani, P.E. Tomei (1982), Potamogetonpoligonifolius Pourret (indagini sullezone umide della Toscana, XI). Atti Soc. Tosc. Sci.Nat. Mem., ser. B, 88: 337-341. 1981.[5] F. Garbari, P.E. Tomei (1982), Stato dell’ambientee prospettive di tutela dei bacini palustri diPorta, Massaciuccoli, Bientina e Fucecchio (Toscanaoccidentale). Atti tavola rotonda «La salvaguardiadei laghi e delle zone umide in Italia».A.GE.I. Roma: 265-276.[6] D. Lamberti, M. Raffaelli, G. Fiorini (1993), Illago di Sibolla in Toscana. Stato attuale del biotopoe indagine sulla sfagneta. Inf. Bot. Ital., 25:177-188.[7] R. Pichi Sermolli (1936), Gli Eriophorum dellaghetto di Sibolla. Nuovo Giorn. Bot. Ital., n.s.,45: 1-36.[8] P.E. Tomei (1976), Il bacino di Bientina ambienteumido da salvare. Riv. Arch. St. Econ. Cost.Lucca 4 (2): 27-32.[9] P.E. Tomei (1983), Le zone umide della Toscana:stato attuale delle conoscenze geobotaniche eprospettive di salvaguardia. Atti Soc. Tosc. Sci.Nat. Mem., ser. B, 89: 345-361. 1982.[10] P.E. Tomei (1985), La flora e la vegetazionedel laghetto di Sibolla. Studi ed interv. sperim. perla conserv. del laghetto di Sibolla. Min. Agric. For.Pisa: 149-177.[11] P.E. Tomei (1987), Il padule di Bientina e lasua flora. Il padule di Bientina, aspetti naturalisticied agronomici. Pisa: 57-66.[12] P.E. Tomei, M. Cenni (1986), Il Bosco diChiusi e la Paduletta di Ramone. Quad. Mus. Stor.Nat. Livorno 7: 55-79.[13] P.E. Tomei, F. Garbari (1978), Il padule diBientina, le Cerbaie e il lago di Sibolla. Nat. Mont.25 (4): 27- 33.[14] P.E. Tomei, F. Garbari (1979a), Indagini sullezone umide della Toscana. I. Il padule di Fucecchio.Lav. Soc. Ital. Biogeogr., n.s., 6: 123-144. 1976.[15] P.E. Tomei, F. Garbari (1979b), Sfagnete diS. Lorenzo a Vaccoli. In: «Gruppo di lavoro per laconservazione della Natura della Società BotanicaItaliana. Censimento dei biotopi di rilevante interessevegetazionale meritevoli di conservazione inItalia». Vol. 2, Scheda 9-42, Camerino.[16] P.E. Tomei, F. Garbari (1981), Il significatobiogeografico delle entità vegetali relitte negli ecosistemipalustri. «Problemi scientifici e tecnici dellaconservazione del patrimonio vegetale».C.N.R., AC/1/96-110: 59-62.[17] P.E. Tomei, A. Giordani (1978), Il genereDrosera in Toscana. Giorn. Bot. Ital. 112: 324.[18] P.E. Tomei, G. Longombardo, A. Lippi(1991), Specie vegetali igrofile delle zone dulciacquicoledella Toscana planiziale: aspetti floristici ebioecologici. Pacini editore, Pisa, 82 pp.[19] P.E. Tomei, G. Pistolesi (1980), Indagine sullezone umide della Toscana. III. Aspetti floristici evegetazionali del padule di Bientina. Nota preliminare.Atti Soc. Tosc. Sci. Nat. Mem., ser. B, 86:377-406. 1979.165


22 / Sez. ScientificaLe torbiere a sfagno della LucchesiaLuca Zocco Pisana* 1 , Roberto Narducci 2 , Paolo Emilio Tomei 3Parole chiave: torbiere, sfagno, Lucca, conservazione ex-situLa Toscana settentrionale è ricca di zone umide, fra queste si sono rivelate di particolare pregio naturalisticole torbiere acide a sfagno. Si tratta di microecosistemi relitti legati a quelle vicende paleoclimaticheche caratterizzarono l’Europa durante il glacialismo quaternario. Nel territorio lucchese, e precisamentesul Monte Pisano, si ritrovano due di questi singolari biotopi, la «Tavola» e la «Piaggina». Inessi, oltre a Briofite del genere Sphagnum, crescono diverse Fanerogame rare o minacciate di scomparsa,fra queste: Drosera rotundifolia L., Rhyncosphora alba (L.) Vahl, Utricularia minor L.; sono presentianche alcuni macromiceti caratteristici.Questi biotopi oggi vivono in condizioni abbastanza precarie, principalmente per motivazioni legate alladisponibilità idrica; in relazione a ciò nell’Orto Botanico di Lucca è stata realizzata un piccola torbieradove vengono conservate ex situ le specie ricordate.IntroduzioneLa Toscana settentrionale, a ragione delle sue caratteristichegeopedologiche, è caratterizzatada numerose zone umide, di notevole interessenaturalistico.Nell’ambito di queste aree si trovano biotopi di particolarepregio naturalistico: le torbiere acide a sfagno.Si tratta di microecosistemi relitti legati a quellevicende paleoclimatiche che caratterizzarono l’Europadurante il glacialismo quaternario.Dati sperimentaliNel territorio comunale lucchese, e precisamentesul Monte Pisano, a Sud-Est della valle del Guappero,presso il paese di San Lorenzo a Vaccoli, si ritrovanodue di questi singolari biotopi, la «Tavola» e la«Piaggina» [11,14].Le torbiere di San Lorenzo a Vaccoli sono torbiere«geogene» formatesi in condizioni minerotrofiche. Sitratta in particolare di torbiere «soligene di sorgente»alimentate da acque che si accumulano in depressionio che possono essere più o meno fluenti sul terrenoformando talvolta pozze; rientrano nell’ambitodelle torbiere basse acide.La più piccola, di circa 400 mq, é situata ad una quotaapprossimativa di m 50 s.l.m. in località «Piaggina»,la maggiore invece – posta ad un’altezza di m 90 s.l.m– occupa una area umida di circa 2000 mq ed é compresain una vegetazione di tipo mesofilo, caratterizzatadalla presenza di Calluna vulgaris (L.) Hull, Ericascoparìa L., Ulex europaeus L., Pteridium aquilinum(L.) Kuhn, Cornus sanguinea L., Danthonia decumbens(L.) DC., Blechnum spicant (L.) Roth, Anemonenemorosa L., ecc., oltre che di Pinus pìnasterAiton di introduzione antropica [2].Queste due torbiere poggiano su un substrato geologico[9] rappresentato da «Scisti di S. Lorenzo» e so-166


Le torbiere a sfagno della Lucchesiano alimentate dalle acque meteoriche e di sorgente.Esse sono caratterizzate da cumuli di sfagni, conSphagnum palustre L. e S. subnitens Russow et Warnst.e da pozze di acqua. Sopra i cuscini di Sphagnum,crescono diverse Fanerogame rare o minacciate discomparsa, fra queste: Drosera rotundifolia L., D. intermediaHayne, Rhyncosphora alba (L.) Vahl e Gentianapneumonanthe L. Sono presenti anche alcunimacromiceti caratteristici fra cui di particolare interesse:Cortinarius huronensis Ammirati & A.H. Sm.,Galerina sphagnorum (Pers.) Kühner, Hypholomaelongatum (Pers.: Fr.) Ricken [7,8,15].Nei piccoli depositi di acqua si ritrovano Potamogetonpolygonifolius Pourret e Utricularìa minor L.,specie anch’esse oggi molto rare.La florulaMagnoliophytaAlnus glutinosa (L.) GaertnerCallitriche stagnalis Scop.Carex distans L.Carex pairae F.W. SchultzDrosera intermedia HayneDrosera rotundifolia L.Eleocharis acicularis (L.) R. et S.Frangula alnus MillerGentiana pneumonanthe L.Hypericum mutilum L.Juncus acutiflorus Ehrh.Juncus effusus L.Juncus subnodulosus SchrankMolinia arundinacea SchrankPhragmites australis (Cav.) Trin.Potamogeton polygonìfolius PourretPotentilla erecta (L.) RauschelRhynchospora alba (L.) VahlSchoenus nigricans L.Serratula tinctoria L.Succisa pratensis MoenchUtricularia minor L.PteridophytaBlechnum spicant (L.) RothOsmunda regalis L.BryophytaSphagnum palustre L.Sphagnum subnitens Russow et Warnst.MycophytaAlnicola escharioides (Fr.: Fr.) RomagnesiCortinarius huronensis Ammirati & A.H. Sm.Entoloma elodes (Fr.: Fr.) P. Kumm.Entoloma rhodopolium (Fr.: Fr.) KummerGalerina paludosa (Fr.) KühnerGalerina sphagnorum (Pers.) KühnerHygrocybe cantharellus (Schwein.: Fr.) MurrillHypholoma elongatum (Pers.: Fr.) RickenLaccaria tortilis (Bolton) CookeLeccinum rufum Schaeff. & KreiselMycena epipterygia (Scop.: Fr.) GilletMycena galopus (Pers.: Fr.) KummerRickenella fibula (Bull.: Fr.) Raith.Trichoglossum hirsutum (Pers.: Fr.) Boud.RisultatiSpecie di particolare interesseMagnoliophytaRhyncosphora alba (L.) VahlSi tratta di specie circumboreale in Italia molto rara;in Toscana ora è presente solo a Sibolla, sul MontePisano e a Massaciuccoli, dove assume significato direlitto microtermo glaciale. È specie elusiva e da noipuò essere individuata, a fatica, solo quando è fiorita.Gentiana pneumonanthe L.Specie eurosiberiana, un tempo frequente nell’Italiasettentrionale, ora è divenuta rara quasi ovunque; inToscana è stata ritrovata recentemente sul Monte Pisano– alla Piaggina – e alle Cerbaie. Nel XIX secologli autori1 Orto Botanico di Lucca,Via del Giardino Botanico 1455100 Luccalzoccopisana@comune.lucca.it2 Orto Botanico di Lucca,Via del Giardino Botanico 1455100 Luccaroberto1956@supereva.it3 Dipartimento di Agronomiae Gestione dell’Agroecosistemadell’Università di Pisa,Via San Michele degli Scalzi 2 - 56124 Pisapetomei@agr.unipi.it* autore per corrispondenza167


era stata indicata anche per le colline di Montecarlo,ma non è stata più ritrovata [13]. In verità nelle stazionida noi esaminate, la specie non vegeta propriamentesul substrato torboso della sfagneta – comesostengono alcuni – ma nelle immediate vicinanze eprecisamente nei molinieti che sempre si insedianoai margini di questi biotopi. Specie elusiva, come laprecedente, è visibile nel mese di settembre perchéin piena antesi.Drosera intermedia Hayne e Drosera rotundifolia L.Entrambi specie microterme tipiche delle torbiereacide, hanno rispettivamente distribuzione subatlanticae circumboreale. Sono definite rare per l’Italia continentalee in quella peninsulare compaiono solo in Toscana[3,11], dove sono segnalate a Sibolla, sulle Cerbaie,sul Monte Pisano – alla Piaggina, alla Tavola e sopraButi – e, limitatamente a D. rotundifolia, nelle paludidi Massaciuccoli.Utricularìa minor L.Specie centroeuropea indicata per le Alpi e per l’Appennino[3], in Toscana oggi è nota per un’unica stazionesul Monte Pisano, quella della «Tavola». Lapresenza di questa Lentibulariacea al lago Marruchetone,presso Capalbio, non è stata recentementeconfermata [6].Potamogeton polygonifolius PourretLa specie è distribuita nell’Europa atlantica ma è anchepresente, con diverse disgiunzioni, nei settoriorientali del continente e in Nord Africa. In Italia è daconsiderarsi rara [3,4,5,11] ed in Toscana è semprelegata alle torbiere a Sphagnum.MycophytaCortinarius huronensis Ammirati & A.H. Sm.Conosciuto anche come Cortinarius palustris (Moser)Nezd., appartiene alla sezione Dermocybe delgenere Cortinarius e si caratterizza, rispetto alle speciesimili, per il cappello bruno verdastro, gamboconcolore provvisto di ornamentazioni rossastre.Specie molto rara, particolarmente frequente allaPiaggina.Galerina sphagnorum (Pers.) KühnerSimile a Galerina paludosa (Fr.) Kühner, si riconosceda questa per il gambo non decorato, l’odore e ilsapore di farina.La specie era sinora segnalata in Toscana per l’Appenninopistoiese nella sfagneta delle Lamacce – Riservanaturale di Campolino – e al Lago delle Bruciate – altaValle del Sestaione [1]. Si tratta di una nuova segnalazioneper la Toscana.Hypholoma elongatum (Pers.: Fr.) RickenPresenta un cappello piccolo (fino a 2 cm) il quale contrastanettamente con il gambo (in parte inserito nelsubstrato) che può raggiungere e superare i 10 cm.Tipico delle torbiere a Sphagnum di tutta Europa, èparticolarmente comune in alcune regioni centrali esettentrionali del continente (Polonia), mentre risultararo in Italia. Si tratta, come nel caso precedente,di una nuova segnalazione per la Toscana.ConclusioniQuesti biotopi oggi vivono in condizioni abbastanzaprecarie, principalmente per motivazioni legate alladisponibilità idrica; in relazione a ciò nell’Orto Botanicodi Lucca è stata realizzata un piccola torbiera dovevengono conservate ex situ le specie ricordate[12].Bibliografia[1] D. Antonini, M. Antonini, Libro rosso dei Macromicetidella Toscana. Dal censimento alla Redlist. Regione Toscana - A.R.S.I.A. - A.G.M.T., TipolitoDuemila srl, Campi Bisenzio (FI): 2006.[2] A. Bertacchi, A. Sani, P.E. Tomei, La vegetazionedel Monte Pisano. Provincia di Pisa, PaciniEditore, Pisa: 2004.[3] F. Conti, G. Abbate, A. Alessandrini, C. Blasi,An annotated checklist of the italian vascular flora.Palombi Editore, Roma: 2005.[4] G. Ficini, A. Giordani, P.E. Tomei, Atti Soc.Tosc. Sci. Nat., Mem., ser. B 1981, 88: 337-341.[5] G. Ficini, A. Giordani, P.E. Tomei, Inform.Bot. Ital. 1981, 13 (2-3): 172-175.[6] E. Guazzi, P.E. Tomei,. Atti Mus. civ. Stor.nat. Grosseto 1995, 15: 23-53.[7] R. Narducci, Macromiceti del bacino del lagodi Massaciuccoli. Contributo alla conoscenza micologica.Parliamo di funghi, L’Ancora, Viareggio2002: 16-20.[8] R. Narducci, P. Petrucci, Macromiceti reperitiin provincia di Lucca negli anni 1985-1994 con leindicazioni dei luoghi e degli ambienti di raccolta.In: Contributo alla conoscenza dei macromiceti168


Le torbiere a sfagno della Lucchesiache crescono nella provincia di Lucca. ComunitàMontana della Garfagnana, Orto Botanico «Paniadi Corfino». Tipografia Editrice Pisana, Pisa:1995.[9] A. Rau, M. Tongiorgi, Mem. Soc. Geol. It.1974, 13 (3): 227-408.[10] P.E. Tomei, Drosera rotundifolia L. In: «Florada proteggere. Indagini su alcune specie vegetaliminacciate o rare in Italia», Errepiesse, Pavia:1984a.[11] P.E. Tomei, Potamogeton polygonifoliusPourret, In: «Flora da proteggere. Indagini su alcunespecie vegetali minacciate o rare in Italia»,Errepiesse, Pavia: 1984b.[12] P.E. Tomei, Riv. Mus. civ. Sc. Nat. «E. Caffi»,Bergamo 1996, 18: 65-68.[13] P.E. Tomei, La flora: appunti e considerazioni,In: Le Cerbaie, la natura e la storia, PaciniEditore, Pisa: 2004.[14] P.E. Tomei, L. Mariotti, Atti Soc. Tosc. Sci.Nat., Mem., ser. B 1978, 85: 262-267.[15] P.E. Tomei, R. Narducci, A. Lippi, Prodromoalla flora macromicetica della provincia diLucca. Provincia di Lucca: 1997.[16] P.E. Tomei, F. Rapetti, G. Ficini, Atti Soc.Tosc. Sci. Nat., Mem., ser. B 1984, 91: 221-232.169


23 / Sez. ScientificaDall’ambiente un aiuto per l’ambiente: l’impiegodi biofitofarmaci per un’agricoltura sostenibileGiovanni Vannacci* 1 , Sabrina Sarrocco 2Parole chiave: biofitofarmaco, lotta integrata, eco-compatibileCon il termine «biofitofarmaco» si indica un fitofarmaco il cui principio attivo è costituito da uno o piùmicrorganismi antagonisti vitali impiegabili nella difesa contro patogeni, erbe infestanti, insetti nocivi enematodi parassiti. In alcuni casi, questi prodotti possono esercitare anche un’azione fitostimolatrice.I meccanismi d’azione con cui gli antagonisti agiscono direttamente nei confronti dell’organismo nocivoincludono l’antibiosi e la produzione di enzimi litici, il micoparassitismo e la competizione per i siti d’infezionee per i nutrienti. Alcuni antagonisti sono in grado di esercitare anche un’azione indiretta, attraversol’induzione di resistenza nella pianta ospite nei confronti dei patogeni.I biofitofarmaci possono essere utilizzati su numerose specie vegetali e trovano possibilità di impiego nellalotta ai patogeni tellurici, dei semi, delle parti aeree e del post-raccolta. In questo campo di applicazione,l’impiego dei lieviti sta, negli ultimi anni, riscuotendo largo consenso da parte dell’opinione pubblicapoiché si tratta di microrganismi da sempre utilizzati in numerosi e comuni processi alimentari.Il mondo della ricerca e numerose aziende, in Italia e all’estero, sono da anni attivamente coinvolti inciascuno dei passaggi chiave che portano allo sviluppo e alla registrazione di un biofitofarmaco, a partiredalla selezione dei potenziali antagonisti fino a giungere alla messa a punto dei metodi per la produzionedi biomassa su vasta scala e alla formulazione del prodotto da commercializzare. Attualmente, inItalia, sono registrati e distribuiti alcuni biofitofarmaci il cui principio attivo è costituito da funghi obatteri impiegabili nella difesa di piante di interesse agrario. Sebbene questi prodotti non rappresentinola panacea per risolvere tutti i problemi legati alla difesa delle colture, ci troviamo di fronte ad un validostrumento che consente di ridurre l’impiego di fitofarmaci a base di composti di sintesi in strategie dilotta integrata e che fanno della sicurezza il loro punto di forza.Con il termine «biofitofarmaco» si indica un fitofarmacoil cui principio attivo è costituito dauno o più microrganismi antagonisti vitali impiegabilinella difesa contro patogeni, erbe infestanti,insetti nocivi e nematodi parassiti. In alcuni casi, questiprodotti possono esercitare anche un’azione fitostimolatricefavorendo la crescita e lo sviluppo dellepiante ospiti.I biofitofarmaci trovano impiego principalmente inagricoltura biologica, i cui fondamenti prevedono ilnon utilizzo di composti chimici di sintesi nella lottaai patogeni vegetali. Questo principio rientra nellapiù ampia, e ormai classica, definizione di lotta biologicache Cook e Baker nel 1983 descrissero come«Riduzione degli effetti indesiderabili di un organismoattraverso l’azione di un altro organismo chenon sia l’ospite o l’uomo».In generale, i biofitofarmaci sono costituiti da un170


Dall’ambiente un aiuto per l’ambiente: l’impiego di biofitofarmaci per un’agricoltura sostenibileprincipio attivo e da co-formulanti. Il principio attivodeve essere in grado di svilupparsi nell’ambiente incui viene immesso, deve essere efficace nei confrontidel patogeno bersaglio e non deve creare problemiall’uomo e all’ambiente, mentre i co-formulanti devonogarantire una shelf life (intervallo di tempo entroil quale è garantita la sopravvivenza di almeno il 50%del principio attivo contenuto nel prodotto) adeguata,devono favorire lo sviluppo e l’attività dell’antagonistae devono risolvere i problemi tecnologici connessicon l’applicazione. Un buon biofitofarmaco deveessere efficace, economico e affidabile: i risultatiottenuti devono essere ripetibili e riproducibili.L’impiego di biofitofarmaci mostra numerosi vantaggima, al contempo, alcuni svantaggi. Tra gli aspettipositivi derivanti dall’impiego di questi fitofarmaci, lasicurezza per le persone (durante il trasporto, l’utilizzodel prodotto e per i residui che permangono suiprodotti vegetali) e per l’ambiente (grazie soprattuttoal limitato spettro d’azione e ai trascurabili effetticollaterali nei confronti degli ecosistemi) sono i principalipunti di forza. Ma si deve anche considerareche se uno dei principali limiti dell’impiego di fitofarmacia base di composti di sintesi risiede nell’elevataprobabilità di insorgenza di ceppi patogeni resistenti,questo problema, al contrario, difficilmente insorgenei confronti dei microrganismi utilizzati comebiofitofarmaci. Un altro vantaggio nell’utilizzo diquesti prodotti risiede nella possibilità di avvalersidelle conoscenze biotecnologiche, attualmente semprepiù all’avanguardia, al fine di migliorare leperformance dei microrganismi antagonisti utilizzaticome principio attivo oppure per facilitare la produzionee la conservazione del prodotto. I microrganismiantagonisti possono essere sottoposti a miglioramentogenetico attraverso mutagenesi (per mezzo diinduzione di mutazioni o selezione di mutanti naturali)e ricombinazione per via sessuata o asessuata(anastomosi e fusione di protoplasti) o attraverso trasformazione.Nei primi due casi si ottengono organismimigliorati ma non geneticamente modificati.In realtà i biofitofarmaci non rappresentano la soluzionedi ogni problema per la lotta ai patogeni vegetali;accanto ai non pochi vantaggi fin qui elencati, è doverosoanalizzare criticamente anche gli svantaggiche l’utilizzo di questi prodotti implica. In un confrontodiretto tra biofitofarmaci e farmaci di sintesi, i primiappaiono più lenti nel produrre gli effetti desideraticon, inoltre, un’efficacia biologica inferiore. Questoè dovuto al fatto che, trattandosi comunque di organismiviventi, richiedono un certo tempo per manifestarela loro attività e, quindi, sono poco efficaci inpresenza di una elevata pressione del patogeno bersaglioe risultano essere molto sensibili alle condizioniambientali. Un altro aspetto importante dal puntodi vista economico, che non sempre gioca a favoredell’impiego dei biofitofarmaci in alternativa a fitofarmacidi sintesi, è rappresentato dal ridotto spettrod’azione. Questo fattore, seppure interessante da unpunto di vista ambientale in quanto riduce l’impattodelle applicazioni, riduce anche il mercato potenzialedel prodotto, rendendolo meno remunerativo.Infine, particolare attenzione deve essere rivolta aduna corretta conservazione dei biofitofarmaci al finedi garantire la vitalità del principio attivo e preservarnel’azione antagonista. Temperatura e umidità rappresentanoparametri ambientali critici che influenzanosensibilmente la shelf life del prodotto.Allo sviluppo di un biofitofarmaco concorrono quattrofasi principali: l’isolamento, la selezione, la produzionedi biomassa e la formulazione, cui seguono ilconfezionamento e la distribuzione. Ciascuno di questipassaggi risulta essere critico. In generale, la sceltadell’antagonista dovrebbe essere condotta tra queimicrorganismi che meglio si adattano all’ambientein cui il patogeno trova le condizioni ideali per accrescersie svilupparsi e che si riproducono mediantestrutture particolarmente interessanti per la produzionedi biomassa (conidi, clamidospore, spore batteriche…)e pronte a riprendere l’attività vegetativanon appena le condizioni ambientali lo consentono.I biofitofarmaci possono essere utilizzati non solo instrategie di agricoltura biologica ma anche, e meglioancora quando compatibili con i principi attivi di originechimica, in una gestione integrata delle malattievegetali, permettendo, comunque, di ridurre l’impie-gli autoriDipartimento di Coltivazione e Difesadelle Specie Legnose «G. Scaramuzzi»,Sezione Patologia Vegetale,Facoltà di Agraria, Università di Pisa,Via del Borghetto, 80 - 56124 PisaTel. 0505715561 g.vannacci@agr.unipi.it2 sarrocco@agr.unipi.it* autore per corrispondenza171


go di composti chimici. Dal punto di vista applicativol’utilizzo di questi prodotti mostra, attualmente, difficoltàmaggiori rispetto all’impiego di fitofarmaciclassici, soprattutto se si considera che la maggiorparte degli operatori è ancora poco preparata a gestireprodotti di questo tipo. Alla luce degli aspetti positivie negativi fin qui elencati appare evidente che, avolte, il rapporto tra costi e benefici derivanti dall’utilizzodi biofitofarmaci non è sempre favorevole.Per conoscere meglio come un biofitofarmaco lavora,è interessante descrivere quelli che sono i meccanismid’azione con cui gli antagonisti agiscono nellalotta ai patogeni. Questi meccanismi si dividono indiretti o indiretti, a seconda che il loro effetto sia rivoltodirettamente o meno al patogeno bersaglio.Tra i meccanismi diretti ricordiamo l’antibiosi e laproduzione di enzimi litici, il micoparassitismo e lacompetizione per i siti d’infezione e per i nutrienti.Tra quelli indiretti, l’induzione di resistenza nellapianta ospite nei confronti dei patogeni è sicuramenteil meccanismo più affascinante e meno conosciutoin quanto studiato solo recentemente.L’antibiosi prevede la liberazione, da parte dell’antagonista,di composti che risultano essere nocivi perun altro organismo, in questo caso il patogeno. L’antibiosiè dimostrata in un gran numero di microrganismi;tra i batteri le pseudomonadi e tra i funghi alcuniisolati appartenenti al genere Gliocladium e Trichodermane rappresentano gli esempi più noti.Con il termine lisi enzimatica si intende un fenomenodi distruzione, disintegrazione, dissoluzione odecomposizione di materiale biologico. La produzionedi enzimi litici rappresenta un meccanismoche consente ad alcuni antagonisti di produrre e rilasciareenzimi in grado di degradare e distruggerestrutture vitali del patogeno bersaglio, come adesempio la parete fungina. Entrambi i meccanismiappena descritti, sebbene basati su il rilascio dicomposti chimicamente differenti, sono trattati congiuntamentepoiché si tratta di meccanismi che agisconoa distanza, in cui non è previsto il contatto trapatogeno e antagonista. La diffusibilità delle sostanzeprodotte dall’antagonista rappresenta il vantaggiomaggiore di questo meccanismo d’azione. Tuttavia,l’impiego di biofitofarmaci contenenti microrganismiin grado di produrre composti antibioticipotrebbe portare ad una sfavorevole e indesideratainsorgenza di resistenza da parte del patogeno bersaglioe/o risultare tossico per altri organismi diversida quello da combattere.Il micoparassitismo è sicuramente il più affascinantedei meccanismi d’azione diretti adottati da un fungoantagonista nei confronti di funghi patogeni. Con iltermine micoparassitismo si intende il parassitismodi un fungo nei confronti di un altro. A differenza deidue meccanismi precedentemente descritti, in questocaso il contatto fisico tra i due organismi è fondamentale.Il micoparassitismo si può realizzare attraversotre fasi; la crescita direzionale dell’antagonistaverso il patogeno, l’adesione dell’antagonista sulle ifedel patogeno, che può avvenire attraverso la formazionedi coilings (avvolgimenti ifali) o mediante strutturesimili ad appressori, e, infine, il rilascio di enzimilitici da parte dell’antagonista che distruggono la paretedel fungo patogeno causandone la morte persvuotamento del citoplasma e/o la penetrazione daparte delle ife dell’antagonista. Il micoparassitismo risultaessere un meccanismo molto utile per combatterequei patogeni che sopravvivono attraverso strutturedi quiescenza, come, ad esempio, gli sclerozi. Esistonomolti lavori che riportano l’attività micoparassitariadi funghi antagonisti nei confronti di funghi fitopatogeniformanti sclerozi, quali Sclerotinia sclerotiorumo Sclerotium rolfsii. Questi patogeni polifagi dannoluogo a malattie definite ad interesse semplice, incui l’intensità dei danni alla pianta ospite risulta esseredirettamente correlata con l’inoculo iniziale del patogeno,quantificabile con il numero di sclerozi presenti.Utilizzare un antagonista in grado di micoparassitizzaree, quindi, distruggere gli sclerozi, rappresentauna valida strategia per ridurre l’inoculo inizialedel patogeno. Il micoparassitismo può essere anchealtamente specifico, come nel caso del fungo biotrofoSporidesmium sclerotivorum. Se da una parte l’utilizzodi un fungo biotrofo specifico rappresenta un vantaggioper l’efficacia del biofitofarmaco e per il suo limitatoimpatto ambientale, dall’altro questo comporta anchesvantaggi in quanto riduce il mercato potenziale ecrea difficoltà nell’allevamento, per la produzione dibiomassa, del microrganismo antagonista.Un altro meccanismo d’azione interessante dal puntodi vita ecologico è la competizione, che può essereper specifici nutrienti (quando questi sono disponibiliin quantità limitanti), o per i siti d’infezione. Unodei principali composti per i quali si verifica una fortecompetizione è rappresentato dal ferro che moltospesso risulta essere poco disponibile nel terreno.Molti microrganismi antagonisti riescono a vincerela competizione per questo elemento grazie al rilasciodi molecole a basso peso, con elevata affinità peril ferro, chiamate siderofori, sottraendo, di fatto, ilpoco ferro alla disponibilità dei patogeni e limitando-172


Dall’ambiente un aiuto per l’ambiente: l’impiego di biofitofarmaci per un’agricoltura sostenibilene, così, la crescita.La competizione per i siti d’infezione permette, invece,una difesa mirata e si presta molto bene alla lottaai patogeni che hanno specifici siti d’attacco. Già nel1978 fu dimostrato che si poteva impiegare il batterioantagonista Agrobacterium radiobacter K84 per la lottaal batterio fitopatogeno Agrobacterium tumefaciens,agente causale della galla del colletto di numerosespecie vegetali. Sempre avvalendosi dello stessomeccanismo d’azione, altrettanto efficaci si sonodimostrati alcuni isolati di Fusarium oxysporum saprofitinella lotta a diverse formae speciales di F. oxysporum,agenti causali di tracheofusariosi. In ambeduei casi gli organismi antagonisti occupano le feriteattraverso le quali il patogeno guadagna l’accesso allapianta, impedendo l’infezioneIn aggiunta a questi meccanismi che agiscono direttamentenei confronti dei patogeni, è opportuno parlareanche dell’induzione di resistenza, meccanismo d’azioneindiretto. In questo caso l’applicazione di un antagonistapuò indurre nella pianta ospite reazioni didifesa simili a quelli attivate in piante resistenti. Questerisultano, spesso, non specifiche e, quindi, ad ampiospettro e con minori probabilità di selezionare organismiresistenti. Anche questo meccanismo, però,può avere alcuni svantaggi riconducibili alla produzionedi metaboliti sgradevoli e tossici o ad una riduzionenella produzione da parte delle piante difese.È importante, comunque, considerare che raramenteun antagonista si avvale di un singolo meccanismod’azione. In realtà l’antagonismo risulta essere il fruttodel sinergismo di due o più meccanismi d’azioneche portano al contenimento della malattia.I biofitofarmaci possono essere utilizzati nella difesadi numerose specie vegetali e trovano possibilità diimpiego nella lotta ai patogeni dei semi, di originetellurica, delle parti aeree e del post-raccolta. Il semerisulta essere il teatro delle prime fasi di lotta non solonei confronti dei patogeni trasmessi per seme, maanche verso i patogeni di origine tellurica. I patogenitrasmessi per seme possono avere diverse localizzazionisul/nel seme e questo comporta che non tuttigli antagonisti, e quindi non tutti i meccanismi d’azione,risultano efficaci allo stesso modo nei confrontidei diversi patogeni.Alcuni aspetti tecnici inerenti la concia dei semi,quindi l’applicazione dell’antagonista, possono influenzarel’efficacia di un biofitofarmaco. La dose efficacedell’antagonista, l’uniformità della coperturadella superficie del seme, l’uniformità della distribuzionedell’antagonista nella massa dei semi e, infine,il microambiente in cui l’antagonista si svilupperàdopo la semina sono fattori critici che possono segnareil destino di un biofitofarmaco. Tanto più unantagonista si trova in condizione di sviluppare rapidamente,tanto maggiore sarà la sua efficacia. È possibilemigliorare l’efficacia e l’affidabilità di un biofitofarmacoche agisce sui semi intervenendo sia sull’ambienteche sul principio attivo. Nel primo caso èpossibile avvalersi dell’evoluzione della tecnologiasementiera (confettatura, condizionamento osmotico…),mentre nel secondo caso si può ricorrere all’utilizzodi sostanze selettive per l’antagonista al fine diampliarne lo spettro d’azione e garantirne una buonaefficacia anche in condizioni avverse.Un altro campo d’applicazione dei biofitofarmaci è lalotta ai patogeni tellurici. In questo caso si ricorre all’introduzionenel terreno di microrganismi antagonisti,strategia alternativa ad altre più conservativeche prevedono la gestione della microflora residenteattraverso l’utilizzo di terreni naturalmente repressivi(se esistenti), l’induzione di repressività tramite lamonocoltura, l’impiego di ammendanti organici ocompost e l’utilizzo di trattamenti chimici e fisici subletali.Gli antagonisti introdotti possono avere brevepersistenza nell’ambiente, il che comporta un minorimpatto ambientale ma anche una minore durata deglieffetti, oppure lunga persistenza che, se da unaparte assicura una maggiore durata degli effetti, dall’altracomporta un maggior impatto ambientale.L’impiego di biofitofarmaci nella lotta ai patogeni telluriciha come scopo principale la riduzione dell’inoculodel patogeno attraverso la distruzione diretta, lariduzione della germinazione o della crescita dei propagulioppure la sostituzione del patogeno nei residuicolturali ma può anche indurre resistenza nellepiante allevate nei terreni trattati.I biofitofarmaci possono essere impiegati anche nellalotta ai patogeni delle parti aeree. Le foglie e le superficiesterne delle piante sono ecosistemi complessie rapidamente variabili nel tempo (es. giorno –notte) e nello spazio. Per questo motivo gli antagonistida sviluppare come principio attivo del prodottodevono essere ben adattati a quegli ambienti e devonorispondere rapidamente ai cambiamenti. C’è ancheda considerare che molti patogeni delle parti aereehanno una lunga fase all’interno dell’ospite e sonodifficilmente raggiungibili dall’attività di antagonisti(salvo quando questi inducono meccanismi diresistenza). Più interessanti sono quei patogeni, comegli Oidii, che hanno una lunga fase epifitica e,quindi, risultano più facilmente aggredibili.173


L’ultimo campo d’applicazione di un biofitofarmaco èla lotta ai patogeni del post raccolta. In questo caso,più che negli altri appena descritti, esistono alcunedifficoltà da superare che consistono nella riserva delconsumatore ad accettare la presenza di microrganismisulle parti eduli. Inoltre le temperature di conservazionedel prodotto vegetale, spesso prossime a0°C, rappresentano una condizione ambientale fortementeselettiva per la sopravvivenza e l’azione dell’antagonistada impiegare. In molti casi la ricerca si èorientata verso l’impiego di lieviti naturali isolati daglistessi prodotti che si intende difendere. Questi microrganismihanno molti pregi. Si sviluppano e moltiplicanomolto rapidamente mostrando una lunga persistenzasui prodotti trattati. I lieviti risultano più resistentidi molti patogeni alle condizioni estreme diconservazione e sono compatibili con i processi industrialidi conservazione. Hanno esigenze nutrizionalisemplici (produzione poco costosa) e si possono formularein modo da garantire facilmente il mantenimentodi una adeguata shelf life. I lieviti non sono patogeniper i prodotti vegetali e sono sicuri per la saluteumana (molti non crescono a 37°C e non produconoantibiotici o altri metaboliti tossici). Inoltre questimicrorganismi riscuotono il favore dell’opinione poichési tratta di microrganismi da sempre utilizzati innumerosi e comuni processi alimentari.In ogni caso è bene sottolineare che per ottenerebuoni risultati in termini di contenimento delle malattieè indispensabile un’approfondita conoscenzadella biologia ed epidemiologia dei patogeni che siintende combattere e degli antagonisti che si intendeutilizzare.Dal punto di vista economico, infine, i biofitofarmacimostrano costi di sviluppo e registrazione inferiori rispettoa quelli dei fitofarmaci di sintesi. Abbiamo piùvolte ricordato il mercato potenziale cui questi farmacisi rivolgono. Da un punto di vista assolutamentegenerale, l’esperienza ci insegna che è più facileselezionare microrganismi in grado di manifestareefficacia in specifiche nicchie (ambienti pedoclimaticiben definiti, colture protette, ...) in quanto, trattandosidi organismi, devono essere messi in condizionedi crescere adeguatamente. Ma in questo caso ilmercato non è più sufficiente a garantire la coperturadelle spese di ricerca, sviluppo e registrazione, sideve quindi cercare microrganismi in grado di svolgerela loro attività in condizioni assai diverse (mercatopiù ampio), ma questo è molto difficile e puòportare all’ottenimento di risultati erratici. Per stimolarela crescita del settore sarebbe opportuna,pur salvaguardando la sicurezza d’impiego dei prodotti,una ulteriore riduzione dei costi di registrazione,in modo da consentire anche a piccole imprese lacommercializzazione di prodotti registrati e destinatia specifici e limitati campi di impiego.Il mondo della ricerca e numerose aziende, in Italia eall’estero, sono da anni attivamente coinvolti in ciascunodei passaggi chiave che portano allo sviluppoe alla registrazione di un biofitofarmaco, a partiredalla selezione dei potenziali antagonisti fino a giungerealla messa a punto dei metodi per la produzionedi biomassa su vasta scala e alla formulazione delprodotto da commercializzare. Attualmente, in Italia,sono registrati e distribuiti alcuni biofitofarmaci ilcui principio attivo è costituito da funghi o batteri impiegabilinella difesa di piante di interesse agrario.Questi prodotti sono utilizzati nella lotta a patogenidelle parti aeree quali, ad esempio, Oidii attraversol’impiego del fungo Ampelomyces quisqualis (micoparassita),nella lotta a patogeni tellurici formantisclerozi mediante il fungo Coniotyrium minitans, micoparassitadelle strutture di quiescenza, o nei confrontidi batteri fitopatogeni come Agrobacterium tumefaciens,attraverso la competizione per i siti di infezioneda parte di Agrobacterium radiobacter.In conclusione, sebbene questi prodotti non rappresentinola panacea per risolvere tutti i problemi legatialla difesa delle colture, essi costituiscono validi strumenti,che fanno della sicurezza il loro punto di forza,che possono consentire la riduzione dell’impiego difitofarmaci a base di composti di sintesi in strategie dilotta integrata o che rappresentano, ad esempio inagricoltura biologica, una delle poche risorse a disposizionedegli agricoltori per la difesa delle colture.Bibliografia[1] K.F. Baker, R.J. Cook, Biological control ofplant pathogens. W. H. Freeman and company,San Francisco, California: 1974.[2] H.D. Burges, Formulation of microbial biopestices.Kluver Academic Publishers Group, Dordrecht,Netherlands: 1998.[3] R.J. Cook, K.F Baker, The nature and practiceof biological control of plant pathogens. AmericanPhytopathological Society, St. Paul, MN: 1983.[4] A. Matta, Fondamenti di patologia vegetale.Patron editore, Bologna: 1996.[5] G. Vannacci, M.L. Gullino, Acta Hort. 2000,532: 79.174


24 / Sez. ScientificaIl sistema di aree protette della Provincia di LivornoFrancesca Ruggeri*Parole chiave: aree protette, vegetazione, flora, faunaIl lavoro intende fornire un primo contributo alla conoscenza del sistema di aree soggette a protezionenell’ambito del territorio provinciale di Livorno.Le realtà di interesse naturalistico ricadenti nella Provincia di Livorno, caratterizzata da una estremavarietà di ambienti, comprendono zone umide costiere dulciacquicole o salmastre, ambienti costieri rupicolio dunali, zone fluviali o tratti di torrenti, aree forestali, boschive o di macchia collinari, zone digariga.A tale varietà di habitat corrisponde un patrimonio faunistico ricco e differenziato, con la presenza dispecie particolarmente significative, mentre tra le emergenze floristiche sono da segnalare specie relittedi epoca terziaria, nuclei di flora altamente specializzata e specie soggette a protezione secondo la normativaregionale, nazionale e comunitaria.IntroduzioneVari sono gli studi e le indagini scientifiche, relativia siti di rilevanza naturalistica del territorioprovinciale o a singole componenti floristichee faunistiche di tali aree, che ci forniscono conoscenzeapprofondite, tramite lavori di tesi o pubblicazioniscientifiche.Informazioni sulle tipologie di ambiente sono ricavabilidalla ricca cartografia storica e indicazioni botaniche,zoologiche, geologiche compaiono negli scrittidi Naturalisti-Viaggiatori e studiosi sin dal XVIIIsecolo, riguardanti territori di particolar rilievo, qualiad esempio la pianura pisano-livornese e le collinepisano-livornesi [1-12].La finalità del presente lavoro è però quella di presentareun quadro omogeneo di riferimento che includale varie tipologie di aree protette esistenti nellaProvincia di Livorno, individuate ai sensi della L.R.T.49/95, uniformando le conoscenze derivanti dai varistudi scientifici, e che risulti in grado di fornire indicazionisalienti sulla tipologia di habitat, sulla coperturavegetazionale, sulle specie principali floristichee del popolamento animale.Risultati e discussioneIl sistema di aree protette del territorio provinciale livornesecomprende due parchi (Parco Provincialel’autoreProvincia di LivornoU.O. Salvaguardia della NaturaVia S.Anna 4 - 57123 Livornoparco4@provincia.livorno.it* autore per corrispondenza175


Tabella 1: Le aree protette della Provincia di Livorno.Tipologia AreaProtettaParcoProvincialeParcoInterprovincialeDenominazioneAnnoIstituzioneMonti Livornesi 1999MontioniGR 1998LI 1998Comune/iinteressato/iLivorno,Collesalvetti,Rosignano M.moFollonica, MassaMarittimaSuvereto,PiombinoEstensione (ha)RiservaRiserva: 126Padule Orti-Bottagone 1998 PiombinoProvincialeArea contigua: 374 ca.RiservaRiserva: 22 ca.Oasi della Contessa 2004 CollesalvettiProvincialeArea contigua: 103 ca.ANPIL Fiume Cecina 1997 Cecina 199ANPIL Macchia della Magona 1998 Bibbona 1636ANPIL S. Silvestro 1998 Campiglia M.ma 699ANPIL Baratti-Populonia 1998 Piombino 1272ANPIL Sterpaia 1998 Piombino 248ANPIL Montioni 2001 Suvereto 151ANPIL Parrana S. Martino 2004 Collesalvetti 125ANPIL Colognole 2004 Collesalvetti 246ANPIL Foresta Montenero 1999 Livorno 679ANPIL Torrente Chioma 1999 Livorno 144ANPILForesta ValleBenedetta1999 Livorno 211ANPIL Parco Chioma 1999 Rosignano M.mo 43713296399dei Monti Livornesi, Parco Interprovinciale di Montioni),due Riserve Provinciali (R.N.P. Padule Orti-Bottagone, R.N.P. Oasi della Contessa) e dodici AreeNaturali Protette di Interesse Locale (ANPIL), regolarmenteiscritte nell’elenco ufficiale delle aree protettedella Regione Toscana(9° aggiornamento aisensi del D.G.R.T. n. 842 del 26.11.2007).Parco Provinciale dei Monti Livornesi e ANPILcontigueIl Parco dei Monti Livornesi e le sei ANPIL del territoriodi Livorno, Collesalvetti e Rosignano costituisconoil cosiddetto Sistema di Aree Protette deiMonti Livornesi, per un totale di oltre 3300 ha di naturaprotetta.La copertura vegetazionale comprende vaste zone dimacchia mediterranea con specie caratteristichequali Arbutus unedo L., Asparagus acutifolius L., Cistussalvifolius L., C. incanus L., Clematis flammulaL., C. vitalba L., Erica arborea L., Hedera helix L., Ligustrumvulgare L., Lonicera caprifolium L., L. implexaAiton, Myrtus communis L., Phillyrea angustifoliaL., P. latifolia L., Pistacia lentiscus L., Rhamnusalaternus L., Rosa canina L., R. sempervirens L., Rubiaperegrina L., Smilax aspera L., zone fortementedegradate dagli incendi a Calycotome spinosa (L.)Link, C. villosa (Poiret) Link, Calluna vulgaris (L.)Hull, Cistus sp. pl., Erica scoparia L., Genista germanicaL., Genista pilosa L., pinete a Pinus halepensisMill. e P. Pinaster Aiton, aree boscate e forestali(2062 ha di Complesso Demaniale Forestale “CollineLivornesi”) di latifoglie miste decidue a Quercus cerrisL., Q. pubescens Willd. e Acer campestre L., Crataegusmonogyna Jacq., Euonymus europaeus L., Fraxinusornus L., Ostrya carpinifolia Scop., Ruscus aculeatusL., Sorbus domestica L., S. torminalis (L.)Crantz, Viburnum tinus L., boschi mesofili lungo icorsi d’acqua e nelle valli più umide (Valle del Tor-176


Il sistema di aree protette della Provincia di Livornorente Ugione, Morra e Camorra, Valle del Chioma)ad Alnus glutinosa (L.) Gaertner, Carpinus betulus L.,Corylus avellana L., Fraxinus oxycarpa Bieb., Quercusrobur L., Salix alba L., S. purpurea L., Ulmus minorL., con tipica vegetazione ripariale (Carex sp. pl.,Juncus sp. pl.) e specie quali Asplenium adiantum-nigrumL., Ceterach officinarum DC., Phyllitis scolopendrium(L.) Newman e Lythrum salicaria L., Petasitesalbus (L.) Gaertner.Tra le specie d’interesse floristico: Bromus inermisGeyser, Galium mollugo L., Papaver apulum Ten., Silenelatifolia Poiret [13].Da segnalare il nucleo forestale secolare di Quercusilex L. presso le sorgenti di Colognole, le preziose testimonianzedelle foreste di laurifille terziarie dellaValle della Sambuca e del Chioma (Laurus nobilis L.,Ilex aquifolium L., Prunus mahaleb L., Periploca graecaL.), la stazione di Galanthus nivalis L. nell’alta Valledel Torrente Ugione, i nuclei di Quercus suber L.della Valle Benedetta e i contingenti di flora serpentinicoladi Poggio Corbolone, La Focerella, MonteMaggiore, Poggio alle Fate che annoverano speciequali Alyssum bertolonii Desv., Armeria denticulata(Bertol.) Dc., Asplenium cuneifolium Viv., Centaureaaplolepa Moretti subsp. carueliana (Micheletti) Dostàl,Euphorbia spinosa L., Iberis umbellata L., Ionopsidiumsavianum (Caruel) Ball, Iris chamaeiris Bertol.,Plantago serpentina All., Stachys recta L. subsp.recta var. serpentini Fiori, Thymus acicularis Waldst.& Kit. var. ophioliticus Lacaita, Tulipa australis Link.Lecceta, macchia mediterranea e bosco mesofilo registranoun popolamento animale in cui l’avifauna èben rappresentata, con specie sedentarie, migratricio svernanti, da passeriformi comuni, quali Motacillaalba, Troglodytes troglodytes, Erithacus rubecula, Lusciniamegarhynchos, Turdus merula, T. philomelos,Cettia cetti, Sylvia borin, Phylloscopus collybita, Regulusignicapillus, Aegithalos caudatus, Paruscaeruleus, P. major, Certhia brachydactyla, Remizpendulinus, Oriolus oriolus, Garrulus glandarius,Fringilla coelebs, Serinus serinus, Carduelis chloris, asilvidi di macchia (Sylvia atricapilla, S. cantillans, S.hortensis, S. melanocephala, S. undata), a columbidi(Columba palumbus, Streptotelia decaocto, Streptoteliaturtur), picidi (Jynx torquilla, Dendrocopos major,Picus viridis) e specie quali Cuculus canorus, Caprimulguseuropaeus, Upupa epops. Tra gli accipitriformiPernis apivorus, Circaetus gallicus, Accipiternisus, Buteo buteo, tra i falconiformi Falco naumanni,F. tinnunculus e F. peregrinus, tra gli strigiformi Tytoalba, Otus scops, Athene noctua, Strix aluco, Asio otus.Tra i mammiferi, risulta dominante la presenza diSus scrofa, oltre a Vulpes vulpes, Hystrix cristata, Sciurusvulgaris, Glis gliris, Muscardinus avellanarius,Erinaceus europaeus, Lepus europaeus, Oryctolaguscuniculus, Capreolus capreolus e mustelidi quali Melesmeles, Martes foina, M. martes, Mustela nivalis.Tra i rettili Coluber viridiflavus, Lacerta viridis, TestudoHermanni, Vipera aspis.In prossimità dei torrenti, nelle aree più fresche edumide di bosco deciduo, nei corsi d’acqua e nelle pozzetemporanee compaiono Bufo bufo, Rana kl. esculenta,Rana dalmatina, Natrix natrix, una ricca ittiofauna(Leuciscus cephalus, Rutilus rubilio, Anguillaanguilla) e fauna minore rappresentata da Gerridi,Notonectidi, Girinidi, oltre a Plecotteri e Tricotteri.Rilevante la presenza di Telphusa fluviatile e di Dolichopodaschiavazzii [14], ortottero rilevato nelle cisternedell’Acquedotto Leopoldino; per il TorrenteMorra e la Val di Chioma vengono segnalati Ranaitalica, Salamandrina terdigitata e Triturus carnifex.Figura 1: Parco Provinciale dei Monti Livornesi(da Archivio Provincia di Livorno).Parco Interprovinciale di MontioniIl Parco di Montioni si estende per oltre 6300 ha nellazona collinare compresa tra i bacini dei fiumi Cornia(ad ovest) e Pecora (ad est) ed interessa il territoriodella Provincia di Livorno per ca. 4500 ha e quellodella provincia di Grosseto per ca. 2000 ha. L’ANPILMontioni, in Comune di Suvereto, si estende per 150ha ca. al margine nord-ovest del Parco.Gran parte dell’area protetta è caratterizzata da coperturaforestale (patrimonio agricolo-forestale regionale)degradata a bosco o a macchia alta, dato lostorico sfruttamento per ricavarne carbone per l’in-177


dustria siderurgica; nel parco insistono due RiserveStatali (Riserva Naturale Integrale “Poggio Tre Cancelli”– 100 ha ca. e Riserva Naturale di popolamentoanimale “La Marsiliana” – 440 ha ca.).La copertura vegetazionale comprende zone prevalentidi lecceta (51%) e di cerreta (39%), affiancate damacchia mediterranea e rimboschimenti a Pinus halepensisMill., Pinus pinea L., Pinus pinaster Aiton, Pinusradiata D. Don, Cupressus sempervirens L.; presentianche querceti termofili a Quercus pubescensWilld. e sugherete, mentre nell’area più settentrionaleè presente un nucleo di Castanea sativa Mill.Le leccete compaiono sottoforma di popolamenti costituitida Quercus ilex L. e percentuali elevate di sclerofillesempreverdi, quali Erica arborea L., Arbutusunedo L., Phyllirea sp. pl., Viburnum tinus L. o in associazionecon Quercus cerris L., Q. pubescens Willd.e Fraxinus ornus L., Acer monspessulanum L., Sorbusdomestica L., S. torminalis (L.) Crantz, Crataegus sp.pl., Prunus spinosa L.Nelle cerrete, in proporzione minore, si segnalanoQuercus ilex L., Quercus pubescens Willd., Fraxinusornus L., seguite da Acer monspessulanum L., A. campestreL., Sorbus domestica L., S. torminalis (L.)Crantz, Ulmus minor Miller, Carpinus betulus L., Cornusmas L., Ligustrum vulgare L., Ruscus aculeatusL., Pyrus pyraster Burgsd., Malus florentina (Zuccagni)CK Schneider.Nelle formazioni a Quercus pubescens Willd. dominantesono presenti esemplari di Quercus cerris L. eQuercus ilex L., oltre a Fraxinus ornus L., Acer monspessulanumL. e sclerofille come Arbutus unedo L.,Phyllirea sp. pl., Viburnum tinus L.; nelle formazionia Quercus suber L. dominante sono presenti Arbutusunedo L. e Erica arborea L.La macchia mediterranea vede il prevalere di Arbutusunedo L., Erica arborea L., Myrtus communis L.,Phyllirea sp. pl., Pistacia lentiscus L., con esemplariarborei di Quercus ilex L.Le zone a gariga e di macchia bassa, derivanti dalladegradazione dell’originaria copertura forestale, sonocolonizzate da Cistus salvifolius L., C. monspeliensisL., Erica arborea L., Spartium junceum L. e Pistacialentiscus, Myrtus communis, Rhamnus alaternus.Nelle zone di radura da segnalare specie d’interessecome Ophrys apifera Huds. e O. bertolonii Moretti[15].L’avifauna è rappresentativa dell’habitat boschivo diquerceti misti e di sclerofille sempreverdi, con Garrulusglandarius, Colomba palumbus, Picus viridis,Jynx torquilla, Lanius collurio, Lanius senator, Sylviaatricapilla, Sylvia melanocephala, Sylvia undata.Presenze rilevanti di Scolopax rusticola, Certhiabrachydactyla, Carduelis spinus, Coccothraustes coccothraustes.Tra i rapaci diurni Buteo buteo, Circaetus gallicus, Accipiternisus, Pernis apivorus, Falco columbarius, Falcoperegrinus e tra i notturni Stryx aluco, Tyto alba,Athene noctua, Otus scops.Tra i mammiferi Sus scrofa, Capreolus capreolus, Damadama, Vulpes vulpes, Hystrix cristata, Meles meles,Martes foina, Mustela nivalis, Erinaceus europaeus,Lepus europaeus, Sciurus vulgaris, Rhinolophus ferrumequinum,Muscardinus avellanarius.Da confermare la presenza di Canis lupus, Felis silvestris,Martes martes, Mustela putorius, Elyomis quercinus,Suncus etruscus.L’erpetofauna annovera Testudo hermanni, Elaphequatuorlineata, Elaphe longissima, Coronella sp. e tragli anfibi Triturus carnifex e Rana dalmatina.Figura 2: Parco Interprovinciale di Montioni (daArchivio Provincia di Livorno).Riserva Provinciale Padule Orti-Bottagone eANPIL SterpaiaLa Riserva Padule Orti-Bottagone, in Comune diPiombino, si estende lungo lafascia settentrionale del golfo di Follonica, nella cassadi colmata del Fiume Cornia, e costituisce un lemborelitto delle storiche estensioni palustri della bassaVal di Cornia.Ridotte aree umide caratterizzano anche l’ANPILdella Sterpaia che si estende per ca. 248 ha lungo il litoraleorientale di Piombino.Il Padule di Orti-Bottagone è rappresentativo di duetipologie di area umida: la zona di Orti è caratterizza-178


Il sistema di aree protette della Provincia di Livornota da tipica vegetazione delle aree umide salmastre,con formazioni alofite a Halimione portulacoides (L.)Aellen, Salicornia sp. pl., Salsola soda L., Limoniumsp.pl., mentre la zona di Bottagone presenta tipicavegetazione delle aree umide dulciacquicole (fragmiteti,scirpeti, prati umidi a giunchi e ciperacee).Tra le specie da segnalare Epipactis palustris (L.)Crantz, Orchis palustris Jacq., Puccinellia palustris(Seenus) Hayek, Zannichellia palustris L. ssp. pedicellata(Wahlenb. et Rosén) Hegi [16].Presenti esemplari arborei di Tamarix africana Poiret,Fraxinus oxycarpa Bieb., Salix alba L.La componente faunistica più rilevante è l’avifauna,sia a livello di nidificanti – tra cui sono presenti specied’interesse (Ixobrychus minutus, Ardea purpurea,Circus aeruginosus, Rallus aquaticus, Himantopus himantopus,Acrocephalus melanopogon) – sia comespecie svernanti e migratrici rappresentative dei Podicipediformes,Pelicaniformes, Ciconiiformes, Phoenicopteriformes,Anseriformes, Accipitriformes, Galliformes,Gruiformes, Charadriformes, Coraciiformese Passeriformes.Segnalata la presenza di anfibi, quali Triturus carnifex,Triturus vulgaris, Bufo bufo, Bufo viridis, Hyla intermedia,Rana kl. esculenta e di Emys orbicularis eNatrix natrix tra i rettili.Rilevante la presenza di Triglochin bulbosum L. subsp.barrelieri (Loisel.) Rouy.Interessante anche la zona relitta dunale con Anthemismaritima L., Ammophila arenaria R. et S., Eryngiummaritimum L., Euphorbia paralias L., Medicagomarina L., Pancratium maritimum L. e, nel retroduna,i raggruppamenti di Tamarix gallica L. e T. AfricanaPoiret.Riserva Provinciale Oasi della ContessaLa Riserva Oasi della Contessa, situata nel territoriocomunale di Collesalvetti, è costituita da un’areaumida di 18 ha ca. (22 ha di riserva), contornata dacampi di bonifica (area contigua di ca. 100 ha), rappresentativadell’antico sistema di paludi costieredella pianura pisano-livornese.Figura 4: Himantopus himantopus nella RiservaProvinciale Oasi della Contessa (foto F. Ruggeri).Figura 3: Riserva Provinciale Padule Orti-Bottagone.L’area umida salmastra di Orti (da ArchivioProvincia di Livorno).La confinante ANPIL Sterpaia è caratterizzata da nucleirelitti di bosco allagato planiziale a Fraxinus oxycarpaBieb., con presenze di Quercus cerris L. e diibridi tra Quercus robur e Q. Pubescens, da aree palustrisalmastre con formazioni alofitiche a Salicorniasp. pl. e Limonium sp. pl.La copertura vegetale è rappresentata da fragmitetomisto a tifeto, con estensioni di prato umido a Carexsp. pl., Juncus sp. pl. e nuclei di Bolboschoenus maritimus(L.) Palla, Eleocharis sp. pl., Schoenoplectus lacustris(L.) Palla, Sparganium erectum L. [17].Fortemente depauperata la componente arboreaigrofila (Fraxinus oxycarpa Bieb., Ulmus minor Miller,Tamarix gallica L.).L’area è popolata da avifauna acquatica durante losvernamento e la migrazione [18, 19] ed è sito di nidificazionedi Tachybaptus ruficollis, Anas platyrhynchos,Gallinula chloropus, Fulica atra, Charadrius dubiuse passeriformi di canneto quali Cettia cetti, Acrocephalusscirpaceus, Acrocephalus arundinaceus.Tra le presenze abituali nella Riserva si segnalanoTachybaptus ruficollis, Bubulcus ibis, Egretta garzetta,Ardea cinerea, Anas platyrhynchos, Anas crecca, Anas179


clypeata, Gallinula chloropus, Fulica atra, caradriformiquali Himantopus himantopus, Vanellus vanellus,Philomachus pugnax, Gallinago gallinago, Tringaerythropus, T. Totanus, T. nebularia, T. ochropus, T.glareola, Actitis hypoleucos e specie quali Alcedoatthis, Merops apiaster, Anthus pratensis, A. spinoletta,Motacilla flava, M. alba, Remiz pendulinus.Specie di rilievo Ixobrychus minutus, Ardea purpurea,Anser anser, Tadorna tadorna, Circus aeruginosus,Rallus aquaticus, Pluvialis apricaria, Limosa limosa,Coracias garrulus.Cospicua la presenza di Bufo viridis e Rana kl. esculenta,presente anche Natrix natrix.ANPIL Fiume CecinaIl corso del Fiume Cecina è tutelato dall’istituzione ditre ANPIL, di cui una in Comune di Cecina e le altrein Comune di Riparbella e Montescudaio[20].L’area fluviale nel basso corso del Cecina mostra forticaratteri di degrado e la copertura vegetazionalerelittuale è costituita da vegetazione ripariale, fragmiteti,formazioni a giunchi e carici; Populus sp. pl.,Fraxinus oxycarpa Bieb, Salix sp. pl. fanno parte dellacomponente arboreo-arbustiva igrofila.La zona del Paduletto, a sud della foce del Cecina, èrappresentativa delle antiche aree palustri costierecon fragmiteti e tifeti che ospitano specie quali Cettiacetti, Acrocephalus scirpaceus, Acrocephalus arundinaceus,Remiz pendulinus. Altre specie rintracciabililungo il corso del fiume e nel Paduletto: Gallinula chloropus,Alcedo atthis, Merops apiaster, Motacilla alba.Presenti nell’ANPIL anche pinete a Pinus pinea L.,Pinus pinaster Aiton, Pinus halepensis Mill.ANPIL Macchia della MagonaL’ANPIL Macchia della Magona si estende sui rilievicollinari fuori dall’abitato di Bibbona per oltre 1600ha, entro i confini dell’ANPIL è compresa la RiservaBiogenetica Statale di Bibbona, un arboreto sperimentaledi 6 ha [20].La copertura vegetale è dominata dai boschi di Quercusilex L., a cui si associano nelle zone meno arideQuercus cerris L. e Ostrya carpinifolia Scop., e dallamacchia mediterranea alta, risultato dello sfruttamentodella copertura arborea sin dal XVI secolo perricavarne legna da impiegare nelle ferriere.Nel forteto dominano Quercus ilex L. e Arbutus unedoL., affiancati sa Erica sp. pl., Viburnum tinus L., Pistacialentiscus L., Phillyrea sp. pl. e specie lianose qualiClematis sp. pl., Lonicera sp. pl., Rubia peregrina L.,Smilax aspera L.,Tamus communis L.Il popolamento faunistico annovera mammiferi (Susscrofa, Vulpes vulpes, Capreolus capreolus, Hystrixcristata, Meles meles, Martes martes, Sciurus vulgaris)e una ricca avifauna (Buteo buteo, Pernis apivorus,Circaetus gallicus, Milvus migrans, Lanius collurioe L. senator, Erithacus rubecula, Garrulus glandarius,Columba palumbus, Sylvia melanocephala, S.atricapilla, S. undata, Picus viridis).Gli anfibi sono rappresentati da Rana italica e Bombinapachypus; tra i rettili sono presenti Testudo hermannie Elaphe quatuorlineata.Figura 6: Macchia della Magona (da Achivio Provinciadi Livorno).ANPIL S. SilvestroFigura 5: Fiume Cecina (da Archivio Provincia diLivorno).L’ANPIL S. Silvestro si estende per 700 ha ca. sui rilievicollinari a nord di Campiglia Marittima, com-180


Il sistema di aree protette della Provincia di Livornoprendendo un’importante area mineralogica sfruttatasin dal VII secolo a.C. [20].La copertura vegetazionale vede zone di macchia altaa Quercus ilex L., Arbutus unedo L., Phillyrea sp. pl.,alternarsi a macchia bassa a Myrtus communis L.,Rhamnus alaternus L., Phillyrea angustifolia L., P. latifoliaL., Pistacia lentiscus L., a garighe a Cistus incanusL. e Olea oleaster Heff. e Link., Helicrisum stoechasL., o a Juniperus oxycedrus L., J. phoenicea L. eGlobularia alypum L.Da segnalare specie di interesse floristico quali Irischamaeiris Bertol., Ophrys apifera Huds., Jonopsidiumsavianum (Caruel) Ball e Crocus etruscus Parl.,Ranunculus garganicus Ten., Biscutella cichoriifoliaLoisel., B. pichiana Raffaelli,Per la fauna da segnalare Phyllodactilus europaeus e,tra gli uccelli, specie d’interesse quali Monticolasaxatilis, Tichodroma muraria, Sylvia hortensis, Laniuscollurio, L. senator, Caprimulgus europaeus, Lullulaarborea, Otus scops.ad ambienti rupicoli costieri, colonizzati da Anthyllisbarba-jovis L., Crithmum maritimum L., Senecio cinerariaDC., Helichrysum stocheas L., Lotus cytisoidesL., Limonium sp. pl.Specie floristiche rilevanti: Chamaerops humilis eDaphne sericea.Il promontorio di Piombino riveste notevole importanzaquale zona di osservazione dell’avifauna svernantee in migrazione. Tra le specie d’interesse: Sulabassana, Falco peregrinus, Larus audouinii e Apuspallidus, Anthus campestris, Sylvia hortensis, S. undata,Oenanthe hispanica.Tra i mammiferi Mustela putorius; tra i rettili Phyllodactiluseuropaeus.Figura 8: ANPIL Baratti-Populonia (da ArchivioProvincia di Livorno).BibliografiaFigura 7: La rocca di S. Silvestro (da ArchivioProvincia di Livorno).ANPIL Baratti-PopuloniaL’ANPIL si estende per oltre 1200 ha, comprendendola parte settentrionale del promontorio di Piombinoe la fascia costiera del Golfo di Baratti [20].Il promontorio di Piombino presenta un mosaico interessantedi formazioni vegetali: da zone di macchiaalta a Quercus ilex L., Arbutus unedo L., Phyllireasp.pl., Rhamnus alaternus L., a nuclei di macchia bassaad Olea oleaster Heff. e Link. e Juniperus phoeniceaL., a settori forestali a Castanea sativa Mill.,Ostrya carpinifolia Scop. e Ulmus minor Mill., sino[1] G. Targioni Tozzetti, Relazioni d’alcuni viaggifatti in diverse parti della Toscana per osservare leproduzioni naturali, e gli antichi monumenti di essa.Forni, Bologna: 1768-1779.[2] G. Menabuoni, Storia naturale delle adiacenzedi Pisa, Lido Toscano da quella parte, e Colline diTramontana. In: Atti della Real Società economicadi Firenze detta dei Georgofili. Firenze: 1796.[3] P. Savi, Studi geologico-agricoli sulla pianurapisana 15 febbraio 1856. In: Continuazione Attidell’Accademia dei Georgofili. Firenze: 1856.[4] T. Caruel, Prodromo della Flora Toscana. Firenze:1860-64.[5] A. Preda, N. Giorn. Bot. It. 1895, 2: 108 e 217.[6] A. Preda, Bull. Soc. Bot. It. 1896, 1: 6.[7] E. Barsali, Bull. Soc. Bot. It. 1904: 202.[8] S. Sommier, Bull. Soc. Bot. It. 1905: 166.181


[9] A. Fiori, Ann. R. Ist. Sup. For. Nat. 1919-20,5: 149.[10] A. Chiarugi, Bull. Soc. Bot. It. 1923: 106.[11] F. Rodolico, La Toscana descritta dai naturalistidel 700. Firenze: 1945.[12] G.C. Martini, Viaggio in Toscana (1725-1745). Modena: 1969.[13] C. Ansaldo, F. Garbari, S. Marchiori, Quad.Mus. St. Nat. Livorno 1988, 9: 45.[14] G. Barsotti, Storia Naturale dei Monti Livornesi.Belforte & C., Livorno: 2000.[15] A. Cenerini, Aspetti floristici e vegetazionalidel parco di Montioni. Leopoldo II, Follonica:1994.[15] D. Viciani, L. Lombardi, Parlatorea 2001, 5:101.[17] F. Ruggeri, BIOGEOGRAPHIA 2005, 26: 521.[18] F. Ruggeri, Avocetta 2005, 29: 84.[19] E. Arcamone, N.E. Baldaccini, F. Garbari, F.Ruggeri, Atti Soc. tosc. Sci. nat. Mem. Serie B2004, 11: 135.[20] G. Ceccolini, A. Cenerini, Toscana. Parchi eAree protette. Il mio Amico. Roccastrada (GR):2004.182


25 / Sez. DivulgativaUna bellezza da salvaguardare:«Le Orchidee della costa Toscana»Glauco Baldassari*Parole chiave: costa toscana, Orchidee spontanee, ambiente, salvaguardiaUno degli aspetti più interessanti, da un punto di vista floristico, è la presenza nel nostro territorio dinumerose specie di orchidacee spontanee distribuite dalle zone retrodunali costiere sino alle zone collinarie montane subito a ridosso della costa (Monti Pisani, Monti Livornesi, Colline Pisane, Colline Metallifere,etc.).Uno dei problemi più urgenti è la salvaguardia di tali beni attraverso una politica che favorisca la conoscenzaed il rispetto per tutti gli aspetti del nostro particolarissimo ambiente. Esso si sviluppa in una vastagamma di territori diversi che vanno, come già detto, dalle dune costiere alla garriga, dalle zoneumide alla macchia mediterranea. In ognuno di questi ambienti si sviluppano particolari associazionivegetali, delle quali le orchidee fanno parte integrante.Sarebbe impossibile in questo ambito descrivere tutte le specie presenti (circa 90); qui mi limiterò ad allegarealcune immagini delle orchidee più particolari sia per bellezza che per rarità, nella speranza chequesto piccolo assaggio stimoli la ricerca e la protezione di queste bellissime piante.Ho cominciato ad interessarmi alle orchideespontanee dopo aver conosciuto l’amico e socio,mai dimenticato, Luigi Baldi.Il suo amore per questi bellissimi fiori mi ha contagiatoa tal punto che mi sono messo anch’io sulletracce di questo aspetto della nostra flora in compagniadei soci dell’Associazione Pisana Scienze Naturali(APSN). In brevissimo tempo siamo riusciti adindividuare circa 40 specie diverse distribuite sul territorioche va dalla costa fino ai monti retrostanti. Illavoro non è ancora terminato, restano ancora moltespecie da fotografare.Stiamo preparando un piccolo lavoro sul territorioPisano senza nessuna pretesa scientifica: vorrà esseresolo un omaggio ad una delle bellezze della nostraterra e, soprattutto, un omaggio al caro Luigi che ciha trasmesso questa passione.«Atlante fotografico delle orchidee del territorio Pisano»:questo sarà il titolo. Auspichiamo che possaessere un piccolo contributo alla conoscenza, anchese solo visiva, di questo aspetto delle nostre terre.Porterà sicuramente ad una maggiore consapevolezzadella tutela e della salvaguardia degli ambienti floristiciattraverso una sempre maggiore diffusionedella conoscenza a tutti i livelli, un impegno a far rispettarele normative sulle tutele ambientali, unal’autoreAssociazioene Pisana Scienze Naturaliedell’Uomo «Luigi Baldi»,Via S. Agostini, 20/B - 56121 Pisaknmer1470@tiscali.it* autore per corrispondenza183


adeguata segnalazione a mezzo palinature delle specieprotette e cartelli esplicativi direttamente nellezone interessate.Troppo spesso si vedono villeggianti e escursionisticalpestare e raccogliere questi fiori delicatissimi perpoi abbandonarli lungo i sentieri perché ormai avvizziti.Molte volte sono dovuto intervenire per fermarelo scempio e non sempre con dei buoni risultati. Indifferenzao addirittura fastidio era quello che ottenevo,senza contare brutte risposte.Spero che questa iniziativa sia utile a smuovere le acquee, nel futuro, l’ amore per il nostro ambiente e ilnostro paesaggio tocchi il cuore di tutti e ci spinga aproteggere e migliorare le nostre coste e le nostremontagne e colline.Materiali e metodiLe ricerche e le foto sono state effettuate durante unanno e mezzo su tutto il territorio con particolare riferimentoalle colline e alle montagne subito a ridossodella costa.Individuati gli habitat, si è proceduto alla ricerca e allaclassificazione delle specie presenti, cercando diindividuare tipi particolari oltre alle forme classiche.Ad ogni habitat normalmente corrispondono speciesimili salvo alcune peculiarità e si possono individuarealcuni ibridi ed alcuni albini (fiori decolorati).Abbiamo annotato minuziosamente data, località eambientazione di ogni specie in modo da potere successivamenteosservare le rifioriture ed eventualmentelo spostamento di areale e una maggiore o minorediffusione.Le fioriture spaziano da fine inverno (fine febbraio,inizi di marzo), proseguono in primavera ed estate finoad arrivare con specie particolari sino a fine ottobre(Spiranthes spiralis).La ricerca continuerà anche quest’anno e spero dipoterla concludere in tarda estate.ConclusioniSono state individuate circa 40 specie riferite a diversigeneri, Nella seguente tabella delle principali specierinvenute, si può osservare una grande diversificazionesia di generi che di specie che ricalcano perfettamentele differenze di ambienti della nostra costa.Questo ci dà la misura dell’importanza della protezionedell’ambiente nel quale queste nostre bellezzevivono e si sviluppano: un invito, quindi, ad adoperarsirivolto a tutte le organizzazioni od enti che hanno acuore la tutela del territorio. Una particolare attenzionea tutte quelle azioni che servano ad aumentarela sensibilità su queste tematiche ed a migliorare ladiffusione della cultura naturalistica e ambientaledel nostro paese.SpiranthesSpiranthes spiralisPlatantheraPlatanthera bifolcaPlatanthera chloranthaGymnadeniaGymnadenia conopseaDactylorhizaDactylorhiza fuchsiiDactylorhiza sambucinaOrchisOrchis paucifloraOrchis simiaOrchis tridentataAlcune orchidacee della costa toscanaOrchis purpureaOrchis morioOrchis coriophoraOrchis papilionaceaOrchis anthropophoraOrchis laxifloraAnacamptisAnacamptis pyramidalisSerapiasSerapias neglectaSerapias vomeraceaSerapias laxifloraSerapias linguaOphrisOphris ciliataOphris fuscaOphris apiferaOphris speculumOphris speculum garganicaOphris tirrenicaLimodorumLimodorum abortivumCephalantheraCephalanthera rubraCephalanthera longifoliaEpipactisEpipactis helleborineListeraListera ovata184


Una bellezza da salvaguardare: «Le Orchidee della costa Toscana»RingraziamentiRingrazio in primo luogo l’amica Elena Baldi che haconsentito l’utilizzo delle ricerche effettuate da LuigiBaldi e, in egual misura, mio figlio Bernardo: senzale sue foto e le sue classificazioni tutto il lavoro nonsarebbe stato possibile.Confido ancora nel loro aiuto per portare a terminela pubblicazione dell’Atlante fotografico in progetto.Figura 1: Ophris tyrrenicaFigure 2 e 3: Cephalanthera longifoliaFigure 4 e 5: Orchis anthropophoraFigure 6 e 7: Epipactis helleborineFigure 8 e 9: Orchis papilionaceaFigura 10: Ophris sphegodesFigure 11 e 12: Orchis simiaFigure 13 e 14: Ophris apiferaFigure 15 e 16: Orchis morio185


26 / Sez. ScientificaPer una flora critica dei macromicetinel territorio pisanoRoberto Narducci* 1 , Mauro Marchetti 2 , Paolo Emilio Tomei 3Parole chiave: flora micologica, macromiceti, PisaLe specie di macromiceti censite per la provincia di Pisa ammontano a oltre 1.600.Diverse entità risultanorare o in pericolo di scomparsa, tra queste una decina sono nuove anche per la Toscana e oltre uncentinaio ascrivibili alla lista rossa toscanaRicordiamo tra le altre: Amanita boudieri Barla, Battarraea phalloides (Dicks.: Pers.) Pers., Hygrocybespadicea (Scop.) P. Karst., Inocybe dunensis P.D. Orton e Xerocomus ichnusanus Alessio, Galli &Littini. Alcuni gruppi inoltre si presentano complessi e necessitano di discussione.In relazione a questo gli autori stanno lavorando, a partire dal 2006, alla compilazione di una flora criticadel territorio pisano, estremamente ricco anche per ciò che riguarda la presenza dei funghi carnosi.Apartire dalla seconda metà dell’800 fino ad oggi,sono state raccolte numerose informazionisulla componente micologica del territorio pisano.Ciò è dovuto all’interesse dimostrato principalmenteda studiosi legati all’Università di Pisa che percirca un secolo si sono occupati dello studio dei macromicetipresenti in loco. Recentemente agli studiosidel settore si sono affiancate istituzioni pubblicheinteressate alla conoscenza del territorio e sensibilisia alla salvaguardia che alla valorizzazione ambientale;l’Ente Parco Regionale Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli, l’Amministrazione Comunale di SanGiuliano Terme, ecc. hanno contribuito alla conoscenzadi questa importante componente ecosistemicacon il loro sostegno finanziario.In relazione ai dati pubblicati: le specie di macromiceticensite per la provincia di Pisa ammontano a oltre1.600, tra queste diverse entità risultano rare o inpericolo di scomparsa, una decina sono nuove per laToscana e oltre un centinaio sono ascrivibili alla listarossa toscana (Antonini e Antonini, 2006). Gli autori,a partire dal 2006, hanno iniziato l’esame critico deidiversi macromiceti presenti nel territorio pisano.Materiali e metodiIl lavoro in primo luogo prende in esame la numerosabibliografia disponibile; a tutt’oggi i lavori individuatisono precisamente i seguenti: Aa.Vv., 1858-64; Arcangeli,1889, 1892, 1895, 1899, 1911; Berlese e Peglion,1892; Mattirolo, 1896, 1903; Barsali, 1903, 1904, 1905,1906; Petri, 1909; Verona, 1932; Monti, 1976, 1979,1993; Monti e Ficini, 1980; Gorreri e Marchetti, 1991;Gremigni, 1994; Narducci e Caroti, 1996; Marchetti eGorreri, 1999; Monti et. al., 1999, 2001; Aa.Vv., 1999;Aa.Vv., 2000; Franchi et. al., 2001; Fantoni e Narducci,1999; Antonini et al., 2000; Narducci e Cecchini,2000; Narducci e Petrucci, 2000; Turco et. al., 2004;Della Maggiora et. al., 2004; Franchi e Marchetti,2004; Tomei et. al., 2005; Narducci, 2005 e 2006; Cecchinie Narducci, 2006, 2007; Franchi et. al., 2006.Parimenti si è iniziato l’esame dei materiali d’erbariogià in parte studiati da altri autori (Martinoli, 1962;186


Per una flora critica dei macromiceti nel territorio pisanoArrigoni, 1981; Del Prete e Monti, 1984; Amadei,1987, 1993; Dini, 1994; Narducci e Caroti, 1996; Narduccie Cecchini, 2006).Infine campagne di raccolta sul campo hanno già iniziatoa fornire, e ancora forniranno, i materiali necessariper la definizione di gruppi critici e per il reperimentodi nuove entità che in vero già si sono iniziatea ritrovare.ConsiderazioniGià ad un primo esame dei materiali disponibili risultache alcuni gruppi si presentano complessi e necessitanodi discussione.A titolo esemplificativo possiamo ricordare che nell’ambitodel genere Tricholoma risultano di difficileinterpretazione entità della Sottosezione Terrea(Konrad et Maublanc) Bon; gli sporocarpi afferenti aquesto gruppo, nel territorio pisano, sono assai comunisia nelle leccete collinari sia nelle aree costieree presentano taglia medio piccola con odore e saporepiù o meno «farinacei». Tra le specie di questo grupposi ricordano Tricholoma terreum (Schaeff.: Fr.) P.Kumm., T. triste (Scop.) Quél., T. gausapatum (Fr.:Fr.) Quél. per la Stirpe «terreum» e T. myomyces(Pers.: Fr.) J.E. Lange, T. scalpturatum (Fr.) Quél., T.quercilicis (Bon, R. Narducci & P. Petrucci )R. Narducci& P. Petrucci per la Stirpe «scalpturatum»; quest’ultimaentità era stata precedentemente descrittacome Tricholoma ramentaceum (Bull.: Fr.) Rickenvar. quercilicis Bon, R. Narducci & P. Petrucci (Bonet. al., 1996).gli autori1 Orto Botanico di Lucca,Via del Giardino Botanico 14 - 55100 Luccaroberto1956@supereva.it2 Via Goya 12 - 56010 GhezzanoSan Giuliano Terme (PI)marchettimauro@aliceposta.it3 Dipartimento di Agronomia e Gestionedell’Agroecosistemavia San Michele degli Scalzi 2 - 56124 Pisapetomei@agr.unipi.it* autore per corrispondenzaA proposito delle numerose entità interessanti, inseritenella Red-list della Toscana, e individuate già in questaprima fase della ricerca si segnalano ad esempio:Amanita boudieri Barla, Marina di Vecchiano, nel retroduna,sotto giovani esemplari di Pinus pinaster eArbutus unedo (Franchi et al., 2006).Battarraea phalloides (Dicks.: Pers.) Pers., MonteCastellare, gariga e lecceta (Cecchini e Narducci,2007).Hygrocybe spadicea (Scop.) P. Karst., San Rossore, inuna zona prativa ai margini del bosco (Franchi et al.,2006).Inocybe dunensis P.D. Orton San Rossore, dune(Franchi et al., 2006).Xerocomus ichnusanus Alessio, Galli & Littini, MonteCastellare, sotto sughere (Narducci, 2001).La flora macromicetica della provincia di Pisa si è rivelata,e viepiù si sta rivelando, molto ricca di specieinteressanti; in riferimento a ciò è sembrato opportunopreparare un compendio delle conoscenze sull’argomento,dove tutte le specie possono essere trattatecriticamente in modo da avere un quadro esaustivosulle problematiche legate ai funghi carnosi presentinel territorio pisano.ConclusioniIl lavoro ha prodotto la seguente rassegna bibliografica:Aa.Vv., Erbario Crittogamico Italiano. I serie.Tip. Del. R.I. dè’ Sordo-muti, Genova: 1858-64.Aa.Vv., I funghi in Toscana (mappatura e censimentodei macromiceti epigei). A.R.S.I.A. -A.G.M.T., a cura di L. Tofacchi e M. Mannini, incui compaiono contributi di C. Barluzzi, I. Filippi,E. Laganà, M. Mannini, R. Narducci, C. Perini,E. Salerni, L. Tofacchi, Bandecchi e Vivaldi, Pontedera(PI): 1999.Aa.Vv. (2000), Atti del XVII Comitato Scientificodell’Associazione Gruppi Micologici Toscani(AGMT). Buti 19, 21 novembre 1999.L. Amadei, Note sull’Herbarium Horti Pisani: l’originedelle collezioni. Museol. Sci. 1987, 4 (1-2):119-129.L. Amadei, L’Erbario di Giovanni Arcangeli a Pisa.Museol. Sci. 1993, 10 (3-4): 235-246.D. Antonini, M. Antonimi, Libro rosso dei Macromicetidella Toscana. Dal censimento alla Red list.Regione Toscana, A.R.S.I.A. - A.G.M.T. TipolitoDuemila srl, Campi Bisenzio (FI): 2006.187


D. Antonimi, M. Antonini, A. Cecchini, R. Narducci,Aspetti conservazionistici sulla micofloradelle ANPIL Monte Castellare e Valle delle Fonti.Primo Contributo. In: I Monti Pisani: il ruolo delleANPIL per la conservazione e la valorizzazionedel territorio, a cura di E. Fantoni e R. Narducci,Felici Editore, Pisa: 2000.G. Arcangeli, Sopra due funghi raccolti nel Pisano.Bull. Soc. Bot. Ital., in Nuovo Giorn. Bot. Ital.1889, 21 (3): 434-436.G. Arcangeli, Brevi notizie sopra alcune Agaricidee.Bull. Soc. Bot. Ital. 1892 (2): 172-176.G. Arcangeli, Sopra una mostruosità di Lentinus tigrinus.Nuovo Giorn. Bot. Ital., n.s. 1895, 2: 57-62.G. Arcangeli, Sopra vari funghi raccolti nell’anno1898. Bull. Soc. Bot. Ital. 1899 (1): 16-22.G. Arcangeli, Sul parassitismo di alcuni funghi.Atti Soc. Tosc. Sci. Nat., Proc. Verb. 1911, 20: 13-16.Arrigoni M. (1981) – Revisione dell’erbario micologicodell’Orto Botanico pisano. Tesi di Laurea.Anno accademico 1980-1981.E. Barsali, Conspectus Hymenomycetum Agri Pisani.Bull. Soc. Bot. Ital. 1903 (1): 11-22.E. Barsali, Aggiunte alla micologia pisana. Bull.Soc. Bot. Ital. 1904 (3): 78-82.E. Barsali, Aggiunte alla micologia pisana. Terzanota. Bull. Soc. Bot. Ital. 1905 (6): 201-205.E. Barsali, Aggiunte alla micologia pisana. Quartanota. Bull. Soc. Bot. Ital. 1906 (5-6): 93-98.A.N. Berlese, V. Peglion, Micromiceti toscani.Contribuzione alla flora micologica della Toscana.Nuovo Giorn. Bot. Ital., 1892, 24 (3): 97-172.M. Bon, R. Narducci, P. Petrucci, Une nouvellevariete de tricholome des chenes verts: Tricholomaramentaceum. (Bull. Fr.) Ri. var. quercilicis var.nov. Documents Micologiques XXVI, 1996, 102:13-16.A. Cecchini, R. Narducci, I macromiceti dellaMacchia di San Rossore, primi risultati delle indaginiin corso. In: «Codice Armonico» . Primo congressodi scienze naturali della Regione Toscana, acura di Valentina Domenici e Alessandro Lenzi,Zadigroma Editore, Roma 2006, pp. 243-246.A. Cecchini, R. Narducci, (2007), Macromiceti delComune di San Giuliano Terme: stato delle conoscenze.Internos. Quaderni di Botanica del Dipartimentodi Agronomia e Gestione dell’Agro-ecosistema,Università di Pisa, 1: in stampa.M. Della Maggiora, F. Tolaini, D. Antonini, M. Antonimi,Elenco dei macromiceti epigei segnalati peril territorio regionale dal 1900 al 2003. Supplementoa: «Storia della Micologia in Toscana», a curadi Daniele Antonini e Massimo Antonimi, AssociazioneGruppi Micologici Toscani (AGMT),Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazionenel settore Agricolo Forestale (ARSIA): 28-30,Tip. Valdarnese, S. Giovanni Valdarno (AR):2004.C. Del Prete, G. Monti, Collezione dell’«HerbariumHorti Pisani»: le raccolte micologiche. Mic.Ital. 1984, 1: 83-87.S. Dini, Il genere Peziza Dillenius ex Bulliard: revisionedel materiale conservato nell’HerbariumHorti Pisani. Tesi di Laurea, Anno accademico1993-1994: 1994.E. Fantoni, R. Narducci, Due aree protette sulMonte Pisano: Le A.N.P.I.L. di Monte Castellare eValle delle Fonti. Parliamo di funghi 1999,G.M.C., Camaiore 1999: 11-14.P. Franchi, M. Giovannetti, L. Gorreri, M. Marchetti,G. Monti, La Biodiversità dei Funghi delParco. Inventario della flora micologica del Parconaturale Migliarino San Rossore Massaciuccoli.Leonardo - Istituto di Ricerca sul Territorio el’Ambiente, Università di Pisa - Ente Parco MigliarinoSan Rossore Massaciuccoli. Felici Editore,Ghezzano, San Giuliano Terme (PI): 2006.P. Franchi, L. Gorreri, M. Marchetti, G. Monti,Funghi e ambienti dunali. Indagine negli ecosistemidunali del Parco Naturale Migliarino San RossoreMassaciuccoli. Ente Parco Regionale MigliarinoSan Rossore Massaciuccoli - Università di Pisa,Dip. di Scienze Botaniche, Grafiche 2000, Ponsacco(PI): 2001.P. Franchi, M. Marchetti, Funghi clavarioidi. VI.Una bella specie mediterranea della sez. Neoformosae.Parliamo di funghi 2004, G.M.C., Camaiore2004: 30-33.L. Gorreri, M. Marchetti, Funghi del Parco. Consorziodel Parco Naturale Migliarino San RossoreMassaciuccoli. Bandecchi & Vivaldi, Pontedera:1991.G. Gremigni, Radionuclidi nei funghi e nel terrenoprelevati nel parco naturale Migliarino - S. Rossore- Massaciuccoli e nelle colline livornesi a seguitodell’incidente di Chernobyl. Provincia di Livorno- Consorzio Parco Naturale «Migliarino - S. Rossore- Massaciuccoli». Supplemento n. 3 al vol. 11(1990) dei Quaderni del Museo di Storia Naturaledi Livorno- Tip. O. Debatte e F., Livorno: 1994.M. Marchetti, L. Gorreri, I funghi del Parco Mi-188


Per una flora critica dei macromiceti nel territorio pisanogliarino, San Rossore, Massaciuccoli. Ente ParcoRegionale Migliarino San Rossore Massaciuccoli,Litografia Felici, Pisa: 1999.G. Martinoli, L’Erbario Pellegrini acquisito dall’HerbariumHorti Botanici Pisani. Nuovo Giorn.Bot. Ital. 1962, 69 (1-3): 182-184.O. Mattirolo, La Delastria rosea Tul. in Italia.Bull. Soc. Bot. Ital. 1896 (7): 177-180.O. Mattirolo, I funghi ipogei italiani raccolti da O.Beccari, L. Caldesi, A. Carestia, V. Cesati, P.A.Saccardo. Mem. Regia Accademia delle Scienze diTorino, ser. 2, 1903: 331-366.G. Monti, Materiale per una flora micologica dellaprovincia di Pisa. I: macromiceti della selva costiera.Atti Soc. Tosc. Sci. Nat., Mem., ser. B,1976, 83: 146-189.G. Monti, Macromiceti rari o nuovi del Monte Pisano(Toscana nord-occidentale). Micol. Ital.1979, 3: 19-22.G. Monti, Su alcuni casi di intossicazione da Entolomalividum (Bull.) Quélet in Toscana. AnnaliMuseo Civico Rovereto 1993, 8: 271-276.G. Monti, M. Ansaldi, M. Marchetta, Prodromodella flora micologica della provincia di Pisa. AttiSoc. Tosc. Sci. Nat., Mem., ser. B, 1999, 106: 23-63.G. Monti, G. Ficini, Studi sulla flora e vegetazionedel Monte Pisano (Toscana Nord-Occidentale). 6.I Macromiceti (Materiale per una flora micologicadella provincia di Pisa. 2.), Webbia 1980, 34 (2):677-706.G. Monti, S. Tommasi, S. Maccioni, Macromicetirari o nuovi nella tenuta di San Rossore (Pisa), descrizionee osservazioni critiche. Micol. Ital. 2001,1: 19-34.R. Narducci, Erbario del G.M.L. Costituzione, vicissitudinie prime specie iconografate. Bollettinodel Gruppo Micologico Lucchese «B. Puccinelli»,Felici, Pisa 2001, 2: 6-17.R. Narducci, Segnalazioni floristiche - Flora Micologica.In: «Notule floristiche per la Toscana», acura della Sezione Toscana della Soc. Bot. Ital.,2005, pp. 35-42.R. Narducci (2006), Le sugherete dei Monti Pisanie primi dati sulle indagini micologiche in corso. AssociazioneGruppi Micologici Toscani (A.G.M.T.),processi verbali del convegno di studi di Vernio(PO), autunno 2005.R. Narducci, V. Caroti, Catalogo dei macromicetipresenti nell’erbario di Cesare Bicchi in Lucca.Bull. Orto Bot. Lucca 1996, 1 (1): 1-42.R. Narducci, A. Cecchini, Primo elenco di macromiceticensiti nelle A.N.P.I.L. di Monte Castellaree Valle delle Fonti. In: «Aspetti biologici delle AN-PIL Monte Castellare - Valle delle Fonti e di alcunearee contermini dei Monti Pisani», a cura di E.Fantoni e R. Narducci, Felici Editore, Pisa: 2000.R. Narducci, A. Cecchini, Herbarium Horti BotaniciLucensis, schede micologiche enumerate. Vcenturia. Bull. Orto Bot. Lucca, 2006, 4 (1): 3-7(in stampa).R. Narducci, P. Petrucci, Funghi: divinamentebuoni e mortalmente cattivi. In: Monte Castellare -Valle delle Fonti, due Aree Protette dei Monti Pisani.Aspetti naturalistici e storici, a cura di E. Fantonie R. Narducci, Felici Editore, Pisa: 2000.L. Petri, Flora Italica Cryptogama, Gasterales.Cappelli, Rocca S. Casciano: 1909.P.E. Tomei, U. Macchia, R. Narducci, Flora e vegetazionedelle dune costiere. In: Le dune costierein Italia – la natura e il paesaggio, a cura di U.Macchia, E. Pranzino e P.E. Tomei, Felici Editore,Ghezzano (PI): 2005.E. Turco, E. Fantoni, Mariannelli, Disseccamentida Biscognauxia mediterranea (De Not.) O. Kuntzein un popolamento di Quercus morisii Borzì. Interventidi risanamento. Informatore Fitopatologico2004, 4: 50-53.O. Verona, Conspectus Mycetum Agri Pisani. AttiSoc. Tosc. Sci. Nat. Mem. 1932, 42: 143-190.189


27 / Sez. ScientificaChiave di determinazione del sottogenereTelamonia (Agaricales, Cortinarius)delle leccete toscaneDaniele Antonini* 1 , Massimo Antonini 1Parole chiave: Fungi, Cortinarius, Telamonia, Quercus ilex, ToscanaNel presente contributo gli autori propongono una chiave di determinazione dei taxa appartenenti alsottogenere Telamonia (Cortinarius) osservati sul territorio toscano e associati a Quercus ilex.Indagini sulla micoflora delle foreste mediterranee a sclerofille hanno permesso uno studio particolareggiatosulla distribuzione regionale del genere Cortinarius, in cui si evidenzia una notevole rappresentativitàdelle Telamonia. In completamento alla chiave, per i taxa segnalati in associazione a Quercusilex, sono state integrate note sui caratteri tassonomici discriminanti e sull’ecologia.IntroduzioneLa conoscenza della flora micologica delle lecceteriferita al genere Cortinarius è ancora parziale,nonostante recenti studi, soprattutto in Spagnae Francia, abbiano contribuito a metterne in risaltol’enorme potenziale. Nella letteratura micologicanon compaiono studi particolareggiati dedicati allaconoscenza dei taxa appartenenti al SottogenereTelamonia presenti sul territorio regionale. Esistonoinvece numerosi contributi monografici, soprattuttoin ambito europeo, che sono stati per noi fondamentalidurante la valutazione dei dati tassonomici per laclassificazione della maggior parte dei taxa contenutiin questa chiave. Indispensabili i fascicoli di «Atlasdes Cortinaires», usciti ininterrottamente dal 1990(Moënne-Loccoz & Reumaux,1990a, 1990b - Bidaudet Al., 1990, 1991-2000, 1997 e 2000-2006), e quelli di«Cortinarius Flora Photographica» (Brandrud etAl.,1990-1998); oltre ai lavori di Moser (1983), Trescol(1986), Arnold (1993) e molti altri testi sui cortinaricome, ad esempio, gli articoli di Chevassut &Henry (1975, 1978 e 1988).A livello nazionale, è stata recentemente propostauna chiave generale, che include anche le Telamonia,pubblicata nella quinta parte della monografia « Il GenereCortinarius in Italia» (Antonini et al., 2007).Materiali e metodiLa stesura della chiave di determinazione è derivatada accurate indagini macro - e microscopiche miratea evidenziare i caratteri eterogenei più discriminanti.Per la misurazione delle spore ci siamo avvalsi di elaborazionistatistiche basate sul calcolo dell’ellisse diisoprobabilità (Antonini et Al., 2002). L’analisi delleornamentazioni sporali, oltre al microscopio ottico, èstata effettuata su immagini fornite da microscopigli autori1 Centro Studi Micologici AGMT,Via Ferrucci, 626 - 51036 Larciano (PT).centrostudi.agmt@yahoo.it* autore per corrispondenza190


Chiave di determinazione del sottogenere Telamonia (Agaricales, Cortinarius) delle leccete toscaneelettronici e scansione. Nella stesura della chiave,per maggiore semplicità di utilizzo, abbiamo propostodicotomie anche su base ecologica.Chiave di determinazioneSottogenere TelamoniaTypus: C. torvus (Fr. 1818) Fr. 1838, Epicr. Syst. Mycol.:293.1. Basidiomi che presentano una cuticola marcatamenteigrofana → 21. Basidiomi con cuticola poco o non igrofana → 212. Basidiomi con presenza di velo rosso, distintamenteevidente alla base del gambo→ C. bulliardii (Pers.: Fr.) Fr.2. Basidiomi dalle colorazioni del velo bianche, giallastre,verdastre, olivastre, bluastre, non rosse → 33. Basidiomi con velo biancastro o giallastro e presenzadi violetto evidente almeno sulle lamelle → 43. Basidiomi con violetto assai fugace anche sulle lamelleche presentano un velo biancastro, giallastro,olivastro, verdastro, con tracce rare ed evanescentidi violetto → 114. Basidiomi con evidenti tracce di violetto, presentiin particolar modo sul gambo. Gambo tipicamenteradicante e rastremato verso la base. Colorazionispecificatamente bicolori → C. cagei Melot (*)(*)Cuticola molto igrofana. Cappello 15-50 mm, per lungotempo conico-campanulato e con il margine inflesso. Rivestimentopileico da bruno-rossastro a ocraceo con sfumatureviolette evanescenti. Lamelle di colore bruno-violettopallido. Gambo rastremato alla base, radicante, più o menovioletto. Odore terroso-rafanoide. Spore 8,5-10 x 5,2-6,5 µm,non molto ornamentate. Frequente in associazione conQuercus spp., Fagus e Abies.4. Basidiomi con tracce di violetto evidenti soltantosulle lamelle nei giovani basidiomi, con gambo nono raramente radicante. Spore marcatamente verrucose→ 55. Basidiomi con cappello più o meno squamoso o fibrilloso,con odore marcato di pelargonio → 65. Basidiomi con odore non di pelargonio, talvoltacon odore più o meno intenso simile al legno di cedro→ 76. Basidiomi con presenza di colorazioni violette sullacuticola, sulle lamelle e sul gambo. Cuticola talvoltasquamosa. Spore generalmente più larghe di 5-5,5µm → C. flexipes (Pers.: Fr.) Fr. (*)(*)Basidiomi generalmente di piccole dimensioni, con cappelloinferiore a 50 mm, a lungo campanulato, ricoperto dafini squamette biancastre su fondo più o meno brunastro,con tonalità violette incostanti. Lamelle più o meno violette.Gambo subconcolore al cappello, violetto all’apice. Odorecome di pelargonio. Spore 7,5-8,5 x 5-5,5 µm, con ornamentazionipiù marcate all’apice. Specie abbastanza diffusa sottolatifoglie e conifere.6. Basidiomi dalla cuticola fibrillosa e con leggeroodore di pelargonio. Spore generalmente più strettedi 5,5 µm; allungate, fino a 10-10,5 µm → C. diasemospermusvar. diasemospermus Lamoure (*)(*)Specie di piccole dimensioni con cappello solitamente inferiorea 30 mm, campanulato, fibrilloso, bruno-grigiastro obruno-ocraceo. Lamelle fitte, da subconcolori al rivestimentopileico a violette. Gambo fusiforme, radicante, slanciato,rivestito da fini fibrille biancastre. Odore lieve, come di pelargonio.Cresce in associazione con latifoglie, raro nell’arealemediterraneo.7. Portamento gracile, cappello conico-campanulatocon tipico umbone centrale, gambo esile, slanciato,odore con componente di legno di cedro → 87. Portamento dei basidiomi non propriamente gracile.Cappello raramente conico-campanulato. Odorenon come legno di cedro. Molti taxa risultano arrossanti→ 98. Habitat in associazione a conifere → C. decipiens(Pers.) Fr. var. decipiens8. Habitat in associazione a latifoglie → C. decipiens(Pers.) Fr. var. hoffmannii Reumaux (*)(*)Cappello a lungo campanulato, di solito inferiore a 40mm, bruno-grigiastro scuro, con margine più o meno appendicolato.Lamelle fitte, talvolta con riflessi violetti, subconcolorial rivestimento pileico. Gambo esile, slanciato, radicante,ricoperto dal velo fibrilloso, biancastro-grigiastro.Odore leggero come di legno di cedro. Spore 8,5-10 x 5-6µm, più ornamentate alla sommità. Frequente nelle quercetemediterranee.9. Odore aromatico caratteristico, come di prezzemolo→ C. petroselineus Chevassut & Rob. Henry (*)(*)Cappello fino a 50-55 mm, da campanulato a piano-convesso.Cuticola di colore bruno-castano, nerastra con tempoumido, con sfumature violette evanescenti. Lamelle fitte, talvoltacon riflessi violetti. Gambo cilindrico, slanciato, ricopertoda pruina biancastra. Odore complesso con componenti difarina e di prezzemolo. Spore 8-9 x 5-6 µm, con ornamenta-191


zioni più marcate alla sommità. Habitat prevalente in associazionea latifoglie, più diffuso nell’areale mediterraneo.9. Con odori diversi, subnulli → 1010. Lamelle più o meno giallastre. Spore di grandetaglia, generalmente più lunghe di 10 µm → C. casimiri(Velen.) Huijsman (*)(*)Cappello fino a 40 mm, campanulato con umbone centralepersistente. Rivestimento pileico di colore bruno-rossastro.Lamelle pallide, subconcolori al rivestimento pileico.Gambo cilindrico, rivestito da fibrille o fioccosità biancastre.Spore 10,5-12 x 6-7 µm, con ornamentazione bassa.Habitat in associazione a latifoglie.10. Lamelle non così giallastre. Crescita perlopiùprimaverile. Spore generalmente inferiori a 10 µm dilunghezza → C. vernus H. Lindstr. & Melot (*)(*)Cappello fino a 40 mm, campanulato-convesso, con largoumbone. Rivestimento pileico liscio, lucente, brunastroscuro o anche nerastro con tempo umido. Lamelle con filobiancastro. Gambo cilindrico o leggermente allargato allabase, rivestito da velo fibrilloso bianco-grigiastro, con sfumatureviolette evanescenti. Spore 7,5-8,5 x 5-6 µm, con ornamentazionipronunciate, subspinulose. Tipicamente primaverilema segnalato anche in tardo autunno, associato abetulle, faggi e querce, segnalato anche in lecceta.11. Basidiomi con velo biancastro, ocraceo o giallastropallido, senza tracce evidenti di pigmento violetto→ 1211. Basidiomi solitamente annerenti, con presenzadi un velo verdastro, olivastro o giallastro → C. uraceusFr. (*)(*)Cuticola caratteristicamente bruno-rossastra con riflessiolivastri, tendente ad annerire. Lamelle bruno-rossastre.Gambo sfumato di olivastro. Carne ocraceo-brunastra, olivastra,tendente all’annerimento. Spore 8,5-10 x 5-6 µm, conornamentazione marcata. Habitat in associazione soprattuttoa conifere ma rinvenuto anche in presenza di querce.12. Basidiomi dal portamento slanciato, con cappelloraramente superiore a 3-4 cm, gambo sericeo.Odore come di iodio o di pelargonio → 1312. Basidiomi di dimensioni più massicce e cappellosuperiore a 3-4 cm, con gambo liscio o con presenzadi un anellino. Perlopiù privi di odore iodato o di pelargonio→ 1513. Basidiomi dalle colorazioni vivaci della cuticola,giallo-ocra-arancione, fibrillosa per effetto del velo;con odore iodato → C. vicinus Bidaud, Cons., D. Antonini& M. Antonini (*)(*) Cappello conico-campanulato, con piccolo umbone ottusoe con margine inflesso, biancastro. Cuticola molto igrofana,di colore bruno-arancio-rossastro. Lamelle ventricose,seghettate, subconcolori al rivestimento pileico. Gamboesile, inguainato dal velo bianco. Tipico delle querceteacidofile.13. Colorazioni meno vivaci, più cupe → 1414. Cappello fibrilloso di colore bruno-castagno.odore caratteristico di pelargonio → C. pelargoniobtususRob. Henry (*)(*)Cappello non superiore ai 20 mm, campanulato, con ilmargine biancastro, fibrilloso. Cuticola assai igrofana, bruno-castanacon tempo umido. Gambo allungato, slanciato,più o meno flessuoso, rivestito da fibrillosità biancastre ogrigio-argentate. Odore caratteristico come di pelargonio.Spore 8,5-9,5 x 5-6 µm, con ornamentazione marcata. Habitatin associazione a latifoglie: betulle, castagni e querce; raroin lecceta.14. Cappello con forforosità evidente, dalla colorazionebruno-castana o anche bruno-rossastra, ocraceaa tempo secco; senza odore di pelargonio → C.croceofurfuraceus Rob. Henry ex Rob. Henry (*)(*)Cappello non superiore ai 30 mm, conico-convesso, con ilmargine biancastro. Rivestimento pileico assai pruinoso,forforaceo, striato, translucido con tempo umido, bruno-castagnoo bruno-rossastro con tempo umido, poi ocraceo.Gambo esile, grigiastro pallido, e longitudinalmente solcatopercorso da tonalità fulve, ricoperto sporadicamente dafibrillosità biancastre. Spore 8,5-9,5 x 5-6 µm, con ornamentazionipiù marcate alla sommità. Associato a latifoglie.15. Basidiomi che presentano, in larga parte, un caratteristicoanellino, bianco o giallastro, sul gambo.Colori «hinnulei» sulla cuticola, con cappello contraddistintodalla presenza di un umbone centrale → 1615. Basidiomi solitamente con velo biancastro, prividi un anellino evidente nel gambo → 2016. Cuticola poco igrofana, con velo assai evanescente→ 1716. Cuticola decisamente igrofana, con velo generalmentemarcato → 1817. Gambo nettamente radicante e allungato → C.hinnuleoradicatus Bidaud, Moënne Locc. & Reumaux17. Gambo non radicante → C. lepidus Moënne-Locc. (*)(*)Cappello 50-60 mm, conico-campanulato, con margine inflesso,seghettato. Rivestimento pileico appena igrofano,192


Chiave di determinazione del sottogenere Telamonia (Agaricales, Cortinarius) delle leccete toscanebruno-rossastro. Gambo bulboso, subconcolore al cappello,con tracce velari assai evanescenti. Spore 7,5-8,5 x 5-6µm, marcatamente ornamentate. Habitat in associazione alatifoglie.18. Velo abbondante, lanoso, fioccoso, molto evidenteanche sul bordo del cappello. Portamento robusto.Cuticola nel giovane interamente ricopertadal velo,. Gambo imbrunente → C. hinnuleovelatusReumaux (*)(*)Cappello fino a 70-80 mm, interamente coperto da resti divelo bianco, almeno nel giovane; con margine inflesso. Lamelleocracee, argillacee o ocra-fulvo chiaro. Gambo bulboso,tendente a macularsi di brunastro; cortina abbondante.Caratteristico dei boschi, igrofili e tendenzialmente acidofili,di latifoglie. Spore 8-9 x 5-6 µm, subspinulose. Frequentenelle sugherete, meno diffuso sotto leccio.18. Velo assai meno evidente. Portamento slanciato.Gambo non imbrunente → 1919. Odore gradevole, fruttato. Reazione marcatacon la tintura di guaiaco. Spore 8-10 x 5-6 µm → C. conicoidesBidaud (*)(*)Cappello fino a 40 mm, da campanulato a convesso, margineappendicolato per il velo. Rivestimento pileico brunorossastropoi ocraceo o giallo-ocra. Gambo radicante conresti di velo biancastri, evidenti. Spore ellissoidali, piuttostoverrucose. Specie caratteristica dei suoli calcarei, soprattuttonelle faggete. Rara in zona mediterranea.19. Odore sgradevole come di muffa. Reazione subnullacon la tintura di guaiaco. Spore lievemente piùpiccole → C. conicus (Velen.) Rob. Henry (*)(*) Specie iconograficamente ben rappresentata dagli Autoridi «Flora Phographica» con lamelle abbastanza rade; gamboocraceo-giallastro, assai velato e con macule scure pereffetto della disidratazione. Habitat in associazione a svariatelatifoglie, saltuariamente presente in lecceta.20. Basidiomi con velo biancastro, sericeo, talvoltaformante una calza più o meno fugace. Cuticola che,soprattutto a tempo umido, presenta una colorazionearancio o albicocca. Gambo radicante, spesso obeso.Crescita cespitosa. Spore non molto verrucose → C.furtimornatus Chevassut & Rob. Henry (*)(*)Cappello brunastro pallido, bruno-arancio, ocraceo contempo secco, con tonalità carnicine. Cuticola annerente allamanipolazione. Gambo tipicamente radicante, fusoide. Speciecaratteristica dell’areale mediterraneo, in particolare inassociazione con leccio.20. Basidiomi con velo biancastro, cuticola a tempoumido non marcatamente albicocca, gambo radicante,slanciato, ma raramente cespitoso. Odore come diiodio o come di aceto → C. acetosus (Velen.) Melot (*)(*)Cuticola tipicamente pruinosa, con lamelle fulve e odorecaratteristico, netto nelle lamelle e nella carne. Spore 8,5-9,5 x 5-6 µm, da ellissoidali a subamigdaliformi, dalla marcataornamentazione. Diffuso nell’areale mediterraneo, soprattuttoin associazione a Quercus spp.21. Cuticola liscia o fibrillosa → 2221. Cuticola tipicamente sericea, con evidenti tracce,più o meno fioccose, di velo bianco; talvolta squamettata.Basidiomi dalle colorazioni brunastre, monotone,con lamelle più o meno violette → 2522. Cuticola fibrillosa o liscia, con tracce di violetto.Gambo con presenza di una calza o di decorazionibiancastre o violette → 2322. Cuticola tipicamente fibrillosa. Gambo con vistosetracce di velo giallastro o ocraceo, formanteuna zebratura più o meno evidente. Basidi perlopiùbisporici. Spore tondeggianti → C. luteoperonatus Bidaud& Cheype (*)(*)C. luteoperonatus è un taxon molto vicino a C. lebretonii.Secondo Bidaud & Cheype (1991), lo differenziano la presenzadi un marcato pigmento giallo, la diversa ornamentazionesporale e, soprattutto, la presenza di numerosi basidibisporici. Possiamo anche aggiungere che C. luteperonatuspresenta una taglia più robusta, è dotato di un pigmento blupiù vistoso, ha reazioni negative alla fenolanilina e al formolo,e cresce tipicamente sotto querce termofile sempreverdi.23. Basidiomi con presenza di una tipica calzetta piùo meno inguainante →C. torvus (Fr.) Fr. (*)(*) Spore 9-10,5 x 5,5-6,5, con ornamentazioni più marcateverso la sommità. Specie piuttosto frequente in associazionea latifoglie, sia in habitat montani che mediterranei.23. Basidiomi privi di calza o di anello evidenti → 2424. Gambo con vistose decorazioni a forma di zebrature.Spore 8,5-9,5 x 5-6,5 µm, con ornamentazionepiù marcata alla sommità. Odore come di C. torvus→ C. tigrinipes Bergeron f.ma suaveolens D. Antonini& M. Antonini (*)(*)Cappello fino a 70-80 mm, bruno-grigiastro, nocciola, maculatodi giallastro. Gambo subconcolore al rivestimento pileico,violetto verso l’apice, tipicamente decorato da zebraturedi velo giallo-ocraceo. Odore dolciastro caratteristico.Habitat in associazione a latifoglie, compresi gli ambientimediterranei, dove è stato segnalato sia in quercete caducifogliesia presso querce sempreverdi.193


24. Gambo privo di calza, con evidenti tracce di velobiancastro formante una zona anulare. Odore rafanoide.Spore lunghe fino a 13-14 µm → C. subamethysteusRob. Henry (*)(*)Cappello fino a 60 mm, bruno-ametista, successivamentebruno-fulvo, forforoso-micaceo verso il bordo. Lamelle contonalità violette. Gambo fusiforme o bulboso, violetto versol’apice, con una zona anulare per il velo biancastro. Sporeellissoidali, con ornamentazione poco spessa. Habitat tipicamentein associazione a querce.25. Basidiomi dotati di un velo bianco molto abbondante,che lascia evidenti tracce sul cappello e soprattuttosul gambo → 2625. Basidiomi privi di velo abbondante e dalle colorazionisordescenti → 2726. Gambo terminante in un bulbo marginato evocanteun Phlegmacium → 27 C. chevassutii Rob.Henry (*)(*)Cappello fino a 60-80 mm, grigio-brunastro, fibrillato,con margine ondulato. Lamelle fitte, da grigio chiaro a ocra,infine bruno-grigiastre. Gambo subconcolore al rivestimentopileico ma ricoperto da pruina biancastra derivantedal velo; terminante con un bulbo spesso marginato (20-30mm di diametro). Spore 7,5-8,5 x 4,5-5,5 µm, da ellissoidaliad amigdaliformi. Specie tipicamente mediterranea, associataa querce, abbastanza frequente in lecceta.26. Gambo senza bulbo marginato → 2827. Odore tipico, duplice, con componente aromaticacome di «mirabelle» mista a rafanoide. Habitat inassociazione a latifoglie, prevalentemente faggi → C.diosmus Kühner var. diosmus27. Odore meno marcato. Habitat in associazione alatifoglie mediterranee. Gambo con una sorta di volvabasale molto marcata → C. diosmus Kühner var.araneosovolvatus Bon & Gaugué (*)(*)Cappello fino a 60 mm, bianco o biancastro all’inizio, ricopertodal velo bianco, poi grigio-brunastro, caffellatte, ocraceo.Gambo da biancastro a subconcolore al cappello, cilindrico,un po’ radicante; con una specie di volva biancastra allabase, assai fioccosa. Specie segnalata esclusivamente in areamediterranea, con predilezione per le querce sempreverdi.28. Odore caratteristico come di «mirabelle» o diiris → 2928. Con odori diversi, rafanoidi, fruttati o subnulli→ 3029. Spore fino a 10-10,5 µm di lunghezza. Cuticolasolitamente feltrata → C. hillieri Rob. Henry (*)(*) Cappello, almeno nel giovane, ricoperto dal velo biancoargenteo,poi feltrato e di colore brunastro-ocraceo, caffellatteo anche fulvo. Gambo robusto, talvolta obeso. Odoretipico come di mirabelle, d’iris o di brioche appena sfornata.Spore 9-10,5 x 5,5-7 µm, ellissoidali, piuttosto verrucose.Cresce associato a latifoglie, più o meno calcicole, in boschitermofili o strettamente mediterranei.29. Spore di taglia più grande. Cuticola talvolta areolata→ C. diffractosuavis Chevassut & Rob. Henry (*)(*) Cappello poco velato nel giovane, brunastro chiaro obruno-rossastro, con tempo secco un po’ areolato. Spore10-12,5 x 7-8 µm, ellissoidali, abbastanza ornamentate. Habitatin associazione a lecci o roverelle.30. Cappello dalle colorazioni sordescenti; gambocon una zona anulare distinta e con base cotonosa →C. cinereobrunneolus Chevassut & Rob. Henry (*)(*)Specie caratteristica delle leccete, dal cappello brunastro,più o meno uniforme, non maculato, con gambo chepresenta una marcata zona anulare e una zona basale cotonosa,biancastra. Spore 9-10,5 x 5,5-6,5, da ellissoidali a subamigdaliformi,con ornamentazione non molto spessa.30. Basidiomi con cappello dalle colorazioni sordescentima privi di zona anulare evidente sul gambo→ 3131. Gambo annerente. Cappello dai colori sporchi,più o meno brunastri. Gambo tipicamente obeso,concolore o subconcolore al rivestimento pileico matendente ad annerire con l’età o dopo la manipolazione.Odore caratteristico come di prezzemolo. Spore9,5-11 x 5-6,5 µm, da ellissoidali a subamigdaliformi.→ C. suillo-nigrescens Rob. Henry ex Reumaux (*)(*) Specie segnalata in associazione a latifoglie, soprattuttocalcicole, ritrovata anche in alcune leccete toscane.31. Gambo non annerente. Cappello con colori menosporchi, più tenui. Gambo clavato un po’ violetto,odore subnullo → C. strenuipes Rob. Henry (*) (= C.aprinus Melot?)(*)Cappello fino a 10-12 cm, grigio-brunastro pallido o anchebruno-rossastro, percorso da fibrille innate, ornato sporadicamenteda residui velari biancastro-argentei. Lamellefitte, subconcolori al rivestimento pileico, talvolta sfumatedi violetto. Gambo clavato, subconcolore al cappello, un po’violetto verso l’apice, con tracce sporadiche di velo fibrillosoo leggermente fioccoso. Spore 8,5-11 x 6,5-7 µm, amigdaliformi,con ornamentazione più marcata alla sommità. Habitatin associazione a latifoglie, presente anche in ambientimediterranei, in substrati prevalentemente calcicoli.194


Chiave di determinazione del sottogenere Telamonia (Agaricales, Cortinarius) delle leccete toscaneConclusioniQuesto contributo vuole essere un primo approfondimentomonografico agli studi specifici già pubblicatisui macromiceti più rari e rappresentativi della micofloramediterranea [1,2]. Tra le numerosissime collezionia nostra disposizione abbiamo classificato e inclusonella chiave ventinove taxa di Cortinarius appartenential Sottogenere Telamonia, tutti segnalatiin associazione a Quercus ilex.Considerata la vastità del territorio in cui sono distribuitele leccete in Toscana, ricoprendo infatti unabuona percentuale della superficie interessata dai boschi,e la frequenza relativamente bassa delle indaginisvolte fino ad oggi, possiamo ritenere il quadro conoscitivoattuale ancora parziale e preliminare.Bibliografia[1] D. Antonini, M. Antonini, Macromiceti nuovi,rari o specifici della regione mediterranea. Funginon delineati XXIIm 2002: 1.[2] D. Antonini, M. Antonini, G. Consiglio,Methods for the interpretation and the evaluationof spores in the genus Cortinarius. IMC7, Book ofAbstracts, Oslo: 2002.[3] D. Antonini, M. Antonini, G. Consiglio, Chiaveper la determinazione dei sottogeneri. In Il GenereCortinarius in Italia. Parte terza. A.M.B. FondazioneCentro Studi Micologici, Trento: 2005.[4] D. Antonini, M. Antonini, G. Consiglio, Chiaveper la determinazione dei taxa - parti 1-5. In Il GenereCortinarius in Italia. Parte quinta. A.M.B.Fondazione Centro Studi Micologici, Trento:2007.[5] Arnold N., Morfologisch-anatomische und chemischeUntersuchung der Untergattung Telamonia(Cortinarius, Agaricales). IHW Verlag,Eching: 1993.[6] A. Bidaud, J.-L. Cheype, Cortinarius luteoperonatussp. nov. Bull. FAMM 1991, 12: 35.[7] A. Bidaud, P. Moënne-Loccoz, P. Reumaux,Atlas des Cortinaires. Pars III-X. Éd. Féd. Myc.Dauphiné-Savoie, Lyon: 1991-2000.[8] A. Bidaud, P. Moënne-Loccoz, P. Reumaux,Atlas des Cortinaires. Les Cortinaires Hinnuloïdes.Hors-série n° 1. Éd. Féd. Myc. Dauphiné-Savoie,La Roche-sur-Foron 1997.[9] A. Bidaud, X. Carteret, G. Eyssartier, P.Moënne-Loccoz, P. Reumaux, Atlas des Cortinaires.Pars XII-XV. Éd. Féd. Myc. Dauphiné-Savoie,Marlioz 2002-2006.[10] T.E. Brandrud, H. Lindström, H. Marklund,J. Melot, S. Muskos, Cortinarius Flora Photographica.1-4. Cortinarius HB, Matfors 1990-1998.[11] G. Chevassut, R. Henry, Six Cortinaires méditerranéensnouveaux du chêne vert (Qu. Ilex)dans le Bas-Languedoc. Doc. mycol. 1975, V (20):23.[12] G. Chevassut, R. Henry, Cortinaires nouveauxou rares de la région Languedoc-Cévennes.Doc. mycol. 1978, VIII (32): 1.[13] G. Chevassut, R. Henry, Cortinaires nouveauxou rares de la région Languedoc-Cévennes(3ème note - suite n o 2). Doc. mycol. 1988, XIX(73): 45.[14] P. Moënne-Loccoz, P. Reumaux, Atlas desCortinaires. Pars I-II. Éd. Féd. Myc. Dauphiné-Savoie, Annecy: 1990.[15] M. Moser, Die Röhrlinge, und Blätterpilze.In: W. Gams, Kleine Kryptogamenflora. BandIIb/2. 5 Aufl. G. Fischer, Stuttgart: 1983.[16] F. Trescol, Cortinaires des chenes verts. Annalesn. 2, F.A.M.M. 1986.195


28 / Sez. ScientificaAndar per funghi... in mare?Giovanni Vannacci*Parole chiave: micologia marina, Ascomycota, biodiversitàLa grande maggioranza delle persone conosce i funghi per quello che possono offrire gli scaffali dei supermercatio per le ricette che si trovano sui libri di cucina. Molti conoscono i funghi che crescono nei boschie che affascinano per le loro forme, colori e profumi. Pochi, purtroppo, sanno che i funghi ci accompagnano,nel bene e nel male, nella nostra vita quotidiana e che la gran parte di essi sono microscopici.Dei funghi ad habitat marino si sa ancora meno. Solo nel 1944 c’è stata la prima indagine sistematicasu questo gruppo di funghi. Da allora strada ne è stata fatta, ma la Micologia marina rimane unabranca della Micologia poco indagata.Ma cosa è un fungo marino? I funghi marini obbligati crescono e si riproducono esclusivamente in habitatmarini o negli estuari, i facoltativi possono crescere e riprodursi anche in acqua dolce o in habitatterrestri. La gran parte sono saprotrofi e decompongono substrati organici, incluso quelli ricchi di lignina;pochi sono parassiti di alghe o crescono in coralli o formano associazioni tipo licheni. Sono ingrado, quando si comportano da patogeni di causare gravi danni, come Aspergillus sydowii su Gorgonie.A tutt’oggi quasi tutti i funghi marini conosciuti appartengono all’ordine degli Ascomycota ed agliAscomiceti mitosporici.La Micologia marina è ancora nella sua infanzia, veramente poco si sa sulla biodiversità dei funghi marini,sulla loro distribuzione geografica o sulla loro presenza in regioni quali l’Artico o l’Antartico. L’interessedell’uomo per i metaboliti secondari prodotti da questi funghi potrebbe spingere ad approfondirele ricerche su questi organismi. In fin dei conti, sotto la superficie del mare si svolge una quotidianabattaglia tra organismi diversi per il possesso delle scarse risorse disponibili ed i mezzi chimici impiegatidai funghi marini in questa lotta potrebbero rivelarsi nuovi ed estremamente utili per l’uomo.IntroduzioneTra qualche giorno, dal momento in cui vengonoscritte queste pagine, si terrà a Penang, Malesia,il X Marine and Freshwater MycologySymposium (2-6 dicembre 2007). Il primo di questaserie di simposi si era tenuto in Germania nel 1966 e,successivamente, i micologi marini si erano incontratia cadenza circa quadriennale. In questi ultimi quarantaanni una discreta massa di informazioni si è accumulatasulla tassonomia, ecologia e, in particolare,sulla distribuzione geografica dei funghi marini. Dobbiamo,tuttavia, ricordare che la prima segnalazionedi un fungo (Sphaeria posidoniae su Posidonia, attualmenteHalotthia posidoniae (Dur. and Mont.)Kohlm.) in ambiente marino è avvenuta nel 1846 adopera di Montagne [7], anche se il lavoro da molti riconosciutocome catalizzatore delle ricerche in que-196


Andar per funghi... in mare?sto campo è quello di Barghoorn e Linder (1944) nelquale Linder descrive 25 specie di funghi marini lignivori.In effetti, nei cinquanta anni successivi la suapubblicazione sono stati descritti circa il 90% dei funghimarini attualmente riconosciuti.Con il termine «fungo marino» non si definisce unraggruppamento sistematico ma un gruppo ecologico,ed i funghi marini appartengono, in effetti, a moltefamiglie diverse. La definizione comunemente accettatadi fungo marino è quella di Kohlmeyer eKohlmeyer (1979): i funghi marini obbligati cresconoe sporulano solamente in ambiente marino o negliestuari, i facoltativi possono crescere in ambientemarino ma anche nelle acque dolci o in habitat terrestri.Il sistema migliore per isolare funghi marini èquello di esaminare il materiale organico direttamenteprelevato dal mare e ricercarvi la presenza difruttificazioni fungine; la tecnica di seminare substratinutritivi con lo stesso materiale consente unmaggior numero di isolamenti, ma spesso si tratta diorganismi che si ritrovano casualmente nell’acqua dimare sotto forma di spore o altre forme di resistenza,ma sono di provenienza terrestre. In questi casi è necessariodimostrare sperimentalmente che il fungoisolato è in grado di crescere e riprodursi quando allevatoin acqua marina.Aspetti sistematiciTabella 1: Generi e specie di funghi marini.Da Hyde, 2000, modificatoLa conoscenza dei funghi marini e di quelli isolatidalle mangrovie è ancora allo stadio di catalogazionee accettabili indici di diversità non sono ancora disponibili.Stime approssimative indicano in800/1000 [16] – 1500 [14] le specie note, con l’esclusionedi quelle formanti licheni. Molte di queste sonospecie nuove o non sono state ancora adeguatamentedescritte. Hyde [12] indica in 444 le specie difunghi marini superiori (Dikarya, sensu [10], e Mitomiceti)con una netta predominanza degli Ascomycota(tabella 1).Più recenti stime [26] indicano un totale di 465 speciedi Ascomycota e 10 di Basidiomycota e devono, inoltre,essere considerati i funghi isolati dalle foreste di mangrovie,vere e proprie riserve di biodiversità in cui nesono stati identificati 625, dei quali circa 200 sono obbligatimarini. Si deve, tuttavia, osservare che una partedi questi possono ritrovarsi anche in ambienti marinidiversi dalle mangrovie. Infine esistono i Chytridiomycota,35 specie, e gli Zygomycota, 16 specie(http://www.marinespecies.org), stime da considerarsipuramente indicative. Il numero delle specie fungine,non solo marine, è destinato certamente ad aumentarenel tempo sia in conseguenza delle ricerchesempre più estese ma anche via via che al concetto dispecie basato su caratteri morfologici si sostituiràquello di specie filogenetica basato su caratteri molecolari.Questo consentirà di suddividere quello che subase morfologica viene oggi considerata una singolaspecie, in specie filogeneticamente diverse (speciecriptiche).La predominanza degli Ascomycota è assolutamentenetta e sembrano essersi evoluti per trarre vantaggiodall’ambiente acquatico, con i loro microscopici corpifruttiferi e le spore fornite di appendici che aiutanola dispersione e l’ancoraggio ai substrati solidi. Tragli Ascomycota, l’ordine più rappresentato tra i funghimarini è quello degli Halospaeriales (non più accettato,ed i cui membri sono stati inclusi in parte nei Microascalesed in parte nei Lulwortiales [10], l.c.). Macome si sono evoluti i funghi marini? Kohlmeyr [18]ipotizzò che il carattere «marino» potesse essere, negliAscomiceti, primario o secondario. In altre parolealcuni di essi si sarebbero evoluti direttamente daantenati marini (antenati comuni alle alghe rosse)mentre altri avrebbero riacquisito tale carattere a se-l’autoreDipartimento di Coltivazione e difesadelle specie legnose «G. Scaramuzzi»Università di Pisa - Tel. 050571556g.vannacci@agr.unipi.it* autore per corrispondenza197


guito del ritorno in ambiente marino, ma a partire dapiù recenti antenati terrestri. Studi molecolari recenti[13] non riescono a chiarire se il progenitore comunedei funghi abbia avuto origine in ambiente marino,mentre sembra molto probabile che la diversificazionedei taxa maggiori all’interno del regno deifunghi sia avvenuta in ambiente terrestre prima dellacolonizzazione delle terre emerse da parte dellepiante (colonizzazione, tra l’altro, favorita dalla simbiositra Glomeromycota e piante). In ogni caso, neifunghi superiori il carattere «marino» sembra essereun carattere acquisito da funghi terrestri che sono ritornatiall’ambiente marino.I funghi nell’ecosistema marinoAl momento non esistono prove convincenti che singolespecie fungine siano confinate a paesi o continentied i funghi marini non costituiscono unità «floristiche»discrete come le alghe. In generale la composizionedel micobiota dipende dalla temperaturadell’acqua piuttosto che da quella dell’aria e i funghipossono essere suddivisi in due grandi gruppi, lespecie pantemperate e le specie pantropicali senzache a questi termini sia dato un significato geograficotroppo spinto. L’assenza di barriere fisiche e la presenzadi correnti fa si che specie dei due gruppi possanoritrovarsi mischiate, in particolare nelle zone diconfine tra le due regioni. Alcune specie possono essereconsiderate cosmopolite, come Corollosporamaritima, altre tipiche di regioni ben definite, comeAsteromyces cruciatus per le regioni temperate; funghiche hanno specificità per alcuni ospiti seguono ladistribuzione degli stessi, ad es. Keissleriella blepharosporacolonizza radici e germinelli immersi di Rhizophoraspp (Mangrovie) e si ritrova ovunque il suoospite possa vivere (grazie alla corrente del Golfo,può essere trasportata per centinaia di miglia fino allacosta della Carolina del Nord negli Stati Uniti). Lostesso vale per le specie che colonizzano specificatamentealghe, anche se, spesso, parassiti hanno unadistribuzione più limitata delle alghe che li ospitano[18]. Funghi sono stati ritrovati anche in materialeprelevato ad elevate profondità ma, in molti casi, questifunghi sono stati isolati a pressione e temperaturadei laboratori dove tale materiale è stato esaminato.Non si può escludere, quindi, che le spore o i frammentidi micelio che hanno dato origine a quei ritrovamentisi siano trovati a quelle profondità casualmente,provenendo da orizzonti superiori o, addirittura,dalla superficie, ed in una fase di vita latente; importante,in questi casi, potrebbe risultare la valutazionedella barotolleranza di questi organismi [21].Indagini molecolari recenti [2] suggeriscono che adalte profondità i funghi sono rari e predominano lieviticon sequenze simili a quelle di organismi che si ritrovanoin superficie suggerendo una storia di frequentiscambi tra ambienti terrestri e marini.Funghi marini possono vivere come saprofiti a spesedi sostanza organica di origine vegetale od animale,come parassiti di piante e animali e come simbionti dialghe. Substrati diversi quali sedimenti, alghe, sostanzelignocellulosiche, fogliame, spoglie di animali,strutture calcaree di molluschi e coralli, materiali diorigine antropica possono supportare la crescita saprotroficadei funghi. Sul legname che si ritrova inmare aperto è frequente il reperimento di Halosphaeriales,caratterizzati dall’avere aschi deliquescenti e liberazionepassiva delle ascospore, le quali sono caratterizzatedall’avere appendici di varia forma e dimensioniche ne favoriscono la flottazione e l’ancoraggioai materiali in sospensione nell’acqua. Nelle mangrovie,ed in particolare su materiali lignocellulosici presentinell’orizzonte compreso tra le linee di alta e bassamarea, si ritrovano ascomiceti caratterizzati dall’avereascospore espulse attivamente dagli aschi (unavolta riferiti alla classe Loculoascomycetes), prive di ornamentima spesso dotate di una guaina mucillaginosa.Nei periodi di bassa marea queste caratteristichefavoriscono la dispersione e l’ancoraggio delle ascosporesui materiali non coperti dalle acque.I funghi marini sono i maggiori decompositori dellesostanze lignocellulosiche che entrano nell’ecosistemamarino. Tra le diverse componenti del legno, lacellulosa è degradata più facilmente, mentre la ligninaappare più resistente. Corollospora maritima eMonodyctis pelagica sono esempi di funghi marinicon elevata capacità cellulosolitica (la cellulosa degradatapuò anche essere di origine animale, comequella presente nei Tunicati) mentre M. pelagica eNia vibrissa sono in grado di demolire la lignina. Ifunghi marini possono comportarsi da endoliti, penetrandorocce calcaree, gusci di molluschi o Cirripedi(Denti di cane) dove possono utilizzare la sostanzaorganica mineralizzata o stabilire rapportisimbiotici o parassitari con i loro ospiti; importante èla loro presenza negli scheletri di coralli, dove sonoampiamente rappresentati e con i quali, in condizioninormali, convivono in equilibrio, ma quando le barrierecoralline sono in situazioni di stress possonocausare gravi danni [8].198


Andar per funghi... in mare?Le scarse informazioni circa l’esistenza di simbiositra funghi marini ed altri organismi ci dicono chequeste possono essere di tre tipi: licheni, micoficobiosie micorizze.I licheni (ne sono note 28 specie [11]) si trovanoprincipalmente sulle rocce nella fascia compresa traalta e bassa marea e sono, quindi, immersi ciclicamente,rari sono i licheni costantemente immersi[17], la componente algale è microscopica e può vivereindipendentemente dal fungo.Le micoficobiosi sono associazioni mutualistiche traun fungo sistemico ed una macroalga, sono associazioniobbligate e predomina l’habitus dell’alga (Kohlmeyere Kohlmeyer, l.c.), infine le micorizze sono ditipo vescicolare – arbuscolare e si ritrovano su alofiteche crescono nelle lagune salmastre. No micorizzesembrano esistere per fanerogame marine [23].Rapporti di natura parassitaria tra funghi ed organismimarini sono ben noti da tempo [24]. Predominantisono gli Oomycetes (non appartengono al Regnodei funghi, anche se comunemente sono consideratitali) ma anche rimanendo tra i funghi superiorisi può ricordare Fusarium solani che causa infezionidell’esoscheletro di crostacei, Scolecobasidiumche infetta massicciamente i coralli nelle isole Andamanee Lasiodiplodia theobromae, isolato da stadigiovanili di Tridacna crocea (curiosamente questofungo attacca piante terrestri diverse ma causa anchecheratiti, onicomicosi ed altre malattie nell’uomo,anche se raramente). Di grande interesse, siaper i danni causati sia per le probabili connessionicon il riscaldamento globale, è il caso dell’aspergillosidelle gorgonie [15]. Osservata per la prima voltanel 1995 nelle Antille olandesi (Saba), si è diffusa finoa Trinidad e Colombia a sud e Messico e Florida anord. In alcuni siti in Florida è arrivata a distruggereil 50% dei coralli, con grande variabilità tra sito e sito.I sintomi della malattia sono ben evidenti e consistonoin lesioni, dove il tessuto viene distrutto, circondateda aloni fortemente pigmentati. L’agente causaleè Aspergillus sydowi, saprotrofo comunemente isolatoda terreno, che potrebbe aver raggiunto i corallio trasportato con le sabbie africane da forti correntiaeree [9] o con materiale in sospensione trasportatoda importanti corsi d’acqua (Mississipi o Orinoco).Certo che, non essendo il fungo in grado di riprodursiin ambiente marino, è necessario un continuo apportodi inoculo dall’esterno in quanto la diffusionedel patogeno tramite porzioni di corallo infetto è pocoefficiente. A. sydowi è un patogeno opportunistaadattatosi all’ambiente marino, la sua temperaturaottimale di crescita è di circa 30°C e sembra esserefavorito da abbondanti disponibilità di azoto. Appareevidente come fattori antropici e non antropici (eutrofizzazione,inquinamento, riscaldamento globale)possano influire pesantemente sull’incidenza dellemalattie in organismi acquatici [19]; nel 1999 anchein Liguria fu segnalata una elevata mortalità di gorgonie,in coincidenza di un improvviso aumento ditemperatura delle acque, ed anche in questo caso icoralli erano estensivamente attaccati da protozoi efunghi (ma non A. sydowi) [4].I funghi marini: una risorsa per l’uomoCome in tutti gli ecosistemi, anche in mare i funghidevono mantenere il possesso del territorio per poterloutilizzare ai propri fini. Tra le diverse strategieche possono mettere in atto, l’ uso di sostanze chimiche,enzimi o sostanze ad attività antibiotica, apparedi grande interesse visto che le stesse sostanze chimichepossono essere vantaggiosamente sfruttatedall’uomo. Non è certo una novità che il mare forniscametaboliti di grande importanza; la produzionedella porpora di Tiro era già una fiorente industriapiù di 3500 anni fa, ed il suo precursore veniva estrattodalle secrezioni ipobranchiali di alcuni molluschi(ne occorrevano molte migliaia per ottenere ungrammo di colorante il cui costo, in certi periodi, eramolto superiore a quello dell’oro) [22]. In tempi moltopiù recenti l’industria farmaceutica ha utilizzato laCefalosporina C come precursore delle cefalosporine,ma la Cefalosporina C è un antibiotico prodottoda Cephalosporium acremonium, isolato, e studiato,da Brotzu nel 1945 in acqua di mare prelevata inprossimità dello scarico di una fogna nel porto diCagliari (http://www.unica.it/~webcontu/brotzu/brotzu2.htm). Negli anni ‘60 l’ambiente marino cominciòad essere seriamente considerato una importanterisorsa, nuovi metaboliti bioattivi sono statiscoperti e screening industriali sono stati avviati[27]; in definitiva l’interesse per essi è andato estendendosi[3]. Tuttavia, nonostante il rapido progredirenelle tecniche di isolamento e nell’individuazionedi nuovi metaboliti, la biodiversità dei funghi mariniè tuttora poco sfruttata.I metaboliti secondari di interesse economico includonopolichetidi, alcaloidi, terpenoidi, enzimi ed altresostanze [20]. Spesso queste sostanza sembranoessere prodotte esclusivamente da funghi marini, ades. gli enzimi alginolitici sono prodotti da specie di199


ascomiceti marini quali Asteromyces cruciatus, Corollosporaintermedia, and Dendryphiella salina [22] mano da ascomiceti terrestri [25].Se, da un lato, la ricerca si indirizza verso funghi mariniobbligati, per l’ovvia considerazione che vivendoin un ecosistema differente dai funghi terrestri potrebberoesprimere metaboliti diversi, non devonoessere trascurati i funghi marini facoltativi in quanto imetaboliti secondari sono isolato specifici e, quindi,anch’essi potrebbero rivelarsi interessanti. Un più recenteapproccio all’isolamento di sostanze interessantiper l’uomo, parte dalla constatazione che metabolitisecondari diversi sono espressi da un organismoquando allevato in presenza di un altro organismoo di suoi metaboliti. In tal modo sono stati isolatetre nuove chetoglobosine (citotossiche verso celluletumorali) da Phomopsis asparagi (isolato dalla spugnaRhaphidophlus juniperina) allevata in presenzadi un inibitore (prodotto dalla spugna Jaspis splendens)della F-actina [5] e nuovi peptidi antimicrobiciprodotti da un isolato di Emericella sp. In co-colturacon l’attinomicete marino Salinispora arenicola [6]aprendo la via a nuove ed entusiasmanti scoperte.ProspettiveGli oceani rappresentano l’ultima frontiera per l’uomosulla Terra. Le enormi potenzialità che essi nascondonoe la loro fragilità di fronte ai cambiamenticlimatici impongono un approfondimento delle conoscenzesu tutti i fronti.Le ricerche sui funghi marini sono ancora in uno stadiogiovanile. Esistono ambienti (Artico, Antartico,profondità degli oceani) per i quali le informazionisono scarse o nulle. Anche numerosi aspetti della fisiologiarichiedono approfondimenti, a partire daquelli relativi alla tolleranza al sale o alle elevate pressioni.Strettamente connesse con queste, sono le ricerchesul metabolismo e sui metaboliti, inclusi gliesopolimeri che ornamentano molti tipi di spore e lacui conoscenza potrebbe rivelarsi interessante nonsolo per le possibili applicazioni, ma anche per lacomprensione del loro ruolo nell’ecologia di questiorganismi. Strumenti e strategie di ricerca modernecominciano ad essere applicate ai funghi marini. Recentementeè stato reso pubblico l’intero genoma diun lievito marino, Debaryomyces (Torulaspora) hansenii(http://cbi.labri.fr/Genolevures/deha.php);questo è un fatto molto positivo, ma quanto può essererappresentativo dei funghi marini un lievito? I funghifilamentosi hanno un genoma molto più grande,si rende quindi necessario il sequenziamento di unfungo filamentoso marino, che consentirebbe di affrontareil problema di definire quali sono le caratteristichedifferenziali tra un fungo marino e la suacontroparte terrestre; lo stesso dicasi per gli Oomycetes;sono disponibili molte sequenze di Phytophthorapatogene di piante e queste potrebbero essereconfrontate con sequenze di Halophytophthora (marino).Conoscenze molecolari sono anche indispensabilise vogliamo affrontare il problema della filogenesidi questi organismi e se vogliamo rendere disponibilistrumenti per una loro rapida e non equivocaidentificazione. È dimostrato che i funghi presentiin habitat marini sono coinvolti in eventi disastrosiper altri organismi, spesso in conseguenza di condizionidi stress, strumenti che consentono una loroidentificazione rapida e certa, sono indispensabili ancheper comprendere l’epidemiologia di queste malattiee le cause che predispongono ad esse.Questa breve digressione sulle prospettive non vuolee non può essere esaustiva, ma ha soltanto lo scopo disollecitare l’interesse e la curiosità dei lettori per unsettore, la Micologia marina, che necessita di risorseumane e materiali e promette eccitanti scoperte.Bibliografia[1] E.S. Barghoorn, D.H. Linder, Farlowia 1944,1: 395.[2] D. Bass, A. Howe, N. Brown, H. Barton, M.Demidova, H. Michelle, L. Li, H. Sanders, S.C.Watkinson, S. Willcock, T.A. Richards, Proc.Royal Soc. B: Biol. Sci. 2007, 274: 3069.[3] D.S. Bhakuni, D.S. Rawat, Bioactive marinenatural products. Sprinter, Netherlands: 2005.[4] C. Cerrano, G. Bavestrello, C.N. Bianchi, R.Cattaneo-Vietti, S. Bva, C. Morganti, C. Morri, P.Picco, G. Sara, S. Schiaparelli, A. Siccardi, F.Sponga, Ecology Letters. 1999, 3: 284.[5] O.E. Christian, J. Compton, K.R. Chritian,S.L. Mooberry, F.A. Valeriote, P. Crews, J. Nat.Prod. 2005, 68: 1592.[6] O. Dong-Chan, C.A. Kauffman, P.R. Jensen,W. Fenical, J. Nat. Prod. 2007, 70: 515.[7] C. Durieu de Maisonneuve, Flore d’AlgerieCryptogamie Premiere Partie, Imprimerie Imperiale,Paris: 1846, p. 502.[8] S. Golubic, G. Radtke, T. Le Campion-Alsumard,Trends in Microbiology 2005, 13 (5): 229.200


Andar per funghi... in mare?[9] D.W. Griffin, C.A. Kellog, EcoHealth 2004, 1:284.[10] D.S. Hibbett et al., Mycological Research2007, 111: 509.[11] K.D. Hyde, E.B. Gareth Jones, E. Leano,S.B. Pointing, A.D. Poonyth, L.L.P. Vrijmoed,Biodiversity and Conservation 1998, 7: 1147.[12] K.D. Hyde, S.B. Pointing, Marine mycology.A practical approach. Fungal Diversity Press,Hong Kong: 2000.[13] T.Y. James et al., Nature 2006, 443: 818.[14] E.B.G. Jones, J.I. Mitchell, Biodiversity ofmarine fungi. In: Biodiversity: International BiodiversitySeminar (A. Cimerman e N. Gunde-Cimermaneds.), Nat. Inst. Chem. and Slovenia Nat.Comm. for UNESCO, Ljiubliana: 1996.[15] K. Kim, G.W. Smith, Gorgonia-Aspergilluspathosystem: review of a fungal disease affectingCaribbean sea fan corals. In: R.C. Cipriano, I.S.Shchelkunov, M. Faisal. (eds.), Health and diseasesof aquatic organisms: bilateral perspective. MichiganState University, Sheparstown, West Virginia:2005.[16] P.M. Kirk, P.F. Cannon, J.C. David, J.A.Stalpers, Dictionary of the fungi, 9 th Ed. CAB International,Wallingford (UK): 2001.[17] J. Kohlmeyer, D.L. Hawksworth, B. Volkmann-Kohlmeyer,Mycological Progress 2004,3(1): 51.[18] J. Kohlmeyer, E. Kohlmeyer, Marine Mycology,The higher fungi. Academic Press, London:1979.[19] K.D. Lafferty, J.W. Porter, S.E. Ford, Annu.Rev. Ecol. Evol. Syst. 2004, 35: 31.[20] K. Liberra, U. Lindquist, Pharmazie 1995, 50:583.[21] R. Lorenz, H.P. Molitoris, Mycological Research1997, 101: 1355.[22] P.E. McGovern, H. Michel, Accounts of Chemicalresearch 1990, 23: 152.[23] S.L. Nielsen, I. Thingstrup, C. Wigand,Aquatic Botany 1999, 63(3-4): 261.[24] N. Ramahia, Indian Journal of Marine Sciences2006, 35: 380.[25] S. Sarrocco, S. Fanti, G. Vannacci, Journalof General and Applied Microbiology 2004, 50:229.[26] K. Schaumann, G. Weide, Hydrobiologia1990, 204-205: 589.[27] F. Sponga, L. Cavaletti, A. Lazzarini, A. Borghi,I. Ciciliato, D. Losi, F. Marinelli, J. Antibiot.1999, 70: 65.[28] C.A. Shearer, E. Descals, B. Kohlmeyer,J.Kohlmeyer, L. Marvanova, D. Padgett, D. Porter,H.A. Raja, J.P. Schmit, H.A. Thorton, H. Voglymayr,Biodivers. Conserv. 2007, 16: 49.201


29 / Sez. ScientificaCatture e rendimenti da pesca di reti da postacon differenti colorazioni nel litoraledi Castiglioncello (LI)R. Silvestri* 1 , P. Sartor 2 , R. Baino 1 , B. Francesconi 2 , M. Ria 1 , M. Sbrana 2Parole chiave: piccola pesca, reti da pesca, Mar Ligure meridionaleReti da posta con diversi colori sono comunemente usate lungo le coste del Mar Mediterraneo dalle marineriedella piccola pesca professionale. L’abbondanza delle catture e la composizione in specie vengonoconfrontate tra identici tramagli con differenti colorazioni: bianca, gialla, rossa e nera. Differenzesignificative sono state trovate sia per la cattura complessiva, sia per alcune specie, a causa del coloredella rete: la rete bianca è sempre risultata la meno catturante.IntroduzioneLa piccola pesca costiera, la più diffusa in ambitomediterraneo, è una attività di grande valoreeconomico, ecologico, sociale e culturale. I sistemidi pesca artigianale sono un’attività di prelievoittico a basso impatto sull’ambiente marino, sono selettivie consentono una buona redditività con un limitatoconsumo di carburante. Le reti da posta sonocertamente l’attrezzo maggiormente utilizzato dallemarinerie della piccola pesca [1]. Perché in Mediterraneole marinerie della pesca artigianale usanospesso reti da posta di colore diverso tra loro? Retibianche (non colorate) sono in uso in alcune marineriedel nord e centro Italia e sulla costa francese, reticolor rosso scuro o marrone in uso prevalentementelungo le coste centro meridionali italiane, reti colorgiallo nel Mediterraneo di levante, in particolareGrecia, Turchia e Cipro, reti color nero opaco in tuttol’Adriatico. Esiste un effetto tra colore delle reti ecatture? L’uso di colorazioni diverse è dovuto solo allelocali tradizioni di pesca oppure esistono effettisulle specie bersaglio? Grazie ai finanziamenti SFOP(Regione Toscana e U.E.), è stato realizzato questoprogetto di ricerca per conoscere gli effetti del coloredelle reti sulle catture e sui rendimenti di pesca.Materiali e metodiIn un tratto di mare costiero immediatamente a norddi Castiglioncello sono state effettuate 18 giornate dipesca con cadenza stagionale dall’autunno 2005 all’estate2006, in due aree con fondale rispettivamenteroccioso e sabbioso. La profondità di pesca è semprestata compresa tra i 3 e gli 8 metri. Per ogni uscita sonostate calate in sequenza otto pezze di tramaglio di200 m ciascuna con le quattro differenti colorazioniscelte per l’indagine: bianca, gialla, rossa e nera (figura1). Le pezze sono state disposte in successionegli autori1 Agenzia Regionale per la ProtezioneAmbientale della Toscana, ARPAT,Area Mare, RIBM - Via Marradi 114,57126 Livornor.silvestri@arpat.toscana.it2 C.I.B.M. - Centro Interuniversitariodi Biologia Marina, Livorno* autore per corrispondenza202


Catture e rendimenti da pesca di reti da posta con differenti colorazioni nel litorale di Castiglioncello (LI)Figura 1: Le pezze di reti colorate pronte per esserecalate.Figura 3: Vengono salpate le reti gialle su fondoduro.Figura 2: Fase di salpata, è il turno delle retibianche.Figura 4: Le specie catturate vengono separateper colore di rete.sistematica a rotazione, in modo che su ogni tratto dicosta dell’area scelta agissero tutti i quattro colori.Quindi, per ogni campionamento è stato calato un totaledi 1600 m di rete a tramaglio.La rete usata è il tipico tramaglino (figura 2) della marinerialivornese, prevalentemente utilizzato per lacattura di triglie di fango e di scoglio, scorfani e pesceda minestra, con maglie del panno interno di 22 mm dilato e di 160 mm di lato per le maglie dei pareti esterni.I rendimenti totali e quelli delle specie più abbondantidi ciascun tipo di rete sono stati comparati con l’Analisidella Varianza.RisultatiSono state catturate in totale 109 specie: 76 pesci, 16crostacei, 12 molluschi e 5 echinodermi. La composizionedelle specie catturate nei due tipi di fondo, rocciae sabbia, è risultata alquanto diversa: solo 33 speciein comune tra le due aree, mentre 42 sono statecatturate solo su roccia (figura 3) e 34 solo su sabbia.La rete bianca ha catturato un numero di specie sensibilmenteinferiore alle altre reti: su fondo rocciosoha pescato 37 specie, mentre la gialla ne ha catturate46, la nera 47 e la rossa 53. Sulla sabbia la rete biancaha fornito 39 specie, mentre le altre reti da 43 a 47specie. La tabella 1 riassume i risultati dei confrontitra le catture ottenute da ciascun tipo di rete.La rete bianca, che in realtà è una rete in poliammidenon colorato, ha sempre fornito rendimenti inferioria quelli delle altre tre reti. Questa rete è stata la menoefficiente per le specie distribuite prevalentementesu fondale roccioso; per le specie maggiormente pre-203


Tabella 1: Confronti tra reti sulla base delle catture in numero, sia totali, sia per singola specie. È riportatala posizione (rango) ottenuta da ciascuna rete nei confronti. Significatività statistica: *** (p


30 / Sez. ScientificaCaratteristiche delle catture del rombo di renaBothus podas podas (Delaroche, 1809)Michela Ria 1 , Romano Baino* 1 , Roberto Silvestri 1 , Fabrizio Serena 1Parole chiave: pesca, morfometria, distribuzione, Mar TirrenoDati di cattura di Bothus podas nel Tirreno settentrionale, relativi agli ultimi 20 anni, provengono dallapesca a strascico e da quella artigianale con vari tremagli e reti monofilo da imbrocco. I rendimenti dipesca sono analizzati relativamente alla distribuzione geografica, alle distribuzioni di taglia e allastruttura d’età. Le correlazioni morfometriche tra la lunghezza e il peso individuale sono confrontatecon quelle relative ad altre aree di presenza della specie sia in Mediterraneo, sia in Atlantico.Nel Tirreno settentrionale la specie si concentra soprattutto nel Golfo di S. Vincenzo dove raggiungedensità anche di 2 kg/km2, ma risulta anche presente tra Viareggio e Marina di Carrara, a nord di Castiglioncelloe intorno all’Isola di Capraia.Il range batimetrico di presenza è documentato tra 5 e 63 m di profondità con taglie tendenzialmentemaggiori allontanandosi dalla costa; non si hanno comunque evidenze di reclutamento o concentrazionedei giovani. Le taglie osservate sono comprese tra 7 e 17 cm con pesi individuali tra 10 grammi fino aoltre 60 grammi.IntroduzioneIl rombo di rena è una specie bentonica tipica deifondi sabbiosi costieri del Mar Mediterraneo edell’Atlantico orientale dalle Azzorre fino al limitedella Namibia (figura 1).Pur trattandosi di una specie facilmente identificabile,a causa delle sue limitate dimensioni e dello scarsovalore commerciale, nonché della sua ridotta abbondanza,le conoscenze biologiche presenti in letteraturasono tuttora relativamente carenti e datate[1] e [2].Considerando che la specie è soggetta alla pesca professionalesia dello strascico, sia della pesca artigianale,sono state anche analizzate le tipologie di catturadi entrambi gli attrezzi.Materiali e metodiFigura 1: Distribuzione geografica delle segnalazionidi Bothus podas (da fishbase.org).Le informazioni relative alla distribuzione geografica,alle abbondanze e alle caratteristiche biologiche,provengono da oltre 800 campionamenti eseguitinell’ambito del programma GRU.N.D (Gruppo Na-205


zionale Demersali) negli anni dal 1985 al 2006. Sitratta di pescate realizzate con la rete a strascico tradizionale(tartana con apertura verticale di 1,5 m)sui fondali nell’area prospiciente le coste settentrionalidella Toscana, dalla foce del Fiume Magra finoall’Isola d’Elba. Tali campionamenti sono stati effettuatia profondità comprese tra 10 e 600 m e ciascunapescata ha una durata di circa un’ora. Con simile designstatistico dal 1994 al 2006 sono stati realizzati ulteriori470 campionamenti nell’ambito del programmainternazionale MEDITS [3].Altri 520 campionamenti sono stati realizzati con variereti da posta (tramagli, imbrocco e incastellate)nel periodo 1990-2006. Tali reti sono state collocatenella zona a nord di Castiglioncello a profondità compresetra 2 e 30 metri su varie tipologie di fondale.Gli indici di abbondanza sono espressi come chilogrammiper chilometro quadrato nel caso della pescaa strascico e come grammi per 100 metri nel casodelle reti da posta.Le analisi morfometriche sono state eseguite su unsubcampione di 195 esemplari provenienti da entrambii metodi di pesca.L’andamento dell’indice di biomassa (CPUE) è statovalutato solamente per le reti da posta, in quanto lecatture dello strascico sono risultate troppo limitateper consentire un’analisi sull’asse temporale.Quando è stato possibile calcolare il peso medio individualesono state analizzate le variazioni di quest’ultimoal variare della profondità di cattura.Dai dati raccolti sono state ottenute anche le distribuzionidi frequenza della lunghezza della specie perle due tipologie di attrezzo.Le informazioni riguardanti la taglia e il peso dei singoliindividui sono state utili per la definizione dellacorrelazione tra la lunghezza e il peso, ed il confrontocon i parametri della specie presenti in letteraturaper altre aree.La struttura d’età è stata valutata utilizzando la VonBertallanfy Growth Formula di Schintu et al. [4] perle catture ottenute sia con lo strascico, sia con le retida posta.Sono inoltre stati analizzati tramite l’ANOVA i rendimentiottenuti con le reti da posta di 4 differenti colorazioni:bianco, giallo, rosso e nero.RisultatiPer quanto riguarda la zona di distribuzione spazialedella specie nel Mar Tirreno settentrionale (figura2), questa è diffusa principalmente lungo la costa delGolfo di San Vincenzo, dove ha densità medie di 2kg/km 2 e può raggiungere valori massimi di densitàdi 23 kg/km 2 .Figura 2: Localizzazione e abbondanza di Bothuspodas rilevati durante i trawl survey Grund eMedits.La specie è presente inoltre a nord di Castiglioncelloe intorno all’isola di Capraia (fino a 7 kg/km 2 ) e inquantità minori, non più di 0,5 kg/km 2 , tra Viareggioe Marina di Carrara. Per quanto riguarda la profonditàdi presenza della specie, questa risulta esserecompresa tra 5 e 63 metri.Relativamente alle catture realizzate con le reti daposta (figura 3), non si osservano differenze significativetra le diverse tipologie di rete (tramaglio, im-gli autori1 Agenzia Regionale per la ProtezioneAmbientale della Toscana, ARPAT,Area Mare, RIBM - Via Marradi 114,57126 Livornor.baino@arpat.toscana.it* autore per corrispondenza206


Caratteristiche delle catture del rombo di rena Bothus podas podas (Delaroche, 1809)brocco e incastellata), bensì tra le tipologie di fondale.Rendimenti medi di 7 grammi per km di retesi ottengono sui fondi sabbiosi, 3 g/km su fondimisti o fangosi, mentre le catture su fondi rocciosisi possono considerare trascurabili.Tabella 1: Risultati della correlazione lunghezzapesodi Bothus podas in Toscana.Figura 3: Rendimenti di cattura delle reti da posta.Le distribuzioni di taglia ottenute con lo strascico e lereti da posta sono rappresentate in figura 5: il test delChi 2 rileva una differenza statisticamente significativa(P=0,004). Gli organismi di dimensioni maggiorisono catturati principalmente con lo strascico: il 45%degli esemplari di 15 cm di taglia vengono catturaticon tale attrezzo. Le taglie inferiori sono invece catturatepraticamente in ugual misura sia con lo strascicoche con le reti da posta.Dal confronto tra le diverse correlazioni lunghezzapeso(figura 4), ottenute dai dati raccolti nel Tirrenosettentrionale (tabella 1) e quelle riportate in letteratura,non emergono differenze significative. Si puòsolamente notare che i pesi maggiori, a parità di taglia,si osservano nelle Azzorre [5] e in Egitto [6],mentre valori leggermente inferiori a quelli toscanisi registrano in Grecia [7] e nel Mar Tirreno meridionale[2].Figura 5: Distribuzione di frequenza delle taglierelative alle catture con i due diversi attrezzi.Figura 4: Confronto tra le correlazioni Lunghezza-peso.Le catture ottenute con le diverse colorazioni delle retida posta sono illustrate in figura 6. Tali catture sonostate confrontate utilizzando un test ANOVA ad un fattoresui valori percentuali degli individui catturati daogni tipologia di attrezzo sul totale delle catture dellaspecie. Tale test non ha evidenziato differenze significativetra le diverse colorazioni di rete (P=0,686).Le distribuzioni di taglia delle catture ottenute con iquattro colori della rete non hanno evidenziato sostanzialidifferenze nelle dimensioni degli esemplaricatturati, né un chiaro andamento modale. L’intervallodi taglia delle catture è risultato compreso tra7,0 e 17,5 cm LT, mentre la taglia media di cattura perattrezzo è risultata molto simile e compresa tra 11,7 e12,6 cm LT.207


Discussione e conclusioniFigura 6: Distribuzione di frequenza delle taglierelative alle catture con le quattro colorazioni dellereti da posta.I dati degli individui catturati sono stati analizzati anchesotto il punto di vista dell’età (figura 7).Figura 7: Distribuzione di frequenza delle taglierelative alle catture con le quattro colorazioni dellereti da posta.La stima dell’età individuale è stata ricavata dai valoridi lunghezza e dai parametri di crescita della VonBertalannffy [4]. La maggior parte degli organismicatturati sia con lo strascico che con le reti da postaappartengono alla classe di età 0+ e 1+. Gli esemplaridella classe 2+ sono catturati esclusivamente con lereti da posta, mentre quelli della classe 4+ sono catturatiquasi esclusivamente con lo strascico. Per quantoriguarda la classe di età 3+ le catture sono trascurabilie ripartite praticamente in ugual misura tra ledue diverse tipologie di attrezzo.La distribuzione batimetrica della specie è in accordocon quanto riportato in letteratura per il Mar Mediterraneocentrale da Schintu et al. [4].I parametri della correlazione tra la lunghezza e il pesoscaturiti dall’analisi dei dati raccolti con lo strascicoe con le reti da posta risultano intermedi rispetto aquelli presenti in letteratura a livello delle Azzorre[5], dell’Egitto [6], della Grecia [7] e del Tirreno meridionale[2].La struttura d’età delle catture effettuate sia con lostrascico che con le reti da posta è caratterizzata dallamaggior presenza di esemplari della classe di età0+ e 1+ e conferma quanto già riportato in letteraturada Arena et al. [2].Per quanto riguarda la cattura della specie i rendimentiprincipali si registrano nella zona del Golfo diSan Vincenzo e sui fondi sabbiosi della zona a nord diCastiglioncello. La struttura di taglia delle catture effettuatecon le due diverse tipologie di pesca risultaessere significativamente differente come dimostratodal test del chi-quadro: nel caso dello strascico siha una prevalenza di esemplari di taglie maggiori rispettoa quelle degli organismi catturati con le reti daposta. L’analisi delle catture effettuate con reti da postadi differenti colorazioni non mostra invece differenzesignificative né per quanto riguarda i rendimentiottenuti né per quanto riguarda la struttura ditaglia delle catture stesse, per cui sembra che il coloredel panno sia ininfluente per questa specie sia inrelazione ai quantitativi catturati, sia alla taglia.Bibliografia[1] M. Passariello, P. Schintu, A. Belluscio, G.D.Ardizzone, Accrescimento ed alimentazione diBothus podas (Delar.) nel Mar Tirreno. Oebalia,Suppl., Vol. XVI-2, 1990, pp. 719-720.[2] G. Arena, M.L. Bianchini, S. Greco, Biometriae parametri di crescita del rombo di rena, Bothuspodas podas, nel Tirreno meridionale. Oebalia,Vol. XVII, Suppl., 1992, pp. 119-121.[3] P. Abelló, J.A. Bertrand, L.G. de Sola, C. Papaconstantinou,G. Relini, A. Souplet, MediterraneanMarine Demersal Resources: the Medits InternationalTrawl Survey (94-99). Sci.Mar. 2002,66 (2), pp. 9-17.[4] P. Schintu, M. Passariello, A. Belluscio, G.D.Ardizzone, , Growth and diet of Bothus podas (Pi-208


Caratteristiche delle catture del rombo di rena Bothus podas podas (Delaroche, 1809)sces: Bothidae) in the Central Mediterranean Sea.Sci. Mar. 1994, 58 (4), 359-361.[5] R.D.M. Nash, A.J. Geffen, R.S. Santos, Thewide-eyed flounder, Bothus podas Delaroche, asingular flatfish in varied shallow-water habitatsof the Azores. Neth. J. Sea Res. 1991, 27 (3/4):367-373.[6] M. Abdallah, Length-weight relationship of fishescaught by trawl off Alexandria, Egypt. NagaICLARM Q. 2002, 25 (1): 19-20.[7] D.K. Moutopoulos, K.I. Stergiou, Length-weightrelationship of fish species from the Aegean Sea(Greece). J. Appl. Ichthyol. 2002, 18 (3): 200-203.209


31 / Sez. ScientificaLa metodologia CARLIT nell’ambito del monitoraggiomarino costiero del litorale toscanoDario Pelli , Enrico Cecchi* ( A.R.P.A.T )Parole chiave: WFD 2000/60/CE, CARLIT, EQR, macroalghe, stato ecologico, ToscanaL’applicazione della European Water Framework Directive (WFD, 2000/60/CE) richiede la valutazionedello stato ecologico delle acque costiere per poi attuare piani di gestione che evitino futuri peggioramentidella qualità del litorale, e dove necessario la incrementino. Per raggiungere e mantenere un buonostato ecologico dei corpi idrici, la WFD da le linee generali su come valutare tale stato.Una nuova metodologia, denominata CARLIT (Cartogaphy of Littoral and upper-sublittoral rockyshorecommunities), basata sulla presenza e l’abbondanza delle macroalghe colonizzatrici del pianomesolitorale e del sottopiano superiore dell’infralitorale, è stata proposta da vari paesi mediterraneiper il monitoraggio e la valutazione della qualità biologica delle acque costiere, al fine di adempiere airequisiti dettati dalla WFD 2000/60/CE. Questa metodologia combina la mappatura delle comunità e leinformazioni disponibili sull’importanza ecologica delle comunità stesse come indicatori di qualità dell’acqua,per stabilire un indice (EQR) che soddisfi i requisiti della WFD.Scopo dello studio è stato quello di applicare la metodologia CARLIT nell’ambito del monitoraggio marinocostiero in Toscana secondo quanto descritto dalla Direttiva europea 2000/60/CE.Gli obiettivi di tale metodologia sono stati: ottenere una mappatura delle specie macroalgali indicativedi qualità ambientale, relative ai piani mesolitorale e infralitorale superiore; ottenere l’indice di qualitàecologica (EQR), che ha permesso di classificare i corpi idrici nelle cinque categorie di stato ecologicopreviste dalla WFD (elevato, buono, sufficiente, scarso e cattivo).Nella sua totalità la costa livornese è rappresentata per il 52% da un elevato stato ecologico, il 28% è inbuone condizioni, l’11% è in condizioni ecologiche sufficienti, e il 9% ha uno stato ecologico scarso.Il CARLIT ha mostrato alcuni vantaggi rispetto alle altre tecniche utilizzate per il monitoraggio marinocostiero, ma tuttavia possono essere fatte alcune modifiche per adattare questa metodologia alle caratteristichemorfologiche della costa toscana.IntroduzioneLe macrophyte bentoniche, a causa della loro condizionesedentaria, integrano gli effetti dell’esposizionea lungo termine ai nutrienti o ad altri inquinanti,con conseguente diminuzione o perfino lascomparsa di molte specie sensibili e la loro sostituzionecon specie più resistenti, tionitrofile o specie opportunistiche[1]. Perciò, gli studi sulle comunità di macroalghesono stati considerati utili per analizzare icambiamenti della qualità dell’acqua [2]; le macroalghesono, infatti, uno degli elementi biologici chiaveda considerare nella determinazione dello stato di qualitàecologica dei corpi idrici come previsto dalla WFD.210


La metodologia CARLIT nell’ambito del monitoraggio marino costiero del litorale toscanoLa metodolgia CAR-LIT seguendo la Direttivaeuropea 2000/60,è basata sulla presenzae l’abbondanza dispecie indicative (comunitàbentonichemesolitorali e del sottopianosuperiore dell’infralitorale),ed èinoltre ufficialmentericonosciuta comestrumento di monitoraggioistituzionale inCatalogna dal 1999.Utilizzando la mappaturadelle specie indicative e le informazioni disponibilisull’importanza ecologica delle suddette speciecome indicatori di qualità dell’acqua, il CARLIT permettedi stabilire l’indice EQR. Tale indice prende inconsiderazione le aree oggetto di studio in riferimentoa condizioni standard ed è espresso come un valorenumerico compreso tra zero e uno.Materiali e metodiLo studio è stato effettuato lungo la costa toscana nel trattoche va dal porto di Livorno (LAT 43,53619; LONG 10,29791)fino alla località Lillatro (Vada) (LAT 43,38218; LONG10,43066), per una lunghezza lineare di costa di 24 km. La costalivornese presenta un’elevata diversità morfologica e diversigradi di urbanizzazione; per tale motivo è stata suddivisain ulteriori 8 corpi idrici sulla base delle indicazioni dellaDirettiva europea 2000/60/CE. Gli 8 corpi idrici individuatisono: A) Livorno, B) Antignano, C) Romito, D) Sonnino, E)Quercianella-Chioma, F) Fortullino-Quercetano, G) Castiglioncelloe H) Rosignano Solvay.Il campionamento è stato eseguito lungo la totalitàdella costa rocciosa presente nel suddetto tratto dimare.L’unità di campionamento è stata rappresentata dasettori di costa, ognuno di 30 m lineari [3].I corpi idrici altamente modificati dall’uomo, come leparti interne di porti o porticcioli, non sono campionatiperché non rispecchiano la qualità ambientaledelle coste adiacenti.Il rilevamento sul campo è stato effettuato mediantel’utilizzo di una piccola imbarcazione mantenuta ilpiù vicino possibile alla costa. Il campionamento èstato effettuato nel minor periodo di tempo possibileTabella 1: EQ calcolato per le sei situazioni geomorfologicamente rilevantinelle condizioni di riferimento.(4 giorni) in modo da ridurre gli effetti della variabilitàstagionale associata alle comunità litorali usatecome indicatori [4] e [5]. Il miglior periodo per sostenerequesto tipo di studio nel Mediterraneo Nord-occidentaleè la primavera (da Aprile a Giugno), maquesto può variare quando si considerano altre areegeografiche. Le categorie sono state identificate e direttamenteannotate su mappe (foto satellitari) stampatesu fogli in poliestere impermeabili.La presenza e l’abbondanza di diverse comunità mesolitoralie infralitorali non è solo determinata dallaqualità dell’acqua o dal disturbo antropogenico, marisponde anche alla naturale variabilità morfologicadell’ambiente costiero [6].Quindi, i fattori geomorfologici influenzano molto lastabilità e lo sviluppo delle comunità litorali descrittein ogni settore di costa campionato. Ogni fattore geomorfologicoconsiderato è stato diviso in diverse categorie,i.e. situazioni geomorfologicamente rilevanti(tabella 1).Le informazioni ottenute sia sulla distribuzione dellecategorie di comunità, sia sulle variabilità geomorologichesono state trascritte su un supporto grafico georeferenziato(e.g. carte nautiche). Alla costa possonogli autori1 darpel@yahoo.it2 A.R.P.A.T.: Agenzia Regionaleper la Protezione Ambientaledella Toscana. Via Marradi, 114. Livorno* autore per corrispondenza211


essere apportati forti cambiamenti fisici da un anno all’altro(dovuto alla costruzione di nuovi porti o moli,dragaggi, formazioni di spiagge), e, quindi, le cartegeografiche devono essere regolarmente aggiornate.Calcolo dell’indice EQRI livelli di sensibilità (tabella 2) che considerano lavulnerabilità e la resistenza delle comunità aglistress ambientali riferiti alla qualità dell’acqua sonostati assegnati ad ogni categoria di comunità secondola scala proposta da Ballesteros et al. nel 2007 [7].I valori della tabella vanno da 1 a 20, incrementandodai peggiori ai migliori livelli di sensibilità.Tabella 2: Sensitivity level delle principali categoriedi comunità.Dove:EQ qualità ambientale di un determinato tratto dicosta,l ilunghezza della costa occupata dalla comunitàdi categoria i,SL ilivello di sensibilità della comunità di categoria i.Come stabilito dalla WFD (2000/60/CE), per assicurarecomparabilità fra i differenti sistemi di monitoraggioè stato calcolato un ecological quality ratio(EQR). Questo rapporto rappresenta la relazione frai valori osservati nei siti oggetto di studio e i valoriosservati nei siti di riferimento (tabella 1).Il rapporto è quindi espresso come un valore numericotra zero e uno, con alto stato ecologico rappresentatodai valori vicini ad uno e cattivo stato ecologicoper i valori vicini a zero:Valori osservati per i parametri biologiciEQR =Valori di riferimento per i parametri biologiciL’EQR di ogni settore di costa è quindi calcolato comeil quoziente tra l’EQ ottenuto nello studio del sito el’EQ ottenuto nei siti di riferimento corrispondenti allastessa «situazione geomorfologicamente rilevante».Quindi, l’EQR di una costa è calcolato in accordo allaseguente formula:EQR =∑ (EQssi * li) / (EQrsi)Â liDove:i: situazione,EQssi: EQ nel sito di studio per la situazione i,EQrsi: EQ nel sito di riferimento per la situazione i,li: lunghezza di costa nello studio per la situazionei,Una prima valutazione di qualità ambientale dei trattidi costa (i.e. corrispondente ad un corpo o qualunquetratto di costa) può essere calcolato come:EQ =L’EQR assume valori da 0 a 1. In accordo alla WFD, icorpi idrici sono stati classificati in 5 classi di statiecologici (ES) come definisce l’Annesso V dellaWFD, che variano da un alto stato ecologico ad uncattivo stato ecologico. L’assegnamento dei confininei valori di EQR corrispondenti a differenti classi distato ecologico devono allinearsi con la definizionedi classi della Direttiva e devono essere stabiliti attraversol’intercalibrazione [8]. In un primo approccioviene proposta la corrispondenza tra EQR e Classi diStato Ecologico come riportato in tabella 3.212


La metodologia CARLIT nell’ambito del monitoraggio marino costiero del litorale toscanoRisultatiTabella 3: Grado di disturbo e stato ecologico per i differenti valori di EQR.I sette corpi idrici analizzatisono risultaticosì strutturati: le zonedi Livorno, Antignanoe Quercianella-Chioma corrispondentiai corpi idrici A,B ed E appartengonoallo stato ecologicoelevato con valori diEQR superiori a 0,75;risultano ad un livellobuono le località Romito,Sonnino e Fortullino-Quercetano (corpi idrici C,D ed F) i cui valori di EQR sono compresi tra 0,60 e0,75; Castiglioncello (G) ha un livello sufficiente(EQR tra 0,40 e 0,60) mentre lo stato ecologico di RosignanoSolvay (H) corrisponde al valore di scarso(EQR tra 0,25 e 0,40) (figura 1).I risultati sono stati trascritti su carte nautiche georeferenziateusando un Sistema di Informazione Geografica(GIS) (figura 2). Con il programma GIS, è statopossibile riportare su carta tutti i punti geograficidi interesse presi sul campo con il GPS.idrici altamente modificati che non rappresentano laqualità ecologica del mare aperto. Comunque, alcunecomunità sviluppatesi in tali aree sono dominateda alghe azzurre-verdi, quindi tali zone devono essereassegnate ad un pessimo stato ecologico.Figura 2: Valori in percentuale degli stati ecologicinel totale di area campionata.Figura 1: Rappresentazione grafica del valore diEQR per ogni corpo idrico.Nella sua totalità la costa livornese è rappresentataper il 52% da un elevato stato ecologico, il 28% è inbuone condizioni, l’11% è in condizioni ecologichesufficienti, e il 9% ha uno stato ecologico scarso (figura2). Non sono state registrate condizioni di statoecologico a forte disturbo (cattivo).Le parti interne di porti e porticcioli non sono stateconsiderate perché incluse nella categoria di corpiL’analisi dei corpi idrici in base al ricoprimento percentualedei Sensitivity Level (figura 3), mette in evidenzache A e B sono caratterizzati da valori di percentualesimili per i singoli taxa. I corpi idrici C, D, E,F, e G hanno un andamento omogeneo, con differenzeper la località Romito (C) che presenta maggiorepercentuale del SL 6, dovuta alla presenza di popolazioniincrostanti, la zona Fortullino-Quercetano (F)che ha un alto input di valore 12 (giustificato dall’abbondanzadi Cystoseira compressa) e Castiglioncello(G) che presenta una maggior percentuale di bassiSL a causa della forte antropizzazione. Il corpo idricoH, che rappresenta la zona di Rosignano Solvay, è invececaratterizzata da livelli di sensibilità più bassi.I corpi idrici A e B (Livorno e Antignano rispettivamente)sono quelli che raggiungono i Sensitivity Levelpiù alti, anche se mostrano un’alta eterogeneitànelle categorie. Per quando riguarda Livorno si notauna divisione del corpo idrico in due parti, la prima213


Figura 3: Rappresentazione in percentuale deisingoli Sensitivity Level all’interno di ogni corpoidrico.caratterizzata da Sensitivity Level bassi, e la secondadove si notano valori di sensibilità più alti. Gli alti valoridi SL sono dovuti alla prateria di Posidonia in località«3 Ponti» - «scalinata» di Antignano. Ciò è giustificatodall’allontanamento dal porto e dal centro diLivorno. Il corpo idrico B (Antignano) risulta esseremolto eterogeneo, causa la presenza di molte modificazionida parte dell’uomo (moletti, gettate di cemento,muri di sostegno).Gli altri corpi idrici risultano invece più omogeneinella distribuzione delle categorie, ma si fermano alivelli di sensibilità inferiori. Eccezione è il tratto piùa sud di Castiglioncello (G) dove si notano bassi valoridi SL in corrispondenza in alcuni piccoli moli realizzaticon rocce calcaree molto compatte che nonhanno permesso lo sviluppo algale. Anche nel trattonord di Rosignano (corpo idrico H) si registra un lungotratto con Sensitivity Level 1, in corrispondenzadel nuovo molo del porto di «Cala de’ Medici».Progressione lineare dei Sensitivity Level all’internodei corpi idriciIn ascissa sono riportati i settori di 30 metri in successioneda nord a sud.In ordinata sono invece rappresentati i SensitivityLevel.Figura 4: Rappresentazione grafica dei siti A) Livorno, B) Antignano, F) Fortullino-Quercetano, G)Castiglioncello.214


La metodologia CARLIT nell’ambito del monitoraggio marino costiero del litorale toscanoDiscussioneAnalizzando la costa nella sua continuità, si può notareche i livelli di sensibilità all’interno del corpo idricoA (Livorno) sono risultati più bassi nel primo tratto dicosta, cioè a ridosso del porto di Livorno. Nel complessolo stato di qualità ecologico di questo corpoidrico si posiziona ad un livello elevato, cosa insolitaper una città di queste dimensioni. Tale valore è giustificatodalla presenza di specie come Cystoseira brachycarpavar. balearica e Posidonia oceanica che corrispondonoad alti livelli di Sensitivity Level. Procedendoverso Sud, la qualità ecologica si mantiene sustandard elevato-buoni, per poi diminuire nuovamentenei centri abitati di Castiglioncello e Rosignano. Inquesti ultimi due corpi idrici è stato registrato unostato di qualità ecologico rispettivamente sufficientee scarso. Il motivo di questi risultati è la totale assenzadi specie ad alta valore di sensibilità. Tale fatto puòessere attribuito oltre agli apporti dell’impianto di depurazionedi Rosignano Solvay e di altri impianti produttivi,anche alla costruzione del recente braccio delporto turistico «Cala de’ Medici» che ha sostituito soloda pochi anni la costa originaria ed è risultato privodi forme algali ecologicamente importanti.Non essendoci lavori precedenti che descrivono lastruttura del popolamento algale presente nell’areadi Rosignano Solvay, risulta difficile cercare di capirecome tale popolamento si sia evoluto nel tempo, anchese è riconosciuto l’avanzamento del limite superioredel substrato sabbioso con conseguente scomparsadi parte delle comunità algali.Dal punto di vista ecologico, si riscontra che i popolamentimacroalgali individuati durante il monitoraggioconfermano gli studi che già erano stati fatti inquesta zona negli anni più recenti [9] e [10] e [11]. Ilpiano mesolitorale superiore è caratterizzato dallapresenza delle specie fotofile Nemalion helmintoides,Rissoella verruculosa (associazione a R. verruculosa,[12]). L’infralitorale superiore invece, presenta popolamentifotofili caratterizzati per la maggior partedal genere Laurencia sp, Dictyota sp. e le specie Padinapavonica e Acetabularia acetabulum. Nelle zonepiù antropizzate i popolamenti fotofili mesolitoralisono caratterizzati dai generi Gelidium sp., Pterocladiellasp. e Enteromorpha sp.Dove le condizioni sono più sciafile queste specie sonosostituite da un popolamento caratterizzato daCorallinacee incrostanti e da specie appartenenti aigeneri Corallina sp. e Peyssonnelia sp. situazione caratteristicaper tale tipo di ambiente [13].Studi fitobentonici che hanno interessato l’intera costalivornese e che possono essere utilizzati come riferimentoper valutare eventuali modificazioni dellastruttura dei popolamenti risalgono alla fine degli anni’60. Sostanzialmente i popolamenti superficialinon sembrano aver subito importanti modificazioniperlomeno nella parte più settentrionale dell’area investigata,che era stata oggetto anche dello studioprecedente. Le uniche differenze riscontrate sonoda riferire all’abbondanza del genere Cystoseira [14],infatti, segnala Cystoseira amentacea var. stricta(Montagne) Savageau come la specie più abbondantedella zona di «Calignaia» (corpo idrico Romito),mentre tale specie è risultata totalmente assente intutta l’area campionata. In particolare, nell’area di«Calignaia» si è registrata la presenza della sola Cystoseiracompressa che corrisponde a Sensitivity Levelpiù bassi rispetto a Cystoseira amentacea var.stricta.Per quanto riguarda l’aspetto metodologico, il CAR-LIT ha mostrato alcuni vantaggi rispetto alle altretecniche utilizzate per il monitoraggio marino costiero:non è una metodologia distruttiva, infatti si basasu tecniche visive; è veloce, visto che le specie rappresentativesono poche e facili da riconoscere; i brevitempi di lavoro in laboratorio permettono un velocetrattamento dei dati e riducono i costi totali delmonitoraggio.Lo sviluppo della cartografia e la sua georeferenziazioneè un processo piuttosto lento, ma una volta cheil GIS è stato creato può essere usato da un anno all’altrocon poche modifiche. I valori di EQR e la valutazionefinale dello stato ecologico sono veloci e facilida conseguire una volta che il GIS è stato sviluppatoe il monitoraggio sul campo è stato compiuto.Sembra però, che le sei situazioni di riferimento geomorfologicamenterilevanti siano un numero troppoesiguo per le caratteristiche morfologiche del trattodi costa oggetto di questo lavoro. Infatti, nei corpiidrici di costa alta naturale, il popolamento di Cystoseiracompressa (SL 12) è risultato assente nelle areein cui l’inclinazione della costa si avvicina ai 90 gradi.Inoltre, la specie Cystoseira brachycarpa var. balearica(SL 20) è risultata assente nelle zone di forte idrodinamismo(figura 5), come per esempio nel tratto dicosta del Romito dove era presente solo in alcunepozze riparate.Quindi, la geomorfologia della costa ha un peso rilevantesui risultati del monitoraggio, tanto che in zoneconsiderate usualmente ad alto stato ecologico (e. g.Romito), dove si attendevano valori alti di EQR, è sta-215


Un limite di questa metodologia è legato al fatto chenelle varie categorie di valutazione vengono consideratespecie come Posidonia oceanica che si sviluppanoin habitat a profondità maggiori rispetto ad altrespecie come quelle appartenenti genere Cystoseira.È risultato quindi, che in alcune zone di estesa piattaformadell’infralitorale superiore, dove si sviluppauna prateria di Posidonia oceanica, come ad esempioin zona «3 Ponti» - «scalinata» di Antignano, sono statiregistrati paradossalmente valori più alti rispettoalla zona del Romito, che ospita comunque la prateriadi Posidonia oceanica, ma per le sue caratteristichemorfologiche, solo a profondità maggiori.ConclusioniFigura 5. Cystoseira compressa nel corpo idricoRomito.to ottenuto invece un indice EQR inferiore al corpoidrico di Livorno.Dunque, per una corretta valutazione dello stato ecologicodi tutto il tratto di costa monitorato sarebbenecessario inserire nelle situazioni geomorfologicamenterilevanti un parametro «inclinazione della costa»e un altro parametro «distanza dalla zona deifrangenti».Un’altra nota positiva del CARLIT è la possibilità immediatadi individuare fonti puntuali di acque dolci,sia naturali che di scarico (figura 6) segnalate dallapresenza di alghe verdi e quindi da un abbassamentodei Sensitivity Level.Figura 6: Esempio di mappa utilizzata durante ilcampionamento con particolare di uno scarico.I risultati di EQR ottenuti nel presente studio assegnanovalori tra buono ed elevato per tutti i corpi idricidella costa livornese, eccezion fatta per Castiglioncelloe Rosignano Solvay, raggiungendo i limiti minimistabiliti dalla WFD per il 2016, per quanto riguardal’aspetto macroalgale.Bassi valori di qualità nel tratto di costa tra Castiglioncelloe Rosignano Solvay possono essere dovutialla forte pressione antropica cui questa area è soggetta,sia dal punto di vista turistico che industriale.Non essendoci lavori precedenti che descrivono lastruttura del popolamento algale presente nell’area,risulta difficile capire come si sia evoluto nel tempo.Tali risultati suggeriscono comunque che la zonadebba essere monitorata con particolare attenzioneproprio in relazione al basso livello di qualità riscontratocon questa metodologia. Il confronto con i datirilevati nel tratto di mare livornese che presenta unamorfologia simile conferma la criticità di questo trattodi costa.Nel loro insieme i popolamenti non hanno mostratocambiamenti importanti nella composizione specificarispetto a quanto descritto in studi effettuati alla finedegli anni ’60, anche se la sostituzione di Cystoseiraamentacea var. stricta con Cystoseira compressa inzona «Calignaia» può essere legata ad un peggioramentodelle condizioni ecologiche dell’area.Per quanto riguarda la metodologia utilizzata si ritieneche essa possa rappresentare un buon compromessotra risultati ottenuti e la velocità di applicazionenell’ambito del monitoraggio costiero. Tuttavia, lesei situazioni geomorfologicamente rilevanti sono risultateinsufficienti a rappresentare le situazioni realiriscontrate nel monitoraggio causando spesso unadifficoltà di individuazione della fascia da campionare.Queste incertezze sono andate sicuramente avantaggio della zona di Livorno che presenta una va-216


La metodologia CARLIT nell’ambito del monitoraggio marino costiero del litorale toscanosta prateria di Posidonia oceanica (SL 20) a basseprofondità (1-2 m) rispetto al settore del Romito dovela prateria, comunque presente, ha inizio a profonditàmaggiori. Per l’utilizzo di tale indice può quindiessere proposto un incremento delle situazioni geomorfologicamenterilevanti e una maggiore definizionedella fascia da campionare.Bibliografia[1] S.N. Murray, M.M. Littler, Patterns of algalsuccession in a perturbated marine intertidal community.Journal of Phycology 1978, 14: 506-512.[2] P.G. Fairweather, Sewage and the biota on seashores:assessment of impact in relation to naturalvariability. Environmental Monitoring and Assessment1990: 14, 197-210.[3] L. Mangialajo, N. Ruggieri, V. Asnaghi, M.Chiantore, P. Povero, R. Cattaneo-Vietti, Ecologicalstatus in the Ligurian Sea: The effect of coastlineurbanisation and the importance of proper referencesites. Marine Pollution Bullettin 2006.[4] E. Ballesteros, Production of seaweeds inNorthwestern Mediterranean marine communities:its relation with environmental factors. ScientiaMarina 1989, 53: 357-364.[5] E. Ballesteros, Structure and dynamics ofNorth-Western Mediterranean marine communities:a conceptual model. Oecologia Aquatica 1991,10: 223-242.[6] E. Ballesteros, Els vegetals i la zonació litoral:espècies, comunitats i factors que influeixen en laseva distribució. Arxius de la Secció de Ciències,101, Institut d’Estudis Catalans, Barcelona 1992:1-616.[7] E. Ballesteros, X. Torras, S. Pinedo, M. Garcia,L. Mangialajo, M. De Torras, A new methodologybased on littoral community cartography dominatedby macroalgae for the implementation ofthe European Water Framework Directive. MarinePollution Bulletin 2007, 55: 172-180.[8] C. Vincent, H. Heinrich, A. Edwards, K. Nygaard,J. Haythornthwaite, Guidance on typology,reference conditions and classifications systemsfor transitional and coastal waters. CIS WorkingGroup 2.4 (COAST), Common ImplementationStrategy of the Water Framework Directive, EuropeanCommission 2002.[9] F. Serena, Le alghe del litorale livornese: studiosperimentale sui popolamenti sciafili superficialidi zona battuta. Tesi di laurea, Univ. degliStudi di Pisa 1982.[10] L. Benedetti-Cecchi, Variability in abundanceof algae and invertebrates at different spatialscales on rocky sea shores. Marine Ecology ProgressSeries 2001, 215: 79-92.[11] L. Benedetti-Cecchi, E. Maggi, I. Bertocci, S.Vaselli, F. Micheli, G.C. Osio, F. Cinelli, Variationin rocky shore asemblages in the northwestern Mediterranean:contrasts between Island and themainland. Journal of Experimental Marine Biologyand Ecology 2003, 293: 193-215.[12] J. Feldmann, Recherches sur la végètationmarine de la Mediterranée. La cote des Alberés.Revue Apologique 1937, 10: 1-339, 1-20.[13] C.F. Boudouresque, Recherches de bionomieanalytique, structurale et expérimentale sur lespeuplements benthiques sciaphiles de Méditerranéeoccidentale (fraction algale). Thèse, Univ.Aix-Marseille II, France 1970.[14] F. Cinelli, Primo contributo alla conoscenzadella vegetazione algale bentonica del litorale diLivorno. Pubbl. Staz. Zool. Napoli 1969, 37: 545-566.217


32 / Sez. ScientificaLe Secche della Meloria: un fiore all’occhiellodel mare toscanoA.M. De Biasi*, L. PacciardiParole chiave: Aree Marine Protette (AMP), Secche della Meloria, biodiversità,Mar Ligure MeridionaleLe Secche della Meloria rappresentano un ambiente di bassi fondali rocciosi che coprono una superficiedi circa 35-40 km 2 situati a 5 km al largo della costa livornese. La bellezza e l’unicità di questa area eranogià stati messi in risalto negli anni sessanta quando il Prof Bacci propose le Secche come «parco marinosperimentale».Nonostante siano trascorsi quaranta anni, le Secche della Meloria continuano a destare l’interesse deiricercatori per la varietà e la ricchezza dei popolamenti che ancora oggi in essa sono insediati.L’obiettivo del presente lavoro è quello di riassumere le principali conoscenze scientifiche di questa areaper testimoniare come questa Secca sia al tempo stesso unica, per la presenza dei catini (nome attribuibileai pescatori locali), formazioni rocciose scavate nella panchina (beach rock) e rappresentativa dellebiocenosi più ricche e produttive del Mediterraneo.Inoltre, nel presente lavoro, si vuole mettere in risalto che, per la biodiversità di habitat, ricchezza specificae filetica, rappresentatività degli ambienti mediterranei, unicità ed endemismi, la salvaguardiadella Meloria costituisce un punto di partenza per la realizzazione di un sistema con gestione integratadi parchi interconnessi costituiti da piccole aree vicine rappresentative delle eterogeneità locali.IntroduzioneLe Secche della Meloria rappresentano un ambientedi bassi fondali rocciosi situati a circa 5km al largo della costa livornese. Fin dagli annisessanta esse sono state oggetto di numerosi studimolto specialistici mirati ad indagare aspetti biotici[1,2,3] ed abiotici [4]. Solo il lavoro del Prof. Bacci[5] rappresenta un tentativo di fornire una conoscenzasinecologica dell’area grazie al quale è emerso l’elevatovalore naturalistico della secca tanto che lostesso autore l’aveva proposta come «parco marinosperimentale».Tuttavia tale proposta non ha avuto seguito per moltianni sebbene il tratto di mare antistante la costa livornesefosse stato indicato dal Ministero dell’Ambientecome idoneo per l’istituzione di un parco marino(legge 979/82).Negli anni novanta il Centro Interunivesitario di BiologiaMarina ed Ecologia Applicata di Livorno si fapromotore di nuove indagini al fine di approfondirela conoscenze fino ad allora acquisite e per verificaregli autoriCentro Interuniversitario Biologia Marinaed Ecologia Applicata, Viale N. Sauro 4,57127 Livorno, Italia* autore per corrispondenzaa.debiasi@cibm.it218


Le Secche della Meloria: un fiore all’occhiello del mare toscanole condizioni della secca a circa 30 anni dalle indaginidel Prof. Bacci.Inizialmente è stata condotta un’indagine su largascala necessaria per mappare le biocenosi dominantie successivamente sono stati condotti studi di dettagliofinalizzati alla caratterizzazione dei catini, peculiariformazioni rocciose scavate nella panchina originatesia seguito di fenomeni di ingressione marinaper erosione della beach rock [6].L’obiettivo di questo lavoro è quello di riassumere leconoscenze scientifiche dell’area per testimoniarecome questa Secca sia al tempo stesso unica, per lapresenza dei catini e rappresentativa delle biocenosipiù ricche e produttive del Mediterraneo.Inoltre verranno messe in risalto le caratteristiche perle quali attualmente il Ministero dell’Ambiente sta varandoil Decreto Istitutivo ed il Regolamento dell’AreaMarina Protetta (AMP) «Secche della Meloria».Materiali e metodiI rilevamenti finalizzati all’individuazione delle biocenosipresenti sono stati condotti nel 1996-98 utilizzandoil side scan sonar (SSS).L’indagine tramite SSS è stata effettuata trainando lostrumento alla velocità di 1,5-2 nodi lungo linee di navigazioneteoriche precedentemente definite. Il sonarè stato tarato con una frequenza di uscita di 100kHz ed un range di 50-100 metri per lato a secondadella profondità indagata.Dopo l’analisi preliminare dei sonogrammi sono stateindividuate le zone a segnale di dubbia interpretazioneed in quei casi i dati sono stati integrati con ripresesubacquee tramite R.O.V. (Remote OpertaingVehicle) ed immersioni dirette.I dati raccolti hanno consentito la realizzazione diuna carta tematica.A seguito di questa indagine erano stati rilevati molticatini e dato che essi fino ad allora erano stati descrittiin maniera superficiale gli studi successivi sonostati focalizzati alla conoscenza delle loro caratteristichemorfologiche e dei popolamenti meio e macrobentonici che li abitano.La mappatura di queste formazioni è stata condottatramite SSS utilizzando la base cartografica 1:5.000 ottenutadigitalizzando i rilievi batimentrici forniti dell’IstitutoIdrografico della Marina Militare di Genova.Il popolamento macrobentonico è stato investigatoin 15 catini prelevando il sedimento tramite operatoresubacqueo. Per ciascuna replica sono stati prelevati4 litri di sedimento. Il campione è stato setacciatosu maglia 0,5 mm, fissato in formalina tamponataall’8%, quindi sottoposto a sorting. Gli organismi sonostati determinati al più basso livello tassonomicopossibile, contati e conservati in alcool al 70%.Lo studio della meiofauna [7] è stato condotto prelevandoil sedimento tramite core di plexiglas di 3,5cm di diametro. I campioni sono stati conservati informalina al 10%. Gli organismi sono stati estratti mediantedecantazioni multiple, identificati e contati.RisultatiL’indagine condotta tramite SSS ha consentito di rilevareche la prateria di Posidonia oceanica (L.) Delilerappresenta l’elemento dominante delle Secche delleMeloria. Occupa prevalentemente la parte occidentalee sud–occidentale della secca colonizzandovaste aree dai primi metri di profondità fino alla batimetricadei 30 metri con valori di ricoprimento cheraggiungono il 60%. In prossimità della torre e nelsettore orientale della secca la prateria mostra evidentisegnali di degrado legati alla vicinanza del portoe all’azione degli ancoraggi. Le ampie distese dimatte morta, vestigia della prateria ormai scomparsa,sono colonizzate da Caulerpa racemosa (Forskal)J. Agardh, alga invasiva ad affinità calda introdotta inarcipelago toscano a metà degli anni novanta.Il coralligeno è presente ai margini esterni nel settoreoccidentale tra i 20 ed i 50 metri di profondità doveforma dei banchi colonizzati da Eunicella singularis enella parte settentrionale in corrispondenza della testadi Tramontana. Più superficialmente, nella partecentrale della secca, sono presenti delle creste rocciosecon orientamento NE SW assimilabili al coralligenodominati da poriferi, briozoi e Parazoanthus axinellae.Esso, nel sua parte W-SW degrada sul DetriticoCostiero presente con differenti facies.Sebbene scarsamente descritto, anche il corallo (Coralliumrubrum) è presente in alcuni settori dellasecca.Nell’area antistante la torre, in particolare nel settoreNW sono presenti i catini. Ne sono stati identificati27. Presentano diverse morfologie ma tutti sonoscavati nella roccia e hanno forma pseudocircolare.De Biasi e Gai [8] hanno descritto tre tipologie fondamentalisulla base dell’inclinazione delle paretiche vanno da una giacitura quasi orizzontale ad unacompletamente verticale caratterizzata talvolta dacanali di erosione che creano peculiari «terrazzi» so-219


spesi. Il sedimento che si deposita sul fondo dei catinipuò variare da sabbia a ghiaia, ma in tutti i casi essorisulta di origine organogena.Dall’indagine del macrozoobenthos condotta in 15catini su 27 ha portato alla raccolta di 10023 individuiappartenenti a Anellidi (86 specie), Molluschi (26specie), Crostacei (72 specie), Echinodermi (6 specie),Nematodi (39 specie). Sono inoltre stati campionatiPlatelminti e Nemertini non determinati a livellospecifico ed alcuni esemplari dell’unico rappresentantein Mediteranno degli Acrani, Branchiostomalanceolatum, noto anche come Anfiosso.Fra le specie rare si sottolineano Stenothoe elachista,Caprella lilliput che raggiungono nei catini densitàelevatissime pari rispettivamente a 1292±343 ind/m 2e 458±55 ind/m 2 [9].Gli studi relativi alla meiofauna hanno consentito didescrivere nuove specie e addirittura di segnalareper la prima volta nei nostri mari il phylum Loricifera[10] costituito da organismi microscopici pseudocelomati,probabilmente parassiti e predatori, che vivonotra i granelli di sabbia. Fra le specie di nuova descrizionemerita sottolineare il Copepode Meloriastacusctenidis il cui nome è stato dato come omaggioalle secche [11].ConclusioniLa Meloria, nonostante la superficie limitata (35–40km 2 ) presenta una elevata variabilitá morfologica checonsente l’insediamento di popolamenti diversificati.Nell’area coesistono praterie di P. oceanica, coralligeno,Detritico Costiero, considerate tra le biocenosipiù ricche e produttive del Mediterraneo [12].Questa caratteristica conferisce alla secca il caratteredi rappresentatività del nostro mare, che secondoalcuni sarebbe condizione necessaria per realizzareuna area marina protetta (AMP).Secondo altre scuole di pensiero un’area è meritevoledi protezione se presenta delle peculiarità unicheo un elevato numero di endemismi.La presenza dei catini e la ricca e rara fauna bentonicache li colonizza conferisce alla secca anche il caratteredi unicità fatto che consente di superare ladiatriba emersa dalla Convenzione sulla Biodiversitàdi Rio (1992), che pone il dubbio se sia preferibilesalvaguardare ambienti «ricchi» o ambienti «unici».Purtroppo la realizzazione di aree marine protetteviene spesso vista dai cittadini in un’accezione proibizionistica,un limite ai propri diritti.Il possedere sul proprio territorio aree meritevoli ditutela dovrebbe essere motivo di orgoglio, ma gli interessipersonali sono spesso prevalenti e posti alcentro delle proprie attenzioni.Occorre chiarire che le rinunce richieste ai cittadinisono sempre modeste e limitate a zone ristrette eche, al contrario i benefici possono essere molti. LeAMP ben gestite sono un fiore all’occhiello per tutti icittadini e proprio per questo ne richiamano altri dispostia spendere tempo e denaro con ottime ricadutesul territorio.Nell’ottica della salvaguardia dell’ambiente, l’istituzionedelle Secche della Meloria dovrebbero costituireun punto di partenza per la realizzazione di unsistema con gestione integrata di parchi interconnessicostituiti da piccole aree vicine rappresentativedelle eterogeneità locali [13].Dato il crescente impatto antropico che grava sullenostre coste questo approccio appare l’unico possibileper garantire che anche le generazioni future possanogodere di questo patrimonio naturalistico.RingraziamentiSi ringrazia l’Accademia Navale di Livorno per il supportologistico, l’Istituto Idrografico della Marina diGenova per aver messo a disposizione i dati batimetriciper la realizzazione delle carte. Si ringrazia inoltre F.Gai per la collaborazione in tutte le fasi dello studio.Bibliografia[1] M. Sordi, Boll. Pesca Pisc. Idrobiol. 1969, 24:105.[2] F. Cinelli, Boll. Pesca Piscic. Idrobiol. 1971,26: 5.[3] G. Cognetti, A.M. Varriale, Boll. Pesca Pisc.Idrobiol. 1972, 27: 263.[4] G. Fierro, F. Miglietta, G.B. Piacentino, Boll.Pesca Pisc. Idrobiol. 1969, 24: 115.[5] G. Bacci, G. Badino, E. Lodi, L. Rossi, Boll.Pesca Pisc. Idrobiol. 1969, 24: 5.[6] G. Barsotti, G. Badino, E. Lodi, L. Rossi, Boll.Pesca Pisc. Idrobiol. 1974, 24: 5.[7] M.A. Todaro, Meiofauna; il popolo della sabbia;il microscopico mondo animale delle Secchedella Meloria. Debatte, Livorno: 1997.[8] A.M. De Biasi, F. Gai, Atti Soc. tosc. Sci. nat.,Mem., Serie B 2000, 63.[9] A.M. De Biasi, F. Gai, L. Pacciardi, Atti 110: 3.220


33 / Sez. ScientificaStudio sulle presenze fitozoobentonichein due aree situate tra Capo Pero e l’Isoladi Palmaiola individuate come possibili sitiper il deposito di piloni in cemento armatoantipesca a strascicoR. Bedini* 1 , M. Pertusati 1 , F. Batistini 1Parole chiave: fitozoocenosi bentoniche, fondali, pesca a strascicoOggetto del presente studio è la caratterizzazione fitozoobentonica di due aree situate tra Capo Pero el’Isola di Palmaiola e individuate come possibili siti per il deposito di piloni in cemento armato con lafunzione di dissuasori contro la pesca a strascico. L’impiego di tecniche di visual census, di campionamentofotografico e di campionamento standard del sedimento dei fondali ha consentito di fornire unadescrizione su ampia scala delle forme di vita presenti nelle aree di indagine, con particolare riferimentoalle biocenosi sessili. L’analisi ha mostrato come i fondali delle due aree di studio non ospitino comunitàanimali o vegetali di particolare interesse naturalistico né specie sessili o sedentarie protette o, comunque,tali da far ritenere dannosa per l’habitat la posa in opera di barriere sottomarine. Queste ultimeprodurranno effetti benefici per l’ecosistema locale, impedendo di fatto la pesca a strascico e inducendoun incremento della biodiversità e della ricchezza specifica del fondo marino interessato. Infatti ipiloni forniranno occasioni di rifugio e un substrato di colonizzazione per molti organismi marini sia vegetaliche animali.IntroduzioneSu incarico dell’Autorità Portuale di Piombinol’Istituto di Biologia ed Ecologia Marina diPiombino ha effettuato uno studio sulle presenzefitozoobentoniche in due aree situate tra Capo Pero(Isola d’Elba) e l’Isola di Palmaiola, individuate comepossibili siti per il deposito di piloni in cementoarmato come dissuasori per la pesca a strascico inaree dove la stessa è vietata.Materiali e metodiL’area di studio è rappresentata da 2 siti che sono statisegnalati dall’Autorità Portuale di Piombino tra CapoPero (Isola d’Elba) e l’Isola di Palmaiola (figura1): sito A (42° 51 25 N-010° 27 60 E, profondità 36 m)e sito B (42° 51 85 N-010° 27 30 E, profondità 35 m).Lo studio ha previsto l’acquisizione di documentazionefotografica e di dati tramite visual census e campionamentostandard. I rilevamenti sono stati condotticon il supporto logistico di un battello con 2 subacqueiprofessionisti ed un biologo a bordo per 4giornate di immersione con A.R.A. (5-8 giugno2006). Ogni giornata sono stati prelevati 6 campioniprelevati in aree diverse dello stesso sito seguendolo schema riportato in figura 2a.In corrispondenza di ciascuno dei 2 siti sono state selezionatein modo casuale 4 aree rappresentate da 4cerchi bianchi in figura 2b. Per ogni area sono statigli autori* 1 Istituto di Biologia ed Ecologia Marinadi Piombino, P.za Bovio 3/4 Piombinomuseomare@biomare.it* autore per corrispondenza221


Figura 1: Carta batimetrica con evidenziate le aree interessate dallo studio.Figura 2: (a) Schema generale di campionamento seguito nei 2 siti di studioe (b) dettaglio dello schema seguito per le aree del sito A.prelevati tre campioni, per un totale quindi di 24 campionida analizzare.Visual census: questa tipologia di indagine implica l’identificazionedelle specie nel loro habitat naturale.Il ricercatore si muove lentamente e a breve distanzadal substrato, in questo modo annota le specie cheincontra. Con questo tipo di indagine è possibile acquisiredati di tipoquantitativo come adesempio il tipo di speciepresenti e la lorodistribuzione spaziale[2,8]. Sono stati compilatirecord dettagliatidi tutte le specie incontratenelle duearee indagate.Campionamento fotografico:l’impiego delladocumentazione fotografica,cheè di uso comunenegli studi di naturabionomica e di dinamicadelle comunitàdiventa di fondamentaleausilio quando sidebbano compierestudi di carattere descrittivo,dove è necessariauna caratterizzazionegenerale dell’ambientecon descrizionesu ampia scaladelle forme di vita presenti[1]. Nel corso deicampionamenti è statoacquisito materiale fotograficoriguardanteil tipo di fondale e lebiocenosi sessili vegetalied animali presenti.Le foto hanno anchepermesso, in alcunicasi, di identificarecon maggior sicurezzaalcuni organismi osservatidurante le immersioni. Per la documentazionefotografica è stata utilizzata una fotocamera digitalesubacquea Canon Power Shot G1.Tecniche di indagineCampionamento standard: nelle due aree indagatesono stati prelevati campioni di sabbia, con metodologiarandom, per la successiva analisi in laboratoriodelle specie presenti. La sabbia è stata prelevata conuna paletta all’interno di un quadrato di dimensioni20X20 cm e quindi chiusa in sacchetti di polietilene[1,5,10]. In laboratorio gli animali presenti nei cam-222


Studio sulle presenze fitozoobentoniche in due aree situate tra Capo Pero e l’Isola di Palmaiolapioni sono stati separati dal sedimento attraverso latecnica del sorting e quindi identificati con l’impiegodi uno stereomicroscopio binoculare modello LeicaMS 5. Questo tipo di indagine ha consentito un’analisidi tipo qualitativo del popolamento prevalente nelledue aree indagate.RisultatiIl giorno 05/06/2006 alle ore 14.00 è stata effettuatal’immersione subacquea nel sito B. A causa della fortecorrente è stata effettuata una parziale ispezionedel sito e sono stati prelevati i campioni nelle aree B1e B2. L’area B2 ha le coordinate indicate per il sito B(42°51.850N e 010°27.300E), l’area B1 ha coordinate42°51.885N e 010°27.305E. L’area B1 è situata a circa65 m a nord di B2. Le profondità rilevate dalprofondimetro erano 36,5 m in B2 e 37,5 m in B1.Il giorno 06/06/2006 alle ore 14.00 è stata effettuatal’immersione per il campionamento dell’area B3 dicoordinate 42°51.830N e 010°27.270E e dell’area B4di coordinate 42°51.840N e 010°27.340E. Nelle areeB3 e B4, che distano da B2 rispettivamente 67 m indirezione sud-ovest e 76 m in direzione sud-est, sonostate rilevate profondità di 35,5 m e 36 m. Lo stessogiorno 06/06/2006 alle ore 16:00 è stata eseguitaun’altra immersione per il campionamento nelle areeA1 e A2 del sito A. L’area A1 ha le coordinate indicateciper il sito A (42°51.250N e 010°27.600E), mentrel’area A2 ha coordinate 42°51.220N e 010°27.595E.Le profondità rilevate erano di 36,5 m in A1 e 37 m inA2.Il giorno 07/06/2006 alle ore 11:00 è stata completatal’ispezione del sito B, perlustrando un area di 100m di raggio intorno ad esso. Tale indagine è consistitain una ricerca visiva finalizzata all’ individuazionedi eventuali praterie di Posidonia oceanica (L.) Delilee di fondi duri con presenza di gorgonie. Durantel’immersione sono state effettuate alcune foto deifondali. Ancora in data 07/06/2006, alle ore 17:00 èstata effettuata l’ispezione del sito A con le stessemodalità e scopi del sito B. Anche durante questa immersionesono state scattate delle foto del fondalemarino per documentarne le caratteristiche.In data 08/06/2006 alle ore 13:00 è stata campionatal’area A3 di coordinate 42°51.275N e 010°27.630 E el’area A4 di coordinate 42°51.280N e 010°27.580E. Laprofondità di A3 era di 35,5 m e quella di A4 di 36 m.Visual censusDall’osservazione visiva durante le immersioni, i duesiti sembrano avere stesse caratteristiche. Il fondaleè di tipo sabbioso misto a ghiaie e ciottoli. Nella partesuperficiale (circa 2 cm) del substrato sono presentiaccumuli di resti calcarei organogeni di vari organismimarini (conchiglie, alghe calcaree, Briozoi, Celenterati,Echinodermi, alghe rosse calcaree, ecc.). Ilsottostante sedimento è costituito prevalentementeda sabbia con una importante frazione di sedimentofine (fango). I sedimenti sono stati indagati fino aduna profondità di circa 7-8 cm, in quanto la presenzadello zoobenthos è concentrata nei livelli superficialidei sedimenti.Sul fondo esistono aree occupate da uno strato sottile(2-3 cm) di accumuli di resti organici di alghe e Posidoniaoceanica (L) Delile, 1813, trasportati e depositatidalle correnti insieme a Briozoi e conchiglie diGasteropodi e Bivalvi.Gli organismi che costituiscono il macrozoobentospiù frequentemente rilevati nei due siti sono costituitiprevalentemente da oloturie della specie Holothuriatubulosa (Gmelin, 1788), da ricci marini delle specieStylocidaris affinis (Philippi, 1845), Spatanguspurpureus (O.F. Müller, 1776), Sphaerechinus granularis(Lamarck, 1816), alcuni asteroidei, ascidiaceidella specie Phallusia mamillata (Cuvier, 1815), dapochi crinoidi mobili. Per quanto concerne il fitobenthos,è stata rilevata la presenza di alghe rossecalcaree (corallinacee) appartenenti ai generiLithophillum e Lithothamnium.Nel corso dell’esplorazione subacquea, almeno nelraggio di 100 m di distanza da ciascuno dei due siti,non è stata riscontrata la presenza né di importantiformazioni rocciose né di praterie di Posidonia oceanicao di gorgonie.Campionamento fotograficoI fondali indagati risultano essere composti superficialmenteda ghiaia sabbiosa e sabbia ghiaiosa (figure4a e b) con aree limitrofe melmose e con numerosiframmenti di conchiglie di bivalvi e gasteropodi.Campionamento standardNella tabella 1 sono riportate le specie animali identificateall’interno dei sedimenti campionati nei 2 sitiindagati.223


Nelle figure 4-8 sonorappresentate alcunedelle specie animaliidentificate nel corsodel presente studio all’internodell’area diindagine.ConclusioniFigura 3: Fotografie dei fondali delle 2 aree indagate. Fondale ghiaiososabbioso(a), e sabbioso-ghiaioso (b).Figura 4: Ophiopsila araneaFigura 6: Anapagurus petitiFigura 5: Echinocyamus pusillusFigura 7: Gari costulataFigura 8: Chone filicaudataDai dati rilevabili dallostudio dei campionamentieffettuati si evinceche i fondali delledue aree indagate (figura1) non presentanocomunità animali ovegetali di particolareinteresse naturalisticoné specie sessili o sedentarieprotette o, comunque,tali da far riteneredannosa perl’habitat la posa in operadi barriere sottomarine.La modificazionedel fondale, ad opereultimate, sarà collocabilenella classe dei disturbiambientali lievi,incapaci di modificarenegativamente lastruttura delle biocenosiesistenti in questearee [11].L’accatastamento deipiloni infatti, dato il tipodi fondale, creeràpresumibilmente unintorbidimento dell’acquatutto intorno la «piramide»e le correntipotranno estendere l’areadi fondale interessataal fenomeno, maquesto non produrràproblemi particolariperché dall’ispezionesubacquea è stataesclusa, in un raggio224


Studio sulle presenze fitozoobentoniche in due aree situate tra Capo Pero e l’Isola di PalmaiolaTabella 1: Nella prima colonna è riportata la lista totale delle specie censite. Di ognuna viene indicata lapresenza/assenza in ognuna delle 4 aree indagate nel sito A e nel sito B.225


Tabella 1226


Studio sulle presenze fitozoobentoniche in due aree situate tra Capo Pero e l’Isola di PalmaiolaTabella 1molto ampio, qualsiasi presenza di fanerogame marine,o specie animali sessili che potrebbero risentire deldeposito sulle proprie strutture del limo e del particolatosabbioso diffuso (come ad esempio gorgoniacei).Le «piramidi» di piloni diventeranno protezione e rifugiocon gli anfratti che creeranno ed un substratodi colonizzazione per molti organismi marini sia vegetaliche animali. La struttura funzionerà anche danursery per molte specie animali sia pelagiche chebentoniche e necto-bentoniche quali Pesci, Molluschi,Crostacei come è stato ampiamente dimostratoin studi sulle barriere artificiali in Italia e all’estero(Rapporto sul Workshop Barriere Artificiali, Ancona,2001). È stato ad esempio dimostrato, già da moltianni, che poche ore dopo la messa in opera sul fondalemarino di strutture artificiali [4,12] le stesse comincianoa essere colonizzate. L’insediamento sui pilonidi biocenosi di substrato duro fornirà inoltrepossibilità di pascolo per molte specie ittiche.Pertanto dai dati forniti dal presente studio si evinceche l’area indagata è compatibile con la messa in operadi barriere artificiali quali quelle proposte. Esseprodurranno effetti benefici per gli ecosistemi locali,impedendo di fatto la pesca a strascico e inducendoun incremento della biodiversità e della ricchezzaspecifica del fondo marino interessato. Costituirannoinfine una «impalcatura» per attività di biocostruzione[9] da parte di Briozoi [6,7], Anellidi, Bivalvi odi altre specie colonizzatrici che concorrono nell’aumentodella biodiversità locale [3].RingraziamentiSi ringrazia per l’autorizzazione ai campionamenti, lasosta dell’imbarcazione ed il supporto logistico: l’Au-227


torità Portuale di Piombino, la Capitaneria di Portodi Portoferraio, la Delegazione di spiaggia di Cavo, laDelegazione di spiaggia di Rio Marina. Per la fornituradi materiale ai biologi subacquei: le aziende Kodake Nike Italia.Bibliografia[1] M. Abbiati, Metodi di campionamento biologicosubacqueo. In Lezioni del corso formativo perricercatore scientifico subacqueo, a cura di MarcoAbbiati. I.S.S.D., Pisa: 1991.[2] F. Biagi, Valutazioni visive delle Fauna Ittica.In: Lezioni del corso formativo per ricercatorescientifico subacqueo, a cura di Marco Abbiati.I.S.S.D., Pisa: 1991.[3] C.N. Bianchi, La biocostruzione negli ecosistemimarini e la biologia marina italiana. Biol. Mar.Medit. 2001, 8 (1): 112-130.[4] J.C. jr. Carlisle, C.H. Turner, E.E. Ebert, Artificialhabitat in the marine environment. Calif.Dep. Fish Game Fish Bull. 1964, 124: 1-90.[5] F. Cinelli, E. Fresi, L. Gazzella, Ricerche supopolamenti bentonici su substrato duro del portodi Ischia. Infralitorale fotofilo (Macrofite e Isopodiliberi). Arch. Oceanograf. Ital. 1976, 18 (3):169-188.[6] S. Cocito, F. Ferdeghini, C. Morri, C.N. Bianchi,Patterns of bioconstruction in the cheilostomebryozoan Schizoporella errata: the influence ofhydrodynamics and associated biota. Mar. Ecol.Progr. Ser. 2000, 192: 153-161.[7] F. Ferdeghini, S. Cocito, C. Morri, C.N. Bianchi,Living bryozoan buildups: Schizoporella errata(Waters 1878) (Cheilostomatida, Ascophorina)in the northwestern Mediterranean (preliminaryobservations). In Proceedings of the 11 th InternationalBryozoology Association Conference.Smithsonian Tropical Research Institute. A. HerreraCubilla, J.B.C. Jackson (eds.), Panamà:2000.[8] M.C. La Mesa, M.C. Gambi, M. Dappiano, I sistemia fanerogame marine. In: Manuale di Metodologiedi Campionamento e Studio del Benthosmarino mediterraneo. Biol. Mar. Medit. 2003, 10(suppl.): 145-189.[9] M. Sarà, Research on coralligenous formations:problems and perspectives. Pubbl. Staz.Zool. Napoli 1969, 37 (suppl.): 124-134.[10] M. Sarà, A. Balduzzi, F. Boero, M. Pansini,D. Pessani, R. Pronzato, Analisi di un popolamentobentonico di falesia del promontorio di Portofino:dati preliminari. Bull. Mus. Ist. Biol. Univ.1978, 46.[11] J.P. Sutherland, The fouling community atBeaufort, North Carolina: a study in stability, Am.Nat. 1981, 118: 499-519.[12] H.C. Turner, E.E. Ebert, R.R. Given, Manmadereef ecology. Calif. Dep. Fish Game FishBull. 1969, 1: 46-120.228


34 / Sez. ScientificaRiproduzione ed allevamentodell’Octopus vulgaris in Toscana:ricerche e risultati nel periodo 2002-2007F. Lenzi*, T. De Wolf, S. LenziParole chiave: Octopus vulgaris, polpo, allevamento paralarvale, acquacoltura, nuove specieLa ricerca in oggetto racchiude l’attività svolta nel periodo 2002-2007, nell’ambito del progetto di sviluppodell’acquacoltura Toscana co-finanziato dall’ARSIA. Sono presentati i risultati dele prove fattepresso la Maricoltura di Rosignano Solvay (di seguito MRS). La ricerca si colloca nel più ampio panoramainternazionale ed in particolare Mediterraneo, che vede vari gruppi di ricerca e strutture impegnateormai da anni [15] nel tentativo di portare a chiusura il ciclo completo di riproduzione dell’Octopusvulgaris in condizioni controllate. Allo stato attuale delle conoscenze di ricerca infatti, ed in particolareagli inizi di questo progetto non era possibile accrescere in cattività paralarve di polpo riprodottein condizioni di allevamento oltre i 30-40giorni di vita.IntroduzioneQuesta ricerca ha potuto verificare come ormaila costituzione ed il mantenimento di unostock di riproduttori in cattività, consente diavere elevate sopravvivenze dei soggetti adulti e ottimepercentuali di fecondazione delle femmine conrelative abbondanti deposizioni di uova. Le femminefertili, in cattività riescono a deporre tra le 50.000 e300.000 uova, con quantità crescenti in relazione allamaggiore taglia.In condizioni di allevamento si ottengono mediamentedelle schiuse di paralarve viabili superiori al 90%. Ilmiglioramento della gestione di tutto il ciclo dei riproduttorifino alla fase della schiusa delle uova haconsentito di aumentare sia la quantità di uova prodotteper femmina, sia la schiusa di quelle viabili ecome conseguenza finale siamo riusciti ad ottenereparalarve alla schiusa con un potenziale di crescitasuperiore a quello che si poteva ottenere solo alcunianni fa.In letteratura sono riportate sopravvivenze sino ai 30giorni di età di paralarve riprodotte che arrivano acirca il 50% [3,6,13] per poi scendere rapidamente ameno del 20% dopo i 40 giorni [3]. Nella ricerca effettuatapresso la Maricoltura di Rosignano Solvay finoal 2005, sopravvivenze superiori al 35% sono state ottenutesino a circa 45 giorni di età con una sopravvivenzafinale massima di 75 giorni che colloca questirisultati tra quelli più promettenti sino al momentoconosciuti. Nella seconda fase della ricerca sviluppatafino alla fine del 2007, per la prima volta siamo riuscitiad ottenere l’accrescimento di giovanili di polporiprodotti ed allevati in totali condizioni controllatearrivando ad ottenere alcune decine di polpi con oltre80 giorni di età con un individuo che ha raggiunto i160 giorni di vita. Questo risultato pone la ricerca all’avanguardiaa livello internazionale e dovrà serviregli autori1 Maricoltura di Rosignano Solvay,Via P. Gigli Loc. Lillatro,57013 Rosignano Solvay* autore per corrispondenzamrs.fl@sysnet.it229


per stimolo per approfondire con sempre maggioreconvinzione la strada per inserire il polpo a pieno titolotra le nuove specie economicamente ed ecologicamentesostenibili.Materiali e metodiCostituzione e condizionamento dello stock di riproduttoriIl reperimento dei riproduttori attraverso cattura dianimali selvatici avviene solitamente nel mese di settembree si protrae sino alla fine di ottobre, quandoraggiunto un numero consistente di esemplari adulti(generalmente tra 30 e 40 sopra i 500g di peso) tra maschie femmine. I polpi sono stati tutti reclutati con lacattura attraverso nasse, posizionate la mattina prestoe raccolte dopo poche ore in modo da far rimanere glianimali il minor tempo possibile dentro l’attrezzo.Gli animali sono stati mantenuti in vasche rettangolarida 5 m 3 in PRFV, ciascuna con ricambio continuodi acqua di mare con ciclo termico naturale, disposteall’aperto. La gestione dei parametri fisici dell’acquaè stata mantenuta costante negli anni in quanto hasempre garantito ottimi risultati di sopravvivenza eambientamento da parte degli animali selvatici.In base alle esperienze maturate il rifugio più graditoe di facile gestione per gli adulti, sono tubi in PVC diforma cilindrica e/o curva di dimensioni adeguate aquelle degli animali.Gli adulti sono stati alimentati con congelato (granchi,cozze, gamberi e pesci vari).A fine primavera le femmine che cessano di alimentarsinelle vasche di stabulazione, vengono spostatenel settore di emissione. Lo spostamento avvienequando il loro comportamento tipico (rimangonomolto rintanate e non si alimentano) è sintomaticodel fatto che sicuramente si sono accoppiate e sonoprossime alla deposizione; le femmine vengono trasferiteciascuna in una vasca da 1000l con fotoperiodoartificiale controllato e temperatura dell’acquamantenuta costantemente attorno ai 21 C°.Deposizione e mantenimento delle uovaFoto 1: Femmina con le uova.La deposizione delle uova da parte delle femmine,inizia generalmente verso maggio ed avviene all’internodei tubi che gli animali hanno scelto come rifugio(foto 1).Le femmine protraggono la deposizione per un periodovariabile tra 5 e 10 giorni. Le uova sono state lasciatein presenza delle cure parentali della madre inquanto in base alle esperienze maturate negli anni,abbiamo visto che questo consente una schiusa pressochétotale delle paralarve.Disegno sperimentale allevamento paralarveIl disegno sperimentale, è stato impostato in mododa cercare di capire quale fosse la fonte alimentarecon le potenzialità maggiori.Le paralarve sono state sottoposte a regimi alimentaridiversi che sono riportati nella tabella 1. I vari trattamentisono stati impostati per valutare come la fontealimentare diversa poteva generare differenze, comeera logico aspettarsi dopo le precedenti esperienze edi vari lavori riportati in letteratura [6,11,12,13,16].Allo scopo sono state allestite, varie combinazioni difattori fisico-alimentari (in vasche da 500l nel settoresperimentale dell’avannotteria denominato minihatchery).Tali vasche erano soggette alle stesse condizionifisiche (luce e temperatura salvo che nei trattamentispecifici, come riportato in tabella) e chimiche(ossigeno e sostanze disciolte). Tutti i parametri eranocondizionati e costantemente controllati. Ognitrattamento è stato condotto in duplicato.Produzione di fitozooplanctonFitoplancton - L’alga unicellulare utilizzata per le vaschecon questo trattamento è stata la Nannochloropsisspp. con concentrazioni di circa 700.000 cellule/mlin vasca di allevamento.230


Riproduzione ed allevamento dell’Octopus vulgaris in Toscana: ricerche e risultati nel periodo 2002-2007Tabella 1: Disegno sperimentale prove in minihatchery periodo 2002-2004.Zooplancton - La produzione di alimento vivo è iniziatacon la produzione di artemie EG (580 µm instar I)che sono sempre state arricchite con A1DHA Selco ®per 24 h a 26 C°, prima di essere somministrate allelarve (750-850 µm instar II - instar III).Un grande sforzo produttivo è stato dedicato alla produzionedi artemie adulte di varie età. Le dimensionidegli adulti variavano dai 12mm fino ai 20mm. Le dimensionisono ovviamente riferite ad artemie di etàdiverse, comprese tra 4 e 10 giorni. Prima di esseresomministrati alle paralarve questi adulti sono statiarricchiti con Prolon(alimento sperimentale prodottoda INVE Technologies) per circa 3-5 ore. Questoarricchitore ha le seguenti caratteristiche, lipidi>25%; proteine >17%; ceneri 10%; 3 HUFA >100mg/gPS; Vit. A 835000 UI/kg; Vit. D3 80000UI/kg;3600mg/kg; 4000 mg/kg; EPA 20 mg/g; 25 mg/g.Distribuzione del fitozooplanctonLa coltura algale matura è stata raccolta la mattinastessa del suo utilizzo e distribuita varie volte al giornonelle vasche di allevamento larvale per poter231


mantenere la concentrazione costante.Le artemie EG sono state distribuite sempre dopo filtrazionedalla vasca di arricchimento e successivo lavaggioin filtro immerso con maglia da 120 µm. Le artemieadulte sono state raccolte dalla vasca di arricchimentorisciacquate con lo stesso procedimentousato per le EG e sono state distribuite con le stessemodalità e frequenza, in ragione di un mantenimentodi una concentrazione minima di 1-2 art/ml. A seguitodelle indicazioni degli anni precedenti nel 2007 èstato solo modificato l’arricchimento per le artemieadulte (con almeno una lunghezza di 15mm). È statoinfatti utilizzata la versione Prolon®, somministrataper 48h ad un concentrazione di 300ppm/12h.Parametri fisiciIdrologia e ricambiL’idrologia della vasca è stata impostata per esserela più ridotta possibile, per cercare di non crearetroppo disturbo alle larve in particolare nei primigiorni della loro alimentazione con preda viva, vistala loro tendenza alla passività natatoria. Sono statequindi evitate correnti preferenziali che tendesseroa creare degli addensamenti di larve in zone circoscritte.Il ricambio è stato mantenuto costante duranteil giorno con un flusso pari a circa il 100% di ricambio/giorno.TemperaturaQuesta gestione dei ricambi ha fatto si che non ci fosserodelle oscillazioni di temperatura marcate nelle24h (nell’ordine di +/-1,5 °C) con una media di circa23 °C. Il condizionamento dell’acqua è avvenuto medianteuso di pompe di calore.Intensità luminosaL’illuminazione è stata garantita per via diretta attraversolampade alogene da 150W la cui luminosità èstata regolata in modo da fornire 500-800 lux alla superficiedell’acqua.FotoperiodoÈ stato adottato un fotoperiodo di circa 14 ore di lucepiena e 10 di buio.AreazioneL’aerazione è stata impostata in modo blando in mododa non creare eccessive turbolenze, ma allo stessotempo ha garantito una omogenea distribuzionesia delle larve che delle prede vive.Allevamento larvaleCon le prime deposizioni avvenute nella tarda primaverainizi estate, abbiamo sempre potuto lavorareper mettere a punto in particolare la tipologia e lastruttura delle vasche e gli alimenti da somministrare.Le prime deposizioni annuali sono sempre stateuna sorta di test per le deposizioni successive.A seguito dei risultati ottenuti da queste prove sonostate allestite vasche da 1000l fino a 6000l nel settoredi allevamento larvale, replicando i migliori trattamentiottenuti nei piccoli volumi (500L).RisultatiRiproduttoriPer quanto riguarda la gestione del parco riproduttori,siamo riusciti ad ottenere un buono standard di allevamentoche ha consentito di far ambientare rapidamentegli animali catturati in mare e da questi poidi poter ottenere buone deposizioni sia dal punto divista qualitativo che quantitativo. Le femmine riesconoa deporre generalmente alla fine della primavera,tra le 20.000 e le 300.000 uova. La quantità di uovaemesse è direttamente proporzionale alle dimensionidegli animali. Le uova mantenute in presenza dicure parentali schiudono sempre con oltre il 95% diviabilità, mentre le uova che sono state fatte schiuderesenza le cure parentali, non superano il 60% di paralarveviabili. Durante il periodo di ricerca sono stateottenute deposizioni quantitativamente significative(>100.000 uova) da oltre il 50% degli animali.Risultati che confermano e migliorano i risultati già ottenutiin precedenza e descritti in letteratura [2,4,6].Allevamento larvaleIl risultato più evidente delle prove effettuate fino al2005 in vasche con volumi diversi, è che nei grandi volumi(6000l) e con basse densità (>5larve/l) la sopravvivenzaè risultata essere maggiore. Rispetto ai vari tipidi trattamento effettuati in Minihatchery per valutarel’effetto dei vari regimi alimentari (grafico 1), quelloche emerge chiaramente è la elevata sopravvivenzaraggiunta nelle vasche alimentate con artemia di variedimensioni ed in particolare con alte percentuali di artemiaadulta. A seguito di queste indicazioni, ed in particolaredai risultati ottenuti nelle vasche da 6000l, abbiamoavuto la conferma che l’apporto di artemia232


Riproduzione ed allevamento dell’Octopus vulgaris in Toscana: ricerche e risultati nel periodo 2002-2007Grafico 1: Sopravvivenza nei vari regimi alimentari in vasche da 500L in Minihatchery.adulta è decisivo per elevare la sopravvivenzaQui infatti siamo riusciti ad ottenere sopravvivenze attornoal 45% a 45 giorni ed a produrre alcune migliaiadi paralarve oltre i 50 giorni di età. Come sopravvivenzamassima ottenuta siamo riusciti ad arrivare fino a75 giorni. Questi risultati sono molto significativi, inquanto da quello riportato in letteratura anche nei lavoripiù recenti [3,6,13] le sopravvivenze indicate sonoinferiori. Negli anni successivi siamo riusci ad otteneresimili sopravvivenze anche in vasche da 1000L.Nel 2006 si sono raggiunti i 73 giorni di sopravvivenzamassima e sopravvivenze attorno al 40% sino ai 35-40 giorni di vita.È interessante notare come (grafico2) le lunghezzetotali fossero comparabili nei vari trattamenti ad eccezionedel trattamento con le artemie adulte arricchite,che ha avuto degli accrescimenti decisamentemolto superiori. Questo si è riflesso anche in una sopravvivenzaassoluta e percentualmente superiore.Nel corso del 2007 siamo riusciti ad ottenere giovanilidi polpo, che con una decina di esemplari hanno superatoi 90 giorni di vita.Grafico 2. Crescita delle paralarve nelle 2 repliche MRS 2006: All LF+dry (tutto live food + alimento secco);Only Art (solo artemia arricchita); Only rot d5 (solo rotiferi fino al giorno 5); All LF (tutto livefood); Adult Art controllo (solo artemie adulte).233


DiscussioneNel corso degli anni 2005 e 2006 della ricerca sonostati compiuti notevoli progressi per quanto riguardain particolare la sopravvivenza media delle paralarve,che si è attestata nei migliori trattamenti ad oltreil 30% a 45 giorni di età superiori a tutti i migliori risultatisino ad oggi riportati in letteratura [3]. Nelcorso delle prove di allevamento svoltesi presso laMRS nel 2006, la massima età raggiunta è stata di 78(foto 2) giorni ma con temperatura media di allevamentodi circa 25°C (circa 2°C superiore a quellausata negli anni precedenti) che quindi corrispondonoad un’età di circa 1950°C/Giorno contro una massimaetà di 1725°C/Giorno raggiunta nel periodo diricerca nell’anno precedente, questo in via del tuttoteorica potrebbe far estrapolare una proiezione dietà di circa 85 giorni a 23°C.Un notevole progresso è stato ottenuto per quanto riguardale dimensioni delle paralarve, che a parità dietà con i precedenti anni mostravano degli accrescimentisignificativamente superiori (lunghezza totaleTL:10,3mm a 65giorni, contro gli 9,8mm registrati dimedia nel corso del 2006; misure ottenute anestetizzandocon etanolo al 2% come descritto da VillanuevaR. 1995). Questi maggiori accrescimenti sono senzadubbio da attribuire alla somministrazione in grandequantità di metanauplii di artemia ed artemia adultache si è rivelata fondamentale per cercare di soddisfarele esigenze energetiche e metaboliche delle paralarve.L’accrescimento maggiore ha coinciso conla somministrazione di artemie adulte ed arricchitecon Prolon®/48h come riportato nel grafico 2 relativamentealle ultime due prove effettuate nel 2006.Foto 2. Paralarva di polpo di 78 giorni, confrontatacon una moneta da 1 cent.L’alimento Prolon®, nella sua formulazione finale èla risultante di vari affinamenti avvenuti negli anni eformulati dai laboratori di Inve Technologies in Belgio.La composizione finale di questo alimento è riportatonella tabella 2.Tabella 2: Composizione della formulazione finaledi Prolon®.Le analisi degli acidi grassi sono state effettuatepresso i laboratori dell’Artemia Reference Centre diGent, Belgio, secondo Ways and Hanahan (1964),esterificazione secondo Lepage and Roy (1984 e1986) ed iniezione su gascromatografo.Analisi (FAME) alimento vivo somministratoLe analisi dimostrano un contenuto notevole in acidigrassi poli insaturi, e soprattutto in DHA e EPA. Questoci spinge a cercare di arricchire le prede vive conquesti componenti. Comparando le analisi delle predevive e le paralarve a giorno 0, si evidenzia comegli arricchitori usati hanno avuto un profilo abbastanzaadeguato.È interessante notare come tutte le prede vive avevanoun alto contenuto proteico e un livello di arricchimentoin acidi grassi poli insaturi molto alto. Anche ilrapporto DHA/EPA era >1.5 che è da considerarsielevato, almeno per le artemie metanauplii. Questialti valori di arricchimento probabilmente hannoconsentito di aumentare notevolmente le sopravvivenzeed aumentato gli accrescimenti come precedentementedescritto. Le artemie adulte malgradoabbiano consentito di superare la fase bentonica e diarrivare ai primi esemplari di polpo con età fino oltrei 5 mesi di vita, probabilmente non hanno ancoraquei livelli di arricchimento necessari per garantiredelle percentuali di sopravvivenza ancora superioridopo i 70 giorni di vita, questo rimane forse l’aspettopiù importante sul quale lavorare in futuro. L’ottenimentodelle uova e successivamente delle paralarveavviene ormai con successo, confermando che an-234


Riproduzione ed allevamento dell’Octopus vulgaris in Toscana: ricerche e risultati nel periodo 2002-2007Tabella 3: Valori nutrizionali delle prede vive fornite alle paralarve.che questa fase è conosciuta a sufficienza e prontaper un apporto numerico importante anche in otticaproduttivo-commerciale. In effetti questo passaggioè quello più importante per quanto riguarda la sostenibilitàdi una produzione in prospettiva di allevamentocommerciale. La gestione e l’ottenimento delleparalarve viabili in quantità e qualità soddisfacentiad un approccio produttivo (si parla di alcune centinaiadi migliaia di paralarve a stagione riproduttivada un parco riproduttori di circa 10 femmine) sono ilpunto di partenza indispensabile per poter pensaredi intraprendere i successivi stadi di allevamento.L’allevamento della paralarve effettuato in vasche cilindrichea fondo leggermente bombato di 1000L e500L di volume ed ad una temperatura media di allevamentodi 23°C +/- 1°C, con fotoperiodo 12h/L-12h/B, ha confermato che la strada da perseguirecon decisione è quella di un allevamento con predevive riprodotte in impianto almeno nella prima fasesino ai 30/40 giorni di età.Nella stagione riproduttiva 2007 per la prima volta èstato possibile portare allo stadio di giovanili delleparalarve riprodotte in cattività. L’alimentazione chesino ai 65giorni di vita è stata solo a base di artemiaadulta arricchita con Prolon ® per 48h, ha avuto unperiodo di sovrapposizione per circa 15giorni condella polpa di granchio sminuzzata, e quest’ultima èdivenuta l’alimentazione unica oltre il giorno 80.Da questo momento i polpi hanno assunto un comportamentoprevalentemente bentonico, utilizzandoun tubo in plastica come rifugio.Nel 2007 è anche aumentata la sopravvivenza assolutaed il numero di animali con una decina di individuiche hanno superato i 90giorni di età. Per la prima voltasiamo arrivati allo stadio giovanile con individuisuperato i 160 giorni di vita. Questi giovanili hannoraggiunto i 14mm per il mantello e circa 18mm (foto3) per i tentacoli con un numero di ventose medieper ogni tentacolo di 50 (foto 3).Foto 3: Giovanile a 125 giorni di vita.ConclusioniQuesta ricerca ha negli anni evidenziato sempremaggiori progressi in termini di età assoluta delleparalarve e di percentuale di sopravvivenza nelle varieclassi di età. Lo sviluppo e la gestione di un allevamentoin condizioni completamente controllate,compresa la parte di produzione dell’alimento vivo èl’obiettivo finale.L’aver raggiunto lo stadio giovanile dimostra che ètecnicamente possibile ottenere in condizioni controllatelo sviluppo di giovanili di polpo. L’ulteriore235


passo è quello di verificare la possibilità di arrivaread avere animali riprodotti in condizioni controllate,capaci di accrescersi con velocità tali da essere interessantidal punto di vista commerciale.L’obiettivo di riprodurre giovanili di polpo attraversoun processo completo di gestione riproduttori, fecondazionedeposizione delle uova ed ottenimentodelle paralarve è stato raggiunto.Rimangono da affinare ed ottimizzare i metodi di allevamentoper poter ottenere numeri ed accrescimentiche possano a tutti gli effetti far parlare del polpocome una vera nuova specie per l’acquacoltura.RingraziamentiSi ringrazia l’ARSIA per il suo contributo indispensabilealla realizzazione di questa ricerca.Bibliografia[1] S.V. Boletzky, P. Fioroni, Embryo inversionsin Incirrate Octopods: the state of an enigma.Journal of Cephalopod Biology 1990, 1 (2): 37-57.[2] P. Cagnetta, L. Zezza, R. Perniola, Preliminarytrials on octopus (Octopus vulgaris c.) rearingunder controlled conditions. XXXIII SimposioInternazionale di Zootecnica: 22nd-24th April1998, Alghero, New Species for MediterraneanAquaculture 1998: 175-182.[3] J.F. Carrasco, C. Rodriguez, Z. Rodriguez,Coltivo intensivo de pulpo (Octopus vulgaris, Cuvier1797), en tanques parabolicos de 30l utilizzandocomo base de la alimentaciòn zoeas vivas decrustaceos. In: Libro de Actas. IX Congreso Nacionalde Acuicultura, Octubre 2005, Sevilla,Spain 2005, pp. 191-194.[4] T. De Wolf, V. Courtens, U. Capiferri, F. Lenzi,Broodstock maturation and paralarvae rearingof the common Octopus Octopus vulgaris in Tuscany.In: Book of Abstracts, World Aquaculture2004, 1st-5th March 2004, Hawaii, US. Aquaculture- An ecologically sustainable and profitableventure, 2004: 158.[5] J. Iglesias, F. Sanchez, J. Otero, C. Moxica,Ongrowing, reproduction and larvae rearing of octopus(Octopus vulgaris c.), a new candidate foraquaculture in Galicia (NW Spain). Proceedingsof the workshop on New Species fo Aquaculture,Faro Portugal, 20-21 November 2000, 53-55.[6] J. Iglesias, J. Otero, C. Moxica, L. Fuentes, F.J.Sanchez, The completed life cicle of the octopus(Octopus vulgaris, Cuvier) under culture conditions:paralarval rearing using Artemia and zoeae,first data on juvenile growth up to 8 months of age.Aquaculture International 2004, 12: 481-487.[7] F. Lenzi, G. Cittolin, E. Ingle, E. Tibaldi, Allevamentodel polpo (Octopus vulgaris): Riproduzionee allevamento larvale in avannotteria industriale.Ricerca per lo sviluppo dell’acquacolturaToscana, 2002: 73-83[8] F. Lenzi, U. Capiferri, T. De Wolf, Paralarvalrearing of the common octopus Octopus vulgaris:State of the art in Italy. Book of Abstracts Aqua2006, Florence, Italy 2006: p. 523.[9] G. Lepage, C.C. Roy, The Journal of Lipid Research,1984, ASBMB.[10] G. Lepage, C.C. Roy, Direct transesterificationof all classes of lipids in one-step reaction. Noteson methodology. The Journal of Lipid Research1986, 27: 114-120.[11] J. Navarro, R. Villanueva, Lipid and fattyacid composition of early stages of cephalopods:an approach to their lipid requirements. Aquaculture2000, 128: 143-152.[12] J. Navarro, R. Villanueva, The fatty acidcomposition of Octopus vulgaris paralarvae rearedwith live and inert food: deviation from theirnatural fatty acid profile. Aquaculture 2003, 219:613-631[13] S. Okumura, A. Kurihara, A. Iwamoto, T.Takeuchi, Improuved survival and growth in Octopusvulgaris paralarvae by feeding large type Artemiaand Pacific sandeel, Ammodytes personatus.Improuved survival and growth of common octopusparalarvae. Aquaculture, 2005, 244: 147-157.[14] C. Rodriguez, J.F. Carrasco, M. Rodriguez,Engorde de juveniles de pulpo (Octopus vulgaris,Cuvier 1797) en jaula en aguas del Principado deAsturias. In: Libro de Actas. IX Congreso Nacionalde Acuicultura, Octubre 2005, Sevilla, Spain2005, pp. 219-222.[15] R. Villanueva, Experimental rearing andgrowth of planktonic Octopus vulgaris from hatchingto settlement. Canadian Journal of Fisheriesand Aquatic Sciences 1995, 52: 2639-2650.[16] R. Villanueva, N. Koueta, J. Riba, E. Boucaud-Camou,Growth and proteolytic activity ofOctopus vulgaris paralarvae with different food rationsduring first feeding, using Artemia nauplii andcompound diets. Aquaculture 2002, 205: 269-286.236


35 / Sez. ScientificaStudio sulla popolazione e sulle abitudinialimentari di Galeus melastomus(Rafinesque, 1810) nel Mar Ligure Sud-orientaleGabriele Bulgheri, Marco Scali, Alessandro Voliani*Parole chiave: Galeus melastomus, Mar Ligure Sud-orientale, contenuti stomacali,indici di biomassa e densitàNell’ambito di questo lavoro, tra le specie della famiglia Scyliorhinidae presenti nel Mediterraneo, èstato scelto Galeus melastomus in quanto abbondantemente presente nei nostri mari e catturato comespecie accessoria (by-catch) nella pesca dei crostacei decapodi come Nephrops norvegicus, Parapenaeuslongirostris, Aristeus antennatus, Aristeomorpha foliacea, tutte specie caratteristiche delle zonebatiali. Le informazioni relative a Galeus melastomus ottenute in oltre 1000 prelievi fatti con una rete astrascico nel Mar Ligure sud-orientale, realizzati tra il 1985 e il 2002, hanno permesso di elaborare i datidi oltre 10000 esemplari. Sono state analizzate le distribuzioni geografiche, come indici di biomassa edi densità, e i contenuti stomacali. Sono state individuate aree di nursery che nella stagione estiva sonorisultate a profondità meno elevate rispetto a quelle preferite dagli esemplari adulti. I gruppi che sonorisultati maggiormente predati sono i Crostacei, i Cefalopodi e gli Osteitti. È risultato anche che la speciesi alimenta con qualsiasi tipo di cibo che proviene dall’alto, come ad esempio gli scarti di cucina gettatiin mare dalle navi.Galeus melastomus (figura 1) è una specie demersaleappartenente alla famiglia Scyliorhinidae,come Scyliorhinus canicula (Linnaeus,1758) e Scyliorhinus stellaris (Linnaeus, 1758). È unpiccolo squalo che può raggiungere dimensioni chevanno oltre i 60 cm; esiste un leggero dimorfismosessuale in quanto le femmine raggiungono dimensionimaggiori dei maschi. Vive in prevalenza su fondalifangosi e colonizza le biocenosi del sistema batialeprediligendo i margini della scarpata continentalee quindi fasce batimetriche comprese tra i 200ed i 1000 metri, sebbene le maggiori concentrazionidi individui si abbiano tra i 300 ed i 550 metri [1].Galeus melastomus presenta caratteristiche tipichedegli squaliformi; il corpo affusolato, la testa schiacciatae il muso lungo e appuntito gli conferiscono unanotevole idrodinamicità, tale da renderlo un perfettopredatore. Presenta due piccole pinne dorsali e lacaudale è piuttosto allungata con un profilo lineare;quest’ultima può raggiungere fino al 13-18% dellalunghezza totale. Sono presenti cinque fessure branchialiper lato, al di sotto delle quali si protendonodue pinne pettorali molto ben marcate. La bocca presenta,su entrambe le arcate delle mandibole, numerosefile di piccoli denti acuminati, ognuno con unagli autoriARPAT Agenzia Regionale ProtezioneAmbientale della Toscana - Area MareVia Marradi, 114 57126 Livorno* autore per corrispondenzaa.voliani@arpat.toscana.it237


punta centrale più prominente delle due laterali; lamucosa interna è caratterizzata da un colore nero cosìcome il peritoneo e per questo viene denominatocomunemente «boccanera».Depone uova protette da un guscio corneo i cui verticinon si prolungano in filamenti arricciati (cirri) comegli altri scyliorhinidi. I piccoli escono dall’uovodopo un periodo medio di circa 5 mesi e alla nascitasono già lunghi più di 9 cm.Il presente lavoro è stato realizzato adoperando i datiprovenienti da campagne sperimentali di pesca astrascico effettuate a partire dal 1985 nelle acque delMar Ligure Sud-orientale, acquisiti in seguito all’attivazionedel progetto di ricerca nazionale GRUND[2], finalizzato alla valutazione delle risorse demersali,a cui si è aggiunto nel 1994 un progetto di ricercacomunitario denominato MEDITS [3].Complessivamente sono stati utilizzati i dati provenientida oltre 1100 cale. L’area indagata è di circa10.000 km 2 , si estende dalla linea di costa fino al limitedelle acque territoriali corse ed è compresa tra le costesettentrionali dell’Isola d’Elba e la foce del Magra.Il numero di esemplari ed il peso del campione sonostati rilevati direttamente a bordo del motopesca. Inlaboratorio sono stati rilevati la lunghezza totale delcorpo al mezzo centimetro inferiore, il sesso, la maturitàed il contenuto stomacale.Per la stima degli indici di biomassa (kg/km 2 ) e didensità (n°/km 2 ) è stata considerata l’area effettivamentestrascicata durante ogni cala, ottenuta moltiplicandol’apertura della rete per la distanza percorsa(ricavata mediante le coordinate di inizio e finecala).Le informazioni georeferenziate così ottenute sonostate utilizzate per la rappresentazione della distribuzionegeografica della specie con l’estensione «SpatialAnalyst» del programma Arc View [4].L’analisi delle taglie è stata effettuata su circa10.000 esemplari. Per verificare se nelle popolazionidi Galeus melastomus esistono distribuzioni geografichee batimetriche diverse in relazione alle dimensionidegli esemplari, le taglie sono state divisein 4 classi: piccoli (da 10 cm fino a 17 cm), mediopiccoli(da 18 a 30 cm), medio-grandi (da 31 a 41cm) e grandi (maggiore di 42 cm). La suddivisionein taglie è stata scelta con questi intervalli in riferimentoai grafici illustrati in figura 2, dove è riportatala distribuzione degli individui in funzione delledimensioni.Figura 1: Galeus melastomusMateriali e metodiFigura 1: Distribuzioni percentuali delle taglie diGaleus melastomus.Il limite di 17cm per i piccoli è stato scelto in riferimentoalla classe modale dei giovani, più evidentein estate; il valore di 31cm è stato stabilito perchécomprende approssimativamente il secondo gruppomodale; il valore di 42cm si riferisce alla taglia incorrispondenza della quale sono stati rilevati i piùpiccoli esemplari con gonadi mature per entrambi isessi.È stata eseguita anche un’analisi stagionale associandoagli intervalli di taglie le tre stagioni di campionamento(primavera, estate e autunno). In questomodo è stato possibile verificare particolari distribuzioniin rapporto alle diverse stagioni.Il contenuto stomacale di 709 esemplari di G. melastomusè stato espresso come percentuale di frequenzadelle prede rinvenute negli stomaci non vuoti[5]. Gli individui sono stati suddivisi in relazione alledimensioni (maggiori o minori di 31 cm); questo hapermesso di poter osservare le diverse abitudini alimentarilegate all’età. È stata anche eseguita un’analisistagionale dei contenuti gastrici, separando gliesemplari campionati in estate, autunno e primavera;tale suddivisione ha permesso di stabilire eventualipreferenze predatorie del «boccanera» legate allestagioni.238


Studio sulla popolazione e sulle abitudini alimentari di Galeus melastomus (Rafinesque, 1810) nel Mar Ligure Sud-orientaleTabella 1: Indici di biomassa medi (kg/km 2 ) perogni strato batimetrico.PROFONDITÀ(m)INDICE DIBIOMASSAd.s.0-50 0 050-100 0 0100-150 0 0150-200 0 0200-250 0 0250-300 0,64 0,45300-350 15,02 10,62350-400 50,04 63,16400-450 51,72 9,61450-500 116,4 80,96500-550 93,5 59,37550-600 156,16 139,86600-650 62,82 88,85RisultatiGaleus Melastomus ha dimostrato un’ampia distribuzionenel bacino Ligure Sud-orientale e nelle campagnedi pesca a strascico è stato catturato nell’intervallobatimetrico compreso da 250 fino a 650 m, anchese le catture più consistenti sono avvenute tra450 e 600 m. Nella tabella 1 sono riportati gli indici dibiomassa espressi in kg/km 2 e le relative deviazionistandard per intervalli batimetrici di 50 m.L’analisi degli indici di biomassa e di densità ha consentitodi disegnare le carte di figura 3. Le carte cosiottenute mostrano alcune differenze poiché i maggioricontributi di biomassa sono stati individuati aprofondità più elevate, mentre i valori più alti di densitàsono relativi a due aree meno profonde.L’analisi delle taglie ha evidenziato una distribuzionespaziale piuttosto diversa tra individui classificati comegrandi e piccoli, ed ha anche consentito di individuaredue aree di concentrazione dei giovani localizzatea Nord dell’Isola di Capraia.I contenuti gastrici di G. melastomus hanno presentatouna elevata diversità nell’alimentazione, essendostate riscontrate 46 categorie di prede, anche seFigura 2: Distribuzione geografica degli indici di biomassa (sinistra) e densità (destra) di Galeus melastomus.239


Tabella 2: Sintesi dell’analisi stomacale.Analisi stomacaledi Galeus melastomusPRIMAVERA ESTATE AUTUNNO PICCOLI GRANDITOTALE 709 109 487 113 367 342VUOTI 104 21 64 19 62 42NON VUOTI 605 88 423 94 305 300n° % % % % % %CROSTACEI 429 70,91 85,23 71,63 54,26 76,07 65,67DECAPODA 304 50,25 63,64 47,04 52,13 44,92 55,67ISOPODA 5 0,83 0 1,18 0 1,64 0AMPHIPODA 1 0,17 1,14 0 0 0 0,33MYSIDACEA 24 3,97 0 5,2 2,13 7,21 0,67STOMATOPODA 1 0,17 0 0 1,06 0 0,33EUPHASIACEA 114 18,84 22,73 19,62 11,7 26,89 10,67CEFALOPODI 216 35,7 19,32 34,99 54,26 26,56 45CEFAL. n. i. 193 31,9 12,5 31,91 50 24,92 40SEPIOIDEA 22 3,64 5,68 2,36 7,45 1,97 5,33TEUTHOIDEA 5 0,83 0 0,71 2,13 0,66 1OCTOPODA 2 0,33 0 0,24 1,06 0,33 0,33THALIACEA 95 15,7 7,95 16,08 21,28 12,13 19,67PYROSOMATIDA 95 15,7 7,95 16,08 21,28 12,13 19,67PESCI 183 30,25 15,91 31,91 36,17 26,89 33,67OSTEICHTHYES 181 29,92 15,91 31,91 34,04 26,89 33SELACI 2 0,33 0 0 2,13 0 0,67quelle dominanti sono risultate 6-7.Nella tabella 2 sono riportati, in sintesi, i dati delleprincipali categorie espresse in % di frequenza delleprede rinvenute negli stomaci non vuoti, suddiviseper stagione e dimensione degli esemplari di Galeusmelastomus.Risulta evidente come i crostacei decapodi siano leprede più abbondanti, in particolare tra gli individuiadulti e nel periodo primaverile; le specie più frequentisono risultate Calocaris macandreae e Phasifeasivado. Gli eufasiacei sono predati prevalentementedagli individui piccoli soprattutto in primavera,mentre i cefalopodi, i taliacei e gli osteitti divengonole prede preferite dagli individui adulti in autunno.Nei cefalopodi particolare importanza è rivestita dall’ordineSepioidea dei quali molto frequenti sono statii rinvenimenti di becchi e cristallini perché più difficilmentedigeribili dai succhi gastrici rispetto aglialtri tessuti.Tra gli osteitti sono state individuate numerose categorie,tra le quali anche alcune specie di interessecommerciale come Merluccius merluccius e Phycisblennoides; la loro scarsa frequenza di apparizionesuggerisce che si tratti comunque di prede occasionali.La famiglia dei Mictophidi è stata quella maggiormenteriscontrata tra le prede; dall’analisi degli240


Studio sulla popolazione e sulle abitudini alimentari di Galeus melastomus (Rafinesque, 1810) nel Mar Ligure Sud-orientaleotoliti sono stati identificati i generi Diaphus e Hygophume le specie Notoscopelus elongatus, Lampanyctuscrocodilus e Mictophum punctatum. Probabilmentele piccole dimensioni di questi pesci che colonizzanoil sistema batiale favoriscono la predazioneda parte di G. melastomus. In due casi sono stati riscontratianche pesci cartilaginei, un individuo di Etmopterusspinax, di piccole dimensioni, e un giovanedi G. melastomus.Analizzando i contenuti gastrici, è stata rilevata lapresenza di resti vegetali verosimilmente derivantidagli scarti di cucina delle imbarcazioni di passaggio,come pezzi di pomodori, frammenti di peperonie altro, che possono lentamente raggiungere ancheelevate profondità. In particolare nella zona oggettodi indagine, la probabilità che questi resti pervenganoin mare è maggiore che in altre zone poiché è frequentatadalle navi che percorrono le rotte verso iporti di Livorno e Genova.Discussione e conclusioniG. melastomus presenta una distribuzione geograficae batimetrica abbastanza ampia. I maggiori contributidi biomassa sono dati da individui grandi che stazionanoa profondità più elevate [1] [6] [7], mentre ivalori più alti di densità sono dati da esemplari piccoli.Questo è da attribuirsi al fatto che esistono areecon un marcato addensamento di giovani, definitearee di nursery. Sebbene gli esemplari di piccola tagliapossano risultare sottostimati a causa della selettivitàdel campionatore, in alcune zone la popolazionedi G. melastomus risulta essere composta prevalentementeda questi esemplari, in particolare nellearee con profondità di circa 300 m.Dall’analisi stagionale, il «boccanera» presenta unreclutamento continuo, sebbene in estate il fenomenorisulti più marcato, in accordo con Relini Orsi eWurz [8] per una zona prossima all’area campionata(Mar Ligure Settentrionale).Il fatto che le giovani reclute e i riproduttori frequentinoaree diverse, ha stimolato la ricerca di unaspiegazione di questo fenomeno. Considerando improbabileuno spostamento passivo delle uova conla corrente, come succede spesso negli osteitti chehanno uova pelagiche, rimangono altre due possibilità:il trasferimento dei riproduttori verso le aree dinursery per la deposizione o lo spostamento attivodei giovani in un percorso analogo. Delle due ipotesila seconda ci sembra la più probabile in quantonelle vicinanze delle aree di nursery non sono maistati campionati esemplari prossimi alla deposizione,mentre nelle aree di concentrazione degli adulti,gli esemplari pescati sono risultati spesso in fase diemissione delle uova, tanto da espellerle durante lamanipolazione successiva alla cattura; inoltre nelledistribuzioni di taglia degli esemplari catturati nell’areadi nursery non sono mai risultati predominantii giovani della taglia corrispondente all’uscita dall’uovo(circa 10 cm LT), ma di dimensioni maggiori(circa 15 cm), indicando che è trascorso un certoperiodo di tempo dalla schiusa al momento dellacattura.L’analisi dei contenuti gastrici ha permesso di produrreuna notevole base conoscitiva sui rapporti troficiche questo predatore ha con altri organismi caratteristicidei fondali batiali. Le categorie di prede riscontratesono risultate comuni ad altri Autori chehanno svolto studi analoghi in aree limitrofe comeRelini Orsi e Wurtz [8] nel Mar Ligure Settentrionalee Sartor [9] nel Mar Tirreno Settentrionale. Tuttaviaanche per altre zone come il Mar Adriatico Meridionale,è stato accertato che le classi prevalenti di individuipredati dal boccanera sono sempre crostacei,osteitti e cefalopodi [10] [11] sebbene in rapporti diversi:gli osteitti prevalgono rispetto ai cefalopodi nelMar Adriatico, la situazione si rovescia nel Mar Ligure.I crostacei rimangono comunque la classe maggiormentepredata.L’analisi del contenuto stomacale rispetto a gruppi ditaglia ha evidenziato alcune differenze nell’alimentazione,imputabili al fatto che al crescere delle dimensionidel predatore aumenta l’importanza delle prededi maggiori dimensioni; i cefalopodi divengonouna preda rilevante con l’aumentare della taglia equesto sembrerebbe risultare anche per gli osteittisebbene con un divario inferiore.È stata rilevata una variazione stagionale osservataanche da altri Autori [9], che riguarda i crostacei eufasiacei;questi risultano essere maggiormente predatidai giovani nella stagione primaverile rispetto allealtre. Tra i decapodi, Calocaris macandreae è frequentenegli individui più grandi.Dall’analisi dello spettro trofico risultano evidenti lecaratteristiche fondamentali della dieta di Galeus melastomus,cioè la presenza di prede appartenenti siaal dominio bentonico che a quello pelagico, come giàaffermato da Relini Orsi e Wurtz [8] e da Wurtz eVacchi [12] nel Mar Ligure, e lungo le coste tunisineda Capapè e Zaouali [6]. Sono infatti presenti specielegate al fondo, più o meno strettamente, come241


Alpheus glaber, Calocaris macandreae e i brachiuriche possono anche infossarsi nel sedimento, ma sitrovano anche frequentemente specie viventi nellacolonna d’acqua capaci di compiere ampi spostamentiverticali legati soprattutto al ritmo del giorno edella notte come il crostaceo decapode Phasifea sivado,i cefalopodi e gli osteitti Mictophidi.Sono stati spesso rinvenuti negli stomaci grandi scagliecicloidi, resti vegetali derivanti dagli scarti di cucinae resti di pesci ossei come vertebre e mandiboleche appartenevano senza dubbio a esemplari digrosse dimensioni; questo conferma il fatto che G.melastomus possa essere considerato uno spazzinodei fondali, come definito da Serena et al. [1] e che inparte si nutra di resti dei pasti di grandi predatori checacciano a batimetrie superiori.Numerosi predatori attaccano una possibile predasenza esercitare una scelta; anche il «boccanera»sembra che sfrutti ogni risorsa alimentare afferrandoa caso qualsiasi cosa proviene dall’alto.Un’annotazione interessante riguarda il ritrovamentonegli stomaci di un esemplare di Etmopterus spinax,uno squaletto demersale comune a questeprofondità, ma generalmente poco predato a causadi due grosse spine dorsali. Inoltre appare interessanteaver rilevato un caso di cannibalismo a caricodi un giovane esemplare.Dall’insieme delle conclusioni sembra acquistarecredito l’ipotesi che G. melastomus sia una specie dicomportamento gregario; questo ci viene suggeritodal fatto che spesso è stata verificata la predazionedi animali di grossa taglia, fatto che implica una strategiadi attacco di gruppo. Inoltre sembra che la specieviva in gruppi di individui con dimensioni abbastanzaomogenee; questo ci viene indicato dalle carteche indicano una separazione delle aree di maggiorfrequenza dei diversi gruppi di taglie, ma anchedal fatto che la specie non esita a praticare il cannibalismo,fenomeno che è solitamente accompagnatoproprio dalla separazione fisica dei piccoli dagliadulti.Infine, considerata la grande abbondanza della specie,sarebbe interessante che l’abitudine della marineriadi Viareggio di commercializzare il prodottosenza pelle per superare la reticenza all’acquisto daparte dei consumatori, potesse essere ampliata allealtre comunità di pescatori. Potrebbe in questo modoaumentare il reddito dei pescatori e contemporaneamentediminuire lo scarto dei prodotti della pesca.Bibliografia[1] F. Serena, A. Abella, Galeus melastomus. In:Synthesis of the knowledge on bottom fishery resourcesin central Mediterranean (Italy and Corsica).Biol. Mar. Medit. 2000, 6 (suppl. 1): 58.[2] G. Relini, Actes de colloques IFREMER, 2000,26: 46.[3] J. Bertrand, L. Gil de Sola, C. Papaconstantinou,G. Relini, A. Souplet, Biol. Mar. Medit.,2000, 7 (1): 1.[4] ESRI, Arcview GIS. Enviromental SystemsResearch Institute, 1996.[5] E.J. Hyslop, J. Fish. Biol., 1980, 17: 411.[6] C. Capapè, J. Zaouali, Arch. Inst. Pasteur,1976, 53 (3): 281.[7] A. Tursi, G. D’Onghia, A. Matarrese, C. Caroppo,Oebalia, 1990, 16, suppl.: 782.[8] L. Relini Orsi, M. Wurtz, Quad. Lab. Biol. Pesca,1975, 2: 17.[9] P. Sartor, Alimentazione e relazioni trofiche dipesci demersali di platea e scarpata continentalenel Mar Tirreno Settentrionale. Università di Pisa.Pisa: 1993.[10] G. Bello, Atti soc. it. Sci. Nat. Museo civ. storianat. Milano, 1993, 134 (I): 33.[11] N. Ungaro, G. Marano, R. Marsan, Accad.Pugliese delle Scienze, Atti e Relazioni, 1994, 49:195.[12] M. Wurtz, M. Vacchi, Quad. Lab. Tecnol. Pesca,Ancona, 1981, 3 (1): 155.242


36 / Sez. ScientificaL’invasione delle specie aliene ed i cambiamenticlimatici globali: l’esempio di Caulerpa racemosavar. cylindracea sulle coste italianeLorenzo Pacciardi* 1 e Anna Maria De Biasi 1Parole chiave: specie invasive, Caulerpa racemosa, cambiamenti climaticiLe invasioni biologiche da parte di specie aliene rappresentano una minaccia per l’integrità delle comunitànaturali di piante ed animali ed anche per la conservazione di specie minacciate, nonché per la salutee l’economia umana.Questo studio si propone di evidenziare come i cambiamenti climatici che nell’ambiente marino si manifestanoprincipalmente con un aumento delle temperature, possano favorire l’invasione e la colonizzazioneda parte di specie alloctone provenienti da zone più calde.L’alga ad affinità calde Caulerpa racemosa var. cylindracea fornisce un esempio di questi fenomeni diinvasione. Essa, giunta in Mediterraneo dal sud dell’Australia, è stata segnalata da oltre 10 anni. Attualmente,questa specie mostra un areale di distribuzione molto ampio ed è abbondantemente presentelungo le coste toscane dove colonizza vasti tratti di fondale, dalla superficie fino ad oltre 50 m di profondità.Essa si ritrova dalle secche della Meloria (LI) alle isole dell’arcipelago prevalentemente su fondirocciosi e secondariamente su quelli mobili ad essi circostanti.Questa invasione rappresenta uno dei più gravi episodi di invasione nel Mar Mediterraneo e sta provocandoeffetti negativi sulle biocenosi autoctone danneggiando le associazioni algali e le praterie di fanerogamenative, ma anche la meiofauna ed i popolamenti macrozoobentonici di fondi molli.Il cambiamento delle temperature del mare ed in particolare l’attenuazione delle basse temperature invernaliconsente l’insediamento e la proliferazione di questa specie invasiva a testimonianza concretadel riscaldamento del nostro mare.IntroduzioneLe invasioni biologiche da parte di specie alloctonerappresentano una minaccia per l’integritàe la biodiversità delle comunità naturali di pianteed animali ed anche per la conservazione dellespecie, nonché per la salute e l’economia umana. Ilvalore della biodiversità come indicatore dello statodi salute dell’ambiente e del funzionamento degliecososistemi risulta largamente accettato non solonella comunità scientifica, ma anche dai media e dall’opinionepubblica. Purtroppo la maggior parte dell’attenzionein passato è stata rivolta verso gli ambientiterrestri e la biodiversità marina ha ricevutosolo una frazione dell’attenzione rivolta agli ecosistemiterrestri. La perdita di biodiversità nell’ambientemarino è un tema di particolare interesse, ma ad oggisi conosce ancora poco delle relazioni tra specienative e specie introdotte e della conseguente riduzionedella ricchezza specifica nei sistemi naturali. Ilprocesso per cui popolazioni di specie native sonosoppiantate da specie introdotte è parte di un profon-243


do mutamento dell’ecosistema marino operato dall’uomoche si attua attraverso la distruzione degli habitat,l’inquinamento, e l’aumento della temperaturadel Mar Mediterraneo. Le fluttuazioni climatiche, infatti,esercitano un ruolo fondamentale sui popolamentimarini e sulla loro biodiversità attraverso: effettidiretti sugli organismi (la temperatura causacambiamenti nella sopravvivenza e nel successo riproduttivo,nei pattern di dispersione e nel comportamentodelle specie); effetti mediati da interazionibiotiche (conferendo vantaggio competitivo ad unaspecie tra due specie che si sovrappongono); effettiindiretti attraverso le correnti oceaniche.Alcuni autori hanno evidenziato come, ad esempio,piccole variazioni climatiche possano generare grandicambiamenti nelle comunità marine attraverso laregolazione della predazione di specie chiave [1].Patchey et al., [2] hanno dimostrato che il riscaldamentodell’ambiente può alterare le reti trofiche ed ilfunzionamento degli ecosistemi acquatici.I pattern di biodiversità del Mediterraneo stanno subendodei cambiamenti che possono esser correlatiall’aumento della temperatura del mare. Negli ultimianni, ad esempio, si sta verificando un progressivo riscaldamentodel Mar Ligure ed un concomitante aumentodi specie di acque calde che si insediano formandopopolazioni stabili. Simili espansioni versonord degli areali geografici di specie di acque caldesono stati osservati anche in aree al di fuori del MarMediterraneo come il canale della Manica, Madeira,la Carolina del Nord e la California a testimonianzadella globalità di questo fenomeno [3].Alcune invasioni da parte di specie alloctone, tuttavia,hanno attirato maggiormente l’attenzione dei ricercatoria causa degli impatti evidenti che hanno provocatosulle biocenosi autoctone. Storicamente la maggiorparte degli studi di questo filone hanno riguardatospecie introdotte provenienti dal Mar Rosso attraversoil canale di Suez («migranti lessepsiani»).Seppur non appartenenti a questa categoria, il casopiù noto e meglio studiato di invasione nel Mare Nostrumè quello di due clorophyte: Caulerpa taxifolia(Vahl) C. Agardh (A.K.A. ‘‘l’alga killer’’), e Caulerparacemosa var. cylindracea (Sonder) Verlaque, Huismanand Boudouresque [5].La specie Caulerpa taxifolia, conosciuta come«algakiller», introdotta incidentalmente dal Museo Oceanograficodel Principato di Monaco nel 1984, ha invasorapidamente le coste francesi e quelle del norddella Liguria. Essa in 15 anni si è insediata stabilmenteraggiungendo le coste francesi, italiane, spagnole,tunisine e croate [4]. Successivamente è stata segnalataun’altra specie introdotta anch’essa appartenentealle caulerpales: Caulerpa racemosa. Questa alga,probabilmente introdotta con le stesse modalità dellaC. taxifolia, inizialmente è stata sottovalutata nelsuo potenziale invasivo, ma a lungo andare si è rivelatapiù pericolosa ed è riuscita a diffondersi più dell’algakiller.L’obbiettivo di questo studio è quello di riassumerelo stato di conoscenze relative all’invasione di C. racemosalungo le coste italiane e le sue interazioni congli effetti dei cambiamenti climatici che stanno avvenendonel Mar Mediterraneo.RisultatiL’alga Caulerpa racemosa, ad affinità calda tipica dellacosta sud-occidentale australiana, è stata segnalatanel Mediterraneo meridionale fin dai primi anni1990. Quest’alga estremamente invasiva si è espansavelocemente raggiungendo le coste di 11 paesi (Tunisia,Libia, Egitto, Cipro, Turchia, Grecia, Malta,Croazia, Italia, Francia e Spagna) e, spingendosi recentementefino alle coste delle isole Canarie, ben oltrei confini del Mar Mediterraneo [5].Fu osservata per la prima volta sulle coste della Libia[6] ed in seguito in molte zone del Mediterraneo tracui la Grecia e Creta, Albania, Spagna, Tunisia, Turchia,e Croazia.C. racemosa ha prosperato lungo le coste francesied è stata osservata nel Golfo di Marsiglia (Provenza,Francia), nella Baia di Tolone, Hyerès e Villefranchesur Mer [7] dove dal 1997 è divenuta piuttostocomune.Altre segnalazioni sono pervenute da Cipro [8] doveè stata ritrovata anche sotto i 70 m di profondità, dall’isoladi Malta e dalle isole Baleari. Le prime segnalazionilungo le coste italiane risalgono al 1993 nellaSicilia sud orientale e all’isola di Pantelleria. In talearea essa si è espansa rapidamente ed attualmente ègli autori1 Centro Interuniversitario di BiologiaMarina ed Ecologia Applicata G. Baccidi Livorno, V.le N.Sauro 4, 57127 Livorno* autore per corrispondenzalorenzopacciardi@cibm.it244


L’invasione delle specie aliene ed i cambiamenti climatici globali: l’esempio di Caulerpa racemosa var. cylindracea sulle coste italianepresente lungo tutta la costa siciliana.Nel 1994, durante una campagna di monitoraggio dell’algakiller C. taxifolia (Vahl) C. Agardh nel Mar Mediterraneo,fu osservata alle secche della Meloria neltratto di mare antistante la città di Livorno, ed in seguitoè stata individuata lungo tutto il litorale toscano[9]. Essa è presente lungo le coste continentali e insularidella nostra regione colonizzando anche le isoledel Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, insediandosiprimariamente sui fondi rocciosi (figura 1) esecondariamente su quelli mobili ad essi circostanti.Studi eseguiti nel 1997, dopo la prima segnalazionedi Caulerpa racemosa in toscana, hanno messo in evidenzala velocità di diffusione di quest’alga, che èpassata da un’area di 3000 mq ad una di 300 ha in soli2 anni [10]. Oggi è rinvenuta comunemente nella floramarina delle aree superficiali di Liguria, Sardegna,Campania, Puglia, Calabria e Lazio.Attualmente non esistono mappe e valutazioni accuratedelle superfici colonizzate da C. racemosa nelMar Mediterraneo ed il parametro utilizzato per stimarnela diffusione è l’estensione lineare della costaantistante le zone invase. Utilizzando questa misurazionepossiamo stimare che circa 80 km di linea dicosta francese siano attualmente invasi da C. racemosa,120 km alle isole Baleari (Spagna), 15 km in Croaziae 500 km lungo le coste dell’Italia occidentale(dalla Liguria alla Sicilia), ma vista la sua velocità didiffusione probabilmente queste stime risultano giàobsolete.La suddetta invasione rappresenta uno dei più graviepisodi del genere nel Mar Mediterraneo e sta provocandoeffetti importanti sulle biocenosi autoctone,erodendo la biodiversità e modificando la strutturadei popolamenti algali di fondo duro e le praterie difanerogame marine (figura 2).L’ampio areale di distribuzione deriva dalla sua capacitàdi riproduzione asessuata, dalla sua rapida crescita,e dalla sua tolleranza all’inquinamento. La suadispersione avviene tipicamente grazie alle attivitàantropiche legate al mare che contribuiscono adiffonderla, ad esempio, con le ancore delle imbarcazioni,attraverso la pesca, con le carene delle navi, econ le acque di zavorra.Gli effetti dell’invasione sui popolamenti algali di fondiduri e sulle praterie di fanerogame marine sonostati analizzati in molti studi [11,12,13,14]. mentrequelli sulla meiofauna ed i popolamenti macrozoobentonicidi fondi molli sono molto limitati [8,15].Nonostante dall’esame di varie fonti bibliografichetale ambiente risulti ampiamente colonizzato in specialmodo nel piano circalitorale.C. racemosa può affermarsi rapidamente grazie allasua capacità di riprodursi per frammentazione, attraversouna riproduzione sessuata, ed alla possibilitàdi utilizzare le sue estremità sferiche (ramuli figura3) come propaguli.È in grado, inoltre, di produrre Caulerpenina (sesquiterpenoide),un metabolita citotossico che costituisceun meccanismo di difesa dagli erbivori, e cheè in grado di aumentare le capacità di competizionedell’alga (effetto antifouling).La clorophyta grazie ai suoi stoloni che si accresconovelocemente può soppiantare completamente lecomunità algali autoctone raggiungendo in sei mesiuna copertura del 100% del substrato, riducendo ilFigura 1: Caulerpa racemosa sui fondali rocciosidella costa nord elbana.Figura 2: L’alga fotografata nelle vicinanze diuna prateria di Posidonia Oceanica (L.) Delile.245


Figura 3: Ingrandimento dei ramuli dell’alga fotografatalungo le coste livornesi.numero di specie e quindi la diversità della comunitàinvasa. Ciò può avvenire anche su fondali rocciosiin comunità macroalgali ad elevata biodiversità.A Cipro, ad esempio, in circa sei anni tale alga èriuscita a soppiantare completamente la comunità aPosidonia oceanica (L.) Delile, formando degli aggregatimolto densi che coprono completamente ilfondale [16]. C. racemosa interagendo con il phytobenthospuò causare delle variazioni nell’abbondanzae nella struttura dei popolamenti macrobentonicidi fondi mobili che vivono immediatamente al di sottodi esso. In uno studio sull’impatto dell’alga sulbenthos di fondi molli nell’area di Cipro da Argyrou[8], ad esempio, è stata evidenziata una proliferazionedella componente macrozoobentonica a policheti,a bivalvi ed echinodermi a scapito di una riduzionedella componente a crostacei e gasteropodi. Taleimpatto può avere conseguenze devastanti ancheper l’uomo visto che un’alterazione delle reti trofichecorrelate al macrozoobenthos può tradursi inuna riduzione dell’abbondanza delle specie ittiche diinteresse commerciale che si nutrono di organismimacrobentonici.ConclusioniIl cambiamento delle temperature del mare ed in particolarel’attenuazione delle basse temperature invernaliha permesso l’insediamento e la proliferazione diquesta specie invasiva a testimonianza concreta delriscaldamento del nostro mare. La sopravvivenza diquesta specie e quindi la sua proliferazione nel MarMediterraneo avviene, infatti, non grazie ad un aumentodei valori massimi di temperatura che si verificanotipicamente al termine della stagione estiva, mapiuttosto a causa dell’attenuazione delle rigide temperatureinvernali. Il ciclo annuale dell’alga prevedeche essa con l’inizio della primavera e con l’aumentodelle temperature del mare (aprile-maggio), inizi asvilupparsi ed a proliferare raggiungendo la sua massimarigogliosità in concomitanza dei picchi di temperaturache si verificano tipicamente alla fine dellastagione estiva (ottobre-novembre). Questa fase checorrisponde anche al periodo di massima diffusionesi attua prevalentemente grazie alla riproduzione vegetativala quale avviene con la formazione di stoloniindipendenti (lo stolone si ramifica e dopo alcuni mesimuore nel punto di ramificazione, generando duetalli separati) che consente una rapida colonizzazionedel substrato. Questo periodo si alterna a quello diriposo vegetativo che va da dicembre a maggio, periodonel quale essa adotta delle forme di sopravvivenzache gli consentono di sopportare le rigide temperatureinvernali. Da dicembre a maggio diminuiscono,infatti, la copertura e la biomassa dell’alga chespesso riduce o elimina del tutto i ramuli mantenendosoltanto gli stoloni che riescono a sopravvivere finoall’estate successiva ed a riprendere lo sviluppovegetativo. È proprio l’innalzamento delle rigide temperatureinvernali attribuibile al cambiamento climaticoglobale che ha consentito, congiuntamente aduna fase di resistenza e di risparmio energetico attuatadall’alga, l’instaurarsi di popolazioni stabili di questaspecie. Tali popolazioni, essendo in pratica permanenti,non consentono ai popolamenti macroalgalinativi ed agli altri popolamenti invasi di ripristinare lastruttura originaria approfittando di un periodo di recessionedella specie alloctona. Anzi, le alterazioniprovocate da questa specie, risultano potenziate nellastagione successiva.RingraziamentiDesidero ringraziare L. Piazzi dell’Università deglistudi di Pisa per i preziosi consigli scientifici.Bibliografia[1] E. Sanford, Science 1999, 283: 2095-2097.[2] O. Petchey, L. McPhearson, P.T. Casey, P.J.Morin, Nature 1999, 402:69-72.246


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37 / Sez. ScientificaControllo ambientale sulla biometria e demografiadi coralli solitari nel mar MediterraneoStefano Goffredo 1 , Erik Caroselli* 1 , Elettra Pignotti 2 , Guido Mattioli 3 , Francesco Zaccanti 1Parole chiave: accrescimento dei coralli, Dendrophylliidae, densità scheletrica, irradianza solare,temperatura di superficie del mareUno dei fattori fondamentali determinanti la biogeografia dei coralli e delle formazioni coralline è lavariazione latitudinale della temperatura di superficie del mare e dell’irradianza solare. Mentre per icoralli tropicali l’influenza dei parametri ambientali sull’accrescimento è studiata frequentemente, peri coralli temperati i dati su questa problematica sono molto scarsi. La relazione tra fattori ambientali ecaratteristiche biometriche e demografiche è stata valutata nei coralli Mediterranei Balanophyllia europaea,specie zooxantellata, e Leptopsammia pruvoti, specie azooxantellata. L’accrescimento allometricodel disco orale è risultato opposto nelle due specie. All’aumentare delle dimensioni del polipo, mentreil disco orale di B. europaea tendeva alla forma ovale, quello di L. pruvoti tendeva alla forma circolare.È ipotizzabile che la forma ovale di B. europaea rappresenti un adattamento allo stress da sedimentazionecaratteristico dell’habitat illuminato e aperto della specie. L. pruvoti, colonizzando le voltedi grotte o anfratti con il polo orale rivolto verso il basso, non sarebbe soggetta agli effetti negativi dellasedimentazione. In entrambe le specie, la temperatura mostrava un effetto maggiore sui parametri biometricirispetto all’irradianza. Nella specie zooxantellata la temperatura descriveva una percentualedella varianza dei parametri biometrici superiore rispetto alla specie azooxantellata (3.9-63.8% in B.europaea; 0.2-1.2% in L. pruvoti). È ipotizzabile che l’effetto della temperatura sui parametri dell’accrescimentosia amplificato dal processo di fotosintesi delle zooxantelle, in grado di influenzare il tassodi calcificazione. Mentre i fattori ambientali non influenzavano le caratteristiche demografiche di L.pruvoti, la temperatura esercitava un effetto negativo sulla densità di popolazione di B. europaea. Questoeffetto potrebbe essere la conseguenza di una diminuzione della fecondità dei polipi, dovuta ad unaminore disponibilità di risorse a supporto della gametogenesi, a causa dell’inibizione della fotosintesi atemperature elevate. In conclusione, il forte effetto della temperatura sulla biometria e demografia diB. europaea sembra dipendere dal processo fotosintetico delle zooxantelle simbionti. Questo è il primostudio sull’influenza dei parametri ambientali sulla demografia di sclerattinie del Mediterraneo.IntroduzioneLa variazione dei parametri ambientali dovuta allalatitudine è un fattore causale sostanziale delladistribuzione globale dei coralli [1]. La distribuzionedegli atolli e delle principali scogliere corallinedel mondo, limitata tra 30° N e 30° S di latitudine [2],suggerisce che l’accrescimento dei coralli decrescaad elevate latitudini sino ad un punto dove lo sviluppodi formazioni coralline cessa [3]. «L’accrescimento»dei coralli si compone delle tre caratteristiche collegatedi calcificazione annuale, densità scheletrica e tassodi estensione lineare (calcificazione = densità scheletricax estensione lineare; [4]), il cui esame è indispensabileper valutare l’effetto dei parametri ambientalisull’accrescimento dei coralli [5]. Queste tre variabili248


Controllo ambientale sulla biometria e demografia di coralli solitari nel mar Mediterraneosono state studiate lungo un gradiente latitudinale neigeneri Porites e Montastrea e la loro variazione è statamessa in relazione con le variazioni di temperatura eilluminazione associate alla latitudine [4, 6]. In coloniedel genere Porites dell’arcipelago delle Hawaii, dellaGrande Barriera Australiana e della Tailandia, si riscontranocorrelazioni negative con la latitudine siaper la calcificazione che per l’estensione lineare, comportantiun incremento della densità scheletrica dellecolonie [6]. In Montastrea, del Golfo del Messico e delMar dei Caraibi, si riscontrano correlazioni negativecon la latitudine per calcificazione e densità scheletrica,comportanti una tendenza all’incremento del tassodi estensione lineare [4]. Anche in coralli solitari dellafamiglia Fungiidae è nota una relazione negativa tratasso di accrescimento e latitudine [7].Per le zone temperate, studi sulla relazione tra variazionedei parametri ambientali e accrescimento deicoralli sono molto scarsi. In Plesiastrea versipora è descrittoun incremento del tasso di calcificazione all’aumentaredella temperatura simile a quanto riportatoper i coralli tropicali, sebbene a temperature minori[8]. In questo articolo si verifica la relazione tra variazionelatitudinale dei fattori ambientali (irradianza solaree temperatura del mare in superficie) e accrescimentoe dinamica di popolazione in due coralli delMare Mediterraneo, Balanophyllia europaea (Risso1826) e Leptopsammia pruvoti (Lacaze-Duthiers1897).B. europaea è una sclerattinia solitaria, non ermatipica,zooxantellata ed endemica del Mar Mediterraneo[9]. A causa della simbiosi con le zooxantelle, la distribuzionedi questo corallo è ristretta tra 0-50 m diprofondità [9], dove la sua densità di popolazionepuò raggiungere le decine di individui per metroquadrato [10]. La biologia riproduttiva è caratterizzatada ermafroditismo simultaneo e ovoviviparità[11]. L. pruvoti è una sclerattinia solitaria, non ermatipica,azooxantellata ed è distribuita nel bacino delMediterraneo e lungo le coste atlantiche europee dalPortogallo fino all’Inghilterra meridionale. È uno degliorganismi più frequenti in caverne ed anfratti sottomarini,che colonizza tra 0-70 m di profondità, condensità di migliaia di individui per metro quadrato[9]. La biologia riproduttiva è caratterizzata da gonocorismoe ovoviviparità [12].In questo articolo viene presentata la biometria deipolipi di B. europaea e L. pruvoti in popolazioni dispostelungo un gradiente latitudinale, e si valutanogli effetti delle variazioni ambientali sulla forma delpolipo e sulla densità di popolazione.Dati sperimentaliNel periodo dal 9 Novembre 2003 al 30 Settembre2005, sei popolazioni di Balanophyllia europaea eLeptopsammia pruvoti, sono state campionate lungoun gradiente latitudinale, da 44° 20’ N a 36° 45’ N (Figura1). In ogni località è stato campionato un transettoper ogni specie. Per B. europaea il transettoconsisteva in 3 quadrati di 1 m 2 ciascuno, disposti inlinea, distanti tra loro 5 m e situati lungo una scoglieraesposta a sud, ad una profondità di 5-7 m. Per L.pruvoti il transetto consisteva in 3 rettangoli di0.00425 m 2 ciascuno, disposti in linea, distanti tra loro3 m e collocati in anfratti, ad una profondità di 15-17 m. Per ogni transetto sono stati raccolti tutti i polipipresenti. Il campionamento è stato eseguito alleprofondità dove in precedenza è stata studiata la biologiariproduttiva delle due specie, presentanti elevatedensità di popolazione [10, 11, 12].I coralli raccolti sono stati seccati a 50 °C per quattrogiorni. Tutti gli scheletri sono stati osservati al binoculareper individuare gli esemplari più piccoli e rimuoverei frammenti di substrato e gli eventuali depositicalcarei prodotti da altri organismi. La lunghezza(L: asse maggiore del disco orale), larghezza(l: asse minore del disco orale) e altezza (h: asse oroaborale)dei polipi è stata misurata con un calibroventesimale e la massa scheletrica secca (M) è statamisurata usando una bilancia di precisione [7, 11,12]. Il volume del polipo (V) è stato stimato applicandogli autori1 Marine Science Group, Dipartimentodi Biologia Evoluzionistica Sperimentale,Alma Mater Studiorum - Universitàdi Bologna, Via F. Selmi 3, 40126 Bologna2 Taskforce per le Analisi StatisticheMarine & Freshwater Science GroupAssociation,Via A. Costa 174, 40134 Bologna3 Unità Operativa di Radiologiae Diagnostica per Immagini, Ospedaledi Porretta Terme, AUSL di BolognaVia Roma 16, 40046 Porretta TermeBologna*autore per corrispondenzaerik@marinesciencegroup.org249


la formula[11, 12]. La densità scheletrica(D) è stata calcolata dividendo M per V. La densità dipopolazione è stata ottenuta come: (1) N, numero diindividui per unità di area (N m -2 ), (2) G, grammi perunità di area (g m -2 ), (3) P, percentuale di coperturadel fondo. Tutti i dati relativi alla popolazione di Calafuriadi B. europaea sono stati ricavati da un precedentestudio sull’accrescimento e la dinamica di popolazionedi questa specie [10].Nel periodo 2003-2005, è stata ottenuta la temperaturadi superficie del mare per ogni popolazione, utilizzandoi dati della Rete Mareografica Nazionale dell’Agenziaper la Protezione dell’Ambiente e per i servizi Tecnici(APAT; disponibile su http://www.apat.gov.it). Idati di irradianza solare (W m -2 ) sono stati ottenutidall’International Cloud Climatology Project (ISCCP;disponibile su http://ingrid.ldgo.columbia.edu/).Queste due variabili sono state scelte come riferimentiper valutare l’influenza dei parametri ambientali sullabiometria dei polipi [4].Per ovviare alla distribuzione non Gaussiana dei datidel campione, per il calcolo della significatività di alcuneregressioni è stato utilizzato il coefficiente di correlazionea ranghi di Spearman. L’analisi di covarianza, iKruskar-Wallis test, i coefficienti di correlazione diSpearman e le correzioni di Montecarlo per campioniFigura 1: Mappa delle coste italiane con indicatele stazioni di campionamento in cui sono stati raccoltii coralli (abbreviazioni e coordinate delle stazioniin ordine decrescente di latitudine: GN Genova-Portofino,44° 20’ N, 9° 08’ E; CL Calafuria,43° 27’ N, 10° 21’ E; LB Isola d’Elba, 42° 45’ N,10° 24’ E; PL Palinuro, 40° 02’ N, 15° 16’’ E; SCScilla, 38° 01’ N, 15° 38’ E; PN Isola di Pantelleria,36° 45’ N, 11° 57’ E). Per ogni stazione sonoindicati i valori di irradianza e temperatura.Figura 2: Relazione tra i parametri ambientali(irradianza solare media annuale e temperaturamedia annuale del mare in superficie) e la latitudinedelle stazioni di campionamento. Il punto neroindica la temperatura della stazione di Genova-Portofino,caratterizzata da particolari condizionilocali che determinano lo scostamento dellatemperatura dal valore normale a quella latitudine,esclusa dal calcolo del coefficiente di correlazione.n = numero di stazioni; r = coefficiente dicorrelazione di Pearson.250


Controllo ambientale sulla biometria e demografia di coralli solitari nel mar Mediterraneopoco numerosi sonostati calcolati con ilprogramma SPSS 12.0(Apache Computersoftware Foundation).RisultatiI valori di irradianzasolare e temperaturadel mare in superficieper ogni stazione dicampionamento sonoindicati in figura 1.Mentre l’irradianzamostrava una correlazionecon la latitudine,la temperatura correlavain maniera significativasolo escludendodal calcolo della regressionela località diGenova-Portofino.Questa stazione è caratterizzatada condizionilocali particolari(APAT; disponibile suhttp://www.apat.gov.it) e notoriamente presenta unatemperatura più alta rispetto all’attesa per quella latitudine(temperatura media annuale di superficie delMar Ligure = 18.0 °C, Portofino = 19.6 °C) (figura 2).La lunghezza del polipo (figura 3) è stata scelta comeparametro biometrico principale in quanto producevala migliore correlazione con la massa scheletricae rappresenta la dimensione di riferimento negli studidi biometria, biologia riproduttiva e dinamicadi popolazione di Balanophyllia europaea, Leptopsammiapruvoti e di altri coralli solitari [7, 10, 11, 12,13]. La larghezza, l’altezza, il volume e la massa delpolipo correlavano positivamente con la lunghezzain entrambe le specie (Figure 4 e 5). La densità scheletrica,mentre in B. europaea correlava positivamentecon la lunghezza solo in due popolazioni (Palinuroe Pantelleria), in L. pruvoti correlava negativamentein tutte le popolazioni (Figure 4 e 5). In entrambe lespecie, le relazioni tra i parametri biometrici e la lunghezzanon erano omogenee tra le popolazioni (analisidi covarianza, p < 0.05).L’accrescimento della larghezza del polipo rispetto aquello della lunghezza risultava diverso nelle dueFigura 3: Esemplari di Balanophyllia europaea (a polipo vivo; b scheletro) eLeptopsammia pruvoti (c polipo vivo; d scheletro) dalle popolazioni di Genova-Portofino.La linea tratteggiata indica la larghezza del polipo (L: assemaggiore del disco orale).specie (figure 4 e 5). In B. europaea si evidenziavauna relazione allometrica; la sua lunghezza aumentavapiù rapidamente della larghezza, risultando in unaprogressiva ovalizzazione del disco orale con l’aumentodelle dimensioni del polipo (in tutte le popolazioni,l’intervallo di confidenza IC dell’esponente dell’equazionedi regressione < 1, 0.52-0.90, IC 95%, figura4). L. pruvoti presentava o un accrescimento isometrico(Scilla e Pantelleria, l’intervallo di confidenzadell’esponente dell’equazione di regressione contiene1, 0.96-1.01, IC 95%) o un accrescimento allometrico,con la lunghezza che aumentava meno rapidamentedella larghezza (Genova-Portofino, Calafuria,Elba e Pantelleria, l’intervallo di confidenza dell’esponentedell’equazione di regressione > 1, 1.00-1.10, IC 95%, figura 5), risultando in una progressivacircolarizzazione del disco orale con l’aumento delledimensioni del polipo.In entrambe le specie, la lunghezza media degli individuicampionati non era omogenea tra le popolazioni(Kruskar-Wallis test, p < 0.001). Per questo, l’analisidella correlazione tra variabili ambientali e parametribiometrici è stata eseguita applicando sui dati il251


metodo dei valori aggiustati rispetto alla lunghezza.In entrambe le specie, i valori aggiustati medi dei parametribiometrici non erano omogenei tra le popolazioni(Kruskar-Wallis test, p < 0.05). In B. europaea,mentre lunghezza, larghezza, altezza e volume delpolipo correlavano positivamente con l’irradianza ela temperatura, massa e densità scheletrica correlavanonegativamente (figura 6). In tutti i casi, la temperaturadescriveva una percentuale della varianzadel parametro biometrico da 2.5 a 7.4 superiore rispettoall’irradianza (la % di varianza del parametrobiometrico descritta dalla temperatura variava dalFigura 4: Balanophyllia europaea. Dipendenza dei parametri biometrici dalla lunghezza del polipo nellesei popolazioni. n = numero di individui; r = coefficiente di correlazione di Pearson. Le popolazioni sonodisposte in ordine decrescente di latitudine,252


Controllo ambientale sulla biometria e demografia di coralli solitari nel mar Mediterraneo3.9% nel caso della larghezza al 63.8% nel caso dellamassa scheletrica). In L. pruvoti, l’irradianza non descrivevala variazione di nessun parametro biometrico.Lunghezza, altezza, volume e densità scheletricarisultavano correlati con la temperatura, che descrivevadallo 0.5% della varianza nel caso del volume al1.2% nel caso della lunghezza (figura 6). La temperaturamostrava un effetto sui parametri biometrici piùmarcato in B. europaea rispetto a L. pruvoti (r 2 dellarelazione tra il parametro biometrico e la temperaturada 3 volte superiore nel caso della lunghezza a 638volte superiore nel caso della massa scheletrica).Figura 5: Leptopsammia pruvoti. Dipendenza dei parametri biometrici dalla lunghezza del polipo nellesei popolazioni. n = numero di individui; r = coefficiente di correlazione di Pearson. Le popolazioni sonodisposte in ordine decrescente di latitudine.253


Figura 6: Variazioni dei parametri biometrici rispetto all’irradianza media annuale e alla temperaturamedia annuale del mare in superficie. rs2 = coefficiente di determinazione di Spearman; n = numero diindividui. La scala dell’asse delle ordinate è diversa nelle due specie.254


Controllo ambientale sulla biometria e demografia di coralli solitari nel mar MediterraneoFigura 7: Balanophyllia europaea. Variazioni dei parametri di densità di popolazione rispetto all’irradianzasolare media annuale e alla temperatura media annuale del mare in superficie. N numero di individuiper metro quadrato, G percentuale di copertura del fondo.255


In B. europaea la densità di popolazione non risultavaomogenea tra le popolazioni (Kruskar-Wallis test,correzione di Montecarlo per campioni poco numerosi,p < 0.001), mostrando una correlazione negativacon la temperatura (figura 7). In L. pruvoti la densitàdi popolazione era omogenea tra le popolazioni(Kruskar-Wallis test, correzione di Montecarlo percampioni poco numerosi, p > 0.05) con un valore mediodi N = 10155 N m -2 (ES = 1317), G = 2030 g m -2 (ES= 232) P = 15.4% (ES = 1.4).DiscussioneLa differenza rilevata tra le due specie nella relazionetra densità scheletrica e dimensioni del polipo potrebbeessere interpretata in termini di rapporto tracalcificazione ed estensione lineare. All’aumentaredelle dimensioni, i polipi di Balanophyllia europaeapresentano una diminuzione progressiva del tasso diestensione lineare [10] e del tasso di calcificazione(dati non pubblicati; in preparazione). La diminuzioneparallela di questi due tassi è in grado di mantenerela densità scheletrica tra valori medi di 0.001-0.002g mm -3 indipendentemente dalle dimensioni del polipo,in 4 delle 6 popolazioni studiate (Genova-Portofino,Calafuria, Elba, Scilla). Nelle popolazioni di Palinuroe Pantelleria, il tasso di calcificazione diminuiscemeno rapidamente del tasso di estensione lineare(dati non pubblicati), determinando la correlazionepositiva rilevata tra densità scheletrica e dimensionidel polipo. In Leptopsammia pruvoti, come descrittoin diversi altri coralli solitari [7, 10], verosimilmenteil tasso di estensione lineare diminuisce all’aumentaredelle dimensioni del polipo. La diminuzionedella densità scheletrica all’aumentare delle dimensionidel polipo potrebbe essere dovuta ad undecremento del tasso di calcificazione superiore aquello del tasso di estensione lineare. Si stanno pianificandoulteriori studi sui tassi di accrescimento diquesta specie mediante tecniche radiologiche e misurazionisul campo, per chiarire la relazione tra densitàscheletrica e dimensione dei polipi.La differenza nel rapporto biometrico tra gli assi deldisco orale riscontrata tra le due specie potrebbe esserecorrelata allo stress da sedimentazione. La sedimentazionepuò esercitare diversi effetti negativi suicoralli, impedendo la crescita e la calcificazione [14],interferendo con la respirazione, il nutrimento e lafotosintesi [15], danneggiando i tessuti del polipo[16], abbassando la fecondità e interferendo col processodi colonizzazione del substrato [17]. I corallipossono adottare diverse strategie per prevenirequesti effetti negativi, ad esempio comportamenti diespulsione del sedimento o forme di crescita resistenti.La forma ovoidale del disco orale è una di questeforme di resistenza, in quanto diminuisce l’areasoggetta a sedimentazione e favorisce l’eliminazionedel sedimento dalla superficie del polipo [13]. La relazioneallometrica tra larghezza e lunghezza del poliporiscontrata in B. europaea, determinante unaprogressiva ovalizzazione del disco orale, potrebbeprevenire i danni causati della sedimentazione, chealtrimenti occorrerebbero all’aumentare delle dimensionidel polipo [10]. I polipi di L. pruvoti, caratterizzatida una progressiva circolarizzazione del discoorale, non necessitano di strategie di resistenzaalla sedimentazione, in quanto colonizzano le volte digrotte e anfratti con il polo orale orientato verso ilbasso.Le correlazioni tra variabili ambientali e parametribiometrici mostrano un’influenza maggiore dellatemperatura rispetto all’irradianza in entrambe le specie.Il fatto che quest’influenza sia molto più marcatain B. europaea, specie zooxantellata, rispetto a L. pruvoti,specie azooxantellata, suggerisce che l’effettodella temperatura sui parametri biometrici sia mediatodagli effetti della temperatura sulla fotosintesi dellealghe simbionti di B. europaea. Nei coralli zooxantellatila fotosintesi favorisce la calcificazione [18] ed entrambii processi hanno una temperatura ottimale [8,18]. In B. europaea, il forte decremento della densitàscheletrica, all’aumentare della temperatura del mare,dipende dall’attenuazione del tasso di calcificazione(dati non pubblicati, in preparazione) che potrebbederivare da un’inibizione del processo fotosinteticoa temperature elevate. In L. pruvoti, il debole effettodella temperatura sulla densità scheletrica dipenderebbedall’assenza delle zooxantelle e quindi delcollegamento tra fotosintesi e calcificazione.La distribuzione spaziale degli adulti è influenzatadal numero di individui prodotti per atto riproduttivo(«offspring») e dalla capacità di dispersione [19].Teoricamente, una bassa fecondità associata ad un’elevatacapacità di dispersione larvale dovrebbero determinareuna bassa densità ecologica delle popolazioni.Al contrario, un’elevata fecondità associata aduna limitata capacità di dispersione larvale comporterebberoun’elevata densità locale delle popolazioni[10]. Nei coralli simbiotici una porzione significativadell’energia necessaria alla gametogenesi e allo sviluppoembrionale e larvale è fornito dai fotosintati256


Controllo ambientale sulla biometria e demografia di coralli solitari nel mar Mediterraneoprodotti dalle zooxantelle [20]. La bassa densità dipopolazione in B. europaea rispetto a L. pruvoti dipenderebbedalla minore fecondità dei polipi e dallamaggiore capacità di dispersione delle sue larve [10,11]. Il decremento della densità di popolazione di B.europaea all’aumentare della temperatura potrebbedipendere da una diminuzione della fecondità dei polipi,conseguente ad un decremento dell’efficienzafotosintetica delle zooxantelle simbionti a temperaturesuperiori a quelle ottimali [18], comportante minoririsorse energetiche per la gametogenesi [20]. L.pruvoti, non avvalendosi del supporto trofico derivantedalla fotosintesi, manterrebbe la densità di popolazioneintorno al valore medio rilevato indipendentementedalla temperatura. Ulteriori studi sullabiologia riproduttiva delle due specie in diverse popolazionisituate lungo un gradiente latitudinale potrebberochiarire il rapporto tra fecondità dei polipi etemperatura del mare.RingraziamentiDesideriamo ringraziare L. Bortolazzi, M. Ghelia, G.Neto, L. Tomesani, per la preziosa assistenza subacqueanella raccolta dei campioni. I diving center CentroImmersioni Pantelleria, Il Pesciolino, Polo Sub,Sub Maldive, hanno fornito assistenza logistica sulcampo nelle stazioni di campionamento. BolognaScuba Team e Scientific Diving School hanno collaboratoalle attività subacquee. Il Marine ScienceGroup (http://www.marinesciencegroup.org) hafornito il supporto scientifico, tecnico e logistico.H.R. Lasker, J. Bilewitch e N. Kirk (State Universityof New York at Buffalo), hanno fornito preziosi commentiche hanno migliorato la stesura definitiva diquesto articolo. La ricerca è stata finanziata dall’Associazionedei Tour Operator Italiani (ASTOI), daMarine & Freshwater Science Group Association(http://www.msgassociation.net), dalla donazioneCanziani e dal Ministero dell’Istruzione, dell’Universitàe della Ricerca (MIUR). Gli esperimenti sonoconformi alla legislatura italiana corrente.[1] J. A. Kleypas, J. W. McManus, L.A.B. Menez,Am. Zool. 1999, 39: 146.[2] D. W. Kinsey, P. J. Davies, Carbon turnovercalcification and growth in coral reefs. In BiogeochemicalCycling of Mineral Forming Elements.Elsevier Press. Amsterdam: 1979.[3] R. W. Grigg, Coral Reefs 1982, 1: 29.[4] J.P. Carricart-Ganivet, J. Exp. Mar. Biol.Ecol. 2004, 302: 249.[5] R.E. Dodge, G.W. Brass, Bull. Mar. Sci. 1984,34: 288.[6] R.W. Grigg, Proc. 4 th Int. Coral Reef Symp.1981, 1: 687.[7] S. Goffredo, N.E. Chadwick-Furman, Mar.Biol. 2003, 142: 411.[8] S.A. Howe, A.T. Marshall, J. Exp. Mar. Biol.Ecol. 2002, 275: 63.[9] H. Zibrowius, Mem. Inst. Oceanogr. (Monaco)1980, 11: 1.[10] S. Goffredo, G. Mattioli, F. Zaccanti, CoralReefs 2004, 23: 433.[11] S. Goffredo, S. Arnone, F. Zaccanti, Mar.Ecol. Prog. Ser. 2002, 229: 83.[12] S. Goffredo, J. Radeti?, V. Airi, F. Zaccanti,Mar. Biol. 2005, 147: 485.[13] B.W. Hoeksema, Neth. J. Zool. 1991, 41: 112.[14] D.K. Hubbard, Coral Reefs 1986, 5: 117.[15] G.J. Telesnicki, W.M. Goldberg, Bull. Mar.Sci. 1995, 57: 527.[16] C.S. Rogers, Mar. Ecol. Prog. Ser. 1990, 62:185.[17] F.T. Te, Coral Reefs 1992, 11: 131.[18] F.A. Al-Horani, Sci. Mar. 2005, 69: 347.[19] T.P. Hughes, A.H. Baird, E.A. Dinsdale,N.A. Moltschaniwskyj, M.S. Pratchett, J.E. Tanner,B.L. Willis, Ecology 2000, 81: 2241.[20] B. Rinkevich, Mar. Biol. 1989, 101: 259.Bibliografia257


38 / Sez. ScientificaDiversità delle comunità fitoplanctonichenelle acque costiere toscaneSilvia Cappella 1 , Caterina Nuccio* 1 , Luigi Lazzara 2Parole chiave: fitoplancton, diversità specifica, acque costiere toscane, BioMarTUna delle caratteristiche più note delle comunità fitoplanctoniche è la grande diversità specifica, evidenziabileanche dall’osservazione di piccoli campioni d’acqua in cui si ha la contemporanea presenza,seppur per breve tempo e con abbondanze non elevate, di una grande varietà di specie, che contribuisconoa strutturare comunità complesse e diversificate. Queste comunità variano inoltre la loro composizioneal variare delle condizioni ambientali, sia in senso spaziale che temporale e, alle latitudini temperate,determinano una successione stagionale con caratteristiche evidenti e riconoscibili anche in basealla struttura dei popolamenti e quindi alla diversità. Condizioni fortemente perturbate, come nel casodelle acque eutrofizzate, favoriscono lo sviluppo eccessivo solo di poche specie, evidenziando una riduzionedella diversità, che quindi diventa un fondamentale elemento di valutazione della qualità delleacque.A questo scopo si è fatto finalmente strada nell’ultimo decennio il concetto di «stato ecologico», comeespressione integrata di caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche da valutare ai fini del controllo,della conservazione e della gestione degli habitat acquatici, come stabilito dalla Direttiva 2000/60/CEsulle acque. In questo senso la Regione Toscana, in collaborazione con ARPAT e Museo «La Specola» diFirenze, ha promosso il progetto BioMarT (Biodiversità Marina Toscana), mirato proprio alla valutazionedella biodiversità delle comunità fito- e zoobentoniche lungo le coste toscane. Nell’ambito dei rilevamentiBioMarT è stata effettuata una prima raccolta di campioni per la valutazione dell’abbondanza,della composizione e della diversità specifica delle comunità fitoplanctoniche, insieme a quella dellecondizioni trofiche (nutrienti e biomassa autotrofa), in alcuni punti ritenuti rappresentativi delle acquecostiere toscane (Cala di Forno, Cerboli, Calafuria).I risultati hanno evidenziato condizioni oligotrofiche e di debole mesotrofia e popolamenti fitoplanctonicinon abbondanti, non oltre l’ordine di grandezza di 10 5 cell L -1 . Domina numericamente la frazionenanoplanctonica (2-20 µm), con molti flagellati appartenenti a diverse classi, ma sono presenti anchemolte forme microplanctoniche (20-200 µm), soprattutto diatomee, che contribuiscono alla grande varietàdi specie rilevata in ogni campione. La biodiversità è infatti generalmente alta, sia nell’aspettodella ricchezza specifica (280 taxa in totale) che in quello della equitabilità, come indicano gli alti valoridell’indice di Shannon, che varia tra 3 e 5 bits cell -1 . Le comunità presentano dei tratti caratteristici conuna variazione stagionale abbastanza evidente dalla composizione, senza fioriture anomale, ma anzicon una presenza costante di una grande varietà di organismi, a delineare una complessità e una diversificazionefitoplanctoniche riferibili a un ecosistema marino costiero in condizioni non degradate.258


Diversità delle comunità fitoplanctoniche nelle acque costiere toscaneIntroduzioneIl fitoplancton rappresenta la componente dei produttoriprimari vivente in sospensione nella colonnad’acqua (pelagica), più diffusa e ubiquitaria,con dimensioni (unicellulari) e morfologie (tendential massimo rapporto superficie/volume) ritenuteadattamenti specifici all’ambiente acquatico peruna ottimale assimilazione nutritizia e una opposizioneall’affondamento.Già dal secolo scorso [1] è nota l’alta diversità che siriscontra nelle comunità fitoplanctoniche, definitacome «il paradosso del plancton» per il fatto che anchecampioni di piccolissimi volumi d’acqua contengonoun gran numero di specie coesistenti. Lo sviluppodelle ricerche condotte sulla dinamica di questecomunità, ha successivamente permesso [2] di chiarireche il fitoplancton è stato considerato un paradossosolo perché lo si è studiato secondo una scaladi riferimento troppo vasta, combinando processiche agiscono su scale diverse. L’ambiente acquatico,pur potendo essere considerato relativamente isotroponella scala spaziale delle masse d’acqua superficiali,aventi caratteristiche più (temperatura, salinità)o meno (nutrienti) conservative in un arco di tempostagionale, presenta al contrario un’alta variabilitàdelle stesse condizioni in quelle scale spazio-temporaliche direttamente riguardano l’accrescimento el’assimilazione del fitoplancton, cioè l’ambito spazialemicrometrico e temporale di minuti-giorni. Questaampia «chiazzatura» a piccola scala dell’ambientepuò quindi consentire lo sviluppo e la contemporaneapresenza di un grande numero di specie.La diversità del fitoplancton presenta inoltre, particolarmentenei cicli stagionali delle nostre latitudini,una variazione temporale dovuta ai cambiamenti dellacomposizione, alle interazioni tra il raggruppamentodi specie presenti e alle opportunità presentatedalle risorse ambientali e dalla loro ripartizione,che può essere considerata rappresentativa dei diversistadi della successione fitoplanctonica ed essernequindi attributo di riconoscimento in condizioninon perturbate [3] [4]. Schematizzando, lo stadioiniziale si considera quello della fioritura primaverilein un ambiente ricco di risorse dove la diversità èbassa per la dominanza della/e specie in accrescimento,poi la diversità aumenta fino ad un massimovalore rappresentativo della massima ripartizionedelle ormai scarse risorse disponibili e quindi dellafase più matura della successione. Le diverse situazionisono evidenziabili dalle cosiddette «curve rango-frequenza»che assumono forme diverse nei diversistadi [5].Lo studio sintetizzato in questo articolo si inserisceda una parte all’interno della continuità di ricerchesulla ecologia del fitoplancton neritico ed oceanicodell’Alto Tirreno Toscano svolte da anni dall’Universitàdi Firenze [6] [7] [8] [9], dall’altra nell’ambitodei progetti promossi dalla Comunità Europea relativialla valutazione dello stato ecologico delle acquecostiere degli stati membri. Valutazione che si fondanon solo sui dati abiotici, ma anche e soprattutto suquelli biotici, cioè sulla conoscenza delle caratteristichedelle varie comunità (fitobenthos, zoobenthos,angiosperme, fitoplancton) definite Biological QualityElements, cioè gli elementi di qualità biologica acui fare riferimento per le classificazioni [10].In questo ambito, la Regione Toscana ha elaboratoun programma mirato alla valutazione della biodiversitàmarina in Toscana (BioMarT) in collaborazionecon ARPAT ed il Museo «La Specola» di Firenze. Èstato previsto lo studio delle comunità fito- e zoobentonichedei litorali toscani rocciosi e sabbiosi per ladefinizione di un repertorio naturalistico, l’individuazionedelle biocenosi vulnerabili, delle specie rare edei siti di elevato interesse conservazionistico nelmare della Toscana. A questo si è affiancata la descrizionedelle condizioni fisiche e trofiche delle acque edella consistenza, composizione e diversità delle comunitàfitoplanctoniche, ulteriore elemento fondamentaledella rete trofica marina per valutare lo statodelle acque costiere. In questo lavoro vengono descrittii primi risutati ottenuti nel tentativo di fornireinformazioni sulla biodiversità fitoplanctonica comeindice dello stato di salute delle acque costiere toscanee sull’eventuale grado di cambiamento che i luoghipossono avere subito nel corso del tempo.gli autori1 Dipartimento di Biologia Vegetale,Università di Firenze, Via P.A. Micheli 150121 Firenze2 Dipartimento di Biologia Animalee Genetica, Università di Firenze,Via Romana 17 - 50121 Firenzeluigi.lazzara@unifi.it* autore per corrispondenzacatnuccio@unifi.it259


Materiali e metodiLe campagne di rilevamento si sono svolte dal giugno2005 in collaborazione tra il Dipartimento di BiologiaAnimale e Genetica e il Dipartimento di BiologiaVegetale. Sono state effettuate nove uscite in marein stagioni diverse, in tre dei siti campionati nell’ambitodel progetto BioMarT, aree ritenute rappresentativedelle coste toscane (figura 1), anche in riferimentoalle informazioni pregresse di cui disponiamo:due stazioni antistanti la costa del Parco dell’Uccellina,davanti alla spiaggia di Cala di Forno, denominateCdF10 a circa 700 m dalla costa e con fondaleintorno a 10 m, e CdF20 a circa 800 m dalla costa econ fondale intorno a 20 m, una stazione in prossimitàdell’isolotto di Cerboli situato nel canale diPiombino, a distanza di circa 1300 m dalla costa efondale di circa 30 m, e la stazione di Calafuria, difronte all’omonima località della costa toscana piùsettentrionale a distanza di circa 300 m dalla costa efondale di circa 40 m.In tutte le stazioni sono stati effettuati profili batimetricidi temperatura, conducibilità, salinità e ossigenodisciolto mediante sonda multiparametrica (IdronautOcean Seven 701) e prelievi di acqua alle varieprofondità, destinati alle analisi chimiche e biologiche.I campioni d’acqua sono stati raccolti mediantebottiglie Niskin da 5 L e portati nel più breve tempopossibile nei laboratori a Firenze per le filtrazioni e itrattamenti necessari alle analisi. 3 L di acqua perogni profondità sono stati filtrati sottovuoto su filtriWhatman GF/F per la successiva estrazione e determinazionedei pigmenti liposolubili mediantespettrofluorimetria (Perkin Elmer LS5) [11] [12] eHPLC (Shimadzu Class VP) [13] [14]. Una quota variabiletra 1 e 2 L di acqua è stata filtrata utilizzandolo stesso tipo di filtri, per la determinazione del pesosecco (80°C per 24 ore) e del peso secco meno le ceneri(380°C per 48 ore). 100 ml di acqua filtrata sonostati fissati con HgCl 2per la successiva determinazionedei nutrienti inorganici disciolti (N-NO 2 - , N-NO 3 - , P-PO 4 2- , S-SiO 2 - ) mediante AutoAnalyzer 3(Bran-Luebbe). 250 ml di acqua prelevata sono statifissati con formaldeide neutralizzata (concentrazionefinale 1%), per l’osservazione del fitoplancton almicroscopio ottico rovesciato (Zeiss IM, ZeissIM35) dopo sedimentazione (50 o 100 ml) su cameredi conteggio. Su ogni campione sono state effettuatedue osservazioni: a 400x su una porzione dell’areadi sedimentazione fino a raggiungere un numerodi almeno 200 individui contando tutti gli organismiincontrati e questi sono i conteggi trattati nelseguito dei risultati; a 160x su tutta l’area di sedimentazione,per la quantificazione del solo microplancton(20-200 µm) che solitamente è presente inquantità notevolmente minore della componente nanoplanctonica.Tutte le analisi sono state condottecon metodologie standard [15] a cui si fa riferimentoanche per i testi consultati per la determinazionedel fitoplancton. Nella categoria «Altro plancton» sonoinseriti flagellati nanoplanctonici, alcuni di incertadeterminazione con morfologie assimilabili a diversigruppi autotrofi, mixotrofi ed eterotrofi (Prasinophyceae,Dictyochophyceae, Chrysophyceae, Incertaesedis). Per il calcolo della diversità specifica èstato utilizzato l’indice di Shannon [16] che, calcolatoper ognuno dei campioni osservati, è assimilabilead una diversità, cioè come quella del più piccolocampione analizzabile.Figura 1: Ubicazione delle stazioni di campionamento.260


Diversità delle comunità fitoplanctoniche nelle acque costiere toscaneRisultatiLe comunità fitoplanctoniche si sono caratterizzateper scarse densità cellulari, in tutti i siti e i mesi campionati(figura 2). Le densità più elevate, inferiori a200000 cell L -1 , sonostate riscontrate a settembrenello strato piùsuperficiale, sia a Calafuriache a Cala di Forno(figura 2b, h, j). Iminimi si osservanonei mesi autunno-invernali(figura 2c, f) ein estate (figura 2e, g,i), intorno a 20000 cellL -1 . Negli unici due rilieviprimaverili (figura2a, d) si notano di nuovovalori un po’ più alti,soprattutto a Cerboli.Osservando la composizionetassonomica sipossono sintetizzarealcune caratteristichegenerali sulla variazionetemporale dei diversigruppi fitoplanctonici.Le diatomee sonoscarsamente presentima determinano le abbondanzemassime asettembre a Calafuria,hanno una certa importanzarelativa in autunno-inverno(figura2c, f) e appaiono piùpresenti anche in estatea Cala di Forno (figura2g, i) soprattuttocon forme bentonicheappartenenti alle Pennalesche in acque bassefacilmente si risospendonoe vanno a farparte del popolamentoplanctonico. I dinoflagellatisono presenticon maggiore importanzarelativa in tardaprimavera-estate (figura2a, b, e, g, i) ma non oltre un 25% circa. I coccolitofori(Haptophyceae) sono più presenti in estate (figura2e, g, i), sia a Cala di Forno che a Cerboli, dove rappresentanorispettivamente dal 25 al 50% circa del popolamento,soprattutto per la presenza di EmilianiaFigura 2: Profili verticali di densità cellulare totale e densità relative dei diversigruppi fitoplanctonici nei tre siti e nei mesi indicati.261


huxleyi, una delle specie più diffuse e abbondanti delMediterraneo. Alcune Cryptomonadaceae, relativamentepiù tipiche di acque costiere, sono più costantementepresenti con importanza relativa variabile traFigura 3: Diversità totale e dei diversi gruppi fitoplanctonici (H’ = bit cell-1)nei tre siti e nei mesi indicati.minimi contributi estivi e massimi, fino al 40%, in autunno–invernodeterminando infatti, insieme ai flagellatidel gruppo Altro plancton, gli aumenti di densitàvisibili a settembre (figura 2h, j). Questo gruppocontribuisce spessonotevolmente alle densitàtotali, particolarmentein primavera (figura2a, d) soprattuttoa Cerboli e nei periodiautunnali (figura 2c, h,j), ma si tratta di unaventina di specie nanoplanctonichedi classidiverse per le quali èpiù difficile riconoscereunivocità di comportamento.Dalle osservazioni microscopicheabbiamoindividuato un totaledi 280 specie a diversilivelli di identificazione,dalla sola appartenenzaalla classe finoalla varietà, in relazioneal gruppo di appartenenza.Tra queste,186 appartengono almicroplancton (20-200µm) che raramentedomina in densità cellulari,al contrario delnanoplancton (2-20µm), ma che contribuiscedecisamentealla ricchezza specifica,soprattutto per ladiffusa presenza dimolte specie con scarsequantità. Questaconsiderazione mettein luce proprio uno degliaspetti più evidentidi queste comunità: lagrande diversità specifica,cioè la presenzain tutti i periodi di ungrande numero di speciecoesistenti.L’analisi dell’indice di262


Diversità delle comunità fitoplanctoniche nelle acque costiere toscaneShannon (H’), evidenzia valori generalmente alti conmassimi intorno a 5 bit cell -1 ricorrenti soprattutto agiugno (figura 3e, g, i) e minimi, non inferiori a 3 bitcell -1 , inverno-primaverili (figura 3c, d, f). I dinoflagellaticontribuiscono maggiormente alla diversità (figura3), particolarmente per la presenza di un grandenumero di forme atecate nanoplanctoniche, seguitidai flagellati raggruppati in Altro plancton, categoriacostantemente presente con una grande varietà di forme.Calafuria presenta minori variazioni stagionali e ivalori più alti a settembre.Le caratteristiche e le variazioni della diversità specificasono sintetizzabili confrontando la distribuzionedei valori calcolati in relazione al numero di speciepresenti rispetto alla diversità massima (figura 4). Ladiversità varia tra 3 e 5 bit cell -1 , in un ambito di equitabilità(e = H’/H max) mai inferiore a 0.6 e che arrivaanche a 0.9: in relazione al numero di specie presenteogni volta, l’indice tende ad avvicinarsi a quellomassimo possibile.Non abbiamo campionato nessuna situazione di pienafioritura con forte dominanza di una o poche speciesulle altre; l’unica evidente dominanza è stataquella di Asterionellopsis glacialis a Calafuria a settembre,forse già in fase calante e in un popolamentocomunque ricco (58 taxa) di molte altre specie, chepotrebbe appunto indicare uno stadio non inizialedella successione stagionale.Figura 4: Indice di diversità di tutti i campionianalizzati. È tracciata la curva della diversitàmassima, Hmax = Log2 S, con S = numero dellespecie.Ordinando le specie in base alle presenze percentualirispetto al totale dei campioni (figura 5a) ed in base allaloro densità totale calcolata (figura 5b), si osservauna distribuzione in cui una quindicina è presente almenonel 70% circa dei casi (figura 5a) e una decina diFigura 5: Distribuzione di tutte le specie fitoplanctoniche ordinate: a) in base alle presenze relative; b)in base alla densità totale (somma delle densità cellulari di ogni campione).263


queste (figura 5b) corrisponde a quelle che nel totalehanno raggiunto le più alte densità. Si tratta di nanoplanctonappartenente a classi diverse e la prima inrango (più frequente e più abbondante) risulta unaCryptomonadacea (Plagioselmis cf. prolonga), seguela stessa decina di specie in tutti e due i casi, seppurenon nello stesso ordine: Emiliania huxleyi (Haptophyceae),un’altra Cryptomonadacea, Ollicola vangoorii(Chrysophyceae) e Paulinella ovalis (Incertae sedis),rispettivamente mixotrofa ed eterotrofa, alcuni flagellatiappartenenti alle Prasinophyceae (Pseudoscourfieldiamarina, Tetraselmis sp., Pyramimonas sp.) e altridi cui non è ancora possibile l’attribuzione certa.L’unica forma microplanctonica è la diatomea Cylindrothecaclosterium, mentre la maggior parte del microplanctonrisulta presente tra le 200 specie presentiin meno del 10% dei campioni (figura 5a).Tra gli organismi microplanctonici si riscontra quasicostantemente la dominanza delle diatomee con alcunespecie presenti in maniera più indifferenziata ocon maggiore presenza nei mesi invernali (Liolomapacificum, Licmophora gracilis, Asterionellopsis glacialis,Thalassionema nitzschioides), altre, appartenentialle Centrales, più tipicamente invernali (Chaetocerosspp.) o estive (Proboscia alata, Leptocylindrusdanicus, Guinardia striata) e una notevole presenzain tarda estate-autunno, quando si verifica la fiorituradi Asterionellopsis glacialis insieme ad una certaquantità di altre forme tipiche (Pseudonitzschia spp.,altri Chaetoceros spp.). Tra i dinoflagellati compaionomolte forme tecate che contribuiscono notevolmentealla quantità di biomassa autotrofa, come Ceratiumfurca, C. fusus, Prorocentrum gracile, P. micans, Mesoporosspp., Torodinium robustum, insieme ad alcuneforme note come eterotrofe (Protoperidinium spp.,Gyrodinium spp.). Inoltre, tramite questi conteggi,sono risultati presenti anche molti altri coccolitofori(Haptophyceae) più rari ma di taglia più grossa, comeAnoplosolenia brasiliensis, Calcidiscus leptoporus, Coronosphaeramediterranea, Discosphaera tubifer,Scyphosphaera apsteinii, Syracosphaera pulchra eUmbilicosphaera sibogae, che aumentano notevolmenteil grado di diversificazione di questo gruppoche, nella frazione nanoplanctonica, è prevalentementerappresentato soltanto da Emiliania huxleyi.Discussione e conclusioniL’indagine effettuata sulla componente fitoplanctonicadelle acque costiere toscane nel contesto del progettoBioMarT non è stata certamente esaustiva perquanto riguarda la ricostruzione dell’intero ciclo annualedi variazione di queste comunità. Abbiamo peròdelineato un quadro aggiornato sia sulle condizioniambientali, particolarmente sullo stato trofico, sia sullecaratteristiche fondamentali delle comunità fitoplanctonicheche ci permette così di esprimere unavalutazione sullo stato delle acque al presente in confrontoalle conoscenze precedentemente acquisite.Le sostanze nutritizie ed i loro rapporti sono fattorifondamentali che influenzano lo sviluppo del fitoplanctoned è da considerarsi normale che le acquecostiere siano più eutrofiche delle acque marine dellargo, per gli apporti terrigeni naturali e a causa delleattività antropiche, di modo che è maggiore l’eventualitàdi fioriture anomale che determinino alterazioninell’ecosistema. Le condizioni trofiche delle acquetoscane (tabella 1) non appaiono differenziabilitra i siti, con concentrazioni nutritizie generalmentebasse, soprattutto del fosforo, spesso al limite di rilevabilità,e variazioni riconducibili ai normali cicli stagionalidi disponibilità e consumo senza particolariapporti anomali: le concentrazioni più alte sono in inverno,quando sono maggiori sia gli apporti terrigeniche quelli dovuti all’isopicnia delle acque, ed i minimisono estivi, per le ragioni opposte. La situazione deirapporti tra nutrienti, come già evidenziato nelle acquedell’Arcipelago Toscano [9] [17], ha indicato unamaggiore fosforo carenza nei mesi inverno-primaverilirispetto all’estate, quando peraltro il consumo fitoplanctonicoè solitamente minore. I silicati sono raramenteminori di 1 µm, valore spesso indicato comesoglia di limitazione per l’accrescimento delle diatomee,ma più che per il silicio di per sè, una limitazioneper le diatomee potrebbe crearsi a causa di un rapportosbilanciato rispetto a nitrati ed ortofosfati [17].Anche i valori di clorofilla a, indicatori della biomassaautotrofa, appaiono (tabella 1) simili in tutti i siti esostanzialmente di scarsa entità, oscillando tra unmassimo primaverile di 0.419 mg m -3 a Cerboli, doveperaltro notiamo le medie nutritizie più alte, e minimiestivi di un ordine di grandezza inferiori.Nelle nostre valutazioni mancano i riferimenti al periodotra dicembre e aprile, durante il quale avrebbepotuto instaurarsi la fioritura primaverile delle diatomee,ma non possiamo affermare niente di certo anchese, indicazioni indirette (le minori concentrazioninutritizie primaverili rispetto alle invernali, la diminuzionedi silicati tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate,l’aumento di contributo della frazione organicaal particellato totale sempre nello stesso periodo)264


Diversità delle comunità fitoplanctoniche nelle acque costiere toscaneTabella 1: Concentrazioni medie + deviazione standard, massimi e minimi dei nutrienti (?M), di clorofillaa (chl, mg m-3) e delle densità cellulari totali (cell L-1).sembrerebbero supportare questa ipotesi [17].Da un primo confronto con i dati pregressi acquisitilungo il litorale toscano si evidenzia che le acque dell’Uccellinanegli anni ’70 [6], mostravano un forte arricchimentoinvernale di nitrati (fino a 6 ?M) che permanevanopoi intorno a 1 µM per il resto dell’anno.Le indagini ripetute negli anni ‘80 [18] hanno evidenziatouna maggiore variabilità, soprattutto con concentrazionimolto alte di nutrienti e irregolarità nelciclo della clorofilla a che raggiungeva 1 mg m -3 . Medieannuali di ordine simile sono state rilevate anchealla fine degli anni ‘90 nelle acque di Giglio e Giannutri[9]. Si evidenzia quindi uno stato oligotrofico, conconcentrazioni nutritizie e di clorofilla a simili o piùbasse di quelle medie dei cicli stagionali passati, confrontabilicon una recente classificazione [19] che indicalo stato di qualità ecologica (EQS) per le acquemarine della Grecia (tabella 2). Come si vede, le concentrazioniqui mostrate rientrano nell’ambito dellaoligo- mesotrofia, tutt’al più con la possibilità di collocarsinella fascia più alta della bassa mesotrofia, e comunquein corrispondenza di uno stato di qualitàdelle acque alto-buono.Le osservazioni sulle comunità fitoplanctoniche,seppure frammentate in periodi non contigui, mostranouna relativa similarità di comportamentotra le località: densità totali generalmente dell’ordinedi 10 4 cell L -1 (tabella 1) con minimi estivi adominanza di dinoflagellati e coccolitofori, fioriturelimitate non oltre l’ordine di grandezza di 10 5cell L -1 dovute a diatomee, in primavera o tardaestate, oppure a Cryptomonadaceae, sempre inprimavera, o a Emiliania huxleyi.Nelle prime indagini condotte lungo il litorale dell’Uccellina[7], la presenza e le fioriture di diatomeeerano molto più abbondanti che nei nostricampioni, forse appunto favorite dalle condizioninutritizie più ricche favorevoli ad accrescimenti consistenti(fino a 800000 cell L -1 ) di diatomee nanoplanctoniche(Skeletonema costatum, Thalassiosiraspp. Chaetoceros spp.), solitamente più tipiche di ambientieutrofici. Nei nostri campioni la presenza dellediatomee è data da una grande varietà di specie microplanctonichecon scarse densità e che possonoaccrescersi forse in seguito a input di nutrienti chenon costituiscono, lungo le coste toscane indagate,uno stato continuo di eutrofia.Rispetto alle brevi serie temporali degli anni ’80 e ’90nelle acque dell’Arcipelago [9] [17], possiamosenz’altro confermare alcune caratteristiche stagionalidelle comunità fitoplanctoniche e della presenzadi alcune specie. Per le diatomee Pennales si confermala presenza più continua di Cylindrotheca closteriume Thalassionema nitzschioides, con una maggioretipica presenza del fitoplancton invernale;Asterionellopsis glacialis è la diatomea che è statasempre rilevata nell’Arcipelago con le fioriture piùabbondanti, sia in marzo che in novembre [8] [9],anche Pseudonitzschia spp. si conferma maggiormentenei mesi tardo estivi-autunnali [9]. Tra le dia-Tabella 2: Classificazione dello Stato di QualitàEcologia (EQS) delle acque marine in base alleconcentrazioni di clorofilla a, secondo Simbouraet al., 2005.265


tomee Centrales, si conferma la maggior tipicità estivadi Proboscia alata, Leptocylindrus danicus, Guinardiastriata mentre Chaetoceros spp. è prevalentementeinvernale [9].Riguardo alle altre classi fitoplanctoniche le determinazionitassonomiche sono risultate in molte occasionimeno certe ma possiamo comunque sottolinearele caratteristiche stagionali fondamentali che vedono,tra i dinoflagellati, la dominanza di tecati microplanctonici(Ceratium spp., Prorocentrum spp.) intarda primavera e nanoplanctonici (Heterocapsaspp.) in estate insieme a Gymnodiniaceae sempreprevalentemente nanoplanctoniche. Le Cryptomonadaceaeappaiono presenti durante tutto l’anno, conuna prevalenza tra l’inverno e la primavera, come giàevidenziato [9] [20], tra i coccolitofori, Emilianiahuxleyi è la specie più presente e più abbondante condei massimi estivi. Riguardo a tutto il gruppo di AltroPlancton è evidente che questo risulta una partespesso maggioritaria per quanto riguarda le densitànumeriche dei popolamenti fitoplanctonici, che potrebbequindi influenzare anche le componenti zooplanctoniche,ma è al momento difficile poterlo megliocaratterizzare dal punto di vista della composizione,data la fragilità e le scarse evidenze morfologichedegli organismi. Anche questo popolamento sipresenta molto differenziato e non si sono mai verificatefioriture anomale.Un’ultima osservazione sulla composizione dei popolamentiriguarda la presenza di specie tossiche opotenzialmente tossiche: oltre alla diatomea Pseudonitzschiaspp. sono state osservate alcuni dinoflagellati(Akashivo sanguineum, Prorocentrum lima, Prorocentrumminimum, Dinophysis sacculus) ma in casisporadici e con un numero estremamente esiguo diindividui che, almeno al momento, non fanno pensarealla possibilità di accumulo di sostanze tossichenell’ambiente o negli organismi vettori.Una caratteristica fondamentale di queste comunitàche si succedono nel corso dell’anno è l’alta diversitàspecifica. Un primo dato di ricchezza specifica è il numerodi taxa individuati, 280, e la costante copresenzanei campioni di un alto numero di specie con unbasso numero di individui. Tutti i valori dell’Indice diShannon evidenziano un’alta equitabilità, soprattuttoin estate, periodo dello stadio maturo della successionefitoplanctonica. La rappresentazione delle curvedi distribuzione degli individui tra le specie [16],che abbiamo elaborato [17] ma qui non mostriamoper brevità, disegna quasi sempre distribuzioni di tipo«geometrico» o a «bastone spezzato», cioè quelleche rappresentano stadi avanzati della successionefitoplanctonica in un ambiente con le risorse totalmenteripartite tra gli individui e che sono già notenell’ambiente Mediterraneo [5]. Ciò significa chenon abbiamo colto gli eventuali momenti di piena fioriturae che si conferma possibile una generale limitazionead abbondanti accrescimenti dovuta all’oligotrofiama che l’ambiente determina una forte differenziazionedelle comunità fitoplanctoniche nano- emicroplanctoniche che porta al massimo sfruttamentodelle risorse disponibili.Possiamo in conclusione affermare che, nell’ambitodei dati raccolti e analizzati, le acque costiere toscanenon presentano particolari anomalie che faccianopensare a disturbi o perturbazioni che possano determinaresituazioni di emergenza, come le fioriturefitoplanctoniche di anomala abbondanza o addiritturatossiche, da cui si possono sviluppare poi le condizionia rischio per tutto il sistema, come l’eccesso disostanza organica e l’eventuale stato di anossia conseguente.Sarebbe interessante poter svilupparequeste prime conclusioni tramite il monitoraggio diun intero ciclo annuale con campionamenti più frequentiin tutte le stagioni e poter approfondire la tassonomiadelle specie presenti per poter avere unquadro più completo ed esauriente delle caratteristichedel fitoplancton costiero toscano.RingraziamentiQuesto lavoro è stato realizato concontributo dellaRegione Toscana, Progetto BioMarT.Bibliografia[1] G.E. Hutchinson, Am. Nat. 1961, XCV-882:137.[2] G.P. Harris, Phytoplankton ecology, structure,function and fluctuation. Chapman and Hall,London: 1986, 384 pp.[3] R. Margalef, Adv. Front. Plant Sci. 1963, 2:137.[4] C.S. Reynolds, Ecology of Phytoplankton.Cambridge University Press, Cambridge: 2006,535 pp.[5] G. Jacques, P. Tréguer, Écosystèmes pélagiquesmarins. Masson, Paris: 1986, 243 pp.[6] C.R. Lenzi Grillini, L. Lazzara. Giorn. Bot. It.1978, 112 (3): 157.266


Diversità delle comunità fitoplanctoniche nelle acque costiere toscane[7] C.R. Lenzi Grillini, L. Lazzara. Giorn. Bot. It.1980, 114 (5): 199.[8] C. Nuccio, M. Innamorati, L. Lazzara, A.Mancuso. Atti Soc. Tosc. Sci. Nat., Mem., Serie A1995, Suppl. CII: 151.[9] M. Innamorati, G. Mori, C. Nuccio, L. Massi,C. Melillo, M. Mannucci, B. Terreri, A. De Pasquale,F. Polonelli. Indagine sulle mucillaggininel Mar Tirreno. In: Processi di formazione delleMucillagini nell’Adriatico e nel Tirreno (MAT).Rapporto finale, ICRAM, Roma: 2003.[10] G. Casazza, C. Lopez Y Royo, E. Spada, C.Silvestri. Proceedings of the Seventh InternationalConference on the Mediterranean Coastal Environment,Medcoast 05, Ozhan, 2005: 755.[11] O. Holm-Hansen, C.J. Lorenzen, R.W. Holmes,Strickland J.D.H. J. Cons. Perm. Int. Explor.Mer. 1965, 30: 3.[12] L. Lazzara, L. Massi, C. Nuccio, N. Biondi,M. Innamorati. Nat. Progr. Ant. Res., ROSSMI-ZE 93-95, Data Rep. I, 1997: 229.[13] F. Vidussi, H. Claustre, J. Bustillos-Guzmán,C. Cailleau, J.C. Marty. J. Plank. Res. 1996, 18:2377.[14] R.G. Barlow, D.G.Cummings, S.W. Gibb.Mar. Ecol. Prog. Ser. 1997, 161: 303.[15] M. Innamorati, I. Ferrari, D. Marino, M. RiberaD'Alcalà (a cura di), Metodi nell'ecologia delplancton marino. Nova Thalassia 1990, 11: 372 pp.[16] E.P. Odum, Basi di ecologia. Piccin Nuova Libreria,Padova: 1988, 494 pp.[17] S. Cappella. Diversità delle comunità fitoplanctonichenelle acque costiere toscane. Tesi diLaurea Magistrale in Scienze Biologiche, Universitàdi Firenze, Firenze: 2007, 82 pp.[18] G. Mori, M. Innamorati, L: Massi, C. Nuccio,F. Lavista, L. Nidiaci. Atti Soc. Tosc. Sci. Nat.,Mem., Serie A 1995, Suppl. CII: 281.[19] N. Simboura, P. Panayotidis, E. Papathanassiou.Ecological Indicators 2005, 5: 253.[20] M. Innamorati, L. Lazzara, C. Nuccio, P. Senesi,G. Buracchi. Oebalia 1990, XVI-1: 93.267


39 / Sez. DivulgativaIl pesce San PietroGianni Netoè inconsueto e bizzarro, ma proprio perquesto inconfondibile. Chiunque si trovi davantiil pesce San Pietro lo riconoscerà immediata-L’aspettomente. Non esiste, se non altro alle quote raggiungibilidai subacquei ricreativi, un pesce con cui possa essereconfuso. La forma del corpo, alta e fortementecompressa lateralmente, l’occhio grande e dalla formaovale, i lunghi raggi della spina dorsale, ma, soprattutto,la grande macchia rotonda di colore scuropresente su entrambi i lati del corpo. L’origine popolarevuole che siano le impronte delle dita lasciate daSan Pietro (da qui il nome comune), il quale, dovendopagare una tassa, mise una mano in acqua e prese unpesce (il nostro amico, appunto) che all’interno dellabocca custodiva una moneta. Questa è la leggenda,ma anche Linnéo, il naturalista svedese a cui si deve lanomenclatura binomia, deve essere rimasto colpitodalla regalità di questo pesce, tanto da consacrarlo addiritturaal Re del Dei, Giove, denominandolo Zeus faber.Abbastanza comune lungo tutte le nostre coste, ilSan Pietro non è, però, un incontro frequente. Le causesono diverse, la prima è data dal fatto che, generalmente,vive a profondità superiori ai cento metri e sispinge in acque meno profonde solo nel periodo riproduttivoche coincide con la fine dell’inverno e la primavera.Le spiccate abitudini notturne sono un’ulterioremotivo della scarsità degli incontri, se poi ci aggiungiamol’ambiente di vita prediletto: distese fangose, sabbiose e praterie di Posidonia, abbiamo un quadro completodel perché il pesce San Pietro lo si incontra raramente in immersione. Tutto questo non significa che immergendosilungo le spettacolari pareti rocciose che contraddistinguono le coste italiane, non si abbia la possibilitàdi vedere da vicino questo splendido animale, tutt’altro. Nei mesi in cui l’acqua è piuttosto fredda, comead esempio febbraio o marzo, in alcuni luoghi particolari, come la costa ligure, o le isole Tremiti, o ancora, lostretto di Messina e l’arcipelago toscano, vi sono molte probabilità di imbattersi in questo particolare pesce.268


Il pesce San PietroOccorre l’occhio allenato, però, il mimetismo del SanPietro è impressionante. Agevolato dal corpo compresso,assumendo la posizione frontale rispetto allapreda o al pericolo, risulta pressoché invisibile. Solo illeggero movimento delle pinne dorsali e anali, il suosilenziosissimo mezzo di propulsione, possono rivelarnela presenza. L’animale, ben consapevole dellesue doti mimetiche, sfrutta questa caratteristica perprocacciarsi il cibo costituito principalmente da pescie molluschi. Avvicinatosi silenziosamente alla vittimaprescelta, quando ancora si trova ad una distanza chenessuna preda considera pericolosa, lascia partire lasua arma letale: la bocca. Ho avuto modo di assistereun paio di volte a questa scena, sempre di notte e semprenell’impossibilità di documentarla. Il movimento èrapidissimo, quasi invisibile, ci si accorge che è successoperché il pesciolino che vedi a diversi centimetridi distanza davanti al caratteristico muso imbronciatodel San Pietro, improvvisamente… sparisce! Labocca ha la capacità di allungarsi a dismisura, creandouna depressione nella quale la vittima viene risucchiatasenza alcuna possibilità di reazione. L’aria innocentee paciosa, la simpatia che ispira, e l’apparente lentezzadel nuoto (in realtà è capace di repentini scatti),non devono trarre in inganno, il San Pietro non è unpacifico ed innocuo pesciolino, ma un formidabile evorace predatore. Può raggiungere i sessanta centimetridi lunghezza e oltrepassare i sei chilogrammi, lefemmine sono più grandi. I giovani, superato lo stadiolarvale, assumono le sembianze degli adulti. Un paiodi volte mi è capitato di imbattermi in questi piccoli pesci,identici ai genitori, dalle dimensioni di una monetada cinque centesimi.l’autoreMuseo di Storia NaturaleVia Monte alla Rena, 4157016 Rosignano Solvay269


40 / Sez. DivulgativaLa mazzancollaGianni NetoIl nome scientifico è, come spesso accade, impronunciabile:Penaeus kerathurus. Pochi di noi, senon «addetti ai lavori», sanno di cosa si tratta. Diversamente,se la chiamiamo con il nome comune,Mazzancolla, tutti abbiamo ben chiaro cosa sia. Crostaceomolto comune, oggetto di pesca intensiva e diallevamento, la mazzancolla si trova nei mercati itticiin ogni periodo dell’anno. È necessaria, però, unaprecisazione: quella che di solito troviamo sul banconedel pescivendolo, ha poco a che fare con lamazzancolla mediterranea, infatti, si tratta di unaspecie molto simile alla nostra, ma di origine asiatica(Penaeus japonicus), che è stata introdotta negli annisettanta a scopo di allevamento a fini commerciali.Penaeus kerathurus è una specie autoctona del Mediterraneo,dove frequenta i fondali sabbiosi e fangosia profondità variabili dai venti ai cento metri.Come molte altre specie animali viventi in questa tipologiadi ambienti, è di abitudini notturne, di giornovive sepolta nei fondi costieri, in acque salmastree in zone prossime alle foci dei fiumi con fondale detritico.Si nutre di piccoli organismi e svolge anchel’importante funzione di «spazzino» cibandosi di animaliin decomposizione. L’aspetto è quello tipico deigamberi: corpo rivestito da una corazza che costituiscel’esoscheletro, occhi peduncolati e una coppia dilunghe antenne. Il corpo risulta compresso lateralmente,il cefalotorace è ricoperto dal carapace dalquale partono tredici paia d’appendici. Il capo è ornatoda una vistosa e robusta cresta seghettata checulmina con un rostro appuntito. La parte inferioredel corpo è protetta da placche addominali molto resistenti,con una coda ampia a forma di ventaglio. Il270


La mazzancollacolore varia dal marrone chiaro al giallo o grigio, l’estremitàdella coda è azzurro chiaro. Ancora una voltala notte ci offre l’opportunità di osservare da vicinoun abitante marino nel suo ambiente naturale, occorreprestare molta attenzione per individuare ilsoggetto, poiché, se non abbiamo la fortuna di trovarloa spasso per il fondale –evento raro ma non impossibile-risulta molto difficile scorgere gli occhiche fuoriescono appena dalla sabbia. E anche quandoè allo scoperto, attenzione a non distrarsi, le tecnichedi fuga che mette in atto sono di tre tipi: la velocecorsa sul fondo, il tipico nuoto a scatti all’indietrousato dai gamberi, e l’infossamento veloce. Il periodomigliore per fotografare i soggetti più grandi(circa 25 cm), è l’estate, quando si avvicinano allacosta per la riproduzione.l’autoreMuseo di Storia NaturaleVia Monte alla Rena, 4157016 Rosignano Solvay271


41 / Sez. DivulgativaLe torpediniGianni NetoHanno il corpo tondeggiante e privo di scaglie,gli occhi, piccoli e ravvicinati collocati sul latosuperiore. La bocca è situata sul lato inferiore,come in tutti i pesci piatti. Una coda sottile sormontatadalle pinne dorsali. Sono temute dai pescatorie dai subacquei per via delle scariche elettricheche possono emettere, sono le Torpedini. Appartenentiall’Ordine dei Raiformi, Famiglia Torpedinidae,le torpedini sono, alla stregua delle razze e deglisquali, pesci dallo scheletro cartilagineo (Classe Selacio Condroitti). Vivono generalmente adagiate sulfondo nei fondali fangosi e sabbiosi a profondità nonelevate. La caratteristica peculiare di questi animali èla possibilità di emanare scariche elettriche che, inalcuni casi, possono raggiungere i 220 volt. La finalitàdelle scariche elettriche è prevalentemente di difesae di offesa, oltre che di comunicazione con altriindividui, inoltre, recenti teorie vi attribuiscono anchefunzioni di riconoscimento durante il periodo riproduttivo.Per il subacqueo l’incontro con la torpedineè piuttosto raro, immergersi nelle distese sabbiosenon piace a tutti. Ma se vogliamo ricercare deisoggetti che normalmente non incontriamo nel corsodelle nostre immersioni, dobbiamo prendere inconsiderazione anche l’immersione in ambienti pococongeniali alla nostra attività subacquea. I fondalisabbiosi e fangosi sono gli ambienti ideali per scoprireun’infinità di specie animali che magari abbiamovisto solo sui libri, o al massimo sul banco della pescheriasotto casa. Come sempre, il momento idealeper andare alla ricerca dei nostri soggetti è la notte,solo dopo il calare del sole, infatti, le distese sabbiosesi animano di una moltitudine di animali che durante272


Le torpediniil giorno sembrano non esistere. La pratica in questi casi è determinante, solo con l’esperienza si potrannocogliere quei piccoli segnali, differenti da specie a specie, che ogni abitante delle sabbie lascia dietro di se.Una volta riconosciuto, non resta che seguire la traccia, se di questa si tratta, oppure osservare molto attentamentenei pressi di un piccolo rilievo, sicuramente avremo delle gradite sorprese. Le specie di torpedinipresenti nei nostri mari sono tre, la più comune è la Torpedine marezzata (Torpedo mormorata), dal colorerossiccio con macchioline scure, segue la Torpedineocchiuta (Torpedo torpedo), con cinque evidenti ocellisul dorso, e la rara Torpedine nera (Torpedo nobiliana).La specie più comune è anche quella che raggiungele dimensioni maggiori, può, infatti, arrivarea circa un metro di lunghezza, anche se la taglia mediaè di 35/40 centimetri.l’autoreMuseo di Storia NaturaleVia Monte alla Rena, 4157016 Rosignano Solvay273


42 / Sez. DivulgativaCervello Umano: quale destino?(ovvero: Homo sapiens sapiens,una specie in declino?)Ferruccio Chiesa*Parole chiave: homo sapiens, cervello, neurone, intelligenza, evoluzioneTra i mammiferi, la specie umana è quella dotata di una maggiore capacità intellettiva, conseguente allastraordinaria evoluzione anatomo-funzionale del cervello che, nel corso degli ultimi tre milioni di anni,si è sviluppato in grandezza del 250%.Questo eccezionale sviluppo, che ha portato in particolare ad estensione ed ispessimento della cortecciacome sede precipua di funzioni superiori (autoconsapevolezza, pensiero astratto, sublimazione artistica),è andato gradualmente a ridursi nell’ultimo dei tre milioni di anni, fino ad annullarsi e forse ancheiniziare una lenta regressione, in tempi attuali.Diverso il trend evolutivo in altri primati, in particolare per lo scimpanzé (il cui DNA condivide oltre il90% dei geni umani), nei quali lo sviluppo volumetrico del cervello è in costante fase di incremento.Il supporto genetico allo sviluppo cerebrale – avvenuto in seguito a mutazioni – è strettamente legato alleproblematiche sociali ed intellettuali poste dai rapporti con l’ambiente (sopravvivenza) e con i proprisimili (competitività, guerre, alleanze).La competizione dell’Homo sapiens sapiens con l’Homo sapiens neanderthalensis portò alla estinzionedi quest’ultimo, in virtù di una maggiore capacità intellettiva del primo.A partire da tempi «storici» l’uomo ha risolto molti dei suoi problemi attraverso una organizzazione socialesempre più garante dei propri diritti mentre il rapporto diretto con l’ambiente è stato delegato amezzi e strutture meccaniche, ad agricoltura intensiva, a industrializzazione diffusa.La tecnologia, le comunicazioni mediatiche, la facilità e la superficialità con cui l’uomo moderno acquisiscedati di ogni genere i apecie sembrano rappresentare un ostacolo alla stimolazione di nuove mutazionigenetiche in grado di incrementare la struttura e la funzione del cervello.Una regressione neuro-intellettuale, compensata in pratica da supporti tecnologici roboticamente semprepiù sostitutivi della intraprendenza soggettiva, sembra rappresentare un inquietante limite allaevoluzione della nostra specie.Ieri Oggi Domani274


Cervello Umano: quale destino? (ovvero: Homo sapiens sapiens, una specie in declino?)Il cervello umanoIl cervello umano è tradizionalmente oggetto distudio da parte di discipline specialistiche mediche,come la Fisiologia e la Neurologia; la ricercasulla sua specifica funzione, oltre all’approfondimentodi un più noto controllo bio-meccanico dell’interoorganismo, sfocia poi in una complessa edifficile serie di molteplici livelli interpretativi –spesso formulati soltanto in ipotesi – che toccanoastrazioni del pensiero stesso, quali la Psicologia, laFilosofia, la definizione di Autocoscienza e le lorostupefacenti interconnessioni.In questa sede tuttavia vorrei riferirmi all’aspettobiologico evolutivo del cervello umano, approfondendo,per quanto possibile, la storia della sua differenziazioneanatomica e funzionale rispetto agli altrimammiferi, considerandolo non più con i filtri deformantidi discipline applicative, bensì nei confronti dicasualità naturali che lo hanno coinvolto.In questo senso la mia comunicazione diviene argomentoaccettabile di pura biologia ed il cervello oggettodi interesse puramente evoluzionistico.In un volume medio di 1300ml il cervello umano contienecirca 100 miliardi di neuroni, ciascuno dei qualiè in connessione sinaptica con 50-100.000 altri neuroni.Ne nasce una «rete» nervosa enorme, capace difunzioni motorie, sensoriali ed intellettive dallastraordinaria potenzialità, superiore a quella ipotizzabileper il più sofisticato computer oper assemblamento di più computers attuali.In pratica l’uomo, per limitazioni imposte da un apprendimentoiniziale fortemente limitato da una didatticaelementare rigidamente contenuta, selettivae innaturale, utilizza una minima parte delle sua capacitàcerebrali.Il cervello di un genio della scienza, della musica odella poesia, non differisce anatomo-istologicamentedal cervello dell’uomo di strada: è probabile che, permotivi tuttora ignoti, l’uomo superiore riesca spontaneamentead utilizzare in modo migliore quella macchinaintellettiva che tutti possediamo, ma non sappiamogestire se non parzialmente.Altissimi, rispetto agli altri parenchimi, i consumienergetici del cervello rispetto all’intero organismo:pur rappresentando solamente il 2% del peso corporeoquesto organo assorbe il 15% dell’intera circolazioneed utilizza il 20% dell’Ossigeno ed il 50% delGlucosio.Del pari elevata la sua fragilità, tanto che è sufficienteun arresto del circolo di 10 secondi per indurreuno stato di incoscienza (blocco generalizzatodi sinapsi), mentre il protrarsi di ischemia per oltre10 minuti genera danni irreversibili al neurone(arresto dell’equilibrio elettrico di membrana, invasionemassiva di Calcio con attivazione di enzimiautolitici, acidificazione, attivazione di apoptosi caspasi-1mediata, iperproduzione di radicali liberidell’Ossigeno).Artefice primo della componente energetica del neuroneè il mitocondrio, corpuscolo citosolico di ancestraleorigine batterica, all’interno del quale si svolgela reazione vitale più importante, in base alla qualedall’incontro enzimaticamente controllato tra Ossigeno(proveniente dalla respirazione) e Idrogeno(proveniente dalla pompa protonica indotta dalla respirazioneinterna mitocondriale), si genera la energianecessaria alla sintesi di ATP e si libera, comeunica scoria, semplice acqua.La folla dei neuroni costituisce soltanto una porzionedel cervello, rappresentando sia la materia grigia (agglomeratidi cellule neuronali), sia la materia bianca(fasci di fibre nervose originate dai neuroni stessi).Il resto del cervello è costituito da liquidi (sangue,100ml; liquidi interstiziali, 200ml; liquor, 100ml) e danumerosissime cellule delle nevroglia (1000 miliardi),nel rapporto di 10: 1 con i neuroni.In pratica dunque la vera parte funzionante del cervellosi riduce a meno di un Kg.La sola corteccia cerebrale, che mediante i solchi dacui è suddivisa copre la superficie di 2500mm?, occupaun volume di 600cm?.Alle cellule gliali, che non hanno alcuna attività nervosa,è stata attribuita in tempi recenti una funzionedi estrema importanza, quali protettrici dei neuroni,attorno ai quali costituiscono una sorta di microambienteottimale per gli scambi di Ossigeno e Glucosio,unici alimenti del neurone che non possiede alcunascorta di materiale bio-energetico, e deve esserecostantemente rifornito tramite il flusso sanguignoe la mediazione gliale.Le cellule gliali, che sono sprovviste di contatti sinaptici,sono separate dai neroni da minimi spazil’autoreCardiologo, Medico IlerbaricoLa California (Bibbona - Li)cardisub@libero.it* autore per corrispondenza275


aFigura 1: In A: neurone spinale sul cui corpo edendride si connettono numerosissime sinapsi (daAlberts, modificato). In B: aspetto istologico di unmitocondrio.(0,02?metri) e presentano un consumo metabolicoanalogo a quello delle cellule nervose: con particolariprolungamenti (pedicelli) costituiscono attorno aicapillari cerebrali una difesa (barriera emato-encefalica)contro sostanze chimiche che potrebbero danneggiarei neuroni.Oltre alla funzione propriamente neuro-intellettiva,all’interno del cervello si svolgono attività di tiponeuro endocrino, con produzione di ormoni oppioidilocali (endorfine, encefalite), messaggeri chimici intraed extra-cellulari (ossido nitrico, noradrenalina,vasopressina, acido gamma-aminobutirrico, acidoglutammico, serotonina, dopamina) e neuropeptidi.La rete neuronica, apparentemente fissa, possiedeelevate caratteristiche di dinamicità e mutabilità: suqueste doti si basa la grande capacità «plastica»delcervello, capace di sopperire – anche a livello patologico– al deficit di alcuni centri con l’attivazionesostitutiva di altre sedi funzionali. Esigenze di comunicazionee commutabilità vengono così ovviatee l’intero apparato encefalico appare nello stato di«dispositivo ibrido», con possibili prestazioni diogni genere, molto più elevate dei più sofisticaticomputers attuali.L’attivazione della rete neuronale si avvale di stimolielettrici (polarizzazione di membrana, potenziale d’azione)e di principi chimici neurotrasmettitori.Figura 2: Sezione istologica (colorazione del Golgi)di corteccia cerebrale di mammifero evoluto(cane); regione olfattoria. In nero le cellule nervose(neuroni).276


Cervello Umano: quale destino? (ovvero: Homo sapiens sapiens, una specie in declino?)L’intelligenzaNon c’è alcun dubbio ormai che l’intelligenza – sommadi caratteristiche intellettive proprie dell’uomo –nasca dalla enorme rete costituita dall’atronomiconumero di sinapsi e interneuroniche: è stato calcolatocome il numero di sinapsi di un solo cervello umanorisulti superiore al numero di astri presenti nell’universo.E tuttavia due cose ancora sfuggono alla nostra conoscenza.La prima inevasa domanda sull’intelligenza riguardai meccanismi fisico-chimici che la determinano; laseconda difficoltà risiede nella sua stessa definizionesemantica.Considerata un tempo, come la fede, dono di dio, l’intelligenza,vera artefice del razionale riscatto umanocontro credenze ed illusioni, non trova ad oggi definitivespiegazioni scientifiche, ma soltanto ipotesi, sucui lavorare intensamente. Caduta scientificamentel’idea di un dualismo tra corpo e spirito, cui apparterrebbel’intelligenza, questa dote umana deve esserericercata, allo stesso modo con cui si ricerca l’originedella vita, nel rapporto tra risposte proteiche a stimolibiochimici e adeguamento all’ambiente.Le più semplici forme di vita hanno un rapporto difensivo-offensivonei confronti dell’ambiente sostanzialmenteostile: la stringente necessità di sopravvivenzaaffina nella evoluzione i meccanismi attivi ereattivi che, in qualche caso, possono apparire intelligenti,anche se di intelligenza vera non si tratta, bensìdi istinto ed apprendimento specifici, geneticamenteacquisiti da mutazioni selettive.Negli animali a noi più vicini, compaiono forme di intelligenzarudimentale, spesso soltanto apparente emediata da fenomeni di imitazione o abitudine e davalutazioni prevalentemente affettive.Non esistono nell’animale autoconsapevolezza epensiero astratto, cardini su cui si appoggia il nostrointelletto.E stato necessario un cervello enormemente più sviluppatoper far nascere, dalla complessità delle reazionichemio-neuro-psichiche, quella scintilla differenziale,già presente nell’uomo di Neanderthal ma mirabilmenteaffinata nella attuale intelligenza umana.Aleatoria anche la ricerca di una correlazione con l’intelligenzaartificiale: nel 1956 un congresso internazionaledi eminenti fisici si propose di risolvere conmetodiche informatiche in 10 anni tutti i principaliproblemi matematici e psicologici in discussione.Dopo oltre 50 anni tale assunto è fallito, se non per larisoluzione di alcune partite di scacchi e la progressione– peraltro solo utilitaristica – della robotica.Problematica infine, anche in relazione alla mancanzadi una specifica conoscenza dei meccanismi primidell’intelligenza, è la sua stessa definizione.Affascinanti ipotesi, tra le quali l’idea del grande fisicoinglese Roger Penrose che il cervello e quindil’intelligenza possano basarsi non su leggi fisicheeuclidee, bensì su meccanismi della fisica quantistica,necessitano di una quanto mai difficile confermasperimentale.Alcuni riferimenti classici denotano come il problemafosse presente e spesso mal posto anche nell’antichità.Per Platone l’intelligenza era: «ciò che distingue classisociali ed è distribuita da dio in maniera diseguale».Per Aristotele, «tutte le persone – tranne gli schiavi– esprimono intelligenza, che differisce nei singoliindividui in base all’insegnamento ricevuto e all’esempio».Definizioni evidentemente legate alla condizione storicae sociale dell’epoca, senza particolari approfondimentidi psicologia soggettiva.In tempi attuali, pur nelle difficoltà di definire qualcosache sfugge perfino alla autocomprensione, l’intelligenzaè «la facoltà di apprendere e risolvere sia iproblemi pratici posti dall’ambiente sia quelli astrattiposti dal ragionamento puro».Alcuni autori (Howard Gardner) suddividono l’intelligenzain varie categorie (linguistica, musicale, spaziale,matematica ecc.); altri (Robert Sternberg) lavedono come un insieme di varie abilità cognitive.Di fatto sappiamo che l’intelligenza cresce fino ai 20anni di età, resta vivace e stabile per alcuni decenni,declina poi intensamente con l’età senile.Questo andamento correla forse con la quotidianaperdita apoptosica di almeno 300.000 neuroni a partiredal terzo decennio di vita.L’evoluzione del cervello umanoLo sviluppo del cervello umano evidenzia un fenomenobiologico eccezionale ed unico nella storia dellavita sul pianeta: nessun altro animale, in un temporelativamente breve (poche decine di milioni di anni)ha mostrato analoga velocità evolutiva (figura 3).In effetti, mentre per il resto degli esseri viventi lemutazioni sono intervenute con estrema lentezzamutazioni in numerosi geni e in tempi relativamentebrevi.277


Queste caratteristiche evolutive hanno posto la specieumana in una posizione di estremo privilegio, neiconfronti degli altri esseri viventi.È tuttavia singolare l’osservazione di come l’encefaloumano, sviluppatosi in grandezza del 250% nel corsodi tre milioni di anni, abbia mostrato nell’ultimo milioneuna costante riduzione della progressione volumetrica,attualmente pressoché nulla, se non tendentead una iniziale, lenta regressione.È altrettanto sorprendente osservare come la evoluzionedel cervello degli altri primati ed in particolaredel Pan troglodytes (o scimpanzé) che condivide conl’uomo oltre il 90% dei geni umani, non abbia subito riduzioniin tempi recenti, evidenziando un discreto avvicinamentoneurologico alla nostra specie (figura 4).L’Homo sapiens sapiens non è stato l’unico rappresentantedella specie umana sul pianeta: almenoun’altra specie, l’Homo sapiens neanderthalensis, èvissuta sul pianeta e si è estinta circa 35.000 anni fa.Considerato a lungo come una tappa evolutiva dell’uomosapiente, l’uomo di Nenderthal è stato di fatto,come dimostrano i recenti studi sul suo DNA, unavera specie umana, vicinissima alla nostra anche senon interfeconda. La separazione del Neanderthaldal sapiens sapiens è avvenuta circa 600.000 anni fa.Ad una struttura fisica tarchiata e massiccia, ad unanotevole forza fisica assai superiore alla nostra, facevada contrappunto una minore capacità neuro-intellettiva,con ogni probabilità dovuta a difficoltà di fonazione,conseguenti a differente conformazione laringea.Un notevole livello culturale è dimostrato dal seppellimentodei morti con relativi riti funebri, da culti religiosi,da graffiti e disegni lasciati in grotte nel norddella Spagna e della Francia.Il volume cerebrale dell’uomo di Neanderthal eramaggiore del nostro e questa osservazione crea perplessità:una «qualità», la nostra, che supera la «quantità»della specie affine? oppure si tratta di una differentedistribuzione di componenti encefaliche conuna relativa carenza di neuroni, assunto che non potremomai verificare in assenza di reperti istologici?Dedito a raccolta e caccia ed organizzato in piccoligruppi familiari, l’uomo di Neanderthal dovette soccomberenel confronto con la nostra specie che giàsocialmente e culturalmente evoluta stava risalendoattraverso l’Asia minore per occupare i territori postia Nord, da cui, per converso, l’uomo di Neanderthal,spinto dalla glaciazione, stava discendendo.Oltre a fornire eccezionali spunti di riflessione filosoficae religiosa, la vicenda del Neanderthal si ponecome paradigma biologico di incomparabile valoreindicando come tra forza ed intelligenza non può cheprevalere, almeno a livello evolutivo, la seconda.Figura 3: Reperti fossili che testimoniano la evoluzionevolumetrica del cranio umano negli ultimimilioni di anni.Figura 4: Aspetto esterno del cervello di Homo sapienssapiens, rispetto a quello del Pan troglodytes(scimpanzé).278


Cervello Umano: quale destino? (ovvero: Homo sapiens sapiens, una specie in declino?)L’Homo sapiens sapiens, sopravvissuto al confrontoe rimasto da 35.000 anni unico rappresentante dellasua specie sul pianeta si è comunque ulteriormenteevoluto. Oggi il genoma umano risulta identico al99,99 in ogni individuo: il rimanente 0,01 implica differenzesecondarie, come il colore della pelle e degliocchi o la predisposizione ad alcune malattieA parte la tesi creazionistica, smentita nella sua staticitàdalle evidenze evoluzionistiche ed abbandonataormai dalla quasi totalità dei ricercatori, le principaliipotesi e tappe sullo sviluppo della specie umananegli ultimi secoli sono per sommi capi così schematizzabili:Prima del 1800: Immutabilità delle specie (fedeltàal creazionismo religioso)1800-Jean-Baptiste de Lamarck (1744-1829) - Ereditarietàdei caratteri acquisitiCharles Darwin (1809-1882) - Teoria della Selezionenaturale1900-Yacques Monod (1910-1976) - Il caso e la necessitàsono artefici della selezione naturaleKonrad Lorenz (1903-1989) - Lo stimolo alla crescitadella neocortex è dato dalle funzionisimboliche, originate dai riti funebriJames Watson e Francis Crick - Scoperta dellastruttura del DNA (1953)La dimostrazione di questo assunto è data dalla recentescoperta da parte di Bruce Lahn delle due ultimemutazioni avvenute nell’uomo con conseguenteaumento volumetrico del cervello. Si conferma cosìdefinitivamente che l’evoluzione consegue a mutazionedi geni.La penultima mutazione risale a 37.000 anni orsono(epoca della scomparsa dell’uomo di Neanderthal) eriguarda il gene denominato «microcefalina». La suaorigine consegue a stimoli legati alla nascita dell’artee della musica, allo sviluppo delle pratiche religiose,alla fabbricazione di utensili.L’ultima mutazione è avvenuta 5800 anni orsono a caricodel gene «ASPM», stimolato dai riflessi sull’uomodel grandioso sviluppo delle civiltà mesopotamiche.Considerazioni conclusiveDesiderio di dominanza sull’ambiente e sui nostri simili,competizione esistenziale, impegno relativo allasoluzione di problemi sociali sono dunque alla basedella evoluzione cerebrale, quali certi e determinantistimoli alla codificazione genica di mutazioni checomportano aumento del volume cerebrale.2000-Istituto ENCODE (The Enciclopedia of DNA Elements)- Interpretazione del DNA umano (2007):si conferma definitivamente che l’evoluzione conseguea mutazioni genicheA livello cerebrale stimoli alla evoluzione sono rappresentatidal complesso dei comportamenti sociali(Wilson), quali il conformismo, l’aggressività, l’altruismo,l’omosessualità: stimoli diffusi e tanto permeantil’intera sfera psico-intellettiva da incidere selettivamentesu definitivi processi di codificazionegenica.Un impegno ed una evoluzione della coscienza umanasembra dunque precedere la modificazione (codificazione)della forma.Figura 5: A partire da un progenitore comuneogni specie ha percorso separatamente la sua viaevolutiva (da B.Lahn, modificata).279


Big brain evolved througt social solving («un grandecervello nasce da soluzioni sociali»): suona ormai comeuna sorta di proverbio moderno il sintetico dettodi studiosi contemporanei.Ma di fatto il nostro cervello mostra oggi un arrestodel proprio sviluppo volumetrico e, secondo previsionimatematiche, sta incominciando a ridursi.Quali le cause?Se, sulla scorta di una progressione documentata daireperti fossili e confortata dal confronto con la pressochécerta evolutività del grande cervello neoanderthaliano,la nostra specie ha senza ombra di dubbiola potenzialità di ulteriori incrementi volumetricicerebrali, l’attuale fase di stallo (e di probabile successivaregressione) non può che trovar ragione inuna reale mancanza di stimoli evolutiviIn effetti, da circa 5000 anni le conquiste umane (religione,linguaggio, scrittura, socializzazione, industrializzazione)hanno trasferito molte delle problematichedi sopravvivenza dal singolo individuo a formedi collegialità gerarchicamente organizzata (istituzioni,magistrature, scuole, governi).Tranne in periodi di gravissime crisi condizionate dagrandi guerre, epidemie, disastri planetari nel corsodei quali l’uomo ritorna ad essere solo di fronte allapropria esistenza, la preoccupazione collettiva apparediluita se non del tutto trasferita alla responsabilitàdi pochi individui politicamente o economicamentedominanti, che rappresentano una percentualebassissima della popolazione. Eleggere questi individuicon criteri democratici o sopportarli in regimicoatti, non sembra stimolo sufficiente alla evolutivitàdel nostro cervello.In contemporanea anche la capacità ed il livello culturale,almeno nei paesi sviluppati, hanno subito unaradicale trasformazione con l’avvento di una tecnologiaevoluta, che ha ulteriormente allontanato il rapportodel singolo con la conoscenza, trasferendone ilpeso alla facile e superficiale consultazione dei mezzimediatici.In buona parte la rete mediatica oggettiva (internet)è andata a sostituire, almeno nella comune prassi lavorativae ludica, la naturale rete interneuronica soggettiva,impoverendo le capacità di apprendimentoed elaborazione mentale di intere popolazioni che, apartire dagli individui più giovani. appaiono totalmentecondizionate da una globalizzazione ipoculturalepericolosamente aliena da effettivi stimoli emulativi.L’interesse dell’utente non va genericamente oltre lebanali notizie di cronaca o di costume, di avvenimentisportivi, di curiosità del momento, mentre moltaattenzione è rivolta alla cura della componente fisicae alla ricerca di un benessere sfuggente, talora inseguitocon l’aiuto farmacologico di droghe.aFigura 6: 6a: Evoluzione nel tempo dell’uomo e dialtri primati. 6b: Contemporanea evoluzione volumetricadel cervello umano.b280


Cervello Umano: quale destino? (ovvero: Homo sapiens sapiens, una specie in declino?)All’impegnativo gioco infantile – palestra fisico-intellettivaper il futuro del soggetto – si è sostituita la sedentariaalienazione delle play-stations; la prona assuefazionea filmati televisivi ha preso il posto dellalettura, stimolo ed attività mentale per eccellenza.La politica più che vissuta, è ampiamente subita; l’arteridotta ad elementare cenno artistico; la religionetempestata di dubbi, anche nella mente dei credenti.Non una «aurea mediocritas», bensì una ancor piùbanale «mediocritas communis», da cui poche scintillenascono e vengono subito sopite.Un malinteso ma comunque presente benessere sociale,la riduzione della mortalità infantile, l’aumentodella vita media e le grandi conquiste della medicinapur rappresentando consolanti punti di riferimentodell’uomo contemporaneo, vanno al tempo stesso togliendogliquella volontà naturale di incentivazione,che è stata fino ad ieri vigorosa fonte di evoluzione.La precarietà di interessi apre spazi a negativismi estati ansiosi o depressivi.L’insoddisfazione quotidiana nasce dalla superficialitàdell’esistere.Siamo di fronte ad un vero regresso, di tipo infantile,che non chiede più al nostro cervello una costanteestremizzazione di livelli funzionali.Ed è proprio di fronte a questa caduta di elevati interessicon frustranti occasioni di insufficienza intellettivache il nostro cervello sembra essersi adagiato inuna situazione di sufficienza attuale, cessando, finiti iveri stimoli, di migliorare la sua forma.Da non sottovalutare anche il recente cambiamentodei rapporti dell’uomo con la selezione naturale: untempo, avvenuta e codificata una mutazione migliorativa,era la mortalità a renderla diffusa nelle generazionisuccessive. Il miglioramento genetico rendevapiù longevi, e quindi quantitativamente e generazionalmenteprevalenti sugli altri i suoi portatori.In tempi recenti la mortalità nella specie umana,enormemente ridotta, è stata selettivamente sostituitadalla fertilità.Ma si è statisticamente evidenziata una correlazionenegativa tra fertilità e intelligenza, per cui si attuauna sorta di paradosso, in base al quale la selezionenaturale produce oggi uomini più longevi ma menointelligenti.A termine di questa breve ed incompleta analisi criticasul cervello della specie umana, nella impossibilitàdi emettere conclusioni che non siano parziali opuramente soggettive, è necessario aggiungere alcunedomande, nelle cui risposte si compendia, forse,una buona parte del futuro della nostra meravigliosamacchina pensante.Quale azione sulla evoluzione del cervello potrà conseguireall’indiscriminato consumo, anche in età infantile,di farmaci a spiccata attività neurotropa?L’uso sempre più diffuso di droghe pesanti avrà unasua ripercussione sulla evoluzione o sulla involuzionedel cervello?Un ulteriore incremento super-globalizzante dellaattuale tecnologia rappresenterà in un futuro ancheprossimo una definitiva paralisi intellettuale perl’uomo?Ed infine: i meccanismi ormai alterati della selezionedarwiniana continueranno a ridurre ulteriormente,in maniera anche indipendente dalla dimensione cerebrale,l’intelligenza umana?Domande tragiche e al tempo stesso impegnativesulle quali, finchè sarà possibile, dovremo attentamentee profondamente riflettere.Bibliografia[1] B. Alberts et alii, Biologia molecolare della cellula.Zanichelli, Bologna: 1996.[2] G. Barsanti, Una lunga pazienza cieca: storiadell’evoluzionismo. Einaudi, Torino: 2005.[3] M.B. Berne, M.N. Levy, Fisiologia. C.E. Ambrosiana,Milano: 2005.[4] E. Boncinelli, Le forme della vita: l’evoluzionee l’origine dell’uomo. Einaudi, Torino: 2006.[5] F. Chiesa, Intelligenza umana e intelligenza artificiale:stato dell’arte. Neurochir. Progr., Livorno:Dicembre 1999.[6] A.T. Cianciolo, R.J. Sternberg, Breve storiadell’intelligenza. Il Mulino, Bologna: 2007.[7] M.V. Flinn, D. Geary, C.V. Ward, Why humanevolved extraordinary intelligence?. Evolutionand Human Behavior 2005, 26: 10-46.[8] H. Gardner, Formae mentis. Saggio sulla pluralitàdella intelligenza. Feltrinelli, Milano: 2002.[9] M.S. Park, A.D. Nguyen, H.E. U.H.S. Aryan,M.L. Levy, K. Semendeferi, Evolution of the humanbrain: changing brain size and the fossil record.Neurosurgery, 2007 Mar, 60 (3): 555-62.281


indice alfabeticodelle parole chiave(i numeri indicano i progressivi degli articoli)ACCRESCIMENTO DEI CORALLI 37ACQUACOLTURA 34ACQUE COSTIERE TOSCANE 38ACQUE INTERNE 9ALLEVAMENTO PARALARVALE 34AMBIENTE 25ANTROPOLOGIA 19APIS MELLIFERA 12AREE ARCHEOLOGICHE 2AREE MARINE PROTETTE (AMP) 32AREE MINERARIE 16AREE PROTETTE 24AREE UMIDE 1ARENARIE 3ARGILLA 6ARGILLITI 3ASCOMYCOTA 28BADLANDS 6BIANCANA 6BIODISPONIBILITÀ 15BIODIVERSITÀ 2, 28, 32BIOFITOFARMACO 23BIOINDICATORE 18BIOMART 38BIORITMI 11CALANCO 6CAMBIAMENTI CLIMATICI 36CAPRIOLO 18CARLIT 31CASCINA 10CAULERPA RACEMOSA 36CERVELLO UMANO 42CICOGNA BIANCA 10COMPORTAMENTO SOCIALE 11COMPOSTI VOLATILI 12CONSERVAZIONE EX SITU 22CONTENUTI STOMACALI 35CORTINARIUS 27COSTA TOSCANA 25CRETA 6


CRETACEO SUPERIORE 3DENDROPHYLLIIDAE 37DENSITÀ SCHELETRICA 37DIDATTICA 5DIDATTICA INTERATTIVA 5DISTRIBUZIONE 30DIVERSITÀ SPECIFICA 38ECO-COMPATIBILE 23EDUCAZIONE AMBIENTALE 17EDUCAZIONE E DIDATTICA MUSEALE 20ELEMENTI IN TRACCIA 14, 15ELEMENTI PESANTI 18EMERGENZE GEO-MINERALOGICHE 2EMERGENZE NATURALISTICHE 21EQR 31ESTRAZIONI SEQUENZIALI 15EVOLUZIONE BIOLOGICA 19FAUNA 24FITOCENOSI 21FITOPLANCTON 38FITOZOOCENOSI BENTONICHE 33FIUME CECINA 4FLORA 24FLORA MICOLOGICA 26FONDALI 33FRAZIONAMENTO CHIMICO 15FUNGI 27GALEUS MELASTOMUS 35GEOMORFOLOGIA 4HYMENOPTERA 11HYPERICUM PERFORATUM L. 15IDROGEOLOGIA 1IMPOLLINAZIONE 12INDICI DI BIOMASSA E DENSITÀ 35INSETTI SOCIALI 11IRRADIANZA SOLARE 37ISOLA DI PIANOSA 8, 13LABORATORIO DIDATTICO 19LOMBRICHI 14LOTTA INTEGRATA 23LUCCA 22MACROALGHE 31MACROMICETI 26MALACOFAUNA 8MAR LIGURE MERIDIONALE 29, 32MAR LIGURE SUD-ORIENTALE 35MAR TIRRENO 30MATTAIONE 6


MAZZANCOLLA 40MICOLOGIA MARINA 28MORFOMETRIA 30MUSEI 20MUSEO DI STORIA NATURALE 19NUOVE SPECIE 34OCTOPUS VULGARIS 34OLEA EUROPAEA 12OLOCENE 4, 8ORCHIDEE SPONTANEE 25ORNITOLOGIA 10OROLOGI BIOLOGICI 11PESCA 30PESCA A STRASCICO 33PESCE SAN PIETRO 39PIANO DI GESTIONE 21PIANTE SPONTANEE 16PIANURA ALLUVIONALE 4PICCOLA PESCA 29PISA 26POLLINE 12POLPO 34PROTEZIONE HABITAT 2PROVINCIA DI LIVORNO 7QUALITÀ DELL’ARIA 17QUERCUS ILEX 27REGIME ANEMOMETRICO 13REGIME PLUVIOMETRICO 13REGIME TERMICO 13RETI DA PESCA 29RIO ARDENZA 3RIPPLE MARKS 3SALVAGUARDIA 25SANGUE 18SCIENZE DELLA TERRA 20SCIENZE NATURALI 5SCUOLA 5SCUOLA DELL’OBBLIGO 5SECCHE DELLA MELORIA 32SFAGNETA 21SFAGNO 22SIENA 14SILTITI 3SISTEMA ROCCIA-SUOLO-PIANTA 15SITO D’IMPORTANZA COMUNITARIA 21SMOG FOTOCHIMICO 17SPECIE INVASIVE 36SPECIE NON INDIGENE 9


SPECIE VEGETALI E ANIMALI 2STATISTICA 1STATO ECOLOGICO 31SUOLO 14, 16TALLIO 16TELAMONIA 27TEMPERATURA DI SUPERFICIE DEL MARE 37TENDENZE DEL CLIMA 13TETTONICA ATTIVA 4TORBIERE 22TORPEDINI 41TOSCANA 4, 9, 27, 31TOSCANA MERIDIONALE 15, 16, 18TRACCE FOSSILI 3TRAFFICO VEICOLARE 14VEGETAZIONE 24VEGETAZIONE POTENZIALE 21WFD 2000/60/CE 31ZOOLOGIA 19


indice degli EntirappresentatiA.R.P.A.T., Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana, Via Marradi114, 57126 LivornoAF Geoscience and Technology Consulting srl, Campo (PI)Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana, Area Mare, LivornoAssociazione Pisana Scienze Naturali e dell’Uomo “Luigi Baldi”,Via S. Agostino 20/b,56121 PisaC.I.B.M. – Centro Interuniversitario di Biologia Marina, LivornoCentro di Ricerca, Documentazione e Promozione del Padule di Fucecchio, via Castelmartini125/a, 51036 Larciano (PT)Centro Interuniversitario Biologia Marina ed Ecologia Applicata “G. Bacci”, Viale N. Sauro4, 57127 LivornoCentro Interuniversitario di Biologia Marina ed Ecologia Applicata G. Bacci di Livorno,V.le N. Sauro 4, 57127 LivornoCentro Musei delle Scienze Naturali Università degli Studi di Napoli Federico II, ViaMezzocannone 8, 80134Centro Studi Micologici AGMT, Via Ferrucci 626, 51036 Larciano (PT)CNR - Istituto di Geoscienze e Georisorse, Via G. La Pira 4, 50121 FirenzeCNR - Istituto di Geoscienze e Georisorse, via Moruzzi 1, 56124 PisaDipartimento di Agronomia e Gestione dell’Agroecosistema dell’Università di Pisa, ViaSan Michele degli Scalzi 2, 56124 PisaDipartimento di Anatomia, Fisiologia e Biochimica Veterinaria, via delle Piagge 2, 56126PisaDipartimento di Biologia Animale e Genetica, Università di Firenze, via Romana 17,50125 FirenzeDipartimento di Biologia Animale, Università di Firenze, via Romana 17, 50121 FirenzeDipartimento di Biologia Vegetale, Università di Firenze, via P.A. Micheli 1, 50121 FirenzeDipartimento di Chimica Bioorganica e Biofarmacia, via Bonanno 33, 56126 PisaDipartimento di Coltivazione e Difesa delle Specie Legnose “G. Scaramuzzi”, Sezione PatologiaVegetale, Facoltà di Agraria, Università di Pisa, Via del Borghetto 80, 56124 PisaDipartimento di Coltivazione e Difesa delle Specie Legnose, via San Michele degli Scalzi2, 56126 PisaDipartimento di Scienze Ambientali “G. Sarfatti”, Unità di Ricerca di Geochimica Ambientale,Università degli Studi di Siena Via del Laterino 8, 53100 SienaDipartimento di Scienze della Terra, Università di Firenze, Via G. La Pira 4, 50121 Firenze


Dipartimento Scienze della Terra UNI-Pisa, Via Santa Maria 53, 56126 PisaEcoistituto delle Cerbaie Legambiente Valdera, Gruppo Biodiversità, Via Fiumalbi 9,56025 Pontedera (PI)Gruppo Italiano Ricerca Orchidee Spontanee, via Napoli 30, 57023 Cecina (LI)Heriot-Watt University, EdinburghIstituto di Biologia ed Ecologia Marina di PiombinoIstituto di Biometeorologia del CNR, Via Giovanni Caproni 8, 50100 FirenzeLaboratoire Fonctionnement et évolution des systèmes écologiques CNRS, UMR 7625,Université Pierre et Marie Curie, 7 quai Saint Bernard, 75 005 ParisLiceo Scientifico “Leonardo da Vinci”, FirenzeMaricoltura di Rosignano Solvay, Via P.Gigli snc I, 57013 Rosignano Solvay (LI)Marine & Freshwater Science Group Association c/o Dipartimento di Biologia EvoluzionisticaSperimentale, Università di Bologna, Via Selmi 3, 40126 BolognaMarine Science Group, Dipartimento di Biologia Evoluzionistica Sperimentale, AlmaMater Studiorum, Università di Bologna, Via F. Selmi 3, 40126 BolognaMuseo di Storia Naturale del Mediterraneo, Via Roma 234, 57127 LivornoMuseo di Storia Naturale Rosignano MarittimoOrto Botanico di Lucca, Via del Giardino Botanico 14, 55100 LuccaProvincia di Livorno, U.O. Salvaguardia della Natura, Via S. Anna 4, 57123 LivornoScuola Normale Superiore, Piazza dei Cavalieri, 56126 PisaStudio Italgeo, Piazza Martiri della Libertà 7, Volterra (PI)Taskforce per le Analisi Statistiche Marine & Freshwater Science Group Association, ViaF. Selmi 3, 40126 BolognaUnità Operativa di Radiologia e Diagnostica per Immagini, Ospedale di Porretta Terme,AUSL di Bologna, Via Roma 16, 40046 Porretta Terme (BO)


Finito di stampare nel mese di marzo 2008in Pisa dalleEDIZIONI ETSPiazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisainfo@edizioniets.comwww.edizioniets.com

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