L'Uva - Coltivazione

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L’uva botanica | storia e arte | alimentazione | paesaggio coltivazione | ricerca | utilizzazione | mondo e mercato


l’uva da tavola

coltivazione Materiale di moltiplicazione

Angelo Raffaele Caputo, Domenico Strazzulla

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Materiale di moltiplicazione Certificazione La produzione dei materiali di moltiplicazione vegetativa è la prima tappa della filiera vitivinicola e di quella dell’uva da tavola. In considerazione delle rilevanti posizioni economiche che le produzioni di vino e di uve da tavola occupano nel settore agricolo della Comunità europea, nel 1968 fu introdotta finalmente una disciplina vivaistica viticola con la Direttiva 68/193/CEE del 9 aprile, relativa alla commercializzazione dei materiali di moltiplicazione vegetativa della vite, che di fatto gettò le basi per l’istituzione di un sistema di certificazione unificato nella Comunità. Gli obiettivi del sistema di certificazione vivaistico viticolo erano piuttosto semplici e restano espressi chiaramente nei considerando della direttiva: fornire ai viticoltori per la realizzazione dei loro vigneti materiale di moltiplicazione, in pratica delle barbatelle, di cui siano garantiti l’identità e la purezza delle varietà, nonché il loro stato sanitario, segnatamente riguardo alle virosi, mediante un controllo ufficiale. Si tiene in debita considerazione che i risultati soddisfacenti della coltura della vite dipendono in ampia misura dall’utilizzazione di piante di vite adeguate. Altre ancora sono le premesse che meriterebbero di essere citate; ma è sufficiente fermarsi a queste appena summenzionate per fissare quali siano le finalità che la legislazione vivaistica intende perseguire. Da allora, al fine di consolidare il mercato interno e per eliminare qualsiasi ostacolo alla libera circolazione, anche a seguito dell’integrazione di nuovi Stati membri, e alla luce dei progressi in campo scientifico (modificazione genetica delle varietà) e tecnico (micropropagazione in vitro), la legislazione comunitaria ha subito numerose modificazioni,

Vite - Varietà - Clone

• Vite: pianta del genere Vitis destinata

alla produzione di uve o all’utilizzazione quale materiale di moltiplicazione

• Varietà: un insieme di vegetali

nell’ambito di un unico taxon botanico del più basso grado conosciuto, il quale possa essere: a) definito mediante l’espressione delle caratteristiche risultanti da un dato genotipo o da una data combinazione di genotipi b) distinto da qualsiasi altro insieme vegetale mediante l’espressione di almeno una delle suddette caratteristiche c) considerato come un’unità in relazione alla sua idoneità a moltiplicarsi invariato

• Clone: una discendenza vegetativa di

una varietà conforme a un ceppo di vite scelto per la sua identità varietale, i suoi caratteri fenotipici e il suo stato sanitario

Barbatelle innestate allevate in vivaio a file binate

Foto Vinea

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materiale di moltiplicazione legittimando metodi atti a migliorare la certificazione dei materiali di moltiplicazione, quale strumento fondamentale per l’attuazione da parte dei Paesi della politica di qualità dei vigneti. La disciplina di base è suddivisa in norme generali e tecniche, ultimamente modificate dalla Direttiva 2002/11/CE del Consiglio del 14 febbraio 2002, per la parte generale, e dalla Direttiva 2005/43/ CE della Commissione del 23 giugno 2005, per gli allegati tecnici, riguardanti le condizioni colturali dei vigneti di viti madri e dei vivai, la qualità dei materiali di moltiplicazione, l’imballaggio e l’etichettatura. Negli anni ’70 del secolo scorso, l’Italia e la Francia furono i primi Paesi ad adottare un sistema nazionale di certificazione. Infatti, in Italia, in applicazione della Direttiva del 1968 fu emanato il Decreto del Presidente della Repubblica n. 1164 del 24 dicembre 1969, più volte modificato e integrato, ancora in vigore per gli aspetti relativi alla vigilanza e al regime sanzionatorio, mentre i nuovi principi generali e i nuovi allegati tecnici sono stati recepiti, rispettivamente, con i Decreti ministeriali 8 febbraio 2005 e 7 luglio 2006.

Materiali di moltiplicazione

• Parti di piante: sarmenti (tralci di un anno), tralci erbacei (tralci non lignificati), talee di portinnesto (frazioni di sarmenti o di tralci erbacei di vite, destinate a formare la parte sotterranea nella preparazione delle barbatelle innestate), nesti (frazioni di sarmenti o di tralci erbacei di vite, destinati a formare la parte aerea nella preparazione delle barbatelle innestate o per gli innesti sul posto), talee da vivaio (frazioni di sarmenti o di tralci erbacei di vite, destinati alla produzione di barbatelle franche)

• Piante di vite: barbatelle franche

(frazioni di sarmenti o di tralci erbacei di vite, radicati e non innestati, destinati a essere piantati franchi o a essere impiegati come portinnesto), barbatelle innestate (frazioni di sarmenti o di tralci erbacei di vite, uniti mediante innesto la cui parte sotterranea è radicata)

Norme generali La parte essenziale di tutta la legislazione è rappresentata dalle definizioni dei materiali di moltiplicazione in “iniziali” (di recente introdotti con le ultime modificazioni legislative), “di base”, “certificati” e “standard”. Le prime due categorie, che derivano dai lavori di selezione clonale dei costitutori, sono destinate esclusivamente ai vivaisti per la moltiplicazione di quelli “certificati”; questi ultimi destinati ai viticoltori per l’impianto dei loro vigneti, come quelli appartenenti alla categoria “standard” che però sono ottenuti

Barbatelle innestate in fase di germogliamento avanzato

Foto Vinea

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coltivazione semplicemente da selezione massale. Altre novità interessanti, introdotte con gli ultimi aggiornamenti legislativi, sono le definizioni di varietà e clone; inoltre, i materiali di moltiplicazione, talee, nesti e barbatelle, che prima si ottenevano solamente da sarmenti (tralci lignificati di un anno), ora si possono ottenere da tralci erbacei. Secondo le disposizioni della Direttiva base 68/193/CEE, gli Stati membri sono tenuti a stabilire un Catalogo o Registro delle varietà di vite ammesse ufficialmente alla certificazione e al controllo dei materiali di moltiplicazione standard nel proprio territorio. Tale catalogo determina le principali caratteristiche morfologiche e fisiologiche che consentono di distinguere fra di loro le varietà. “Gli Stati membri provvedono a che le varietà, ed eventualmente le selezioni clonali, che sono state ammesse nei cataloghi degli altri Stati membri siano ammesse anche alla certificazione e al controllo dei materiali di moltiplicazione standard sul loro territorio”. “I materiali di moltiplicazione della vite, quindi, possono essere commercializzati soltanto se sono stati ufficialmente certificati ‘materiali di moltiplicazione iniziali’, ‘materiali di moltiplicazione di base’ o ‘materiali di moltiplicazione certificati’ oppure, nel caso di materiali di moltiplicazione diversi da quelli destinati a essere impiegati come portinnesto, se si tratta di materiali di moltiplicazione standard ufficialmente controllati”. La normativa, nel suo complesso, precisa i requisiti del materiale di propagazione, gli obblighi inerenti la produzione, le condizioni per la commercializzazione, la vigilanza, le sanzioni e, in particolare, l’istituzione del Registro nazionale delle varietà di vite. In definitiva, l’iscrizione di una varietà di vite al Registro è condicio sine qua non per produrre a fini commerciali i materiali di moltiplicazione vegetativa. In Italia, il Registro è stato istituito presso il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali.

Categorie dei materiali di moltiplicazione

• Iniziali: prodotti sotto la responsabilità

del costitutore secondo metodi di norma ammessi per il mantenimento dell’identità della varietà e, se del caso, del clone nonché a fini di prevenzione di malattie; destinati alla produzione di materiali di moltiplicazione di base o di materiali di moltiplicazione certificati

• Di base: prodotti sotto la responsabilità

del costitutore secondo metodi di norma ammessi per il mantenimento dell’identità della varietà e, se del caso, del clone nonché a fini di prevenzione di malattie, e provenienti direttamente da materiali di moltiplicazione iniziali per via vegetativa; destinati alla produzione di materiali di moltiplicazione certificati

• Certificati: provenienti direttamente

da materiali di moltiplicazione di base o da materiali di moltiplicazione iniziali; destinati alla produzione di piante o di parti di piante che servono alla produzione di uve, ovvero alla produzione di uve

Foto Vivai Rauscedo

• Standard: materiali di moltiplicazione

che presentano l’identità e la purezza della varietà; destinati alla produzione di piante o di parti di piante che servono alla produzione di uve

Raccolta delle barbatelle dopo lo sterro

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materiale di moltiplicazione Elenco delle varietà di uva da tavola iscritte al Registro nazionale (aggiornamento al Decreto ministeriale 27 marzo 2009) Cod.

Denominazione varietale

Cod.

Denominazione varietale

Cod.

Denominazione varietale

Cod.

Denominazione varietale

501

Almeria B.

555

Conegliano Precoce N.

547

Matilde B.

586

Red Italia N.

502

Alphonse Lavallée N.

535

Corinto Nero N.

582

Maxia B.

527

Regina B.*

503

Angela B.

536

Corniola B.

548

Michele Palieri N.

528

Regina dei Vigneti B.*

504

Angelo Pirovano R.

597

Crimson Seedless RS.

516

Moscato d’Adda N.

584

Rubinia N.

505

Annamaria B.

578

Damina B.

517

Moscato d’Amburgo N.

552

Ruby Seedlees N.

559

Argentina RS.

572

Dawn Seedless B.

518

Moscato di Terracina B.*

569

Rutilia B.

560

Arizul B.

511

Delizia di Vaprio B.

563

Moscatuel RS.

544

S. Anna di Lipsia B.

596

Autumn Royal N.

550

Don Mariano N.

564

Nerona N.

529

Schiava Grossa N.*

585

Autumn Seedless B.

537

Emilia B.

577

Noah B.**

530

Servant B.

506

Baresana B.

512

Emperor N.

565

Noica RS.

592

Sugraeighteen B.®

591

Baresana RS.

579

Fiorenza B.

519

Olivetta Vibonese N.

553

Sugrafive B.

587

Black Pearl N.

538

Franca N.

543

Panse Blanche B.

593

Sugranineteen N.®

570

Blush Seedless RS.

539

Giovanna N.

520

Panse Precoce B.

594

Sugrasixteen N.®

549

Canner B.

589

Grapaes B.

566

Pasiga N.

595

Sugrathirteen N.®

507

Cardinal N.

513

Gros Vert B.

567

Patrizia RS.

554

Sugraone B.

561

Carina RS.

580

Helena B.

583

Paula B.

531

Sultanina Bianca B.

508

Catalanesca Bianca B.

562

Imperatrice RS.

521

Perla di Csaba B.

545

Teresita B.

571

Centennial Seedless B.

576

Isabella N.**

522

Perlette B.

532

Verdea B.*

509

Chasselas Dorato B.*

514

Italia B.

568

Perlon N.

575

Victoria B.

588

Christmas Rose R.

573

King Husainy B.

523

Perlona B.

546

Viola N.

510

Ciminnita B.

540

Lacrima di Maria B.

524

Pizzutello Bianco B.

590

Vitroblack 1 N.

534

Clotilde Prosperi B.

581

Lara B.

525

Primus B.

533

Zibibbo B.*

556

Conegliano 120 B.

515

Lattuario Nero N.

526

Prunesta N.*

557

Conegliano 213 B.

541

Liana N.

551

Red Flame N.

558

Conegliano 218 N.

542

Marsigliana N.

574

Red Globe RS.

* A duplice attitudine, da tavola e da vino ** A duplice attitudine, da tavola e a destinazione particolare

na varietà di vite è ammessa al Registro solo se è distinta, staU bile e sufficientemente omogenea. Le modalità tecniche impiegate nella effettuazione degli esami ufficiali per l’individuazione dei caratteri morfologici e fisiologici al fine di valutare l’identità, la stabilità e l’omogeneità della varietà sono state nuovamente 129


coltivazione Cloni omologati al Registro nazionale (aggiornamento al Decreto ministeriale 12 gennaio 2009) Selezione clonale e massale

• La selezione clonale iniziò a svilupparsi,

in Italia, negli anni ’70 con il principale obiettivo di fornire al comparto viticolo nazionale materiale vivaistico di identità certa, di caratteristiche agronomiche ed enologiche positive e sanitariamente sicuro. Di recente, anche per le varietà di uve da mensa, è stato pubblicato il Decreto 24 giugno 2008 che stabilisce il “Protocollo tecnico di selezione clonale”, che in pratica è essenzialmente fitosanitario. Sulle piante madri scelte, per determinate caratteristiche di base, esso prevede test sierologici ELISA e test biomolecolari (PCR) per l’accertamento dei virus: GFLV e ArMV, agenti della degenerazione infettiva della vite; GLRaV-1, GLRaV-2 e GLRaV-3, associati ai sintomi di accartocciamento fogliare; GVA e GVB, associati rispettivamente ai sintomi delle sindromi della scanalatura del Kober 5BB (Kober stem grooving = KSG) e della suberosi corticale (corky bark = CB) del complesso del legno riccio. Inoltre, sono previsti saggi biologici su viti indicatrici, quali Barbera, Cabernet sauvignon e Cabernet franc o altra Vitis vinifera sensibile, per determinare l’assenza dei sintomi di accartocciamento fogliare e sul portinnesto Kober 5BB per l’assenza dei sintomi della sindrome KSG • La selezione massale è, invece, l’individuazione di piante che, ritenute adatte per l’impiego prefissato, risultino prive di sintomi di malattie da virus al controllo visivo

Cod.

Denominazione varietale

Cod.

Cloni

501

Almeria B.

001

I - CRSA 157

506

Baresana B.

001

I - CRSA 91

Cardinal N.

001 002 003

I - ISV-VCR 24 I - ISV-VCR 26 I - CRSA 197

510

Ciminnita B.

001

I - CRSA 156

514

Italia B.

001 002 003 004 005

I - VCR 10 I - VCR 5 I - CRSA 118 I - CRSA 121 I - CRSA 124

515

Lattuario Nero N.

001

I - CRSA 277

547

Matilde B.

001 002 003

I - VCR 15 I - CRSA 132 I - CRSA 133

548

Michele Palieri N.

001

I - CRSA 229

527

Regina B.

001 002 003

I - ISV 6 I - ISV 9 I - CRSA 11

528

Regina dei Vigneti B.

001

I - CRSA 76

529

Schiava Grossa N.

001 002 003 004 005 006 007 008 009 010 011 012 013 014 015 016 017 018 019

I - LB 43 I - LB 19 I - LB 59 I - LB 83 I - LB 100 I - LB 40 I - LB 54 I - LB 50 I - 121 N I - 125 N I - SA 1 I - Rauscedo 2 I - Rauscedo 5 I - SMA 40 I - SMA 43 I - SMA 36 I - VCR 12 I - VCR 14 I - VCR 25

531

Sultanina Bianca B.

001

I - VCR 122

575

Victoria B.

001 002

I - CRSA 40 I - CRSA 41

507

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materiale di moltiplicazione stabilite dalla Direttiva 2004/29/CE della Commissione del 4 marzo 2004 che ha sostituito la vecchia Direttiva 72/169/CEE. Nel nostro Paese, i “requisiti da accertare, in sede di prove ufficiali, per l’esame delle varietà di viti, ai fini dell’iscrizione nel Registro nazionale delle varietà di vite” sono stati recepiti con Decreto del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali del 6 ottobre 2004 (in sostituzione del Decreto del 2 giugno 1981, di recepimento della prima Direttiva del 1972). I requisiti da accertare in sede delle prove ufficiali per l’esame delle varietà di uve da tavola comprendono: criteri minimi, quali descrizione ecologica di almeno due località in cui si eseguono le prove colturali di 24 ceppi possibilmente su portinnesti diversi, confrontando almeno tre annate di produzione; caratteri morfologici relativi a germoglio, cirri, foglia giovane, foglia adulta, tralcio legnoso, infiorescenza, grappolo e acino, caratteri fisiologici (fenologia) e colturali. Accertamenti pressoché simili vengono attuati per l’omologazione dei cloni di varietà di vite già iscritte, al fine di individuare i caratteri che li differenziano dalla varietà originaria. Il Registro viene aggiornato ufficialmente. L’organismo ufficiale a cui è affidato il compito di controllo e di certificazione è il Servizio Nazionale di Certificazione del materiale di moltiplicazione della Vite (SNCV), di recente istituito presso il Ministero. Il SNCV è costituito dall’Unità Nazionale di Coordinamento (UNC), che ha il compito di esprimere pareri su argomenti di carattere tecnico-scientifico e legislativo, di fornire indicazioni sulle modalità applicative delle direttive comunitarie e di predisporre protocolli operativi per i controlli a livello sia produttivo sia commerciale. L’UNC è supportata da una Segreteria operativa (SO). Nell’attuale contesto di riferimento comunitario, sia per gli sviluppi sociali sia per quelli economici e politici, acquisito il pa-

Registro nazionale delle varietà di vite

• Il Registro è composto dalle seguenti sezioni:

I - Vitigni a uve da vino II - Vitigni a uve da tavola III - Vitigni a destinazione particolare IV - Vitigni per portinnesto V - Varietà destinate alla produzione di materiale di moltiplicazione VI - Elenco Nuclei di premoltiplicazione viticola VIII - Elenco proponenti l’omologazione dei cloni

• La richiesta di iscrizione di una varietà

e/o omologazione dei cloni può essere presentata a domanda, da chiunque ne abbia interesse, o d’ufficio dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali. I richiedenti, o loro aventi causa, sono tenuti alla conservazione in purezza genetica e sanitaria

Vivaio di barbatelle innestate disposte su fila singola

Foto Vivai Rauscedo

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coltivazione rere favorevole della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, si è ritenuto importante armonizzare i metodi tecnico-legislativi della certificazione a livello nazionale; per cui, in modo particolare, al Ministero spetta il compito di emanare provvedimenti regolamentari del settore e di assicurarne il coordinamento oltre che di controllare e certificare i materiali di moltiplicazione di categoria “iniziale” e “di base”. L’opportunità di affidare a un organismo nazionale di riferimento quest’ultima specifica attività nasce dal fatto che questi materiali, all’apice della produzione vivaistica, grazie alle loro caratteristiche di pregio, genetiche e sanitarie, sono in grado di garantire un innalzamento del livello qualitativo della produzione vitivinicola per tutto il territorio italiano. Il Ministero per questa attività si avvale di strutture di ricerca da esso vigilate (come il CRA-Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura, nel quale è confluito l’ex Istituto sperimentale per la viticoltura di Conegliano, a cui era demandato il controllo della produzione e vendita dei materiali di moltiplicazione, prima dell’entrata in vigore del Decreto ministeriale del 2005). Alle Regioni e alle Province autonome, invece, competono il controllo e la certificazione dei materiali di propagazione, “certificati” e “standard”, per la realizzazione dei vigneti commerciali.

Vigneto di viti madri per il prelievo di marze della cultivar Italia B. Foto Vivai Rauscedo

Condizioni colturali e requisiti di qualità I controlli per garantire la qualità dei materiali di propagazione iniziano in campo, nei vigneti di viti madri e nei barbatellai. I tecnici ispettori devono verificare che siano soddisfatte le condizioni colturali relative all’identità della varietà e dei cloni e lo stato fitosanitario. In particolare, le viti madri sono considerate sanitariamente valide a produrre materiali di moltiplicazione (talee e nesti) se risultano esenti dagli agenti virali di gravi affezioni, quali il complesso della degenerazione infettiva, causata dal virus dell’arricciamento della vite (GFLV, Grapevine fanleaf virus) e dal virus del mosaico dell’Arabis (ArMV, Arabis mosaic virus), il complesso dell’accartocciamento fogliare, causato dai virus associati 1 e 3 (GLRaV-1 e GLRaV-3, Grapevine leafroll-associated viruses) e il complesso del legno riccio, causato dal virus A della vite (GVA, Grapevine virus A), quest’ultimo incluso solo nella legislazione italiana. Completa il quadro degli organismi nocivi di natura virale, l’agente della maculatura infettiva (GFkV, Grapevine fleck virus) di interesse soltanto per i portinnesti. Altre malattie non necessariamente causate da virus (ma da funghi: peronospora, oidio, botrite, mal dell’esca; da micoplasmi; da batteri come l’Agrobacterium ecc.) devono essere tenute sotto controllo per non danneggiare la qualità del legno. Le colture, quindi, sono soggette a ispezioni ufficiali, che si basano su controlli visivi delle espressioni sintomatologiche delle malattie, a cui verranno affiancate analisi diagnostiche, nei prossimi anni, periodicamente su tutte le piante madri destinate

Piante madri per marze “di base” allevate a contro-spalliera Foto Vivai Rauscedo

Screen house per la conservazione in purezza di viti madri per la produzione di materiali di moltiplicazione “di base”

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materiale di moltiplicazione a produrre materiali “iniziali” e “di base” o a campioni su quelle destinate a produrre materiali “certificati”. Le piante infette devono essere eliminate. Solamente per le piante madri destinate alla produzione di materiali “certificati” e “standard” sono ammesse, rispettivamente, tolleranze del 5 e del 10% dovute a fallanze o ceppi mancanti a seguito di problemi fitosanitari. La piantagione dei barbatellai, infine, non deve essere effettuata all’interno di vigneti sia a frutto sia di viti madri; la distanza minima di sicurezza richiesta è di 3 m. Il terreno o il substrato di coltura non devono risultare contaminati da nematodi vettori di virus; certamente il nematode maggiormente imputato nella trasmissione attraverso il suolo è lo Xiphinema index (vettore di GFLV), mentre si è appurato sperimentalmente che la diffusione naturale dell’ArMV è mediata da Xiphinema diversicaudatum. All’atto della commercializzazione, la qualità dei materiali di moltiplicazione è garantita qualora non vi siano inquinamenti varietali o clonali; solo per quelli appartenenti alla categoria “standard” è ammessa una tolleranza dell’1%; tutti i materiali devono possedere una purezza tecnica del 96%, ovvero materiali disseccati, avariati, contorti, lesionati (per esempio con danni da grandine o gelo) o rotti devono essere contenuti. Altri parametri qualitativi riguardano il diametro e la lunghezza, per i quali sono previste delle misurazioni minime. Devono possedere un apparato radicale ben sviluppato e la saldatura dell’innesto per le barbatelle innestate deve presentarsi adeguatamente solida e regolare, senza evidenti malformazioni.

Foto Vinea

Bionti legnosi (talea di portinnesto e nesto) pronti per l’innesto a omega

Foto Vinea

Particolare della macchina per innesto a omega

Vigneto di viti madri della cultivar Victoria B.

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coltivazione Confezionamento ed etichettatura La commercializzazione dei materiali di moltiplicazione è consentita solo se confezionati in imballaggi o mazzi chiusi ufficialmente. Le barbatelle innestate sono la tipologia di materiale che i viticoltori utilizzano principalmente per l’impianto dei loro vigneti; anche se in alcune aree di produzione di uva da tavola, per l’insufficienza di piante madri per marze (nesti) di nuove varietà, o per l’assenza di un vivaismo qualificato, l’innesto a dimora è piuttosto diffuso. Gli imballaggi o mazzi di questi materiali che comunemente si trovano in commercio sono costituiti da un numero minimo di pezzi di 25; comunque, la normativa consente il confezionamento di 50, 100 o multipli di 100, fino a una quantità massima di 500. A seguito delle procedure di certificazione, dal ricevimento e valutazione delle denunce di produzione, alle ispezioni in campo svolte a controllare che siano soddisfatte le condizioni colturali e la rispondenza del materiale ai requisiti di qualità, agli operatori vivaistici vengono rilasciate le etichette ufficiali o l’autorizzazione alla stampa delle stesse, come atto formale della certificazione. Con riferimento ai mazzi di barbatelle innestate, sulle etichette devono essere riportate, in modo indelebile e chiaramente leggibile, le seguenti informazioni: norme CE; Paese di produzione; servizio di certificazione o di controllo e Stato membro o loro acronimo; nome e indirizzo del responsabile della chiusura o suo numero di identificazione; specie; tipo di materiale; categoria; varietà e se del caso clone, sia del portinnesto sia del nesto; numero di riferimento del lotto; anno di coltura. Il colore dell’etichetta è bianco con un tratto diagonale violetto per i materiali di moltiplicazione “iniziali”, bianco per i materiali “di base”, azzurro per i materiali “certificati” e giallo scuro per

Rubinia N.: privativa comunitaria n. 10231 rilasciata il 18 novembre 2002, scade il 31 dicembre 2032 Foto S. Somma

Foto Vivai Rauscedo

Vitroblack 1 N.: la procedura per la privativa comunitaria è in corso (la domanda è stata depositata il 12 marzo 2004)

Mazzi di barbatelle innestate, commerciabili, regolarmente etichettate con cartellino bianco per la categoria “di base” e giallo scuro per la categoria “standard”

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materiale di moltiplicazione quelli “standard”. Le etichette sono apposte ai mazzi mediante un sistema di chiusura che si deve obbligatoriamente deteriorare all’apertura compromettendo anche l’integrità dell’etichetta stessa. L’uso normale dell’etichettatura, ai fini della tutela commerciale del consumatore finale, consente la tracciabilità dei mazzi di materiali di moltiplicazione presenti sul mercato; dalle etichette, infatti, è possibile, esaminando a ritroso la documentazione (domanda di controllo dei materiali, documenti fiscali, verbali di ispezione ecc.), valutare in che misura siano stati rispettati tutti i requisiti di conformità alla qualità richiesta.

Foto Vinea

Protezione dalle malattie di quarantena La produzione e la commercializzazione, in quanto semplicemente circolazione, dei materiali di moltiplicazione della vite sono inoltre soggette alle misure ufficiali contro la diffusione di organismi nocivi soggetti a quarantena, di cui alla Direttiva del Consiglio 2000/29/CE, attuata in Italia, dal Decreto legislativo n. 214 del 19 agosto 2005. I materiali di moltiplicazione della vite, in quanto vegetali, possono circolare solo se accompagnati dal cosiddetto passaporto delle piante. Il passaporto delle piante è costituito da un’etichetta ufficiale, la cui utilizzazione è subordinata ad autorizzazione rilasciata dal Servizio Fitosanitario Regionale a seguito di controlli ufficiali effettuati da ispettori fitosanitari. Nel corso degli ultimi due cicli vegeto-produttivi, nei campi di piante madri non devono essere stati osservati sintomi di malattie associate a fitoplasmi come la Flavescenza dorata (Grapevine Flavescence Dorée, MLO). Le viti sintomatiche devono essere estirpate. Dalle piante madri dichiarate conformi ai controlli viene prescritto il prelievo delle marze. Le informazioni del passaporto delle piante possono essere riportate anche sulle etichette di certificazione.

Particolare del germogliamento delle taleeinnesto in forzatura

Vivaio con file doppie di barbatelle innestate

Foto Vinea

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coltivazione Classificazione Le varietà di viti di uva da tavola, dopo un periodo di divieto (salvo deroghe) alla realizzazione di nuovi impianti, durato dal 1° settembre 1984 (Regolamento CEE n. 1208/84) al 31 agosto 1996 (Regolamento CE n. 1592/96), in Italia – come in tutti i Pae­si della Comunità europea – si possono coltivare liberamente. A decorrere dal 1° agosto 2000, il precedente Regolamento (CE) n. 1493/99, relativo all’Organizzazione Comune del Mercato vitivinicolo, disciplinando esclusivamente le varietà di vite da vino, aveva abrogato i Regolamenti CEE n. 822/87 e n. 2389/89 relativi alla classificazione comunitaria delle varietà di vite per unità amministrativa. Secondo questi ultimi Regolamenti, le varietà di vite, per essere coltivate e destinare la loro produzione al consumo, dovevano essere inserite in apposito elenco per ogni Paese membro, da approvare con regolamento, che le classificava per unità amministrativa tra le “raccomandate” o le “autorizzate”. In Italia, l’unità amministrativa per le varietà da tavola coincideva con il territorio delle Regioni. La non inclusione delle varietà di vite da tavola nella classificazione comunitaria è confermata nell’attuale Organizzazione Comune del Mercato vitivinicolo (OCM) di cui al Regolamento (CE) n. 479/2008 del Consiglio del 29 aprile 2008. Infatti, una varietà di vite da tavola (la cui produzione è dal 1996 soggetta alle norme di qualità dell’Organizzazione Comune dei Mercati nel settore degli ortofrutticoli – ex Regolamento CE n. 2200/96) può essere riconosciuta ufficialmente anche secondo i dettati tecnici dell’UPOV (Union Internationale pour la Protection des Obtentions Végétales). Tutti gli adempimenti previsti per gli esami dell’attitudine alla coltura sono decaduti; tutte le varietà di vite da tavola, nella Comunità europea, si possono coltivare liberamente, purché riconosciute come tali a qualsiasi titolo.

Red Globe Rs.: brevetto nazionale n. 1021 rilasciato il 18 dicembre 1992, scade nel 2022 Foto Vinea

Raffronto tra la normativa vivaistica e la protezione brevettuale L’obbligo dell’iscrizione al Registro delle varietà di vite dei vari Paesi resta esclusivamente per i vivaisti che vogliono produrre per commercializzare i relativi materiali di moltiplicazione (barbatelle innestate, nesti); mentre la tutela delle stesse con la richiesta di rilascio del brevetto è sempre facoltativa. Una stretta analogia fra le normative inerenti la commercializzazione dei materiali di moltiplicazione, ovvero l’iscrizione nel Registro di una nuova varietà, e la brevettabilità riguarda la descrizione dei caratteri morfologici e fisiologici per l’esame dell’identità, della stabilità e dell’omogeneità della varietà (DUS – Distinctness, Uniformity, Stability-tests). Ancora, sia il costitutore titolare del brevetto sia il proponente l’iscrizione della varietà o l’omologazione del clone al Registro hanno l’obbligo della conservazione in purezza.

Mazzi di barbatelle innestate temporaneamente conservate sotto terra

136


materiale di moltiplicazione Brevetti per nuove varietà vegetali In Italia la storia della tutela delle nuove varietà vegetali ha inizio con la prima Convenzione UPOV (Unione Internazionale per la Protezione delle Nuove Varietà Vegetali) del 1961. La convenzione viene ratificata con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 974 del 12 agosto 1975 e il successivo Decreto ministeriale 22 ottobre 1976 che stabilisce le norme di esecuzione. Un aspetto importante della prima normativa è la suddivisione dei compiti tra Ministero dell’Industria (oggi Ministero dello Sviluppo Economico) e Ministero dell’Agricoltura (oggi Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali). Il primo è deputato al ricevimento delle domande di tutela, alla successiva istruttoria, al rilascio dei titoli di protezione e alla gestione degli eventuali ricorsi. Diversamente, al Ministero dell’Agricoltura compete la funzione di accertare i requisiti sostanziali delle varietà (omogeneità, differenziabilità, stabilità e novità) e l’analisi di idoneità delle denominazioni proposte per le varietà da proteggere. In questa prima applicazione la norma viene prevista per un numero limitato di specie (grano, orzo, riso, mais, erba medica, trifoglio, rosa, garofano, vite e suoi portinnesti, pioppo). L’elenco delle specie sarà successivamente ampliato fino alla situazione attuale in cui ogni varietà, indipendentemente dal genere o dalla specie di appartenenza, è proteggibile. Il fatto che la gestione della norma sia affidata al Ministero dell’Industria determina una sorta di identificazione tra brevetto e titolo di protezione per nuove varietà vegetali. In effetti quest’ultimo andrebbe considerato come un titolo sui generis in quanto non riconducibile alle condizioni richieste per il brevetto industriale. Difatti non è richiesta né l’applicazione industriale del ritrovato (la nuova varietà vegetale) né la condizione di riproducibilità del procedimento

Tutela brevettuale

• Per il costitutore, ovvero colui che

ha creato o che ha scoperto e messo a punto una varietà, è importante fissare una data dalla quale decorrono i propri diritti alla tutela. Questa data coincide con il deposito della domanda di brevetto. La nuova varietà diventa di dominio pubblico anche con l’iscrizione al Registro nazionale, per cui è preferibile per il costitutore o suo avente causa adottare la prassi di anticipare la domanda di brevetto per una migliore tutela dei propri diritti. In tal modo si potranno proporre azioni di tutela anche per i materiali di moltiplicazione che circolano fra istituzioni pubbliche che hanno funzioni di controllo, che operano come uffici per gli esami tecnici per privativa comunitaria e che, quindi, rivestono la responsabilità di depositari

Particolare del punto d’innesto che si mostra ben saldato senza eccessive protuberanze

Foto Vinea

137


coltivazione di ottenimento del ritrovato. Ciononostante la nomenclatura utilizzata è quella di brevetto per nuova varietà vegetale e tale dicitura resterà in uso fino al 1998. I diritti che vengono conferiti al costitutore (al titolare per mantenere il parallelo con il brevetto industriale) con il brevetto di nuova varietà vegetale consistono nella facoltà esclusiva di “produrre per vendere, di porre in commercio e di introdurre nel territorio dello Stato materiale di propagazione o di riproduzione della nuova varietà brevettata. Tale

Varietà di uve da tavola: brevetti nazionali e domande di rilascio (elenco SIAN-MiPAAF) Varietà

Richiedente

Costitutore

Brevetto N.

Data rilascio

Black Pearl

Zanzivivai S.r.l.

Allan A. Corrin

281

10-12-84

Corrin Seedless

Zanzivivai S.r.l.

Allan A. Corrin

280

10-12-84

Aranel

Agri Obtentions S.A.

Wagner R.

773

12-02-91

Blush Seedless

University of California

Olmo Harold P.

1024

18-12-92

Centennial Seedless

University of California

Olmo Harold P. - Koyama Albert T.

1022

18-12-92

Christmas Rose

University of California

Olmo Harold P. - Koyama Albert T.

1023

18-12-92

Red Globe

University of California

Olmo Harold P. - Koyama Albert T.

1021

18-12-92

Sugrafive

Superior Farming Company

Hahn Luther C. - Maranto Joseph

1337

30-12-94

Sugraone

Superior Farming Company

Garabedian John M.

1338

30-12-94

Amandin

Agri Obtentions S.A.

Puoget Roger

1455

13-07-95

Aladin

Agri Obtentions S.A.

Puoget Roger

1456

13-07-95

Perdin

Agri Obtentions S.A.

Puoget Roger

1457

13-07-95

Dawn Seedless

University of California

Olmo Harold P. - Koyama Albert T.

1678

16-09-97

King Husainy

Zanzivivai S.r.l.

Mordechai Karniel

1745

16-09-97

Big Muscat Seedless

Vivai Cooperativi Rauscedo S.c.r.l.

Gargiulo Angel A.

In corso

Big Perlon

Vivai Cooperativi Rauscedo S.c.r.l.

Gargiulo Angel A.

In corso

Diamante

Vivai Cooperativi Rauscedo S.c.r.l.

Gargiulo Angel A.

In corso

Sublima Seedless

Vivai Cooperativi Rauscedo S.c.r.l.

Gargiulo Angel A.

In corso

Einset Seedless

Cornell Research Foundation

Watson J. e altri

In corso

Sugrathirteen®

Sun World International, Inc.

Cain David W.

In corso

Sugrasixteen®

Sun World International, Inc.

Cain David W.

In corso

Sugraeighteen®

Sun World International, Inc.

Cain David W.

In corso

Stinnicchiusu AB/3

Bruno Alfio

Bruno Alfio

In corso

Apulia

Agrisoil Research S.r.l.

Somma Stefano

In corso

Fonte: MiPAAF

138

Note


materiale di moltiplicazione facoltà esclusiva si estende alla produzione, al commercio, all’introduzione nel territorio dello Stato dei prodotti della nuova varietà vegetale brevettata quando la prevalente utilizzazione di essa si manifesti mediante vendita di piante, parti di piante e fiori destinati a uso ornamentale”. Il riconoscimento del titolo di protezione si realizza attraverso la verifica dei requisiti richiesti per la tutela della nuova varietà vegetale. Ovvero per il rilascio di un brevetto di nuova varietà vegetale è necessario che la varietà: sia sufficientemente omogenea, tenuto conto delle particolarità inerenti alla sua riproduzione sessuata o alla sua moltiplicazione vegetativa; sia stabile nei suoi caratteri essenziali, cioè rimanga così come è stata definita, anche dopo riproduzioni e moltiplicazioni successive, alla fine di ogni ciclo di riproduzione o di moltiplicazione; sia nettamente distinta da ogni altra varietà vegetale che risulti notoriamente conosciuta alla data in cui la protezione è stata richiesta; precedentemente al deposito della domanda la varietà non sia stata, con l’accordo del costitutore o del suo avente causa, oggetto di atti commerciali in Italia, né da oltre quattro anni, in qualsiasi altro Stato. Sulla base di tali condizioni si procede all’accertamento dei requisiti varietali. L’accertamento, demandato al Ministero dell’Agricoltura, è realizzato attraverso l’effettuazione di prove di campo. Nel caso in cui gli accertamenti conducano a un esito positivo si procede alla concessione del titolo la cui durata è prevista (D.P.R. n. 974/75) in quindici anni, a decorrere dalla concessione, che diventano trenta per le piante a fusto legnoso quali le viti, gli alberi da frutta e i loro portinnesti, le essenze forestali, gli alberi ornamentali. Nel 1978 si procede alla revisione della Convenzione UPOV del 1961 e, di conseguenza, le modifiche apportate vengono recepite nell’ordinamento nazionale con la Legge n. 620 del 14 ottobre 1985 e con il successivo Decreto ministeriale di attuazione del 26 febbraio 1986. Poche, in questo caso, le novità di peso che vengono introdotte nella disciplina generale. Si procede con il modificare il concetto di novità della varietà vegetale per la quale viene richiesto il titolo di protezione. Da questo momento la varietà è da considerare nuova se “precedentemente al deposito della domanda di brevetto non sia stata, con l’accordo del costitutore o del suo avente causa, oggetto di atti commerciali in Italia da oltre un anno né, in qualsiasi altro Stato, da oltre sei anni per la vite, gli alberi forestali, gli alberi da frutta e gli alberi ornamentali, ovvero da oltre quattro anni nel caso di altre piante”. Si introduce, in tal modo, quello che è comunemente conosciuto come anno di grazia. In altri termini il fatto che la varietà e i suoi materiali di propagazione siano stati oggetto di sfruttamento commerciale non impedisce la possibilità di ottenere un brevetto a meno che tali atti non siano avvenuti oltre un anno prima la presentazione della richiesta di brevetto. L’altro elemento di novità introdotto è quello relativo alla decor-

Contenuto del diritto del costitutore

• Art. 107 (Decreto legislativo n. 30/2005).

È richiesta l’autorizzazione del costitutore per i seguenti atti compiuti in relazione al materiale di riproduzione o di moltiplicazione della varietà protetta: a) produzione o riproduzione

b) condizionamento a scopo di riproduzione o moltiplicazione c) offerta in vendita, vendita o qualsiasi altra forma di commercializzazione d) esportazione o importazione e) detenzione per uno degli scopi sopra elencati

• L’autorizzazione è altresì richiesta

per lavori di miglioramento genetico per l’ottenimento di nuove varietà essenzialmente derivate dalla varietà protetta, definita varietà iniziale Foto Vinea

Talee-innesto paraffinate in cassa di forzatura

139


coltivazione renza degli effetti del brevetto. Difatti, in forza delle nuove disposizioni, gli effetti del brevetto decorrono dalla data in cui la domanda è resa accessibile al pubblico. Si arriva in tal modo al 1991, anno in cui la Convenzione UPOV è nuovamente soggetta a revisione. Molte sono le novità che vengono introdotte nella nuova convenzione e delle quali si dà una rapida carrellata. Per la prima volta su un testo normativo si fornisce la definizione di varietà. L’aspetto di maggior rilevo di tale evento è legato al fatto che la varietà viene a essere definita sulla base delle proprie caratteristiche fenotipiche in quanto, nel riportare le condizioni di omogeneità, stabilità e differenziabilità, si fa sistematicamente ricorso ai caratteri risultanti da un certo genotipo o da una certa combinazione di genotipi. Si amplia, inoltre, il campo di applicazione estendendo la possibilità di protezione a tutti i generi e specie vegetali. Si introduce, ancora, il concetto di varietà essenzialmente derivata, fornendone la relativa definizione. Nella nuova convenzione si amplia la portata del diritto del costitutore che viene esteso, in maniera sistematica, al prodotto del raccolto, ma solo nel caso in cui il costitutore non abbia potuto esercitare il proprio diritto in relazione al materiale di riproduzione o di moltiplicazione. L’estensione riguarda anche i prodotti di prima trasformazione ottenuti dal prodotto della raccolta, ma quest’ultima previsione è introdotta in maniera facoltativa. In tal senso ogni parte contraente può decidere se introdurre, o meno, tale disposizione nella propria legislazione. Anche in questo caso sarà valida la condizione che il costitutore non abbia potuto esercitare il proprio diritto in relazione al prodotto di raccolta. Inoltre, come disposizione a carattere facoltativo, viene introdotto il concetto di “privilegio dell’agricoltore” al fine di permettere agli agricoltori la possibilità di utilizzare, sulle loro proprietà, per motivi di riproduzione o di moltiplicazione, il prodotto della raccolta che hanno ottenuto coltivando la varietà protetta. Dall’altra parte si ribadisce che il diritto del costitutore non può essere oggetto di limitazione se non per motivi di pubblico interesse. Infine viene introdotto il concetto della protezione provvisoria prevedendo un’equa remunerazione del costitutore da parte di chi, nel periodo compreso tra il deposito della domanda per il conferimento di un diritto di costitutore o la sua pubblicazione e il conferimento del diritto medesimo, abbia effettuato atti che ricadono sotto l’autorizzazione del costitutore. È un elemento ricorrente quello che, da questo momento in poi, si parli solamente di diritti del costitutore. Questo atteggiamento provoca il conseguente cambiamento della nomenclatura determinando l’abbandono del termine brevetto che sarà sostituito da quello di privativa per nuova varietà vegetale. In questo quadro generale si inserisce il Regolamento (CE) n. 2100/94 relativo alla privativa comunitaria per nuove varietà vegetali. La disposizione comunitaria ripropone integralmente la disciplina tracciata dalla

Foto Vinea

Forzatura delle talee-innesto a inizio germogliamento Foto Vinea

Particolare dell’apparato radicale ben sviluppato e ben ripartito

140


materiale di moltiplicazione Elenco domande e privative comunitarie (fonte CPVO –­­Community Plant Variety Office) Denominazione varietale

Principale richiedente

N. privativa

Data rilascio

Afrodite

Zanzi Fruitgrowing Equipment s.r.l.

19931

16-Apr-07

Rubinia

C.R.A.-VIT

10231

18-Nov-02

Paula

C.R.A.-VIT

10234

19-Nov-02

Ralli Seedless

G & I Ralli & Sons PTY Ltd.

19940

16-Apr-07

Grapaes

Grapa Company Limited

19647

19-Mar-07

Prime

Agricultural Research Organisation (A.R.O.)

19942

16-Apr-07

Mystery

Agricultural Research Organisation (A.R.O.)

19941

17-Apr-07

Sugrathirteen

Sun World International LLC

21163

22-Oct-07

Sugrasixteen

Sun World International LLC

In corso: domanda del 14.03.00

Sugratwelve

Sun World International LLC

In corso: domanda del 15.03.00

Doria Seedless

Giordano Francesco

Nikoleta

Spinos Nikolaos

In corso: domanda del 12.03.02

Sugrafourteen

Sun World International LLC

In corso: domanda del 05.08.02

Sugraeighteen

Sun World International LLC

In corso: domanda del 05.08.02

20977

19648

8-Oct-07

Hobrevt

Häberli Obst-und Beerenzentrum Ag

Grapecous

Vitis Ltd

In corso: domanda del 10.04.03

19-Mar-07

Summer Royal

The United States of America

In corso: domanda del 27.01.04

Princess

The United States of America

In corso: domanda del 27.01.04

Sweet Scarlet

The United States of America

In corso: domanda del 17.02.04

Vitroblack 1

Vitroplant Italia s.r.l. Società Agricola

In corso: domanda del 12.03.04

B34 82

The United States of America

In corso: domanda del 28.09.05

Alval

INRA

Amgrapone

ARC Infruitec-Nietvoorbij

In corso: domanda del 03.02.06

25894

24-Aug-08

Blagraone

Antonio Muñoz y CIA SA

In corso: domanda del 08.02.06

Stefanie

Jörg Wolf

In corso: domanda del 15.02.06

Millennium

Ulrich Martin

In corso: domanda del 25.04.06

Primus

Ulrich Martin

In corso: domanda del 25.04.06

Sugranineteen

Sun World International LLC

In corso: domanda del 31.01.07

Autumn King

The United States of America

In corso: domanda del 27.08.07

ACS V 01

Luribay Business Inc.

In corso: domanda del 20.12.07

Sugrathirtytwo

Sun World International LLC

In corso: domanda del 29.04.08

Apulia

Agrisoil Research s.r.l.

In corso: domanda del 30.07.08

Danmarpa Polonia

Pawel Zakrzewski

In corso: domanda del 19.09.08

IFG Two

David W. Cain

In corso: domanda del 22.07.09

IFG One

David W. Cain

In corso: domanda del 22.07.09

L’elenco potrebbe non essere completo

Fonte: CPVO

141


coltivazione Convenzione UPOV del 1991. L’aspetto di maggiore risalto è legato alla nascita di un nuovo ufficio comunitario, il CPVO o UCVV (Ufficio Comunitario delle Varietà Vegetali), a cui è demandata l’applicazione della nuova disciplina comunitaria. Da un punto di vista concettuale ciò non introduce alcuna novità, ma sotto l’aspetto applicativo i cambiamenti sono rilevanti. Difatti la possibilità di poter ottenere, con un’unica domanda, una protezione cha ha effetto sull’intero territorio comunitario modifica, sostanzialmente, tutta l’attività degli uffici nazionali. Il primo impatto è stato quello di una notevole riduzione delle domande a livello di singola nazione e un vertiginoso aumento a livello comunitario. Tanto che oggi il vero riferimento per le privative è l’ufficio comunitario e non sono più gli uffici nazionali che sono stati in gran parte soppiantati dall’ufficio comunitario. L’ufficio comunitario ha, in sostanza, modificato l’impostazione dell’approccio sull’accertamento dei requisiti varietali. Esso non dispone di una propria struttura tecnica per l’effettuazione delle prove di campo e, pertanto, si avvale delle strutture già esistenti a livello nazionale che vengono individuate come uffici d’esame. In tal senso si è verificato una sorta di accreditamento delle strutture nazionali alle quali è stata riconosciuta la capacità di operare nel campo delle prove varietali. Da questa operazione l’Italia è uscita fortemente limitata essendo stata designata come ufficio d’esame per le specie del genere Prunus (pesco e susino), uva da tavola, frumento duro, riso e veccia. Le organizzazioni coinvolte sono state il CRA (Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura) con le strutture di ricerca che si oc-

Apulia Rs.: la procedura per la privativa comunitaria è in corso (la domanda è stata depositata il 30 luglio 2008)

142


materiale di moltiplicazione cupano di frutticoltura e di viticoltura e l’Ente Nazionale delle Sementi Elette (ENSE). Il CPVO ha provveduto a elaborare dei protocolli d’esame a cui bisogna far riferimento affinché l’esame delle varietà sia ritenuto valido. In particolare, detti protocolli prevedono una sezione riservata alla cosiddetta collezione di riferimento che rappresenta uno dei punti critici dell’intera procedura di valutazione delle nuove varietà. Ciò in quanto la collezione di riferimento dovrebbe rappresentare l’universo di tutte le varietà di una certa specie cui far riferimento sia per quanto concerne l’espressione dei caratteri da rilevare nel corso delle prove sia per la valutazione della differenziabilità. Il CPVO ha, ancora, emanato delle proprie linee guida per l’uso delle denominazioni varietali che sono state, successivamente, convertite in norma comunitaria con il Regolamento (CE) n. 637/2009. L’impatto del CPVO sulla situazione italiana è stato di alta incidenza; difatti, per citare un solo elemento, il numero delle domande di privativa nazionale si è drasticamente ridotto passando dalle circa 400-450 per anno fino al 1994 alle attuali 30-40 domande per anno. I principi contenuti nella convenzione UPOV del 1991, in sede nazionale, sono stati trasposti nel Decreto legislativo n. 455 del 3 novembre 1998. In tale provvedimento trovano applicazione le novità apportate dalla convenzione UPOV del 1991, ma con alcune eccezioni. Non si è data applicazione al principio del privilegio dell’agricoltore in quanto non adatto alle condizioni del nostro Paese a causa delle ridotte dimensioni dell’azienda agraria media. In ambito comunitario, col Regolamento n. 2100/94 il principio in questione è stato reso attuabile

Centennial Seedless B.: brevetto nazionale n. 1022 rilasciato il 18 dicembre 1992, scade nel 2022 Barbatelle in vasetti. La produzione di piante di vite in zolle, in vasi o in altri recipienti è a sua volta considerata come coltivazione di un barbatellaio

Foto Vivai Rauscedo

143


coltivazione con riferimento ai piccoli agricoltori, dove, con tali figure, si intendono gli agricoltori che utilizzano una superficie tale da poter attuare una produzione non superiore a 92 tonnellate di cereale. Tale misura sarebbe stata eccessiva se calata nella nostra situazione nazionale. Non si è data, ancora, attuazione all’estensione del diritto del costitutore previsto per i prodotti di prima trasformazione. Infine è stata modificata la durata del diritto prevedendo, dalla data di rilascio della privativa, 20 anni in genere e 30 per la vite e le altre piante arboree. Il quadro normativo nazionale, oggi, è profondamente variato rispetto al 1998 in quanto è stato emanato il Decreto legislativo n. 30 del 10 febbraio 2005, relativo al codice della proprietà industriale. Si tratta di una sorta di testo unico sui diritti di proprietà intellettuale nel quale sono state riprese tutte le disposizioni del precedente Decreto legislativo n. 455/98. Si è assistito, inoltre, a una sorta di omologazione tra privativa per nuova varietà vegetale e brevetto industriale. In tal senso alcune disposizioni tipiche del brevetto industriale sono state adottate anche per le novità vegetali. Per tutte valga l’esempio delle licenze obbligatorie per mancata attuazione laddove la Convenzione UPOV prevede che il diritto di costitutore può essere oggetto di limitazione solo per ragioni di pubblico interesse. Preme evidenziare che tutte le precedenti norme relative al settore in esame sono state abrogate dal Decreto legislativo n. 30/2005. Il Decreto legislativo n. 455/98 (poi inglobato nel Decreto legislativo n. 30/2005) si sarebbe dovuto usare come strumento di ratifica della Convenzione UPOV del 1991. In effetti è da ritenere che, attualmente, tale previsione non è possibile

Paula B.: privativa comunitaria n. 10234 rilasciata il 19 novembre 2002, scade il 31 dicembre 2032

Paraffinatura delle barbatelle innestate, confezionate in mazzi e pronte per l’etichettatura

Foto Vivai Rauscedo

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materiale di moltiplicazione in mancanza delle disposizioni applicative non ancora emanate; inoltre, con la previsione della norma di attuazione esiste la possibilità concreta che ci possa essere conflitto con la Convenzione UPOV per ciò che concerne le limitazioni all’esercizio del diritto del costitutore. In conclusione, è utile dare uno sguardo al recepimento della Direttiva 98/44/CE (attuata con il Decreto legge n. 3 del 10 gennaio 2006, poi convertito nella Legge n. 78 del 22 febbraio 2006) in tema di protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche. In questo contesto è da tenere presente che l’articolo 1 del Regolamento n. 2001/94 istituisce un sistema di privative come unica forma di proprietà industriale. Il successivo articolo 13 stabilisce la portata del diritto e prevede che lo stesso possa essere esteso al prodotto del raccolto. Il Decreto legge 10 gennaio 2006, che attua la Direttiva 98/44/CE sulla Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, all’articolo 8 prevede: “la protezione attribuita da un brevetto a un prodotto contenente o consistente in un’informazione genetica si estende a qualsiasi materiale nel quale il prodotto è incorporato e nel quale l’informazione è contenuta e svolge la sua funzione”. Ciò comporta una prima domanda: Anche in quello accidentalmente inquinato? Oltre a ciò si pone la possibilità di una doppia protezione sul materiale ottenuto da una varietà protetta: a) da una parte una privativa per nuova varietà vegetale; b) dall’altra un brevetto per invenzione biotecnologica. Tutto ciò andrebbe in contraddizione con la disposizione del citato articolo 1 del Regolamento n. 2100/94. Sarà interessante osservare quali soluzioni saranno adottate per rispondere a questi quesiti.

Sugraone B.: brevetto nazionale n. 1338 rilasciato il 30 dicembre 1994, scade nel 2024

Operazione meccanizzata di sterro delle barbatelle innestate che hanno subito il taglio dei tralci

Foto Vivai Rauscedo

145


l’uva da tavola

coltivazione Impianto Rosario Di Lorenzo,

Angelo Raffaele Caputo, Stefano Somma

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Impianto Introduzione Già dall’inizio del ’900 le varietà Baresana e Regina, provenienti da alcune regioni dell’Italia meridionale, si imponevano sui mercati europei primeggiando rispetto alle produzioni provenienti da altri Paesi concorrenti. Gli areali dell’Italia meridionale, in cui anche oggi si concentra la coltivazione italiana dell’uva da tavola, sono considerati da tempo territori vocati alla produzione di uva da tavola dalle inconfondibili e pregiate caratteristiche organolettiche, merito delle condizioni pedo-climatiche ottimali che vi si verificano. La scarsa piovosità, i venti asciutti durante il periodo estivo e, soprattutto, le caratteristiche pedologiche dei terreni sono sempre stati considerati elementi determinanti per il successo di questa coltura. I processi di concentrazione e di “meridionalizzazione” della coltura dell’uva da tavola hanno caratterizzato negli ultimi anni l’evoluzione del comparto per quanto riguarda la distribuzione geografica; infatti, oltre ad avere consentito una indubbia valorizzazione della vocazionalità ambientale delle aree del mezzogiorno d’Italia, con evidenti benefici per il risultato produttivo sotto l’aspetto quantitativo e qualitativo, sono coerenti con le moderne esigenze del marketing. Nel corso degli anni, la viticoltura da tavola si è trasformata profondamente diventando una coltura ad alto contenuto tecnologico (introduzione di nuove varietà e forme di allevamento, coperture con reti e film plastici, fertirrigazione, subirrigazione ecc.). La

Tipico profilo di terreno nel Barese prima dello scasso: franco di coltivazione di 20-40 cm su strato di roccia calcarea

Scasso a trincea effettuato a mano in terreno tufaceo nel Barese

146


impianto diffusione di macchine e mezzi tecnici ha consentito di espandere la coltivazione anche in areali non tradizionalmente destinati a tale coltura. In questo nuovo scenario, in fase di preparazione per l’impianto, deve essere posta particolare attenzione alla gestione del suolo. Le tecniche di lavorazione adottate, infatti, possono avere effetti determinanti sulla produttività della coltura e sull’ambiente; pertanto, le scelte in tal senso, sempre impostate sui criteri di sostenibilità dell’uso del suolo, saranno differenziate in relazione al tipo di terreno. In ogni caso l’obiettivo principale rimane quello di creare un ambiente favorevole all’attività radicale salvaguardando la fertilità del suolo.

Sostanza organica

• Per migliorare la nutrizione del vigneto

non è sufficiente dotare il terreno di soli elementi nutritivi, ma è molto importante anche il contenuto in sostanza organica, soprattutto nei terreni meridionali che, normalmente, presentano livelli di sostanza organica piuttosto bassi. Data la sua importanza, prima come ammendante e quindi per facilitare l’assorbimento di elementi importanti come il potassio e stimolare la vita biologica, è indispensabile procedere in pre-impianto a somministrazioni generose di sostanza organica, cercando di portare il terreno a un livello di sufficienza ottimale (2%), non facile da raggiungere. La valutazione del contenuto più adeguato in sostanza organica di un terreno è in funzione della tessitura, del pH (in terreni acidi la sostanza organica tende ad accumularsi) e della quantità di carbonati totali o calcio attivo. Un vecchio detto recita “il calcare brucia il letame”, quindi, tanto maggiore è la presenza di calcare, tanto più alta dovrebbe essere la dotazione di sostanza organica. Altri indicatori sono legati alla naturale mineralizzazione microbica, calcolabile con un coefficiente che è funzione della tessitura e del contenuto in carbonati totali e al livello di umificazione, utilizzando il rapporto carbonio/azoto (C/N), che in una situazione equilibrata dovrebbe essere intorno a 10

Preparazione dei terreni L’accertamento della vocazione viticola di un terreno, o semplicemente la sua idoneità, passa obbligatoriamente attraverso l’analisi del profilo del suolo e delle caratteristiche pedologiche (aspetti chimico-fisici del terreno). I terreni tradizionalmente utilizzati per la viticoltura da tavola sono quelli tufacei, calcarei, preferiti dai viticoltori per la minore resistenza offerta agli interventi manuali di scavo e di messa a coltura, ma soprattutto per le caratteristiche delle uve che, prodotti in questi suoli, presentano una migliore colorazione, una gradazione zuccherina potenziale maggiore, una più elevata facilità di ottenere produzioni precoci e, non ultimo, una migliore shelf-life. In seguito, con la diffusione di macchine per le lavorazioni del suolo, è stato possibile estendere la coltivazione dell’uva da tavola anche a suoli rocciosi, costituiti da calcare compatto e cristallino sotto un sottile strato superficiale di terreno nero o rossiccio. Negli ultimi decenni, sotto la spinta dei risultati economici che il vigneto di uva da tavola consentiva di ottenere e delle necessità di ampliare le aree di coltivazione, la coltivazione dell’uva da tavola si è diffusa anche ai terreni alluvionali: se il contenuto di componenti grossolane, di limo e di argilla, è elevato difficilmente si raggiungono risultati qualitativi elevati; soprattutto in termini di colorazione degli acini e di shelf-life dell’uva. Prima di iniziare le operazioni pre-impianto è importante effettuare un’attenta analisi pedologica, che riguarda sia gli aspetti fisici e chimici del suolo sia le caratteristiche idrauliche. Di particolare importanza è il profilo in termini di uniformità, profondità e distribuzione di eventuali orizzonti. Nei terreni tufacei, attualmente si effettua, prima dell’impianto, uno scasso totale alla profondità variabile fra 100 e 150 cm, avendo cura di non scendere ulteriormente in profondità al fine di evitare di portare in superficie strati eccessivamente dotati di calcare, poveri di elementi nutritivi e con valori di pH superiori a 8,5. Nei terreni rocciosi è richiesto, invece, il costoso impiego di macchine molto potenti, quali ruspe, benne e martelloni pneumatici, necessarie per smuovere lo strato roccioso fino alla profondità media di 1 m. Successivamente le rocce affioranti vengono fran147


coltivazione Esempio di analisi di terreno in tre ambienti pugliesi tipici per la coltivazione di uva da tavola Analisi fisico-meccanica

Nord-barese Barletta

Sud-barese Noicattaro

Metaponto Castellaneta

Sabbia (g/kg)

730

679

872

Limo (g/kg)

130

140

32

Argilla (g/kg)

140

181

96

Tessitura

franco-argilloso

franco-argilloso

sabbioso-franco

pH (in acqua)

8,16

8,10

8,11

Conducibilità elettrica (microSiemens/cm)

221

167

241

Salinità ‰

0,3

0,2

0,3

Carbonio organico (C.O.) (g/kg)

6,8

9,4

5,7

Sostanza organica (S.O.) (g/kg)

11,6

16,1

9,8

Calcare attivo (g/kg)

62

44

15

Azoto totale (N) (g/kg)

0,4

0,7

0,2

Fosforo assimilabile (P2O5) (mg/kg)

48,6

32,8

32,9

Potassio scambiabile (K) mg/kg

432,7

394,6

253,5

Magnesio scambiabile (Mg) (mg/kg)

413,0

243,0

304,6

Calcio scambiabile (Ca) (mg/kg)

3618,6

3246,1

2004,4

Sodio scambiabile (Na) (mg/kg)

88,1

38,9

79,2

Ferro scambiabile (Fe) (mg/kg)

9,2

6,3

6,1

Manganese scambiabile (Mn) (mg/kg)

9,4

13,9

10,9

Rame assimilabile (Cu) (mg/kg)

2,6

2,3

2,7

Elementi nutritivi

Zinco assimilabile (Zn) (mg/kg)

0,4

3,9

1,6

Boro solubile (B) (mg/kg)

0,51

0,49

0,43

Basi di scambio

meq/100 g

% C.S.C.

meq/100 g

% C.S.C.

meq/100 g

% C.S.C.

Potassio

1,1

4,6

1

5

0,6

4,7

Magnesio

3,4

14,4

2

10,1

2,5

18,4

Calcio

18,1

75,8

16,2

80,8

10

72,8

Sodio

0,4

1,6

0,2

0,8

0,3

2,5

Capacità di scambio (C.S.C.)

23,9

20,1

13,8

Parametri agronomici (Rapporti) Carbonio/Azoto (C/N)

17

13,4

28,5

Magnesio/Potassio (Mg/K)

3,1

2,0

3,9

Analisi eseguite secondo Metodiche Ufficiali (D.M. 13.09.1999 in G.U. n. 248 del 21.10.1999)

148


impianto tumate in loco attraverso più passaggi e miscelate con la terra fina. Si ottengono di solito terreni ricchi di scheletro, dotati di un pH intorno a 8, con un buon contenuto di elementi nutritivi e modesta ritenzione idrica. I terreni delle pianure alluvionali possono avere caratteristiche diverse. Si tratta, in genere, di suoli con elevata presenza della componente argillosa, a volte poveri di calcio scambiabile, spesso soggetti a fenomeni di risalita di falda. Per ottimizzare le caratteristiche di questi suoli si ricorre sovente a veri e propri interventi di “ricostruzione” (frantumazione di detriti rocciosi in loco, trasporto di pietrisco, trasporto di terre provenienti da scavi o da depositi fluviali, sbancamenti ecc.); l’intensità degli interventi portano a definire i suoli, dopo gli interventi, “antropizzati”. Considerati i risultati economici che oggi si ottengono nella viticoltura da tavola, tali suoli che richiedono interventi radicali sempre più raramente vengono destinati alla coltura; peraltro non sempre i risultati ottenuti sono soddisfacenti. Bisogna accuratamente evitare la formazione di aree eterogenee all’interno del vigneto che danno luogo a disomogeneità di attecchimento e di sviluppo delle piante compromettendone il potenziale vegeto-produttivo con gravi ripercussioni sulla redditività del vigneto. In fase di pre-impianto è opportuno prevedere sistemazioni idraulico-agrarie che evitino i ristagni idrici e che, per terreni declivi anche con pendenze molto lievi, riducano il rischio erosivo. Durante i lavori preparatori e durante le successive fasi di amminutamento e di affinamento, particolare attenzione va riservata al fenomeno del calpestio delle macchine che può dar luogo, in modo differenziato in relazione al tipo di suolo e all’epoca di esecuzione dei lavori, a fenomeni di compattamento del terreno alterandone la struttura e compromettendo l’aerazione e il drenaggio. Nei casi in cui si voglia favorire il drenaggio, in suoli con strati profondi

Clima, suolo e qualità dell’uva

• È noto che la vite è una pianta

potassofila ed eliofila. In Italia, la radiazione globale è compresa tra le curve d’isovalori di 120 e 160 kcal/cm2 anno; in Puglia si riscontrano valori molto alti, di poco inferiori ai massimi che si rinvengono in Sicilia. Tali condizioni rispondono pienamente alle esigenze della vite. Soleggiamento e suoli con buone dotazioni di carbonati di calcio e magnesio conferiscono all’uva colorazioni più intense. Il calcio presente nel terreno, agendo come cementante nelle membrane cellulari, migliora le caratteristiche di croccantezza e serbevolezza; il potassio, in combinazione con calcio e magnesio prontamente assimilabile, favorisce positivamente l’accumulo degli zuccheri nell’acino e un’equilibrata degradazione dell’acidità. A maturazione, la sensazione che deriva da un giusto rapporto zuccheri/acidità totale è una delle caratteristiche più apprezzate dal consumatore

Scasso, rottura di roccia calcarea con martello pneumatico Inizio operazione di scasso con ripuntatore in terreno alluvionale

149


coltivazione compatti e impermeabili evitando il riporto in superficie di strati di accumulo profondi, soprattutto laddove si siano utilizzate acque non ottimali per l’irrigazione, si procede alle lavorazioni utilizzando attrezzi discissori. Discorso a parte meritano le lavorazioni del terreno nei casi sempre più frequenti di reimpianto. La pratica del reimpianto incontra ampia diffusione perché consente un significativo abbattimento dei costi in termini di preparazione dei suoli e di costi per la realizzazione delle strutture del tendone. Per lo stesso motivo vi è la tendenza a non rispettare i tempi di riposo ma si tende a reimpiantare immediatamente. Il reimpianto su terreni già vitati comporta grossi rischi, soprattutto sotto l’aspetto sanitario, dovuti all’insorgenza di marciume radicale di origine fungina determinato da Armillaria, alla diffusione di virosi favorite dalla presenza di nematodi vettori, tipo Xiphinema index, e all’insorgenza di malattie fungine tipo Mal dell’Esca. Si tratta di importanti patologie che compromettono la durata del vigneto e la qualità dell’uva prodotta. Nei casi di reimpianto è, quindi, indispensabile effettuare uno scasso totale al fine di assicurare la totale pulizia del suolo da residui della coltura precedente (radici ecc.) e di limitare la diffusione di focolai di Armillaria. È necessario, inoltre, verificare la “sanità” del suolo con particolare riferimento alla carica nematologica e all’individuazione delle specie vettori di virus della vite.

Roccia dopo la rottura con scasso

Profilo di terreno in un’area vocata per la coltivazione dei vigneti da tavola in agro di Canicattì (Sicilia) ORIZZONTI

Ap11

Ap12

Ap13

C

Profondità (cm)

0-20

20-50

50-100

100-150

Scheletro (%)

30

30

50

50

H2O igroscopica

5,4

6,0

5,8

6,0

Sabbia (%)

45,9

50,5

52,0

45,3

Limo (%)

29,2

30,9

28,1

31,6

Argilla (%)

24,9

18,6

19,9

23,1

Sostanza organica (%)

2,64

1,55

1,33

0,95

Carbonio/Azoto (C/N)

11

9

10

7

pH (in acqua)

7,6

7,9

8,0

8,1

CaCO3 totale (%)

49,2

55,2

53,2

60,0

CaCO3 attivo (%)

10,55

11,37

12,12

12,12

P2O5 assimilabile (ppm)

137

130

116

75

K2O assimilabile (mg/kg)

9,62

3,22

0,41

0,41

Conducibilità elettrica (CE a 25 °C)

408

139

110

121

150


impianto Una problematica emergente in quasi tutti gli ambienti di coltivazione è rappresentata dalla disponibilità di acqua per l’irrigazione e dal costo di distribuzione e dall’impiego di acque irrigue subottimali. Si tratta soprattutto di acque che presentano valori di salinità totale anche superiori a 2-2,5 g/l (per esempio nel Nord barese), provenienti da falde artesiane soggette a fenomeni di intrusione di acqua marina a seguito dell’eccessivo emungimento. L’impiego di tali acque costituisce un rischio per la coltura e, in modo più insidioso e duraturo, per la fertilità del suolo. Il rischio è più accentuato quando il terreno viene compattato dal passaggio delle macchine e presenta problemi di struttura con una significativa presenza della componente argillosa. In tutti questi casi l’impiego di acque di cattiva qualità compromette la permeabilità del suolo e riduce la circolazione dell’aria e dell’acqua fino a provocare fenomeni di asfissia. Queste condizioni vanno attentamente valutate e, nelle condizioni più difficili, è opportuno non procedere con l’impianto del vigneto. In molti areali di coltivazione dell’uva da tavola sono frequenti terreni con pH sub-alcalini o alcalini che riducono l’assimilabilità dei nutrienti riducendo l’efficacia anche degli apporti di concimi. In tali casi, così come nei più limitati casi di pH bassi, bisogna individuare gli interventi correttivi più idonei (uso nelle concimazioni di formulati più adatti al pH del terreno). Il livello di calcare attivo, insieme ad altri parametri come il rischio salinità, la tessitura, la disponibilità di acqua e la sua qualità ecc., è un parametro importante ai fini della scelta del portinnesto. Per la scelta del portinnesto, peraltro, un aspetto importante è rappresentato dalla tendenza, come detto, sempre più frequente, di procedere al reimpianto senza lasciare il terreno a riposo. In tal senso, la scelta dei portinnesti sensibili alla “stanchezza del terreno” quali quelli in genere poco vigorosi come il 34 EM, non è opportuna. Nella maggior parte dei casi, dopo le lavorazioni di pre-impianto, si rendono necessari apporti organici. L’interramento di sostan-

Analisi del terreno

• L’adattabilità della vite in rapporto alle

condizioni fisico-chimiche del terreno è notevole; tuttavia, come tutte le piante coltivate, per avere sviluppo e produzione di qualità deve riscontrare una certa quantità di elementi nutritivi, soprattutto al momento dell’impianto

• Importante, è tener presente le

asportazioni di elementi nutritivi di un vigneto. Per esempio, per lo sviluppo di foglie, tralci e produzione di 100 quintali di prodotto di uva da tavola si hanno le seguenti asportazioni di elementi: N (25-35 kg/ha) P (3-7 kg/ha) K (30-45 kg/ha) Ca (40-60 kg/ha)

• L’analisi del terreno, quindi, permette di determinare le quantità e la composizione ottimale di concimi, ammendanti e correttivi da somministrare pre-impianto

Preparazione del terreno a salvaguardia del paesaggio pugliese Amminutamento delle pietre

151


coltivazione za organica sull’intera superficie svolge un’importante azione ammendante migliorando, come è noto, la struttura, arricchendo il suolo di siti di scambio e causando una poligenicità della microflora e microfauna del suolo, accrescendo quindi la fertilità agronomica del terreno. La conoscenza degli indici di disponibilità dei nutrienti, correlata agli altri dati analitici, è fondamentale ai fini della concimazione di fondo prima dell’impianto con la quale si apporteranno al suolo i nutrienti meno mobili come fosforo, potassio, magnesio. Nei terreni tendenzialmente sciolti o con ridotta presenza di argille, con bassa capacità di scambio, la concimazione di fondo non sarà efficace perché prevarranno fenomeni di dilavamento. In tali terreni, quindi, la somministrazione dei nutrienti avverrà successivamente all’impianto, con modalità differenti a seconda dei casi. Completati i lavori di impianto bisognerà compiere delle scelte importanti relative al tipo di materiale di propagazione da utilizzare (barbatella innestata o selvatica), alla densità di impianto, al portinnesto, alla cultivar e alla forma di allevamento. Nel comparto dell’uva da tavola è in uso effettuare l’innesto in campo, nella convinzione di ottenere piante più vigorose e maggiore uniformità. Nella scelta dell’uso della barbatella selvatica pesa, anche, la carenza di un vivaismo italiano poco attento alle esigenze della dinamicità varietale che caratterizza il comparto. Inoltre, nel caso della barbatella innestata la scelta delle varietà dovrebbe essere effettuata dal viticoltore con un anno di anticipo.

Colori della terra di Puglia

Impianto In regioni come Puglia e Sicilia, che appartengono a una vasta area del bacino mediterraneo sud-orientale caratterizzato da un clima marittimo temperato, per un regime di precipitazioni invernali e aridità estiva con elevata insolazione, l’epoca migliore per

Cantiere per lo scasso: all’opera martello pneumatico e benna

Particolare di suolo lavorato con abbondante presenza di scheletro, pronto per la messa a dimora delle barbatelle (Canicattì, AG) Martello pneumatico e frangipietre in cantiere all’opera

152


impianto la piantagione va da fine autunno (dicembre) a inizio primavera (marzo). Il periodo è ottimale per l’utilizzo sia di barbatelle innestate sia di barbatelle franche; queste ultime saranno successivamente innestate a dimora in agosto-settembre, nel caso di innesti a gemma, o in marzo-aprile per gli innesti a spacco con marze a uno o più generalmente a due occhi. La messa a dimora fondamentalmente si può attuare in due modi: in buche (a mano o con trivella meccanica) o in piccole trincee (solchi) oppure forzando nel terreno con una forcella. In quest’ultimo caso, per evitare che le radici si ricurvino, la recisione delle stesse dal punto di inserzione è più severa (1-2 cm) rispetto alla prima tecnica che consente, invece, di mantenere una maggiore lunghezza delle radici (circa 10 cm), per una migliore distribuzione nel terreno e successivo sviluppo. La forma di allevamento propria per l’uva da tavola è senz’altro il tendone. Le distanze d’impianto sono generalmente in relazione alle condizioni eco-pedologiche e, soprattutto, alla vigoria e fertilità dei vitigni. Per varietà poco vigorose, ma fertili, si possono adottare sesti più stretti; tuttavia, è la meccanizzazione delle operazioni colturali a determinarne la distanza: quelle ottimali – per il tendone – variano tra 2,2 e 3 m, tra le file, e 2,5 e 3, sulla fila, con densità di circa 1100-1800 ceppi per ettaro. Negli ultimi anni in alcuni comprensori vocati alle produzioni anticipate (per esempio in Sicilia), si è affacciata una nuova tendenza volta ad aumentare il numero di piante a ettaro, in particolare per varietà piuttosto fertili. Vigneti da tavola con 2600 o 3200 piante a ettaro, realizzati aumentando il numero di piante sulla fila, consentono di ottenere, sin dai primi anni di vita del vigneto, produzioni di qualità intorno ai 400 q; questa tipologia di impianto comporta un adeguamento degli impianti di microirrigazione e delle lavorazioni tradizionali del terreno indirizzato verso l’adozione di tecniche di minima lavorazione e di trinciatura dei sarmenti.

Barbatelle selvatiche a dimora, prima dell’innesto, in un tendone con struttura in pali di castagno

Tendone realizzato con barbatelle innestate, in fase di accrescimento, nello stesso anno di piantagione

Sviluppo superficiale di radici in terreno preparato e sub-irrigato

Esempio di terra bianca idonea per favorire la colorazione dell’uva. Vigneto della cultivar apirena Centennial (Mazzarrone, CT)

153


l’uva da tavola

coltivazione Forme di allevamento Donato Antonacci

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Forme di allevamento Introduzione Nella viticoltura da mensa, la forma di allevamento deve consentire la migliore utilizzazione delle risorse ambientali (luce, acqua, terreno), in modo da rendere possibile il conseguimento di adeguati standard quanti-qualitativi della produzione. Gli obiettivi conseguibili con la migliore scelta della forma di allevamento si possono così riassumere: – ottimizzare la captazione dell’energia solare e quindi una maggiore efficienza nell’attività fotosintetica e nella ripartizione degli elaborati nella pianta; – massimizzare le caratteristiche genetiche della varietà per gestirne al meglio le potenzialità produttive (per esempio differenziazione a fiore, allegagione e maturazione); – consentire la meccanizzazione delle operazioni colturali per limitare i costi di produzione. – un’adeguata distribuzione nello spazio e un razionale carico di gemme per pianta; – favorire condizioni micro-climatiche che permettano un miglior controllo delle malattie parassitarie. Rispetto alla fotosintesi, c’è da ricordare che della radiazione incidente in linea di massima solo l’1% viene convertito in fotosintetati, anche perché solo poche foglie si trovano in pieno sole. Affinché vi sia una maggiore produzione di zuccheri, la forma di allevamento deve consentire ampie superfici fogliari esposte, riduzione dell’energia persa sul terreno, architetture fogliari di ridotto spessore per limitare il numero di foglie poco illuminate, migliore condizione di microclima per la fotosintesi (temperatura, umidità). In base alle potenzialità della cultivar, ognuna di questa presenta

Importanza della forma di allevamento

• La forma di allevamento condiziona in

maniera determinante la disposizione relativa delle foglie e dei grappoli, la carica di gemme per ceppo e per ettaro, il sistema di potatura, la suscettibilità verso una maggiore meccanizzazione delle operazioni colturali, la messa in opera di sistemi di forzatura (anticipo e posticipo della raccolta) e di protezione da eventi climatici calamitosi (grandine, vento, pioggia), la creazione di un microclima che condiziona la suscettibilità a patogeni e di conseguenza le esigenze della difesa fitosanitaria. Inoltre, entro determinati limiti, può consentire di esaltare o contenere alcune tendenze imposte dall’ambiente in cui si opera

Vigneto a tendone realizzato con pali in legno di castagno

Foto S. Somma

154


forme di allevamento delle differenze di comportamento di tipo morfologico e fisiologico, che il sistema di allevamento deve assecondare. Un esempio nell’uva da tavola si ha per quelle varietà, soprattutto apirene, caratterizzate da una bassa fertilità delle gemme basali, per le quali sono da sconsigliare sistemi di potatura corti. La forma di allevamento, inoltre, deve consentire grappoli liberi dalla vegetazione, ma protetti dall’insolazione diretta, che potrebbe arrecare ustioni agli acini, e distribuiti in modo regolare in un corretto equilibrio con la superficie fogliare foto-sintetizzante. In funzione degli aspetti esaminati, è possibile suddividere le forme di allevamento in diversi modi: 1) a seconda dell’altezza del fusto: – bassa (fino a 0,8-1,2 m), come alberello, Guyot, cordone speronato; – media (da 1,2 a 1,6 m), come Sylvoz, Casarsa, cordone libero; – alta (oltre 1,6 m), come raggi, pergole a tetto obliquo, pergole a tetto orizzontale (tendone, parral); 2) a seconda del tipo di potatura: – corta, come alberello, cordone speronato, cordone libero, GDC; – mista, come Guyot e Casarsa; – lunga, come Sylvoz, pergole e tendone; 3) a seconda dell’espansione vegetativa: – f orme contenute; – f orme espanse. Sia le forme contenute sia quelle espanse permettono di praticare un sistema di potatura corto o lungo, con un’adeguata carica di gemme, che in considerazione della distribuzione influenza il sesto di impianto e, conseguentemente, il numero di ceppi per ettaro e la loro distribuzione sulla superficie. È chiaro che la forma di allevamento condiziona il metabolismo delle piante e conseguentemente l’equilibrio vegeto-produttivo, per il quale risulta importante la disposizione delle foglie rispetto all’uso delle risorse climatiche, e la posizione dei grappoli, che devono essere ben separati in modo da avere un buon arieggiamento e lo spazio giusto per effettuare gli interventi di diradamento, necessari per conseguire uno standard quanti-qualitativo adeguato. La migliore disposizione dei grappoli, inoltre, permette la maggiore efficacia della loro protezione dai parassiti e, pertanto, la diminuzione del fabbisogno di interventi di difesa, migliorando la sostenibilità della produzione, senza trascurare i riflessi sul costo di produzione. In viticoltura da mensa, in Italia, le forme di allevamento praticate si possono raggruppare in quattro categorie che, in ordine di espansione crescente, sono: –a d alberello; –a controspalliera; – a pergola a tetto disunito o pergoletta; – a pergola a tetto unito o tendone. Le prime due forme, molto utilizzate nel lontano passato, sono attualmente poco diffuse. In passato in Sicilia, precisamente nella

Tutori in legno

• I pali in legno sono stati, fino a una

trentina di anni fa, i tutori per viti più diffusi

• Tradizionalmente veniva usato il palo di

castagno, il cui punto debole è la facile deperibilità per marciume e attacco di parassiti animali e vegetali, ma poi, con l’isolamento dal terreno con basette di pietra o di calcestruzzo, la durata è diventata soddisfacente (generalmente pari a quella del ciclo vitale del tendone, con sostituzioni del 10-15%)

• I vantaggi dei pali in legno sono dati

dalla leggerezza, dalla facilità con cui si fissano i fili di ferro, dalla facilità con la quale vengono rimessi a posto nel caso di spostamenti durante i lavori colturali e infine dalla convenienza economica

• Il palo deve essere dritto, scortecciato,

di spessore uniforme. Oggi i pali più utilizzati sono di pino trattato, pino marittimo, castagno, con diametri variabili, in testa, da 6-8, 8-10, 10-12, 12-14 cm. Ogni tipologia di palo può essere lavorata nelle tipologie tornito o scortecciata. Le lunghezze solitamente disponibili sono di 2,00-2,25-2,50-2,753,00-3,50 m

155


coltivazione zona di Mazzarrone, la forma ad alberello è stata utilizzata per la varietà Alphonse Lavallée, con viti allevate a 2-3 branche, ognuna con 1-2 speroni, con vegetazione legata a un palo. Sempre in Sicilia, nella zona di Vittoria e Mazzarrone, per la varietà Cardinal è stata praticata la controspalliera, sfruttata per la forzatura per l’anticipo della raccolta mediante l’uso di teli di plastica. Questa struttura è composta da pali infissi nel terreno ogni 6-10 m, che portano 3 fili di ferro a differenti altezze da terra, il primo a 50-80 cm, il secondo a 30-40 cm dal primo e il terzo a 30-40 cm dal secondo. Le viti vengono potate a cordone speronato o a Guyot. Queste forme di allevamento, compresa la pergoletta, sono indicate per ambienti piuttosto poveri, con ridotti apporti idrici, per cui la vite non può avere molta vigoria. Le forme contenute hanno dati ottimi risultati per la coltivazione della Baresana in Puglia. In Italia, lo sviluppo della viticoltura per la produzione di uva da tavola ha ricevuto un importante contributo dalla realizzazione del sistema di allevamento a pergola a tetto orizzontale, chiamato tendone, con alcune modifiche apportate nel tempo (sistema Puglia). Tale sistema di allevamento, sviluppatosi particolarmente in Puglia, è caratterizzato da sesti ampi e sviluppo orizzontale della vegetazione. Attualmente, il sistema di allevamento più diffuso è quello denominato tendone a doppio impalco tipo Puglia, modificato realizzando il doppio impalco e per consentire superiormente l’apposizione di teli plastici per la coltivazione protetta. Tale sistema si è diffuso per gli innumerevoli vantaggi (elevata captazione dell’energia radiante, separazione fra produzione e vegetazione, facilità di attraversamento nei due versi da mezzi e persone, adattabilità alla coltivazione protetta per anticipo e posticipo della raccolta ecc.). Di seguito, alcuni aspetti specifici per forme di maggiore interesse in Italia.

Foto S. Somma

Tendone in produzione

Alberello pugliese della cultivar Baresana nella zona di Castel del Monte

Foto S. Somma

156


forme di allevamento Pergoletta La forma di allevamento a pergoletta ha avuto un certo interesse negli anni ’80-’90, iniziata a diffondersi tra i nostri viticoltori allorquando questi, per produrre per l’anticipo e il posticipo con l’ausilio di teli di plastica, necessitavano di una forma di allevamento che agevolasse queste tecniche. Questa forma si presta anche all’uso di macchine agevolatrici della raccolta. Per realizzare la pergoletta, nella pratica possono essere utilizzate diverse sagome (circolari, triangolari ecc.) per sostenere i fili di ferro disposti in due palchi; tutte servono per consentire l’applicazione dei capi a frutto sul palco inferiore, mentre l’apparato fogliare si dispone nella parte superiore. Per questa forma si utilizzano sesti d’impianto, numero di ceppi per ettaro e carichi di gemme molto simili a quelli del tendone. C’è una difficoltà maggiore nella gestione del verde allorquando si ha a che fare con varietà vigorose, che può portare

Storia dei pergolati

• L’allevamento a pergola ha

accompagnato la storia della viticoltura. Diversi sono gli esempi di grandi pergole in tutte le regioni viticole italiane e straniere. Si ricordano le grandi pergole di Pombia (NO), che nel 1910 avevano 3 secoli di vita, una circonferenza di 1,5 m e coprivano una superficie di 1000 mq, come pure a Cavaglià (VC) dove è stata rinvenuta una pergola di circa 450 anni che produceva circa 5 q di vino

Sagoma tonda per pergoletta a doppio impalco tipo Puglia (a sinistra) e sagoma triangolare per pergoletta a doppio impalco tipo Puglia (a destra)

4

4

6 80

cm 150

cm 150

5

5

6

8

9 cm

7

diffusione dei pergolati è la Puglia, in prevalenza nelle province di Bari e Taranto, con una pergola a tetto orizzontale denominata tendone in Puglia e Lazio e capanna in Abruzzo. Sono strutture simili ai parrales spagnoli praticati in Almeria

cm 20 cm 20

3

• La regione che vanta la maggiore

3

2

cm

di Gattinara e Carema in Piemonte, di Albenga e Pietraligure a Savona, nei Castelli romani in Lazio

cm 7 1

cm 7

2

• Si devono ricordare vecchi pergolati

80 10

• I primi impianti di pergolati sorsero

in Abruzzo nelle province di Chieti, Teramo e Pescara verso la fine del 1800

7

1 – Filo di ferro n. 8; 2 – Filo di ferro n. 14; 3 – Filo di ferro n. 14; 4 – Filo di ferro n. 14; 5 – Filo di ferro n. 16; 6 – Filo di ferro n. 16; 7 – Filo di ferro n. 16

(Tunisia ecc.) ancora negli scorsi decenni era possibile ritrovare dei pergolati a tetto orizzontale realizzati, come quelli ancestrali, con l’ausilio di sole canne

cm 70

cm 70

• Sulla costa mediterranea dell’Africa

1 – Filo di ferro n. 18-20; 2 – Filo di ferro n. 12; 3 – Filo di ferro n. 12; 4 – Filo di ferro n. 14; 5 – Filo di ferro n. 12; 6 – Filo di ferro n. 12; 7 – Filo di ferro n. 14; 8 – Filo di ferro n. 16; 9 – Filo di ferro n. 16; 10 – Filo di ferro n. 14

157


coltivazione a uno squilibrio, in quanto potrebbero risultare necessarie diverse legature e cimature. Da un punto di vista strutturale la pergoletta è costituita, nella versione doppio impalco tipo Puglia, da pali posti uno per vite, solitamente di calcestruzzo armato precompresso, della lunghezza di 2,2 m di cui 1,5 m fuori terra, con una sagoma metallica nella zona terminale, posta di traverso al filare, sulla quale sono disposti i fili di ferro, su due palchi, necessari per sostenere gli organi vegeto-produttivi. La tecnica della forzatura per l’anticipo della raccolta si realizza avvolgendo a fine inverno, nella fase fenologica del pianto (fine febbraio-primi di marzo) la parte aerea della vite in un tunnel di plastica, che determina delle temperature medie maggiori dell’aria all’interno del tunnel, che consentono alla vite l’inizio anticipato del periodo vegetativo, precocizzazione della fioritura e della raccolta. L’eliminazione dei teli viene effettuata dopo circa 1 mese dall’inizio del germogliamento. Questa tecnica consente un anticipo della raccolta di circa 20 giorni, rispetto al pieno campo. Dato che con questa tecnica si utilizza plastica molto sottile e in quantità limitata, i costi di gestione sono inferiori rispetto a quello del tendone. Questa forma è idonea anche per il ritardo della raccolta, in questo caso il telo di plastica verrà posto solo superiormente, in modo da evitare che le piogge bagnino l’uva.

Storia del tendone

• La diffusione di questa forma di

allevamento fu lenta agli inizi (il bacino di maggiore diffusione iniziale fu l’Abruzzo che negli anni ’60 contava circa 10.000 ha) fino a diventare, in parte modificata, la forma di allevamento utilizzata per la quasi totalità dei vigneti di uva da tavola

• In Puglia il primo impianto, di circa

mezzo ettaro, fu eseguito nel 1924 presso l’azienda Vito Dipierro, in Agro di Noicattaro (BA), e, in seguito, si diffuse nei comuni vicini come Rutigliano, Valenzano e Conversano. Nel 1946 il tendone era diffuso in 36 comuni sui 47 della provincia

• Negli anni ’30 il tendone si estese

a Grottaglie in provincia di Taranto, nel 1946 in quella di Brindisi e Lecce e nel 1947 a Foggia. Nel dopoguerra, grazie a imprenditori pugliesi, il tendone si estese nel Lazio, nell’Agro romano e di Latina. Nel 1950 si diffuse in Basilicata

Tendone La forma di allevamento a tendone si adatta a condizioni pedoclimatiche più ricche e permette di utilizzare tutte quelle tecniche colturali capaci di aumentare la vigoria della pianta (irrigazione, fertilizzazione, elevato carico di gemme). Tale condizione risulta fondamentale nella viticoltura da mensa, in quanto per l’uva da tavola si richiede la produzione di bacche di un certo peso, aspetto condizionato dallo sviluppo in verde della pianta, favorito da una

Particolare di zona angolare del tendone

2,5

1,90

0

2,5

0

Elementi strutturali di un tendone tradizionale con sesto 2,50 × 2,50 m

2,50

158

2,50


forme di allevamento giusta vigoria. Infatti, nella fase di accrescimento in verde, l’acino è considerabile come organo vegetativo, in quanto come le foglie è in grado di effettuare la fotosintesi. Dall’invaiatura in poi, quando l’acino inizia ad accumulare zuccheri, la vigoria potrebbe essere negativa, tranne nel caso di tendoni di uva da tavola sottoposti alla tecnica di coltivazione protetta per il posticipo della raccolta, per i quali una certa attività vegetativa risulta importante per conservare al meglio l’uva sulla pianta fino alla raccolta. Questa forma di allevamento non è altro che la forma a pergola con tetto orizzontale chiuso, alto da terra circa 2 m, caratterizzata dalla percorribilità incrociata che facilita lavorazioni, difesa fitosanitaria e raccolta. Nella versione tradizionale, questa forma si realizza utilizzando un sesto di impianto in quadro con lato variabile, generalmente, da 2 a 3 m. L’intelaiatura è formata da pali che alla sommità portano fili di ferro di diverso calibro, che formano un reticolo su base quadrata con lato di circa 50 cm. I fili di ferro sistemati presentano diversi diametri: – i fili sui pali sono del n. 18, su questi si sistemano i capi a frutto; – quelli del reticolo più fitto sono del n. 12. Tutti questi fili sono sostenuti in periferia da una “corona” costituita da un filo di ferro variabile dal n. 20 al n. 24, sostenuto e legato a pali angolari e di corona (pali di testata), in legno o in ferro, o cemento armato precompresso, a loro volta tenuti in sito da tiranti in filo di ferro, legati a una pietra o blocco in tufo o blocco di calcestruzzo, interrato alla profondità di circa 1 m. Può essere utilizzato anche un apposito ferro elicoidale. Lungo la corona, i pali di testata sono posti obliquamente e poggiano su una basola in calcestruzzo, fissati in sommità della corona. Il dispositivo delle forze che si scaricano sollecita questi pali solo come carico di punta, pertanto riescono a sopportare sforzi rile-

Varianti del tendone

• Tendone originale. Prevede la

disposizione in quadro delle viti, con distanza da 2 a 2,5 m. Il tetto è piano, ad altezza di circa 1,9 m da terra e costituito da una intelaiatura di fili di ferro di diverso diametro. I pali tutori sono in castagno, poggiati direttamente sul terreno o su base di pietra o su basette in calcestruzzo

• Tendone a doppio impalco. Realizzato

con due livelli di intelaiature di fili di ferro a due altezze da terra, la prima a circa 190 cm e ospitante i capi a frutto alla potatura, la seconda a 25-30 cm superiormente alla prima e ospitante la massa vegetante. I grappoli si ritrovano nella zona fra i due palchi, ben separati dalla massa fogliare

• Tendone a doppio impalco con sesto

differenziato tipo Puglia. L’introduzione di varietà poco fertili sulle gemme basali del tralcio, come alcune varietà apirene, ha portato l’esigenza di dover lasciare alla potatura tralci più lunghi; è stato così introdotto il sesto in rettangolo, mantenendo tra le file la tradizionale distanza di 2,2-2,5 m e aumentando quella sulla fila fino a 2,7-3,5 m

• Tendone a doppio impalco modificato

per la coltivazione protetta. Per poter consentire l’apposizione di reti e/o di teli plastici protettivi, su ogni filare viene realizzata una struttura di sostegno a sezione triangolare, con altezza del triangolo pari a 60-100 cm. I pali tutori superano il secondo impalco e raggiungono l’altezza di 2,7-3 m. Sulla loro sommità, lungo il filare, viene disposto un filo di ferro che definisce la linea di colmo. Su di esso si poggia la rete plastica e/o il telo

Tendone

159


coltivazione vanti anche con diametri non elevati. Lo sforzo fisico è assicurato dall’ancoraggio che trattiene il palo in sede con un filo di ferro del diametro del n. 22 legato in testa al palo da un lato e dall’altro al sostegno interrato, mentre la base del palo poggia su una basetta in calcestruzzo. Anche i pali angolari che poggiano su una basola in calcestruzzo, sono tenuti in sede da ancoraggi legati con filo di ferro alla sommità degli stessi, sul prolungamento di ciascuna delle due direzioni di sforzo.

Foto S. Somma

Tendone a doppio impalco La modifica più importante effettuata sul tendone è stata la realizzazione del doppio impalco, con cui si è separata la zona produttiva posta sul palco inferiore, dove si sistemano i capi a frutto della potatura invernale, dalla zona di vegetazione posta sul palco superiore a una distanza di circa 25 cm. Questa modifica mirava in primo luogo a ridurre significativamente eventuali danni primaverili da vento ai giovani germogli (particolarmente soggetti a scacchiatura quando hanno la lunghezza di alcune decine di centimetri e la base è ancora tenera), in quanto con il doppio impalco, a seguito di vento forte, si ha la rottura solo della parte apicale del germoglio, che viene sostituita da una gemma pronta. In questo caso i grappoli, situati nella parte basale del germoglio, sono salvaguardati. Poi sono emersi altri vantaggi: in primo luogo, l’ottimale separazione dei grappoli dalla zona vegetativa. La separazione che si determina fra la zona ospitante il fogliame e quella ospitante i grappoli consente a questi ultimi di crescere in un microclima migliore, meno umido. L’allontanamento delle foglie basali del germoglio, poi, impedisce a queste di provocare lucidature e abrasioni sugli acini, evitando così danneggiamenti degli stessi, con tutte le favorevoli conseguenze che questo comporta.

Tendone a doppio impalco modificato per la coltivazione protetta con plastica Foto S. Somma

Tendone a doppio impalco con copertura in rete Tendone a doppio impalco della cultivar Crimson Seedless in Agro di Taranto

Foto S. Somma

160


forme di allevamento Elementi strutturali di un tendone a doppio impalco (con sesto 2,50 × 2,50 m) Tutori in calcestruzzo armato precompresso

• Recentemente, il palo in legno è stato

2,5

0

2,20 1,90

2,5

0

sostituito con paletti in calcestruzzo armato precompresso di lunghezza e dimensioni variabili da 5 × 5 fino a 9 × 9 cm. Tale paletto si è dimostrato idoneo a essere utilizzato in tutte le forme di allevamento e viene preferito al paletto di legno per le minori esigenze di manutenzione e per la maggiore longevità

2,50

2,50

• Tra le caratteristiche di pregio troviamo: – durata più lunga rispetto alla vita del vigneto, con possibilità di riutilizzo in impianti successivi

Per sfruttare meglio i vantaggi del doppio impalco, si è modificato l’impianto in maniera da avere la disposizione dei grappoli su filari paralleli, senza perdere la percorribilità incrociata della pergola. Si è modificato il palco inferiore ponendo di traverso un filo di sostegno da 18 sul palo all’altezza del palco inferiore, poggiando su questo, di traverso, due fili paralleli, sui quali vengono alla potatura invernale poggiati i capi a frutto. Questi fili sono posti a una distanza laterale dal palo al massimo di ¼ della distanza fra i filari di viti, con un minimo di 50 cm. Si ottiene così tutta la serie di vantaggi correlati alla disposizione su filare della produzione, in una forma di allevamento a tetto orizzontale, che ottimizza il rapporto delle foglie con l’ambiente.

– ottimo rapporto qualità-prezzo – resistenza agli urti, ai colpi di vento, al logorio degli agenti atmosferici e alle sostanze contenute nei prodotti antiparassitari e nei concimi – sufficiente elasticità – facilità di smaltimento (possono venire utilizzati nei sottofondi edilizi)

Foto S. Somma Foto S. Somma

Tendone con pali in calcestruzzo armato infissi nel terreno Pali tiranti in calcestruzzo

161


coltivazione Tendone a doppio impalco tipo Puglia Per poter sopperire ad alcune esigenze come quelle connesse con la bassa fertilità di alcune varietà specialmente per le gemme basali del capo a frutto, frequente in molte varietà di uva da tavola apirene, insieme con la necessità di impiantare un sufficiente numero di ceppi per evitare decurtazioni produttive, si è realizzato il “tendone a doppio impalco tipo Puglia caratterizzato dall’avere il sesto differenziato, non più in quadro. Infatti, con sesti a rettangolo (avente lato minore pari a 2,2-2,5 m e lato maggiore pari a 2,7-3,5 m) si possono soddisfare le esigenze prima riportate, nonché assicurare la giusta disposizione dell’impianto irriguo, l’ottimale distribuzione dei grappoli (aspetto che facilita le operazioni colturali su di essi), nonché la migliore difesa dai parassiti. Il sesto d’impianto, quindi, deve prevedere distanze tra le viti tali da garantire uno sviluppo vegetativo adeguato alla vigoria di ciascuna varietà, con densità delle piante compresa fra le 1100 e le poco più di 2000 viti per ettaro. Chiaramente, le distanze maggiori fra le viti si utilizzano per le varietà più vigorose e per ambienti di più alta fertilità agronomica. Viceversa, le distanze minori si utilizzano per i vitigni meno vigorosi e per ambienti a minore fertilità agronomica. Tra gli accorgimenti da tenere in considerazione, si ricorda la sfasatura tra i fili del doppio palco per evitare che i grappoli e gli acini possano sfregare, con giornate ventose, sul filo più basso o sui tralci, con conseguente deturpamento della qualità degli acini (bisogna evitare che sul palco superiore coincida un filo di ferro esattamente sopra al filo ospitante il capo a frutto del palco inferiore, in modo che i germogli assumano, fra i due palchi, una disposizione obliqua e non verticale).

Tutori in plastica con anima in metallo

• Recentemente sono stati proposti

e brevettati pali in plastica riciclata con anima in metallo che presentano le seguenti caratteristiche: – a spetto tradizionale che ricorda la dimensione, il colore e la rugosità del legno – l eggerezza notevole, a seconda della lunghezza, che favorisce e accelera la posa – s icurezza di utilizzo, non essendoci il rischio di escoriazioni alle mani – r esistenza meccanica e flessibilità – i nattaccabilità da parte di agenti atmosferici e prodotti fitosanitari – u niformità dimensionale – e conomicità notevole nell’approntamento del vigneto, con comodo posizionamento dei fili sui due lati del palo utilizzando cave ricavate direttamente nello stampo – r obustezza che consente di ridurre il numero di pali

Elementi strutturali di un tendone a doppio impalco tipo Puglia (con sesto 2,20 × 3,00 m)

– e cologicità garantita dall’assenza di rilascio di qualsiasi sostanza

3,0

0

– r ispetto per l’ambiente, in quanto alla fine del suo impiego il palo potrà essere venduto come rottame destinato all’altoforno, dove l’acciaio contenuto verrà fuso e la plastica farà da additivo calorico 2,20 1,90

• I manufatti presenti in commercio

presentano anima interna di 3,4 × 3,4 cm mentre il profilo esterno è 7,6 cm. Con altezze disponibili da 2 a 3 m

2,20 Il palco inferiore è costituito da un filo corrente sui pali, che ne sostiene altri due posti parallelamente (di traverso al primo) correnti a 0,5 m dal palo (quindi con interasse di 1 m fra di loro)

162


forme di allevamento Elementi strutturali di un tendone a doppio impalco tipo Puglia (con sesto 2,25 × 3,75 m)

Foto S. Somma

m 2,20

3,7

m 2,25

m 2,25

m

0,50 0,50

3,7

5

m

16

m 2,17

2,10 1,80 0,30

50

5

A

m 1,57m 1,57 m 3,15

Forma di allevamento tipo Y in Agro di Palagiano (TA) Foto G. Sicuro

Il palco inferiore è costituito da due fili paralleli correnti a 0,5 m dal palo e sostenuti da una traversa centrata su questo e posta a 0,3 m dal palco superiore

Ipsilon trasversale Una forma di allevamento a pergola a tetto obliquo, praticata per l’uva da tavola, è l’ipsilon trasversale, utilizzata in Australia, Sudafrica, California, Israele ecc. sotto il nome di gable trellis system, nella versione a tetto chiuso o aperto. Questa forma permette di sostenere un elevato numero di germogli e nello stesso tempo una buona esposizione dei grappoli alla radiazione solare. I germogli offrono una buona copertura dai raggi solari diretti evitando scottature agli acini. Questo sistema inoltre agevola alcune operazioni colturali quali la raccolta, le operazioni sul grappolo, la potatura verde. Nella forma più classica l’allevamento a Y (standard gable trellis se a tetto chiuso o open gable trellis se a tetto aperto) è composto da un palo verticale alto 120-140 cm sopra il terreno, da due braccia inclinate di 150-180 cm, messi a un angolo di 120° rispetto al palo. L’imbrancatura della pianta è a 120-130 cm dal suolo, il tralcio primario è sul primo filo, mentre i germogli si andranno a disporre sui fili successivi posti ognuno a 20-30 cm di distanza sulla superficie inclinata dell’Y, sino ad arrivare in cima. I sesti d’impianto sono 1-1,4 m e 3-3,5 m rispettivamente sulla fila e tra le fila. Negli ultimi anni, grazie alla migliore gestione della luce anche all’interno della chioma per aumentare la fertilità delle gemme, si sta diffondendo anche in Italia negli impianti con uve apirene. Diverse sono le modifiche apportate per migliorare lo standard produttivo, adattandole alle diverse varietà coltivate. Questi sistemi comprendono i cavi mobili per aiutare i germogli di posizione e stabilire zone distinte per la fruttificazione.

Vigneto in produzione allevato a Y (gable trellis) in California Foto G. Sicuro

Particolare della forma di allevamento a Y (gable trellis) in California

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coltivazione Nuovo sistema di allevamento per migliorare la produttività di uve da tavola poco fertili (PBS, pergola su binario stretto) Di recente è stata proposta una forma di allevamento adatta per le varietà di uva da tavola apirene caratterizzate da bassa fertilità delle gemme, come le cultivar Crimson Seedless e Sugraone. Gli attuali sistemi di allevamento delle viti per la produzione di uva da tavola in Puglia presentano in genere alcune difficoltà nella gestione di capi a frutto molto lunghi. È stata quindi proposta una modifica del sistema di allevamento della vite, condotta sempre a pergola, per rendere più agevole la gestione dei capi a frutto nella produzione di uve apirene da tavola. La realizzazione del nuovo sistema è stata formulata tenendo conto anche della necessità di ridurre i costi di impianto e di gestione del vigneto. In Puglia, nel confronto fra il nuovo sistema di allevamento, denominato PBS, pergola su binario stretto, e il sistema di allevamento a tendone a doppio impalco tipo Puglia, analizzando, oltre che i parametri produttivi, anche i costi di impianto e i costi di gestione del vigneto, si è osservato che il sistema proposto ha permesso un miglioramento delle caratteristiche produttive, in particolare miglioramento della fertilità e della colorazione. Dopo 4 anni di sperimentazione, analizzando i costi è stato possibile rilevare la loro riduzione (di impianto e di gestione). Il sistema proposto è stato quindi realizzato in un vigneto per uva da tavola, sulle due cultivar apirene più diffuse, in Puglia: Crimson Seedless e Sugraone, allevate con sesto 2,35 × 2,85 m e altezza di 1,80 m. La nuova forma di allevamento è stata realizzata potando le viti a due o più capi a frutto, con due speroni di rinnovo. I capi a frutto sono stati potati da 15-18 fino a oltre 30 gemme, posizionati su due fili, posti alla stessa altezza da terra e passanti uno per lato del palo tutore. I due fili, rispetto al piano campagna, sono stati sistemati all’altezza di 150 cm. La scelta delle due varietà è stata

Tutori in metallo

• Recentemente si stanno diffondendo pali

in acciaio al carbonio solitamente zincati a caldo dopo lavorazione. Il rivestimento di zinco sfrutta le proprietà di questo metallo per proteggere il ferro e l’acciaio dalla corrosione, evitando la formazione della ruggine. Questa tipologia di pali può essere realizzata anche in acciaio inox oppure zincata a caldo e successivamente verniciata con polveri poliestere. La verniciatura, oltre a ridurre l’impatto visivo e ambientale, allunga la vita utile del palo di circa il 30%

• Caratteristiche e vantaggi: – g rande flessibilità ed elasticità – e levata resistenza meccanica e una reazione adeguata alle sollecitazioni del vento – o ttima resistenza alla corrosione – d urata del palo: oltre 30 anni. Le sezioni sono variabili da 5 × 3,5 cm fino a 6 × 4,2 cm, sagomati secondo profili differenti: quadrangolari, rettangolari con profili a U aperta, circolari e triangolari a profilo chiuso. Lo spessore del laminato è variabile da 1,5 a 1,2 mm. I pali inoltre, presentano incisioni con tacche e/o fori posizionati a differenti altezze per il passaggio dei fili di sostegno. Le incisioni e la lunghezza dei pali variano in base alle esigenze costruttive dell’impianto

Schema dell’allevamento delle viti (capi a frutto e speroni) nell’allevamento a PBS (sezione verticale)

Schema della disposizione dei capi a frutto lungo il filare, per la PBS (sezione orizzontale)

164


forme di allevamento fatta in funzione della fertilità reale (che nell’ambiente pugliese si aggira intorno a 0,5-0,7), con valori bassi rispetto alla media delle diverse varietà coltivate e con il grappolo posto abbastanza lontano dalla base del germoglio (7°-8° nodo). Infatti, un tale sistema per varietà con elevata fertilità reale (1,5-2) e con il primo grappolo posto circa al 3° nodo avrebbe creato un’eccessiva concentrazione dei grappoli in uno spazio ristretto e la loro sovrapposizione alla struttura di sostegno. È stata confermata la migliore distribuzione della vegetazione, con germogli che si sono sviluppati in una prima fase in maniera verticale, piegandosi poi obliquamente e poi orizzontalmente, lasciando liberi i grappoli da un lato e dall’altro del binario stretto. Il nuovo sistema, inoltre, ha permesso una maggiore illuminazione, con ricaduta positiva di questa sulla fertilità delle gemme. Inoltre, per le due cultivar in osservazione, Crimson Seedless e Sugraone, si è avuta anche una migliore uniformità e facilità di colorazione (ottima colorazione rossa della Crimson). Per il sistema di allevamento a pergola su binario stretto, PBS, è stato possibile evidenziare un risparmio in termini di manodopera impiegata per le operazioni manuali; con questo sistema non è stato necessario intervenire con le operazioni di sfogliatura solitamente previste per le uve da tavola durante la crescita in verde dell’acino e in maturazione. Il sistema PBS è auspicabile, in particolare, per le varietà di uve da tavola con scarsa fertilità, come alcune interessanti varietà apirene che nelle condizioni climatiche pugliesi mostrano problemi di bassa fertilità ma con ottima qualità dell’uva. Con la selezione dei germogli uviferi e con l’eliminazione dei germogli sterili è possibile ottenere dai due capi a frutto affiancati un cordone continuo di grappoli ben disposti e più facilmente gestibili (trattamenti ad azione morfogenetica, operazioni manuali al grappolo ecc.) rispetto ai tradizionali sistemi a pergola (tendone).

Pali di “corona” e “angolari” del tendone

• Sono stati usati come pali periferici del

tendone (a sostegno della corona di filo di ferro che delimita il tendone sui 4 lati) putrelle metalliche ottenute da binari ferroviari dimessi, infiggendoli in parte nel terreno

• Come pali angolari (posti ai 4 vertici del

tendone, che nella maggior parte dei casi ha una figura quadrata o rettangolare) venivano spesso usate le traverse di ferrovia (oggi non più disponibili)

• Ultimamente si stanno utilizzando,

per il sostegno della corona del tendone, oppure come pali angolari, pali in metallo o anche di calcestruzzo di più larga sezione, infissi in parte nel terreno (il palo lavora con il vincolo di trave incastrata). Quelli angolari sono di sezione maggiore

Foto S. Somma

Tendone con pali di corona in ferro, infissi nel terreno

Palo angolare in ferro e legno con tiranti di ancoraggio

Vigneto a tendone realizzato con pali in ferro

165


l’uva da tavola

coltivazione Potatura Carmine Stanislao Liuni, Donato Antonacci

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Potatura Introduzione La tecnica della potatura comprende il complesso di tagli e altre operazioni, praticate in periodi diversi al fine di: – adeguare la pianta alla forma di allevamento prescelta; – rendere regolare la produzione negli anni, evitando stress produttivi e prolungando l’efficienza del vigneto; – regolare la quantità di prodotto in modo da ottenere la qualità desiderata; – mantenere equilibrato lo sviluppo della parte aerea in rapporto a quello dell’apparato radicale; – disporre nello spazio la vegetazione e la produzione in maniera adeguata. La tecnica viene differenziata in potatura secca o invernale, detta anche legnosa, che si effettua in assenza della vegetazione, distinguendola dalla potatura verde, che si riferisce alle operazioni in verde, effettuate sulla vegetazione. La disposizione nello spazio delle gemme alla potatura invernale e poi della vegetazione e della produzione viene realizzata in funzione della forma di allevamento adottata (forme a piccola espansione, forme a media espansione o forme a grande espansione). La diversa espansione vegetativa, data dalla quantità di foglie e di tralci (lunghezza, spessore, peso), è in relazione con il vigore della pianta e questo influenza, entro certi limiti, sia l’attività metabolica sia il potenziale produttivo. Per l’uva da tavola, è molto importante produrre realizzando un adeguato livello del vigore vegetativo, in quanto questo condiziona alcuni parametri quali-quantitativi molto importanti per questa coltura, come la dimensione del grappo-

Schema della potatura a 2 branche

Vite adulta potata a 2 capi a frutto, nel vigneto a tendone

166


potatura lo e dell’acino (l’acino grosso e il grappolone sono considerati dal consumatore requisiti qualitativi molto importanti). Leggi delle XII tavole

Evoluzione della gestione della vite È intuitivo capire che una pianta di vite lasciata libera, senza l’intervento dell’uomo, produce più abbondantemente per qualche anno, ma l’uva risulterà di difficoltosa maturazione, di minore dimensione (come tendenza, lo sviluppo dei grappoli e degli acini è in rapporto inverso con il loro numero sulla pianta), e la pianta stessa deperisce precocemente per effetto dell’eccessivo carico produttivo. L’evoluzione della gestione della vite è stata definita nella storia e nella diffusione della pianta nel suo areale di utilizzo. Tale areale, che all’inizio si sviluppò negli ambiti dei popoli mediterranei europei, si è poi esteso nei secoli trovando eredi adatti in tutto il mondo. La versatilità della pianta e la grande variabilità delle forme di allevamento ne hanno caratterizzato la grande diffusione. Tutto il sapere viticolo a noi trasmesso è stato raccolto e rimesso attraverso i grandi del passato; la tecnica della potatura viene per la prima volta descritta come tecnica fondamentale e approfondita nei suoi aspetti dal saggio scrittore romano di agricoltura Lucio Giunio Moderato Columella (Gades, 4-70), nel suo trattato De re rustica (42 d.C.), la maggiore fonte di conoscenza dell’agricoltura romana. Columella cerca di dare una spiegazione biologica ai comportamenti della pianta e stabilisce dei principi tecnici pienamente validi ancora oggi, dopo 2000 anni. Bisogna poi attendere 13 secoli per avere, con Pier Crescenzi (1304-1309), la prima trattazione scientifica della potatura, che riceve nuovo forte impulso

• La tecnica della potatura comincia

a essere conosciuta occasionalmente dall’uomo circa 2000 anni prima di Cristo. A lungo fu praticata sporadicamente e non era da tutti condivisa; ma la tecnica si andava sempre più sperimentando e affermando. Bisogna arrivare alla Legge delle XII Tavole (451-450 a.C.) per trovare certezza della pratica di potatura, però non ancora intesa come tecnica annuale: “le viti saranno di tanto in tanto potate, finché saranno estirpate”

• Le leggi delle XII tavole (duodecim

tabularum leges) costituiscono un corpo di leggi compilato nel 451-450 a.C. dai decemviri legibus scribundis, contenenti regole di diritto privato e pubblico

Schema della potatura a 3 branche

Vite adulta potata a 3 capi a frutto

167


coltivazione

Schema della potatura a 4 branche

Potatura in tendone tradizionale a 4 branche disposte in croce

dopo la ricostituzione dei vigneti in periodo post-fillosserico (inizio XX sec.). Organi fruttificanti L’organo fruttificante di base della vite è la gemma ibernante, costituita da un cono vegetativo a struttura telescopica il quale contiene in sé il futuro tralcio. Questa struttura, apparentemente semplice, è invece molto complessa e molto variabile in funzione delle differenze genetiche che inducono variabilità nell’espressione di fertilità. Questa variabilità nell’espressione di fertilità è difficilmente modificabile dalle condizioni ambientali e risulta così un carattere geneticamente definito. Il tralcio, chiuso a telescopio nel cono gemmario, ha in sé diverse categorie di primordi gemmari e precisamente: – primordio di gemme pronte (femminelle). Tale categoria è evidente, sia come primordio sia come espressione vegetativa dopo il germogliamento. Tali gemme accompagnano lo sviluppo del tralcio e si coniugano secondo la disposizione fillotassica delle foglie alle cui ascelle si collocano. La loro funzione è caratteristica, esse provvedono alla costante giovinezza del tralcio nel corso della fase vegetativa; – primordio di gemme fruttificanti (gemme fertili). Le gemme fruttificanti (fertili) contengono l’organo riproduttivo della pianta per via sessuale e sono gli organi più rispettati dall’uomo in quanto il risultato edonistico (frutto) è totalmente a loro affidato. Le gemme fertili, all’interno di un cono vegetativo, possono anche essere diverse, oltre alla principale.

Foto R. Angelini

La gemma ibernante rappresenta l’organo fruttificante di base della vite in quanto contiene il primordio del futuro tralcio

168


potatura Fertilità Per fertilità si intende la presenza delle infiorescenze (grappolo) all’interno del cono vegetativo. Essa varia per influenza genetica, per posizione sul capo a frutto (tralcio), per influenza delle inibizioni che si verificano sul capo a frutto. Come regola generale la fertilità è crescente nel capo a frutto procedendo dalla base verso l’alto con un assestamento costante dopo la sesta/settima posizione sul capo a frutto. Finalità essenziale della tecnica di conduzione della vite, in funzione dei condizionamenti genetici, è quella di non compromettere l’espressione di detta fertilità sia sulla quantità numerica delle infiorescenze (grappoli) sia sulla qualità delle stesse. Per ogni cono gemmario fertile si può verificare la presenza di uno o più infiorescenze. In genere si distinguono due tipi di fertilità: fertilità potenziale e fertilità reale. La fertilità potenziale è la fertilità genetica delle varietà così come si esprime isolando il cono gemmario. La fertilità reale è invece la fertilità che si manifesta secondo l’influenza delle condizioni tecniche di esercizio. Tali condizioni possono fortemente influenzare la fertilità potenziale fino anche a distruggerla per cattiva gestione del tralcio (vedi utilizzo di tralci piegati ad arco o troppo lunghi). È importante conoscere la fertilità potenziale di una varietà per eseguire correttamente la tecnica cesoria. Per l’esame della fertilità potenziale si deve procedere isolando per posizione le singole gemme sul capo a frutto e registrandone la fertilità. Lo sforzo tecnico della gestione di una varietà va inteso come risultato di un rapporto ten-

Foto R. Angelini

La fertilità della pianta è funzione del numero e della qualità delle infiorescenze Potatura in tendone tradizionale a 4 branche, con capi a frutto disposti in croce

Foto E. Ferrara

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coltivazione dente a ottenere la massima espressione della fertilità potenziale. Si vuole ancora richiamare il concetto che la fertilità è costituita dal numero delle infiorescenze per cono gemmario e dalla qualità delle stesse, per cui l’esame della fertilità potenziale deve essere portato anche sulla qualità della stessa (caratteristiche qualitative del grappolo). La fertilità è influenzata anche dallo spessore dei tralci: sono da evitare sia tralci troppo sottili sia tralci troppo spessi. Inibizioni La vite è una pianta che tende a svilupparsi come cespuglio e, se appoggiata, si manifesta con uno sviluppo verticale (liana) utilizzando i suoi organi d’attacco (viticci). Nella conquista dello spazio sia nel piano sia nello spazio aereo, l’equilibrio della pianta e del suo universo biologico è guidato dalle inibizioni. Per inibizioni s’intendono tutte le manifestazioni di concorrenza biologica delle gemme e dei rami tra di loro. Queste inibizioni danno luogo alla facies della pianta nel suo assetto naturale. Le inibizioni sono di natura generale (inibizioni fra tralci) o correlativa (inibizioni fra gemme). Finalità della tecnica cesoria è quella di portare al minimo i fattori inibitori. – Inibizioni fra tralci. La ricca proliferazione vegetativa, caratteristica della vite, induce una produzione notevole di tralci che fra di loro si concorrenziano. In genere i tralci verdi, situati nella parte più alta dell’assetto della vite (tralci apicali), inducono inibizione sui tralci situati verso la parte basale della vite, pertanto sarà necessario, in sede di potatura secca e verde, non indurre tale inibizione controllando prima la lunghezza del capo a frutto e

Vite adulta potata su 4 branche, con capi a frutto disposti a doppia U, in tendone a doppio impalco Vite adulta potata a 4 branche, con capi a frutto disposti a doppia U, in tendone a doppio impalco. Si può osservare come si disponga su filari paralleli la maggior parte della futura produzione del tendone

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potatura poi la dominanza apicale dei tralci verdi. Questa inibizione determinata dai tralci verdi interferisce con la buona evoluzione dei frutti per cui il controllo della stessa è essenziale anche se difficoltoso. La difficoltà deriva dalle reazioni vegetative che la vite oppone se sottoposta ad ablazione delle parti alte del tralcio verde. Tali reazioni stimolano la fase vegetativa della pianta per cui subito si ristabilisce una nuova funzione di cima che può indurre ancora difficoltà alla fase riproduttiva. La disposizione giusta nello spazio della vite (sesti), la buona disposizione degli appoggi (sostegni) e la giusta inclinazione dei tralci di potatura può diminuire l’efficacia di questa pericolosa inibizione. – Inibizione lungo il tralcio di potatura. Le inibizioni che si verificano lungo il tralcio di potatura sono ad andamento basipeto e sono funzione della lunghezza del capo di potatura (capo a frutto), della posizione dello stesso (inclinazione e curvatura) e della carica di tralci di potatura lasciati sulla pianta. Questo tipo di inibizione si manifesta con un mancato germogliamento delle gemme basali o mediane (caso del tralcio piegato ad arco) o con un’inibizione esercitata solo sul cono gemmario fertile che può venire sostituito da una gemma secondaria del cono gemmario portante la gemma fertile. Per cui si può determinare una non fertilità indotta che è solo di natura fenotipica. Da quanto detto si evidenzia che la forma di allevamento e la tecnica di potatura sono basate sul regolare svolgimento della biologia descritta tenendo presente che l’unità produttiva della vite è la gemma e che a essa va rivolta tutta la cura della giusta conduzione.

Foto G. Cortese

Tendone in autunno prima della potatura

Foto S. Somma

171


coltivazione Classificazione delle operazioni di potatura Molti sono gli aspetti che possono essere considerati per classificare le operazioni di potatura. Di seguito se ne riportano alcune. In funzione dell’età delle piante, la potatura viene distinta in: – potatura di allevamento, che si pratica sulle giovani viti, nei primi 1-2 anni, che consiste nel tagliare corto o lungo in funzione dello sviluppo della pianta; – potatura di formazione, per dare la forma definitiva prevista per la vite, in funzione della forma di allevamento; – potatura di produzione, che rappresenta la gestione della vite nella fase adulta. Le forme di allevamento condizionano, chiaramente, la potatura di allevamento in relazione alla forma che si deve dare alle piante nell’età adulta; esse sono distinguibili secondo: – la disposizione delle viti nello spazio; – la lunghezza del capo a frutto (tralcio lasciato alla potatura invernale); – l’utilizzo e la disposizione dei sostegni. In funzione del numero di gemme che si lasciano su una pianta dopo l’intervento invernale, la potatura viene considerata: – poverissima, se si lasciano solo 4-5 gemme/vite; – povera, non oltre 10 gemme/vite; – media, 10-20 gemme/vite;

Disposizione delle viti nello spazio

• Radente (con o senza sostegno).

È tipica degli ambienti estremamente difficoltosi per vento o per bassa temperatura. Tali forme si riscontrano nella viticoltura delle piccole isole mediterranee e atlantiche del Portogallo

• Bassa (con o senza sostegni).

Le viti sono allevate a un’altezza di 30/40 cm dal suolo con una struttura ramificata e su ogni ramo è presente un capo a frutto generalmente corto (sperone). Ammette una grande densità (fino anche a 10.000 piante/ha) e la gestione del verde può avvenire libera o con sostegni mobili (canne)

• Alta (con sostegni vivi o morti). Prevede

una distanza della vegetazione dal suolo tendente ai 2 m e oltre. La prima interpretazione della forma fu quella di appoggiare la vite a un sostegno vivo (albero), poi si diffusero altre forme appoggiate su sostegni morti e con la costituzione di festoni (la più tipica interpretazione è il “Raggio” della pianura veneta ed emiliana). Da queste forme e dalla necessità di allontanare la produzione dal terreno si sono successivamente elaborate le forme alte a pergola con appoggi morti

Vigneto a tendone a doppio impalco dopo le operazioni di potatura invernale (potatura, stralciatura, legatura)

172


potatura – ricca, fino a 50 gemme/vite; – ricchissima, oltre 50 gemme/vite. Oltre che per singola pianta, il numero di gemme va individuato anche per unità di superficie del vigneto, definendo il carico di gemme, che per ettaro può essere basso (30.000-40.000), medio (50.000-60.000), alto (70.000-80.000), altissimo (oltre 80.000). In funzione della lunghezza del tralcio lasciato alla potatura invernale, si distingue in: – corta, se si lasciano tralci di 2-3 gemme (speroni); – media, se di 4-7 gemme; – lunga, se di 8-10 gemme (capi a frutto); – lunghissima, se di oltre 10 gemme; – mista, se su una vite si lasciano sia speroni sia capi a frutto. Molti sono i fattori che condizionano le scelte di potatura. In generale, per l’uva da tavola in Italia si preferiscono forme di allevamento espanse (tendone) e potature ricche, lunghe o miste, con carico di gemme per ettaro medio-alto per le varietà di uve con semi e altissimo per quelle apirene (che in genere sono meno fertili). Tali scelte, se supportate da adeguato livello della fertilità del terreno e appropriata scelta del portinnesto, consentono il mantenimento di un buon equilibrio vegeto-produttivo, in grado di far raggiungere i migliori risultati quali-quantitativi della produzione.

Foto R. Angelini

Foto G. Cortese

173


l’uva da tavola

coltivazione Irrigazione Rosario Di Lorenzo, Antonio Coletta,

Vitale Nuzzo

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Irrigazione Introduzione La produzione di uva da tavola si sta evolvendo in un contesto globale altamente competitivo in cui il profitto è sempre più dipendente sia dalle tecniche colturali (che determinano la quantità e la qualità dell’uva prodotta), sia da scelte imprenditoriali e commerciali (che decidono la varietà, l’epoca di raccolta e i mercati). Nella coltivazione dell’uva da tavola una corretta gestione dell’irrigazione è la chiave di volta per ottenere elevate produzioni e qualità idonee e costanti nel tempo, soprattutto in aree a clima caldo-arido come il Sud Italia. Per raggiungere questi scopi è necessario utilizzare conoscenze fisiche, biologiche e tecnologiche per soddisfare le esigenze idriche della pianta, per risparmiare acqua e raggiungere un equilibrato sviluppo vegetoproduttivo delle viti.

Analisi del suolo: principali parametri fisico-chimici da richiedere

• Capacità idrica massima (CIM):

contenuto idrico in cui tutti i pori del suolo sono occupati dall’acqua; un’ulteriore goccia rimane in superficie, creando condizioni di ristagno superficiale e di asfissia in profondità (% in peso o in volume o mm/m) • Capacità idrica di campo (CIC): quantità di acqua trattenuta dal suolo dopo essere stato lasciato libero di sgrondare per circa 48 ore a partire dalla CIM (% in peso o in volume o mm/m) • Punto di appassimento (PA): contenuto idrico limite per l’assorbimento radicale (% in peso o in volume o mm/m) • Acqua disponibile (AD): quantità d’acqua trattenuta dal terreno disponibile per l’assorbimento radicale, è la differenza tra la CIC e il PA (AD = CIC – PA) • Curva di ritenzione idrica: variazione dell’umidità del suolo in relazione alla variazione del potenziale idrico applicato nell’intervallo –0,03 ÷ –1,5 MPa • Densità apparente (DA): è il peso secco di terreno per unità di volume (g/cm3) • Conducubilità idraulica (K): è l’attitudine del terreno a lasciarsi attraversare più o meno facilmente dall’acqua, varia al variare del contenuto idrico del suolo (cm/s) • Salinità: esprime la quantità di sali disciolti nella frazione liquida del suolo (soluzione circolante) ed è responsabile di un aumento della forza che la pianta deve utilizzare per estrarre acqua dal suolo. È determinata come conducibilità elettrica di un campione di suolo a saturazione (ECe, in mS/cm = dS/m)

Fattori che influenzano la gestione irrigua Suolo Da un punto di vista irriguo il suolo è il principale fattore che concorre al rifornimento idrico del vigneto. Le caratteristiche fisiche del suolo e la loro variazione lungo il suo profilo influenzano direttamente la quantità di acqua disponibile per l’assorbimento radicale. In funzione della tessitura, la quantità di acqua disponibile varia da 33 a 208 mm di acqua per metro di profondità rispettivamente in suoli a tessitura sabbiosa e argillosa. Quindi, applicando uno stesso volume irriguo si bagna più in profondità un suolo sabbioso rispetto a uno argilloso. Foto G. Cortese

L’irrigazione è il principale fattore che fa del tendone e dell’uva da tavola un binomio inscindibile di elevata produttività e qualità

174


irrigazione Passando dalla capacità idrica di campo (CIC) al punto di appassimento (PA) la pianta incontra difficoltà crescenti ad assorbire acqua, andando incontro a fenomeni di stress idrico. Ai fini della programmazione irrigua è utile conoscere il valore di umidità del suolo a cui la vite inizia a manifestare i primi sintomi di stress. In suoli argillosi questo valore, detto riserva facilmente utilizzabile (RFU), corrisponde a circa il 50-60% dell’acqua disponibile, mentre in suoli sabbiosi le radici riescono a utilizzare praticamente l’80-90% dell’acqua disponibile prima di evidenziare sintomi di stress. In quest’ultimo caso, vista la rapidità con cui si passa da condizioni di buono stato idrico a deficit idrico severo, si deve porre particolare attenzione a una corretta impostazione dei turni e dei volumi irrigui. Nel caso di terreni salini, invece, riduzioni del tasso di crescita si registrano già alla CIC. In particolare, per la vite nessuna riduzione di produzione è stata osservata per valori di ECe < 1,5 dS/m, mentre per valori pari a 4, 8 e 12 dS/m è stata osservata una riduzione della produzione di uva del 10, 50 e 100% rispettivamente. Un’altra caratteristica del suolo importante per una razionale gestione dell’irrigazione è la velocità di infiltrazione dell’acqua. Essa dipende dalla granulometria, dalla porosità e dall’umidità del suolo. L’infiltrazione superficiale dell’acqua è più rapida in terreni con porosità elevata (sabbiosi o lavorati) e insaturi e decresce rapidamente al diminuire della porosità e dell’umidità. Inoltre, in terreni sabbiosi o in quelli con elevata porosità prevale il movimento verticale dell’acqua, mentre nei terreni argillosi o in quelli con scarsa porosità prevale il movimento orizzontale. La velocità di infiltrazione superficiale influenza, a parità di portata, la distanza tra due gocciolatori e tra i gocciolatori e il tronco della pianta. In

Indicatori del livello di stress idrico in Vitis vinifera

• Condizioni di deficit idrico possono

essere indotte sia da una scarsa disponibilità idrica del suolo sia da un’elevata domanda evapotraspirativa dell’ambiente. Il potenziale idrico fogliare all’alba o di base o il potenziale xilematico o del germoglio possono essere utilizzati come indicatori del livello di stress della pianta

• Potenziale idrico fogliare di base (Ψ ): b

corrisponde al valore di potenziale idrico fogliare misurato prima dell’alba con gli stomi ancora chiusi

• Potenziale idrico xilematico

o del germoglio (Ψxil): è misurato a mezzogiorno su foglie mature senza sintomi evidenti di attacchi parassitari o di carenza nutrizionali non traspiranti (racchiuse in sacchetti di alluminio almeno 2 ore prima della misura)

Quantità di acqua disponibile (AD) e riserva facilmente utilizzabile (RFU) dalla pianta in suoli di diversa tessitura (mm/m) AD (mm/m)

Livelli di stress idrico e corrispondenti valori di potenziale idrico fogliare all’alba e xilematico a mezzogiorno

RFU (mm/m)

Intervallo

Media

(mm/m)

Sabbia grossolana

33-42

36

29

Sabbio-limoso

62-83

67

47

Medio impastosabbioso

Livello di stress

83-125

104

62

Ψb (MPa)

Ψxil (MPa)

Assente

> –0,2

> –0,8

Limoso

125-192

158

95

Moderato

–0,2 ÷ –0,5

–0,8 ÷ –1,0

Argilloso-limoso

146-208

175

105

Elevato

–0,5 ÷ –0,8

–1,0 ÷ –1,5

Argilloso

133-208

167

100

Severo

< –0,8

< –1,5

Fonte: rielaborata da Coombe e Dry, 1998

175


coltivazione

Vigneto con irrigazione localizzata

terreni sabbiosi i gocciolatori dovrebbero essere più vicini tra loro e al ceppo rispetto a terreni argillosi. Pianta La distribuzione radicale definisce il volume di suolo e la relativa riserva idrica potenzialmente utilizzabile dalla pianta. La vite è in grado di esplorare rapidamente il volume di suolo disponibile; in suoli lavorati, già al terzo anno dall’impianto, la vite presenta una buona densità radicale in profondità e lateralmente. Generalmente, in vigneti, irrigati a goccia si è osservata una maggiore densità di radici capillari in prossimità del gocciolatore. In condizioni idriche ottimali l’area fogliare e la produzione per ceppo raggiungono rapidamente i valori tipici della forma di al-

L’acqua nel terreno si muove in profondità per gravità e lateralmente per capillarità. Nel caso di irrigazione localizzata è il volume di suolo bagnato dall’irrigatore e non l’intero volume di suolo occupato dalle radici su cui occorrerà calcolare i termini del bilancio

Un’elevata disponibilità idrica può comportare un’eccessivo sviluppo della superficie fogliare con fenomeni di “asfissia” delle foglie meno illuminate della chioma e condizioni sfavorevoli all’induzione antogena

La produzione attuale (numero di grappoli per germoglio) dipende dai processi di differenziazione a fiore della primavera precedente, stress idrici primaverili possono quindi influenzare sia la produzione in atto (meno acini per grappolo e di minore dimensione) sia quella futura. Al centro della gemma è possibile osservare il primordio del grappolo

176


irrigazione levamento e della varietà adottate. Il consumo idrico giornaliero della vite da tavola cambia continuamente durante tutto il ciclo annuale in risposta all’ambiente, in relazione alle diverse fasi di crescita e di sviluppo e agli interventi in verde. Con gli interventi di potatura verde (sfogliatura e/o sfemminellatura) si mantiene, per esempio, sulla pianta una quantità di foglie di circa 14 m2/ pianta; piante della cultivar Italia gestite con interventi ordinari di potatura verde e irrigate regolarmente mostrano, nella parte centrale della stagione vegetativa (giugno-luglio), un consumo idrico giornaliero indicativo di 20-40 l/pianta/giorno. La risposta produttiva e la qualità delle uve sono negativamente influenzate sia da eccessive disponibilità idriche sia da severi deficit idrici. Un’elevata disponibilità idrica produce una vegetazione lussureggiante che, in alcune condizioni può deprimere l’attività riproduttiva dell’anno e anche quella degli anni successivi a causa di condizioni microclimatiche che possono favorire la diffusione di malattie fungine e determinare squilibri nei processi d’induzione antogena e di differenziazione a fiore che, come è noto, sono ostacolati da un eccessivo ombreggiamento e vigore. D’altra parte, deficit idrici severi possono invece limitare la crescita dei germogli e dell’area fogliare limitando la produzione di assimilati ed esponendo i frutti a condizioni termo-radiative che possono causare scottature. Un leggero o, in alcune fasi, un moderato deficit idrico è invece normalmente positivo in quanto l’attività riproduttiva (crescita del frutto) è normalmente meno sensibile di quella vegetativa allo stress idrico. Per esempio, alcune esperienze eseguite su una cultivar precoce (Sugraone) hanno messo in evidenza che applicando uno stress idrico moderato prima della raccolta aumentava la quantità di grappoli non idonei alla

Acqua e pianta

• Tra il 60 e il 95% della sostanza fresca

dei tessuti della vite è costituito da acqua che, per la maggior parte, serve come solvente per ioni o molecole organiche all’interno della cellule. L’acqua può diffondere liberamente (ma lentamente) dall’interno all’esterno della cellula attraverso la membrana cellulare. Oppure le molecole d’acqua possono penetrare una alla volta (ma molto velocemente) attraverso speciali proteine (aquaporine) esistenti a livello di membrana

• I movimenti dell’acqua dal suolo

alle radici, dalle radici alle foglie e agli altri organi della pianta sono governati da gradienti di potenziale idraulici che si stabiliscono lungo lo xilema in risposta a un gradiente di umidità tra suolo e atmosfera, mentre i movimenti all’interno/ esterno della cellula (floema incluso) sono governati da gradienti di potenziale chimico per effetto di differenti concentrazioni di soluti (assimilati, ioni). I due flussi non sono completamente indipendenti e, per esempio, variazioni del flusso xilematico possono aumentare o diminuire quello floematico. A livello di acino tali variazioni possono determinare fenomeni di spaccatura della buccia

L’area fogliare della vite allevata a tendone è mantenuta su valori di LAI di circa 2,5 (m2 di foglie per m2 di suolo) ovvero di 14 m2 di foglie per pianta. In questo modo si intercetta praticamente tutta l’energia solare incidente e si mantiene una buona attività metabolica anche delle foglie più interne della chioma

177


coltivazione Schematizzazione dell’effetto sulla crescita del germoglio in funzione dell’acqua disponibile assorbita in diversi tipi di suolo Tasso relativo di crescita (%)

Effetti dello stress idrico nei diversi stadi di crescita della vite

• Germogliamento – fioritura: provoca

un germogliamento irregolare, ridotta crescita dei germogli e dell’area fogliare, ridotta crescita del rachide e del numero di fiori; sulla produzione futura provoca una minore fertilità delle gemme e del numero di germogli

• Fioritura – allegagione: sono due fasi

molto sensibili allo stress idrico che provoca ridotta allegagione e dimensione dell’acino, anticipo della maturazione, riduzione della crescita del germoglio e favorisce la senescenza delle foglie basali. Dopo l’allegagione e fino all’invaiatura si potrebbe applicare uno stress idrico lieve o moderato per limitare la crescita espansiva del germoglio senza però influenzare la crescita del grappolo. Eccessiva disponibilità idrica può esaltare la crescita vegetativa a scapito di quella riproduttiva dell’anno successivo

100 75 50 25 0

0

Sabbioso

25 50 75 Acqua disponibile utilizzata (%) Argilloso Argilloso-salino

100

Fonte: rielaborata da Winkler et al., 1997

commercializzazione, mentre applicando uno stress idrico moderato in post-raccolta diminuiva significativamente il contributo delle femminelle sul peso del materiale di potatura e aumentava il numero di gemme fertili lungo il tralcio. Una buona programmazione irrigua è quindi largamente dipendente dalla conoscenza della sensibilità allo stress idrico nelle diverse fasi di sviluppo della coltura. Dopo il periodo invernale, la crescita iniziale dei germogli dipende dalle riserve accumulate l’anno precedente. È inizialmente lenta per poi accelerare in tarda primavera. Parallelamente alla crescita vegetativa due importanti processi riproduttivi si svolgono più o meno contemporaneamente: – il primordio del grappolo riprende la crescita con la formazione delle ramificazioni, l’allungamento e la formazione dei fiori; – sui germogli nuove gemme sono indotte e iniziano la differenziazione di strutture riproduttive che si completeranno l’anno seguente. Il numero di grappoli è, tra le componenti produttive, quella più variabile di anno in anno. Infatti, uno stress prima della fioritura determina una ridotta produzione sia nell’anno in corso (meno fiori per grappolo) sia nell’anno successivo (meno grappoli per germoglio). In annate particolari e in alcune aree del mezzogiorno d’Italia, le piogge invernali non sono sufficienti a ripristinare le riserve idriche del suolo ed è necessario intervenire con l’irrigazione già in primavera per evitare condizioni di deficit idrico. La deiscenza della caliptra e l’apertura degli stami segna la piena fioritura della vite. L’allegagione, cioè il numero di acini per grappolo, definisce la seconda componente produttiva (tipicamente nella vite l’allegagione varia dal 20 al 50% dei fiori). Anche in que-

• Invaiatura – raccolta: uno stress idrico

severo può ridurre la dimensione dell’acino e ritardare l’accumulo degli zuccheri, provocare precoce senescenza delle foglie basali e filloptosi delle femminelle. La riduzione della chioma può esporre il grappolo a fenomeni di scottature solari. Eccessiva disponibilità idrica può causare una ripresa della crescita dei germogli laterali, eccessivo ombreggiamento con scarsa colorazione della buccia e, nelle varietà sensibili, spaccatura della buccia

• Post-raccolta: una scarsa disponibilità

idrica può limitare il flusso di crescita autunnale delle radici, provocare precoce senescenza e caduta delle foglie e riduzione delle riserve disponibili per la stagione successiva

178


irrigazione sto caso eventuali stress idrici o nutrizionali riducono la produzione finale, diminuendo il numero di acini per grappolo (effetto, peraltro, non sempre negativo nel caso dell’uva da tavola in cui si preferisce un grappolo giustamente spargolo). In questa fase è comunque possibile imporre un leggero livello di stress idrico in modo da limitare la crescita espansiva del germoglio e delle femminelle prestando attenzione, però, a non limitare la capacità fotosintetica delle foglie. La crescita dell’acino ha un tipico modello a doppia sigmoide, anche se alcune varietà possono mostrare, nell’ultima fase, una diminuzione del peso fresco dell’acino invece di un plateau. La prima fase di crescita del frutto è caratterizzata da una rapida divisione cellulare (tipicamente le prime due settimane dopo la fioritura) e da una prima espansione cellulare. In questa fase e fino all’invaitura, l’idratazione dell’acino avviene per via xilematica; in caso di stress idrici severi è quindi possibile osservare significative riduzioni delle dimensione degli acini per passaggio di acqua da questi al germoglio. Queste condizioni possono causare anche un minor numero di cellule nell’acino e conseguentemente una minore dimensione finale dello stesso. La prima sigmoide si chiude, nelle cultivar con semi, al raggiungimento delle dimensioni finali dei vinaccioli e, in funzione della cultivar, inizia un periodo di stasi della crescita che riprende con l’invaiatura, fase fenologica caratterizzata dal viraggio del colore, da un rammollimento dei tessuti, dall’accumulo degli zuccheri e dei pigmenti, dal decremento degli acidi e altre complesse modifiche metaboliche. In questo periodo gli effetti di uno stress idrico sono meno evidenti rispetto alle fasi precedenti, ma le variabiali ambientali (temperatura, luce e disponibilità idrica) possono avere un impatto sostanziale sulla composizione e sulla qualità anche aromatica dell’acino. La raccolta non è un vero e proprio stadio fenologico in quanto è principalmente determinato da aspetti commerciali e spesso, nell’uva da tavola, essa è definita dal raggiungimento di un determinato grado zuccherino o, come recentemente definito in sede OIV, dal rapporto zuccheri/acidi.

Una carenza idrica associata a una sfogliatura può esporre il grappolo a danni da scottature solari dovuti a un forte incremento della temperatura superficiale dell’acino

Atmosfera La conoscenza del clima dell’area è indispensabile per la scelta del metodo irriguo, soprattutto se questo deve essere utilizzato anche per fertirrigare o per climatizzare il vigneto. Infatti, precipitazioni, radiazione, vento, temperatura e umidità dell’aria interagendo con la copertura vegetale influenzano sia tassi di traspirazione della coltura sia di evaporazione di acqua dal suolo. La forma di allevamento a tendone è particolarmente efficiente per limitare le perdite di acqua per evaporazione dal suolo e in parte la traspirazione delle foglie più interne e più ombreggiate della chioma.

Stazione agrometeorologica automatica idonea alla misura delle variabili atmosferiche da utilizzare per il calcolo dell’evapotraspirazione di riferimento (ETo) con il metodo di Penaman-Monteith o con altri metodi

179


coltivazione Aspetti applicativi della gestione dell’irrigazione L’avvento di metodi irrigui localizzati e la maggiore conoscenza della fisiologia della pianta hanno dato un grande contributo alla riduzione di acqua utilizzata in agricoltura e, alla comunità scientifica, l’opportunità di sperimentare, in relazione all’obiettivo produttivo, nuove metodologie di gestione e di controllo della disponibilità idrica. L’efficacia operativa dei sistemi irrigui localizzati dipende dalla precisione del metodo di stima del momento d’intervento irriguo e del volume irriguo da utilizzare. L’inizio dell’irrigazione può essere stabilito sulla base della misura dell’umidità del suolo (intesa sia come contenuto idrico sia come potenziale idrico) oppure sulla base di un modello di bilancio idrico del suolo in cui la variazione di umidità, in un certo periodo, è semplicemente stimata come differenza tra le entrate (precipitazioni, variazione della riserva idrica, acque di falda e irrigazioni) e le uscite (ruscellamento, percolazione e soprattutto evapotraspirazione). L’irrigazione avrà inizio quando una certa quantità di acqua è stata utilizzata dal vigneto; si potrà poi decidere sulla base della fase fenologica se restituire completamente tutta l’acqua utilizzata dal vigneto o solo una parte di essa (deficit idrico controllato - RDI). Peraltro, l’uso del deficit idrico controllato come strategia irrigua trova, almeno fino a ora, applicazioni parziali nel comparto dell’uva da tavola a differenza di quanto avviene per l’uva da vino. Ciò anche perché gli effetti dovuti all’applicazione dell’RDI non sempre sono coerenti con gli attuali obiettivi produttivi che guidano la gestione del vigneto da tavola. Diversi sono i metodi e gli strumenti per misurare il contenuto idrico del suolo (tensiometri, potenziometri o gessetti di Bouyoucos, sonda a neutroni, Time Demain Reflectometry (TDR), Frequency Demain Reflectometry (FDR) e il metodo gravimetrico), i dati ot-

In alcuni sistemi innovativi di coltivazione delle uve da tavola sotto serra, si ricorre all’irrigazione sovrachioma impiegata o con funzione di antigelo o per climatizzare l’umidità relativa e la temperatura interna alla serra. Condizione necessaria per utilizzare l’irrigazione sovrachioma è la presenza di acqua di buona qualità che non deve superare 0,7 dS/m

Coefficiente colturale (Kc) per alcune varietà di uva da tavola Kc

Varietà

Copertura del suolo

Nazione

Riferimento bibliografico

Iniziale

Intermedio

Finale

0,5

1,0

0,6

Italia

Totale

Italia

Rana e Katerji (2007)

0,1-0,4

0,8-1,1

0,2-0,6

Thompson Seedless (piena produzione)

Parziale

California, USA

Williams et al. (2003)

0,1

0,5-0,85

0,2

Thompson Seedless (giovane)

Parziale

California, USA

Williams et al. (2003)

0,8-1,3

Thompson Seedless

Parziale

California, USA

Williams e Ayars (2005)

–0,008 + 0,017*area ombreggiata in %

Thompson Seedless

Parziale

California, USA

Williams e Ayars (2005)

1,1

Thompson Seedless

Parziale

California, USA

Johnson et al. (2005)

0,4

Sultana

Parziale

Australia

Yunusa et al. (2004)

0,2 0,3

0,85

0,45

Uva da Tavola

Fonte: modificata da Rana e Katerji, 2007

180

Non specificato

FAO 56 (1998)


irrigazione tenuti pur essendo abbastanza precisi risentono molto delle caratteristiche pedologiche del suolo e la quantità di misure da acquisire può essere molto elevata in rapporto all’eterogeneità del suolo e alla distribuzione dell’apparato radicale. La stima del contenuto idrico del suolo attraverso un bilancio idrico è abbastanza semplice da applicare ma non altrettanto precisa rispetto alle misure dirette, vi è in particolare la necessità di misurare, a livello locale, le precipitazioni, l’entità del ruscellamento, della percolazione profonda e dell’eventuale apporto da falda. Richiede inoltre una stima dell’evapotraspirazione del vigneto (Ecc) ed eventualmente di una stima del coefficiente colturale (Kc, che dipende dallo stadio di sviluppo, dalla copertura del suolo ecc.), gli errori sono quindi cumulativi per cui è necessaria un’accurata calibrazione con le misure dirette. Una via alternativa per stabilire il momento di intervento irriguo è la misura dello stato idrico della pianta. In particolare, il potenziale idrico fogliare o xilematico (dell’asse del germoglio) può essere facilmente misurato con una camera a pressione. Questi valori esprimono direttamente il livello di stress della pianta e di eventuali restrizioni della sua crescita. Altri metodi prevedono misure di conduttanza stomatica, temperatura della chioma, sap flow o velocità di flusso xilematico e variazioni di diametro del tronco. Un sistema di facile impiego ed economico che consente di gestire l’irrigazione è l’applicazione delle stazioni lisimetriche a suzione in grado di fornire indicazioni, oltre che sulla composizione della soluzione circolante, sulla ritenzione idrica del terreno.

La potatura verde tende a eliminare le foglie più ombreggiate meno efficienti da un punto di vista fotosintetico e allo stesso tempo espone i grappoli a livelli radiativi più idonei allo sviluppo di una buona colorazione degli acini

Volume di adacquamento Il volume di adacquamento dovrebbe essere calcolato sulla base della riserva facilmente utilizzabile del volume di suolo bagnato

Rappresentazione grafica di una stazione lisimetrica a suzione in grado di fornire indicazioni, oltre che sulla composizione della soluzione circolante, anche sulla ritenzione idrica del terreno Valvola di pressurizzazione

Valvola di campionamento

Rubinetto di pressurizzazione

Guarnizione in gomma

Pompa a vuoto Rubinetto del vuoto

Terminale di superficie

Fiasca

181


coltivazione da ciascun gocciolatore e non dell’intero volume di suolo esplorato dalle radici. La differenza, soprattutto nei terreni sabbiosi o ricchi di scheletro, è sostanziale e potrebbe portare a un ritardo dell’inizio della stagione irrigua, a programmare turni irrigui più ampi e a utilizzare corpi d’acqua superiori al necessario. I danni sono facilmente intuibili, cioè minore efficienza distributiva dell’acqua, perdite per percolazione di sostanze nutritive (azoto in particolare), alternanza di condizioni di deficit ed eccesso idrico. Nel calcolo del volume di adacquamento, l’evapotraspirazione dipende direttamente dalla coltura e anche dalle tecniche agronomiche impiegate. L’evapotraspirazione rappresenta quindi la quantità di vapore acqueo trasferito dal vigneto all’atmosfera ed è, ai fini irrigui, il termine più importante del bilancio idrico. L’approccio più usato per la sua determinazione è rappresentato dal metodo a “due fasi”. Nella prima fase si stima l’evapotraspirazione di una coltura di riferimento (ETo) e successivamente, attraverso l’uso di un opportuno coefficiente moltiplicativo o coefficiente colturale (Kc), si calcola l’evapotraspirazione della coltura (Ecc), in ogni caso si tratta di colture in condizioni non limitanti di rifornimento idrico e minerale. Tra i diversi metodi di stima della ETo, quello raccomandato dalla FAO è il PenmanMonteith. Per la sua corretta applicazione sono però necessari una corretta progettazione e collocazione della stazione agrometeorologica e personale specializzato normalmente presente nei servizi agrometeorologici regionali che in diversi casi offre anche specifici servizi di guida all’irrigazione. Dopo aver calcolato l’ETo l’evapotraspirazione della coltura in condizioni standard (Ecc) è data dal prodotto tra l’ETo e il Kc, cioè: ETo = Ecc × Kc. Questo approccio anche se spesso criticato non è stato ancora superato da qualunque altro metodo proposto per il calcolo di fabbisogni irrigui colturali. Anche se sarebbe necessario soffermarci ulteriormente nella determinazione del Kc si rimanda al quaderno 56 della FAO (1998) per le procedure di calcolo e altri approfondimenti. Rispetto al turno irriguo, questo dipenderà sia dalla riserva idrica che si desidera consumare prima di intervenire, sia dal tasso con cui l’acqua viene utilizzata dalla coltura. Teoricamente, per mantenere le dotazioni idriche, disponibili per la pianta, allo stato ottimale si dovrebbe intervenire con l’irrigazione quando si esaurisce la riserva facilmente utilizzabile. In funzione di specifici obiettivi produttivi è possibile modificare sia il volume di adacquamento sia la frequenza degli interventi.

Il potenziale dello stelo o xilematico è misurato utilizzando foglie oscurate per almeno 2 ore, successivamente la foglia è recisa e inserita all’interno di una camera e lentamente pressurizzata fino alla comparsa del liquido xilematico dalla superficie di taglio del picciolo. La pressione letta sul manometro nell’istante in cui compare la goccia è pari all’opposto della forza (o potenziale idrico) con cui l’acqua è trattenuta dai tessuti fogliari

Applicazione del deficit idrico controllato (RDI) Condizioni di leggero o di moderato stress idrico possono essere adottate in alcune cultivar per controllare la crescita vegetativa del germoglio e, con estrema cautela, per migliorare le caratteristiche dell’acino (colorazione, contenuto in antociani e aromi) 182


irrigazione e del grappolo (riducendo le dimensioni dell’acino si potrebbero ottenere grappoli più spargoli). Diversi fattori, singolarmente o in associazione tra loro, incidono sull’effettiva praticabilità del deficit idrico controllato; quelli di maggiore importanza sono: – riserva facilmente utilizzabile: un’elevata RFU del suolo può ritardare l’inizio dello stress soprattutto in ambienti con bassa richiesta evapotraspirativa dell’ambiente perdendo così una parte dei benefici desiderati; – conducibilità idraulica del suolo: durante il periodo di stress, agendo con bassi volumi irrigui, una bassa conducibilità idraulica del suolo potrebbe impedire all’acqua di raggiungere lo strato esplorato dalle radici; – salinità dell’acqua di irrigazione: durante il periodo di deficit idrico controllato si possono creare condizioni di eccessiva salinità nella zona radicale; – varietà: su varietà precoci e condotte in semi-forzatura per l’anticipo della maturazione è consigliabile effettuare lo stress idrico controllato in post-raccolta, varietà molto vigorose si avvantaggiano maggiormente dello stress idrico rispetto a quelle meno vigorose, lo stesso dicasi per varietà con acini piccoli rispetto a varietà con acini medio-grossi; – portinnesto: vigoria, resistenza al secco (per esempio la presenza di radici efficienti anche in zone normalmente non interessate dall’irrigazione) ecc. possono fortemente attenuare gli effetti del deficit idrico controllato; – ambienti con primavere o tarda-estate piovosi non si adattano a impostare uno stress idrico controllato in varietà in cui la fase fenologica di imposizione dello stress si verifica nei periodi di maggiore piovosità, soprattutto in presenza di suoli profondi e fertili. Operativamente lo stress idrico controllato viene indotto interrompendo l’irrigazione in modo da far raggiungere alla pianta un determinato grado di stress idrico che in genere viene mantenuto, per il periodo desiderato, riducendo i volumi irrigui. Durante il periodo di imposizione dello stress idrico è importante monitorare sia lo stato idrico del suolo, sia lo stato idrico della pianta, sia la crescita del germoglio e dell’acino. Distanza delle linee gocciolanti dalla pianta Nel vigneto da tavola tradizionale coltivato in Italia, l’impianto d’irrigazione è costituito da linee di gocciolatori posizionate nelle interfile: l’approvvigionamento irriguo per ciascuna pianta è assicurato da un numero minimo di quattro gocciolatori. Nella moderna gestione del vigneto, che tende a una semplificazione colturale e a una riduzione dei costi, si tende ad avvicinare l’ala gocciolante al tronco della pianta; all’antica convinzione che, per favorire l’affrancamento al terreno della pianta e garantire un

In alcuni casi oggi l’approvvigionamento idrico è assicurato da una sola linea gocciolante sulla fila collocata a terra in due vigneti dove si applicano le tecniche di minima lavorazione (in alto cultivar Sugraone, in basso un vigneto ad alta densità della cultivar Vittoria)

183


coltivazione lungo periodo produttivo della vigna, fosse necessario mettere i gocciolatori più distanti possibile, si sta sostituendo l’idea di avvicinare i gocciolatori per contenere lo sviluppo radicale della pianta e dunque il vigore: diventano così di facile applicazione le tecniche di controllo del deficit idrico e di miglioramento dell’efficienza dell’uso dell’acqua. La problematica connessa alla disposizione dei gocciolatori deve tenere conto di alcune delle attuali tendenze del comparto, in particolare dell’esigenza di ridurre la vita economica del vigneto e di aumentare la densità d’impianto. In alcuni casi oggi l’approvvigionamento idrico è assicurato da una sola linea gocciolante sulla fila collocata sopra la maglia del tendone laddove si praticano le lavorazioni convenzionali, a terra invece dove si applicano le tecniche di minima lavorazione. In questa direzione s’inseriscono i primi impianti di subirrigazione realizzati in vigneti a uva da tavola. Gestione delle acque saline Nei climi mediterranei è abbastanza comune l’irrigazione con acque sub-ottimali per la salinità (conducibilità elettrica > 1,0 dS/m). In tal modo si ha un accumulo di sali nel terreno che diventerebbe molto pericoloso, soprattutto nei terreni argillosi, se non intervenisse l’azione dilavante delle piogge autunno-invernali. Per prevenire un eccessivo accumulo di sali nella zona radicale, è consigliabile aumentare il volume irriguo calcolato e adottare volumi di adacquamento modesti e turni brevi (2-3 giorni) in modo da mantenere una tensione matriciale molto bassa, favorendo nel contempo un lento processo di percolazione in modo da allontanare in profondità gran parte dei sali. La frazione di acqua da incrementare (LR, leaching factor) non è fissa ma deve essere aggiustata al variare della salinità dell’acqua ed è pari al rapporto tra la conducibilità elettrica dell’acqua irrigua (ECa) e la conducibilità elettrica massima tollerabile nell’estratto saturo del suolo (ECe).

L’uso di acque saline in impianti a goccia provoca un accumulo di sali alla periferia del volume di suolo bagnato che potrebbe comportare fenomeni di fitotossicità. Per prevenire l’eccessivo accumulo di sali nella zona radicale, è consigliabile aumentare il volume irriguo calcolato e adottare volumi di adacquamento modesti e turni brevi (2-3 giorni) in modo da favorire un lento processo di percolazione e allontanare in profondità gran parte dei sali

Foto R. Angelini

Riduzione percentuale della produzione in funzione della conducibilità elettrica dell’acqua irrigua e dell’estratto saturo del suolo Riduzione della produzione

Conducibilità elettrica (dS/m) Acqua irrigua (ECa)

Estratto saturo del suolo (ECe)

0

< 1,0

< 1,5

10-25%

1,1-2,7

1,5-4,0

26-50%

> 2,8

4,1-8,0

51-100%

Particolare di un irrigatore

Fonte: rielaborata da Coombe e Dry, 1992

184

8,1-12,0


irrigazione Irrigazione sovrachioma Oltre ai metodi d’irrigazione sottochioma per l’approvvigionamento irriguo della vite, in alcuni sistemi innovativi di coltivazione delle uve da tavola sotto serra si ricorre all’irrigazione sovrachioma impiegata o con funzione di antigelo o per aumentare l’umidità relativa interna alla serra. L’irrigazione sovrachioma con funzione di antigelo è impiegata da diversi anni nelle zone del sud-est della Sicilia dove si ottengono le produzioni extraprecoci di uva: in presenza di gelate vengono azionati irrigatori a farfalla che effettuano una bagnatura continua della vegetazione evitando la formazione, sulla lamina fogliare, del ghiaccio. I vigneti da tavola coltivati sotto serra possono essere dotati di impianti di minifog con ugelli eroganti 27 litri per ora e posti a una distanza di 2 × 2,5 m che, con interventi di pochi secondi di durata, polverizzano l’acqua che non arriva a bagnare le foglie ma che riduce repentinamente di qualche grado la temperatura dell’aria mantenendo l’umidità relativa su valori superiori al 60%. Il deficit della pressione di vapore, che correla proprio la temperatura dell’aria con l’umidità relativa pertanto si riduce istantaneamente garantendo condizioni microclimatiche più favorevoli alle piante. Condizione necessaria per utilizzare l’irrigazione sovrachioma è la presenza di acqua di buona qualità che non deve superare 0,7 dS/m.

L’irrigazione non deve essere causa di deprezzamento o contestazione dell’uva in sede di commercializzazione

Irrigazione e qualità dell’uva Come già accennato, gli effetti dell’irrigazione possono determinare anche variazioni del quadro aromatico, polifenolico dell’uva da tavola e nella colorazione della buccia. Alcune osservazioni eseguite su Sugraone hanno evidenziato un’interazione positiva sull’aroma di moscato di un moderato livello irriguo (60% di reintegro dell’Ecc) e di nutrizione minerale (70 ppm di N) rispetto a livelli irrigui e minerali più bassi o più elevati. Nella cultivar Supernova, in prossimità della maturazione, uno stress idrico severo (reintegro del 40% della Ecc) nella fase di maturazione provoca non solo una riduzione in senso assoluto sia degli antociani sia dei flavonoidi ma anche una diversa concentrazione relativa dei singoli composti (più elevata presenza di rutina) rispetto a piante in cui era stata reintegrata l’80% dell’Ecc. L’interazione irrigazione, incisione anulare e gibberelline può condizionare la quantità di polifenoli. Per esempio, la cultivar Supernova risponde all’incisione anulare in condizione di stress idrico severo aumentando la concentrazione in antociani e diminuendo quella dei flavonoidi. In Crimson Seedless particolari condizioni di profondità e fertilità del suolo e assenza di stress (potenziale xilematico di circa –0,6 MPa) possono provocare un eccessivo vigore vegetativo che può compromettere il livello di colorazione dei grappoli fino a non soddisfare i requisiti commerciali di riferimento sulla colorazione.

Foto Raciti

Squilibri idrici possono causare fenomeni più o meno gravi di spaccatura dell’acino che evolve facilmente verso marciume acido. Le cause predisponenti possono essere diverse e non facilmente identificabili

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l’uva da tavola

coltivazione Concimazione Vitale Nuzzo, Antonio Coletta,

Rosario Di Lorenzo

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Concimazione Introduzione La gestione della nutrizione dell’uva da tavola è argomento di ampia discussione perché ha conseguenze dirette sulla pianta, sul terreno, sull’ambiente e, rappresentandone un costo, condiziona il risultato economico dell’impresa. Per la messa a punto di uno specifico piano nutrizionale su base aziendale o sub-aziendale, occorre tener conto: del tipo di suolo e delle sue dotazioni naturali in elementi minerali, della qualità dell’acqua di irrigazione, della combinazione d’innesto, della tipologia produttiva (anticipo di maturazione, standard, ritardo della raccolta), della forma di allevamento, della densità di piantagione e dei livelli produttivi. Inoltre, la comprensione da parte dell’agricoltore del ruolo degli elementi minerali essenziali e delle loro dinamiche annuali e interannuali nella pianta e nel terreno è fondamentale per sincronizzare la richiesta effettiva di nutrienti con la loro disponibilità.

Nutrizione della vite

• La nutrizione minerale dell’uva da

tavola è elemento chiave della gestione del vigneto. Un corretto programma di nutrizione dell’uva da tavola dovrebbe guidare le piante verso un’equilibrata competizione tra attività vegetativa e riproduttiva sia in atto sia in preparazione, mantenere un’elevata qualità dei frutti e una vegetazione sufficiente per l’assimilazione, limitare i costi dell’impresa e l’impatto ambientale

Elementi chimici essenziali per la pianta Sebbene l’analisi chimica dei tessuti di una pianta può rilevare la presenza di numerosi elementi chimici, solo sedici sono essenziali per sostenere i normali processi di crescita e di sviluppo di una pianta: carbonio (C), idrogeno (H), ossigeno (O), azoto (N), fosforo (P), potassio (K), calcio (Ca), magnesio (Mg), zolfo (S), ferro (Fe), manganese (Mn), zinco (Zn), boro (B), rame (Cu), molibdeno (Mo) e cloro (Cl). Altri elementi, sodio (Na), silicio (Si), cobalto (Co) e alluminio (Al), presenti normalmente in piccole concentrazioni,

Cos’è un elemento essenziale

• Per le piante superiori, vite inclusa,

un elemento minerale è essenziale se: – fa parte di una molecola che è componente intrinseco (per esempio la clorofilla) oppure è direttamente coinvolto nei processi metabolici della pianta, come componente di un costituente essenziale (per esempio un enzima) o è richiesto per uno specifico step metabolico (attivazione di determinati enzimi) – la sua carenza causa anormalità nella crescita, nello sviluppo e nella riproduzione e, se grave, porta alla morte della pianta o all’incapacità della stessa di completare il ciclo vitale – la manifestazione della sua carenza è specifica, in quanto un nutriente essenziale non può essere sostituito, nelle sue funzioni, da un altro

Anche in forme di allevamento alternative al tendone, l’irrigazione e la concimazione devono essere gestite in modo da massimizzare l’uso delle risorse interne alla pianta e al vigneto. In questo caso, data la minore presenza di strutture legnose (tronco e branche) con funzione di riserva, occorre una più attenta programmazione degli interventi di concimazione o di fertirrigazione durante il ciclo annuale della pianta

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concimazione Concentrazione tipica dei più importanti elementi nutritivi in foglie di vite Funzioni dei principali elementi essenziali

Elementi Essenziali Macro-nutrienti Tipo

Micro-nutrienti %

Tipo

ppm

B

30

Fe

210

C O H

93,2

Mn

140

N

2,15

Cl

500

P

0,17

Na

240

K

1,02

Cu

5

Ca

2,61

Zn

90

Mg

0,31

Mo

0,5

S

0,40

Co

0,5

• Azoto: componente strutturale di

proteine, enzimi, acidi nucleici, clorofilla e altri pigmenti presenti nelle foglie e nei frutti (antociani)

• Potassio: coinvolto nel metabolismo dei carboidrati e nel loro trasporto; nella sintesi proteica; nella funzionalità degli stomi; nel mantenimento del turgore cellulare (osmolita)

• Fosforo: entra nei legami ad alta energia delle molecole ATP/ADP; costituente delle membrane cellulari e di proteine; costituente degli acidi nucleici

Fonte: rielaborata da Vercesi, 1996

• Calcio: componente strutturale delle

sono invece classificati come benefici, in quanto importanti solo in alcune condizioni ambientali o per alcune specie. Escludendo il carbonio e l’ossigeno, normalmente scambiati con l’atmosfera attraverso l’apparato fogliare, tutti gli altri elementi sono prevalentemente acquisiti per via radicale. Appare quindi evidente il ruolo determinante svolto dalle caratteristiche morfologiche, strutturali e funzionali dell’apparato radicale: in particolare, la periodicità di crescita e di attività delle radici, la distribuzione delle radici lungo il profilo del suolo, il rapporto tra radici fini (di tipo assorbente) e radici grosse (di riserva e trasporto), le loro interazioni con la micro-flora del suolo e la loro associazione con le micorrize possono modificare notevolmente l’assorbimento dei diversi nutrienti.

pareti cellulari; attivatore enzimatico

• Magnesio: componente centrale

della clorofilla; attivatore enzimatico; componente strutturale e regolatore nella sintesi proteica

• Zolfo: costituente di aminoacidi e coenzimi

• Zinco: coinvolto nella sintesi dell’acido indolacetico (auxina), nel processo di impollinazione e nello sviluppo dei cloroplasti

Foto S. Somma

• Manganese: coinvolto nella scissione

della molecola dell’acqua nelle reazioni della fase “luminosa” della fotosintesi; attivatore enzimatico

• Boro: coinvolto nel metabolismo dei

carboidrati e nella divisione cellulare; impollinazione e fecondazione

• Ferro: coinvolto nella biosintesi

della clorofilla; attivatore enzimatico

Sintomi di clorosi ferrica

187


coltivazione Gli elementi nutritivi, presenti nella soluzione circolante, arrivano alla radice per diffusione o per convezione. Il processo di diffusione si verifica in seguito a un gradiente di concentrazione tra la soluzione circolante prossima alla radice e quella presente nel resto del terreno. In genere è un movimento lento e su brevi distanze da cui però dipende l’assorbimento di importanti elementi nutritivi quali fosforo, potassio, boro, ferro, zinco e manganese; per il loro assorbimento risulta quindi molto importante un adeguato sviluppo della superficie radicale rispetto al volume di suolo occupato. Il movimento di altri elementi (azoto, calcio, magnesio e altri micro-elementi) è dominato dalla convezione o flusso di massa che dipende dal movimento dell’acqua lungo il profilo del terreno (per gravità) e verso la radice indotto dalla traspirazione. Per questo processo è importante sia un’adeguata disponibilità idrica sia una buona funzionalità dell’apparato fogliare in termini di traspirazione e di assimilazione. Sono, infatti, gli assimilati prodotti dalle foglie ad assicurare l’energia necessaria per l’assorbimento degli elementi minerali da parte delle radici, per il loro “caricamento” nel sistema vascolare delle piante e per il loro trasporto che avviene soprattutto per via xilemetica con il flusso traspirativo nelle foglie e nei frutti almeno fino a quando tali organi mantengono una certa attività traspirativa. All’interno della pianta alcuni ioni sono molto mobili (N, P, K, Mg, S, Na e Cl), potendo essere trasportati per via sia floematica sia xilematica, altri parzialmente mobili (Zn, Cu, Mn, Fe, B e Mo – prevalente trasporto xilematico) e altri come il Ca praticamente immobili (solo per via xilematica). Per il Ca e quelli poco mobili è

Classificazione degli elementi essenziali

• In funzione della loro concentrazione nei tessuti vegetali, possono essere classificati in:

–m acro-elementi (N, P, K, S, Ca e Mg), normalmente presenti in concentrazioni di pochi grammi o frazioni di grammo per 100 g di sostanza secca ed espressi in % –m icro-elementi (B, Fe, Mn, Zn, Cu, Cl, Mo), normalmente presenti in concentrazioni di pochi o frazioni di milligrammo per kg di sostanza secca ed espressi in ppm (parti di elemento per milione)

Lo scavo per l’osservazione delle caratteristiche pedologiche del suolo può anche mettere in evidenza le zone maggiormente colonizzate dalle radici e la profondità da esse raggiunta

Una chioma ben illuminata e funzionante è fondamentale per l’assorbimento degli elementi minerali da parte delle radici

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concimazione quindi necessario conoscere la loro concentrazione anche negli acini per meglio impostare un efficace piano di concimazione. Bilancio nutrizionale Per poter conciliare la tutela dell’ambiente con la necessità di garantire un vantaggioso risultato economico, qualitativo e produttivo occorre da un lato ottimizzare l’uso delle risorse interne alla vite e al vigneto e dall’altro utilizzare metodi efficienti di distribuzione dei fertilizzanti in modo da renderli disponibili nei periodi di massima richiesta da parte della coltura. Nelle piante arboree, compresa la vite, una parte dei carboidrati elaborati dalle foglie e alcuni elementi minerali assorbiti dalle radici vengono accumulati temporaneamente nelle radici e nei tessuti legnosi permanenti della pianta per costituire un pool di sostanze di riserva che verranno rimobilizzate nella primavera successiva per sostenere la crescita espansiva del germoglio (grappolo compreso) nelle prime fasi. Dopo la fioritura, le necessità della pianta sono assicurate in maniera più diretta dagli assorbimenti radicali che successivamente devono anche assicurare la formazione delle riserve per la pianta da utilizzare nella stagione vegetativa successiva. A livello di vigneto una parte degli elementi minerali assorbiti dalla pianta è permanentemente allontanata da esso (frutti), altri sono immobilizzati nelle strutture permanenti, altri invece ritornano al terreno in forma organica insieme al materiale rimosso con le potature estive (sfogliature, sfemminellature, diradamento) e invernali e con le foglie senescenti. La conoscenza della concentrazione degli elementi minerali contenuti nei diversi organi della pianta e del loro destino durante il ciclo annuale e in-

Analisi del suolo

• I dati risultanti da un’analisi del

suolo richiedono un’interpretazione qualificata fornita solitamente dal laboratorio di analisi. È comunque opportuna una valutazione agronomica specifica per la vite, poiché i giudizi espressi dal laboratorio di analisi potrebbero essere basati sulla generalità delle colture agrarie

• Le determinazioni da richiedere

dovrebbero essere: le caratteristiche fisiche (argilla, limo, sabbia, scheletro), umidità alla capacità idrica di campo e al punto di appassimento, conducibilità dell’estratto saturo, la sostanza organica, il pH, il calcare totale e attivo, la concentrazione dei macro e dei micro-elementi e la capacità di scambio cationico (C.S.C.) che rappresenta la quantità di cationi (K+, Ca2+, Mg2+ e Na+) che il suolo puo adsorbire e scambiare con la soluzione circolante

• Il campionamento deve essere eseguito

in più punti dell’appezzamento (secondo uno schema a X) ed eventualmente in più profondità, in epoche tali da evitare interferenze o effetti di tecniche colturali (concimazioni, irrigazioni, lavorazioni) applicate al vigneto. In pratica prima dell’impianto il campionamento può essere eseguito prima della lavorazione profonda, mentre con la coltura in atto il prelievo potrà essere eseguito in autunno

La semina di una coltura da sovescio (leguminose, graminacee o una loro miscela) rappresenta una valida soluzione per arricchire un terreno di sostanza organica. Con l’interramento di solito alla fioritura della leguminosa si apporta, oltre a un notevole quantitativo di sostanza organica anche azoto. Nella foto, veccia pronta per essere interrata in fase di impianto del vigneto

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coltivazione terannuale fornisce utili indicazioni per quantificare le necessità in elementi minerali nel corso del suo ciclo vitale. In pratica, gli strumenti d’indagine a disposizione dell’agricoltore e dell’assistenza tecnica sono: l’analisi pedologica e fisico-chimica del suolo (quella fisico-chimica da ripetersi ogni 5-6 anni); l’analisi fogliare e/o peziolare; l’analisi chimica delle acque d’irrigazione e della soluzione nutritiva in caso di fertirrigazione; la valutazione della biomassa prodotta (alla raccolta: grappoli, foglie e assi; alla potatura: tralci; durante il ciclo: materiale rimosso con le operazioni al verde). Favorire l’utilizzazione da parte della pianta di tali fonti nutritive rappresenta, oggi, un obiettivo importante per una razionale gestione del sistema vigneto di uva da tavola, gestione che preveda cioè il mantenimento o il miglioramento della fertilità agronomica del suolo. Inerbimenti e/o riduzioni delle lavorazioni meccaniche, uso di sostanza organica sono sempre più adottati nella gestione del vigneto di uva da tavola.

Diagnostica fogliare e peziolare

• La diagnostica fogliare e quella

peziolare consistono nell’analisi chimica di foglie (lamine fogliari) o piccioli prelevati in diverse fasi fenologiche. In allegagione o in fasi fenologiche precedenti e/o limitrofe a tale periodo si preleveranno le foglie inserite in posizione opposta al grappolo basale in germogli mediani rispetto al capo a frutto, mentre in periodi più tardivi quali quello di invaiatura o della raccolta si sceglieranno le foglie posizionate quattro nodi dopo l’ultimo grappolo, sempre da germogli analoghi a quelli precedentemente indicati

Concimazione di fondo Ha lo scopo di migliorare le caratteristiche fisico-chimiche e microbiologiche del suolo e viene effettuata nell’estate precedente l’impianto del vigneto prima della lavorazione profonda (aratura o rippatura) in modo da apportare elementi nutritivi poco mobili nel suolo (P, K, Mg soprattutto) in forma organica o minerale. Poiché le quantità di concimi o ammendanti da apportare sono piuttosto ingenti, così come le entità di energia da impegnare per la lavorazione profonda, occorre sottolineare che la concimazione di fondo è un’operazione particolarmente delicata sia sul piano ambientale sia su quello economico dell’azienda. Prima di effettuarla occorre quindi un’attenta valutazione della fertilità naturale del suolo sce-

• La valutazione della composizione

chimica dei lembi fogliari o dei piccioli non permette di definire un piano di fertilizzazione del vigneto. Comunque, quando l’analisi fogliare è considerata insieme ad altre variabili del vigneto (vigore delle piante, pH del suolo, compattazione del terreno, eccessi o deficit idrici, quantità e modalità di distribuzione dei concimi) ci permette di mantenere, aumentare o diminuire le quantità di fertilizzanti, o di modificare altri aspetti di gestione del vigneto che influenzano la nutrizione delle piante

Uva della varietà Sugraone durante il primo anno di coltivazione in cui irrigazione e nutrizione sono state effettuate localmente alla base della pianta con autobotte: un mese dopo il germogliamento (a sinistra), tre mesi dopo il germogliamento (a destra)

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concimazione gliendo l’opportunità o meno di eseguire una lavorazione molto profonda (intorno a 1 metro) sulla base della sua effettiva necessità. Per esempio, è stato messo in evidenza che lavorare un terreno di medio impasto oltre gli 80 cm non ha avuto vantaggi sulla crescita delle piante e la produzione di uva, ma ha prodotto una forte lisciviazione di K, Ca e Mg. Per quanto riguarda le quantità di concime da apportare con la concimazione di fondo le scelte devono basarsi in relazione ai parametri di seguito descritti. – Profondità dello strato esplorato dalle radici: la concimazione sarà quantitativamente inferiore in suoli poco profondi rispetto a quelli più profondi. – Percentuale di scheletro: in suoli ricchi di scheletro si dovranno diminuire le dosi di concime da apportare in rapporto alla percentuale di scheletro. – Combinazione d’innesto: le esigenze variano in relazione al portinnesto utilizzato; per esempio qualora il portinnesto sia l’SO4 si dovranno apportare minori dosi di potassio. – pH del suolo: le manifestazioni di carenza ed eccesso, infatti, sono spesso originate da valori anomali di tale parametro, soprattutto nel caso dei microelementi; generalmente un pH neutro o sub-acido (7-6) favorisce la disponibilità della maggior parte degli elementi essenziali per la vite; sono meno disponibili a pH acidi (< 6) N, P, K, Mg, Ca e Mo; mentre a pH > 7 sono meno disponibili Fe, Mn, Zn, Cu e B. Altre caratteristiche fisico-chimiche del suolo: nei terreni sciolti non è consigliabile intervenire con la concimazione di fondo sia organica, perché potrebbe andare incontro a ossidazione o eremacausi, sia minerale, perché potrebbero essere facilmente dilavati; nei terreni acidi o alcalini evitare le concimazioni fosfatiche perché il P potrebbe andare incontro a insolubilizzazione (fosfati di Fe e Al in ambiente acido, e fosfato bi-calcico o tricalcico in quelli alcalini). In pratica, visto il crescente costo dei concimi minerali, si consiglia di porre molta attenzione sulla necessità o meno di effettuare la concimazione di fondo e comunque di non superare le dosi calcolate sulla base delle analisi del suolo. Per quanto riguarda l’arricchimento in sostanza organica del suolo, si potrebbe intervenire, qualora non si sia in grado di reperire letame bovino maturo, con ammendati organici naturali (compost) previsti dalla legge 784 del 1984 (ora decreto legislativo 217 del 2006). Al fine di aumentare il contenuto di sostanza organica del suolo tramite la concimazione di fondo, si consiglia di evitare l’apporto di concimi minerali azotati, in quanto l’alta mobilità di questo elemento ne comporterebbe la perdita negli strati profondi del suolo o in falda. Una valida soluzione per arricchire un terreno di sostanza organica consiste nel seminare specie erbacee tipo leguminose come favino, veccia, e sovesciare la coltura al momento della fioritura: si apporta in questo modo, oltre a un notevole quanti-

Interazione chioma-radice ovvero interazione varietàportinnesto

• Dopo la crisi fillosserica le varietà

di vite europea sono state normalmente innestate su varietà o ibridi americani. Il contenuto in elementi minerali del nesto (la varietà di uva) è il risultato combinato della capacità di assorbire elementi minerali del portinnesto e della capacità del nesto di traslocare e accumulare gli stessi negli organi epigei. Per esempio, per quanto riguarda azoto e fosforo il 1103 P ha un’efficienza di assorbimento più elevata rispetto a 140 Ru e a Kober 5BB. Per quanto riguarda il potassio, invece, il 140 Ru ha una maggiore efficienza di assorbimento rispetto a 110 R, 1103 P e Kober 5BB, SO4 e 420A. SO4 e 110R sono anche poco efficienti nell’assorbimento del Mg. Per quanto riguarda le varietà la capacità di accumulare N, P, K, Zn e B è maggiore in Thompson Seedless > Ruby Seedless > Flame Seedless > Perlette

Cultivar Italia al secondo anno dall’innesto

191


coltivazione tativo di sostanza organica al terreno che ne migliora la struttura, azoto disponibile per le viti non facilmente dilavabile dal sistema pianta/terreno.

Foto S. Somma

Concimazione per impianti giovani La pianta di vite appena messa a dimora (barbatella innestata o barbatella da innestare) non può contare sulle riserve accumulate l’anno precedente. È quindi necessario intervenire con la concimazione minerale (macro e microelementi) precocemente per favorire l’attecchimento e le prime fasi di crescita e, più volte, durante la stagione vegetativa per sostenerne la crescita e accelerare l’entrata in produzione delle piante, con l’obiettivo quindi di costituire rapidamente la struttura della pianta senza per questo rinunciare a una precoce produzione. Operando in questo modo già al secondo anno, piante innestate in campo possono raggiungere produzioni di circa 10-20 kg di uva per pianta. Di particolare importanza risultano essere anche le concimazioni tardive (agosto-settembre) che permettono alla pianta la costituzione di adeguate riserve utilizzabili per sostenere le fasi iniziali della crescita nella primavera successiva. Alla fine del primo anno le piante saranno così in grado di maturare un adeguato numero di gemme sia sul germoglio principale sia sui laterali, che nel caso di forma a tendone o a Y possono costituire le future branche. Anche durante il secondo anno occorrerà intervenire con concimazioni periodiche non solo per sostenere l’attività vegetativa, ma anche per sostenere la crescita e la maturazione degli acini, preparando così la pianta al periodo di piena produzione.

Disseccamento del rachide provocato da squilibri nutrizionali

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concimazione Concimazione di produzione La concimazione ordinaria per i cicli di produzione deve, da un lato, garantire un adeguato livello di elementi minerali nella pianta, evitando carenze o eccessi, e dall’altro mantenere i livelli adeguati di fertilità chimica e biologica del suolo attraverso una corretta gestione della quantità di sostanza organica. Si tratta quindi di compilare un bilancio nutrizionale basato sulla stima delle asportazioni da parte della pianta, del riciclo, attraverso la mineralizzazione, degli elementi minerali contenuti nel materiale asportato con le potature (estive e invernali), del consumo di sostanza organica del suolo per mineralizzazione e dell’apporto di elementi minerali con le acque d’irrigazione. Per quanto riguarda la stima della quantità di elementi minerali asportati normalmente, si prendono in considerazione gli organi annuali ed epigei della pianta (grappoli e germogli), mentre si suppone che le variazioni inter-annuali degli altri organi legnosi (tronco, radici) siano praticamente trascurabili. In una sperimentazione con Sugraone innestata su 1103 Paulsen, mediamente alla raccolta, il peso del grappolo rappresentava circa il 70% del peso dell’intero tralcio, per cui per ogni tonnellata di grappoli si producevano circa 700 kg di foglie e tralci. Quindi per ogni tonnellata di frutta si aveva un fabbisogno di circa 4 kg di N, 1 kg di P2O5, 4 kg di K2O, 5 kg di CaO, 1 kg di MgO, 16 g di Fe, 18 g di Mn e 5 g di Zn. Merita di essere maggiormente approfondito il riciclo di elementi minerali contenuti nei residui colturali della pianta. Alcuni autori hanno indicato un consumo medio annuo di sostanza organica, per il processo di mineralizzazione, pari a circa il 3% all’anno. Per ridurre i fenomeni di stanchezza o in generale per evitare una significativa riduzione della fertilità agronomica dei suoli è necessario intervenire per reintegrare o aumentare il livello di sostanza organica del suolo. Le foglie senescenti, il materiale fresco rimosso dalla pianta con le potature estive e i sarmenti della potatura

Dinamica di crescita dei germogli e uso dei principali macroelementi

• Nel Metapontino, in un vigneto della

cultivar Superior Seedlees innestata su 1103 P, allevato a tendone, di 6 anni d’età e protetto per l’anticipo di produzione, è stata misurata l’evoluzione della sostanza fresca del germoglio, la sua ripartizione tra gli organi vegetativi e riproduttivi e la concentrazione di alcuni macroelementi nei grappoli, nelle foglie e nei tralci

• È emerso che per gli organi riproduttivi,

dall’allegagione (fine maggio) alla raccolta (seconda metà di luglio) erano richieste dalla pianta 1,2, 0,5, 2,2, 0,14 e 0,3 kg/ha/giorno unità fertilizzanti rispettivamente di N, P2O5, K2O, CaO e MgO per maturare circa 30 t/ha di uva

• Per gli organi vegetativi dalla fioritura

agli inizi di settembre, invece, l’uso di elementi era pari a 0,41, 0,03, 0,18, 0,55 e 0,06 kg/ha/giorno di unità fertilizzanti rispettivamente di N, P2O5, K2O, CaO e MgO

Apporto annuo di macroelementi (kg/ha) in un vigneto di Red Globe con una densità di 1633 piante/ha N

P

K

Ca

Mg

Germogliamento-Fioritura

11,6

0,0

0,0

19,5

0,0

Fioritura-Invaiatura

45,5

62,1

100,8

42,1

10,0

Invaiatura-Raccolta

20,6

5,4

55,3

16,8

11,6

Post-raccolta

12,5

5,4

27,6

12,0

7,7

Totale fertirrigazione

90,2

73,0

183,7

90,4

29,3

Concimazione di fondo post-raccolta

15,0

25,9

23,4

0,0

5,6

Totale annuo

105,2

98,9

207,0

90,4

34,9

Fonte: Palma, Asistencia Productores SQMC, 2006

193


coltivazione invernale trinciati e interrati rappresentano una fonte economica di sostanza organica e secondariamente anche di elementi minerali. In un vigneto del Metapontino di Sugraone le quantità di foglie senescenti ammontavano a circa 4 t/ha, il materiale di potatura verde a circa 1,5 t/ha e il materiale di potatura secca ammontava a circa 5 t/ha. Queste quantità se da un lato potrebbero controbilanciare le perdite annuali di sostanza organica dovute al processo di mineralizzazione o comunque contribuire a ridurne il fabbisogno annuale, dall’altro asportano, almeno temporaneamente, un quantitativo di elementi minerali pari a circa 51 kg/ha di azoto, 10 kg/ha di anidride fosforica (P2O5), 27 kg/ha di ossido di potassio (K2O), 108 kg/ha di ossido di calcio (CaO) e 14 kg/ha di ossido di magnesio (MgO). Le acque di irrigazione possono essere un’ulteriore fonte di elementi minerali importante per l’uva da tavola. Infatti, anche acque di buona o di ottima qualità per l’irrigazione possono contenere concentrazioni di azoto, potassio, calcio, magnesio, zolfo, cloro e sodio tali da contribuire in maniera significativa o, per i microelementi, da soddisfare completamente le esigenze annuali della pianta. Per esempio, nelle acque irrigue utilizzate in Basilicata il contenuto in azoto nitrico e in potassio è di circa 10-20 mg/l, mentre per calcio, magnesio, sodio e cloro le concentrazioni variano tra 20 e 150 mg/l che corrispondono, supponendo un volume irriguo stagionale di 2000 m3/ha, rispettivamente a 20-40 kg/ ha e 40-300 kg/ha. In definitiva con la concimazione di produzione si dovrebbe: – a fine inverno intervenire con concimi organici (compost o letame) per ripristinare il livello iniziale di sostanza organica del suolo; – durante la stagione vegetativa, in funzione del livello produttivo dell’anno precedente e della gestione del materiale di potatura invernale (allontanamento o riciclo interno), si dovrebbero ripristinare gli elementi allontanati definitivamente dal vigneto; a fine estate-inizio autunno, un ulteriore intervento dovrebbe ripristinare le riserve interne alla pianta.

Foto S. Somma

Foto S. Somma

Modalità di somministrazione dei fertilizzanti Distribuzione al suolo Tradizionalmente gli elementi nutritivi vengono forniti alla pianta attraverso il terreno con varie modalità: su tutta la superficie o localizzati con distribuzione superficiale o interrati. La scelta può dipendere da diversi fattori legati alla praticità di esecuzione dell’operazione, alle tecniche colturali in atto e al tipo di concime utilizzato. La distribuzione tradizionale del fertilizzante al terreno è normalmente applicato sia in pre-impianto per incrementare le dotazioni di fondo in elementi minerali o in sostanza organica del suolo, sia nelle fasi di produzione per l’apporto di concimi organici, organo-minerali o minerali durante il periodo autunno-invernale.

Foglie con sintomi più o meno marcati di carenza di potassio

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concimazione Concimazione fogliare Le foglie, insieme ad altri organi epigei della pianta (frutti e fusto), hanno la capacità di assorbire semplici molecole minerali o organiche in forma gassosa o irrorate sulla loro superficie in soluzione acquosa o in sospensione. Rispetto alla distribuzione al suolo la concimazione fogliare ha il vantaggio di fornire i nutrienti direttamente alle foglie e ai frutti, evitando l’interazione con la matrice colloidale del suolo o i rischi di dilavamento superficiale e/o profondo. D’altra parte, però, almeno per i macroelementi, non è possibile apportare dosi tali da soddisfare l’esigenza annuale della pianta; infatti, al di sopra di una certa concentrazione la soluzione nutritiva può risultare fitotossica, ma può essere efficace per superare una temporanea carenza. Per i microelementi (B, Zn, e Fe in particolare), invece, la concimazione fogliare pone meno rischi e risulta più vantaggiosa rispetto ad altre modalità di somministrazione. In genere è utile ricorrere alla concimazione fogliare in condizioni climatiche (per esempio basse temperature), pedologiche (elevate concentrazioni di calcare e di pH sub-alcalino o alcalino del suolo), agronomiche (ristagno idrico o scarsa disponibilità idrica) e fisiologiche che limitano l’assorbimento radicale, per superare condizioni temporanee di carenza di uno o più elementi essenziali, per migliorare la qualità dei frutti (per esempio aumentare la concentrazione di calcio nei frutti), per incrementare le riserve di nutrienti intervenendo poco prima della caduta delle foglie e per regolare la disponibilità di microelementi (per esempio Ca, B, Zn, Fe e Mg). Le foglie di vite hanno in genere caratteristiche anatomiche favorevoli all’assorbimento di elementi minerali avendo, nella pagina superiore, un ridotto spessore cuticolare e una buona microrugosità e un’abbondante presenza di tricomi e densità stomatica nella pagina inferiore. La vite, come è noto, presenta una capacità di scambio cationica fogliare tra le più elevate. L’assorbimento fogliare è anche positivamente influenzato da un’elevata umidità dell’aria che riduce le proprietà idrofobiche

Esempio di calcolo delle unità fertilizzanti sulla base della C.S.C.

• Per calcolare la quantità di potassio (K O) 2

in un terreno di medio impasto con una capacità di scambio cationico (C.S.C.) pari a 15 meq/100 g che contiene una concentrazione di K2O scambiabile pari a 60 ppm si procede come segue: – la soglia di sufficienza per un livello normale di K2O è compresa tra 120 e 210 ppm (valori tabulati), nel nostro esempio si pone pari a 120 ppm;

– strato di suolo di 80 cm pari a 8000 m3/ha, il suolo ha una densità apparente pari a 1,3 t/m3, per cui il peso di suolo è pari a 8000 × 1,3 = 10.400 t – dotazione del suolo = 10.400 t × 60 ppm = 624 kg/ha di K2O; – soglia di sufficienza = 10.400 × 120 = 1248 kg/ha di K2O; – quota da apportare = 1248 – 624 = 624 kg/ha di K2O (pari a circa 13 quintali/ha di solfato di potassio, in questo caso si apportano anche 234 kg/ha di S) Piante di vite a un mese circa dal germogliamento, in questa fase particolare attenzione deve essere posta alle esigenze idriche e minerali della pianta

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coltivazione della cuticola, migliorando l’assorbimento dei composti ionici, e ritarda l’evaporazione della soluzione irrorata, dalla luce che favorisce l’apertura stomatica, la permeabilità della membrana delle cellule di guardia e, aumentando la temperatura della lamina, favorisce la fluidità delle cere della cuticola migliorando il movimento dei composti apolari. In genere, a pH superiore a 3 la penetrazione dei cationi (K+, Ca2+ e Mg2+ ecc.) è maggiore rispetto agli anioni (per esempio PO43–). La permeabilità all’urea è 10-20 volte superiore di quella di altri ioni inorganici. Proprio per questo motivo l’aggiunta di urea alla soluzione viene utilizzata per facilitare anche la penetrazione di altri composti quali P, Mn, S, Mg e Fe. Nella viticoltura da tavola la concimazione fogliare è ormai normale strumento di programmazione e di realizzazione della fertilizzazione del vigneto, soprattutto quando si punta a produzioni di elevata qualità. Ogni agricoltore deve anche tener presente che la risposta positiva alla concimazione fogliare si ha soprattutto quando il nutriente apportato costituisce un fattore limitante per la crescita vegeto-produttiva della vite (per esempio somministrazione di ferro in situazioni di clorosi ferrica). In caso contrario, ovvero quando si apportano elementi non limitanti, è possibile che si favoriscano squilibri nutrizionali nella pianta (come nel caso di abbondanti apporti di potassio che possono portare al disseccamento del rachide) e si riduce così il vantaggio economico dell’impresa.

Probabile sintomo di carenza di boro su grappolo di Sugraone

Distribuzione attraverso l’irrigazione (fertirrigazione) La fertirrigazione è una tecnica che consiste nella somministrazione di concimi minerali solubili tramite l’impianto irriguo; un fertirrigatore preleva la soluzione madre concentrata e la diluisce mandandola nell’impianto d’irrigazione. Fertirrigare, comunque, non significa semplicemente aggiungere fertilizzanti all’acqua irrigua, ma rappresenta un efficace sistema per aumentare le rese e la qualità delle produzioni, ottimizzare e razionalizzare la distribuzione dei concimi con lo scopo di diminuirne le dosi, ridurre i costi di produzione e contenere l’inquinamento ambientale. La fertirrigazione rappresenta una valida alternativa alla concimazione minerale tradizionale del vigneto, basato su di una concimazione di fondo e pochi interventi durante il ciclo annuale. Nei sistemi di fertirrigazione spesso accade che, nella gestione, si pone attenzione soltanto a monte del sistema, controllando la composizione minerale, il pH e la conducibilità elettrica (EC) della soluzione finale in entrata, ma si trascura cosa accade nel terreno a livello radicale. Per essere sicuri di avere somministrato correttamente il concime e che l’elemento nutritivo abbia raggiunto la radice e sia stato assorbito, bisogna ricorrere ai lisimetri a suzione, dal costo contenuto, che consentono di monitorare, oltre al bulbo di umidità in corrispondenza del gocciolatore, anche la composizione chimica della soluzione a livello radicale. In Italia il viticoltore non ha maturato la giusta sensibilità verso questi aspetti di

Sintomi fogliari di carenza di azoto prima della fioritura

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concimazione fondamentale importanza nell’ottimizzazione del sistema irriguo a differenza di quanto avviene negli altri Paesi produttori di uva da tavola come Australia, Sudafrica, Cile, dove i viticoltori sono impegnati da tempo per ottimizzare la nutrizione idrica e minerale del vigneto. Tale pratica, inoltre, offre una grande flessibilità nel rifornimento dei fertilizzanti: per esempio si possono fornire piccole dosi di concimi a intervalli regolari, così da far incontrare la domanda di minerali con la relativa disponibilità. Evidentemente per raggiungere questi scopi occorrono un preciso uso dell’irrigazione e una buona conoscenza delle esigenze delle piante e della disponibilità di nutrienti del suolo. Da un punto di vista tecnico, per aumentare l’efficienza della fertirrigazione, è opportuno: – avere una soluzione da distribuire sub-acida (pH di circa 5,5-6,5), eventualmente correggendo il pH con acido fosforico (75-80%) o preferibilmente con acido nitrico (60%), soprattutto nel caso di acque con durezza superiore a 20-30 gradi francesi (°F, pari a 200-300 mg/l di carbonato di calcio; 1°F corrisponde a 10 mg/l). L’acido può essere aggiunto nella linea di distribuzione o facendolo aspirare direttamente da una pompa dosatrice del fertirrigatore o acidificando direttamente la soluzione nutritiva madre. L’operatore deve porre la massima attenzione nella manipolazione dell’acido sia per la loro tossicità sia per la capacità di corrosione: va sempre aggiunto l’acido all’acqua e mai viceversa. Bisogna considerare inoltre che acidificando con acido nitrico si effettua contemporaneamente una concimazione azo-

Semplice fertirrigatore collegato al sistema di adduzione aziendale. Si notino i tubi in plastica di colore diverso, giallo in entrata, trasparente in uscita utilizzato anche per controllare la fine del fertilizzante

Caratteristiche chimico-fisiche medie delle acque usualmente impiegate per l’irrigazione in Basilicata, nel Tarantino e in ambiente siciliano Parametro

Bacini lucani

Tarantino

Ambiente siciliano

pH

8,2

7,6

9,7

Conducibilità (μS/cm)

1220

3600

1000

SAR

0,9

Carbonati (mg/l)

25,7

Cloruri (mg/l)

118,8

851

496,6

Solfati (mg/l)

105,3

Na (mg/l)

133,3

4,98

137,9

Mg (mg/l)

45,4

97,2

2,4

Ca (mg/l)

136,7

145,6

42,3

N –Nitrico (mg/l)

30,5

B (mg/l)

0,06

K (mg/l)

27,4

134,4

Centralina automatica di fertirrigazione. Il sistema offre una grande flessibilità nel rifornimento dei fertilizzanti: per esempio si possono fornire anche piccole dosi di concimi e a intervalli tali da far incontrare la domanda di minerali della pianta con la relativa disponibilità nel suolo

21,0 12,1

Fonte: Celano e Palese per la Basilicata, Coletta per il Tarantino, Gambino per la Sicilia

197


coltivazione tata. Un pH ottimale di 5,5-6,5 è il presupposto per un efficiente ed economico assorbimento di nutrienti delle radici. L’energia risparmiata dalla pianta nell’assorbimento di elementi dal suolo può quindi essere utilizzata per sostenere la crescita vegetoproduttiva. Inoltre, la correzione del pH serve anche a prevenire incrostazioni (calcare) agli impianti irrigui; – non superare la salinità, espressa generalmente come valore della conducibilità elettrica (ECa, espressa in dS/m o mS/cm), tollerata dalla coltura. Indicativamente, la vite è specie sensibile alla salinità dell’acqua irrigua tollerando valori di ECa inferiori a 1 mS/cm, oltre tale valore e fino a 2,7 mS/cm si ha una perdita produttiva del 25% circa. Oltre i 2,7 mS/cm si hanno problemi severi di tossicità. La ECa è usata per ottenere una stima dei sali totali dissolti (STD) nell’acqua, mediante la formula STD (mg/l) = 640 × ECa (mS/cm); – programmare l’immissione del fertilizzante nella parte centrale dell’intervento irriguo in modo da mantenere il fertilizzante nella zona centrale della parte umettata. Infatti, se l’immissione del fertilizzante avviene all’inizio dell’intervento irriguo gli elementi minerali vengono trasportati verso la periferia della zona bagnata, se invece vengono immessi alla fine rimangono nella zona più superficiale. In entrambi i casi si possono determinare condizioni locali di eccessiva salinità con grave danno alle radici. I concimi idrosolubili (comprendenti anche i microelementi da chelati) sono quelli normalmente utilizzati nelle applicazioni di pieno campo. Per i concimi idrosolubili esiste un’ampia gamma di prodotti commerciali diversi per caratteristiche e prezzo. In fase di scelta, gli aspetti da considerare sono: il titolo (contenuto percentuale di elementi fertilizzanti); la solubilità e la presenza di residui insolubili; le forme di azoto (ureico, nitrico e ammoniacale); il titolo in cloro (cloruro) e sodio (solo per il primo la legge prevede la dicitura “con basso titolo in cloro”); la tipologia. Tra le tipologie di fertirrigatore il più semplice ed economico è il tubo Venturi che non richiede energia elettrica per il suo funzionamento, ha un costo molto contenuto, ma è poco preciso nella diluizione. Le pompe dosatrici meccaniche con controllo volumetrico funzionano pure senza corrente elettrica, s’installano sulla rete idrica e usano la pressione dell’acqua come forza motrice: impostando la percentuale di aspirazione preleva la soluzione nutritiva madre e la inietta nella linea di distribuzione dell’impianto. Esistono comunque sistemi tecnologicamente più avanzati (pompe dosatrici elettriche a membrana, centralina di fertirrigazione e climatica) dal costo notevolmente maggiore che consentono però di controllare il pH e la EC sia dell’acqua sia della soluzione nutritiva finale.

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Correzione dei terreni a elevato pH Negli areali destinati alla coltivazione delle uve da tavola, spesso, si riscontra la presenza di terreni clorosanti. Avviene questo, per

Giovane impianto di Thompson Seedless con evidenti sintomi di carenze minerali

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concimazione esempio, nella Spagna meridionale (Albarize del Jerez in Andalusia) così come in alcune zone dell’Italia meridionale (Puglia e Sicilia). Tali situazioni si ritrovano anche in zone caratterizzate da una spiccata precocità di maturazione e quindi molto interessanti per le potenzialità di mercato delle produzioni. In presenza di tali caratteristiche pedologiche è necessario intervenire per la correzione del pH e permettere una disponibilità adeguata dei nutrienti minerali. Nella coltivazione delle uve da tavola i mezzi tradizionalmente utilizzati nella correzione del pH come l’acido solforico e l’acido citrico, per la loro pericolosità, sono stati sostituiti o con la somministrazione di chelati di ferro per via radicale, oppure, più recentemente, con formulazioni liquide a base di tiosolfati di azoto e di potassio. Per esempio, nell’uso del tiosolfato d’ammonio ((NH4)2 S2O3) è possibile intervenire contemporaneamente per la riduzione del ferro e per la somministrazione di azoto. Tali composti agiscono anche nella regolazione del rilascio di azoto poiché intervenendo sull’inibizione delle ureasi ed enzimi della nitrificazione, riducono il passaggio a ione nitrico e diminuiscono, così, le perdite di azoto per dilavamento. Inoltre, il rilascio di zolfo dei tiosolfati può migliorare le condizioni nutritive di vigneti posti in terreni particolarmente difficili dal punto di vista del pH e della salinità da sodio. Prove condotte su Victoria, nella zona costiera della provincia di Taranto, hanno permesso di ottenere positivi risultati produttivi intervenendo, in condizioni di forte alterazione dei parametri di salinità (conducibilità delle acque di irrigazione di circa 3,6 dS/m e del terreno fino a 4 dS/m), con azoto ureico integrato da una quota, non inferiore al 40%, di azoto acidificato.

Foto S. Somma

Foglia con sintomi di carenza di magnesio

Pianta con sintomi di clorosi ferrica

Foto S. Somma

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l’uva da tavola

coltivazione Coltivazione protetta Donato Antonacci

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Coltivazione protetta Introduzione L’esigenza di ampliare il calendario di offerta dell’uva da tavola, integrando la differenziazione ottenuta mediante l’attività di selezione e di miglioramento genetico mirata all’ottenimento di produzioni più precoci o più tardive, ha portato alla proposizione di tecniche agronomiche in grado di far anticipare l’epoca di maturazione e quindi di raccolta o, al contrario, di far posticipare quest’ultima. Le tecniche di coltivazione protetta dell’uva da tavola, sotto rete e/o sotto telo plastico, studiate e messe a punto negli ultimi 3 decenni in Italia, hanno consentito di produrre uva di migliore qualità e di mantenere l’offerta al mercato per un periodo più lungo, diffondendosi progressivamente in molti Paesi produttori di uva da tavola. Utilizzando modeste modifiche strutturali della forma di allevamento più diffusa per l’uva da tavola, la pergola a tetto orizzontale a doppio impalco, nota come tendone sistema Puglia, è stato possibile rendere suscettibile di forzatura sotto protezione plastica il vigneto tradizionale, modificando su ciascun filare la struttura superiore della pergola da tetto piano a tetto a doppia falda spiovente. Superiormente al palco piano ospitante la vegetazione, su ciascun filare, si realizza un tetto a due falde spioventi, sul quale apporre i manufatti protettivi, teli o reti, di materiale plastico. Questa costituisce attualmente la forma di allevamento utilizzata in maniera quasi esclusiva nella coltivazione dell’uva da tavola in Italia. Le tecniche agronomiche in grado di far anticipare l’epoca di maturazione e quindi di raccolta o, al contrario, di far posticipare quest’ultima prolungando il periodo di presenza

Principali benefici ottenuti dalla coltivazione protetta

• Protezione dai danni da grandine • Protezione dai danni da vento in primavera

• Riduzione di attacchi parassitari (come accade per peronospora e tignoletta)

• Protezione dai danni da pioggia durante

la fase della maturazione e la successiva permanenza sulla pianta dell’uva matura, fino al momento della raccolta (che può essere dilazionata in funzione delle contingenti situazioni commerciali)

• Riduzione del danno provocato dagli uccelli

Vista aerea delle coltivazioni protette in Agro di Rutigliano (BA)

Foto R. Angelini

200


coltivazione protetta dell’uva sulla vite si basano quindi sull’utilizzazione di teli plastici per la delimitazione dell’ambiente di coltivazione della vite, per ciascun appezzamento del vigneto di uva da tavola. La sempre maggiore richiesta di qualità estetica che deve possedere l’uva proposta al consumatore (assenza sia di abrasioni sia di pigmentazioni anomale, uniformità del colore ecc.) e l’esigenza di ridurre il rischio correlato al manifestarsi di eventi climatici dannosi, quali eccessi di vento o caduta di grandine, hanno indotto inoltre la forte diffusione della tecnica di copertura con rete dei vigneti di uva da tavola. Tale tecnica viene spesso abbinata a quella di copertura sotto teli plastici, sia per l’anticipo sia per il ritardo della raccolta. Le conoscenze acquisite nell’ambito delle tecniche di protezione per il ritardo consentono di dif­ferire la raccolta fino alla fine del mese di dicembre e oltre. Pertanto in Italia, differenziando la scelta dei vitigni (scegliendo fra quelli a maturazione precoce, media o tardiva), agendo nelle diverse collocazioni ambientali (siti a diversa precocità), operando con tecnica di coltivazione protetta per anticipo, oppure praticando la tecnica di copertura per il ritardo della raccolta, si ha la possibilità di offrire quantità significative di uva fresca a partire da fine maggio arrivando a superare la fine di dicembre. La Sicilia presenta il periodo di commercializzazione più lungo. Da oltre un decennio, tutti i nuovi impianti di vigneto di uva da tavola sono realizzati con strutture adatte alla coltivazione protetta. Negli ultimi anni si sta diffondendo la coltivazione protetta sotto telo per tutto il ciclo vegetativo, anche dove si vuole realizzare la raccolta tardiva (in questo caso senza apporre le chiusure laterali al vigneto), per garantire una maggiore serbevolezza dell’uva.

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Coltivazione protetta per il ritardo della raccolta La coltivazione protetta per ritardo della raccolta è stata la prima tecnica di coltivazione protetta a essere messa a punto e utilizzata in larga scala nel settore dell’uva da tavola. Inizialmente diffusasi nel Lazio, ha avuto poi il perfezionamento e una vasta utilizzazione in Puglia e in Sicilia. Essa permette di conservare l’uva sulla pianta oltre il periodo normale di maturazione e raccolta del vitigno utilizzato, procrastinando quindi la raccolta dell’uva fino a tutto il mese di dicembre e anche oltre, laddove non intervengano temperature troppo basse, utilizzando varietà che ben si adattano. Tale tecnica viene impiegata prevalentemente su varietà a maturazione media, quindi per la maggior parte sul vitigno Italia, ma anche su altre varietà come Michele Palieri e Red Globe fra quelle di uva con semi, sulla Crimson Seedless e Autumn Royal Seedless, fra le uve apirene. In particolare, per l’applicazione della tecnica della coltivazione protetta per ritardo della raccolta, la conduzione del vigneto è fatta in genere sotto rete fino alla fine di luglio; poi, all’inizio di

Foto R. Angelini

Tendoni coperti con film plastici

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coltivazione agosto (a invaiatura avvenuta), vengono disposti, solo superiormente al vigneto, i teli plastici di protezione, per impedire alle piogge la bagnatura della vegetazione e dei grappoli di uva, facilitandone la protezione fitosanitaria in una fase delicata come la maturazione. Evitando la bagnatura degli acini, si riduce il rischio di attacchi di marciumi e in particolare di muffa grigia. Il vigneto deve essere coperto con teli plastici prima che si verifichi l’inversione termica per evitare, quindi, anche di rischiare che l’uva venga a contatto con la rugiada, ugualmente pericolosa. In realtà, per il raggiungimento dei migliori risultati, è necessario prevedere diverse operazioni integrate fra loro. In particolare, è importante portare le viti sui livelli più alti della potenzialità produttiva, sia lasciando alla potatura invernale un maggior numero di gemme per pianta e quindi per ettaro, sia utilizzando portinnesti vigorosi, sia curando attentamente la nutrizione e l’irrigazione del vigneto. Il vigneto, quindi, deve essere coperto con teli plastici prima che si verifichi l’inversione termica e che l’uva venga a contatto con la rugiada, oppure che venga bagnata dalla pioggia. La coltivazione protetta per ritardo della raccolta non va praticata nei vigneti che hanno scarsa potenzialità produttiva, per evitare che l’uva arrivi “stanca” al momento della raccolta. In ogni caso, la tecnica per il ritardo, se non viene correttamente applicata, può comportare un sovrasfruttamento del vigneto, che si evince da una non completa lignificazione dei tralci. Le viti, inoltre, risultano più sensibili alle gelate invernali, specialmente se la raccolta si protrae più a lungo e i freddi invernali sono precoci. In queste ultime condizioni, anche il raccolto può essere compromesso da subitanei arrivi di freddo, con rischio di danno crescente all’abbassarsi della temperatura al di sotto di 0 °C. Sono prevedibili, inoltre, ulteriori cali produttivi negli anni successivi, per diminuita differenziazione a frutto delle gemme. Per i teli plastici, il polimero più frequentemente impiegato è il polietilene a bassa densità, a diverso grado di additivazione. Ne esistono in commercio tipi con diverso spessore e durata. Al termine della fase di copertura, i teli devono essere recuperati e conservati in magazzino, al buio, per evitare che la radiazione ultravioletta acceleri il degrado dei teli stessi. Operando in tal modo, è possibile impiegare per più cicli produttivi (3-4 anni) i teli di buona qualità e manifattura. Alla fine delle possibilità di utilizzazione, è necessario raccogliere tutto il materiale plastico non più utilizzabile e smaltirlo nel rispetto delle vigenti normative, evitando operazioni di interramento e/o di bruciatura, molto dannose per l’ambiente. In sintesi, per ritarda­re nel tempo la data di raccolta sono essenziali delle scelte preliminari: – spingere al massimo la produzione, senza però compromettere il difficile equilibrio quantità-qualità. Tale maggiore richiesta produttiva fatta al vigneto (per ceppo e per unità di superficie)

Modalità di copertura per ritardo della raccolta

• Coltivazione sotto rete dal

germogliamento fino all’invaiatura, fase in cui viene aggiunta l’apposizione di telo plastico (sopra o sotto la rete, che rimane aperta) per evitare la bagnatura dei grappoli a opera delle piogge. Vantaggi: protezione del vigneto dai danni da vento e da grandine, per tutto il ciclo biologico

• Coltivazione non protetta fino

all’invaiatura, fase in cui vengono apposti i teli plastici per evitare la bagnatura dei grappoli a opera delle piogge

• Coltivazione sotto rete e telo plastico

(posto sopra o sotto la rete) dal germogliamento fino alla raccolta, per evitare durante tutto il ciclo biologico la bagnatura della vegetazione, delle infiorescenze e dei grappoli a opera delle piogge: coltivazione protetta per ritardo della raccolta. Vantaggi: protezione del vigneto dai danni da vento e da grandine, per tutto il ciclo biologico, diminuendo i problemi di difesa del vigneto dalle malattie favorite dalla bagnatura della vegetazione e dei grappoli

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coltivazione protetta contribuisce ad abbassare il costo unita­rio di una tecnica in sé costosa e induce di per sé il ritardo della maturazione e quindi della raccolta dell’uva; – adozione dei portinnesti esaltanti la vigoria, capaci di sostenere forti pro­duzioni, dotati di ciclo vegetativo prolungato; a questa necessità rispondono bene i Berlandieri x Rupestris (per esempio, 140 Ru); – apporre la copertura in corrispondenza dell’invaiatura, prima che si verifichino le inver­sioni termiche caratteristiche degli ambienti caldo-aridi e desertici, inversioni che danno luogo ai dannosi fenomeni di condensa, e prima che inizino le piogge di fine estate-inizio autunno; disporre di corpi d’acqua di un certo rilievo (0,3-0,4 l/s per ettaro) per poter bagnare abbondantemente il terreno nella prima fase della copertura. In tale fase possono verificarsi situazioni di sofferenza per la massa vegetante, a causa degli innalzamenti termici che si determinano sotto le coperture, danno che può manifestarsi anche con defogliazioni più o meno rilevanti; – possibilità di disporre, se possibile, le coperture cercando di evitare le variazioni di quota; se invece ci sono tali variazioni, possono verificarsi danni da eccessi termici sui punti alti del filare. Dopo tali predisposizioni preliminari, si procede all’apposizione dei teli plastici sul vigneto, per la realizzazione della copertura. Durante la maturazione e il mantenimento dell’uva sulla vite, nella fase di conservazione dell’uva sulla pianta e sotto il telo plastico, è necessario effettuare il controllo morfologico dei frutti. Tale tecnica, defini­ta di rifinitura, consiste nell’asportazione di tutto quanto possa deturpare il prodotto o rischiare di renderlo non idoneo all’utilizzazione. In particolare si elimina manualmente e/o con l’ausilio di piccole forbici, eventuali acini marciti, mal coloriti, macchiati da cure fitoiatriche non appropria­te, bacche con pigmentazioni anomale, foglie che mosse dal vento possono provocare abrasione agli acini. C’è da tener presente, come norma tecnica che presiede all’azione di ritardo della raccolta, che la copertu­ra svolge un ruolo biologico essenziale; essa infatti non è solo un’interposizione fra ambiente esterno e uva, bensì una tecnica che permette la creazione di un mi­croclima attorno alle foglie più estivo rispetto alla stagione esterna. Ciò consen­te di avere, rispetto alla stagione, una fase vegetativa giovane, che si esalta anche con tecniche di concimazione (ulteriore azoto, con dose variabile fino a 100 unità/ha) e, se necessario, di irrigazione, con interventi irrigui capaci di mantenere costante il tono vegetativo e il turgore delle bacche. In tal modo si sostiene meglio anche la ripresa autunnale della crescita dell’apparato radicale della vite, evitando il rischio di rottura dell’equilibrio fra produzione e vegetazione.

Tendone tradizionale a una impalcatura modificato per l’apposizione di teli di plastica per ritardare la raccolta

Principali elementi strutturali di un tendone a doppio impalco protetto da teli di plastica apposti per ritardare la raccolta Foto R. Angelini

Diverse tipologie di copertura a sud di Bari

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coltivazione Nella coltura protetta il viticoltore si oppone quindi alla normale inversione biologica: la forzatura per ritardo ha in sé tutti gli ele­ menti atti a identificarla come una forzatura generale della pianta, per indurla al ritardo nella manifestazione della senescenza e spingendola verso la massima espansione produttiva. Questa decisione contrasta con la necessità di mantenere integra l’uva, in una stagione difficoltosa per questo fine; da questo deriva un atteggiamento tecnico non semplice. Mentre si procede alla forzatura del prodotto, si applicano tecniche di alleggerimento del fogliame con interventi diretti (defogliazione); anche l’uso dell’acqua irrigua deve essere molto accorto ed è necessario disporre di terreni permeabili, di facile sgrondo degli eventuali eccessi idrici derivanti da piogge abbondanti. Coltivazione protetta sotto rete La diffusione della tecnica di protezione per il ritardo della raccolta, con la sua istanza verso le elevate produzioni, da conseguirsi mediante adeguate spinte vegetative, insieme con l’aumento del rischio economico connesso agli alti costi derivanti dall’adozione di tale tecnica, ha portato alla necessità di proteggere la produzione sia dai danni da vento primaverili (più facili a manifestarsi in condizioni di maggiore spinta vegetativa delle viti) sia da eventuali danni da grandine. Tale esigenza è stata assolta con l’introduzione della tecnica di protezione del vigneto con reti di materiale plastico. Tali reti vengono apposte superiormente e lateralmente al vigneto. Esse svolgono la loro funzione a partire dal germogliamento, fino al compimento del ciclo. Negli ambienti ove non esiste il rischio di nevicate invernali, esse possono rimanere sempre aperte, durante l’anno. Al contrario, dove esiste la possibilità di nevicate in inverno, esse vengono chiuse dopo la raccolta, legandole al filo di ferro posto lungo la linea di colmo, per essere poi riaperte in primavera. Esse determinano condizioni ambientali migliori, riducendo gli eccessi di vento e proteggendo la massa vegetante da eventuali danni da grandine. I vantaggi che questa tecnica comporta sono quindi costituiti dalla significativa riduzione sia dei danni da vento sui germogli sia dei danni meccanici dovuti ad abrasioni sulle bacche, conseguenti allo sfregamento provocato dal movimento di foglie e grappoli a seguito del vento, sia dalla protezione da grandine. Le reti che si usano per la protezione dei vigneti delle uve da tavola derivano dalla tessitura di un monofilo di polietilene ad alta densità, ottenuto a sua volta per estrusione (filo monoestruso). Il polietilene ad alta densità (HDPE) è un polimero che a differenza di quello a bassa densità (LDPE) presenta una cristallinità più alta. Questa comporta un maggiore ordine molecolare. Il polietilene ad alta densità, inoltre, possiede una maggiore temperatura di rammollimento e quindi maggiore resistenza al calore. Minore è lo scorrimento viscoso e quindi l’estensibilità del materiale, pertanto è possibile tendere

Principali elementi strutturali di un tendone a doppio impalco tipo Puglia protetto con plastica per ritardo della raccolta. I teli sono disposti sul verso del maggior numero di filari (lato stretto del sesto di impianto)

Principali elementi strutturali di un tendone a doppio impalco tipo Puglia protetto con plastica per ritardo della raccolta. I teli sono posti sul verso del minor numero di filari (lato largo del sesto di impianto)

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coltivazione protetta bene le reti nella messa in opera, condizione indispensabile per poter scaricare bene la grandine. Il polietilene è in genere aggredito dall’ossigeno e dai raggi ultravioletti. Pertanto esso viene aggiunto di additivi che agiscono come antiUV e come antiossidanti. In tal modo i manufatti durano in opera 5-6 anni. La tessitura può essere fatta in vario modo: tessitura piana (costituita da un ordito e da trame), piana con ritorto inglese (con i fili dell’ordito intrecciati fra loro per bloccare la trama nell’intreccio), tessitura Raschel (più complicata e costosa, nella quale ogni maglia della rete presenta l’annodatura ai quattro vertici). In caso di strappi, questi diversi tipi si comportano in maniera differente. Il tipo a tessitura piana resiste male a eventuali lacerazioni della rete. Si comporta meglio la tessitura con ritorto inglese, mentre la tessitura Raschel assicura il miglior comportamento fra le tre tipologie. Le più utilizzate sono quelle aventi tessitura con ritorto inglese. Le reti sono sempre provviste di cimose lungo i lati della fascia di rete e lungo la linea di colmo. Le cimose garantiscono dalla sfibratura e permettono di tendere le reti in senso trasversale. Esistono diversi tipi di rete, a maglia più o meno fitta, la cui scelta viene fatta in funzione del livello di protezione dal vento che si desidera attuare.

Foto R. Angelini

Coltivazione protetta per anticipo della raccolta La coltivazione protetta, condotta per anticipare la maturazione e quindi la raccolta dell’uva, viene realizzata chiudendo prima del germogliamento tutto il vigneto all’interno di una struttura protettiva di teli plastici, che definisce un ambiente tipo serra fredda. Si tratta quindi di una semiforzatura. In Abruzzo tale tecnica veniva praticata per l’anticipo della raccolta dell’uva di varietà precoci, come Cardinal, realizzando una serra mediante strutture di soste-

Vigneto di uva da tavola in coltivazione protetta per tutto il ciclo biologico, coperto con rete sovrapposta da telo plastico. Nei periodi più caldi vengono sollevati completamente i teli laterali e realizzate zone di arieggiamento sul cielo della pergola, spostando porzioni di telo e fissandole con legacci per evitare danneggiamento da vento

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coltivazione gno di più grande dimensione, anche su terreni in leggero pendio. In Sicilia a volte vengono utilizzate serre a fine ciclo produttivo costruite originariamente per la produzione di ortaggi. I teli coprono più filari e non sono vincolati dalla distanza fra di essi, sono sostenuti da intelaiature di legno e posti su falde a spiovente, più in alto di circa 1-2,5 metri rispetto al cielo della pergola, definendo così ambienti protetti di maggiore volume. In Puglia, tentativi di forzatura della coltivazione dell’uva da tavola per anticiparne la maturazione e quindi la raccolta, mediante chiusura del vigneto a tendone all’interno di un ambiente definito da film plastici, erano stati effettuati fin dall’inizio degli anni ’70, provando una tecnica attuata mantenendo per tutto il ciclo (fino alla raccolta) il vigneto all’interno dell’ambiente delimitato dai teli plastici. Le strutture erano realizzate modificando il tradizionale tendone e senza realizzare le costose serre in legno. Ma il livello alto del costo di produzione e la perdita quasi totale, nella seconda parte del ciclo, dell’anticipo fenologico conseguito inizialmente portarono a un momentaneo abbandono della tecnica. Le prove realizzate dall’Istituto Sperimentale per la Viticoltura a partire dall’inizio del 1979 consentirono di meglio mettere a punto la tecnica della forzatura, ponendo particolare attenzione alle relazioni esistenti fra momento di inizio della forzatura, lunghezza della stessa, livelli termici raggiunti nella serra e loro influenza sulla velocità di raggiungimento delle manifestazioni fenologiche, verificando anche la risposta delle principali varietà coltivate. Il perfezionamento della tecnica ne ha determinato la rapida diffusione, prima in Puglia e poi anche nelle altre regioni produttrici di uva da tavola, fino a espandersi a livello mondiale. Questa tecnica consentì anche di ridare slancio alla coltivazione del vitigno di uva apirena Sugraone, varietà poco produttiva che, nel più caldo

Copertura del vigneto coltivato per anticipo della raccolta

• Ogni telo viene apposto su un filare,

sostenuto da fili di ferro, con falde a doppio spiovente e linea di colmo che è sita superiormente al filare. Il telo viene posto a un’altezza della linea di colmo compresa fra 60 e 100 cm superiormente al cielo della pergola, mentre i bordi del telo toccano il cielo della pergola, al quale vengono fissati mediante legacci, con il bordo di un telo che giunge quasi a contatto di quello del telo contiguo. In questo modo si chiude tutto il “cielo” del tendone. Un telo posto in maniera verticale, lateralmente a tutto il tendone, determina la completa chiusura dello stesso. La dimensione normale di un appezzamento di vigneto, allevato a tendone, è di circa un ettaro; pertanto tale è la dimensione di una serra, che presenta le caratteristiche di una serra fredda

Vigneti coperti con reti e/o plastiche per la protezione dalla grandine, dal vento, dagli uccelli e dalla polvere

Foto R. Angelini

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coltivazione protetta

Modalità di copertura per l’anticipo della raccolta

• Coltivazione sotto telo dal pre-

germogliamento alla pre-fioritura (con chiusura laterale del vigneto mediante telo plastico), fase in cui viene eliminato il telo e la coltivazione prosegue in pieno campo. Vantaggi: protezione del vigneto dai danni da vento e da grandine per il periodo coperto; anticipo della raccolta di circa 15 giorni

• Coltivazione sotto telo + rete dal pre-

germogliamento alla pre-fioritura (con chiusura laterale del vigneto mediante telo plastico), fase in cui viene eliminato il telo laterale e quelli superiori al vigneto e la coltivazione prosegue sotto rete. Vantaggi: protezione del vigneto dai danni da vento e da grandine, per tutto il ciclo biologico; anticipo della raccolta di circa 15 giorni rispetto al pieno campo

Principali elementi strutturali di un tendone a doppio impalco tipo Puglia con sesto in rettangolo e copertura in plastica apposta per anticipare la raccolta

ambiente di coltivazione realizzato in serra, dava risultati produttivi quantitativi migliori, permettendo il raggiungimento di risultati economici interessanti. La tecnica della “coltivazione protetta per anticipo della raccolta”, così come messa a punto, si realizza facendo svolgere solo una parte del ciclo biologico della vite all’interno della serra, delimitata dai film di materiale plastico sia superiormente sia lateralmente. I teli plastici possono essere di vario tipo, ma il materiale che si è nel tempo più affermato è il polietilene a bassa densità (LDPE), al quale vengono aggiunti degli additivi, etilenvinilacetato, EVA, in primo luogo, ma anche minerali e altre sostanze protette da brevetto. Di recente particolare attenzione si sta portando verso lo studio dei materiali plastici colorati in vario modo e utilizzati nella coltivazione protetta del vigneto, indagando sull’influenza esercitata sul metabolismo della vite dalle diverse tipologie. È importante comunque segnalare che i materiali per le coperture, specialmente nella fase primaverile-estiva, non vanno usati se eccessivamente ombreggianti (problema che aumenta con la durata di impiego, sia per degradazione del film plastico sia per deposito di polveri e altri materiali o sostanze), pena significative diminuzioni della fertilità delle gemme e quindi della produttività del vigneto. L’ombreggiamento che comunque si determina all’interno della serra, se non elevato, comporta un maggiore lussureggiamento della vegetazione, come conseguenza della minore degradazione dei fitoregolatori endogeni prodotti naturalmente dalle piante; ovvero, diminuisce la fotossidazione delle gibberelline (principale via di distruzione per le gibberelline) e di conseguenza queste proteggono maggiormente le auxine dalla distruzione (protezione esercitata dalle gibberelline dall’attacco dell’indolaceticossidasi,

• Coltivazione sotto telo + rete dal pre-

germogliamento alla pre-invaiatura (con chiusura laterale del vigneto mediante telo plastico, gestendo le aperture laterali per regolare la temperatura), fase in cui vengono eliminati i teli laterali, mantenendo in opera quelli posti superiormente. Vantaggi: protezione del vigneto dai danni da vento, da grandine e dalla pioggia, per tutto il ciclo biologico, diminuendo i problemi di difesa del vigneto dalle malattie favorite dalla bagnatura della vegetazione e dei grappoli; anticipo della raccolta di circa 3 settimane rispetto al pieno campo

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coltivazione Foto R. Angelini

Principali elementi strutturali di un tendone a doppio impalco con sesto in quadro e copertura plastica apposta per anticipare la raccolta (i bordi dei teli combaciano, chiudendo completamente il cielo della pergola)

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principale via di distruzione per l’acido indolacetico). La copertura del vigneto, avviata nel periodo che va da gennaio alla fine di marzo, con teli plastici posti superiormente e lateralmente al vigneto, determina all’interno della struttura un aumento della temperatura, modifica quindi l’ambiente di coltivazione della vite e induce un accorciamento della durata del ciclo biologico, consentendo alle piante di anticipare tutte le fasi fenologiche, compresa la maturazione. Oltre alla descritta modalità di copertura, che rappresenta quella classica, ne esistono altre varianti che comportano l’utilizzazione di materiali plastici diversi, come i “teli usa e getta”, più sottili e che si usano per un solo ciclo produttivo, apposti sul vigneto in abbinamento con reti plastiche, ottenendo un uguale risultato. In ogni caso, si determina all’interno della struttura di protezione un ambiente tipo serra fredda, nel quale durante il giorno la temperatura ambientale è più alta di quella esterna. La maggiore energia termica ambientale determina una riduzione del numero di giorni necessari al compimento di alcune fasi fenologiche, con una diminuzione della lunghezza del ciclo biologico della vite. Il ciclo biologico della vite è quindi condizionato fortemente dalla disponibilità termica ambientale, variando la somma termica necessaria per ciascuna fase e per l’intero ciclo biologico, al variare della precocità intrinseca della varietà di uva da tavola. Infatti, la maggiore disponibilità termica nella fase che va dal pre-germogliamento fino alla fioritura determina la maggiore velocità della fase e un anticipo della manifestazione della fioritura stessa pari a circa 30 giorni. Nel procedere del ciclo biologico parte di questo anticipo viene perso, conservando comunque circa 20 giorni di precocità alla raccolta. In buona sostanza, quindi, con la coltivazione protetta per anticipo si determina un aumento della disponibilità termica ambientale,

Foto R. Angelini

Esempi di vigneti coperti con teli

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coltivazione protetta che comporta una riduzione della durata del ciclo biologico della vite e un anticipo del momento della raccolta, quindi una “precocizzazione” della coltura. Durante il periodo di copertura, e in particolare durante la fase della fioritura e dell’allegagione, è necessario cercare di evitare eccessi termici, mantenendo la temperatura sotto i 30 °C, tenendo sollevati i teli laterali. Questo limite termico è importantissimo per le varietà sensibili alle alte temperature durante la fioritura (per esempio Matilde). Queste, infatti, possono subire danneggiamenti nella delicata fase della fecondazione, con la diminuzione del numero di acini ben fecondati portati dal grappolo e l’aumento del numero degli “acinini”. Dopo l’allegagione, durante la fase di accrescimento in verde degli acini, è opportuno rimuovere prima parzialmente e poi totalmente i teli plastici, eliminando prima quelli laterali e poi quelli posti superiormente al vigneto. Questi ultimi, però, possono essere lasciati sul vigneto come protezione antigrandine. La forzatura non va protratta per tutto il ciclo vegetativo. In­fatti, la vite, per acquisire precocità fenologica, ha bisogno solo di un ridotto periodo di copertura, che va dal momento del pianto (metà febbraio-metà marzo) fino a poco oltre il germogliamento in pieno campo (aprile). Pertanto una forzatura di circa 40 giorni (a partire dal germogliamento conseguito nella serra) è sufficiente a imprimere la precocità possibile, come precocità sia morfologica sia qualitativa. Più recentemente, la sintesi di queste esigenze ha portato a variare la tecnica della coltivazione protetta, utilizzando la copertura con rete dopo la fase della forzatura sotto i teli plastici, mantenuti solo per il periodo utile alla realizzazione della forzatura. In altri casi, le reti rimangono sempre presenti, mentre i teli vengono sovrapposti e tenuti in opera solo per il periodo necessario. In questo caso si usano teli di minore spessore.

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coltivazione Per l’uva da tavola, la coltivazione protetta per anticipo di varietà già intrinsecamente precoci consente di avviare la raccolta, in Puglia, a fine giugno-inizio luglio. La raccolta continua poi in tutto luglio e giunge fino alla 2a-3a settimana di agosto per le varietà di media epoca sottoposte a questa tecnica di coltivazione. In Sicilia la tecnica consente di anticipare la raccolta a fine maggio, con varietà precoci (Matilde, Victoria ecc.).

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Ricerca sulla coltivazione protetta per anticipo della raccolta Dalle ricerche condotte per un decennio in Puglia e Basilicata emersero le conclusioni riportate di seguito. Con la coltivazione protetta è possibile ottenere un anticipo di circa 19 giorni rispetto al normale periodo di raccolta delle diverse cultivar di uve da tavola. Tale precocizzazione viene conseguita in parte come anticipo del germogliamento e in parte come minore durata del ciclo biologico. La minore durata viene acquisita come risultato finale, ma con diverso comportamento durante il ciclo. Infatti mentre nella prima parte del ciclo stesso si consegue effettivamente un accorciamento, nella seconda parte tale vantaggio viene parzialmente perso. Tale comportamento è probabilmente la conseguenza della diversa capacità delle piante di resistere alle alte temperature durante i diversi momenti del ciclo biologico, capacità collegata all’attività traspiratoria. Vanno infatti considerate le temperature fogliari e dell’intera massa vegetante e la relazione che si determina tra queste, quelle dell’ambiente microclimatico che ospita le piante, la quantità di acqua che queste ultime hanno a disposizione e quella traspirata. Nella prima parte la vite possiede foglie giovani capaci di elevata attività traspiratoria e quindi in grado di regolare la propria temperatura mantenendola all’occorrenza al di sotto di quella dell’aria. Successivamente, con l’aumentare dell’età delle foglie, diminuiFoto R. Angelini

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coltivazione protetta sce la capacità di termoregolazione e quindi temperature troppo elevate cominciano a provocare un rallentamento metabolico. Anche per gli acini l’attività traspiratoria, inizialmente elevata, va progressivamente riducendosi in conseguenza prima della chiusura degli stomi e poi a causa della deposizione di pruina sulla cuticola. È evidente che oltre all’età delle foglie anche altri fattori agiscono sulla possibilità di termoregolazione della massa vegetante. In primo luogo vanno ricordate: la quantità di acqua presente nel terreno e disponibile per la pianta, l’umidità relativa dell’aria, la ventosità. L’attività traspiratoria è inoltre fortemente condizionata dai contenuti dei diversi fitormoni nelle foglie e negli acini. Per questi ultimi, infatti, mentre durante la fase di attiva crescita erbacea prevalgono le citochinine, le quali favoriscono l’apertura degli stomi e quindi l’attività traspiratoria, quando comincia a rallentare tale crescita erbacea si assiste alla diminuzione delle citochinine e all’aumento dell’acido abscissico, il quale ostacola l’apertura stomatica e quindi la traspirazione. D’altra parte il livello di disponibilità idrica influisce direttamente sul contenuto dei diversi fitormoni nella pianta. Infatti, stati di carenza idrica portano a un forte incremento del livello di acido abscissico e di etilene e nello stesso tempo per le citochinine si verifica una riduzione. Dall’interazione fra tutti questi fattori deriva la capacità dell’apparato vegetante di regolare la propria temperatura. Quando tale capacità è buona, come nella prima parte del ciclo vegetativo, le viti resistono bene alle alte temperature che si realizzano nell’ambiente definito dalla coltivazione protetta del vigneto e utilizzano al meglio le proprie possibilità metaboliche. Al ridursi di tale capacità, le viti cominciano a risentire negativamente degli eccessi termici. È evidente l’importanza che possiede la presenza di un’adeguata disponibilità idrica, in carenza della quale il risultato produttivo viene sensibilmente compromesso. È stata esaminata quindi la relazione esistente fra temperatura media dell’apparato fogliare e disponibilità idrica nel suolo. I rilievi sono stati effettuati nella prima settimana di luglio, nel momento più caldo del giorno (ore 14) in vigneti di uva da tavola allevati a tendone e superiormente protetti da teli plastici. Sono stati confrontati i dati di diversi livelli di disponibilità idrica, ottenuti in maniera diversa, in due campi sperimentali. I risultati hanno consentito di verificare che la migliore disponibilità idrica consente alla vite di abbassare la temperatura dell’apparato fogliare anche di 5 °C rispetto a quella dell’aria, nelle ore più calde della giornata. I rilievi sono stati effettuati nello stesso momento su tre tesi che si differenziavano per l’intervallo di tempo decorso dal precedente intervento irriguo (rispettivamente pari a 1, 6, 12 giorni) praticato con identico volume di adacquamento, di 300 m3/ha. Si osservava che, in presenza di condizioni termoigrometriche dell’aria, misurate all’altezza dell’apparato fogliare, pari al 50% di umidità relativa e 34 gradi centigradi, la temperatura media del detto ap-

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coltivazione parato fogliare risultava pari a 29, 32, 34 gradi rispettivamente nelle tre tesi, al crescere della distanza dall’intervento irriguo. Si nota quindi la notevole influenza esercitata dalla diversa disponibilità idrica posseduta dalla vite sulla sua possibilità di termoregolare la temperatura dell’apparato fogliare. La diversa disponibilità idrica per la pianta derivava dal diverso volume di terreno a disposizione delle radici, mantenendo uguale il volume di adacquamento e la distanza dallo stesso (ovvero differenziando la capacità del terreno di “fare magazzino” per l’acqua). La diversa quantità di terreno era dovuta al fatto che questo, originariamente di spessore limitato e pari a circa 20 cm, in una delle due tesi confrontate veniva integrato solo dalla sottostante roccia calcarea discissa e frantumata in fase di pre-impianto del vigneto. Nell’altra tesi, invece, dopo questi lavori e prima dell’impianto del vigneto, si provvedeva a integrare lo spessore di terreno apportandovi anche ulteriori 25 cm con terreno di riporto. In presenza di condizioni dell’aria pari al 48% di umidità relativa e con 36 gradi di temperatura, si è osservato che la temperatura media dell’apparato fogliare è stata pari a 36 gradi centigradi nel caso del terreno con spessore più limitato, mentre scendeva a 32 gradi nel caso della maggiore quantità di terreno (e quindi di acqua) a disposizione delle radici. Oltre che a livello vegetativo, gli eccessi termici possono provocare grossi problemi anche a livello riproduttivo. Specialmente nella fase di prefioritura-fioritura è importante cercare di evitarli, prevedendo una buona disponibilità idrica e consentendo un sufficiente arieggiamento all’interno della struttura protetta, mediante opportune aperture della stessa. Durante la fase del germogliamento e della crescita vivace dei germogli, infatti, possono non creare problemi anche temperature dell’aria intorno ai 40 gradi centigradi. Nella fase delicata della prefioritura-fioritura è opportuno, invece, cercare di non superare temperature intorno ai 30 gradi, altrimenti si rischia un aumento notevole dell’acinellatura, che può giungere anche a interessare tutto il grappolo. Si ricorda infatti che la vitalità del polline è massima con temperature intorno ai 27 gradi, mentre a 35-38 gradi si annulla. Ma in questa delicata fase della riproduzione il rischio termico può risultare presente anche a livello delle temperature minime dell’aria. Si è osservato infatti che, specialmente su alcune cultivar particolarmente sensibili come la Sugraone, temperature dell’ordine di +5 gradi centigradi, nella fase di prefioritura-fioritura, riducono sensibilmente la quantità di acini allegati, mentre temperature che scendono a +2 gradi possono comportare una quasi totale mancanza di allegagione e la conseguente totale perdita del raccolto. I rachidi senza acini prima si disseccano e poi cadono. Chiaramente più si anticipa il ciclo vegetativo rispetto a quello di pieno campo e più ci si espone a eventuali abbassamenti termici primaverili. È importante infatti ricordare che, specialmente per la

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coltivazione protetta prima fase della forzatura, la più rischiosa, la copertura plastica non protegge dagli abbassamenti termici notturni. Infatti possono verificarsi nella serra temperature minime che, in determinate condizioni ambientali, possono essere anche di oltre 2 gradi più basse di quelle del pieno campo. Sono queste considerazioni che devono far scegliere con prudenza il momento di inizio della coltivazione protetta e conseguentemente del ciclo vegetativo. Inoltre si può osservare come tale tecnica di coltivazione sia più adatta e meno rischiosa in zone naturalmente più precoci e meno soggette ad abbassamenti termici. Dalle esperienze maturate si può affermare che, in Puglia, il periodo adatto per iniziare la forzatura è costituito dal mese di febbraio, con variazione dall’inizio alla fine del mese in funzione del rischio climatico delle diverse zone e dell’andamento meteorologico invernale e in particolare del mese di febbraio. In merito alle modalità di realizzazione della coltivazione protetta, dalle prove effettuate si è osservato che per ottenere l’anticipo della raccolta è sufficiente praticare la forzatura per un periodo corrispondente all’incirca ai primi 40 giorni del ciclo biologico (a partire dal germogliamento determinatosi in serra). Successivamente la conservazione parziale delle strutture protettive, mantenute superiormente al vigneto e in modo da garantire una sufficiente ventilazione capace di far evitare eccessi termici, assume principalmente solo finalità di protezione antigrandine. Il proseguimento della coltivazione all’interno di una struttura chiusa comporta, invece, prima una perdita parziale della precocità accumulata. Tale perdita inizia quando si comincia a notare un rallentamento della crescita in verde dell’acino. Pertanto almeno a partire da questo momento vanno eliminati i teli di polietilene che proteggono lateralmente il tendone. In tal modo si consente

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coltivazione una sufficiente ventilazione e si evitano i problemi connessi con gli eccessi termici. Se il controllo delle temperature massime è insufficiente, può essere necessario eliminare alcuni teli superiormente per migliorare la ventilazione. Al contrario, l’eventuale continuazione della coltivazione all’interno della struttura chiusa dai teli plastici comporta il rischio di bruciature per le alte temperature dell’aria ivi raggiunte (oltre 42 °C). Conclusioni In sintesi, lo studio del comportamento della vite in relazione ai fattori climatici e in particolare alla temperatura riveste un notevole interesse scientifico-applicativo. Da esso discende l’espressione più evidente della possibilità di adattamento varietale all’ambiente di coltura e della possibilità di condizionare artificialmente il ciclo annuale della pianta. Questa seconda considerazione ha una grande evidenza pratica per la coltura dell’uva da tavola, dove la precocità di maturazione indotta con coperture può corrispondere a un incremento di reddito altrimenti non raggiungibile. La successione fenologica annuale della vite e i diversi metabolismi che portano alla maturazione dell’acino sottostanno a un determinismo genetico ben codificato di cui il diverso comportamento varietale e i diversi effetti degli elementi climatici nel corso dell’anno sono una conferma. Tali effetti sono stati valutati scomponendo il ciclo annuale della vite nei suoi sottoperiodi, studiando fase per fase la risposta della pianta al variare delle condizioni ambientali. Tra gli elementi climatici in grado di influenzare la coltivazione della vite, la temperatura è sicuramente la grandezza fisica che ha un ruolo prioritario e ai suoi livelli minimi e massimi sono legate le tappe fenologiche e la lunghezza degli intervalli tra di esse. I Foto R. Angelini

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coltivazione protetta due periodi che, nell’ambito dell’intero ciclo annuale della vite, sono maggiormente condizionabili, con una vistosa e commercialmente utile riduzione del numero di giorni, sono il periodo che porta al germogliamento e il successivo periodo che termina con la fioritura. Il primo è legato a incrementi termici e al momento in cui essi vengono messi in atto, il secondo è anch’esso correlato ai livelli di temperatura, che però non devono essere superiori o inferiori a una certa soglia, compresa tra 29 e 31 °C circa, pena la perdita della massima spinta vegetativa ottenibile. La data di invaiatura è più legata alla data di fioritura che non alle temperature del periodo fioritura-invaiatura. Interventi atti ad accorciare questo periodo non sortiscono risultati, con il rischio di veder annullato il vantaggio acquisito se le temperature massime diventano troppo alte e negative per la pianta. Il periodo che va dalla fase di pre-germogliamento fino all’allegagione rappresenta quindi la vera leva su cui agire per conseguire il massimo anticipo ottenibile sotto film plastico. Dopo tale data la copertura può essere rimossa, oppure, se mantenuta per altre finalità protettive (antigrandine), deve essere tale da non incidere sulle temperature e sulla luce, importante quest’ultima in piena maturazione per una perfetta colorazione dell’acino. L’espressione genetica dei caratteri invaiatura e maturazione ha quindi un peso determinante, visto lo scarso effetto positivo che possono avere condizioni termiche differenziate. Il periodo fioritura-raccolta dimostra pertanto una buona costanza di comportamento, con minimi scarti tra le annate e gli ambienti. Sul piano economico, la coltivazione protetta dell’uva da tavola è una tecnica in grado di assicurare un maggior reddito al viticoltore. Per tale motivo si sta sempre più diffondendo a livello mondiale.

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l’uva da tavola

coltivazione Materiali plastici Giacomo Scarascia-Mugnozza,

Antonio Coletta

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Materiali plastici Introduzione La viticoltura da tavola in Italia è presente in maniera preponderante in Puglia e in Sicilia. La Puglia ne detiene il primato produttivo. Produzioni minori sono collocate anche in Abruzzo. La totalità degli impianti a oggi è protetta con materiali plastici di copertura che si differenziano essenzialmente in reti e film in polietilene. Il sistema di allevamento che ha permesso di predisporre al meglio le strutture per la protezione con materiali plastici è stato il tendone introdotto in Puglia nei primi anni del ’900. Il successo del tendone nella coltivazione delle uve da tavola risiede comunque in prima istanza nella capacità di esprimere un’eccezionale potenzialità produttiva e una notevole duttilità nell’agevolare l’apporto di innovazione agronomica e tecnologica che il ciclo produttivo delle uve da tavola continuamente richiede. Il tendone consente di raggiungere produzioni pari a 40 t per ettaro. Le produzioni di questo tipo di impianto, inoltre, hanno potuto, nel corso del tempo, essere sempre contraddistinte dalla regolarità e uniformità delle caratteristiche morfologiche e commerciali. I risultati raggiunti sono stati resi possibili grazie anche alla possibilità di agevolare la gestione dei fattori produttivi delle uve da tavola: gli apporti idrici, le concimazioni, le lavorazioni del suolo, la protezione fitosanitaria, la capacità di ospitare strutture di protezione. Agli inizi degli anni ’80 sono introdotte due importanti innovazioni: – il tendone tipo Puglia che permetterà di separare su due distinti livelli spaziali vegetazione (canopy) e produzione, consentendo

Superfici colturali che utilizzano film plastici fra cui quelle destinate alla produzione di uva da tavola con sistema di allevamento a tendone (stime aggiornate al 2006) In Italia

• Serre: 37.000 ha • Piccoli e medi tunnel: 24.000 ha • Pacciamatura: 75.000 ha • Tendoni: 34.000 ha Nel mondo

• Serre: 1.500.000 ha • Piccoli e medi tunnel: 880.000 ha • Pacciamatura: 12.000.000 ha

Veduta aerea della viticoltura da tavola pugliese in coltura protetta

Foto R. Angelini

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materiali plastici a quest’ultima di essere al riparo da abrasioni e danni morfologici oltre che disporre di ideali condizioni microclimatiche nello spazio immediatamente intorno ai grappoli; – primi tentativi di protezione dei grappoli con film plastici montati sui fili in acciaio dei tendoni. La tecnica nasce per anticipare la maturazione in Puglia e per ottenere posticipo di raccolta in Sicilia. In quest’ultimo caso si introdurrà un elemento innovativo in termini biologici poiché si permetterà di conservare sulla pianta un prodotto che ha già raggiunto la sua maturità fisiologica. Il posticipo di raccolta ottenuto con la protezione dagli eventi meteorici consentirà al settore di posizionare notevoli quantità di prodotto in periodi di minore offerta sui mercati. Quest’ultima tecnica sarà destinata a diventare un’innovazione di processo che cambierà in maniera irreversibile il ciclo produttivo del settore delle uve da tavola. Ambedue le possibilità di modificare il ciclo produttivo si rivelano così determinanti che, in seguito, le aziende non in grado di gestire le tecniche per offrire prodotto destagionalizzato verso l’autunno o verso l’inizio dell’estate saranno destinate ai margini del circuito commerciale e non più rappresentative del settore. Tendone: caratteristiche strutturali della tensostruttura per l’utilizzo delle coperture con reti o con film plastici Il tendone, in particolare la forma di allevamento tendone tipo Puglia, è quello che nel tempo ha dimostrato di poter interagire meglio con l’utilizzazione di materiali di protezione, sia film plastici sia reti. Esso infatti svolge funzione di sostegno della produzione e di ancoraggio delle coperture. Da un punto di vista strutturale il tendone si può assimilare a una tensostruttura funicolare piana, parallela alla giacitura del terreno, realizzata con due orditure ortogonali principali di elementi tesi, funi, che formano una rete a maglie quadrate sostenuta da elementi verticali compressi, ritti o pali, connessi alla rete nei nodi della maglia. Tale rete, insieme a un’orditura secondaria di fili, sorregge la vegetazione derivante dalle piante poste in corrispondenza di ciascun ritto infisso o appoggiato al suolo. La maglia reticolare piana e i ritti sono mantenuti in equilibrio dai pali d’angolo e di corona, ovvero dai tiranti, inclinati e ancorati nel terreno, dopo essere stati sottoposti a uno sforzo di pretrazione. Le funi generalmente sono in acciaio zincato o, più raramente, in acciaio inox oppure in materiale plastico, mentre i ritti sono realizzati in legno, in calcestruzzo armato, in acciaio o in alluminio. La configurazione in pianta di un blocco unitario di tendone è, possibilmente, quadrangolare e copre una superficie di un ettaro con un tradizionale sesto di impianto 2,5 × 2,5 m che determina la presenza di 1600 piante per ettaro. Nel caso delle nuove varietà apirene, meno fertili, il sesto si può portare fino a 3,5 × 3,5 m non superando la soglia di 1000 piante per ettaro.

Tendone coperto con rete Foto R. Angelini

Tendone coperto con film in LDPE

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coltivazione Le caratteristiche costruttive degli elementi del tendone sono: – ancoraggi, con blocchi di pietra naturale o in calcestruzzo, dei tiranti di angolo e dei tiranti di bordo: rispettivamente con profondità di 100-150 cm, o 50-70 cm, e peso di 100-150 kg, o 50-100 kg. In alcuni casi si usano anche piastre o viti in acciaio; – pali di angolo in calcestruzzo armato, di sezione quadrata 10 × 10 cm, o in legno, di sezione circolare con diametro di 10 cm, o in profilati in acciaio a sezione cava. Volendo evitare i tiranti d’angolo e di bordo inclinati e ancorati al suolo, si possono utilizzare pali d’angolo e di corona in profilati di acciaio tipo IPE, con sezione a doppio T, infissi nel terreno per una profondità di 80-100 cm al fine di garantire un buon grado di incastro. L’altezza totale del profilato sarà di circa 3 m, poiché l’altezza fuori terra è di 2,2 m, alla cui sommità vengono vincolati i correnti di corona e interni. La sezione del profilato, sollecitata a flessione per il suo comportamento a mensola, deve essere minimo un IPE 160 o 180; – pali di corona, altezza 2,2 m, in calcestruzzo armato, di sezione 8 × 8 cm o 10 × 10 cm, o in legno, di sezione circolare con diametro di 10 cm; – pali interni in calcestruzzo armato, di sezione quadrata 6 × 6 cm, oppure in legno, con sezione circolare di 8 cm di diametro. I pali interni, di altezza 2,2 m, sono alternati con quelli di circa 3 m di altezza che svolgono funzione di sostegno sia delle piante sia del filo di colmo su cui disporre le due falde del materiale di copertura in telo o rete; – tiranti d’angolo: doppio o, raramente, triplo filo in acciaio zincato con diametro di 6,4 o 5,4 mm (n. 24 o n. 22 in numeri francesi) con inclinazione del filo di 55° rispetto all’orizzontale;

Principali elementi strutturali tesi e compressi di una tensostruttura

• Elementi tesi: tirante d’angolo, tirante di bordo, corrente di corona, corrente interno

• Elementi compressi: ritto d’angolo, ritto di bordo, ritto interno

Foto R. Angelini

Tensostruttura destinata al sostegno del tendone Ritto interno Corrente interno

Ritto di bordo

Corrente di corona Ritto d’angolo

Tirante di bordo Tirante d’angolo

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materiali plastici – tiranti di bordo: in acciaio zincato con diametro di 6,4 o 5,4 mm (n. 24 o n. 22 in numeri francesi) con inclinazione del filo di 55° rispetto all’orizzontale; – fili di corona: in acciaio zincato con diametro di 6,4 mm (n. 24 in numeri francesi); – fili interni: in acciaio zincato con diametro di 3,4 mm (n. 18) con dimensioni della maglia che riflettono la disposizione del sesto di impianto; – retina: la maglia della retina è costituita da sottomultipli del sesto di impianto. Il lato del sottomultiplo varia in funzione del sesto senza superare la lunghezza di 60 cm. Il filo di acciaio ha un diametro non inferiore a 2,7 mm (n. 16). Inferiormente, a 20-30 cm di distanza dalla rete che ha funzione di garantire un efficace appoggio alla vegetazione, nel tendone tipo Puglia sono collocati due fili (n. 20) definiti binari che sostengono i capi a frutto. I binari con i capi a frutto sono orientati in un solo verso, lo stesso della copertura in plastica, con interasse di 60 cm. All’altezza dei binari e al centro del filare, si dispone un filo parallelo (n. 20) che ha la funzione di ancoraggio dei legacci di fissaggio delle coperture plastiche in rete o telo. La complessità della struttura si evidenzia facilmente e ciò si conferma soprattutto quando si analizza la distribuzione degli sforzi nella struttura. Studi condotti sulla sollecitazione di trazione e sullo stato tensionale medio negli elementi tesi nel tendone in presenza di frutti maturi hanno evidenziato i seguenti livelli di sforzo di trazione (1 daN = 10 Newton = 1 kg forza) e di tensione (N/mm2): – tirante d’angolo: 150-300 daN; 50-90 N/mm2; – tirante di bordo: 100-200 daN; 60-80 N/mm2; – corrente di corona: 100-150 daN; 50-80 N/mm2; – corrente interno: 50-80 daN; 60-100 N/mm2.

Foto M. Curci

Tendoni protetti da rete

Foto R. Angelini

219


coltivazione Reti in polietilene ad alta densità (HDPE) Negli anni ’90 del secolo scorso, quindi, le produzioni di uva da tavola si avvalgono di un processo di produzione che poggia su un sistema di allevamento che si identifica esclusivamente nel tendone. Una parte degli impianti è sottoposta a precocizzazione delle produzioni con film plastici. Nei rimanenti impianti, a invaiatura avvenuta (prima decade di agosto) si procede alla copertura con film plastici per attendere condizioni di mercato più remunerative ed esitare il prodotto sui mercati interni ed esteri. In questo periodo comincia ad affermarsi anche un altro manufatto impiegato nella protezione del vigneto: le reti in polietilene ad alta densità destinate, quest’ultime, a rendere possibile un ulteriore innalzamento degli standard qualitativi dell’uva da tavola. La rete deriva il suo utilizzo dalla rete di protezione antigrandine già utilizzata su altri fruttiferi. La rete destinata al processo produttivo delle uve da tavola è dello stesso materiale, non è mai di colore nero ma trasparente e svolge funzione di protezione nei confronti dei dannosi effetti del vento sui germogli nelle prime fasi vegetative oltre che evitare i danni da grandine. I danni da vento possono essere severi poiché la necessità di innalzare gli standard produttivi e la quantità di produzione induce alla sollecitazione azotata delle piante e l’effetto, pur essendo di pregio, indebolisce i germogli in piena distensione e la loro resistenza alla forza del vento. Le reti, per tali motivi, sono collocate sul vigneto all’inizio del ciclo produttivo. In tempi successivi le tipologie di reti sono state sempre migliorate intervenendo sul filo e sulla tessitura e, nelle ultime acquisizioni, modificando anche la fotoselettività del polimero.

Foto R. Angelini

Polietilene ad alta densità (HDPE)

• È il materiale di cui sono costituite le reti utilizzate nella protezione dei vigneti e ha una densità di 0,94-0,96 g/cm3

• È un materiale atossico che può essere

utilizzato a diretto contatto delle piante

• Possiede buone caratteristiche

meccaniche, con una resistenza alla trazione (σ) pari a 20-37 MPa e un allungamento percentuale a rottura (ε) pari al 200-600%

• È riciclabile, resistente all’acqua

e, in genere, è stabilizzato nei confronti della radiazione ultravioletta Impianto a tendone protetto con reti in HDPE

220


materiali plastici Tecnica di utilizzazione. La collocazione di questi manufatti sul vigneto avviene al germogliamento. Durante tutto il ciclo produttivo essi consentono di creare un ambiente confinato in cui si determinano migliori condizioni di crescita. Nei periodi centrali dell’estate si registra, infatti, una minore traspirazione e una migliore distensione delle strutture vegetative e dei grappoli. Tali condizioni di allevamento, in sintesi, portano a un incremento di produzione del 10-15% nelle rese unitarie per ettaro. Nella tecnica di posticipo di raccolta le reti si collocano al germogliamento e su di esse vengono montati i teli da metà agosto fino al tardo autunno. Nelle ultime innovazioni si cerca di condensare la gestione delle due tecniche di produzione. Oggi, infatti, la più recente soluzione nella gestione delle protezioni prevede l’utilizzo combinato dei manufatti telo e rete. La rete è collocata all’esterno mentre all’interno sono montati i teli. Ciò garantisce le produzioni contro attacchi fungini che possono instaurarsi in primavere particolarmente piovose. In tal modo sono anche garantiti un migliore ancoraggio e protezione del film dal vento e una riduzione dei picchi di temperatura. Si può infatti procedere a raccogliere le falde del telo conservando la protezione della rete. Ancora, l’azione protettiva della rete consente di montare, inferiormente, un film di minore spessore e, pertanto, meno costoso. Tessitura. L’HDPE può essere lavorato per la produzione di monofilo che può essere tondo o avere forma di nastro. In funzione del telaio il monofilo può essere tessuto in tre principali forme: tessitura inglese (ritorto inglese), tessitura piana o italiana, tessitura Raschel. È nell’operazione di tessitura, infatti, che si possono decidere la gran parte delle caratteristiche del manufatto e, soprattutto, gli aspetti in grado di condizionare significativamente le risposte vegeto-produttive del vigneto.

Caratteristiche tecniche delle reti in polietilene ad alta densità

• Le reti sono manufatti ottenuti dalla tessitura di un monofilo in HDPE (polietilene ad alta densità)

• Esse possono essere caratterizzate da

differenti parametri strutturali come le tipologie del filo, la differente dimensione della fibra e la forma della tessitura. Possono essere differenti anche le proprietà fisiche come il peso, il colore, la capacità di ombreggiamento, la porosità, la permeabilità all’aria, la trasmissività nel visibile e nell’infrarosso, la resistenza agli urti e alla trazione

• Le reti possono variare molto per

dimensioni in larghezza e lunghezza. La prima può variare da un minimo di 1 m fino a 6 m in funzione del tipo di rete e della sua destinazione, mentre la lunghezza può variare da 25 m a 300 m. Le reti più larghe in genere sono ottenute dall’assemblaggio di reti con larghezza minore. La parte terminale delle reti viene rinforzata e prende il nome di cimosa

Tipologie di tessitura delle reti

Tessitura inglese

Tessitura piana

Tessitura Raschel

221


coltivazione La tessitura piana è la più semplice ed è ottenuta con una semplice tessitura ortogonale tra una trama e un ordito. Le reti a tessitura piana sono caratterizzate dall’essere leggere, esse possono essere tese perfettamente ma non sono stabili nella forma della maglia, che può subire deformazioni geometriche. Le reti con tessitura inglese sono ottenute da una variazione della tessitura piana. I fili sono ortogonali, così come la trama e l’ordito, ma nel senso dell’ordito vi sono due fili intrecciati che racchiudono, avvolgendolo, il filo della trama. Nella tessitura Raschel, più complicata e onerosa delle prime due, si ottengono reti caratterizzate non da fili ma da catene di fili longitudinali attraversate da fili trasversali lavorati a maglia. I lati delle maglie della tessitura Raschel non possono aprirsi in quanto esistono annodature per ogni vertice della stessa che ne vincolano i movimenti. La forma geometrica della maglia però non è stabile e può deformarsi. Quest’ultima caratteristica conferisce cedevolezza alla rete e non permette alla stessa di raggiungere un’adeguata tensione nella messa in opera di pieno campo. La possibilità di tendere adeguatamente le falde della rete è importante poiché, su di un sistema di allevamento come il tendone, consente alla vegetazione di espandersi senza ostacoli fino alla fioritura e permette di opporre sufficiente resistenza

Effetto barriera delle reti sulla tignoletta della vite

• L’effetto barriera nei confronti del vento e della grandine influenza anche alcuni parassiti infeudati alla vite. Nel caso della tignoletta, si possono ottenere positive riduzioni delle popolazioni grazie alla protezione determinata da reti non eccessivamente fitte, compatibili con la coltivazione delle uve da tavola. Trappole a feromoni, poste in strutture protette con rete del tipo 5/4, possono catturare un numero di individui inferiore del 50% rispetto a un test non protetto

Influenza esercitata da alcune tipologie di reti in HDPE sui principali parametri vegeto-produttivi di uve della cultivar Italia B. 28 26 24 22 20 18 16 14 12

19 18 17 16 15 14 13 12

Lunghezza grappolo (cm)

Test non coperto

6/5 tessitura piana

5/4 tessitura inglese

2,6/4 tessitura inglese

Zuccheri (°Brix)

Test non coperto

6/5 tessitura piana

5/4 tessitura inglese

2,6/4 tessitura inglese

222

42 37 32 27 22 17 12

27 23 19 15 11 7

Produzione ettaro (t)

Test non coperto

6/5 tessitura piana

5/4 tessitura inglese

2,6/4 tessitura inglese

Tralci non lignificati (%)

Test non coperto

6/5 tessitura piana

5/4 tessitura inglese

2,6/4 tessitura inglese


materiali plastici

Tipologie di reti più diffuse sui vigneti e variazioni vegetoproduttive indotte sul vigneto di uva da tavola

• Le risposte vegeto-produttive del

vigneto da tavola protetto con reti diverse possono essere misurate dalla variabilità di parametri come il peso del grappolo, la produzione per pianta, la distensione di internodi e infiorescenze, l’equilibrio e la costanza della fertilità negli anni. La rete che ha manifestato un migliore risultato di compromesso fra tutti i parametri descritti è la 5/4 a tessitura inglese e, in ultima acquisizione, anche la 5/5 a tessitura piana

Film in polietilene di colore rosso

a sollecitazioni provenienti da vento e grandine. Nella protezione dei vigneti di uva da tavola, la rete Raschel ha avuto, a causa delle sue caratteristiche meccaniche, una limitata diffusione seguita dal suo definitivo abbandono. Nelle utilizzazioni sui vigneti, infatti, sono preferite le reti con tessitura inglese poiché sono in grado di assicurare la necessaria rigidità e l’efficace protezione da eventi atmosferici come il vento e la grandine.

• Reagiscono all’ambiente modificato

dalle coperture con reti anche i processi di lignificazione dei tralci. Le reti con maggiore effetto ombreggiante, anche se tessute con filo trasparente, non solo non sono in grado di incrementare i livelli della produzione dell’anno ma, impedendo una sufficiente lignificazione e la completa differenziazione a fiore delle gemme, possono mettere in crisi anche la fertilità dei germogli dell’anno successivo, determinando severe riduzioni della produzione

Film in polietilene di colore verde

223


coltivazione Colore. Le reti possono essere realizzate con fili neri, trasparenti o opportunamente colorati. Sono accertate le influenze che la fotoselettività dello spettro visibile ha sulle espressioni vegeto-produttive delle piante. Le reti nere non sono generalmente utilizzate a causa dell’ombreggiamento indotto, mentre attualmente la tipologia più diffusa è quella con fili trasparenti. Differenti colorazioni dei fili hanno dimostrato di poter modificare i tempi di fioritura di alcune piante da fiore. Reti colorate rosse hanno dimostrato di poter incrementare di 1,5-3 °C la temperatura al loro interno rispetto a reti trasparenti. Sempre con il colore si possono determinare effetti barriera e protezione da alcuni insetti. Additivi. Il polimero utilizzato per la tessitura delle reti è sempre additivato con sostanze che hanno la funzione anti-invecchiamento di protezione dalla radiazione ultravioletta. Altri additivi si possono usare per dare un determinato colore e per conferire ulteriori proprietà come quelle ignifughe o l’antistaticità, per contrastare l’accumulo della polvere sulla rete. Dimensioni della maglia e spessore del filo. Lo spessore della rete dipende dallo spessore del singolo filo e varia da 0,25 mm a 0,32 mm. La dimensione della maglia, espressa in mm per la trama e per l’ordito, varia da valori minimi, pari a 0,2-3,1 mm per le reti anti-insetto, fino a 3-5 cm per le reti anti-uccelli. Le funzioni di antigrandine e antivento sono assicurate da una maglia che va da un minimo di 1,8 mm a 5 mm. Peso. Il peso delle rete è correlato allo spessore del filo e alla dimensione della maglia. Varia generalmente da 15 g/m2 a 325 g/ m2 (standard di riferimento UNI 940/89 – Reti in plastica per l’agricoltura – determinazione della massa per unità di superficie).

Film in polietilene di colore giallo

Caratteristiche costruttive delle reti maggiormente diffuse*

Film in polietilene di colore bianco

Caratteristiche costruttive Numero fili/cm per lato della maglia

2,6-4

5-4

6-5

8-5

14-10

Tessitura

inglese

inglese

piana

piana

piana

Diametro filo (mm)

0,3

0,3

0,3

0,3

0,25

Allungamento (%)

20

20

20

20

20

Porometria (mm )

13,7

6,6

2,32

1,6

0,3

Porosità (%)

82

78

69,7

64,6

48,7

Ombreggiamento (%)

10

13

17

22

38

Stabilizzazione UV (kly)

400

400

400

400

400

Peso (g/m )

37,4

72

84

100

130

2

2

Film in polietilene di colore blu

Tipologie reti

* La protezione dei vigneti di uva da tavola è in genere assegnata alle tipologie comprese tra 2,6 e 4 fili/cm e 5-4 fili/cm per lato della maglia

224


materiali plastici Fattore di ombreggiamento. Il fattore di ombreggiamento descrive la capacità di assorbire o riflettere quota della radiazione solare (UNI 10335/94 – Reti in plastica per l’agricoltura – determinazione del potere ombreggiante delle reti in fibra polietilenica). Durata. La durata delle proprietà meccaniche di una rete in HDPE dipende dalla sua resistenza alla radiazione UV che ne è il principale fattore di degradazione. La resistenza a questo tipo di degradazione è espressa in quantità di kilolangley (kly) necessari a ridurre del 50% il valore originario della resistenza alla trazione. Il kilolangley esprime la radiazione solare globale incidente: 1 kly = 1 kcal/cm2 = 41,84 MJ/m2. Le reti in commercio, siano esse antigrandine o antivento, comprese quelle destinate alla protezione dei vigneti, hanno una resistenza pari a 500-800 kly. Fattori di deterioramento chimico-meccanico. Il deterioramento fisico del polimero nelle reti può essere accelerato da abrasioni meccaniche contro pali e fili di ferro, da ambienti con elevate temperature, da eventi climatici estremi come vento e grandine. Fra gli agenti chimici, si rivelano molto aggressive le sostanze contenenti zolfo e cloro.

Distribuzione della radiazione solare nelle fasce climatiche terrestri

• La distribuzione delle quantità di kly nell’anno mostra una correlazione inversamente proporzionale con la latitudine degli ambienti

• Osservando le quantità di kly che

contraddistinguono gli areali destinati alla coltivazione delle uve da tavola, essenzialmente in Puglia e in Sicilia, è possibile individuare un intervallo che va da circa 130 a 150 kly/anno. Assumendo in 140 kly/anno il valore medio dell’areale di coltivazione così definito, la durata media della reti si può stimare da un minimo 3,5 anni a un massimo di 6 anni conservando caratteristiche meccaniche non alterate (UNI ISO 4892 – 1/2/3 2002 Materie plastiche – Metodi di esposizione a sorgenti di luce di laboratorio)

Caratteristiche strutturali delle reti Le più importanti caratteristiche meccaniche delle reti sono definite dal carico di rottura a trazione, dal rapporto tra il carico di rottura e l’area della sezione trasversale del filo e dall’allungamento del filo a rottura (UNI 9405/89 – Reti in plastica in agricoltura – determinazione della forza e dell’allungamento a rottura). Porosità. La porosità rappresenta la percentuale di spazi vuoti in un materiale poroso e può anche essere espressa come la percentuale di area vuota sull’area totale del campione.

Foto M. Curci

Distribuzione della radiazione solare (kly/anno) nelle fasce climatiche terrestri 1 kLangley = 1 kcal/cm2 = 41,84 MJ/m2 1 kLangley/anno = 1,33 W/m2

60

80

80 100 120 140 160

180 180

160 200

180 180

180 160 140 140

200 180 160 140 120 100 80 60 60 80

180 160

140

kLy/anno

60

100 100 80

80

60 80100120 140 160 180 200 220

180 180 200 200 180

100 120 140 160 180 200 200 180 160 160 160 160 180 180 140 120 100 80 60 60 80 100

100 120

140 180 200

100120 120 140 160 160

200 180

160 180

180 180

160 200

160 180 160

180 160 140 120 100 80 60 80 60 100

180 180

225


coltivazione Permeabilità all’aria. Questo parametro misura la capacità di farsi attraversare dall’aria. Dipende da molti aspetti come la velocità dell’aria, la dimensione e la forma delle fibre, gli spazi tra le fibre, la forma di tessitura. Questo parametro influenza il microclima nello spazio circoscritto dalla rete, contribuendo a modificare la temperatura e l’umidità relativa dell’ambiente. Capacità di condizionamento dei parametri climatici: riduzione della radiazione solare. Ogni qualvolta si utilizza una rete si induce una riduzione della radiazione solare trasmessa. Essa può essere più o meno intensa e determina essenzialmente anche una riduzione delle temperature. L’applicazione della rete sul vigneto di uva da tavola determina proprio questo effetto nei mesi più caldi di giugno e luglio con l’abbattimento di circa 3 °C rispetto alla temperatura esterna. L’interposizione di reti sui vigneti può anche produrre un effetto termico di natura diversa in funzione della stagione climatica. Nella fase vegetativa germogliamento-fioritura si assiste, per esempio, a un incremento delle temperature favorevolmente accettato soprattutto in presenza di primavere fredde. La dimensione della maglia, correlata al valore di porosità e al peso, deve rientrare in un range che assicuri l’assenza di effetti collaterali indesiderati sulle produzioni e sulla qualità.

Foto R. Angelini

Film plastici Il vigneto di uva da tavola si può coprire con film plastici, in polietilene a bassa densità (LDPE) oppure in copolimero etilenevinilacetato (EVA), che possono svolgere una duplice funzione.

Regime termico delle temperature diurne in funzione di colorazioni differenti del film 55 50

Temperatura °C

45 40 35 30 25 20 15 10

4

6

7

9

10

12

13

14

16

17

19

Tempo 0-24 h (passaggi orari) Blu semitrasparente

Bianco luce diffusa

Giallo semitrasparente

226

Rosso semitrasparente

Verde semitrasparente


materiali plastici Come nel caso delle reti, il telo può servire a precocizzare le produzioni oppure a posticipare il periodo di raccolta all’autunno inoltrato proteggendo i grappoli dalle precipitazioni meteoriche. La collocazione dei manufatti sul vigneto, rispetto alle fasi fenologiche, avviene al germogliamento, se si vuole ottenere precocità, oppure nel corso dell’invaiatura, se si vuole posticipare l’epoca di raccolta. Il posizionamento del film sul vigneto avviene in maniera simile alla rete. Esso, quindi, va a costituire un tetto a doppia falda su ciascun filare, con un’altezza di colmo che può andare da un minimo di 60 cm a un massimo di 90 cm al di sopra del piano delle funi di sostegno della vegetazione. Nel vigneto di uva da tavola il telo può essere collocato in associazione alle reti, preferibilmente al di sotto di esse, per proteggere il telo dagli effetti del vento e del sole. Il film plastico di copertura svolge la duplice funzione di protezione meccanica delle piante dagli agenti atmosferici e di modifica, in virtù dell’effetto serra, dei parametri microclimatici interni, come temperatura e umidità relativa dell’aria. L’effetto serra consiste nell’incremento del regime termico dell’aria durante le ore diurne, grazie alla trasmissione del calore per irraggiamento e convezione. La radiazione solare incidente sul film, compresa tra 300 e 3000 nm di lunghezza d’onda, è in parte riflessa, assorbita e trasmessa dal film di copertura dell’ambiente protetto. La frazione trasmessa all’interno dell’ambiente riscalda per irraggiamento i corpi che incontra, tra cui terreno, strutture, piante e lo stesso film, incrementando l’emissione dei corpi nell’infrarosso lungo nell’intervallo di lunghezze d’onda da 3000 a 30.000 nm, con il massimo dell’energia emessa a circa 10.000 nm, trasferendo parte di questo calore dai corpi all’aria interna grazie alla

Vigneto in fase di germogliamento protetto con film in polietilene Foto R. Angelini

Effetto serra Materiale di copertura trasparente nel PAR (400-700 nm) e nell’infrarosso corto Opaco nell’infrarosso lungo (>3000 nm)

100% 15-20%

Rad. IR (λ >3µm)

10-15%

65-70%

10-15%

Fuoriuscite dei tralci al di sopra delle coperture plastiche

227


coltivazione convezione. L’effetto serra si evidenzia nel momento in cui il film di copertura presenta una ridotta trasmissività alla fuoriuscita della radiazione nell’infrarosso lungo incrementando ulteriormente il livello termico dell’ambiente. Il migliore effetto serra che il film possa originare consiste nel lasciarsi attraversare il più possibile dalla radiazione solare in entrata e contenere la perdita di radiazione dell’infrarosso lungo in uscita. Tali caratteristiche non sono comunque in grado di evitare l’inversione termica che, nelle ore notturne invernali con cielo sereno, può determinare all’interno dell’ambiente protetto un abbassamento della temperatura dell’aria di circa 2-3 °C rispetto all’esterno. Caratteristiche meccaniche e radiometriche Spessore. Gli spessori più diffusi dei film PE ed EVA, nell’applicazione su vigneto di uva da tavola, variano da 120 a 200 µm (micron). Peso. È molto basso e non supera i 170 g/m2 per film di spessore pari a 180 µm. Resistenza meccanica. Il film di polietilene possiede elevata resistenza meccanica agli sforzi di trazione. Le tensioni di snervamento sono comprese tra 7 e 11 MPa. Le tensioni di rottura sono tutte superiori a 16 MPa. La resistenza meccanica è fondamentale oltre che nella fase di esercizio anche nella fase di installazione e di asportazione dei film plastici dai vigneti. Infatti i fogli di polietilene vengono fatti scorrere sul vigneto agganciati a una fune che è avvolta a un argano attivato da una trattrice. La forza di trazione che la fune esercita è notevole ed è tanto maggiore quanto maggiore è la lunghezza del filare da coprire dovendo trascinare un telo proporzionalmente più pesante. Allo scopo si consideri che la lunghezza media di un filare è di 100 m. Deformabilità. Il carico di deformabilità richiesto deve essere elevato poiché esso deve garantire un allungamento percentuale a rottura superiore al 400%. Trasmittanza. La trasmittanza nel campo del visibile (380-760 nm) e del PAR (400-700 nm) deve essere elevata e maggiore dell’85% sia per i film PE sia per quelli EVA, mentre nel campo dell’infrarosso lungo può risultare elevata per i film PE non termici (circa 60%), ma deve essere inferiore al 25% sia per i film PE termici additivati sia per i film EVA al fine di garantire un buon effetto serra. L’utilizzazione di PE termico o di EVA nella protezione dei vigneti, soprattutto quando è finalizzata a precocizzare la maturazione, incorre spesso in inconvenienti dovuti all’eccessivo innalzamento diurno delle temperature dell’aria all’interno delle strutture. Ciò si verifica spesso nel periodo compreso tra maggio e giugno con mesi caratterizzati da forte radiazione ed elevata eliofania giornaliera.

Diverso accumulo in antociani indotto su uve protette con film plastici con differenti caratteristiche radiometriche e in presenza di moderato stress idrico: con telo retinato e doppia spalmatura in polietilene (in alto) e con telo in polietilene a luce diffusa di colore giallo (in basso)

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materiali plastici Additivi. L’utilizzo degli additivi può migliorare l’effetto barriera all’IR lungo e quindi l’effetto serra. Gli additivi che possono essere utilizzati consistono in cariche minerali, PE termico o copolimeri come l’EVA. È opportuno che la percentuale ottimale di EVA sia il 3-5% e, comunque, non superi il 10-18% per non determinare un peggioramento delle caratteristiche meccaniche (eccessiva plasticità). Altri additivi sono necessari per ridurre i processi di degradazione e di invecchiamento dovuti principalmente all’azione dei raggi UV e, in minor misura, al calore, alle sollecitazioni meccaniche, ai fitofarmaci contenenti zolfo o cloro. Durata. In assenza di additivi anti-UV il film in polietilene non supera una stagione. L’aggiunta di ammine denominate Hals ne prolunga la durata per alcuni anni. Controllo della condensa. Allo scopo di evitare la formazione e lo stillicidio delle goccioline di acqua condensate sulla superficie interna del telo, si possono ottenere film antigoccia che impediscono il distacco delle gocce d’acqua le quali scorrono lungo il film fino alla gronda. Fotoselezione Il parametro caratterizzante la fotoselettività è la trasmittanza variabile del film alle varie lunghezze d’onda della radiazione visibile a seconda della banda cromatica (viola, blu, verde, giallo, arancio, rosso). Si interviene così sull’efficienza fotosintetica e sull’azione del fitocromo e del crittocromo. La fotoselezione si ottiene in funzione delle possibili colorazioni che può assumere il film. Con colorazioni opportune si possono attenuare i picchi termici conservando comunque la precocità della maturazione. Le colorazioni dei film più soggetti a picchi di temperature pericolose per le strutture vegetative sono in genere il giallo semi-trasparente e il bianco semi-trasparente. L’ottenimento di colorazioni semplici con tonalità di verde semitrasparente, di blu semi-trasparente e di rosso semi-trasparente hanno dimostrato di poter controllare le temperature senza indurre effetti collaterali indesiderati. Un’efficiente azione di contrasto all’eccessivo accumulo di temperatura è svolta anche dai cosiddetti film a luce diffusa. Generalmente questi film non effettuano tagli definiti della radiazione solare ma determinano un abbattimento diffuso della radiazione diretta in entrata che avviene uniformemente su tutto lo spettro visibile. A questa diminuita trasmittanza i film a luce diffusa associano anche una particolare capacità di diffusione della luce in tutto l’ambiente protetto. La temperatura interna in presenza di questo tipo di film è generalmente più controllabile poiché diminuisce l’intensità dei picchi termici soprattutto nelle ore più calde delle giornate estive. Il film a luce diffusa ha però mostrato che può avvicinarsi con facilità, in presenza di annate con un minor numero di giorni di sole, alla soglia minima

Diverso accumulo in antociani indotto su uve protette con film plastici con differenti caratteristiche radiometriche in assenza di stress idrico: con telo retinato e doppia spalmatura in polietilene (in alto) e con telo a luce diffusa di colore giallo (in basso)

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coltivazione di soddisfacimento luminoso delle uve da tavola. Ciò spesso si traduce in problemi di colorazione, carente lignificazione, diminuzione di zuccheri, fino alla caduta anticipata delle foglie nel primo autunno. Valutazione dei livelli di fotosintesi. Le variazioni dello spettro luminoso indotte dai film di copertura finiscono in ultima analisi per condizionare la fotosintesi. I valori di fotosintesi generalmente tendono a subire delle riduzioni in presenza di film di copertura. La riduzione di fotosintesi non sempre è un segnale negativo ed entro certi limiti può essere associato a film più performanti sugli aspetti morfologici e quantitativi della produzione. Ciò avviene per l’instaurarsi di un effetto foto-protettivo sulla carica ormonale endogena delle piante. In presenza di livelli di fotosintesi particolarmente bassi accertati in test preliminari si può prevedere se un prototipo di film possa svolgere una funzione di protezione sul vigneto in pieno campo senza controindicazioni. Nella valutazione bisogna considerare l’interferenza genetica determinata dal vitigno che sarà utilizzato nella condizione di coltivazione protetta. Le varietà infatti mostrano di risentire in maniera diversa dell’effetto del film plastico nei confronti della loro risposta fotosintetica.

Fotoselezione e controllo sulla temperatura nell’ambiente protetto

• L’uso della fotoselettività ha dimostrato di poter controllare meglio le temperature massime. Si sono ottenute riduzioni di temperature più rilevanti utilizzando il film di colore blu semitrasparente. Meno performanti i film di colore verde semi-trasparente. Ancora inferiore la capacità di controllo delle massime per i film di colore rosso semi-trasparente

• I film che rivelano maggiore accumulo termico sono quelli semi-trasparenti o con colorazione giallina

• Nel caso della tonalità verde semi-

trasparente si può ottenere anche un significativo aumento delle dimensioni dei grappoli e un aumento dei livelli produttivi

Parametri produttivi – I anno di prova Peso medio bacca (g)

Peso medio grappolo (g)

Peso medio ceppo (kg)

Produzione ettaro (t)

Bianco

5,1

c

400,5

c

16,0

c

25,6

c

Giallo

5,6

bc

480,8

c

18,2

c

29,1

c

Verde

7,8

a

720,9

a

27,8

a

44,4

a

Blu

6,2

bc

540,7

bc

21,6

bc

34,5

bc

Rosso

6,6

ab

620,9

ab

25,4

ab

40,6

ab

Media

6,2

TESI

552,6

21,8

34,8

Parametri produttivi – II anno di prova Peso medio bacca (g)

Peso medio grappolo (g)

Peso medio ceppo (kg)

Produzione ettaro (t)

Bianco

5,8

c

534,9

b

24,6

ab

39,3

ab

Giallo

6,7

bc

503,1

b

22,1

b

35,4

b

Verde

8,5

a

750,8

a

27,1

a

43,3

a

Blu

6,9

bc

600,1

ab

22,8

b

36,4

b

Rosso

7,6

ab

629,6

ab

23,6

ab

37,8

ab

Media

7,1

TESI

Danni da ustione su foglie e tralci dovuti a eccessivo accumulo di calore sotto il film in polietilene

230

603,7

24

38,4


materiali plastici Foto R. Angelini

Variabilità dei livelli fotosintetici in funzione della tipologia del telo e della varietà Micro moli CO2/sec

Crimson Seedless 14 12 10 8 6 4 2 0 Retinato Retinato Telo con doppia con con spalmatura mono barriera PE spalmatura IR PE

I sistemi di protezione dei tendoni per uva da tavola determinano modificazioni importanti del paesaggio rurale

Effetti sul paesaggio e sul territorio rurale Gli effetti che i sistemi di protezione dei tendoni per uva da tavola determinano sul territorio riguardano soprattutto l’influenza sul paesaggio rurale, a causa delle ampie superfici di colore chiaro e riflettente con modifiche cromatiche ed effetto di “specchio liquido” o di “paesaggio agricolo a scacchiera”, e l’impatto sull’agroecosistema. In particolare, la problematica dell’impatto si identifica nell’esigenza di smaltimento di grandi quantitativi di plastiche post-consumo, che può provocare conseguenze negative sui comparti ambientali suolo, acqua e aria in caso di abbandono sul territorio e di combustione non controllata. La soluzione consiste in una corretta gestione delle fasi di dismissione, raccolta, trasporto e riciclaggio del materiale plastico utilizzato, che deve essere considerato non un rifiuto ma una materia prima secondaria.

Micro moli CO2/sec

Autumn Royal 14 12 10 8 6 4 2 0 Retinato Retinato Telo con doppia con con spalmatura mono barriera PE spalmatura IR PE

Foto R. Angelini

231

Telo luce diffusa

Telo luce diffusa


l’uva da tavola

coltivazione Raccolta e confezionamento

Carmelo Sigliuzzo, Luigi Peviani, Giacomo Suglia

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Raccolta e confezionamento Epoca di raccolta La determinazione del momento ottimale per la raccolta rappresenta senz’altro uno degli aspetti più importanti delle fasi conclusive del processo produttivo, infatti può influire notevolmente sulla qualità e sulla lunghezza del periodo di conservazione del prodotto stesso. Ma il momento della raccolta è in primo luogo stabilito dal rispetto degli intervalli di sicurezza, in funzione dei trattamenti antiparassitari effettuati. Al fine di garantire la sicurezza del prodotto sotto l’aspetto igienico-sanitario, infatti, la legge impone che sia trascorso un periodo di tempo minimo, variabile in funzione della tipologia di sostanza utilizzata, tra la data del trattamento e l’inizio della raccolta. Durante tale periodo avviene la degradazione delle sostanze attive utilizzate entro i limiti ammessi, e ogni operatore non può iniziare la raccolta finché tale intervallo di tempo non sia terminato. È peraltro consigliabile, e pratica ormai largamente diffusa, far precedere, alla raccolta, determinazioni analitiche relative ai residui di antiparassitari. Attraverso il campionamento e le analisi chimiche per la ricerca delle sostanze attive normalmente impiegate è possibile valutare, per partite omogenee di prodotto, la conformità alle norme di legge. Una corretta valutazione e l’ottenimento di risultati analitici affidabili impongono la messa in atto di procedure di campionamento definite (in riferimento alla direttiva 2002/63/CE) e l’effettuazione di analisi presso strutture accreditate che operino in conformità a norme internazionali riconosciute (ISO 17025:00 “Requisiti generali per la competenza dei laboratori di prova e taratura”). Per ciò che riguarda l’aspetto puramente organolettico, la raccolta

Raccolta dell’uva

• Le operazioni di raccolta dell’uva

da tavola sono da ritenersi altrettanto delicate quanto quelle tecniche e agronomiche che le hanno precedute. Tale fase, infatti, è determinante ai fini della collocazione commerciale del prodotto e del mantenimento delle sue caratteristiche nel tempo, così come le operazioni di confezionamento e presentazione commerciale

Foto R. Angelini

232


raccolta e confezionamento dell’uva da tavola può essere effettuata a partire dal raggiungimento della condizione di maturazione commerciale, momento in cui la crescita ponderale e volumetrica dell’acino e l’aumento dell’accumulo degli zuccheri non sono ancora cessati, ma sono stati già raggiunti valori compatibili con l’avvio al consumo dell’uva stessa. Tale condizione precede la maturazione fisiologica, fase in cui termina l’accrescimento dell’acino e l’accumulo degli zuccheri, mentre continua il decadimento degli acidi. Dopo questa fase, segue la surmaturazione, contraddistinta da una perdita di acqua da parte dell’acino e relativa perdita del suo peso, cui corrisponde un aumento virtuale degli zuccheri, per concentrazione. Quest’ultima condizione è da evitarsi in quanto il consumatore tende a preferire un prodotto di elevato turgore non apprezzando grappoli spargoli, con acini più o meno molli. Per determinare correttamente il momento più opportuno per l’effettuazione della raccolta, è necessario, quindi, valutare alcuni aspetti relativi ai principali parametri qualitativi, anche mediante l’impiego di metodi di analisi sensoriale che considerino almeno i principali elementi visivi, olfattivi e gustativo-tattili. Allorquando tali valutazioni consentono di ritenere idonea l’epoca di maturazione, si può procedere al taglio e al successivo confezionamento. Le operazioni di raccolta procedono, quindi, con la selezione dei grappoli, scegliendo solo quelli idonei alla commercializzazione (rispondenti, cioè, alle caratteristiche minime commerciali, soprattutto in riferimento ai mercati di destinazione) ed eliminando gli acini guasti o rovinati da problemi di diversa origine (esiti di attacchi parassitari, lesioni, o comunque danneggiamenti). Tali operazioni vanno effettuate con la massima cura, limitando l’eccessiva manipolazione del prodotto, in condizioni di tempo asciutto Foto R. Angelini

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coltivazione e con estrema delicatezza, per non compromettere l’integrità del grappolo, evitando il danneggiamento degli acini e in particolare l’eliminazione della pruina dalla superficie di questi ultimi.

Contenuti zuccherini consigliati per l’uva da tavola

Parametri qualitativi La corretta individuazione e la conseguente valutazione delle caratteristiche di qualità percepibili dell’uva da tavola sono di fondamentale importanza per la determinazione della capacità del bene stesso di soddisfare le esigenze primarie del consumatore. I principali aspetti da considerare sono sostanzialmente riferibili alle caratteristiche visive, olfattive, tattili e organoletticogustative. Tra le caratteristiche visive in primo luogo è da considerare la colorazione dell’epidermide degli acini, che deve presentare l’omogeneità caratteristica di ogni varietà. Non sono ammessi macchie, imbrunimenti di varia natura e altri difetti di colore evidenti. La valutazione del colore è fortemente influenzata dalle condizioni di luminosità dell’ambiente in cui la si effettua e dall’umidità esterna dell’uva. Attualmente non esistono metodi ufficiali riconosciuti per una valutazione oggettiva del colore, come avviene per altra frutta (tavole colorimetriche, metodi di rilevazione elettronica o altri). Inoltre, in particolare per le varietà a bacca bianca, non vi è una colorazione apprezzata in senso assoluto dal mercato. Per esempio, per l’uva Italia i consumatori italiani generalmente gradiscono la colorazione gialla intensa, effettivamente tipica di questa varietà, mentre quelli dei Paesi del Nord Europa e dei nuovi mercati dell’Est tendono a preferire quella giallo/verde. È importante, piuttosto, considerare l’omogeneità di colorazione e l’assenza di macchie e difetti, e conoscere il mercato di riferimento e le preferenze dei consumatori. Anche la colorazione del rachide riveste notevole importanza, in quanto fortemente legata allo stato di fre-

• Varietà con semi a bacca gialla: Precoci Medie-Tardive

13,0° Brix 14,5° Brix

• Varietà con semi a bacca colorata: Precoci Medie-Tardive

13,0° Brix 14,0° Brix

• Varietà senza semi: Precoci Medie-Tardive

15,0° Brix 15,5° Brix

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raccolta e confezionamento schezza del prodotto e deve essere tendente al verde poiché, con l’avanzare del periodo di conservazione, il colore tende a virare verso il bruno. Dal punto di vista visivo il grappolo deve avere acini di medio-grosse dimensioni (variabili in funzione della varietà), con buona uniformità di colore, dimensione e distribuzione sul grappolo. Per quanto riguarda le caratteristiche olfattive, l’uva deve essere priva di odori estranei (tipo odore di solforosa o muffa) e avere intensità odorosa percepibile, solitamente differente in base alla varietà e alle sue caratteristiche organolettiche. Tra le caratteristiche tattili sono da considerare la croccantezza (resistenza allo schiacciamento) e la consistenza della polpa, caratteristiche sempre molto gradite ai consumatori, oltre alla resistenza dell’acino al distacco dal pedicello. Acini con bassa resistenza al distacco potrebbero facilmente disarticolarsi già in fase di confezionamento, mentre una troppo elevata resistenza potrebbe rappresentare un difetto durante il consumo. Le caratteristiche gustative, in ultimo, sono fortemente legate a quelle organolettiche. L’intensità aromatica, che può variare in funzione delle tecniche colturali adottate e della varietà, può essere più o meno forte in funzione del superamento della soglia di percezione dei differenti composti aromatici presenti nelle uve. Le uve da tavola possono essere neutre o aromatiche e in quest’ultimo caso sono stati definiti differenti profili (moscato, foxy, speciale ecc.). La sensazione del dolce è determinata essenzialmente dalla presenza di glucosio e fruttosio. Il contenuto minimo in zuccheri dell’uva da tavola immessa al commercio, espresso in gradi Brix, è stabilito dal Regolamento CE 1221/08 ed è compreso tra i 12 e 14 gradi Brix a seconda della tipologia varietale, ma generalmente i valori raggiunti dalle uve di pregio normalmente reperibili sul mercato risultano di gran lunga superiori.

Controllo degli zuccheri in campo con rifrattometro

235


coltivazione Tale parametro, però, non è da considerarsi in valore assoluto ma in relazione all’acidità titolabile. È infatti accertato che con il progredire della maturazione, gli zuccheri tendono a concentrarsi e gli acidi a decadere. Pertanto il sapore zuccherino tende ad avvertirsi maggiormente man mano che ci si avvicina e si supera il momento della maturazione fisiologica. Così come, in alcuni casi, l’alto contenuto zuccherino non è apprezzabile a causa dell’elevata acidità. A titolo puramente orientativo può essere preso a riferimento quanto stabilito a livello internazionale dallo standard volontario UNECE (Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite) FFV-19, ed. 2007. Questo, infatti, ha indicato, per l’uva da tavola, rapporti minimi tra zuccheri e acidi, variabili in funzione del contenuto in zuccheri. Per uve con contenuto zuccherino compreso tra 12,5 e 14,0 gradi Brix tale rapporto deve essere pari a 20:1; per uve con contenuto zuccherino tra 14,0 e 16,0 gradi Brix il rapporto dev’essere pari a 18:1. Secondo detta norma, inoltre, l’uva dev’essere sufficientemente sviluppata e mostrare un livello di maturazione adeguato. Condizionamento del prodotto A seconda delle aree di produzione e delle abitudini locali, nonché delle richieste del mercato, l’uva può essere confezionata direttamente in campo, oppure raccolta in casse per essere successivamente condizionata in stabilimento. Nel primo caso vi è una manipolazione minore del prodotto ma è più difficoltoso realizzare confezioni di pregio e a peso determinato. La lavorazione in stabilimento, invece, comporta certamente una maggiore manipolazione, ma permette di ottenere un prodotto più selezionato e confezioni particolari, anche a peso egalizzato. In entrambi i casi dovranno comunque essere applicate corrette norme igieniche e comportamentali, secondo i principi dell’autocontrollo igienico (metodo HACCP) e in conformità alle normative di riferimento (Reg. CE 852/2004 e succ.).

Selezione e raccolta dell’uva in campo

236


raccolta e confezionamento Lavorazione in campo La raccolta dell’uva richiede perizia e competenza, in particolare allorquando si effettua il confezionamento direttamente in campo. L’operazione si articola in momenti successivi: raccolta e distacco del grappolo dalla pianta; pulizia del grappolo mediante eliminazione degli acini in qualche modo compromessi (spaccati, lesionati, parassitizzati, ammuffiti ecc.), che potrebbero influire negativamente sulla qualità e sullo stato di sanità e conservazione del prodotto durante il trasporto e la permanenza sui banchi di vendita; confezionamento del prodotto in cassette. Il prodotto confezionato in campo deve essere comunque trasportato in stabilimento per il completamento delle operazioni di pallettizzazione, etichettatura, pesatura finale e refrigerazione. Generalmente quest’ultima operazione avviene in tempi brevissimi mediante sistemi di refrigerazione forzata ad abbattimento rapido della temperatura, che permette in 5-6 ore di raggiungere, al cuore del prodotto, la temperatura ideale per il trasporto e la buona conservazione (compresa tra +1 e +4 °C). Selezione, lavorazione e confezionamento in stabilimento La lavorazione in stabilimento permette di ottenere una più attenta selezione del prodotto e una maggiore accuratezza nel confezionamento finale, specialmente per le piccole confezioni a peso egalizzato e per partite di prodotto che necessitano di ulteriore selezione. Le principali fasi possono riassumersi come di seguito riportato: – trasporto materie prime: l’uva raccolta giunge in casse dalla campagna lo stabilimento mediante camion, rimorchi, pianali o altri mezzi;

Confezionamento dell’uva direttamente nel campo

Carico del camion per il trasporto del prodotto allo stabilimento di confezionamento

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coltivazione Foto R. Angelini

Confezionamento dell’uva

• Può essere distinto nei seguenti due tipi di lavorazione:

– ordinaria, che prevede il confezionamento dei frutti in imballi di peso variabile (da 5, 8, fino a 10 kg netto)

– unità consumatore, cioè a peso prestabilito, con confezionamento dei grappoli in cestini (retinati, con coperchio, in flowpack o altro), a peso predeterminato (generalmente 0,5-1 kg netto). Successivamente questi sono posti in imballi, in numero variabile a seconda della richiesta del cliente (10 × 1 kg/10 × 500 g ecc.)

– scarico: le materie prime vengono scaricate dai mezzi di trasporto tramite muletti, transpallet o altri mezzi; – accettazione: in questa fase, all’arrivo delle materie prime, viene verificata la qualità del prodotto; – raffreddamento: l’uva viene raffreddata in celle frigo o mediante aria forzata, allo scopo di mantenere la serbevolezza; – selezione: fase in cui si eliminano eventuali corpi estranei e si controllano i grappoli scartando quelli non conformi (operazione svolta manualmente); – confezionamento: fase di condizionamento in appositi imballaggi di varia tipologia; – etichettatura: fase in cui alle singole casse di prodotto vengono apposte le etichette riportanti le indicazioni previste; – breve stoccaggio refrigerato: fase, solitamente di breve durata, in cui il prodotto confezionato viene stoccato in celle frigo allo scopo di mantenere le caratteristiche organolettiche;

• È importante ricordare che ciascuna unità consumatore deve essere etichettata

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

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raccolta e confezionamento – carico: fase in cui i prodotti vengono caricati sui mezzi di trasporto tramite muletti e transpallet; – trasporto refrigerato: in questa fase i prodotti confezionati vengono trasportati alla destinazione finale in condizioni refrigerate allo scopo di mantenere le caratteristiche organolettiche. Al termine delle operazioni, le confezioni finali vengono impilate su pedane, generalmente in legno, andando a comporre i pallet. Per conferire al pallet la necessaria stabilità e compattezza, si collocano angolari di plastica o di cartone sui quattro angoli verticali della paletta, serrando il tutto con quattro o cinque reggette, in materiale plastico, disposte orizzontalmente e distanziate di circa 40 cm l’una dall’altra.

Foto R. Angelini

Confezionamento e conservazione del prodotto Ultimata la fase di confezionamento e di legatura dei pallet, il prodotto deve essere immagazzinato in cella frigorifera, in attesa di essere avviato al carico sul mezzo di trasporto. Durante il soggiorno in cella, dove il prodotto deve restare il minor tempo possibile, la refrigerazione deve garantire: – l’attenuazione dell’intensità dei processi vitali e il ritardo della maturazione e della senescenza, in modo da prolungare la vita commerciale del prodotto; – la riduzione della suscettibilità dell’uva agli attacchi parassitari post-raccolta; – l’abbassamento del calo-peso naturale dovuto alla disidratazione; – un maggior controllo delle principali alterazioni post-raccolta, a carico di muffe e funghi. È pertanto raccomandabile provvedere a operazioni di pulizia e igienizzazione periodica delle celle frigorifere.

Tipologie di contenitori e di materiali utilizzati per il confezionamento dell’uva da tavola

• I più impiegati sono imballi in legno,

in cartone o in plastica multiuso del tipo con sponde abbattibili; cestini in PET, buste in plastica, carta, addobbi in materiale plastico e in cartone, spugnette e altro ancora

• È importante ricordare che, qualsiasi

materiale si utilizzi, è necessario che questo sia autorizzato all’impiego per il confezionamento dei prodotti alimentari

• È obbligatorio che tutti gli imballi (sovra

imballi nel caso dell’unità consumatore) vengano etichettati con le indicazioni di legge

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coltivazione Occorre sottolineare che il maggior danno arrecato all’uva (ancora nella fase di campo, o dopo la raccolta) è causato dalla Botrytis cinerea (muffa grigia o botrite), fungo che colpisce bacche e foglie, avvolgendole in un manicotto di ife che condiziona qualitativamente e commercialmente il prodotto. La prevenzione antibotritica, pur se iniziata nella fase di campo attraverso mezzi di difesa adeguati, può rivelarsi non sufficiente a garantire l’assenza di manifestazioni del patogeno nelle fasi successive alla raccolta. Infatti, la muffa grigia è in grado di mantenersi allo stato latente in campo e di svilupparsi successivamente allorquando le condizioni ambientali lo favoriscano (temperatura e umidità). Il patogeno è comunque in grado di moltiplicarsi adattandosi facilmente a condizioni ambientali molto diverse: pur avendo l’optimum a 22/25 °C, i conidi possono germinare e causare infezioni con temperature comprese tra 0 e 30 °C. L’umidità relativa deve invece mantenersi su valori superiori al 90%. La difesa antibotritica post-raccolta, giustificata essenzialmente in caso di trasporti di lunga durata (per esempio per l’esportazione nei Paesi asiatici o negli Stati Uniti), si effettua tramite impiego di anidride solforosa (SO2). Tale pratica deve essere preventivamente concordata con il cliente, in considerazione delle diverse legislazioni vigenti in merito all’impiego di SO2 e ai relativi residui. Attualmente in Italia ne è autorizzato l’impiego, in conformità a quanto stabilito dal Decreto del 27 febbraio 2008 concernente la disciplina degli additivi alimentari consentiti nella preparazione e conservazione delle sostanze alimentari. La solforazione nelle singole confezioni, di gran lunga la più diffusa, viene realizzata con cuscinetti generatori di SO2 inseriti all’interno di involucri di plastica, i quali rivestono l’intera confezione. Tali generatori so-

La botrite colpisce le bacche avvolgendole in un manicotto di muffa che condiziona qualitativamente e commercialmente il prodotto

Foto R. Angelini

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raccolta e confezionamento no costituiti da fogli accoppiati di carta plastificata che formano apposite tasche contenenti metabisolfito, dotate di microforature che permettono l’entrata di vapore acqueo e la liberazione di SO2. Tale sistema consente di proteggere l’uva per periodi di tempo più o meno lunghi (anche oltre 30 giorni). Occorre, comunque, considerare che l’efficacia antibotritica del trattamento dipende da diversi parametri quali: il tempo di contatto del prodotto con il gas, la temperatura ambientale, le condizioni igrometriche, la presenza di materiali adsorbenti il gas, la desolforazione degli ambienti. Infine, il mantenimento di un elevato livello igrometrico (umidità relativa del 90-95%) aiuta a prevenire l’avvizzimento mediante la riduzione della traspirazione.

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Trasporto L’uva da tavola, come tutti i vegetali freschi, dopo la raccolta continua a dar luogo a una serie di processi metabolici che si manifestano con lo sviluppo di calore, vapore acqueo, anidride carbonica e altri gas, oltre a processi di trasformazione del prodotto stesso. La temperatura ideale di conservazione e trasporto del prodotto deve essere intorno a 0 °C, in particolare allorquando si effettuano spedizioni di lunga durata (con percorrenze di 15-20 giorni), mentre può variare dai 2 ai 4 °C per i percorsi più brevi. Pertanto, per raggiungere tale temperatura, occorre sottrarre non solo il cosiddetto calore di campo ma anche quello metabolico, che si sviluppa continuamente, seppure in misura decrescente, man mano che la temperatura del prodotto si abbassa. Le modalità di trasporto devono sempre garantire il mantenimento dell’integrità del prodotto. I mezzi devono essere in condizioni di igiene e pulizia adeguate per evitare possibili contaminazioni da agenti

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

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coltivazione esterni (principalmente corpi e odori estranei) e devono essere adottate misure finalizzate a proteggere il carico, non soltanto da sollecitazioni meccaniche come urti, sobbalzi, oscillazioni, ma anche dagli effetti delle sensibili variazioni ambientali, quali temperatura, umidità, composizione dell’atmosfera che circonda il carico, insolazione e surriscaldamento della massa. Occorre distinguere tra carico e trasporto del prodotto sfuso da confezionare in stabilimento e carico e trasporto del prodotto finito.

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Carico e trasporto del prodotto sfuso da confezionare in stabilimento Nei casi in cui il confezionamento avvenga in stabilimento, il prodotto deve essere conferito allo stesso, attraverso una prima fase di trasporto. Questo avviene su mezzi vettori agricoli o su normali automezzi provvisti di pianale di carico, se la sede di lavorazione è vicina al vigneto, oppure, se lontana, su automezzi dotati di impianto di refrigerazione, analoghi a quelli impiegati per il trasporto del prodotto già confezionato. Particolare attenzione deve essere posta quando la movimentazione del prodotto avviene durante le ore più calde e assolate, con l’ausilio di mezzi agricoli non refrigerati né coibentati ma semplicemente rivestiti di teli in plastica per proteggere il carico. Tali operazioni devono avvenire nel minor tempo possibile, proprio per evitare al prodotto una permanenza prolungata in condizioni ambientali sfavorevoli e compromettenti la qualità. Fondamentale l’igiene in fase di trasporto: i mezzi devono essere puliti e destinati esclusivamente al trasporto di ortofrutticoli freschi; non è pertanto ammesso trasportare contemporaneamente mezzi tecnici agricoli quali i prodotti antiparassitari o concimi e altre merci. Le cassette impiegate per la raccolta, in materiale plastico (purché idoneo al contatto con alimenti), devono essere provviste di alveolature, per consentire un adeguato arieggiamento del prodotto. Sul fondo delle stesse deve essere sistemata una spugna per evitare lo schiacciamento degli acini e garantire l’integrità dei grappoli. Tale spugna deve essere sostitui­ ta frequentemente.

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Carico e trasporto del prodotto finito In fase di carico è indispensabile accertarsi in primo luogo che il prodotto abbia già raggiunto la temperatura ideale e che il mezzo frigorifero sia stato preventivamente raffreddato. È opportuno ricordare, infatti, che le apparecchiature frigorifere dei veicoli e dei container, essendo di potenza necessariamente contenuta, possono impiegare molte ore se non addirittura giorni per raffreddare un carico che fosse stato stivato alla temperatura di campo, in quanto progettate per mantenere la temperatura e non per ridurla. Affinché l’impianto di condizionamento termico possa operare efficacemente è necessario il rispetto di poche ma essenziali regole per il carico e l’accatastamento del prodotto. Lo stivaggio,

Tipologie di confezionamento e presentazione del prodotto

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raccolta e confezionamento pertanto, deve avvenire in maniera uniforme, evitando di creare canali di preferenziale passaggio dell’aria. Oltre a curare la disposizione del carico, occorre accertarsi che nel vano tutte le strutture per la distribuzione dell’aria (canalizzazione sul pavimento, diffusione sul soffitto, controfondo presso le bocche di mandata e aspirazione) siano in perfette condizioni di funzionamento. Infine è di fondamentale importanza assicurarsi che il container sia isolato termicamente, cioè che le sue pareti costituiscano valida barriera al passaggio del calore tra esterno e interno e che, a porte chiuse, non esistano passaggi d’aria dall’esterno. La sosta presso gli scali di partenza, di transito e di arrivo deve durare il minor tempo possibile. I mezzi devono essere mantenuti nella massima igiene: devono essere puliti e destinati esclusivamente al trasporto di ortofrutticoli freschi, non essendo ammesso il trasporto contemporaneo di altri beni o prodotti. La sistemazione del carico deve essere tale da garantire che durante il trasporto questo non sia soggetto a oscillazioni e movimenti che metterebbero in pericolo la stabilità delle pedane, provocando lo schiacciamento degli imballaggi e l’eventuale ostruzione dei canali d’aria. È necessario, pertanto, che lo stivaggio nel container avvenga in maniera ordinata e uniforme, in modo che l’insieme dei colli costituisca un corpo unico con la struttura del container stesso. Pertanto, se tra gli imballaggi o tra questi e le pareti vi fossero degli spazi liberi, occorrerebbe predisporre delle strutture per tamponare, distanziare e riempire, quali listelli distanziatori, strisce intervallate disposte verticalmente o in diagonale, pallet disposti come riempimento, strati di cartone ondulato ecc.

Reg. 852/04/CE sull’igiene degli alimenti

• Fa parte del Pacchetto Igiene,

un insieme di Regolamenti Comunitari che chiariscono e approfondiscono i temi legati all’igiene e sicurezza degli alimenti, in vigore dal 1° gennaio 2006

• Il Regolamento si applica a tutte le fasi

della produzione (inclusa la produzione primaria), trasformazione, distribuzione degli alimenti

• Promuove l’applicazione di procedure

basate sui principi dell’HACCP (Analisi dei Rischi e Punti Critici di Controllo) stabiliti dal Codex Alimentarius, quale strumento di analisi e controllo delle condizioni di igiene e sicurezza delle produzioni alimentari

• Promuove, inoltre, l’applicazione

di una corretta prassi igienica e accresce la responsabilizzazione degli operatori del settore alimentare

Foto R. Angelini

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l’uva da tavola

coltivazione Parassiti animali Antonio Guario, Giuseppe Laccone, Enrico De Lillo

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Parassiti animali Foto R. Angelini

Introduzione Nell’agroecosistema vite, e in particolare in quello della vite per l’uva da tavola, non si può affermare che vi sia un solo fitofago dominante e diffuso che possa ritenersi “chiave” per la coltura; avversità secondarie di rilevante aspetto economico possono assumere localmente importanza primaria sia nel tempo sia nello spazio. All’inizio dell’espansione dell’uva da tavola nel Meridione d’Italia, la tignoletta sembrava essere l’unico insetto da contenere, una volta quasi scomparsa l’altra tignola, cioè la clisia, e risolto il problema della fillossera con l’innesto. Ma non sempre è stato e continua a essere così, anche se la tignoletta, in modo assai variabile, continua a essere sempre presente nei programmi di difesa. Nella successione delle avversità parassitarie si è osservato che mentre con continui trattamenti si contenevano abbastanza bene le avversità ostacolanti la conduzione intensiva della coltura per ottenere un prodotto abbondante e sano, spesso si dava luogo all’affermarsi di altri fitofagi come afidi, acari, cicaline, oziorrinchi, cocciniglie e tripidi (fra i quali il tripide occidentale di recente introduzione e in competizione con la stessa tignoletta) i quali non erano ritenuti dannosi in quanto contenuti dai loro antagonisti naturali, sempre più in diminuzione. Attualmente, l’agroecosistema della vite per uva da tavola appare meno stabile e richiede un’assistenza tecnica specialistica molto attenta per evitare inutili interventi che possono essere più dannosi che efficaci, proprio quando non si tiene conto dell’utile presenza degli antagonisti. In questa breve nota saranno trattati quelli più importanti e maggiormente frequenti nel nostro territorio.

Marciume su nido di tignoletta

Tignoletta

• È un lepidottero tortricide, polifago,

variamente presente in tutte le zone di coltivazione della vite per uva da tavola

• Sverna come crisalide e svolge

normalmente tre generazioni all’anno, ma in condizioni favorevoli può compiere anche una quarta generazione, spesso incompleta. La dinamica della popolazione può essere seguita con trappole innescate con feromoni sessuali

Insetti Tignoletta della vite (Lobesia botrana) È un piccolo lepidottero tortricide diffuso in tutti gli areali di coltivazione della vite e risulta particolarmente dannoso nei vigneti del Meridione d’Italia e ancor più sulle uve da tavola, costituendo uno degli insetti verso cui vengono poste le maggiori attenzioni, anche in considerazione delle rilevanti innovazioni dei metodi e mezzi di difesa avvenute in quest’ultimo periodo. Inoltre, l’adozione di diverse tipologie di conduzione della coltura, con copertura precoce con film plastici per l’anticipazione o per la raccolta ritardata, copertura con reti o senza alcuna copertura, determina una irregolarità nelle catture degli adulti con difficoltà a registrare chiaramente l’inizio e la fine dei voli in modo da impostare adeguatamente la difesa. Peraltro, le infestazioni della tignoletta sono molto influenzate dalle condizioni climatiche e microclimatiche e la sua presenza nei vigneti è assai variabile: da un anno all’altro, da un luogo all’altro, in una stessa azienda o in uno stesso appez-

• I danni di rilievo sono causati dalle larve delle generazioni carpofaghe, contro le quali si giustificano gli interventi di difesa in base al meccanismo d’azione dei prodotti da adoperare

• Ausiliari: Imenotteri icneumonidi,

Imenotteri calcidoidei, Dittero tachinide

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parassiti animali Principali fitofagi della vite per uva da tavola Nome comune

Nome scientifico

Parti colpite

Afide delle Malvacee

Aphis gossypii

Nuova vegetazione e grappoli

Bostrichi

Sinoxylon perforans, S. sexdentatum

Tralci

Chiocciola

Canthareus titanus

Parti epigee

Cicalina americana

Scaphoides titanus

Vettore flavescenza dorata

Cicalina gialla della vite

Zygina rhamni

Pagina inferiore delle foglie

Cicalina verde della vite

Empoasca vitis

Germogli e foglie

Cocciniglia nera

Targionia vitis

Ceppo, branche e tralci

Cotonello degli agrumi

Planococcus citri

Parti epigee, soprattutto grappoli

Cotonello della vite

Planococcus ficus

Germogli e grappoli

Erinosi

Colomerus vitis

Foglie

Eriofide dell’acariosi

Calepitrimerus vitis

Gemme, germogli e foglie

Eulia dei fruttiferi

Argyrotaenia ljungiana

Larve su foglie e frutti

Fillossera

Viteus vitifoliae

Radici e foglie

Mosca della frutta

Ceratitis capitata

Grappoli

Nematodi

Xiphinema spp.

Galligeni e vettori di virus

Nottue

Noctua pronuba, Noctua fimbriata

Gemme e germogli

Oziorrinchi

Otiorhynchus spp.

Tipiche erosioni sulle foglie

Pulvinaria

Pulvinaria vitis

Parti epigee

Tignoletta

Lobesia botrana

Danni su infiorescenze e acini

Tripide occidentale

Frankliniella occidentalis

Fiori e acini

Tripide della vite

Drepanothrips reuteri

Teneri germogli e foglie

Ragnetto giallo

Eotetranychus carpini

Foglie

Ragnetto rosso dei fruttiferi

Panonychus ulmi

Foglie

Ragnetto rosso comune

Tetranychus urticae

Foglie

Sigaraio

Byctiscus betulae

Danni su foglie e arrotolamenti

Zigena della vite

Theresimina ampelophaga

Gemme, lembo fogliare

zamento da un punto all’altro. Sembra, ancora, che la tignoletta sia stata favorita nel suo insediamento e sviluppo nei nostri vigneti dalle condizioni che si determinano nell’allevamento quasi totale dell’uva da tavola a tendone, dove è meno disturbata dal vento, dalle forti umidità e dal secco, che teme. Infine, grazie alla sua polifagia, l’olivo può ospitarla in notevole quantità. L’adulto ha un’apertura alare di 11-12 mm; le ali anteriori hanno piccole macchie di vario colore con tendenza al grigio, al blu e al giallo; le ali posteriori sono grigie. L’uovo è lenticolare, misura 245


coltivazione circa 0,6 mm in diametro, ha colore quasi verdastro appena deposto, per poi diventare grigio chiaro, iridescente, facile da vedersi per i riflessi della luce, specialmente se si gira il grappolo. La larva appena nata misura circa 1 mm, ha colore biancastro con capo scuro, mentre a maturità misura circa 10 mm ed è di colore verdastro tendente allo scuro. La crisalide è di colore nocciola scuro, avvolta in un bozzolo bianco sericeo. La tignoletta svolge su vite normalmente tre generazioni all’anno, ma può iniziarne anche una quarta che quasi sempre non si completa. Sverna come crisalide sotto il ritidoma dei ceppi o in ripari naturali occasionali. In aprile inizia lo sfarfallamento (primo volo) che termina generalmente alla fine di maggio, ma questo primo volo può iniziare anche in marzo e terminare ai primi di giugno. Ha costumi crepuscolari. La femmina fecondata, dopo 3-4 giorni dallo sfarfallamento, depone di seguito circa 100 uova sui bocci fiorali, o su altri elementi del germoglio. Le larve penetrano nell’interno dei bocci dei quali si nutrono, avvolgendoli con fili sericei in modo da formare dei tipici glomeruli, più conosciuti come “nidi”. Dopo circa un mese, la larva matura si incrisalida e dopo una settimana sfarfallano i nuovi adulti (secondo volo). Questi avviano la seconda generazione che si svolge a carico degli acini generalmente dai primi di giugno a fine luglio. L’ovideposizione avviene sugli acini e dopo 3-4 giorni nascono le larve, che penetrano direttamente nell’interno dello stesso acino svuotandolo. Le larve, completate le 5 età, si incrisalidano dopo circa 20-25 giorni e i nuovi adulti sfarfallano dopo circa una settimana. La femmina fecondata avvia la terza generazione ovideponendo ancora sugli acini; dopo 4-5 giorni di incubazione nascono le larve che attaccano gli acini in via di maturazione, danneggiandone più di uno. Questa terza generazione si svolge in agosto-settembre, sino a ottobre; un’eventuale quarta generazione può avviarsi se le condizioni ambientali lo consentano.

Crisalide di tignoletta

Trappola per la cattura degli adulti di tignoletta

Danni delle generazioni carpofaghe su acino Larva di tignoletta

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Adulto di tignoletta


parassiti animali La presenza della tignoletta in campo può essere monitorata mediante trappole attrattive innescate con feromone o con altri mezzi. L’infestazione sulla pianta può essere vista mediante il rinvenimento di nidi a livello delle infiorescenze, per quanto riguarda la prima generazione, e la presenza di ovideposizioni e di acini danneggiati con o senza larve nella polpa per le generazioni carpofaghe. Le infestazioni di tignoletta causano imbrunimenti, disseccamenti o marcescenza degli acini in seguito all’insediamento successivo di muffa grigia (Botrytis cinerea), muffe secondarie (Rhizopus, Aspergillus, Penicillium ecc.) e marciumi acidi dovuti a lieviti, batteri ecc. Sulle uve da tavola i danni sugli acini non sono accettati comportando un maggiore aggravio di costi per la difesa e per la pulizia dei grappoli. Nei tendoni è possibile riscontrare una maggiore concentrazione di tignoletta nelle zone periferiche rispetto a quelle più centrali del vigneto per la presenza in detta zona di temperature più elevate e maggiore vegetazione e produzione.

Formazione di marciumi quale conseguenza di attacchi di tignoletta

Tripidi (Frankliniella occidentalis, Thrips tabaci, Drepanothrips reuteri) La Frankliniella occidentalis, segnalata per la prima volta nel 1990 sull’uva da tavola in Sicilia e in Puglia, è il tripide che provoca i maggiori danni sull’uva da tavola. Sono, comunque, dannose anche altre specie di tripidi come il Thrips tabaci e il Drepanothrips reuteri, riscontrabili in concomitanza tra loro o in fasi separate del periodo vegetativo. I tripidi sono insetti polifagi, spesso hanno dieta principalmente costituita da polline, tant’è che l’attività di molte specie si svolge maggiormente durante la fioritura. La femmina della Frankliniella Danni da tripidi su foglia

Adulti di tripidi estratti dai grappoli

Danni da tripidi su acini

Danni da tripidi su acini causati nella fase post-allegagione

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coltivazione occidentalis inizia l’ovideposizione dopo 3 giorni dallo sfarfallamento, con temperature intorno ai 25 °C, e presenta longevità di 15-40 giorni. L’ovideposizione avviene per mezzo della penetrazione della terebra nei tessuti vegetali. Il maggior danno si manifesta quando l’ovideposizione interessa le bacche all’allegagione. Ogni femmina può deporre da 40 a 80-100 uova. Se le condizioni ambientali sono ottimali l’insetto può completare una generazione in 15-40 giorni e sembra che sia in grado di compiere circa 18 generazioni all’anno. L’attacco su vite inizia nella fase dei grappolini distesi e si protrae fino all’allegagione. Il tripide può essere presente anche sugli organi vegetativi, ma non sempre causa danni apprezzabili. Le forme giovanili si alimentano a spese delle cellule parenchimatiche e del polline e verso la fine del loro sviluppo si rifugiano nei tessuti vegetali o negli strati superficiali del terreno. I danni riguardano quasi esclusivamente il grappolo e possono essere diretti, con le punture di ovideposizione e di nutrizione, e indiretti, in seguito all’insorgenza di “marciumi”. Gli adulti e le forme giovanili pungono i tessuti per nutrirsi e vi immettono saliva, i cui componenti causano lisi e svuotamento delle cellule che assumono colore biancastro, madreperlaceo, che evolve successivamente a scuro per necrosi. In seguito alle punture, gli acini mostrano macchie decolorate, necrotizzate o suberifìcate. Attacchi interni ai fiori possono causarne l’atrofia. La puntura dell’ovopositore provoca lesioni nelle cellule dei tessuti che attraversa causandone la morte. A seguito di queste punture, la superficie dei tessuti può mostrare concavità crateriformi o verruche preminenti in seguito a ipertrofia dei tessuti limitrofi. Intorno a queste punture possono formarsi aloni decolorati.

Differenza tra germoglio sano e attaccato da tripidi (a destra)

Tripide occidentale

• È un tripide polifago, floricolo, pollinifago.

Nelle zone viticole è presente durante tutto l’anno, in tutti gli stadi di sviluppo specialmente se in fioritura. Compie più generazioni all’anno e danneggia l’uva da tavola sui grappoli durante la fioritura. Il monitoraggio può essere effettuato con trappole cromotropiche azzurre. La difesa può richiedere uno o più interventi con prodotti specifici

• Antagonisti: fitoseidi, tisanotteri, emitteri antocoridi e nabidi

Tripide della vite

• Sverna come femmina fecondata

sotto il ritidoma o in ripari occasionali. Può compiere durante l’anno da 2 a 4 generazioni. I danni su uva da tavola si producono generalmente durante l’estate sulla nuova vegetazione, che va protetta nei casi di defogliazione da altre malattie

• Antagonisti: Antocoris spp., Orius spp. Danni da tripidi su acini

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parassiti animali Foto R. Angelini

Danni da tripidi su foglia

I danni indiretti sui grappoli sono dovuti all’insorgenza di marciumi da Botrytis cinerea e, maggiormente, da marciumi secondari e acidi riferibili, rispettivamente, a funghi secondari dei generi Aspergillus, Rhizopus, Penicillium ecc. e a batteri e lieviti. Sulla vegetazione i danni possono essere riscontrati nelle prime fasi vegetative e nella fase di ingrossamento degli acini. Le foglie assumono una colorazione bronzea e riducono la loro efficacia fotosintetica. La presenza di tripidi nel vigneto va rilevata sin dall’inizio della vegetazione, ma in modo particolare nelle fasi di pre-fioritura e allegagione, al fine di avviare interventi in grado di contenere le popolazioni di tale insetto. Negli ambienti meridionali il tripide riesce a infestare un numero elevato di specie coltivate e spontanee, in vegetazione e in fioritura, durante tutto l’anno, senza richiedere lo svernamento. L’abbondante presenza, comunque, di fiori prodotti da essenze spontanee lungo le strade o i bordi di campi, soprattutto con fiori gialli, consente di attirare una gran quantità di tripidi specialmente se la fioritura è contemporanea a quella della vite. A riguardo è stato rilevato più volte che in caso di scarse piogge e di conseguente scarsa fioritura di piante spontanee in primavera, si assiste a un maggior impatto del tripide sulle specie coltivate come vite, olivo ecc.

Danni da tripidi causati dalle punture di ovideposizione in fase di fioritura Foto R. Angelini

Cocciniglie cotonose (Planococcus ficus, Planococcus citri) La loro diffusione negli ultimi anni è in aumento in quanto, probabilmente, la gestione fitosanitaria dei vigneti sta subendo modificazioni nell’applicazione degli agrofarmaci. Sono stati, infatti, recentemente eliminati alcuni insetticidi a largo spettro di azione che, oltre a contenere la tignoletta, indirettamente contenevano

Germoglio attaccato da tripidi

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coltivazione altri fitofagi come le cocciniglie. Aumenti di popolazione sono stati riscontrati anche in vigneti dove è applicata la tecnica della confusione sessuale per la tignoletta. Le femmine fecondate svernano sotto il ritidoma dei tralci e del fusto. A primavera riprendono l’attività deponendo le uova e producendo un caratteristico ovisacco bianco e cotonoso. Dopo 15 giorni, nascono le neanidi. Gli adulti di questa generazione compaiono all’inizio di giugno; le femmine sono prive di ali, mentre i maschi ne sono provvisti. In estate si hanno due generazioni. Le cocciniglie durante la prima generazione sono localizzate sul tronco e alla base dei germogli. Nella seconda generazione preferiscono i primi internodi e la pagina inferiore delle foglie. Le neanidi della terza generazione si spostano fino ai grappoli nella fase di invaiatura. I maggiori danni si rilevano sui grappoli in quanto la presenza di questo fitofago in fase di commercializzazione non è tollerata e la produzione abbondante di melata favorisce lo sviluppo di fumaggine rendendo l’uva di scarso o nullo valore commerciale. Nel periodo invernale, le forme mobili si portano sotto il ritidoma del ceppo e qui svernano come femmine mature, pronte per l’ovideposizione. È fondamentale riuscire a valutare la presenza di antagonisti che sono comuni nei nostri ambienti e mantengono bassa la popolazione e il livello di danno determinato dalle cocciniglie. Tra questi antagonisti si segnalano: Leptomastix dactylopii, Chilocorus bipustulatus, Cryptolaemus montrouzieri, Brumus quadripustulatus ecc. Per le cocciniglie cotonose gli interventi vanno posizionati in diversi periodi in relazione alle diverse generazioni che si sviluppano da maggio ad agosto. In particolare, le infestazioni vanno contenute sin dalla prima generazione per evitare un aumento di popolazione nel vigneto come pure la migrazione di un maggior numero di neanidi sui grappoli.

Cocciniglie cotonose

• Svernano sotto il ritidoma e alla fine

della primavera si portano sulla nuova vegetazione invadendo germogli e grappoli. Oltre alla sottrazione di linfa, producono abbondante melata sulla quale si sviluppano “fumaggini”, con gravi danni alla produzione. La difesa va attuata tempestivamente alla comparsa delle prime forme mobili sulla nuova vegetazione

• Antagonisti: Leptomastix dactylopii,

Cryptolaemus montrouzieri, Chilocorus bipustulatus, Brumus quadripustulatus ecc.

Foglia infestata da Planococcus citri

Cocciniglia nera (Targionia vitis) Anche questa cocciniglia sta conquistando sempre più areali viticoli sia di uva da tavola sia di uva da vino. A differenza delle altre cocciniglie, la Targionia vitis non attacca i grappoli ma si posiziona su ceppi, branche, tralci e in alcuni casi anche sulle foglie con conseguente deperimento dell’intera pianta o disseccamento della stessa in caso di forte infestazione. La cocciniglia nera sverna come femmina fecondata sul ceppo, sulle giovani branche, sui tralci, e in primavera, nei nostri ambienti in maggio, compaiono le neanidi che si fissano sul legno per nutrirsi della linfa. La massima concentrazione delle neanidi si verifica durante il periodo della fioritura. Nelle fasi iniziali di infestazioni diventa difficile rilevare la sua presenza in quanto si mimetizza con il ritidoma, ma un attento esame

Cocciniglia nera

• Sverna come femmina fecondata sul

ceppo, sulle branche e sui rami e nel mese di maggio le neanidi si fissano sul legno per nutrirsi. Il danno consiste nel continuo deperimento della pianta. La difesa va effettuata tempestivamente contro le neanidi

• Antagonisti: imenotteri calcidoidei, coleotteri coccinellidi

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parassiti animali dei tralci consente di rilevare le forme giovanili e lo stato di infestazione della cocciniglia. I trattamenti vanno eseguiti con presenze diffuse nel vigneto ma con lievi densità di popolazione e solo in presenza di neanidi di prima età. Per la cocciniglia nera la presenza delle neanidi si verifica tra la fine di aprile e la prima quindicina di maggio, periodo idoneo per programmare gli interventi di contenimento. Oziorrinchi (Otiorhynchus sulcatus e O. corruptor) La loro presenza nei tendoni di uva da tavola è sempre più comune e tale sistema di allevamento sembra favorirne il successo. In aggiunta, si segnala che in diversi casi le partite di uva da tavola esportate all’estero sono state respinte per la presenza di adulti di oziorrinco nelle confezioni. Questi insetti hanno una sola generazione all’anno e l’adulto attacca la vite in primavera, danneggiando i giovani germogli, mentre sui grappoli non determina danni di rilievo. L’adulto ha abitudini notturne ma è possibile osservarlo anche nelle prime ore del mattino quando si sposta lentamente verso la parte basale del ceppo per trovare rifugio dalla luce solare sotto il ritidoma o nei primi strati del terreno alla base delle piante. Spesso è possibile riscontrare diversi individui sotto le foglie, in stato di quiete durante le ore diurne. In caso di disturbo l’adulto si lascia cadere al suolo e rimane per alcuni minuti immobile, come morto. Questa abitudine determina, durante la raccolta, la casuale caduta degli adulti nelle casse di uva e la conseguente presenza nelle confezioni per l’esportazione. Le larve, invece, vivono nel terreno nutrendosi di radici. La sua presenza in un vigneto spesso è limitata ad alcune chiazze o a zone confinanti con canali, fossati ecc.

Infestazioni di Targionia vitis su tralci

Erosioni da oziorrinco su foglie Adulto di oziorrinco

Danni di oziorrinco su grappolo

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coltivazione Foto R. Angelini

Oziorrinchi

• Hanno una generazione all’anno.

Gli adulti compaiono in primavera e si nutrono dell’apparato fogliare, rispettando le nervature e i grappoli. Hanno abitudini notturne. I danni sono più rilevanti sui nuovi impianti e sui getti degli innesti. La difesa va attuata in presenza di rilevante popolazione

Il danno si riconosce con facilità per la caratteristica rosura delle foglie e diventa apprezzabile quando gli individui presenti su un ceppo sono numerosi (40-50 adulti). Nei casi di nuovi impianti e degli innesti i danni sono certamente più rilevanti in quanto le poche foglie presenti vengono erose quasi completamente (restano immuni soltanto le nervature più grosse) con conseguente effetti sullo sviluppo vegetativo. Foto R. Angelini

Foglie gravemente danneggiate da oziorrinco Erosioni su foglia causate da oziorrinco

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parassiti animali Mosca mediterranea (Ceratitis capitata) La sua presenza, particolarmente diffusa su moltissime colture frutticole, viene ormai rilevata anche sull’uva da tavola seppure in modo non costante e diffuso. L’infestazione si nota essenzialmente sugli acini in fase di maturazione e i sintomi sono facilmente visibili sottoforma di gallerie sottocuticolari di colore bruno scuro che contrastano nettamente con il colore chiaro dell’acino. Il danno determinato da questo insetto, oltre a quello diretto per la deturpazione dell’acino, è legato al divieto di commercializzazione di prodotti con la presenza di tale dittero, in quanto esso rientra tra i parassiti da quarantena per i Paesi come gli Stati Uniti, il Canada e altri non comunitari. Nei casi di accertata presenza o suscettibilità del vigneto a tale infestazione, è opportuno installare trappole attrattive al fine di valutare la presenza della popolazione e i periodi di maggiore incremento degli adulti. Il controllo va effettuato sfruttando l’azione di sostanze attive utilizzate nei confronti di altri fitofagi come la tignoletta.

Acini con mine di mosca della frutta

Cicaline (Zygina rhamni, Empoasca vitis, Scaphoideus titanus) La cicalina gialla della vite (Zygina rhamni) è la più presente nei vigneti di uva da tavola, di colore bianco-giallo; sverna come adulto su piante arboree e arbustive diverse dalla vite; compie tre generazioni all’anno. Gli individui di questa specie sono poco mobili, si nutrono del contenuto delle cellule del parenchima fogliare creando piccole aree clorotiche sul lembo fogliare e tipiche picchiettature. La cicalina verde della vite (Empoasca vitis) produce accartocciamenti, imbrunimenti nervali, arrossamenti e ingiallimenti, con Foto R. Angelini

Mine di larve di Ceratitis capitata su acini

Contemporaneo attacco di cicaline e oziorrinco Decolorazioni fogliari causate da cicaline

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coltivazione evidenti alterazioni fogliari. Sverna come adulto su conifere o latifoglie e si trasferisce sulle viti in primavera. Depone le uova sulla pagina inferiore delle foglie preferendo zone con elevata umidità e vigneti vigorosi. Compie 2-3 generazioni durante l’anno. Si nutre pungendo le foglie e succhiando la linfa dal floema delle nervature, determinando un’alterazione cromatica delle foglie che diventano rosse o gialle a seconda che si tratti di una cultivar a bacca nera o bianca. Successivamente si ha il disseccamento del margine fogliare. Particolare attenzione viene posta anche allo Scaphoideus titanus vettore della flavescenza dorata, un giallume della vite causato da fitoplasmi, attualmente non ancora segnalato nel meridione e quindi su uva da tavola. In presenza di consistenti popolazioni dell’insetto vettore della flavescenza dorata può diffondersi rapidamente, causando gravi epidemie, per cui è oggetto di lotta obbligatoria. Scaphoideus titanus ha una sola generazione l’anno e per evitare la diffusione di Flavescenza dorata è necessario eliminare questa cicalina allo stadio di neanide, prima che diventi adulto. Il momento ottimale per l’intervento chimico può essere fatto coincidere con quello utile per la lotta contro la seconda generazione della tignola impiegando sia i tradizionali esteri fosforici sia i regolatori di crescita (IGR).

Cicalina verde della vite

• Gli adulti svernano su conifere

e si trasferiscono su vite in primavera. Compie 2-3 generazioni all’anno e si nutre pungendo le foglie, che decolorano e disseccano sui margini. La difesa va attuata quando si supera la soglia di intervento (1-2 neanidi per foglia)

• Antgonisti: Anagrus atomus Cicalina gialla della vite

• Sverna come adulto su piante arboree

e arbustive e compie 2-3 generazioni all’anno. Sia gli adulti sia le forme giovanili infestano le pagine inferiori delle foglie causando depigmentazione, defogliazione e deperimento dell’attività produttiva. La difesa va attuata con gli interventi contro la cicalina verde

Afidi (Aphis gossypii) Sui tendoni di vite per uva da tavola, sono sempre comparsi sporadici localizzati focolai di afidi, che negli ultimi tempi, però, si sono incrementati tanto da richiedere, a volte, interventi specifici di contenimento. L’afide più riscontrato è quello detto comunemente del cotone, delle malvacee o delle cucurbitacee (Aphis gossypii). Si presenta in due forme distinte: alata virginopara e attera virginopara.

• Antgonisti: Anagrus atomus

Presenza di afidi su acini con relativa melata che rende il frutto non commerciabile

Germogli infestati da afidi

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parassiti animali La forma alata ha il capo e il torace nerastri, mentre il resto del corpo è di colore variabile dal bruno ocraceo, dal verde e dal bluastro più o meno scuri. Ha una lunghezza di circa 2 mm. La forma attera è di forma ovoidale, piccola, con una lunghezza del corpo di 1-1,8 mm e una colorazione non molto dissimile dall’alata virginopara. È un afide cosmopolita presente in tutte le parti del mondo su piante erbacee, arboree, coltivate e spontanee. In Italia è presente in tutte le regioni, specialmente nelle zone meridionali e insulari. Su vite per uva da tavola, specialmente nei tendoni coperti con teli di plastica, fa la sua comparsa ai primi di maggio, inizialmente sulla cima dei teneri germogli, per poi intensificarsi soprattutto sui grappoli durante la fioritura. I suoi danni sono atipici rispetto agli altri afidi, perché non comportano alterazioni dell’apparato vegetativo, pur limitando in qualche modo lo sviluppo della pianta. Produce melata sulla quale si sviluppa la fumaggine, che imbratta un po’ tutto. Il contenimento dell’insetto, nei casi di estrema necessità, si può avvalere degli insetticidi-aficidi o semplici aficidi, quando altri contemporanei interventi non ne riducono al limite accettabile la presenza. Acari La vite può ospitare un numero limitato di specie di acari fitofagi e la loro presenza è abbastanza comune, spesso asintomatica o poco palese. Al contrario, numerose altre specie associate alla vite sono predatrici o non sono strettamente specializzate. Diversi fattori colturali (cultivar, pratiche agronomiche, biodiversità dell’ambiente produttivo) interagiscono con le popolazioni dei predatori e, quindi, con gli acari fitofagi. In molti casi le infestazioni sono, infatti, rilevanti localmente e in alcune stagioni. Interventi fitosanitari rispettosi della fauna utile (principalmente fitoseidi) e delle epoche di maggiore sensibilità degli organismi dannosi possono ridurre considerevolmente i rischi di severe infestazioni da acari. Gli acari fitofagi più dannosi in Italia sono i ragnetti rossi Panonychus ulmi e Eotetranychus carpini e l’eriofide Calepitrimerus vitis. Tetranychus urticae, Colomerus vitis, i falsi ragnetti rossi i e tarsonemidi, pur presenti, sono spesso di trascurabile significato.

Infestazioni di afidi su giovani germogli

Acari eriofidi

• Gli eriofidi hanno sempre due paia

di zampe; in genere, sono lunghi 0,1-0,2 mm, spessi-larghi 0,03-0,05 mm, vermiformi o depressi in senso dorsoventrale, giallo pallidi o biancastri

• Il loro aspetto ne rende difficile il rilievo in campo. L’agente dell’erinosi induce alterazioni tipiche, mentre l’agente dell’acariosi causa sintomi spesso confusi con quelli indotti da altri agenti

• L’accertamento della presenza degli

Acaro rugginoso o dell’acariosi della vite (Calepitrimerus vitis) Comune nei vigneti e dannoso solo in certe condizioni colturali e ambientali. L’eriofide vaga sulle superfici verdi, grappoli inclusi. Il sintomo fogliare più usuale consiste in macchie puntiformi opalescenti, prive di necrosi, che possono interessare anche l’intera lamina, e da increspature di varia estensione e complessità. Di norma, la pagina superiore può imbrunire o ingiallire con le più alte densità di popolazione che si registrano in estate. In seguito all’infestazione dei primordi degli organi vegetativi, i tralci possono

eriofidi avviene in laboratorio mediante microscopio sul campione vegetale, o su nastro bioadesivo posto su specifici punti della pianta o in una sospensione ottenuta dal lavaggio e setacciamento del campione vegetale

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coltivazione Foto R. Angelini

Sintomi da Calepitrimerus vitis su foglie Germoglio danneggiato da acari

avere uno sviluppo stentato, internodi esili e corti, talora ad andamento irregolare. Talvolta, l’accecamento della gemma principale induce lo sviluppo di germogli avventizi. Tutte queste alterazioni sono temute soprattutto nei giovani vigneti. In aggiunta, la presenza dell’eriofide è correlata a una riduzione quantitativa della resa in uva e alcune rugginosità degli acini sono, da taluni, attribuite a questa specie. La femmina invernale, morfologicamente diversa da quella primaverile-estiva, sverna sotto le perule delle gemme e nelle screpolature del ritidoma, soprattutto all’inserzione dei tralci. Durante la dormienza, i primordi delle foglie, infiorescenze e germogli sono molto compatti sotto le perule e non vengono raggiunti dall’eriofide. Viceversa, l’acaro invade questi all’ingrossamento della gemma, si alimenta sui tessuti giovani, si distribuisce sul tralcio in crescita

Adulti primaverili estivi di Calepitrimerus vitis

Adulti primaverili estivi di Calepitrimerus vitis visti al microscopio elettronico a scansione Sintomi da Calepitrimerus vitis su tralcio

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parassiti animali Foto R. Angelini

Foto F. Laffi

Esemplari di Colomerus vitis ripresi tra i peli della pagina inferiore della foglia

Sintomi a carico delle foglie conseguenti a una infestazione di acari

e sulle sue foglie, e inizia a ovideporre. Le successive popolazioni primaverili-estive assumono una densità e una distribuzione sulla vite che dipendono dalle condizioni climatiche, colturali e dagli agrofarmaci utilizzati contro altri fitofagi e parassiti. Generalmente, nei vigneti condotti nel rispetto dei principi del controllo integrato, l’eriofide raggiunge il suo picco di densità verso fine luglio-agosto quando compaiono le nuove forme svernanti. Recenti studi hanno rilevato come il tasso intrinseco di crescita dell’acaro rugginoso sia massimo tra 25 e 31 °C, che la soglia minima è di ~10 °C e quella massima di ~39 °C, e, infine, che la vite è più esposta all’azione dell’eriofide quanto più lungo è il periodo compreso tra il rigonfiamento delle gemme e la punta verde, il che avviene con clima tendenzialmente fresco. Le popolazioni di questa specie sono naturalmente controllate da fitoseidi, tra i quali il Kampinodromus aberrans.

Sintomi da Colomerus vitis sulla pagina inferiore della foglia

Acaro dell’erinosi della vite (Colomerus vitis) Questo eriofide strettamente monofago sulla vite induce lo sviluppo di specifici ricoveri sulla pianta. Il sintomo più vistoso consiste in alterazioni della lamina fogliare con aree di 0,5-2 cm2 caratterizzate da una bollosità sulla pagina superiore e una coppa fittamente pelosa (erineo) su quella inferiore. Nelle nostre condizioni colturali, questo sintomo interessa, in genere, una limitata estensione della lamina di poche foglie tra quelle sviluppatesi per prime in primavera. L’impatto economico è sostanzialmente nullo. Lo svernamento di questo eriofide avviene prevalentemente sotto le perule delle gemme, dove l’adulto si alimenta e inizia a ovideporre prima della schiusura. Al germogliamento, l’eriofide si diffonde sulla vegetazione inducendo lo sviluppo delle tipiche erinosi fogliari, mentre ricerca i siti di ibernamento verso fine estate.

Sintomi da Colomerus vitis sulla pagina superiore della foglia

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coltivazione Ragnetto rosso dei fruttiferi (Panonychus ulmi) L’infestazione al germogliamento è la più temuta e, comunque, il ragnetto può essere più frequente da metà estate. I sintomi fogliari consistono in clorosi puntiformi di varia estensione, con comparsa di necrosi, imbrunimenti o ingiallimenti, in alcuni casi con riduzione e deformazione della lamina, e nei casi più gravi con filloptosi. I tralci, invece, possono avere una crescita stentata. Nelle infestazioni estive, la densità di ~20 individui mobili per foglia non influenza la produzione e le indagini condotte nei vigneti del nord-est d’Italia sembrano indicare come popolazioni anche più consistenti (40 individui per foglia) non causino significativi cali di resa. Questo ragnetto sverna come uovo deposto verso la fine dell’estate prevalentemente in prossimità delle gemme, spesso in aggregati. La schiusura delle uova invernali avviene scalarmente al germogliamento e gli individui si diffondono sulle foglie che man mano si rendono disponibili, dove compiono da 6 a 9 generazioni l’anno. Va osservato che le alte temperature (>35 °C) possono causarne la morte. Le popolazioni di questa specie sono naturalmente controllate da fitoseidi e, in particolare, da Kampinodromus aberrans e Typhlodromus pyri nei vigneti dell’Italia settentrionale.

Tetranichidi

• I ragnetti hanno aspetto globoso

o ovale, hanno tre paia di zampe nella forma nata dall’uovo e quattro paia in tutti gli altri stadi. Le specie della vite hanno adulti lunghi 0,3-0,6 mm

• Il colore e la dimensione del corpo

consentono un’agevole individuazione direttamente sul campione vegetale

• La femmina di P. ulmi è rossastra

e possiede evidenti setole dorsali inserite su tubercoli biancastri. Gli stadi giovanili, le giovani femmine e i maschi hanno tonalità giallastre, verdastre e rossastre. Le uova hanno l’aspetto di una cipolla con un’appendice filiforme apicale

• La femmina di T. urticae

Ragnetto giallo della vite (Eotetranychus carpini) Tale acaro gradisce umidità relativa intorno al 60% e andamento climatico relativamente caldo e siccitoso; la sua presenza è più comune nell’Italia centro-settentrionale. L’attività trofica del ragnetto giallo durante il germogliamento può causare una crescita stentata dei tralci e aree clorotiche o rossastre sulle giovani foglie. I sintomi fogliari sono più frequenti da inizio estate, potendo indurre una caduta delle foglie più o meno

è prevalentemente caratterizzata da sfumature rossastre, ed è caratterizzata da due macchie scure simmetriche sulla regione posteriore e dorsale. Le uova sono sferiche e di colore giallo pallido

• La femmina matura di E. carpini

è gialla con sfumature verdi nella forma estiva e giallo citrino in quella invernale. Le uova sono sferiche e di colore giallo pallido

Femmina adulta di Panonychus ulmi vista al microscopio elettronico a scansione

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parassiti animali importante in funzione della densità di popolazione e delle condizioni colturali e ambientali. Durante il periodo di rapida crescita fogliare, 20-30 individui mobili per foglia possono limitare notevolmente la crescita dei tralci e causare la caduta delle prime 2-3 foglie. Le femmine inseminate svernano nelle screpolature del ritidoma, come anche in altri rifugi, e al germogliamento iniziano a colonizzare le foglie più basali. Nell’Italia settentrionale si contano fino a 7-8 generazioni l’anno della durata di 15-30 giorni a seconda delle condizioni ambientali; il picco di densità viene tipicamente rilevato tra fine luglio e inizio agosto. Comunque, il tasso intrinseco di crescita del ragnetto giallo è simile a quello del P. ulmi e inferiore a quello del T. urticae. Le popolazioni del ragnetto giallo sono naturalmente controllate da fitoseidi e, in particolare, da Kampinodromus aberrans e Typhlodromus exhilaratus nei vigneti dell’Italia centrale e da T. pyri nell’Italia settentrionale.

Tetranychus urticae: femmina (a sinistra), maschio a difesa di una deutoninfa femminile (a destra)

Ragnetto rosso comune o bimaculato (Tetranychus urticae) È ampiamente polifago, soprattutto su piante erbacee, e sulla vite mostra, generalmente, minore dannosità del P. ulmi e dell’E. carpini. La sua infestazione è favorita da condizioni di caldo-secco più abituali in ambienti meridionali. Solitamente, il ragnetto rosso comune causa clorosi fogliare con possibili effetti anche sui germogli e grappoli. La presenza di consistenti popolazioni è associata alla produzione di tela. L’inverno viene superato da femmine specializzate, inseminate prima della diapausa, le quali sfruttano i più svariati ripari per lo svernamento, ma raramente possono rinvenirsi sotto il ritidoma o in altri ricoveri della vite. L’attività alimentare e riproduttiva di questo acaro avviene con temperature superiori a 8-12 °C. Le generazioni primaverili si susseguono prevalentemente su piante erbacee e le popolazioni possono diffondersi sulla vegetazione della vite, come di fruttiferi, a cominciare dall’estate in relazione con la composizione, distribuzione e senescenza delle erbe infestanti. Questo ragnetto ha ciclo breve e compie un elevato numero di generazioni durante l’anno. Le popolazioni di questa specie sono naturalmente controllate da macropredatori. Nematodi I nematodi costituiscono un gruppo zoologico tra i più diffusi e numerosi in natura per la loro straordinaria capacità di adattamento ai diversi ambienti ma anche di superare periodi critici di sopravvivenza. Erano noti nel passato come vermi o anguillule per la loro forma e il loro modo di muoversi. I danni causati dall’attività trofica dei nematodi consistono nella riduzione dello stato vegetativo della pianta e di conseguenza nella riduziona delle pro-

Femmina e uova di Tetranychus urticae

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coltivazione duzione, ma anche nella possibilità di trasmettere virosi da pianta infetta a pianta sana. Tra i generi più pericolosi per la vite vanno menzionati Xiphinema, Longidorus e Meloidogyne. In particolare Xiphinema index è responsabile della trasmissione del virus che causa la degenerazione infettiva o complesso dell’arricciamento (Grapevine fanleaf virus, GFLV) che possiede ceppi cromogeni, agenti del mosaico giallo o giallume infettivo e ceppi deformanti che invece inducono malformazioni ai vari organi aerei e, spesso, decolorazioni fogliari accompagnate da una diminuzione della vigoria, talvolta nanismo, e da produzioni ridotte per qualità e quantità. I nematodi appartenenti al genere Longidorus trasmettono, invece, il nepovirus Tomato Black Ring Virus (TBRV), che provoca forme degenerative accompagnate o meno da vivaci ingiallimenti. Questi due generi di nematodi in ambienti meridionali italiani completano il loro sviluppo, dall’ovideposizione allo stadio di adulto, in 2-4 mesi. La distribuzione verticale nel terreno di X. index su vite non è influenzata dalla diversa temperatura e nei terreni abbastanza permeabili si colloca tra i 30 e i 50 cm, in corrispondenza della massima densità delle radici. È stato osservato anche che X. index può trovarsi vitale su pezzi di legno della vite su profondità molto maggiori. Le specie appartenenti al genere Meloidogyne possono determinare gravi danni alla vite nei diversi stadi vegetativi per la formazione di galle sulle radici con deperimento vegetativo della pianta.

Nematodi

• I nematodi più interessati nel reimpianto

di vigneti per uva da tavola sono i generi Xiphinema e Longidorus dannosi direttamente e anche come vettori di virus e il genere Meloidogyne come produttore di galle sulle radici. È fondamentale, prima di un reimpianto, o di un nuovo impianto, fare l’analisi del terreno per conoscere se c’è presenza o meno di nematodi e disporre per l’eventuale periodo di riposo nei casi di necessità. Maggiore attenzione va prevista per l’eventuale presenza di nematodi vettori di virus

Strategie di difesa I più importanti fitofagi della vite per uva da tavola si possono elencare secondo un ordine che tenga conto del rischio potenzia-

Periodi di comparsa dei principali fitofagi della vite per uva da tavola

Insetti utili presenti nei vigneti

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Epoca

Fasi fenologiche

Fitofagi presenti

Inverno (gennaio-marzo)

riposo invernale risveglio vegetativo

acari (tetranichidi ed eriofidi), bostrichidi, oziorrinchi

Primavera (aprile-giugno)

grappoli distesi prefioritura - fioritura allegagione ingrossamento acini pre-chiusura grappolo

tignoletta (1a generazione antofaga e 2a generazione = 1a carpofaga), tripidi, cocciniglie, cicaline, oziorrinchi, afidi

Estate (luglio-settembre)

chiusura grappolo invaiatura - maturazione

tignoletta (3a generazione = 2a generazione “carpofaga”), tripidi, cocciniglie, acari, moscerini dell’uva

Autunno (ottobre-dicembre)

maturazione - caduta delle foglie

tignoletta (3° ed eventuale 4° volo), drosofila


parassiti animali le di danno in relazione alle stagioni dell’anno e, grosso modo, alle fasi fenologiche della coltura. Spesso al germogliamento si assiste alla comparsa di germogli esili, rachitici e ad accrescimento cespuglioso e irregolare che possono indicare un’infestazione causata dall’eriofide dell’acariosi ma possono essere anche l’espressione di altre avversità con analoga sintomatologia. Per chiarirne l’agente causale è indispensabile un esame di laboratorio che, purtroppo, non sempre viene effettuato facendo spesso ricorso a trattamenti di controllo non necessari. Altra condizione di errore comune si può verificare se non si valuta adeguatamente la presenza di antagonisti efficienti nel contenere i fitofagi rinvenuti (per esempio ragnetti rossi e alcuni insetti fitofagi). Pertanto, sarebbe opportuno limitare i trattamenti, quando possibile, solo dove la pressione esercitata dai fitofagi è forte e localizzata, per dar modo agli antagonisti di conservarsi, svilupparsi e diffondersi. La difesa dagli acari con mezzi chimici va attuata quando si riscontra una presenza diffusa, utilizzando sostanze attive che interferiscono poco o nulla con gli antagonisti. Ben nota è l’interazione tra acari fitofagi e acari fitoseidi, il cui equilibrio può essere efficacemente mantenuto cercando di rispettare le regole di corretta pratica fitosanitaria con particolare cura nella scelta degli acaricidi da impiegare in vigneto. Verso la fine di marzo, ma più normalmente in aprile, si verifica il primo volo degli adulti della tignoletta che daranno origine alla prima generazione, quella “antofaga”. Il controllo di questa generazione non viene di norma effettuato.

Foto R. Angelini

Adulto di cocinellide Foto A. Pollini

Foto R. Angelini

Adulto di Chilocorus bipustulatus. Adulti e larve sono predatori di uova, neanidi e forme adulte di diverse cocciniglie

Foto A. Pollini

Adulto di Allothrombium fuliginosum, acaro predatore di afidi, cocciniglie e larve di lepidotteri Adulto di crisopa

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coltivazione A cominciare dalle fasi di pre-fioritura e fioritura va impostata la difesa dai tripidi (soprattutto F. occidentalis), oziorrinchi, cicaline, acari ecc. In particolare, il controllo chimico dei tripidi è difficoltoso e impegnativo per l’ubicazione dei fitofagi all’interno dei fiori. Inoltre piante ospiti spontanee, come l’amaranto e la camomilla, rappresentano un serbatoio continuo di popolamento e accolgono facilmente popolazioni capaci di migrazioni massive dell’insetto nel vigneto in quanto ne viene attratto dalla sua fioritura. Nelle fasi di pre-fioritura-inizio allegagione è possibile monitorare la presenza dei tripidi collocando in vigneto trappole cromotropiche (gialle o azzurre) ed esaminando i grappoli per sbattitura su superfici chiare. Gli interventi di controllo vanno eseguiti dall’immediata pre-fioritura fino alla fine della fioritura. Sulle uve da tavola risulta difficile stabilire una soglia di intervento in quanto anche la presenza di pochi individui può determinare danni. Nella generalità dei casi, con uno o due trattamenti insetticidi distanziati di 3-5 giorni è possibile controllare i tripidi con successo. In alcune cultivar, come Italia, la maggiore scalarità della fioritura comporta la necessità di aumentare il numero degli interventi. Il controllo delle generazioni carpofaghe della tignoletta (L. botrana) deve essere affrontato impostando un’adeguata strategia di difesa integrata: larvicida, con uso di sostanze chimiche, o adulticida, con il metodo della confusione sessuale. La revoca dal commercio e dai disciplinari di produzione di alcune sostanze attive, finora utilizzate per il contenimento di L. botrana, sta ovviamente modificando i criteri d’impiego dei prodotti fitosanitari da parte dei viticoltori, spostando la scelta su sostanze attive in grado di soddisfare sia i disciplinari di produzione, sia i requisiti di rispet-

Crisalide di tignoletta Diffusione di feromoni per la confusione sessuale

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parassiti animali to dell’ambiente e dell’artropodofauna utile, tenendo conto delle caratteristiche di residualità delle stesse. La strategia da adottare per il controllo delle generazioni carpofaghe deve essere frutto della combinazione di tre fattori: 1) scelta della sostanza attiva da utilizzare; 2) momento di intervento; 3) adeguata distribuzione della miscela insetticida. Va evidenziata la scarsa o la mancanza di citotropicità dei formulati attualmente disponibili con la conseguenza che le larve penetrate nell’acino difficilmente vengono a contatto con le sostanze insetticide. Considerato, inoltre, il lungo periodo di sfarfallamento degli adulti rispetto alla persistenza dei prodotti impiegati, è necessario ripetere l’intervento di controllo a 10-12 giorni dal primo. Gli insetticidi con residualità maggiore (esteri fosforici, regolatori di crescita ecc.) sono consigliati nel contenimento della prima generazione carpofaga preferendo, invece, quelli che garantiscono assenza o ridotta residualità (B. thuringiensis, spinosad ecc.) per la seconda generazione carpofaga. Particolare interesse è posto nell’applicazione del metodo della confusione sessuale anche per l’uva da tavola. Il metodo, utilizzato inizialmente solo in aziende certificate in agricoltura biologica, viene oggi adottato anche in aziende che applicano la difesa integrata. Esso consiste nel saturare la superficie coltivata con feromone sessuale femminile tramite la collocazione di numerosi diffusori, con conseguente confusione per i maschi nel ritrovare la femmina. Ne consegue il mancato accoppiamento con la diminuzione della popolazione dell’insetto nel tempo. La buona riuscita del metodo è influenzata da una serie di fattori quali:

Acini con mine di mosca della frutta

Uova deposte sugli acini Trappola per la cattura degli adulti di tignoletta

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coltivazione – il numero di diffusori da applicare e la concentrazione del feromone presente nel vigneto; il posizionamento dei diffusori nel tendone distribuendoli in considerazione della prevalenza dei venti; – le condizioni meteorologiche e in particolar modo la velocità del vento; – la dimensione dell’area trattata: si ottengono migliori risultati se il metodo viene applicato su ampie superfici (superiori a 3-4 ettari); – la densità di popolazione dell’insetto che influenza la quantità dei diffusori; la posizione e giacitura del vigneto in quanto la diffusione può essere influenzata dalla presenza di zone adiacenti di disturbo (strade di intenso traffico), dalla pendenza ecc. Per tutto il periodo di applicazione del metodo della confusione sessuale è indispensabile installare anche le trappole a feromone, in quanto esse rappresentano lo strumento di rilevamento immediato per verificare l’efficacia del metodo di contenimento. Infatti, i maschi dell’insetto non dovrebbero essere in grado di identificare selettivamente la trappola, che rappresenta la femmina, per cui non si dovrebbero riscontrare catture significative. In caso contrario è necessario verificare l’applicazione e capire i punti critici della scarsa o mancata efficacia. Tra i diversi prodotti impiegati per il contenimento di L. botrana, spinosad e Bacillus thuringiensis nelle diverse varietà kurstaki e aizawai possono essere impiegate sia in agricoltura integrata sia in quella biologica. Anche in questi casi è indispensabile l’impiego delle trappole a feromone per collocare temporalmente il trattamento. L’applicazione del formulato dopo 4-5 giorni dall’inizio del volo consente di assicurare la presenza della sostanza attiva sul grappolo subito dopo la fuoriuscita delle

Particolare della larva di Lobesia botrana

Adulto di Lobesia botrana Adulti di oziorrinco

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parassiti animali larve dalle uova e prima della penetrazione delle stesse nell’acino. Infine, è necessario effettuare un secondo intervento con il B. thuringiensis dopo 8-10 giorni dal primo per garantire una migliore efficacia. Lo spinosad è in grado di controllare la tignoletta e ha buoni effetti su altri insetti come i tripidi e oziorrinchi. Nel periodo vegetativo non mancano fitofagi che, in seguito a particolari condizioni climatiche favorevoli al loro sviluppo, raggiungono densità di popolazione tali da determinare danno alla produzione o da causare significative alterazioni dello stato vegetativo della pianta. In questi casi, si rende necessaria l’esecuzione di interventi selettivi di contenimento. È il caso delle cocciniglie contro le quali l’olio minerale bianco all’1% va impiegato da solo o in miscela con esteri fosforici. La scortecciatura del ceppo e la successiva spazzolatura rappresentano una buona soluzione solo in caso di limitate infestazioni su pochi ceppi, dato il rilevante costo dell’operazione. Particolare attenzione va data alla presenza dell’oziorrinco, il cui controllo non va mai generalizzato su tutto il vigneto ma localizzato alle sole chiazze interessate, e raggiunge buoni risultati se effettuato di notte o nelle prime ore della mattina. Le sostanze attive che hanno mostrato buona efficacia sono quelli a base di spinosad e chlorpirifos. Al fine di evitare l’eventuale presenza di adulti nella cassette pronte all’esportazione, il confezionamento va evitato in campo ed effettuato presso i magazzini dove la manipolazione dei grappoli consente di individuare e allontanare tali insetti. Gli acini, in particolari annate favorevoli, sono anche interessati dalla mosca mediterranea della frutta, il cui controllo va effettuato al rilevamento delle prime punture o dei sintomi di infestazione preferendo prodotti a base di etofenprox. È pos-

Sintomi da Calepitrimerus vitis su foglia

Danno causato da tignola Danno della generazione antofaga

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coltivazione sibile sfruttare anche l’azione di sostanze attive impiegate nei confronti di altri fitofagi come la tignoletta. In alcune aree vengono segnalate presenze di cicaline per le quali la difesa non va mai generalizzata su tutto il vigneto ma localizzata alle sole aree interessate. Gli interventi insetticidi a base di flufenoxuron, thiametoxam ecc. vanno eseguiti con 1-2 neanidi per foglia e contro la seconda generazione (prima decade di luglio). Per conseguire buoni risultati, i trattamenti vanno effettuati all’alba, quando le cicaline si spostano con difficoltà essendo ancora intorpidite, e bisogna avere cura di raggiungere le parti più interne della vegetazione dove sono maggiormente presenti le infestazioni. Questo breve cenno sulla difesa della vite per uva da tavola dai fitofagi ha soprattutto lo scopo di richiamare l’attenzione sulla necessità di coltivare uva da tavola con un’assistenza tecnica qualificata, specialistica, aggiornata, che risponda alle richieste dei consumatori, che vogliono qualità e sanità igienico-sanitaria, e alla società tutta, che vuole il rispetto dell’ambiente. Il controllo dei nematodi prevede l’impiego di mezzi più complessi rispetto ai trattamenti alla chioma, legati alle metodologie di campionamento, di identificazione e di distribuzione del nematocida. Il contenimento dei nematodi fitoparassiti nel terreno mira essenzialmente a ridurre le popolazioni, per mettere le piante in condizione di una vita produttiva accettabile. Nei casi di nematodi vettori di virus, la difesa deve tendere all’eradicazione, in quanto anche una semplice puntura da parte di un nematode infetto determina la trasmissione del virus su tutta la pianta, con grave

Mine di larve di Ceratitis capitata su acini

Infestazioni di Targionia vitis su tralci

Infestazioni di afidi su giovani germogli

Abbondanti fioriture su piante spontanee esterne al vigneto consentono di trattenere gli adulti dei parassiti più comuni e polifagi come i tripidi

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parassiti animali danno alla coltivazione. La verifica della popolazione di nematodi presenti nell’appezzamento prossimo all’impianto si rende indispensabile per evitare sorprese sgradevoli durante il periodo vegetativo. La difesa può essere realizzata con: – mezzi chimici: oggi sono in uso sostanze granulari e fumiganti, – mezzi fisici: prevedono l’immissione nel terreno di vapor acqueo ad alta temperatura o l’impiego di teli plastificati per la solarizzazione; – operazioni colturali: consistono nell’eliminazione, subito dopo l’espianto di tutte le radici di diametro superiore ai 3 mm o nel lasciare il terreno per 3-7 anni senza coltivazione, oppure coltivandolo con colture erbacee alternative (cereali e leguminose, erba medica.) – portainnesti resistenti: abbastanza efficaci come resistenza, sono risultati, nei confronti di nematodi galligeni, Vitis champini, V. solonis, V. berlandieri; – contenimento biologico: l’uso di organismi parassiti dei nematodi comprende funghi, batteri, protozoi e nematodi predatori, ma hanno ancora uno scarso peso applicativo.

Generazione antofaga di tignoletta e formazione di nidi su grappoli

Danni delle generazioni carpofaghe di tignoletta su grappolo

Danni da tripidi su acini causati nella fase di fioritura

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l’uva da tavola

coltivazione Malattie Franco Faretra

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Malattie Introduzione La viticoltura a uva da tavola è caratterizzata da una notevole eterogeneità colturale a causa dell’ampia piattaforma varietale, delle varie forme di apprestamenti protettivi dei vigneti, finalizzate ad anticipare o ritardare la raccolta che così si estende da luglio a dicembre, e delle differenti condizioni pedo-climatiche degli areali di coltivazione. Tutto ciò influenza marcatamente l’incidenza e la dannosità delle malattie fungine che interessano la coltura. Pertanto, quando si parla di malattie della vite a uva da tavola, non è mai possibile generalizzare, ma è necessario riferirsi agli specifici contesti colturali di volta in volta considerati. Ciò allo scopo di razionalizzare al meglio le strategie di protezione integrata e di ottenere uve di qualità che rispondano alle ormai imprescindibili esigenze di sicurezza alimentare e di ridotto impatto ambientale e che permettano di mantenere la competitività sugli attuali mercati sempre più in un contesto di crescente globalizzazione.

Sensibilità varietale all’escoriosi

• Non tutte le cultivar mostrano la stessa

suscettibilità al patogeno. Tra le più sensibili si annoverano: Red Globe, Victoria, Matilde, Michele Palieri, Regina, Centennial Seedless, King’s Ruby, Big Perlon e altre apirene, mentre Italia è ben nota per la sua tolleranza alle infezioni. Di ciò si deve tenere conto sia nella scelta varietale al momento dell’impianto, sia nella gestione della protezione, che va applicata con criteri e modalità differenti in relazione alla maggiore o minore suscettibilità della cultivar

Escoriosi (Phomopsis viticola) L’escoriosi o necrosi corticale è una delle malattie della vite di cui si osserva una recrudescenza nei vigneti italiani. Il fungo sverna nei tralci infetti in forma di micelio e/o di corpi fruttiferi, i picnidi. Alla ripresa vegetativa, in presenza di condizioni di elevata umidità o pioggia, i picnidi liberano i conidi che infettano i giovani germogli. Un ruolo importante nella diffusione del patogeno è Sintomi di escoriosi su foglie

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malattie svolto dall’acqua di pioggia che disperde i conidi infettanti in aree circoscritte. In generale, i sintomi si notano sulle foglie dei primi quattro o cinque nodi e consistono in minute aree clorotiche circolari o irregolari, disposte su entrambe le pagine fogliari; in seguito, la parte centrale necrotizza. Quando tali macchie sono numerose e confluenti, le foglie possono essere malformate e lacerate, con conseguente riduzione della capacità fotosintetica. Sugli internodi basali dei germogli compaiono caratteristiche tacche brune o nero-violacee che possono estendersi sino a interessare anche l’intera circonferenza del germoglio; all’interno, l’attività del fungo e le reazioni cicatriziali della pianta formano alla base ampie lacune dei tralci che possono comprometterne la resistenza meccanica provocandone anche la disarticolazione. Successivamente, i tessuti infetti si fessurano e originano dei veri e propri cancri di colorazione bianco-grigiastra, generalmente bordati da un cercine scuro. Sui cancri, ben evidenti anche sui sarmenti, si rendono visibili i corpi fruttiferi del fungo. Negli ambienti mediterranei non sono osservabili sintomi a carico delle bacche; tuttavia, il grappolo può essere compromesso per la presenza sul rachide di tacche necrotiche allungate e fessurate simili a quelle presenti sui germogli e che possono determinare anche il disseccamento del grappolo. La malattia può anche essere inconsapevolmente diffusa dagli operatori attraverso il materiale di propagazione infetto, pertanto è importante, al momento dell’impianto, accertarsi di impiegare materiale sano.

Strategie di prevenzione contro l’escoriosi

• Tutti gli interventi preventivi mirati

a ridurre il tasso di inoculo in campo si traducono concretamente in una diminuzione della potenzialità di sviluppo della malattia. A tale riguardo è importante, durante la potatura, asportare nel miglior modo possibile i tessuti infetti, avendo cura di decontaminare gli attrezzi ed evitando la trinciatura e l’interramento dei sarmenti, che vanno, invece, raccolti e allontanati dal vigneto per evitare di arricchire l’inoculo del patogeno disponibile per le infezioni nell’anno successivo

Sintomi di escoriosi alla base di un germoglio

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coltivazione Peronospora della vite (Plasmopara viticola) La malattia è causata da un patogeno obbligato con micelio a sviluppo intercellulare che differenzia austori globulari che penetrano nelle cellule dell’ospite. P. viticola appartiene al regno dei Chromista, che include organismi primitivi molto dipendenti dalla presenza di acqua liquida, diverso rispetto al regno dei Fungi a cui appartengono i funghi propriamente detti. La dipendenza dall’acqua fa sì che il suo sviluppo e la sua dannosità siano favoriti da piogge abbondanti e da elevata umidità relativa. Pertanto, il patogeno assume particolare importanza negli ambienti umidi e piovosi. Al termine del ciclo vegetativo della vite, nelle macchie a mosaico che si manifestano a seguito dell’infezione di foglie senescenti, P. viticola va incontro al processo sessuale da cui derivano oospore, le strutture svernanti. Le oospore, immediatamente dopo la loro formazione, non sono in grado di germinare e acquisiscono tale capacità dopo un periodo di maturazione durante il periodo invernale, legato soprattutto al verificarsi di condizioni di basse temperature e sufficiente umidità del terreno. In presenza di condizioni climatiche favorevoli, le oospore mature germinano dando avvio alle infezioni primarie. I primi sintomi di peronospora si osservano, in genere, sulle giovani foglie sulle quali compaiono macchie clorotiche traslucide (macchie d’olio). In presenza di temperature superiori a 13 °C e di valori di umidità relativa di almeno il 70-80%, sugli organi infetti si ha la differenziazione delle strutture agamiche di riproduzione, costituite dai rami zoosporangiofori e dagli zoosporangi che erompono dagli

Regola dei tre dieci

• Le condizioni che favoriscono l’avvio

delle infezioni primarie sono riassunte nella regola dei tre dieci, metodo di previsione empirico elaborato nel 1947, secondo cui tali infezioni prendono avvio quando si verificano contemporaneamente le seguenti condizioni: almeno 10 °C di temperatura, 10 mm di pioggia nelle 48 ore e germogli lunghi almeno 10 cm. In realtà, tali parametri hanno valore solo indicativo, poiché non è raro che le infezioni non occorrano quando si verificano le condizioni previste dalla regola e/o occorrano in condizioni diverse. Ciò, in dipendenza di diversi fattori quali, per esempio, il fatto che negli ambienti caldo-aridi inverni miti e la siccità autunno-invernale possono determinare una mancata maturazione delle oospore e incrementi termici in febbraio o marzo possano favorire la germinazione delle oospore in assenza di vegetazione recettiva della vite

Foto R. Angelini

Sintomi di peronospora larvata su bacche

Le varie forme di apprestamenti protettivi dei vigneti possono influire su incidenza e dannosità della peronospora

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malattie Foto R. Angelini

Sintomi di peronospora sulla pagina superiore delle foglie

Infiorescenze interessate da infezioni precoci di peronospora

stomi sulla pagina inferiore delle foglie, in corrispondenza delle macchie d’olio. Le zoospore liberate dagli zoosporangi e diffuse soprattutto da schizzi d’acqua, ma anche dal vento, danno luogo ai successivi cicli di infezioni secondarie. Sui grappoli, se infettati durante la fioritura o subito dopo l’allegagione, si formano disseccamenti estesi; sintomo caratteristico è la distorsione a S del rachide. Sulle bacche di pochi millimetri di diametro, in condizioni di elevata umidità, la malattia si presenta sotto forma di marciume bianco (comparsa di zoosporangiofori), mentre sulle bacche sviluppate e/o in condizioni climatiche asciutte, le infezioni tendono a progredire molto lentamente e si manifestano Foto R. Angelini

Abbondanti sporificazioni di Plasmopara viticola su infiorescenze

Sintomi inziali di peronospora su foglia (macchia d’olio)

Nella pagina inferiore, in corrispondenza della macchia d’olio e in condizioni di umidità elevata compare un feltro di colore bianco

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coltivazione Foto R. Angelini

Germinazione delle oospore

• Nelle condizioni climatiche degli

ambienti meridionali, P. viticola è causa di pesanti perdite di produzione solo in alcune annate. Recentemente, l’impiego di tecniche molecolari avrebbe fornito evidenza del fatto che le epidemie di peronospora sono da attribuirsi non solo alla moltiplicazione agamica dei cicli secondari ma anche alla continua germinazione delle oospore per l’intera fase vegetativa della vite. Inoltre, vi sarebbero evidenze che le oospore prodotte in una stagione non germinino tutte nell’anno successivo ma possano germinare anche dopo diversi anni. Questi aspetti necessitano però di conferme in ambienti pedo-climatici diversi

Infezioni tardive di peronospora (peronospora a mosaico)

anche molto tempo dopo, in luglio, in forma di marciume bruno, in cui i tessuti colpiti hanno consistenza e colore cuoiosi a causa della parziale disidratazione. Tale sindrome, frequente nelle regioni caldo-aride, è nota come peronospora larvata. Sulle foglie senescenti, le infezioni producono macchie a mosaico poco estese ma numerose e di forma poligonale, in quanto lo sviluppo del micelio è circoscritto dalle nervature. Al termine della stagione estiva, il ciclo biologico si conclude con la formazione di nuove oospore all’interno delle macchie a mosaico. Foto R. Angelini

Fruttificazioni agamiche di Plasmopara viticola sulla pagina inferiore delle foglie

Quando l’attacco è tardivo e avviene su acini ingrossati, non compare nessuna muffa: gli acini subiscono una forte disidratazione e imbruniscono con sfumature violacee (peronospora larvata)

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malattie Oidio o mal bianco [Erysiphe (=Uncinula) necator] È la malattia più frequentemente dannosa per la vite a uva da tavola in quanto il patogeno è ben adattato ai climi caldo-aridi degli ambienti meridionali. L’oidio interessa tutti gli organi erbacei dell’ospite: foglie, germogli e grappoli. Il fungo ha due modalità di svernamento: i cleistoteci, corpi fruttiferi derivanti dal processo sessuale, e il micelio, che si conserva nelle gemme dormienti. I cleistoteci si differenziano in autunno e, al risveglio vegetativo dell’ospite, liberano le ascospore infettanti dalla cui germinazione si sviluppa un micelio ectofitico che aderisce alla cuticola mediante appressori. Il micelio svernante nelle gemme dà avvio, in primavera, a infezioni molto precoci sui germogli, i quali si presentano ricoperti di un fitto feltro di micelio biancastro, hanno un caratteristico aspetto raccorciato e contorto e vengono denominati germogli a bandiera. I sintomi a carico delle foglie si evidenziano inizialmente in forma di piccole macchie clorotiche traslucide sulla pagina fogliare superiore, che in presenza di condizioni ambientali favorevoli per il patogeno si ricoprono di una tenue efflorescenza biancastra costituita da micelio, rami conidiofori e conidi del patogeno. Con il progredire dell’infezione, si ha la comparsa di una rugginosità costituita da una minuta reticolatura necrotica. Il patogeno è in grado di causare ingenti danni su infiorescenze, rachidi e bacche di ogni dimensione. Sulle infiorescenze possono verificarsi abbondanti colature di fiori e acini appena allegati. Questi vengono rapidamente ricoperti dalla caratteristica efflorescenza bianco-grigiastra sotto la quale si formano tipiche macchie reticolate di colore brunastro.

Modalità di svernamento dell’oidio della vite

• In Europa, per molto tempo, si è ritenuto

che il fungo svernasse esclusivamente come micelio e conidi nelle gemme, in quanto erano noti i germogli bandiera originati dalle gemme infette, mentre l’osservazione solo occasionale dei cleistoteci e la mancata dimostrazione dell’infettività delle ascospore facevano ritenere questo inoculo privo d’importanza. Negli anni ’90, l’importanza dei cleistoteci come fonti di inoculo primario è stata dimostrata negli USA e anche in Europa. In Italia, essi sono diffusi su tutto il territorio nazionale; tuttavia, la loro quantità così come la distribuzione, è variabile in diversi vigneti e in diversi anni, dimostrando, quindi, che ceppi sessualmente compatibili sono presenti in quasi tutte le popolazioni del fungo, presupposto indispensabile alla sua riproduzione sessuale

Foto R. Angelini

Cleistoteci di E. necator in diversi stadi di maturazione Sulle foglie compaiono caratteristiche macchie biancastre polverulente

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coltivazione

Ciclo di infezione

• E. necator compie più cicli di infezione

durante il ciclo vegetativo della vite e, pertanto, la malattia è definita policiclica con modello di crescita esponenziale. All’inizio dell’epidemia la popolazione del patogeno è contenuta e il suo incremento, per pochi cicli infettivi, non causa aumenti rilevanti della malattia, che può rimanere sotto la soglia di percezione visiva. In seguito, l’aumento dell’inoculo prodotto a ogni ciclo infettivo genera un incremento molto rapido dell’epidemia, che può giungere a interessare in breve anche l’intero vigneto

Germoglio a bandiera derivante dallo sviluppo di una gemma infetta da micelio svernante di Erysiphe necator

Sintomi di oidio su foglia: piccole macchie giallastre traslucide che si ricoprono di micelio, rami conidiofori e conidi del patogeno

Attacchi agli acini verdi in via di accrescimento causano anche danni indiretti dovuti alla presenza di lesioni dell’epidermide, effetto delle tensioni che si creano tra zone sane e zone infette a causa della differente capacità di crescita, che possono favorire successivi attacchi di muffa grigia e altre forme di marciume Foto R. Angelini

Reticolature necrotiche su tessuti fogliari causate da infezioni di oidio

Infezioni tardive di oidio a carico del rachide Forte attacco di oidio sulle bacche

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malattie Foto R. Angelini

Sintomatologia sulla pagina superiore delle foglie

del grappolo. Le bacche sono suscettibili fino all’invaiatura; in seguito, l’unica parte del grappolo che rimane allo stato erbaceo e suscettibile è il rachide. La presenza di lesioni sui rachidi assume particolare importanza per le uve da tavola per il danno economico causato a seguito del difetto estetico.

Profonde spaccature sulle bacche causate da attacchi precoci di oidio

Il fungo si sviluppa sulla superficie degli organi colpiti ed è visibile come una patina efflorescente di colore bianco

Le lesioni sulle bacche causate dall’oidio aprono la strada all’insediamento dei diversi agenti di marciume del grappolo

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coltivazione Muffa grigia (Botryotinia fuckeliana anamorfo Botrytis cinerea) L’agente causale è un fungo necrotrofo e polifago, potenzialmente molto dannoso a causa della sua adattabilità a condizioni ambientali molto diverse e alla possibilità che esso ha di alternare la vita saprofitaria con il comportamento parassitario. Il fungo si avvantaggia, più di altre specie, dell’ambiente ombreggiato e saturo di umidità stagnante che si instaura nei vigneti allevati a “tendone”. Sulle cultivar più tardive, e soprattutto nei vigneti di uva da tavola coperti per posticipare la raccolta, il fungo può causare danni economici anche rilevanti. B. fuckeliana sverna su materiale vegetale senescente, sotto forma di sclerozi o su colture alternative. Il fungo è da considerare costantemente presente nel vigneto e la sua dannosità dipende esclusivamente dalle condizioni ambientali. Al risveglio vegetativo, sulle foglie possono comparire macchie brune che poi necrotizzano e, in condizioni di umidità elevata, su di esse può comparire la caratteristica muffa grigia. I giovani germogli possono presentare infezioni apicali che determinano l’imbrunimento e il disseccamento delle foglioline e di parte del germoglio. Sui germogli più sviluppati il fungo può causare imbrunimenti dei nodi e degli internodi, che possono ricoprirsi della tipica efflorescenza grigia. Infezioni possono verificarsi anche a carico delle infiorescenze. Nelle condizioni dell’Italia meridionale tali infezioni precoci, conosciute come marciume al verde, sono note ma poco frequenti e, quando si verificano, l’incidenza non è tale da comportare danni economici di rilievo. Una maggiore fre-

Foto R. Angelini

Bacche coperte dalla caratteristica muffa grigia Nido di marciume su Palieri con caratteristiche sporificazioni

Foto R. Angelini

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malattie

Muffa grigia

• B. fuckeliana può conservarsi come

saprotrofo su residui vegetali in decomposizione ed è, pertanto, da ritenersi costantemente presente nel vigneto. Le infezioni a carico dei fiori non ancora allegati restano abbondanti e latenti all’interno del grappolo in via di formazione svolgendo un ruolo preminente per l’inizio delle epidemie di tarda estate. Il fungo penetra nell’ospite principalmente attraverso lesioni di natura biotica e/o abiotica; esso, tuttavia, è capace di attraversare direttamente la cuticola sia mediante la produzione di enzimi sia per azione meccanica, fissandosi prima sulla superficie dell’ospite attraverso un appressorio globoso e penetrando, poi, per mezzo di uno stiletto sottostante. Il micelio colonizza i tessuti localizzandosi più negli spazi intercellulari che all’interno delle cellule. Attraversata la cuticola, la penetrazione nell’epidermide e negli strati cellulari sottostanti è affidata soprattutto alla degradazione enzimatica. Con l’approssimarsi della maturazione, le bacche diventano gradualmente più suscettibili alle infezioni, poiché la cuticola, ricca in sostanze zuccherine, diviene meno spessa, più cedevole e quindi più facilmente superabile da parte del patogeno

Sintomi iniziali di muffa grigia su bacche

quenza è rilevata soprattutto su cultivar apirene, quando periodi piovosi seguono l’operazione della sfogliatura, in quanto il fungo sfrutta le ferite causate dalla rimozione delle foglie per la penetrazione. I danni maggiori sono senza dubbio quelli a carico dei grappoli, soprattutto sulle cultivar più tardive e nei vigneti coperti Foto R. Angelini

In condizioni di scarsa aerazione aumenta l’incidenza degli attacchi di botrite

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coltivazione

Bacche marcescenti di Victoria, con evidenti sporificazioni di B.cinerea

per posticipare la raccolta. Infatti, è proprio su questi organi, in uno stadio più o meno avanzato di maturazione e in stretta dipendenza delle condizioni meteorologiche, che compare la tipica muffa grigia dell’uva con produzione di abbondanti sporificazioni di colore bruno-grigiastro che, trasportate dal vento, sono causa di ulteriori infezioni. Sull’uva da tavola, la muffa grigia deprezza fortemente il prodotto e ne aumenta i costi di produzione a causa delle numerose mondature necessarie per ripulire i grappoli dalle bacche marcescenti. Le infezioni possono avvenire anche dopo la raccolta, in quanto B. fuckeliana può svilupparsi e infettare gli acini d’uva anche alle basse temperature adottate per il trasporto e la frigoconservazione. Infezioni precoci di B. fuckeliana su infiorescenza (marciume al verde)

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malattie Marciume acido (vari microrganismi) Il marciume acido è un’alterazione di origine alquanto complessa che si manifesta con marcescenza e svuotamento delle bacche. È causato da una molteplicità di microrganismi diversi, non strettamente fitopatogeni, che, contemporaneamente o in successione, invadono le bacche in epoca prossima alla maturazione. Essi includono lieviti (per esempio, Kloeckera apiculata, Saccharomycopsis vini, Torulopsis stellata, Hanseniaspora uvarum, Metschnikowia pulcherrima e numerose altre specie appartenenti ai generi Pichia, Kloeckera e Candida) e batteri, fra i quali prevalgono specie appartenenti ai generi Acetobacter, Gluconobacter e Bacillus. I microrganismi associati al marciume acido non sono in grado di penetrare attivamente attraverso la cuticola e l’epidermide delle bacche d’uva, perciò sfruttano ferite di qualsiasi genere. La presenza di microferite sugli acini è comune soprattutto nelle cultivar a grappolo compatto e/o buccia sottile. Lesioni sugli acini causate da agenti biotici o abiotici (danni meccanici, tignoletta, oidio, uccelli ecc.) sono fattori predisponenti per lo sviluppo delle diverse forme di marciume del grappolo, incluso il marciume acido. Nella fase iniziale dell’alterazione, i sintomi non sono facilmente distinguibili da quelli causati dalla muffa grigia. Successivamente, il marciume acido determina un tipico colore bruno o rosso mattone delle bacche che progressivamente si svuotano mostrando abbondante fuoriuscita di succo. Questo, trascinando con sé una ricchissima popolazione di lieviti e batteri, cola sugli acini sottostanti e giunge a interessare tutto il grappolo, che appare, così, imbrattato e lucido. L’alterazione è inoltre accompagnata da un pungente odore di acido acetico e dall’abbondante presenza di moscerini del mosto. I processi fermentativi innescati dai lieviti e dai batteri acetici comportano importanti perdite qualitative e quantitative sia su uve da tavola sia su uve da vino.

Marciume acido

• Il marciume acido può presentarsi,

a volte, in forma isolata; molto spesso, però, questa alterazione si sovrappone alla muffa grigia; in quest’ultimo caso, l’evoluzione del marciume acido sovrasta quello della muffa grigia poiché l’acido acetico prodotto dal marciume acido inibisce la crescita di Botryotinia fuckeliana

Foto R. Angelini

Grappolo di Italia totalmente compromesso da marciume acido

Lesioni sugli acini causate da agenti biotici o abiotici sono fattori predisponenti per lo sviluppo delle diverse forme di marciume del grappolo

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coltivazione Marciumi secondari (Vari microrganismi) I marciumi secondari sono provocati da funghi non strettamente patogeni ma opportunisti, che penetrano attraverso ferita, come i miceti appartenenti ai generi Alternaria, Aspergillus, Cladosporium, Mucor, Penicillium e Rizhopus. Sulle uve da tavola sono causa di deprezzamento rendendo necessarie mondature dei grappoli, con un aggravio dei costi di produzione. Sulle uve da vino i danni sono maggiori in quanto alcuni dei microrganismi responsabili sono produttori di metaboliti secondari tossici come le micotossine. La presenza di Aspergillus e Penicillium e conseguentemente dei loro metaboliti può variare a seconda di molti parametri (latitudine, altitudine, distanza dal mare, pratiche agronomiche, epoca di vendemmia, presenza di lesioni sulle bacche). Gli organi infetti vengono rivestiti da una muffetta che acquisisce consistenza e colorazione tipica, a seconda della specie responsabile; i tessuti marcescenti perdono consistenza, diventano acquosi ed emanano un forte odore di muffa. Spesso, per effetto della trasmissione per contatto da frutti infetti a frutti sani, si osserva la formazione di nidi marcescenti all’interno dei grappoli. Non di rado, i marciumi secondari si rivelano soprattutto nella fase della distribuzione commerciale e a casa dei consumatori.

Marciumi secondari (Penicillium sp.) su bacche di Red Globe Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

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malattie Mal dell’esca (Vari funghi) Il mal dell’esca è una malattia a eziologia complessa e non ancora del tutto chiarita. Essa può colpire la vite in tutte le fasi di sviluppo, sin dall’allevamento in vivaio, dando vita a quadri sintomatologici diversificati: imbrunimento delle barbatelle, deperimento delle giovani viti (1-2 anni d’età), malattia di Petri (3-5 anni d’età), esca giovane (6-8 anni d’età), esca o carie bianca. Dei diversi microrganismi coinvolti nell’eziologia del mal dell’esca, Fornitiporia mediterranea, F. punctata e altri basidiomiceti ligninolitici sono responsabili della carie del legno, mentre gli imbrunimenti del legno sembrano più frequentemente dovuti a Phaeomoniella chlamydospora. Altri funghi rinvenibili in viti mostranti sintomi di mal dell’esca o similari appartengono ai generi Phaeoacremonium, Botryosphaeria, Cylindrocarpon ed Eutypa lata. La gravità della malattia è estremamente variabile negli anni, anche nell’ambito del singolo vigneto e spesso anche della stessa pianta. L’espressione della malattia è fortemente influenzata dalle condizioni ambientali. Il suo decorso può essere lento e durare anche diversi anni o improvviso e rapido con avvizzimento della pianta e/o di sue parti (apoplessia). I sintomi sulla chioma non sono affatto correlati all’entità delle alterazioni dei tessuti legnosi della pianta, sono incostanti negli anni e possono talvolta essere aspecifici. Su piante di oltre 10 anni, i sintomi sono generalmente a carico di foglie e grappoli; mentre nei vigneti giovani, soprattutto se a uva da tavola, sono abbastanza frequenti i casi di comparsa di sintomi solo sui grappoli.

Mal dell’esca: cause predisponenti la malattia

• Considerata a lungo una malattia

dei vecchi vigneti, il mal dell’esca è stata nelle ultime decadi causa di deperimento di viti anche molto giovani. Diverse cause tra loro interagenti (cessazione dei trattamenti invernali con arseniti e delle slupature, scarsa attenzione nella rimozione di parti di piante infette, adozione di sistemi di allevamento e raccolta che comportano energici interventi di potatura ecc.) sono all’origine della recrudescenza della malattia

Foto R. Angelini

Mal dell’esca: esiti dell’infezione

• In sezione longitudinale il legno di viti

con sintomi di mal dell’esca mostra: a) presenza di venature bruno-nere di spessore e lunghezza variabili che, in sezione trasversale, si evidenziano come punteggiature nere, con fuoriuscita di un essudato bruno-nerastro, lucido e denso; b) presenza di carie del legno, generalmente nella zona più interna del fusto (duramen), che prende origine da grossi tagli di potatura o dalla zona dell’innesto; la carie è spesso delimitata da un sottile strato di tessuto imbrunito che la separa dal tessuto sano. Nelle viti gravemente colpite, il legno cariato viene talora messo in evidenza da profonde fenditure longitudinali del fusto (mal dello spacco)

Sintomi di mal dell’esca su bacche in forma di macchie puntiformi brunoviolacee disposte su bande longitudinali

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coltivazione In generale, la malattia si manifesta con un ritardo nella ripresa vegetativa e uno sviluppo stentato della pianta. Sulle foglie, dopo la fioritura, si formano piccole macchie clorotiche che divengono confluenti a formare ampie variegature internervali che dal giallo-rosso virano al bruno e poi necrotizzano. Le variegature si estendono dal margine, che dissecca, ai tessuti internervali (clorosi a ventaglio), mentre le nervature principali e i tessuti perinervali rimangono verdi (foglie tigrate). In luglio-agosto, momento di massima espressione dei sintomi, l’aggravamento della situazione può provocare filloptosi prematura. Sugli acini, dopo l’invaiatura, compaiono macchie puntiformi bruno-violacee a distribuzione irregolare o formanti bande longitudinali, che interessano il solo epicarpo. I grappoli alterati possono presentare un ritardo nella maturazione, perdono turgore specialmente nella parte distale e il contenuto zuccherino è inferiore alla norma; le bacche, con l’aggravarsi della malattia, possono fessurarsi e andare incontro a disseccamento. Sui tralci è possibile osservare la presenza di zone non lignificate di colore verde scuro (isole verdi), frammiste ad altre parzialmente lignificate, dovute a disturbi nei processi di lignificazione. La forma acuta del mal dell’esca, che si manifesta in luglio-agosto, si caratterizza perché in pochi giorni, su piante all’apparenza sane, disseccano completamente tralci, foglie e grappoli.

Foto R. Angelini

Caratteristici sintomi del mal dell’esca su foglia

Mal dell’esca: strategie di difesa

• Allo stato attuale, non sono disponibili

fungicidi efficaci nei confronti della malattia. Al momento dell’impianto, è necessario prestare la massima attenzione alla sanità del materiale di propagazione. In agosto-settembre è utile contrassegnare le piante che manifestano sintomi in modo da poterle riconoscere durante l’inverno e potarle separatamente dalle viti sane. Una tecnica adottabile per tentare di recuperare viti infette, soprattutto nelle forme di allevamento alte, come il tendone, è il capitozzamento della pianta a un’altezza tale da rimuovere tutto il legno alterato, cariato o comunque imbrunito. Di solito la pianta, risanata, viene ricostituita in un paio d’anni. Le viti che presentano alterazioni del legno estese molto in basso o addirittura sotto il punto d’innesto vanno estirpate Sindrome apoplettica del mal dell’esca

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malattie Protezione integrata La pianificazione delle strategie di protezione integrata deve essere basata sulle differenze esistenti fra le diverse condizioni colturali, nonché sulla variabile importanza delle malattie potenzialmente dannose. Trattamenti specifici contro l’escoriosi sono da prevedere solo in vigneti di cultivar suscettibili interessati dalla malattia, eseguendo 2-3 applicazioni proteggenti, a partire dal risveglio vegetativo. Negli ambienti meridionali, la peronospora causa danni economici di rilievo solo nelle annate particolarmente umide e piovose. In genere, due trattamenti cautelativi effettuati a inizio e fine fioritura sono sufficienti per proteggere le piante nella fase di maggiore suscettibilità ed evitare il rischio di infezioni sulle giovani bacche responsabili, in alcune annate, della successiva comparsa dei sintomi noti come peronospora larvata. Nelle fasi fenologiche precedenti e successive, è necessario sorvegliare attentamente i vigneti per eseguire ulteriori interventi all’eventuale comparsa delle macchie d’olio nel vigneto e/o comprensorio in cui si opera. Nei vigneti coperti con teli di polietilene per forzare l’anticipo della maturazione, le condizioni termoigrometriche impediscono il manifestarsi della malattia e rendono del tutto inutili i trattamenti antiperonosporici. In tali vigneti sono, di fatto, assenti anche muffa grigia ed escoriosi. A quest’ultimo riguardo vi è, anzi, da evidenziare che uno o due anni di copertura permettono la remissione dei sintomi di escoriosi anche in vigneti fortemente compromessi, finché la copertura stessa permane. Per la protezione dall’oidio, il criterio d’intervento deve essere di tipo preventivo, mantenendo le piante costantemente protette dalla malattia dall’inizio della

Rischio di resistenza

• Il rischio di resistenza dipende da

numerosi fattori e deve essere valutato a seconda sia delle caratteristiche intrinseche del fungicida considerato sia del patogeno e del tipo di malattia che esso causa. La resistenza acquisita può essere definita come l’adattamento di un fungo a un fungicida dovuto a modificazioni genetiche, pertanto trasmissibili alle progenie, che portano alla comparsa di individui con ridotta sensibilità. I vecchi fungicidi inorganici e proteggenti organici con meccanismo d’azione aspecifico (multisito) raramente hanno provocato resistenza in campo poiché, interferendo con numerosi processi metabolici, non lasciano al patogeno molte possibilità di adattamento e rendono improbabile la comparsa di forme resistenti

Un importante problema nei vigneti coperti per ritardare la raccolta è costituito dai marciumi del grappolo

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coltivazione

Strategie antiresistenza

• Fungicidi con meccanismo d’azione

specifico, a carico di uno o pochi siti cellulari, sono stati scoperti e impiegati in agricoltura solo negli ultimi 50-60 anni. Agli indubbi vantaggi della loro specificità d’azione, quali possibile azione endoterapica, selettività, bassi dosaggi, elevata efficacia, scarso impatto ambientale e bassa tossicità per l’uomo e gli animali, spesso si accompagna il rischio di resistenza. Le azioni per prevenire la resistenza ricadono sostanzialmente nell’impiego di miscele o alternanze di fungicidi con diverso meccanismo d’azione. Tutti i disciplinari di protezione integrata prevedono un numero massimo di trattamenti per ciclo colturale con fungicidi aventi un meccanismo d’azione a rischio di resistenza

Imbrunimenti del legno su giovane vite affetta da mal dell’esca con emissione di essudati gommosi

fioritura all’invaiatura. Le infezioni precoci, nelle fasi comprese fra germogliamento e fioritura, sono poco frequenti e, generalmente, non sono necessari trattamenti. Eccezioni sono rappresentate, talora, da vigneti coperti con reti antigrandine, a causa del leggero ombreggiamento favorevole a U. necator, da quelli interessati da gravi infezioni nell’annata precedente o ricadenti in particolari microclimi. Dopo l’invaiatura, soprattutto nei vigneti coperti per ritardare la raccolta, possono essere necessari ulteriori trattamenti per prevenire infezioni tardive a carico dei rachidi. Per la protezione dalla muffa grigia, il primo trattamento è da prevedere nella fase fenologica di pre-chiusu-

Vigneto coperto per l’anticipo della maturazione; in tali vigneti, le condizioni termoigrometriche impediscono il manifestarsi di escoriosi, peronospora e muffa grigia

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malattie ra del grappolo ed è finalizzato a ridurre l’inoculo del patogeno presente in forma latente sui residui fiorali. Il secondo intervento è da eseguire all’invaiatura, o meglio nella prima decade di agosto, e mira a prevenire le infezioni che potrebbero verificarsi a seguito dei temporali estivi. Ulteriori trattamenti sono da modulare sulla base dell’andamento meteorologico, della persistenza dei fungicidi impiegati e dell’epoca di raccolta. La forma di difesa più efficace è, comunque, la prevenzione: è opportuno limitare tutti gli agenti biotici e abiotici (oidio, tignoletta, tripidi, uccelli, grandine, vento ecc.) responsabili di lesioni sulle bacche, che costituiscono la principale via di penetrazione per B. fuckeliana e per gli altri agenti causali dei marciumi del grappolo. Tutte le forme di prevenzione sono, comunque, di notevole importanza per una corretta gestione anche delle altre malattie. L’impiego di materiale di propagazione sano, l’adozione di concimazioni e irrigazioni equilibrate, l’attuazione di carichi produttivi non eccessivi e l’esecuzione di operazioni colturali quali il diradamento dei grappoli e della vegetazione, permettono di evitare che si creino condizioni favorevoli per lo sviluppo delle malattie. Non da ultimo, particolare attenzione va posta nella pianificazione di strategie antiresistenza nei confronti dei patogeni, alternando fungicidi dotati di diverso meccanismo d’azione.

Carie del legno nel fusto di una pianta di vite affetta da mal dell’esca Trattamento con atomizzatore ad aeroconvezione. Con questa tipologia di mezzi, i volumi di distribuzione devono essere pari a 1000 l/ha

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l’uva da tavola

coltivazione Virosi e fitoplasmosi Michele Borgo, Elisa Angelini

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Virosi e fitoplasmosi Introduzione Le malattie da virus e da fitoplasmi costituiscono due differenti gruppi di malattie, che rivestono rilevante importanza pratica in viticoltura e che colpiscono i vitigni a uva da tavola al pari di quanto succede sulle varietà a uva da vino e sui portinnesti. Per la viticoltura da tavola i danni causati dalle virosi e, potenzialmente, dalle fitoplasmosi incidono spesso in maniera grave sui livelli produttivi e sulla qualità merceologica delle uve, oltre a influire sulla longevità degli impianti. Per gli ambienti vocati alla viticoltura da tavola, maggiore importanza viene data alle malattie virali in relazione alla loro pericolosità e alla dannosità delle entità patogene coinvolte. È noto che i virus si possono trasmettere da un luogo all’altro attraverso l’uso di materiale di moltiplicazione e di propagazione infetto e, nell’ambito dei vigneti, attraverso organismi vettori. Per le varietà a uva da tavola il rischio di trasmissione si è dimostrato superiore rispetto a quanto potenzialmente riscontrabile per le varietà a uva da vino, in considerazione del fatto che molto spesso viene fatto uso di materiale di moltiplicazione prelevato da altri vigneti, il più delle volte non bene selezionati per gli aspetti fitosanitari. Il rischio maggiore si ha quando marze (o nesti) vengono utilizzate per interventi di sovrainnesto su viti adulte, spesso già affette da virus, nell’intento di introdurre e sperimentare nuove varietà e dalle quali successivamente vengono prelevati materiali di propagazione da utilizzare sia per innesti a dimora sia per la produzione di barbatelle innestate.

Come proteggersi

• Una moderna viticoltura necessita

di materiale di moltiplicazione e di propagazione con elevata qualità fitosanitaria, cioè marze, e talee portinnesto esenti da virus e da altri microrganismi dannosi, quali fitoplasmi, batteri e funghi

• Nel caso di malattie latenti bisogna

a volte attendere qualche anno prima di poter osservare sulla pianta la comparsa di particolari anomalie, imputabili a infezioni virali o malattie virus-simili

Viti affette da virosi

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virosi e fitoplasmosi Malattie virali caratteristiche della viticoltura da tavola Molteplici sono le malattie virali che interessano la viticoltura da tavola e sono molto più numerose di quelle previste dal DM 8 febbraio 2005 e dal DM 7 luglio 2006, che disciplinano il sistema di certificazione per la commercializzazione dei materiali di moltiplicazione vegetativa della vite. Limitatamente alle varietà di vite a uva da tavola, particolare attenzione deve essere posta alle virosi considerate responsabili dei gravi danni vegeto-produttivi.

Virosi

• Rappresentano un gruppo di malattie

causate da agenti patogeni classificati come virus, responsabili di alterazioni fisiologiche a carico di vari organi degli individui infetti

• Principali e diffuse virosi:

Complesso dell’accartocciamento fogliare Una particolare trattazione merita il complesso virale generato dagli agenti patogeni Grapevine Leafroll associated Virus (GLRaV), tra i quali trovano ampia diffusione i tipi GLRaV-1, 2 e 3. Su alcune varietà a uva da tavola, che in gran parte hanno origine straniera, è stato possibile imbattersi anche in altri virus, quali per esempio GLRaV-6, come spesso rilevato sulle varietà Cardinal e Red Globe. L’importanza attribuita a questo complesso virale è cresciuta con l’introduzione e la diffusione di nuove varietà, specialmente quando si è proceduto a propagare i nuovi vitigni mediante sovrainnesti su impianti già esistenti, spesso colpiti da virus. I sintomi dell’accartocciamento fogliare sono abbastanza comuni, anche se possono presentare differente intensità in funzione dell’entità virale, delle varietà e degli ambienti di coltivazione. Trattandosi in parti-

– malformazioni infettive o complesso dell’arricciamento

– complesso dell’accartocciamento fogliare

– legno riccio – necrosi delle nervature – maculatura infettiva

• In vigneto la diffusione delle malattie

virali è progressiva per effetto di agenti vettori, quali nematodi e cocciniglie

Inquadramento sistematico dei principali virus della vite Specie

Acronimo

Malattia associata

Grapevine fanleaf virus

GFlV

Complesso della degenerazione infettiva o dell’arricciamento (fanleaf)

Grapevine leafroll associated virus 1, 3, 6

GRLaV-1, 3, 6

Accartocciamento fogliare (leafroll)

Grapevine leafroll associated virus 2

GLRaV-2

Accartocciamento fogliare e disaffinità di innesto

Grapevine virus A

GVA

Legno riccio (Kober stem grooving)

Grapevine virus B

GVB

Suberosi corticale

Grapevine rupestris stem pitting associated virus

GRSPaV

Legno riccio (Rupestris stem pitting)

Grapevine fleck virus

GFkV

Maculatura infettiva (fleck)

Virus

• Sono entità patogene prive di una

struttura cellulare, con capacità di riprodursi all’interno della cellula vivente

• Non sono capaci di penetrare

nelle cellule integre in modo autonomo, ma necessitano dell’azione di agenti vettori (nematodi, insetti) o di soluzioni di continuità, come avviene nel caso dell’innesto

• La diffusione del virus avviene

gradatamente, invadendo tutta la pianta per via vascolare

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coltivazione

Come riconoscere le piante virosate

• La presenza di virus comporta alterazioni fisiologiche, inducendo la comparsa di anomalie morfologiche e cromatiche sugli organi più suscettibili: foglie, grappoli, tralci e tronco

• L’intensità dei sintomi varia in funzione della virulenza dell’agente patogeno e, in modo particolare, della suscettibilità varietale e delle condizioni colturali, ambientali e climatiche

Vite con accartocciamento fogliare

• Una volta avvenuto l’evento infettivo,

Particolare di sintomi fogliari di accartocciamento

colare di uva da tavola e considerato che la qualità è essenziale ai fini della commercializzazione, i danni sono comunque gravi, rendendo scadente e poco appetibile per l’acquirente il prodotto finale. Infatti, tra i più gravi effetti imputabili all’accartocciamento fogliare si lamentano uno scarso vigore vegetativo, la irregolare, scadente e ritardata maturazione dell’uva con imperfetta colorazione degli acini, particolarmente percettibile sulle varietà a bacca scura, nonché la presenza di acini di dimensioni più ridotte. In tempi recenti, particolare importanza ha assunto il virus GLRaV-2, associato anche alla malattia conosciuta come deperimento della Red Globe, proprio perché individuata per la prima volta su questa varietà. L’entità virale causa varie sintomatologie e si caratterizza

la pianta resta ammalata per tutta la vita; alcune forme virali possono restare latenti su gran parte delle varietà coltivate

Sintomi delle malattie da virus sugli organi della vite Malattia

Degenerazione infettiva

Accartocciamento fogliare

Organo

Sintomo

Epoca

Foglie

Laciniatura, prezzemolatura, asimmetria, seni peziolari aperti, giallumi, mosaico

Primavera

Tralci

Internodi irregolari, nodi doppi, viticci spostati, fasciazioni, biforcazioni, contrazione dello sviluppo vegetativo

Sempre

Grappoli

Colatura fiorale, acinellatura, biforcazione dei raspi

Primavera-estate

Foglie (basali e mediane)

Margini ripiegati verso il basso, alterazioni cromatiche della lamina (giallo, rosso, arancione), nervature e spazi perinervali verdi, ritardo di caduta foglie

Da invaiatura fino a caduta foglie

Grappoli

Sviluppo e maturazione irregolari dell’uva, acini poco colorati, in parte verdi, perdita di tenore zuccherino e peso del grappolo

Da invaiatura a maturazione

Fusto

Ingrossamento del punto di innesto, corteccia spessa e suberosa; allo scortecciamento del legno scanalature, butterature, punteggiature in prossimità del punto d’innesto, lungo il tronco del portinnesto e in presenza di ferite al piede

Primavera, fase di distacco della corteccia

Grappoli

Possibili fenomeni di acinellatura e di irregolare maturazione

Da invaiatura a maturazione

Legno riccio

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virosi e fitoplasmosi

Danni da virosi

• L’innesto tra parti di piante affette da

virus, anche apparentemente sane come possibile nel caso dei portinnesti, dà sempre origine a nuovi individui virosati

• Le virosi provocano danni reali

e potenzialmente gravi sulle produzioni con effetti sia quantitativi sia qualitativi

• I danni più gravi si hanno nel caso

di virus che portano alla deformazione dei grappoli e degli acini

Barbatelle in vivaio affette da disaffinità d’innesto

per gli effetti negativi riscontrabili sia in vigneto sia in vivaio. Sulle piante adulte, a volte, la malattia si esprime con sintomi alquanto attenuati e tardivi di accartocciamento fogliare; molto più grave risulta invece il danno imputabile alla disaffinità d’innesto. Questa alterazione comporta seri danni in quanto, in alcune combinazioni di innesto e a seguito della irregolare saldatura dei due bionti, è responsabile di gravi deperimenti che possono causare morie delle barbatelle in vivaio; favorisce inoltre l’ingrossamento del punto d’innesto e un progressivo deperimento delle viti in campo. I danni sono quindi percepibili in vivaio, ove si assiste alla comparsa di sintomi di accartocciamento fogliare sulle giovani viti, accompagnati da una scarsa riuscita degli innesti e da una ridotta

Danni da accartocciamento fogliare

• La malattia causa il ripiegamento dei

margini fogliari verso il basso, per effetto dell’ispessimento della lamina, accompagnato da alterazioni cromatiche negli spazi internervali

• I danni causati da questo complesso

virale si riflettono sui parametri produttivi e qualitativi delle uve: riduzione del numero di grappoli, minore peso, scarso accumulo di sostanze elaborate con minore contenuto zuccherino delle bacche

• L’irregolare maturazione e colorazione

degli acini aumenta i tempi di raccolta e le operazioni di cernita delle uve

Danni per disaffinità d’innesto in vigneto con innesti a dimora

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coltivazione resa vivaistica. Un’accurata selezione e cernita delle barbatelle può ridurre i danni in vigneto e/o comunque ritardare il successivo deperimento delle viti in campo, anche se questo rischio non è da escludere nelle condizioni di maggiore stress per le piante. Nel caso di innesti fatti a dimora gli effetti più deleteri della malattia si manifestano in tempi brevi, dando luogo alla cattiva unione tra marza e portinnesto con callo di cicatrizzazione prodotto in abbondanza dal nesto, con formazione di radici di affrancamento e con sviluppo cespuglioso sulla nuova vegetazione.

Disaffinità d’innesto

• Irregolare formazione del callo

di cicatrizzazione, accompagnato da un sottile diaframma bruno al punto d’innesto, che impedisce il flusso della linfa tra i due bionti

• Rilevanti danni sulle rese in vivaio

Altre virosi di importanza pratica Tra le virosi caratteristiche della viticoltura da tavola, si cita la virosi comunemente nota come degenerazione infettiva o complesso dell’arricciamento, riconosciuta essere una malattia particolarmente dannosa e pericolosa, in quanto facilmente e rapidamente trasmissibile in vigneto a opera di nematodi: nelle aree viticole meridionali Xiphinema index risulta molto diffuso, tale da giustificare l’incidenza, spesso elevata, della virosi associata a Grapevine Fanleaf Virus (GFlV). Il complesso virale risulta facilmente diagnosticabile in campo attraverso l’esame dei sintomi, quali foglie tendenzialmente deformate con asimmetrie, laciniature, denti pronunciati e a volte con scolorazioni nervali e ingiallimenti della lamina (giallume infettivo); grappoli che presentano vistose acinellature e acini di dimensioni irregolari; tralci che possono presentare internodi irregolari, nodi doppi e malformazioni di vario genere. Grazie a queste particolari sintomalogie, che sull’uva da tavola si accompagnano a evidenti e dannosi scadimenti produttivi, è quindi possibile identificare le piante ammalate, onde doverle escludere dalla raccolta di legno per nuovi innesti. Tuttavia rimangono ancora situazioni di latenza, specie nei primi anni di nuova infezione a

e sulla qualità delle barbatelle, che possono manifestare cromatismi fogliari (arrossamenti o ingiallimenti in funzione della varietà)

• Su innesti a dimora comporta

un’anomala saldatura tra marza e portinnesto con formazione di radici sul legno del nesto e possibile affrancamento

Alterazioni istologiche su vite giovane per disaffinità d’innesto

Malformazioni fogliari per arricciamento Vite a pergola colpita da arricciamento

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virosi e fitoplasmosi opera dei vettori, i quali, dopo essere venuti a contatto con piante contaminate, sono in grado di veicolare i virus su nuove viti. Altra avversità parassitaria di interesse pratico è il complesso del legno riccio, scoperto nel 1960 in Puglia e che rappresenta una delle più diffuse patologie della vite. Il legno riccio è causato da differenti entità patogene (grapevine virus A: GVA; grapevine rupestris stem pitting associated virus: GRSPaV; grapevine virus B: GVB), ciascuna delle quali trova poi proprie specificità e denominazioni in funzione della tipologia di sintomi palesi principalmente su viti indicatrici. In tutti i casi e in funzione della suscettibilità del portinnesto o della varietà, il tronco può manifestare rugosità longitudinali e alterazioni morfologiche corticali e legnose di varia intensità ed estensione, formate da ispessimento del ritidoma, butterature e scanalature, turbe vascolari per alterazioni dello xilema. I sintomi sono maggiormente evidenti in corrispondenza del punto d’innesto, pur interessando tutto il portinnesto e, in alcuni casi, anche la parte basale del tronco. La presenza di alterazioni molto accentuate incide negativamente sullo sviluppo vegetativo della pianta con plausibili effetti dannosi sulla vigoria delle piante e sui parametri produttivi. Nelle forme più gravi e acute, specialmente se accompagnate da associazione di più virosi, il complesso virale è responsabile di un grave e progressivo declino delle viti. I danni maggiori si hanno nel corso dei primi anni di vita delle piante; essi possono essere parzialmente mitigati favorendo l’equilibrio vegeto-produttivo delle viti giovani. Studi recenti hanno messo in evidenza la relazione tra una variante genetica dell’entità GRSPaV con la malattia delle necrosi delle nervature, palese su piante indicatrici di 110 Richter, le cui foglie presentano necrosi nervali fin dal primo anno di infezione.

Legno riccio

• Forme più diffuse: Kober stem grooving

(KSG), palese su Kober 5BB; Rupestris stem pitting (RSP), palese su V. Rupestris du Lot, su 1103 P, 3309 C, 101.14; suberosi corticale o corky bark (CB) palese sul vitigno ibrido LN33

• Nel caso di piante infette dai virus

responsabili del legno riccio, l’anticipata messa a frutto può provocare il deperimento vegetativo, con possibile collasso delle giovani piante. Nell’impossibilità di disporre di materiale esente da virus bisogna aver cura nell’allevamento delle giovani piante, favorendo la lenta messa a frutto nel corso dei primi anni d’impianto

Dannosità della degenerazione infettiva

• La malattia, causata principalmente da

GFlV, si può espandere progressivamente in vigneto per effetto dei nematodi vettori di virus, assumendo una distribuzione a chiazze

• Il controllo del complesso virale si basa sull’osservazione diretta dei sintomi; bisogna tenere conto che anche altre avversità biotiche e abiotiche possono generare malformazioni e alterazioni cromatiche in parte simili a quelli virali

• La malattia causa un cronico

Suberosità corticale e butterature per legno riccio

deperimento delle viti accompagnato da scarso accumulo di sostanze di riserva e da possibile morte della pianta. Sono frequenti casi di colature fiorali e acinellatura dei grappoli con deprezzamento dell’uva, non idonea alla commercializzazione

Effetti del legno riccio su pianta giovane: portinnesto e foglie di europeo

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coltivazione La maculatura infettiva (fleck) viene annoverata fra le malattie latenti e manifesta sintomi solo sull’indicatore V. rupestris cv S. Gorge; riveste importanza pratica in quanto la sua assenza è richiesta dalla normativa nazionale per i portinnesti. Tuttavia, pur non essendo noti gli effetti diretti sulle varietà, la malattia risulta molto diffusa anche sulle uve da tavola.

Incidenza delle virosi

• Test di laboratorio eseguiti su varietà

da tavola di recente introduzione e provenienti da vigneti di più aziende hanno messo in evidenza uno stato sanitario molto precario, a seguito della presenza simultanea di molti virus, in particolare di GLRaV-2, GLRaV-3 e GVA, con incidenza assai variabile in funzione del vigneto campionato

Diagnostica delle malattie virali La conoscenza dei sintomi specifici per ciascuna malattia virale è basilare, in quanto permette al viticoltore di individuare le piante ammalate e di effettuare una prima diagnosi. Le malattie palesi, quali l’accartocciamento fogliare e la degenerazione infettiva, sono facilmente diagnosticabili in vigneto fin dal primo anno d’impianto, per cui si può individuare l’eventuale fonte di infezione. Per la diagnosi del legno riccio bisognerà invece attendere due o tre anni per poter osservare la presenza dei sintomi mediante tassellamento corticale sul portinnesto. Con il ricorso a esami di laboratorio, attraverso test immunoenzimatici di tipo ELISA o biomolecolari PCR, è possibile invece identificare gli agenti patogeni responsabili delle malattie palesi e latenti. Oggi, l’esame di poche foglie mature o meglio di una talea di vite consente di diagnosticare i virus di maggiore interesse pratico in tempi rapidi e a costi contenuti. Ciò appare di estrema importanza pratica proprio per la viticoltura da tavola, portata a un continuo rinnovo varietale, e qualora si intenda intervenire con sovrainnesti su impianti già fatti. Nei lavori di selezione clonale, oltre alle tecniche diagnostiche citate, si fa ricorso ai saggi biologici, che si basano sulle risposte di reazione di alcune piante erbacee o di viti indicatrici in presenza dei virus. I saggi biologici più comuni sono quelli legnosi, che vengono fatti innestando

• Solo pochi campioni sono risultati affetti da un solo virus

• Lo studio ha permesso di constatare

che le contaminazioni da virus si sono succedute nelle fasi di propagazione delle nuove varietà con innesti o sovrainnesti eseguiti su piante già virosate

Accartocciamento fogliare con tenue cromatismo Confronto tra vite sana e vite con accartocciamento fogliare (a destra)

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virosi e fitoplasmosi talee o marze, prelevate dalla pianta da esaminare, su viti indicatrici opportunamente scelte per le loro peculiari capacità di manifestare chiari e inconfondibili sintomi virali (per esempio, le cultivar Cabernet franc o Pinot nero, usate per riconoscere l’accartocciamento fogliare). Per alcune forme virali i sintomi possono essere osservati già nel primo anno di saggio, mentre per una corretta diagnosi del legno riccio bisogna attendere tre anni. Dannosità delle virosi Spesso le piante coltivate possono ospitare uno o più virus, per cui è possibile avere la comparsa simultanea di più malattie, la cui sovrapposizione causa effetti gravi e sinergici. L’importanza economica delle virosi sulle varietà a uva da tavola è notevole, visto che esse sono destinate a produrre uva in grande quantità e di qualità elevata. Il fatto di avere viti ammalate, che tali rimangono per tutta la vita, fa sì che gli effetti dannosi delle virosi vengano a volte a pregiudicare negativamente il bilancio aziendale. L’intensità del danno dipende da vari fattori: – entità patogena correlata all’intensità e alla gravità dei sintomi; – suscettibilità della cultivar e intensità dei sintomi in ragione del pregio varietale; – età delle piante; – capacità del virus di modificare l’attività fisiologica della vite; – ambiente ecologico ed epoca di comparsa della malattia; – incidenza delle piante colpite in vigneto. La lotta diretta contro le virosi è irrealizzabile, in quanto non è possibile eradicare l’entità patogena sulle piante in campo. L’unico sistema di difesa si basa su interventi di tipo preventivo.

Vite vecchia con legno riccio

Misure di prevenzione

• Forme di lotta dirette contro le virosi non sono possibili in vigneto

• Assumono valenza pratica gli interventi

indiretti, basati sulla selezione di piante esenti da virus, la loro moltiplicazione su portinnesti altrettanto sani, l’impianto di barbatelle su terreni tenuti a riposo da vite per alcune annate e liberi da nematodi vettori di virus (Xiphinema index)

Prevenzione e difesa In considerazione del fatto che le viti affette da virosi non possono essere risanate in pieno campo e che tali rimangono, salvo addirittura peggiorare con l’invecchiamento del vigneto, vanno applicati metodi di prevenzione realizzabili attraverso l’uso di materiale viticolo certificato per i nuovi impianti, da farsi su terreni esenti da nematodi vettori di virus. Particolare importanza viene data alla diagnostica diretta dei sintomi in campo per facilitare il lavoro di selezione sanitaria. Fin da tempi remoti la selezione massale, forma semplice ed efficace di miglioramento genetico, è stata considerata un metodo valido per isolare biotipi dotati di pregevoli caratteristiche produttive e per scartare le piante affette dalle malattie infettive. In genere, le malattie più gravi sono quelle palesi, ossia quelle che in vari momenti dell’anno o nel corso della vita della pianta si rendono evidenti o possono essere diagnosticate mediante controlli particolari del tronco, come nel caso del legno riccio. L’applicazione dei criteri di selezione clonale e il rispetto delle norme sulla certificazione e sulla commercializzazione dei mate-

• Molto significativo è il ruolo svolto

da alcune specie di cocciniglie (Pseudococcidae e Coccidae) vettrici di agenti virali, che pullulano più facilmente negli ambienti a clima caldo. Le cocciniglie possono trasmettere i virus associati all’accartocciamento fogliare e il GVA associato al legno riccio, diffondendo rapidamente la malattia sulle viti dei nuovi vigneti, in seguito alla migrazione dai vecchi impianti virosati

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coltivazione riali di moltiplicazione viticola costituiscono ancora il più efficace metodo per il contenimento della diffusione delle malattie virali. Solo al termine del lungo processo di selezione clonale, che mira al reperimento e all’isolamento di biotipi ritenuti pregevoli per le loro caratteristiche agronomiche, produttive e sanitarie, il nuovo clone omologato dal Ministero può entrare nel circuito della distribuzione, che viene fatta sotto la responsabilità del costitutore o di un suo avente causa.

Classificazione dei fitoplasmi

• I fitoplasmi sono suddivisi in specie,

incluse nel nuovo genere Candidatus Phytoplasma, che appartiene alla classe dei Mollicutes

• Attraverso l’esame delle caratteristiche

Fitoplasmosi Le fitoplasmosi sono gravi malattie della vite causate da microorganismi unicellulari, detti appunto fitoplasmi, simili ai batteri, ma privi di parete cellulare. Essi vivono a livello dei tubi cribrosi del floema, ove si moltiplicano ininterrottamente, influenzando la crescita dei germogli e dei tralci; vengono trasmessi in natura da insetti vettori, quali le cicaline e le psille. Secondo la recente tassonomia, i fitoplasmi appartengono al nuovo genere Candidatus (Ca.) Phytoplasma, che comprende più di 20 differenti specie. Le malattie causate dai fitoplasmi sulla vite vengono comunemente indicate con il nome di “giallumi della vite”; raggruppano gravi forme infettive, scoperte verso la metà degli anni ’50 e presenti in molte aree viticole del mondo. Due sono le malattie più importanti in Europa: il legno nero (LN), il cui agente eziologico appartiene alla specie Ca. Phytoplasma solani, e la flavescenza dorata (FD), causata da fitoplasmi appartenenti alle specie Ca. Phytoplasma vitis. Colpiscono le viti a uva da tavola, a uva da vino, gli ibridi produttori e i portinnesti.

molecolari è stata costruita anche una suddivisione dei fitoplasmi in differenti gruppi filogenetici (gruppi 16Sr), ciascuno dei quali include un elevato numero di sottogruppi

Arrossamenti da giallumi su foglie di Cardinal Vite affetta da fitoplasmosi con giallumi settoriali

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virosi e fitoplasmosi

Fitoplasmi presenti su vite in Italia

• Candidatus Phytoplasma solani: a questa specie appartengono gli isolati europei responsabili del legno nero (gruppo 16SrXII-A). È diffuso in tutte le regioni d’Italia

• Candidatus Phytoplasma vitis: a questa

Arrossamenti da giallumi e portamento cadente dei tralci su Beauty Seedless

specie appartengono gli agenti della flavescenza dorata (gruppo 16SrV-C e D). È diffuso nei vigneti di tutto il Nord d’Italia e parte del Centro

Arrossamenti settoriali da giallumi su foglie di Ibrido Terzi 106.8

• Altre specie di fitoplasmi sono state

individuate su vite solo sporadicamente. Sono presenti, invece, nei vigneti di altri Paesi europei ed extra-europei

Il legno nero viene considerato una malattia di tipo endemico per la sua lenta e graduale diffusione; risulta comunque in continua fase di espansione in nuovi ambienti viticoli, nonostante i tentativi di eradicazione intrapresi da molti anni. La flavescenza dorata, invece, ha dimostrato fin dalla sua prima comparsa in Francia un carattere epidemico molto grave; in base alle norme previste dalla Comunità Europea è compresa tra le malattie da quarantena.

Principali sintomi di fitoplasmosi

• Foglie: colorazione di lamina e nervature

giallo-vivo nelle varietà a uva bianca, rosso-intenso nelle varietà a bacca nera; in molti casi la colorazione è settoriale; accentuato arrotolamento del lembo fogliare; lamina spessa, coriacea e fragile

• Tralci: lignificazione irregolare

o mancante; consistenza gommosa, sviluppo ridotto; in alcune varietà sono ricoperti da piccole e numerose pustole, dall’aspetto brunastro

• Infiorescenze e fiori: atrofizzazione, appassimento o aborto

• Grappoli: disseccamento dei raspi e/o avvizzimento degli acini

Neanide di Scaphoideus titanus, vettore del fitoplasma responsabile della flavescenza dorata

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coltivazione Incidenza e diffusione I giallumi della vite sono presenti nei vigneti di tutte le regioni viticole d’Europa e del bacino del Mediterraneo. La diffusione e l’incidenza di legno nero e flavescenza dorata variano in funzione delle zone geografiche: il legno nero è infatti una malattia ubiquitaria, in quanto la sua presenza è stata segnalata in tutti i Paesi viticoli d’Europa e del Mediterraneo; la flavescenza dorata, invece, è stata segnalata inizialmente solo in alcuni Paesi dell’Europa meridionale, cioè Francia, Italia, Spagna, mentre negli ultimi anni si è diffusa anche in altri Paesi confinanti, in particolare Portogallo, Svizzera, Slovenia, Croazia e Serbia. Per quanto riguarda la situazione nazionale, nelle zone di coltivazione delle uve da tavola, meridionali e insulari, è diffuso solo il legno nero. Esistono ceppi leggermente diversi di fitoplasmi che causano il legno nero, che si possono distinguere a livello epidemiologico e molecolare: nel Sud Italia è presente per lo più il ceppo denominato VKII. Anche nel Centro Italia domina il legno nero; è importante comunque menzionare che sono stati identificati anche alcuni focolai infettivi di flavescenza dorata in Toscana, Marche e Umbria, su vitigni a uve da vino. Sintomi e danni I sintomi causati dal legno nero e dalla flavescenza dorata sulle viti a uva da tavola sono indistinguibili, nonostante i due giallumi si caratterizzino per un diverso comportamento epidemico. I danni imputabili alle fitoplasmosi dipendono dal tipo di patogeno, dalla suscettibilità varietale e dall’età delle piante al momento dell’infezione. Le infezioni da fitoplasmi provocano alterazioni a carico del sistema vascolare, quindi i sintomi sono evidenti su foglie, tralci, fiori e grappoli. Le viti colpite da fitopla-

Sintomi da giallumi su foglie e tralci di cultivar Italia

Ciclo epidemiologico del fitoplasma associato al legno nero della vite (LN)

Ortica

H. obsoletus Vite

Sintomi di giallumi: ingiallimenti delle nervature fogliari su Inzolia

Convolvolo

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virosi e fitoplasmosi smosi presentano sintomi di varia intensità, che vanno da lievi alterazioni cromatiche delle foglie, circoscritte ad alcuni tralci, fino a forme molto gravi, caratterizzate da deperimenti estesi e irreversibili, che possono indurre la morte della pianta stessa. La sintomatologia osservata è apparsa identica a quella delle uve da vino. In presenza di sintomi attenuati e limitati a pochi germogli, nelle forme di allevamento a tendone risulta spesso difficile identificare le piante malate. I danni più comuni riguardano le produzioni e sono dovuti alla perdita di grappoli e alla mancata maturazione dell’uva. Anche se i sintomi compaiono solo a fine stagione, nel caso delle uve da tavola i fitoplasmi causano rilevanti danni produttivi dovuti all’appassimento dei grappoli. Nel caso di vitigni molto sensibili si ha un progressivo deterioramento dell’intero impianto, a causa del graduale indebolimento delle piante. Al contrario, nei vitigni considerati più tolleranti ai giallumi e in condizioni colturali di buon equilibrio vegetativo delle piante, si può avere la remissione della malattia, che può essere definitiva o solo temporanea. Questa “guarigione” si verifica se si interviene con tempestività sulle piante infette mediante adeguati interventi di potatura e di lotta contro i vettori di fitoplasmi; presenta risultati più duraturi nel caso di infezioni da legno nero.

Diagnosi

• La diagnosi dei giallumi da fitoplasmi per lungo tempo è stata affidata alla sola osservazione dei sintomi

• Solo dagli anni ’90, grazie alle tecnologie di laboratorio, è stato possibile individuare gli agenti patogeni

• La microscopia elettronica, applicata tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90, non è stata risolutiva per la diagnosi, a causa dell’esiguo numero di patogeni rinvenuti nei tessuti delle viti infette

• I saggi sierologici, applicati fin dagli anni ’80, non si sono rivelati molto affidabili, data la fragilità della membrana dei fitoplasmi

• Solo con l’avvento delle biotecnologie

e delle tecniche PCR (Polymerase Chain Reaction) è stato possibile evidenziare la presenza dei fitoplasmi, anche quando sono presenti a basse concentrazioni

Trasmissione Le fitoplasmosi della vite possono essere comunemente trasmesse in campo tramite insetti vettori specifici e, in misura minore, tramite il sovrainnesto e l’innesto. Il legno nero viene trasmesso dalla cicalina Hyalestes obsoletus, diffusa in tutta l’Europa e nei Paesi del bacino del Mediterraneo.

• Le tecniche oggi più usate per la

diagnosi dei fitoplasmi sono la PCR nested, la PCR real time e il saggio RFLP (Restriction Fragment Length Polymorphism)

Foto R. Angelini

Alcune erbacee infestanti dei vigneti, come l’ortica, possono essere serbatoi d’inoculo del fitoplasma del legno nero

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coltivazione Le forme giovanili vivono sulle radici di ortica, convolvolo e altre piante erbacee, che spesso crescono ai bordi dei vigneti, mentre gli adulti si possono spostare anche su vite. La trasmissione del fitoplasma del legno nero è di tipo indiretto, poiché la cicalina acquisisce il fitoplasma dalle piante ospiti erbacee infette e lo trasmette poi a vite. Il vettore naturale di flavescenza dorata è invece la cicalina Scaphoideus titanus, diffusa in gran parte dei Paesi viticoli d’Europa. In Italia la diffusione di S. titanus è progressivamente aumentata, passando dalle regioni settentrionali verso quelle del Centro, attualmente fino a nord di Lazio e Marche, ma l’insetto è stato individuato anche in alcune zone del Meridione, in particolare in Campania e Basilicata. C’è quindi il rischio concreto che la cicalina possa progressivamente colonizzare anche altri areali vocati alla coltivazione della uve da tavola. S. titanus trasmette il fitoplasma della flavescenza dorata in maniera molto efficiente mentre si nutre, spostandosi dalle viti infette a quelle sane. Si segnala infine che recentemente è stata individuata un’altra cicalina vettrice del fitoplasma di flavescenza dorata, Dictyophara europaea, capace di trasmettere il fitoplasma da clematidi infette che vivono su incolti vicino ai vigneti, anche se sembra che la trasmissione sia poco ricorrente. Il ruolo epidemiologico di tale trasmissione è fondamentale in aree in aree geografiche dove il fitoplasma della flavescenza dorata è presente su clematide e non su vite, in quanto una prima introduzione accidentale in vigneto potrebbe scatenare un’epidemia nel caso in cui S. titanus sia presente. Fra l’altro, la presenza del fitoplasma della flavescenza dorata su clematide sembra essere un fenomeno molto comune in Italia.

Trasmissione dei fitoplasmi per innesto

• Prove sperimentali di sovrainnesto e di

innesti fatti a tavolo, utilizzando materiali viticoli infetti sia da legno nero sia da flavescenza dorata, hanno confermato la trasmissione delle fitoplasmosi per innesto

• In ogni caso, si è visto che il rischio

di ottenere barbatelle ammalate è molto basso, in quanto l’uso di marze e/o di talee poco lignificate, raccolte appositamente da viti con sintomi di giallumi, non favorisce il normale attecchimento degli innestitalea. Rimane comunque una minima possibilità di ottenere nuove barbatelle infette, che evidenziano molto presto i sintomi della malattia in vivaio e possono quindi venire facilmente individuate ed estirpate

Ciclo epidemiologico del fitoplasma associato alla flavescenza dorata della vite (FD)

Lotta alle fitoplasmosi

• Non esiste un unico metodo per

contenere i danni causati dalle fitoplasmosi, in quanto molti fattori concorrono a favorire l’espandersi delle malattie. La lotta contro i giallumi prevede comunque precise strategie di prevenzione e di protezione fitosanitaria, che si basano sul controllo dei sintomi in campo, sul contenimento delle cicaline vettrici, sull’estirpo delle viti sintomatiche, sul controllo e l’eliminazione delle piante erbacee ospiti e sulla termoterapia dei materiali viticoli destinati alla propagazione

D. europaea

Vite S. titanus Clematide

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virosi e fitoplasmosi Difesa da fitoplasmosi Non esiste un unico metodo per contenere i danni causati dalle fitoplasmosi, in quanto molti fattori concorrono a favorire l’espandersi delle malattie in vigneto. La lotta contro i giallumi prevede comunque precise strategie di prevenzione e di protezione fitosanitaria, che si basano principalmente sul contenimento delle cicaline vettrici e sull’estirpo delle viti infette. Contro il vettore del legno nero non esistono ancora strategie efficaci e dirette, poiché H. obsoletus non vive abitualmente su vite. Le popolazioni del vettore e la trasmissione della malattia a vite possono essere diminuite tramite il controllo della flora spontanea possibile ospite di fitoplasmi del legno nero. Inoltre le piante ospiti dell’insetto, quali ortica e convolvolo, se presenti ai bordi dei vigneti, vanno estirpate nel periodo invernale, mentre l’eliminazione di tali piante nel periodo estivo provoca lo spostamento del vettore su vite ed è quindi da sconsigliare. Il controllo della flavescenza dorata si basa sugli interventi insetticidi contro il vettore S. titanus ed è molto efficace se effettuato in maniera appropriata. La lotta contro il vettore della flavescenza dorata è obbligatoria in Europa e in Italia, nel rispetto della Direttiva comunitaria (2000/29/CE del Consiglio dell’8 maggio 2000) e del Decreto nazionale (DM 31 maggio 2000). La tecnica della termoterapia ad acqua calda sui materiali viticoli viene proposta come ulteriore rimedio per eliminare i fitoplasmi di legno nero e flavescenza dorata e le eventuali uova di S. titanus; sono ancora in corso sperimentazioni per verificarne i vantaggi, ma anche eventuali inconvenienti sulla capacità di ripresa vegetativa delle viti termotrattate.

Decreto di lotta obbligatoria a FD

• Per il contenimento di flavescenza

dorata (FD) la normativa fitosanitaria comunitaria (Direttiva 2000/29/CE del Consiglio dell’8 maggio 2000) impone che gli Stati membri adottino le misure utili a evitarne la diffusione all’interno della Comunità. In Italia gli interventi di prevenzione e di lotta, previsti dal DM 31 maggio 2000, trovano ampia applicazione nella filiera di produzione vivaistica, essendo previsto l’obbligo dei controlli sui piantonai di piante madri e sui barbatellai, al fine di assicurare la sanità dei materiali destinati alla moltiplicazione viticola

• Per le aree già colpite da flavescenza

dorata e interessate dalla presenza di S. titanus, esiste l’obbligo della lotta insetticida contro il vettore

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Clematis vitalba, ospite spontaneo del fitoplasma responsabile della flavescenza dorata Convolvolo, specie erbacea ospite di fitoplasmi del legno nero

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l’uva da tavola

coltivazione Micotossine Paola Battilani

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Micotossine Ocratossina: tossicità e limiti di legge La presenza di ocrtossina A (OTA) nell’uva è un problema relativamente recente. Le prime segnalazioni risalgono al 1996 quando, nell’ambito di un’indagine su vini commercializzati in Svizzera, venne appunto trovata la tossina. Dopo le prime segnalazioni, sono seguiti parecchi studi finalizzati a individuare i funghi responsabili, a chiarire quali fattori potessero influenzare la contaminazione delle uve e a verificare il livello di contaminazione dei prodotti immessi sul mercato. Inoltre, sono stati approfonditi gli aspetti tossicologici che a tutt’oggi non forniscono risultati concordanti soprattutto riguardo alla possibile cancerogenicità di questa sostanza per l’uomo. L’OTA causa effetti dannosi a livello renale, confermati per tutti gli animali testati a eccezione dei ruminanti adulti; è cancerogena per i roditori e provoca effetti teratogeni, immunotossici e probabilmente anche neurotossici e genotossici. Si considera coinvolta nella manifestazione di una malattia associata allo sviluppo di tumori nel tratto urinario dell’uomo chiamata nefropatia endemica dei Balcani in relazione all’area geografica in cui si manifesta. L’OTA è stata la prima micotossina segnalata nell’uva, mentre di recente è stata indicata anche la fumonisina B2, prodotta da Aspergillus niger, rilevata comunque solo in tracce nei campioni fino a ora analizzati. La presenza di OTA nei vini, nei succhi d’uva e nell’uva passita è attualmente normata in Unione Europea secondo le indicazioni del Regolamento 1881/2006. Il livello massimo ammesso è di 2 µg/kg per i primi 2 prodotti e di 10 µg/kg per l’uva passita. Nessun limite è previsto per l’uva da tavola.

Micotossine

• Le micotossine sono sostanze

naturali, sintetizzate da alcuni funghi microscopici, comunemente chiamati muffe. Si tratta di molecole non necessarie per la crescita del fungo e quindi considerate metaboliti secondari. Una volta prodotte, le micotossine possono persistere per lungo tempo, anche dopo la morte del fungo. Attualmente sono note più di 300 micotossine e sono stati elencati parecchi generi di funghi, principalmente Aspergillus, Penicillium, Fusarium, ai quali appartengono specie produttrici di micotossine

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

È dimostrato che attacchi di tignoletta (in alto) e infezioni oidiche (a lato) sono predisponenti lo sviluppo di funghi produttori di micotossine. Pertanto una corretta gestione fitosanitaria del vigneto è fondamentale per contenere il diffondersi di questa problematica

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micotossine Funghi produttori e fattori predisponenti L’ocratossina A è una micotossina, sostanza naturale prodotta nell’uva da funghi appartenenti ad Aspergillus sezione Nigri, detti anche black aspergilli o aspergilli neri per il colore della muffa che sviluppano. Aspergillus carbonarius è ritenuto il rappresentante più importante di questo gruppo di funghi in quanto la maggior parte degli individui delle popolazioni che si trovano sull’uva produce la tossina e in quantità maggiore rispetto ad altre specie appartenenti a questa sezione. Questi funghi si conservano principalmente nel terreno e sono presenti in tutte le aree di coltivazione della vite. È possibile isolarli già all’allegagione, ma la loro presenza si fa più consistente dopo l’invaiatura, durante la fase finale di maturazione dei grappoli. L’incidenza di A. carbonarius sul totale degli aspergilli neri varia tra aree geografiche differenti, come dimostrato da uno studio svolto a livello europeo che ha coinvolto anche Israele, Paese che ha monitorato in particolare l’uva da tavola. Questi funghi sono deboli parassiti, quindi penetrano nelle bacche di preferenza attraverso lesioni di qualunque origine. Vi sono quindi condizioni fisiologiche che possono favorire l’ingresso dei funghi, quali microlesioni degli acini dovute a un rapido accrescimento delle bacche, principalmente con abbondante disponibilità di acqua durante la maturazione; piccole lesioni si possono generare anche in corrispondenza del punto di inserzione del picciolo. I danni meccanici, causati per esempio da forte pioggia battente o grandine, come pure dall’azione dell’uomo, costituiscono altre possibili vie di ingresso per gli aspergilli neri. Molto importante è anche l’interazione con altri patogeni, in particolare l’oidio, o parassiti, quali la tignoletta, che causando fessurazioni o fori sulle bacche favoriscono gli attacchi fungini e, nel secondo caso, in presenza di larve, anche la diffusione dell’inoculo. Le infezioni di aspergilli neri possono manifestarsi con marciume degli acini e sviluppo di una muffa nera, ma talvolta rimangono anche asintomatiche ed è possibile riscontrare la presenza di OTA anche in grappoli ritenuti sani. I monitoraggi eseguiti in diverse aree geografiche hanno comunque confermato che le contaminazioni sono di gran lunga superiori quando si osserva sviluppo di muffe nere.

Conidiofori e particolare di Aspergillus carbonarius Foto R. Angelini

Produzione di ocratossina L’ocratossina viene prodotta in campo nel periodo compreso tra l’inizio invaiatura e la raccolta. Le indagini volte a studiare la dinamica di accumulo della tossina nel grappolo non hanno portato risultati molto interessanti; in genere OTA è assente fino all’invaiatura, e se presente la contaminazione non è in relazione a quella che si osserva alla raccolta. Le condizioni meteoro-

Muffa grigia

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coltivazione logiche che accompagnano la maturazione sono fondamentali; diversi autori hanno confermato che le piogge in questo periodo risultano estremamente predisponenti alla sintesi della tossina. Gli aspergilli neri sono molto efficienti nella produzione di OTA e possono causare contaminazioni rilevanti anche in pochi giorni. Il periodo post-raccolta è ancora a rischio per la sintesi di tossina quando si procede con l’essiccazione o comunque finché l’uva viene mantenuta in condizioni che consentono l’attività dei funghi, quindi con temperature tra 15 e 30 °C e acqua libera negli acini fino a 0,95 aw. I funghi sopravvivono, pur non producendo OTA, in condizioni anche più estreme, quali 0 °C, con crescita a partire da 10 °C e 0,89 aw. Durante la vinificazione, l’innalzamento del grado alcolico inibisce l’attività dei funghi.

Danni causati dall’ingestione di micotossine

• Le micotossine sono in grado di causare

effetti tossici, acuti o cronici, sugli animali e sull’uomo. Gli effetti acuti sono dovuti a ingestione di alimenti molto contaminati, evento possibile solo occasionalmente e in Paesi in cui non si eseguono controlli sulle produzioni. Gli effetti cronici si verificano per ingestioni ripetute di alimenti a bassa contaminazione e hanno quindi maggiore probabilità di manifestarsi, soprattutto con scarso controllo delle produzioni

Azioni preventive L’OTA viene prodotta essenzialmente in campo; pertanto è fondamentale attuare tutte le possibili misure preventive che permettono di minimizzare la contaminazione dell’uva alla raccolta.

Ocratossina A rilevabile

OTA è rilevabile solo da inizio invaiatura La maggiore incidenza di aspergilli neri si riscontra tra l’inizio dell’invaiatura e la maturazione

Le bacche danneggiate presentano un alto rischio di accumulo di OTA

Le spore sono trasportate principalmente dal vento

I rischi di contaminazione aumentano in caso di attacchi di oidio e tignoletta

Il suolo e i residui colturali sono le principali fonti di inoculo

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Cultivar e tipologia della forma di allevamento influenzano la produzione di OTA


micotossine Anche l’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (OIV) si è occupata di questo tema e con la risoluzione viti-oeno 1/2005 ha stilato un documento nel quale sono illustrate tutte le buone pratiche per il vigneto. Particolare enfasi è stata data alla protezione fitosanitaria che svolge un ruolo primario nella prevenzione. Il controllo delle avversità, con particolare attenzione a oidio e tignoletta, risulta in genere risolutivo. Ocratossina nell’uva e derivati Monitoraggi sono stati eseguiti in vari Paesi del mondo, prendendo in considerazione le produzioni nazionali, ma anche i vini di diversa origine geografica presenti sui mercati. Il quadro complessivo sembra piuttosto tranquillo, in quanto si trovano vini con presenza di OTA, ma in genere i livelli di contaminazione sono contenuti, comunque nel rispetto dei limiti di legge. I valori più elevati di contaminazione riguardano i vini passiti o vini da dessert, ma anche l’uva passita. Non sono disponibili monitoraggi sull’uva da tavola, a eccezione di un lavoro israeliano che riporta l’assenza di OTA. I lavori pubblicati in genere concordano sul fatto che vi siano dei gradienti di contaminazione in relazione a diversi fattori; le zone di produzione a latitudine minore, per esempio, forniscono prodotti in genere più contaminati, ma una grande variabilità è stata osservata tra gli anni. Ciò è da imputare all’effetto che le condizioni climatiche esercitano sui funghi produttori di OTA.

Sviluppo di muffe nere su uva

Ocratossina e uva da tavola Le informazioni riguardo alla problematica dell’OTA nell’uva da tavola sono molto scarse e provengono solo da Israele. I funghi ocratossigeni sono presenti sui grappoli, ma non si rileva presenza di OTA. La carenza di informazioni è certamente dovuta in parte all’assenza di legislazione vigente per questo prodotto, ma molto probabilmente anche al fatto che OTA non rappresenta un problema nella pratica. La gestione dell’uva da tavola in campo è molto attenta; il consumatore richiede un prodotto perfetto, senza alterazioni degli acini, che si può ottenere sono con l’applicazione di buone pratiche e con un’attenta difesa fitosanitaria. Si può quindi affermare che l’uva da tavola è un prodotto a bassissimo rischio di contaminazione per la modalità con cui viene prodotta. Alla raccolta, l’attenta ispezione e l’eliminazione degli acini danneggiati o alterati, normalmente eseguita, contribuisce a mantenere molto basso il rischio di contaminazione da OTA. La conservazione del prodotto fino al consumo è gestita in modo da impedire l’attività fungina e quindi anche lo sviluppo di aspergilli neri è ostacolata.

Sviluppo di muffa nera su acini d’uva. Il punto d’inserimento del picciolo sull’acino è una via preferenziale d’ingresso di questi funghi

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l’uva da tavola

coltivazione Macchine per i trattamenti Pasquale Guarella, Paolo Balsari

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Macchine per i trattamenti Tipologie costruttive

Macchine per i trattamenti

Irroratrici ad aeroconvezione (atomizzatori) Sono realizzate nelle versioni portate o trainate dal trattore, con ventilatore a flusso d’aria assiale a volte abbinato a controventola fissa, raramente dotate di 2 ventole controrotanti e di raddrizzatori a lamelle regolabili posizionate all’uscita dell’aria. I deflettori a 2 alette, disposte sulla parte superiore delle macchine tradizionali, per questo specifico impiego vengono rimossi. Questa tipologia d’irroratrice è la più diffusa, poiché impiegabile anche per altre colture arboree, e la più economica. Può essere usata per trattamenti su tutti i filari (3+3 ugelli attivi) o a filari alterni (4+4 ugelli attivi) adeguando i profili di distribuzione alle caratteristiche della fascia vegeto-produttiva dell’interfilare di percorrenza. Alla medesima tipologia appartengono le irroratrici specializzate per tendone, dotate di ventola a flusso d’aria centrifugo, con dif-

• Le irroratrici in commercio,

prevalentemente o esclusivamente impiegate nei vigneti allevati a tendone per la produzione di uva da tavola, sono tutte a getto assistito da corrente d’aria, opportunamente allestite e regolate per la specifica forma d’allevamento e variante morfologica

Tipologie di macchine irroratrici per la viticoltura a tendone

Standard ad aeroconvezione, trainata

Ad aeroconvezione specializzata, con diffusori a manichetta

Pneumatica a ventaglio doppio

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Pneumatica a diffusori multipli

Pneumatica con carica elettrostatica e polverizzazione della vena liquida mediante aria compressa


macchine per i trattamenti fusori a manichetta, fissi (centrali) oppure orientabili (estremità), disposti a semicerchio, dotati, ciascuno, d’ugello fuori flusso. Fra gli inconvenienti delle irroratrici ad aeroconvezione si ricordano: – l’asimmetria destra-sinistra dello spruzzo, nel caso di modelli con unica ventola assiale, correggibile, in parte, intervenendo sul posizionamento degli ugelli sulle semibarre; – lo spruzzo fuori bersaglio, generato dai 2 ugelli più esterni in basso, con macchina operante con configurazione 4+4 ugelli attivi per trattamenti su filari alterni. Irroratrici pneumatiche (nebulizzatori) Questa tipologia d’irroratrice presenta diffusori multipli fissi oppure orientabili, a ventaglio unico o doppio, eroganti, lungo l’arco di 180°, corrente d’aria generata da un ventilatore centrifugo o da un apposito compressore. In generale, le irroratrici pneumatiche manifestano una buona uniformità di distribuzione, assenza di asimmetria destra-sinistra dello spruzzo, ma anche una scarsa adattabilità alle mutevoli esigenze della chioma e dei trattamenti. Considerata l’accertata dominanza del campo di moto dell’aria rispetto a quello dello spruzzo, anche ai fini della penetrazione di quest’ultimo all’interno della chioma, risultano importanti le conoscenze riguardanti le caratteristiche fluidodinamiche della corrente d’aria erogata dalle diverse tipologie d’irroratrice. I grafici a lato riportano i valori delle velocità registrati a un’altezza da terra di 2 m su una larghezza di 2,5 m, coincidenti – la prima – con l’altezza massima della chioma di un tendone e – la seconda – con la distanza tra 2 filari contigui. Sono apprezzate la regolarità e l’entità dei valori di picco, in grado di trasferire lo spruzzo all’interno della chioma sino alla parte superiore e meno esposta della stessa, non altrimenti raggiungibile.

Irroratrice ad aeroconvezione con ventola a flusso assiale

Irroratrice ad aeroconvezione con ventola a flusso radiale

Caratteristiche del bersaglio Il profilo di distribuzione dello spruzzo erogato dalle irroratrici dev’essere coerente con le caratteristiche del bersaglio da trattare. Nel caso di tendone per uva da tavola quest’ultimo presenta le seguenti specificità: – disposizione della vegetazione, su di un piano orizzontale a una quota dal terreno pari a 1,8-2 m, di spessore variabile, per la maggior parte o totalmente ubicata, in prossimità della raccolta, al di sopra dell’armatura metallica di sostegno; – localizzazione della fascia produttiva, distinta e sottostante la precedente, su una o due fasce fra loro separate e disposte ai lati dell’interfilare; – accessibilità del bersaglio allo spruzzo solo dal lato inferiore, cioè quello sottostante la fascia vegeto-produttiva, lungo una o due direzioni ortogonali (in croce) di possibile percorrenza delle irroratrici;

Irroratrice a polverizzazione pneumatica della vena liquida

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coltivazione – coincidenza della larghezza del bersaglio con quella dell’interfilare di transito dell’irroratrice (trattamento su tutti i filari) o con il suo doppio (trattamento a filari alterni). All’interno della viticoltura a tendone per uva da tavola, in relazione alle diverse condizioni pedo-climatiche, alle caratteristiche varietali e alle pratiche colturali, è dato osservare una certa variabilità del bersaglio (forma e volume della chioma, distribuzione spaziale dei grappoli), riconducibile, soprattutto, agli interventi di potatura invernale (numero e orientamento dei capi a frutto) e sul verde (frequenza, intensità e modalità di diradamento fogliare).

Modellizzazione dei vigneti a tendone

• Fra le principali varianti morfologiche,

influenzanti la modellizzazione dei vigneti a tendone per la produzione di uva da tavola, vi sono il numero e l’orientamento dei capi a frutto. Considerata l’asimmetria della chioma rispetto alle due direzioni possibili di percorrenza degli interfilari, si consiglia di adottarne una preferenziale (nello schema sotto indicata dalla freccia), adeguando il profilo di distribuzione dell’irroratrice a quello del bersaglio

Controllo e regolazione delle irroratrici Gli interventi di controllo diagnostico e la taratura delle irroratrici in uso, quali che siano le colture cui quest’ultime sono destinate, mirano ad alcuni obiettivi fondamentali: miglioramento dell’efficacia fitoiatrica, salvaguardia dell’ambiente mediante la riduzione delle perdite fuori bersaglio, tutela dell’operatore, del consumatore e, più in generale, della salute umana da un utilizzo non corretto degli agrofarmaci nel corso della distribuzione. Questi interventi corrispondono anche a un’esigenza derivante dall’evoluzione tecnologica delle irroratrici, caratterizzata da un impiego di dispositivi sempre più sofisticati e richiedenti, con mag-

Modellizzazione dei vigneti a tendone

306


macchine per i trattamenti giore frequenza, controlli e interventi meccanici, finalizzati, per un verso, al ripristino dell’efficienza operativa compromessa dall’uso prolungato e, per l’altro verso, all’adeguamento dello spruzzo alle caratteristiche colturali, specifiche per ciascun vigneto. Tali controlli, alcuni visivi, altri necessitanti di banchi-prova appositamente allestiti e di strumentazione dedicata, richiedono – il più delle volte – l’intervento di strutture extraziendali e di personale tecnico appositamente addestrato e abilitato. Al termine di ciascun controllo – effettuato secondo protocolli specifici concordati in sede nazionale (ENAMA - Ente Nazionale per la Meccanizzazione Agricola) e ispirati alle Norme EN – nel caso di esito positivo, viene rilasciato un attestato di funzionalità che rappresenta l’unico documento ufficiale per il mutuo riconoscimento su tutto il territorio nazionale della rispondenza della macchina irroratrice ai requisiti di funzionalità previsti dai documenti ENAMA. La regolazione delle irroratrici, comunemente denominata taratura, è, invece, finalizzata all’adattamento delle modalità d’utilizzo delle macchine alle particolari realtà colturali aziendali. Volume di distribuzione In assenza di prescrizioni specifiche (volumi massimi indicati in etichetta del prodotto fitoiatrico), è bene fare riferimento alle indicazioni dei Disciplinari di Produzione (800-1000 l/ha o 600-800 l/ha a seconda che si utilizzino, rispettivamente, irroratrici ad aeroconvezione o pneumatiche), con propensione a una riduzione degli stessi quando si impiegano irroratrici opportunamente regolate (getto per lo più indirizzato verso il bersaglio). Va a tal fine ricordato che, il più delle volte, volumi elevati non determinano maggiore efficacia dell’intervento, ma solo un incremento dei costi, dell’inquinamento, dei rischi di residui visibili e danneggiamenti delle bacche per l’effetto di sovradosaggi. Velocità d’avanzamento. Nel caso di vigneti a tendone ubicati su terreni irregolari, la velocità d’avanzamento è, innanzitutto, subordinata alle esigenze di sicurezza e comfort dell’operatore, a causa dei sobbalzi che potrebbero annullare la già esigua distanza tra la sua testa e la sovrastante fascia vegeto-produttiva. Essa dovrebbe essere anche modificata in funzione dell’epoca in cui viene effettuato il trattamento: velocità maggiori nelle prime fasi vegetative e velocità minori nelle fasi successive, in presenza dei grappoli e di vegetazione più densa, in un intervallo, comunque, compreso tra 4 e 6 km/h. Residui visibili di prodotto fitosanitario (sopra) e danni alle bacche (sotto), conseguenti a errori di sovradosaggio

Modalità di movimento della macchina in campo L’alternanza, egualmente adottata nella viticoltura a tendone, tra trattamenti effettuati su tutti i filari, ispirati alla necessità del far be307


coltivazione Trattamenti con distribuzione a filari alterni Trattamenti con distribuzione a filari alterni

Fasi fenologiche: Fine fioritura Inizio maturazione

• La tecnica di distribuzione a filari alterni

Deposito medio (valori indice): 74 77 51 100 56

provoca una riduzione dei depositi sui due semifilari contigui a quello di percorrenza (valori indice dei depositi medi sulla vegetazione) rispetto a quello dell’interfilare di transito dell’irroratrice, come indicato dalla figura a lato L 121° 144°

150°

104°

2L

78° 59° 40°

ne, e trattamenti a filari alterni, suggeriti dall’esigenza di far presto, complica la regolazione delle irroratrici delle aziende che adottano entrambi i criteri, in relazione alle circostanze del momento (tipo di parassita, virulenza e intensità dell’attacco parassitario ecc.) poiché obbliga al ricalcolo dei parametri funzionali dell’irroratrice in dotazione. È dimostrato sperimentalmente che la distribuzione a filari alterni penalizza, in termini di deposito fogliare, i semifilari adiacenti a quello percorso dall’irroratrice. La modifica dell’orientamento spaziale degli ugelli influenza il profilo di distribuzione dello spruzzo e consente di ridurre le perdite fuori bersaglio. Di queste ultime sono maggiormente responsabili, nell’assetto distributivo 4+4 ugelli attivi, i due ugelli posizionati in basso, soprattutto quando angolati verso l’esterno nel caso di trattamenti a filari alterni.

35°

I due ugelli attivi posizionati più in basso, quando angolati verso l’esterno, sono maggiormente responsabili delle perdite fuori bersaglio Foto R. Angelini

Pressione d’esercizio Si ricorda che la pressione è un importante parametro di rego­ lazione soltanto nel caso delle irroratrici ad aeroconvezione poiché determina, congiuntamente, secondo leggi sperimentalmente ben definite, variazioni della portata degli ugelli, dunque del volume complessivo erogato dalla macchina, e delle caratteristiche dimensionali della popolazione di gocce. Nel caso delle irroratrici pneumatiche, invece, la pressione esercitata sul liquido serve soltanto alla regolarizzazione del trasferimento della miscela dal serbatoio ai diffusori. I valori delle pressioni d’esercizio correntemente adottati nella viticoltura a tendone (mediamente oscillanti nell’intorno di 20 bar), sulla scorta di specifiche esperienze, risultano eccessivi, soprattutto nelle prime fasi fenologiche della coltura e, più in generale, in 308


macchine per i trattamenti presenza di sviluppo fogliare ridotto. In ogni caso, va decisamente sconsigliato l’utilizzo della pressione per modificare la capacità di penetrazione dello spruzzo all’interno alla vegetazione, in quanto quest’ultima è influenzata solo, anche se in misura contenuta, dal flusso d’aria erogato dal ventilatore. Si suggerisce, pertanto, di operare a pressioni non superiori ai 15 bar per evitare la formazione di gocce troppo piccole e facilmente soggette alla deriva e all’evaporazione oltre che per contenere l’usura sia degli ugelli sia degli altri componenti del circuito idraulico. Portata del ventilatore La portata d’aria esplica una funzione differente a seconda della tipologia del ventilatore e dell’irroratrice sulla quale è montato: ventilatore assiale, talvolta centrifugo, nelle irroratrici ad aeroconvezione; centrifugo in quelle pneumatiche. È un parametro sul quale è possibile intervenire, senza modificarne altri, solo nel caso d’irroratrici ad aeroconvezione a polverizzazione della vena liquida per pressione. Contrariamente alla tendenza a impiegare portate d’aria sempre più elevate,si consiglia di contenerle entro valori compresi fra 10.000 e 15.000 m3/h a seconda dello sviluppo vegetativo del vigneto, soprattutto quando dotato di copertura con film plastico continuo.

Determinazione del profilo diagramma di distribuzione trasversale: parete captante del banco-prova informatizzato e irroratrice nel corso della determinazione da fermo del profilo di distribuzione trasversale dello spruzzo erogato

Diagramma di distribuzione Esso viene determinato ed eventualmente corretto utilizzando una parete captante artificiale di un banco-prova appositamente allestito per lo scopo. Grazie a tale determinazione e intervenendo opportunamente sulla macchina irroratrice (inclinazione ugelli, attivazione/disattivazione degli stessi, regolazione della posizione dei deflettori dell’aria ecc.) s’intende far sì che il getto interessi, nella misura massima possibile, il bersaglio oggetto del trattamento. In questa fase risultano indispensabili le informazioni fornite dal proprietario/utilizzatore, il solo a conoscenza e dunque in grado di fornire le indicazioni necessarie, riguardanti le caratteristiche colturali dei vigneti a tendone interessati dall’irroratrice da regolare. In particolare, ai fini di una precisa regolazione della irroratrice, è necessario fare riferimento non a una generica forma di allevamento, ma allo specifico bersaglio oggetto del trattamento fitoiatrico, definito nelle sue caratteristiche dimensionali e geometriche riferite alla vegetazione e alle fasce di fruttificazione. Tenuto conto che tali caratteristiche si modificano sensibilmente in coincidenza di alcune fasi fenologiche e interventi colturali (potatura verde, soprattutto), è necessario che la taratura faccia riferimento al profilo vegetativo e produttivo che il vigneto assume nei periodi ritenuti più critici in termini di intensità e pericolosità degli attacchi parassitari.

Foto R. Angelini

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coltivazione Aspetti ambientali della distribuzione dei fitofarmaci Fenomeno della deriva Da alcuni anni, in Paesi del Nord Europa quali Germania, Gran Bretagna, Svezia e Olanda, sono entrate in vigore delle misure legislative che regolano i criteri con i quali devono essere condotti i trattamenti fitoiatrici al fine di ridurre i rischi di inquinamento ambientale dovuti al fenomeno della deriva, ossia della dispersione di parte della miscela applicata al di fuori dell’area trattata. In particolare, tali misure legislative prevedono il mantenimento di fasce di rispetto, in corrispondenza dei margini del campo, che hanno la funzione di salvaguardare le aree adiacenti dagli effetti negativi legati alla deriva del prodotto fitoiatrico. L’ampiezza delle zone di rispetto, generalmente compresa fra 1 e 10 m, è definita in funzione del tipo di attrezzatura impiegato per la distribuzione dell’agrofarmaco, della dose di prodotto utilizzata, delle caratteristiche delle aree adiacenti (altre coltivazioni sensibili all’agrofarmaco distribuito, corsi d’acqua superficiali, aree abitate). Gli agricoltori che utilizzano macchine irroratrici dotate di dispositivi per il contenimento della deriva sono autorizzati a ridurre l’ampiezza delle zone di rispetto, quindi a trattare una superficie maggiore e ciò, in alcune condizioni, rappresenta una differenza, anche in termini economici, non trascurabile. In particolare, tra i sistemi in grado di limitare gli effetti della deriva si ricordano gli ugelli antideriva che, producendo gocce mediamente più grandi rispetto agli ugelli tradizionali a parità di pressione di esercizio e di portata, fanno sì che il getto erogato sia meno sensibile alle sollecitazioni delle correnti d’aria.

Esempi di modellizzazione della chioma di un tendone in due diverse fasi fenologiche Fase fenologica “fine fioritura” 6 4 1

LAI (m2/m2) α β χ δ ε φ

36 53

Spessori della vegetazione (cm)

Fase fenologica “fine maturazione” 6 4 1

LAI (m2/m2) α β χ δ ε φ

Pulizia dell’irroratrice e lavaggio dei contenitori dei fitofarmaci Sempre nell’ottica del rispetto ambientale, è importante, al termine della fase di distribuzione della miscela fitoiatrica, poter effettuare un adeguato lavaggio del serbatoio principale e del circuito idraulico con un volume adeguato di acqua pulita, al fine di diluire la miscela residua in tali parti della macchina irroratrice. A tal fine, recenti normative europee (EN 12761) prevedono che le macchine irroratrici, con serbatoio principale di capacità superiore ai 400 litri, siano dotate di un serbatoio ausiliario per il lavaggio dell’impianto. Grazie a questa riserva di acqua pulita il fitofarmaco residuo nell’irroratrice al termine del trattamento può essere opportunamente diluito e applicato in campo senza creare fenomeni di fitotossicità ed evitando un suo smaltimento puntuale, pratica quest’ultima oggi molto diffusa e che è ritenuta una delle principali cause di inquinamento puntiforme da agrofarmaci delle falde acquifere. Sempre con l’intento di contenere l’inquinamento puntiforme legato alla fase di lavaggio della macchina irroratrice, in questo caso la sua superficie esterna sulla quale si può depositare fino al 2%

47 56

46

Spessori della vegetazione e della fruttificazione (cm)

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macchine per i trattamenti del prodotto distribuito, in sede ISO sono in fase di preparazione alcune norme riguardanti la verifica dell’efficienza delle soluzioni tecniche (spazzole, getti ad alta pressione ecc.) per il lavaggio in campo della superficie esterna del serbatoio e della macchina irroratrice, che, nel corso della distribuzione, viene contaminata dalla miscela fitoiatrica. Un altro aspetto strettamente legato all’impatto ambientale dei trattamenti fitoiatrici riguarda la gestione dei contenitori dei fitofarmaci vuoti. l rischi di contaminazione ambientale legati allo stoccaggio e allo smaltimento improprio di tali contenitori sono elevati, tuttavia gli agricoltori sono costretti a seguire soluzioni spesso non ottimali, mancando a livello nazionale un’adeguata rete per la loro raccolta e smaltimento. Un’operazione necessaria e prevista anche da specifiche norme (per esempio D.G.R. n. 26-25685 del 19/10/98), al fine di ridurre la pericolosità di tali rifiuti, è la rimozione dell’agrofarmaco residuo attraverso il risciacquo del contenitore esausto. Da diversi anni, sono disponibili su alcune macchine irroratrici dei sistemi per il lavaggio dei contenitori. Si tratta di un ugello rotativo, generalmente inserito nel serbatoio premiscelatore o in prossimità dell’apertura del serbatoio principale, sul quale viene inserito il contenitore vuoto capovolto. Tale dispositivo, erogando una portata di almeno 9 litri/minuto, consente di rimuovere in poco tempo il residuo di agrofarmaco ancora presente nel contenitore, inviandolo direttamente nel serbatoio principale dove è presente la miscela da distribuire.

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

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l’uva da tavola

coltivazione Flora spontanea Pasquale Viggiani

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Flora spontanea Introduzione Durante l’inverno i vigneti di uva da tavola si ricoprono delle tipiche infestanti annuali a nascita autunnale e invernale, come alcune graminacee (forasacco e loglio), molte dicotiledoni (senape e ruchetta, centocchio, crisantemo, fiorrancio e altre) e come la maggior parte delle infestanti vivaci e perenni (soffione, romice ecc.) che nel complesso formano veri e propri tappeti erbosi, particolarmente lussureggianti nei vigneti dell’Italia meridionale. Questa flora viene solitamente eliminata con le lavorazioni oppure, nelle aree lungo il filare, con apposito diserbo chimico, salvo sfalciarla per formare un substrato vegetale che faciliti il passaggio delle macchine operatrici. Un destino simile è riservato anche all’infestazione che nasce durante la primavera e l’estate. La composizione e l’abbondanza di quest’ultima dipendono da molti fattori; oltre ai consueti, come la natura del terreno e il clima sono da considerare principalmente quelli relativi alla gestione agronomica del vigneto, con particolare riferimento: – alla forma di allevamento della vite e all’eventuale uso di reti ombreggianti; – all’impiego dell’irrigazione; – alle lavorazioni del terreno; – alla possibilità di migliorare la struttura del terreno e di arricchire quest’ultimo di azoto.

Tendone lavorato in Puglia

Foto L. Fiorilla

Effetto del sistema di allevamento e dell’irrigazione. L’ormai consolidata forma di allevamento della vite di uva da tavola è il tendone; più recente, in Puglia specialmente, è l’avvento del pergolato che ormai sta soppiantando la forma a tendone. Sia il tendone sia il pergolato, specialmente se ricoperti da teloni ombreggianti,

Infestazione a chiazze in tendone siciliano

Tendone in Abruzzo vivacemente “colorato” dall’abbondante presenza di infestanti

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flora spontanea caratterizzano ambienti poco adatti allo sviluppo delle piante infestanti sotto il vigneto, principalmente a causa della scarsità di luce diretta che riesce a penetrare tra le foglie e i rami della vite. In questi ambienti sono avvantaggiate le cosiddette specie sciafile (dette anche ombrivaghe o eliofobe), come per esempio l’acetosella gialla, capaci di sfruttare efficacemente la poca luce per svolgere i processi di fotosintesi clorofilliana, a scapito di quelle eliofile (dette anche lucivaghe), come, per esempio, la gramigna, l’amaranto e lo zigolo, che preferiscono ambienti molto luminosi. Nel sistema a tendone il coacervo dei tralci e delle foglie delle piante di vite nel pieno del loro sviluppo vegetativo e l’intreccio delle impalcature e dei fili sui quali essi poggiano costituiscono una barriera che limita notevolmente il passaggio della luce solare. Ciò non di meno la luce penetra attraverso gli spazi liberi e, in corrispondenza di questi, sul terreno sottostante si rendono visibili chiazze illuminate che si spostano in conseguenza del variare dell’angolo di incidenza dei raggi solari durante il giorno. In queste condizioni la vegetazione spontanea assume una distribuzione irregolare, a macchia di leopardo, che diventa più regolare e meno intensa se sul tendone vengono poste reti ombreggianti. L’effetto a chiazze viene esaltato dall’eventuale adozione dell’irrigazione a goccia che crea zone di terreno più umide, sotto gli ugelli, dove le erbe infestanti sono più lussureggianti, e zone con minore umidità (nei tratti di superficie tra gli ugelli) e meno infestate. Diverso è il caso del sistema a pergolato, costituito da file contigue di pergole a doppia falda tra le quali sono sospesi i tubi per l’irrigazione e i relativi ugelli; nel pieno sviluppo vegetativo delle viti la luce solare si insinua tra le file e illumina strisce continue di terreno sottostante. Questa situazione permane anche quando il pergolato viene coperto con reti ombreggianti, nel qual caso, anzi, il contrasto tra zone d’ombra e zone illuminate risulta esaltato se la copertura non è continua su tutto il vigneto ma è formata da strisce di materiale, coprenti i singoli filari ma non sovrapposte ai margini. In questo caso il complesso delle avventizie si concentra tra i filari di pergole, dove la luce solare insiste più a lungo durante il giorno e dove il terreno è più umido in virtù dell’irrigazione. La peculiare architettura delle impalcature usate per l’impianto dei tendoni e dei pergolati è, infine, particolarmente adatta allo sviluppo di alcune specie lianose o rampicanti che, seppure non molto di frequente e solo in condizioni particolari, possono invadere i primi filari periferici del vigneto; fra queste specie le più frequenti sono la brionia, il dulcamara e la vitalba.

Foto G. Zapparrata

Tendone lavorato in Sicilia

Effetto delle lavorazioni. Per quanto attiene alle lavorazioni del terreno c’è da considerare che in prossimità dell’impianto queste operazioni avvantaggiano le specie a ciclo annuale, come molte graminacee (loglio, forasacco, setaria e altre) e alcune dicotiledoni (veronica, centocchio, amaranto e altre), a scapito di quelle vivaci

Tipica dislocazione delle infestanti in un pergolato

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coltivazione o perenni (come il soffione, la gramigna, il romice e altre). Queste ultime però col passare del tempo tendono a prevalere sulle altre, specialmente in assenza di lavorazioni ma anche con lavorazioni ripetute su terreni già particolarmente ricchi dei loro organi di moltiplicazione, quali rizomi e tuberi. Quantunque l’abitudine di lavorare (fresare e/o erpicare) ripetutamente sia radicata, specialmente nei vigneti siciliani, la tendenza attuale in Puglia è quella di ridurre drasticamente, per numero e intensità, le lavorazioni del vigneto. Occorre considerare però che la riduzione o l’assenza delle lavorazioni costituisce la causa principale della diffusione di alcune specie infestanti, come per esempio la saeppola canadese e l’astro annuale, quest’ultimo sempre più presente nei vigneti meridionali. In particolare la prima specie, che possiamo considerare uno dei tanti lasciti negativi della politica del set-aside, ha colonizzato, nel giro di pochi anni, estese aree in tutta l’Italia, principalmente grazie alla sua efficace strategia di diffusione e, come si sta osservando recentemente, anche alla sua capacità di evolvere in popolazioni resistenti agli erbicidi. Trasemina di essenze da sfalcio e da sovescio. Una pratica che si sta affermando nei vigneti pugliesi è la trasemina di piante leguminose foraggere, come il favino, il trifoglio e la veccia. Queste specie sono capaci di catturare e trattenere l’azoto atmosferico tramite la flora batterica che vive in simbiosi sulle loro radici. Verso la fine della fioritura queste piante vengono incorporate nel terreno, con un’apposita lavorazione (pratica del sovescio, già nota agli antichi Romani), allo scopo principale di arricchire il terreno di quell’importante elemento nutritivo e di migliorare la sua struttura con l’abbondante materiale vegetale sotterrato. La veccia e il trifoglio, miste ad altre essenze da erbaio, possono anche essere sfalciate, anziché interrate, per costituire un ottimo substrato pacciamante che limita nuove rinascite di infestanti e che facilita il passaggio delle macchine operatrici per la raccolta o per altre operazioni colturali. Altre piante seminate appositamente sotto il vigneto e poi sfalciate sono la senape bianca e la facelia. Queste due ultime essenze sono anche impiegate allo scopo di distrarre, con la loro abbondante e prolungata fioritura, la frankliniella, un insetto che si nutre specialmente di polline e che, in assenza di altri fiori, attacca i grappoli fioriti della vite o anche gli acini già formati, apportando notevoli danni. Sotto questo aspetto, perciò, un’abbondante presenza di piante infestanti fiorite, salvo considerare i risvolti negativi dovuti ai problemi di competizione tra esse e le piante di viti, potrebbe essere positiva, in particolare se si tratta di alcune specie che sono in grado di richiamare e di ospitare per lungo tempo l’insetto; fra le specie più adatte a questo scopo si ricordano l’acetosella gialla, il fiorrancio, i crisantemi e la ruchetta violacea, oltre alle piante coltivate ricordate prima.

Saeppola canadese

Foto R. Angelini

Saeppola canadese: la sua diffusione è stata favorita dal set-aside

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flora spontanea Piante da sovescio e piante infestanti più diffuse nei vigneti di uva da tavola Tipologia infestanti

Nome comune (*dicotiledoni **monocotiledoni)

Piante da sovescio o da sfalcio

Presenza stagionale ed epoca di fioritura (in azzurro) Primavera

Facelia* Favino* Senape bianca* Trifoglio* Veccia*

Piante spontanee erbacee

Acetosella gialla* Amaranto* Astro annuale* Cardo campestre* Centocchio comune* Chenopodio* Crisantemo selvatico* Fiorrancio* Forasacco** Gramaccia** Gramigna comune** Loglio** Malva* Morella rossa* Porcellana* Romice* Ruchetta violacea* Saeppola canadese* Setaria** Soffione* Veronica* Zigolo infestante**

Piante spontanee rampicanti

Brionia* Dulcamara* Vitalba*

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Estate

Autunno

Inverno


coltivazione Descrizione delle specie Acetosella gialla (Oxalis pes-caprae). Le foglie di questa Oxalidacea hanno sapore di aceto e sono ricche di acido ossalico; la forma delle radici ricorda gli zoccoli delle capre: queste caratteristiche sono riassunte nel nome latino della specie. Alle radici sono attaccati piccoli tuberi che servono per la riproduzione delle piante. Il fusto è liscio e privo di foglie; alla sommità sono inseriti, invece, ciuffi di vistosi fiori. La corolla di ogni fiore è formata da cinque petali di colore giallo citrino, saldati alla base, che si chiudono durante la notte. Le foglie, come i fiori, si chiudono durante la notte; esse sono costituite ognuna da tre segmenti cuoriformi (ricordano quelle del trifoglio) di colore verde screziato con macchioline color ruggine. Le piante di acetosella gialla fioriscono all’inizio della primavera colonizzando, nel Sud Italia, grandi superfici di terreno, coltivato a vigneto e ad altre colture, sulle quali costituiscono sgargianti tappeti erbosi.

Foto R. Angelini

Acetosella gialla

Amaranto comune o blito (Amaranthus retroflexus). Il nome di questa Amarantacea deriva dal greco e significa “pianta che non appassisce e che ha le infiorescenze recline all’indietro”. La specie ha fusto robusto ed eretto, alto anche più di un metro, leggermente lignificato alla base nelle piante adulte e sovente sfumato di rosso. Le foglie sono intere, romboidali, visibilmente nervate e spesso rossastre, specialmente sulla pagina inferiore. I fiori sono piccolissimi e verdastri, riuniti su ampie pannocchie. Da ogni fiore ha origine una piccola capsula che si apre nella parte superiore con un coperchietto (pisside). Piante di origine centro-nord americana dove sono anche utilizzate a scopo alimentare. Nei vigneti si trovano anche altre due specie di amaranto: amaranto ibrido (A. hybridus), molto simile a quello comune, e amaranto bianco (A. albus), che ha fusti prostrati.

Foto R. Angelini

Amaranto comune

Astro annuale (Aster squamatus). Pianta dai bellissimi, seppure piccoli, capolini violacei, a forma di stelle, che giustificano il suo nome (in pieno settembre la pianta fiorita vista dall’alto dà l’impressione di un vero e proprio firmamento). Questo genere di piante ha dato il nome all’intera famiglia di cui fanno parte le Asteracee (dette anche Composite). Si tratta di piante con fusto coriaceo ed eretto, sottile e molto ramificato. Le foglie inferiori sono lanceolate e allungate, quelle superiori sono sottili e inframmezzate ai capolini. Questi ultimi sono formati da molti fiori ligulati inseriti in un ricettacolo circondato da squame verdastre, più scure e acute alla sommità. A maturità da ogni fiore origina un frutto (achenio) sottile e corto (meno di 2 millimetri) sormontato da un pappo sericeo roseo lungo circa 3 volte il frutto stesso. Questa specie sta invadendo, ormai da qualche anno, i vigneti di uva da tavola pugliesi.

Astro annuale

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flora spontanea Brionia comune o vite bianca o zucca selvatica (Bryonia dioica). Nelle zone umide si trova frequentemente questa cucurbitacea, dall’aspetto di una liana ma interamente erbacea, che avviluppa le piante ospiti con i suoi lunghi e sottili rami muniti di cirri. Le radici sono rizomatose. Le foglie sono ispide, palmate e pentagonali. I fiori sono riuniti in racemi e sono unisessuali, vale a dire che sono o solo maschili o solo femminili, con 5 petali gialli variegati e saldati alla base. Da ogni fiore femminile si sviluppa una bacca sferica, rossa a maturità. La specie è diffusa ovunque, sulle siepi o nelle boscaglie, e si adatta molto bene a invadere i tendoni di uva da tavola, anche se ciò accade raramente e solo nelle situazioni di incuria prolungata. In Sicilia si trova con una certa frequenza la brionia siciliana (Bryonia acuta) che ha rami molto ruvidi e foglie con lamina triangolare o profondamente incisa in lobi acuti.

Problematiche dell’innesto

• L’attuale sistema di moltiplicazione

della vite, tramite innesto a tavolo e sua propagazione, evidenzia alcune difficoltà operative legate soprattutto ai tempi di produzione. Infatti, l’imprenditore vivaista deve prevedere l’anno prima l’andamento del mercato e scegliere le varietà, i cloni, i portinnesti più adatti alle zone da dove presumibilmente proverrà la maggiore domanda. Infatti, la barbatella che viene venduta Brionia comune viene preparata l’anno al viticoltore precedente e solo raramente l’azienda Foto G. Cortese viticola prenota con largo anticipo le barbatelle che intende mettere a dimora

Cardo campestre o stoppione (Cirsium arvense). Il significato del nome latino di questa composita, che si trova frequentemente nei campi (arvense) si riferisce alla sua proprietà, sfruttata in passato, di curare le varici. La specie è spinosa e si trova immancabilmente tra le stoppie del grano: ciò è riassunto nei due nomi italiani. Il fusto delle piante adulte è eretto e alto anche più di un metro. Si tratta di una specie perenne che si riproduce quasi esclusivamente tramite gemme che si differenziano sulle radici. Negli ambienti italiani, infatti, i semi non maturano specialmente per problemi legati all’impollinazione, visto che i fiori sono di un solo sesso e sono separati su piante diverse; per cercare di aumentare le probabilità di impollinazione la specie forma fiori con un forte odore di muschio che attira molte farfalle impollinatrici. La sua permanenza nei tendoni va dalla fine dell’inverno all’autunno inoltrato.

Cardo campestre

Centocchio comune o stellaria (Stellaria media). Tutti e tre i nomi riguardano caratteristiche dei fiori: la loro abbondanza traspare dal primo nome italiano; la loro forma è ricordata negli altri due sostantivi. Questa specie appartiene alla famiglia delle Cariofillacee, i cui rappresentanti più noti sono i garofani. I fusti sono gracili, prostrati e radicanti, lisci tranne per una linea di peli che li percorrono dall’alto in basso e che serve per convogliare l’acqua piovana verso le radici. Le foglie sono senza picciolo, a eccezione di quelle basali, che hanno un picciolo corto; la lamina è ovale o ellissoidale acuta alla sommità. Ogni fiore è formato da cinque petali bianchi profondamente incisi a metà che sovrastano un calice formato da cinque sepali verdi poco più lunghi dei petali. Il frutto è una capsula che si apre a maturità e libera molti semi minuscoli lenticolari e con la superficie rugosa. La fioritura si concentra in primavera, ma può avvenire in qualsiasi periodo dell’anno.

Foto R. Angelini

Centocchio comune

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coltivazione Chenopodio o farinello (Chenopodium). Il primo nome italiano e quello latino significano “a forma di piede d’oca” con riferimento alle foglie; il nome è stato ripreso dall’intera famiglia (Chenopodiacee) della quale i chenopodi fanno parte. Anche il secondo nome italiano descrive una caratteristica delle foglie che sono ricoperte da un sottilissimo strato di pruina biancastra dall’aspetto di farina. Si tratta di piante per lo più rigogliose che spesso sono alte un metro o più, con fusti tenaci e fibrosi sovente striati di violaceo. I piccolissimo fiori sono privi di petali veri e propri, sono verdastri e riuniti in pannocchie ampie e fogliose poste alla sommità del fusto principale e dei rami. Da ogni fiore ha origine un seme lenticolare scuro o marrone, generalmente opaco ma a volte lucido, come nel polisporo (Chenopodium polyspermum). La specie più diffusa nei vigneti è il farinello bianco (Chenopodium album).

Foto R. Angelini

Chenopodio bianco

Crisantemo selvatico (Chrysanthemum). Queste piante, dai fiori d’oro (come racconta il nome latino), appartengono alla famiglia delle Composite, dette anche Asteracee per la forma dei capolini di alcune piante del genere Aster. La radice è fittonante, il fusto tenace ed eretto. Di solito colonizzano gli spazi aperti, lungo i fossi, oppure si trovano frequentemente nei campi di frumento. Sono piante che possono installarsi anche nei vigneti conferendo un indubbio effetto decorativo con la loro sfolgorante fioritura primaverile ma attirando anche innumerevoli insetti, molti dei quali dannosi. Le due specie che si trovano con frequenza sono il crisantemo giallo o fior d’oro (Chrysanthemum coronarium), con foglie verdi e profondamente divise, e il crisantemo campestre o ingrassabue (Chrysanthemum segetum), simile ma con foglie grassette, poco incise sui margini e di colore verde-azzurrognolo.

Crisantemo selvatico

Dulcamara o vite selvatica (Solanum dulcamara). La solanina, alcaloide tossico, contenuta in tutte le parti della pianta, conferisce alla stessa sapore dapprima amaro e poi dolce (dulcamara). Il secondo nome italiano sottolinea il portamento di liana simile a quello della vite. Pianta dalla crescita veloce, con fusto legnoso alla base ed erbaceo alla sommità. Rami volubili e sottili che si adagiano sul terreno o si comportano da rampicanti invadendo supporti e piante vicine. Le foglie basali hanno lamina triangolare con picciolo alato; quelle superiori hanno lamina composta da un segmento ben visibile e due ali alla base. I fiori hanno corolla violetta, formata da cinque petali saldati alla base e acuti alla sommità; essi sono riuniti, a 10-20, in cime apicali fogliose simili a ombrelle rade. I frutti sono bacche inizialmente giallognole ma che diventano rosse a maturità e resistono sulla pianta anche dopo l’avvizzimento e la caduta delle foglie.

Dulcamara

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flora spontanea Facelia o pergante (Phacelia tanacetifolia). Già da qualche anno in alcuni vigneti pugliesi di uva da tavola si coltiva appositamente questa specie allo scopo di sovesciarla a fine ciclo. Si tratta di una dicotiledone annuale, della famiglia delle Idrofillacee, che si semina in primavera e fiorisce durante l’estate e l’autunno, ma al Sud Italia si può seminare anche in autunno con fioritura primaverile. La pianta ha fusto eretto ramoso e ispido, alto fino a 7080 cm. Le foglie hanno lamina profondamente incisa come quelle del tanaceto (una composita): da qui l’aggettivo specifico. I fiori sono azzurro-violacei, con cinque petali arrotondati e saldati alla base e antere molto sporgenti; essi sono raccolti su infiorescenze (cime) simili nella forma a code di scorpione e disposte in fasci come ricorda il nome del genere. La specie è buona nettarifera, ma alcuni lamentano il fatto che attiri, oltre a insetti utili, anche insetti dannosi. Facelia

Favino (Vicia faba minor). Il favino è una varietà botanica della comune fava da granella e si coltiva per ricavarne foraggio o come pianta da sovescio per arricchire il terreno di azoto e per migliorare la sua struttura. Le piante e i semi di questa leguminosa sono simili, ma più piccoli, a quelli della fava: è a queste caratteristiche che si riferisce l’aggettivo minor. I fusti sono quadrangolari, semivuoti internamente e fragili nelle piante giovani. Le foglie sono costituite da 2-4 paia di segmenti peduncolati accomunati dallo stesso asse che termina con un moncone di cirro. I fiori sono bianchi, screziati di viola e con una macchia nera alla base. Il frutto, come in tutte le leguminose, è un legume allungato, contenente 3-5 semi scuri. La specie si adatta bene ai climi miti e a diversi tipi di terreno, purché non eccessivamente secchi o umidi (è molto soggetta ad attacchi di crittogame).

Favino Foto R. Angelini

Fiorrancio selvatico (Calendula arvensis). Questa pianta dai fiori arancioni (fiorrancio) è molto comune nei campi (arvense) delle colture erbacee ortive e nei frutteti del Meridione, con particolare predilezione per i vigneti; essa fiorisce ripetutamente, specialmente, pare, all’inizio del mese (calendula). Il fusto è eretto, non molto alto, ramificato e ricoperto da una peluria corta. Le foglie sono a forma di spatola (senza picciolo). I fiori formano capolini appariscenti di circa 2 cm di diametro. La caratteristica della specie, però, che la distingue dalle altre composite, riguarda la particolarissima forma dei frutti-semi (acheni), contorti o falciformi, con un’evidente cresta ed evidenti tubercoli appuntiti e non. Le piante di calendula nascono solitamente in estese colonie e danno origine a coreografiche fioriture che interessano, il più delle volte, interi appezzamenti, specialmente all’inizio della primavera.

Fiorrancio selvatico

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coltivazione Forasacco (Bromus). Il nome latino di questo gruppo di piante deriva dal greco e significa “cibo, nutrimento”, con riferimento all’utilizzo come foraggio. Vi appartengono piante monocotiledoni graminacee, generalmente pelosette e con fusti robusti e cavi all’interno (culmi). Le piante giovani hanno aspetto cespitoso, con foglie nastriformi e pelosette. I fiori sono raccolti in spighette e queste in infiorescenze più grandi a forma di pannocchia con reste più o meno lunghe. Nei vigneti si trovano diverse specie, tra le quali spiccano: il forasacco propriamente detto (B. erectus), il forasacco peloso (B. mollis), il forasacco dei campi (B. arvensis) e il forasacco rosso (B. sterilis). La pannocchia della prima specie citata ha reste molto corte (meno di 1 cm) in confronto a quelle delle altre specie (lunghe più di 1 cm). Il forasacco rosso ha spighette compresse mentre nelle altre due specie rimaste le spighette sono coniche e particolarmente pelose nel forasacco peloso.

Foto R. Angelini

Forasacco Foto R. Angelini

Gramaccia o gramignone (Agropyron repens). Il nome latino significa “grano selvatico che striscia”; l’accostamento con il frumento riguarda la similitudine di forma delle spighe delle due specie, anche se quelle della gramaccia sono molto più sottili mentre il portamento strisciante si riferisce alla parte inferiore del fusto o, più verosimilmente, a quello del rizoma radicale che striscia sotto la superficie del terreno. Anche il nome italiano rievoca la somiglianza di questa specie con un’altra graminacea: la gramigna, anzi, molti autori usano il nome di gramigna per entrambe. In realtà, le piante adulte di gramaccia sono molto simili a quelle del loglio (descritto qui di seguito), se non fosse che il loglio non ha rizoma, ha le foglie lucide (in gramaccia sono opache) e ha la spiga compressa (in gramaccia è spigolosa). Come la gramigna questa specie è perenne.

Foto R. Angelini

Gramigna comune o dente di cane (Cynodon dactylon). Il significato del nome deriva dal greco e allude alle gemme dei suoi rizomi simili a denti di cane (leggi anche il secondo nome italiano); le sue infiorescenze, inoltre, ricordano le dita della mano aperta (dactylon). La specie, come la precedente, è una graminacea con apparato radicale rizomatoso ma essa forma anche rami nodosi (stoloni). Questi ultimi strisciano sulla superficie del terreno radicando ed emettendo altre piante, che, a loro volta, durante tutte le stagioni producono stoloni che invadono vaste superfici sotto i vigneti, specialmente sotto quelli poco lavorati. È una specie eliofila, cioè ama particolarmente i luoghi aperti e pieni di luce, per cui rifugge, o comunque si adatta meno, nelle zone ombreggiate: per questo motivo è poco lussureggiante nei vigneti a tendone, in particolare se protetti da reti ombreggianti.

Gramaccia

Gramigna

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flora spontanea Loglio (Lolium spp.). Il nome di queste piante è di origine celtica ed è stato adottato anche dagli antichi Romani. Si tratta di un gruppo di piante, famose già in epoche antichissime, tanto da essere citate varie volte nella Bibbia (zizzania). Sono graminacee che si riconoscono per le foglie lucide e per le infiorescenze a forma di spighe strette e compresse. Le piante giovani hanno il tipico aspetto cespitoso di tutte le graminacee. Il gruppo è composto da molte specie, tra le quali, nei vigneti di uva da tavola del Sud Italia, primeggiano il loglio maggiore (Lolium multiflorum), inspiegabilmente detto anche loietto, e il l. rigido (Lolium rigidum). Le due specie differiscono per molti caratteri, tra i quali spicca, a prima vista, la presenza di reste sull’infiorescenza della prima specie citata e l’assenza di reste nella seconda. Nei vigneti del Nord Italia è prevalente il loglio propriamente detto (Lolium perenne) che è simile al loglio rigido ma con glume molto corte.

Foto R. Angelini

Loietto

Malva (Malva spp.). Pianta conosciuta sin dall’antichità e impiegata per le sue virtù emollienti (malva = molle). Le specie appartenenti a questo genere di piante, che dà il nome a un’intera famiglia (Malvacee), sono di solito molto lussureggianti. I fusti sono coriacei, semilegnosi alla base nelle piante adulte, molto ramificati e con i rami inferiori allungati e poggiati sul terreno. Le lamine fogliari sono palmate, lobate e con una vistosa insenatura nella regione di inserzione del picciolo. I fiori hanno corolla generalmente rosata o violacea, con cinque petali striati e incavati all’estremità superiore. Da ogni fiore prende origine una piccola formazione fruttifera, simile nella forma a una ciambella, composta da un asse centrale attorno al quale si irradiano piccoli semi reniformi e compressi, che giunti a maturazione prima di cadere si separano. La riproduzione delle piante però è affidata, oltre che ai semi, anche a gemme radicali.

Foto R. Angelini

Malva

Morella rossa (Solanum luteum). Questa specie, come la congenere (erba) morella nera o pomidorella (Solanum nigrum), della quale s’è già parlato in altre monografie di questa Collana, si trova spesso nei vigneti meridionali. Il nome del genere ha dato origine anche a quello dell’intera famiglia, Solanacee, cui queste piante selvatiche e anche molte coltivate (patata, melanzana, peperone ecc.) appartengono. Sono piante tossiche in certe condizioni e in certi stadi vegetativi, come la Belladonna e il Giusquiamo, ma servono anche per l’estrazione di sostanze medicinali che, curando alcune malattie, danno conforto: è questo il significato del nome latino. La morella rossa ha fusto eretto o ascendente, molto ramoso e che tende a lignificare alla base. Le foglie sono vellutate e morbide. La corolla dei fiori è appariscente, anche se piccola, con cinque petali bianchi saldati fra loro alla base. I frutti sono piccole bacche rosse o giallognole, simili a piccoli pomodori.

Foto R. Angelini

Morella rossa

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coltivazione Porcellana comune (Portulaca oleracea). Il nome scientifico di questa comunissima pianta descrive il modo di apertura delle sue piccole capsule: con un coperchietto (portula) apicale. Essa è specie molto apprezzata dai suini (porcellana) ma anche dagli esseri umani che la consumano come verdura o in insalata (oleracea: tutti gli organi verdi della pianta sono di consistenza carnosa). Il fusto è liscio e spesso arrossato. Le foglie sono lucide, di colore verde brillante e hanno forma di spatola. Le piante adulte hanno fusti e foglie adagiati sul terreno e si sviluppano in modo da formare ampi cuscinetti verdi che, a volte, confluiscono fra loro per ricoprire, senza soluzione di continuità, lunghi tratti di interfilari. Questi “cuscinetti”, tra la fine della primavera, durante tutta l’estate e parte dell’autunno, si ricoprono di fiori gialli, piccoli ma evidenti. Da ogni fiore ha origine una capsula (pisside) che contiene moltissimi semi neri lenticolari e bitorzoluti.

Foto R. Angelini

Porcellana comune

Romice (Rumex). La forma a punta di lancia delle foglie e dei semi di questa pianta è rievocata nel suo nome. La radice è simile a un fittone carnoso. Inizialmente la pianta emette una rosetta di grosse foglie bollose e lanceolate; con il progredire della stagione dalla rosetta di foglie spunta, e si accresce in altezza, un fusto eretto, robusto e tenace, dal quale originano molti rami. Alla sommità di questi ultimi si differenziano ampie pannocchie di fiori poco visibili perché privi di petali veri e propri, formati ognuno da tre elementi triangolari (valve), con tubercoli esterni, che confluiscono in punta. Da ogni fiore ha origine un frutto-seme a forma di dardo, lungo 1-2 mm, marrone o bruno. Nei vigneti si trovano due specie: il romice crespo (Rumex crispus) e il romice comune (Rumex obtusifolius); il nome del primo si riferisce al bordo increspato delle foglie, il secondo è così detto per la punta delle foglie ad angolo ottuso.

Foto R. Angelini

Romice crespo

Ruchetta violacea (Diplotaxis erucoides). Questa specie fa parte di un folto gruppo di piante chiamato genericamente “rucola” con profumo e sapore caratteristici e pungenti; d’altro canto tutte le piante della famiglia a cui appartiene (Crucifere, detta anche delle Brassicacee) hanno odori e sapori tipici, come i cavoli, le senapi, le verze, i ravanelli ecc. Il nome latino della ruchetta descrive la “doppia serie” (diplotaxis) di semi all’interno di ciascun frutto. Il fusto è eretto o leggermente prostrato, molto ramoso e striato. Le foglie sono bollose, ispide; quelle inferiori hanno lamina profondamente incisa, le superiori sono quasi intere. I fiori hanno ognuno quattro petali incrociati (da qui il nome della famiglia), di colore bianco, per lo più venati di violetto; essi sono riuniti su lunghi racemi senza foglie in cima ai rami. Da ogni fiore si sviluppa un frutto (siliqua) lungo e sottile, contenente moltissimi semi.

Ruchetta violacea

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flora spontanea Saeppola canadese (Conyza canadensis). Il forte odore di cimice di questa pianta e la sua provenienza nord-americana giustificano il suo nome scientifico. Di recente (un paio di secoli) comparsa in Italia, è ora una delle specie più diffuse, in particolare nelle zone degradate, su terreni poco lavorati e, ovviamente, non diserbati in altro modo. La sua enorme mobilità di diffusione si deve alla grande quantità di frutti-semi (acheni) prodotta da ogni pianta; questi ultimi sono simili nella forma a piccoli vermicelli e vengono trasportati dal vento per effetto della loro leggerezza e del pappo che li sormonta e che funziona come un vero e proprio paracadute, capace di far percorrere al seme stesso enormi distanze. Pianta molto variabile nell’altezza del fusto. Le foglie sono lanceolate e pelose, prive di picciolo. I fiori sono piccolissimi, biancastri, raccolti su minuscoli capolini (appartiene alla famiglia delle Composite o Asteracee) che diventano piumosi a maturità.

Foto R. Angelini

Saeppola

Senape bianca (Sinapis alba). Plinio il Vecchio ha dato il nome alle senapi; l’aggettivo alba (bianca) si riferisce, forse, al colore chiaro dei semi di qualche varietà della stessa specie. Pianta dalla vegetazione rigogliosa, con fusto prevalentemente eretto, tenace e robusto, striato, pelosetto. Le foglie sono rugose e con la lamina lirata, cioè profondamente incisa in segmenti dei quali quello apicale è il più grande. Questa specie appartiene alla famiglia delle Crucifere (detta anche delle Brassicacee, dal nome delle rape = genere Brassica) perché la corolla di ogni fiore è formata da quattro petali incrociati. I fiori sono gialli e riuniti in infiorescenze a racemo, cioè sono inseriti, a uno a uno, lungo un asse apicale del fusto e dei numerosi rami. Da ogni fiore deriva un frutto particolare (siliqua) conformato a piccolo coltello, con un “manico” basale, nel quale sono dislocati i semi, e provvisto di una lama corta alla sommità.

Senape bianca Foto R. Angelini

Setaria o pabbio (Setaria). Le pannocchie ovoidali di queste graminacee estive constano di moltissimi fiori, parecchi dei quali abortiscono e si trasformano in setole, giustificando il nome di questo raggruppamento. Sulle setole sono presenti miriadi di microscopici uncini il cui orientamento concorre a differenziare, in modo pratico, diverse specie: nel pabbio verticillato (Setaria verticillata), così detto per i fiori raccolti in verticilli, gli uncinuli sono rivolti verso la base della pannocchia stessa, consentendo all’intera pannocchia o alle singole spighette di rimanere attaccata a vari supporti, siano essi rappresentati dal mantello di animali o da vestiti (calze, in particolare!), con i quali vengono a contatto casualmente. In altre due specie gli uncinuli sono rivolti verso la sommità della pannocchia, per cui non sono aderenti: nel pabbio comune (S. viridis) le setole sono giallastre, nel pabbio rossastro (S. glauca) le setole sono rossastre.

Pabbio comune

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coltivazione Soffione o dente di leone (Taraxacum officinale). Dei due nomi italiani di questa specie, il primo rievoca il soffio mediante il quale si fanno volare i frutti maturi muniti all’estremità superiore di un pappo che funge da paracadute; il secondo ricorda le foglie e in particolare la forma dei lobi acuti (come denti di leone) lungo il bordo della lamina. Il nome latino riassume l’uso officinale per “scacciare” la tosse. Si tratta di una specie presente nei vigneti in tutte le stagioni, con radice fittonante e robusta. Le foglie sono tutte basali e formano una rosetta più o meno appressata al terreno. Col progredire dello sviluppo dal centro della rosetta di foglie originano solitamente molti fusti, lisci e senza foglie, che portano alla sommità dapprima un capolino di ligule gialle che si trasforma in una formazione fruttifera sferica e che sembra trasparente, formata dai diversi frutti (acheni) sormontati ognuno da un pappo sericeo bianco. Soffione

Trifoglio (Trifolium). Ogni foglia di queste piante è costituita da tre segmenti che sembrano essi stessi piccole foglie e giustificano l’appellativo latino e italiano con cui queste essenze sono conosciute. Tra le dicotiledoni leguminose questo gruppo di piante è forse quello più utilizzato per la costituzione di erbai da foraggio. Due specie di trifoglio sono, a volte, anche seminate appositamente per costituire un tappeto erboso temporaneo da interrare (sovescio) in prossimità della fioritura; esse sono trifoglio alessandrino (Trifolium alexandrinum) e trifoglio sotterraneo (T. subterraneum). I due trifogli sono molto simili dal punto di vista botanico e fisiologico; entrambi, infatti, sono a ciclo annuale, hanno fiori biancastri e sono molto adattabili ai climi siccitosi, come quelli pugliesi. La prima specie si può sfruttare anche per le eccellenti qualità del suo foraggio, la seconda è meno produttiva ma si adatta anche su terreni moderatamente acidi, dove la prima trova difficoltà di accrescimento.

Trifoglio alessandrino Foto R. Angelini

Veccia (Vicia). La veccia è una leguminosa coltivata da tempi remoti. Le foglie sono composte da molti segmenti inseriti a coppie lungo un asse che termina con evidenti cirri che consentono alla pianta di arrampicarsi e avvincere (come si deduce dal nome latino) le altre piante. La specie principale, usata spesso per il sovescio nei vigneti pugliesi, è la veccia comune (V. sativa) impiegata solitamente per la costituzione di erbai misti con avena che forniscono ottimo e abbondante foraggio per unità di superficie. Si tratta di una pianta molto rigogliosa, con fusti volubili e fiori, solitari o in coppia, di un bel colore roseo o biancastro. È adattabile a vari substrati anche se preferisce terreni argillosi o calcarei; teme però i terreni eccessivamente umidi e i climi molto freddi. Un’altra veccia che si può utilizzare allo stesso scopo è la veccia vellutata (V. villosa), dai lunghi racemi di fiori violacei, così detta per essere ricoperta da una cortissima e rada peluria.

Veccia

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flora spontanea Veronica (Veronica). Questo genere di piante è dedicato a Santa Veronica e fa parte della famiglia delle Scrofulariacee, così detta perché annovera anche piante impiegate in passato per curare la scròfola. Al genere appartengono, fra le altre, due specie che si trovano spesso nei vigneti: la veronica comune (Veronica persica) e la veronica a foglie d’edera (Veronica hederifolia). Entrambe le specie hanno fusto prostrato e adagiato sul terreno, foglie a lamina lobata e fiori celeste-azzurrognoli con strie più scure, frutti a capsula e semi incavati. Le due specie differiscono però per la forma delle foglie, dei frutti (capsule) e dei semi. Nella veronica comune, originaria della Persia, i lobi fogliari sono acuti, le capsule sono bilobe e compresse e contengono numerosi semi simili per forma a piccole valve di conchiglia; nell’altra specie i lobi fogliari sono arrotondati, simili a quelli delle foglie dell’edera, mentre le capsule e i semi in esse contenuti sono di forma globosa. Veronica

Vitalba (Clematis vitalba). Il nome italiano di questa pianta significa vite bianca (il colore si riferisce a quello dei fiori) e rievoca la sua somiglianza con la vite; essa, infatti, è lianosa, con fusti lignificati, lunghi anche fino a 30 m, e rami erbacei volubili. Anche il nome latino sottolinea la somiglianza tra le due specie: esso infatti significa tralcio di vite. Le foglie hanno piccioli lunghi e prensili, tramite i quali l’intera pianta si avviluppa a tutori inerti o ad altre piante vicine; la lamina è profondamente divisa in 3-5 segmenti anch’essi visibilmente picciolati, ovali dentati o lobati sul bordo. I fiori sono molto visibili, riuniti su ampie pannocchie, hanno petali biancastri e profumati (di vaniglia). Da ogni fiore si sviluppano diversi frutticini (acheni) caratterizzati ognuno da una cresta piumosa di colore argento lunga 2-3 cm. La specie si trova maggiormente nelle zone più umide o lungo le dorsali appenniniche.

Foto R. Angelini

Vitalba Foto R. Angelini

Zigolo infestante (Cyperus rotundus). Il nome latino di questa specie è la traduzione di quello greco kýpeiros. Originaria delle regioni tropicali, predilige i vigneti più meridionali, del Salento o quelli siciliani; in queste regioni infesta anche altre colture, arboree e orticole di pieno campo e di serra. Dall’aspetto complessivo la pianta, specialmente per la forma delle foglie, sembra una graminacea ma appartiene alla famiglia delle Ciperacee. Sulla sua radice crescono piccoli bulbi e rizomi che danno origine ad altre piante, visto che i semi difficilmente giungono a maturazione. Le foglie sono inserite a rosetta prossima al terreno. Con l’avanzare del ciclo vegetativo dalla rosetta di foglie nasce un fusto fogliaceo, a sezione triangolare, che porta alla sommità una pannocchia formata da molti rami sui quali sono riuniti in spighe piccolissimi fiori poco appariscenti perché privi di petali colorati. Alla base della pannocchia è visibile una serie di brattee fogliari allungate.

Zigolo infestante

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l’uva da tavola

coltivazione Gestione delle malerbe Pasquale Montemurro

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coltivazione Gestione delle malerbe Dannosità delle malerbe Nei vigneti da tavola italiani, prevalentemente localizzati nel Meridione, in genere si stabilisce una flora infestante le cui peculiarità quali-quantitative differiscono in funzione di diversi fattori; nell’ambito di questi ultimi, sono da annoverare la zona di coltivazione, l’andamento climatico, le caratteristiche fisico-chimiche del terreno, e soprattutto le metodologie adoperate per eliminare o almeno limitare la presenza e quindi lo sviluppo delle erbe infestanti, insieme alle altre pratiche agronomiche (fertilizzazione, irrigazione ecc.) e alla tipologia di produzione e cioè se in coltura protetta, con copertura di materiale plastico, per l’anticipo o il ritardo della raccolta. Ciò considerato, la flora in grado di inerbire il terreno dei vigneti, che si differenzia in maniera significativa, sia come numero di specie infestanti che la costituisce sia come capacità di inerbimento di ciascuna specie, è composta in maggior misura da malerbe a foglia larga, sinonimo di dicotiledoni, e meno da infestanti a foglia stretta, vale a dire graminacee. Nei comprensori viticoli meridionali, per esempio, dove le lavorazioni del terreno sono la pratica più diffusa, durante il periodo autunno-invernale è molto facile ritrovare un’abbondante presenza di ruchetta violacea (Diplotaxis erucoides), nonché di fiorrancio (Calendula officinalis), di centocchio comune (Stellaria media), di grespino comune (Sonchus oleraceus) e spinoso (Sonchus asper), di malva (Malva spp.), di stoppione (Cirsium arvense), di fumaria comune (Fumaria officinalis) e di veronica con foglie d’edera (Veronica hederifolia), mentre soprattutto nelle zone rivierasche dell’Adriatico e del mar

Cosa sono le malerbe o erbe infestanti

• Il concetto di malerba è relativo

al rapporto con le piante coltivate

• Nel passato Columella affermava nel De

re rustica “ma a me sembra l’indicazione di un’agricoltura povera il permettere alle erbacce di crescere fra le colture poiché i raccolti diminuiscono fortemente”

• Definizioni più moderne sono quelle

di “piante adattate ad ambienti antropogeni, dove interferiscono con le attività, la salute e i desideri degli uomini”, e di “qualunque specie di pianta che interferisce con gli obiettivi e le esigenze umane” (Società Europea di Malerbologia)

Giovane vigneto totalmente lavorato

Foto S. Somma

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gestione delle malerbe Ionio è l’acetosella (Oxalis pes-caprae) a essere più diffusa. Tra le infestanti a foglia stretta, generalmente graminacee come già accennato, le più diffuse risultano il loglio rigido (Lolium rigidum), l’avena selvatica (Avena sterilis) e il forasacco (Bromus sterilis). Nel corso della stagione primaverile-estiva, si ritrovano molto facilmente dicotiledoni come l’amaranto comune (Amaranthus retroflexus), il farinello comune (Chenopodium album), la porcellana comune (Portulaca oleracea), il vilucchio comune (Convolvulus arvensis) e ancora lo stoppione, mentre più recentemente sta prendendo sempre più spazio anche la saeppola canadese (Conyza canadensis). Tali specie di malerbe, come le graminacee pabbio comune (Setaria viridis), giavone (Echinochloa crus-galli), sanguinella comune (Digitaria sanguinalis), gramaccia (Agropyron repens) e gramigna (Cynodon dactylon), durante la stagione estiva, solitamente molto secca, tendono a concentrarsi soprattutto nella zona di terreno bagnata dai gocciolatori, essendo l’irrigazione a goccia la più praticata. Negli ultimi anni negli areali del sud-est barese, si sta diffondendo lo zigolo infestante (Cyperus rotundus), pianta perennante la cui diffusione, attraverso tuberi e rizomi, è facilitata dalle lavorazioni. Nei confronti delle piante di vite, le erbe infestanti possono attuare una competizione per i principali fattori della produzione, e vale a dire per l’acqua, gli elementi nutritivi e, soltanto nel primo anno di vita, pianta in allevamento, anche per la luce. In funzione dell’entità e della durata dell’inerbimento, la concorrenza per i fattori produttivi citati precedentemente, se non evitata, è in grado di provocare come conseguenze il rallentamento della crescita delle piante, specialmente nelle fasi più giovanili; negli impianti

Perché diserbare

• La pratica del diserbo nasce dalla

necessità di difendere una coltura dalle malerbe; queste ultime, infatti, nella generalità dei casi determinano degli effetti negativi che consistono in una diminuzione sia quantitativa sia qualitativa della produzione

La forte presenza di scheletro contribuisce a ridurre la nascita della flora spontanea

Foto R. Angelini

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coltivazione adulti in produzione, poi, gli effetti della presenza della vegetazione infestante si manifestano con un decremento della quantità di uva raccolta e con la riduzione della sua qualità; in particolare, si possono verificare dei cali sia del peso medio degli acini, e quindi dei grappoli, sia del contenuto in zuccheri dei chicchi stessi, con una conseguente diminuzione del valore commerciale dell’uva prodotta. Ma la dannosità dovuta alla presenza delle erbe infestanti non è determinata soltanto dalla competizione; l’inerbimento durante il risveglio vegetativo aumenta, per esempio, il rischio di brinate tardive poiché, riflettendo le radiazioni solari, il terreno tende a riscaldarsi di meno. Ancora, vi sono diverse specie di malerbe che sono in grado di ospitare fitoplasmi patogeni della vite, come quelli responsabili del complesso del legno riccio, del legno nero e dell’accartocciamento fogliare. Anche dai viticoltori da tavola è molto sentita l’esigenza di operare il diserbo, cioè l’eliminazione o almeno il contenimento delle infestazioni di malerbe, per annullare o se non altro ridurre le perdite di acqua ed evitare la sottrazione di elementi nutritivi che la presenza della vegetazione infestante può comportare, e quindi preservare la produzione sotto il doppio aspetto qualiquantitativo. Per quanto riguarda le problematiche di diserbo, nei vigneti condotti in coltura normale, sono sicuramente più importanti rispetto a quelle che si hanno negli impianti forzati; in questi ultimi, infatti, la copertura a cui sono sottoposti limita in genere l’infestazione delle malerbe e quindi i problemi connessi. Generalmente, nell’intervallo di tempo compreso tra la raccolta e la fine della stagione invernale, non è necessario eliminare

Benefici della presenza temporanea dell’inerbimento

• Influenza positiva sul bilancio della sostanza organica

• Migliora lo stato nutritivo e la struttura del terreno

• Contiene il fenomeno della clorosi ferrica • Diminuisce la lisciviazione dei nutrienti, specialmente dei nitrati

• Ottimizza la portanza del terreno • Aumento della biodiversità con possibile maggiore presenza di impollinatori e di altri “organismi utili”, quali insetti e artropodi predatori di quelli dannosi

• Riduzione dell’erosione idrica del terreno

nei vigneti posti in pendio e aumento dell’acqua di pioggia invasata nel terreno, grazie alla diminuzione della sua velocità di ruscellamento

Vigneto coperto completamente inerbito

Foto G. Cortese

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gestione delle malerbe l’inerbimento; al contrario, la presenza del manto erboso può risultare utile per ridurre fenomeni negativi quali l’erosione idrica del terreno e la lisciviazione dei nitrati. Riguardo a queste problematiche ambientali molto importanti in alcune zone, negli ultimi anni è prevalsa la filosofia di inerbire artificialmente gli spazi interfilari dei vigneti seminando delle opportune specie di piante, quali leguminose (favino, veccia, trifoglio ecc.) e graminacee (avena, orzo), che in primavera vengono sovesciate o trinciate, con il risultato di incrementare anche il tenore di sostanza organica, nonché di azoto del terreno. Il periodo durante il quale, invece, è indispensabile preoccuparsi dell’inerbimento inizia in genere dalla metà di febbraio-marzo e continua in teoria fino all’inizio della fase della maturazione nei vigneti in coltivazione normale e precoce, e fino a poco prima della raccolta in quelli tardivi; nella pratica, infatti, specialmente nei vigneti sottoposti a forzatura, la copertura con i film plastici riduce notevolmente gli inerbimenti che solitamente si localizzano, poi, nelle aree umettate dall’irrigazione.

Azioni preventive per la gestione integrata della flora infestante

• Eseguire lavorazioni del terreno

superficiali, per evitare di riportare in superficie i semi di infestanti dagli strati più profondi

• Adottare la fertirrigazione con sistemi irrigui localizzati (per esempio a goccia)

• Ripulire gli attrezzi da rizomi o stoloni di infestanti perennanti

• Controllare le erbe infestanti possibili ospiti di insetti e patogeni nelle zone limitrofe ai campi coltivati

Metodi di diserbo Il controllo della vegetazione infestante può essere eseguito con diversi metodi attuabili singolarmente o in modo integrato. I metodi diserbo attualmente praticabili nelle coltivazioni di vite da tavola sono di tipo meccanico e chimico. Diserbo meccanico Il diserbo meccanico viene attuato mediante la lavorazione del terreno e la trinciatura.

Vigneto con controllo meccanico della flora spontanea

Foto R. Angelini

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coltivazione Lavorazione del terreno. Le lavorazioni del terreno, eseguite mediante opportune attrezzature meccaniche, consentono di eliminare le malerbe o almeno di contenerle efficacemente. Tale modalità di diserbo è quella maggiormente scelta dai viticoltori, per i quali costituisce appunto il “diserbo tradizionale”; tra le motivazioni che continuano a far propendere i viticoltori verso tale tipologia di intervento, vi sono pure quelle dell’ottenimento della riduzione delle perdite di acqua per risalita capillare dal suolo e della possibilità di interrare i fertilizzanti, gli ammendanti ed eventualmente i residui della potatura. Le fresature e le erpicature sono le tipologie di lavorazione più attuate; tali operazioni durante l’anno sono ripetute a seconda se la coltura è forzata o meno in numero variabile rispettivamente tra un minimo di sei e un massimo di dieci. Molto di recente, però, ha preso sempre più piede la tendenza alla diminuzione degli interventi meccanici, tendenza motivata dalle esigenze di ridurre sia gli effetti negativi provocati dalla loro ripetuta esecuzione sia la spesa per i combustibili; infatti, si preferisce sempre di più eseguire gli interventi meccanici in numero inferiore e in maniera limitata al solo spazio interfilare. Pertanto, molti viticoltori già da qualche tempo evitano di disturbare il terreno lungo i filari delle viti, affidando il controllo delle infestanti agli erbicidi chimici. Inoltre, la propensione è comunque quella di evitare le lavorazioni invernali, posticipando il primo intervento meccanico all’inizio del germogliamento della vite per gli evidenti vantaggi di areazione e riscaldamento del terreno.

Foto G. Cortese

Vigneto di uva da tavola non lavorato

Trinciatura. La trinciatura è un’operazione che, mediante attrezzature denominate trinciatrici, consente di sminuzzare la vegetaVigneto coperto non lavorato

Foto S. Somma

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gestione delle malerbe zione infestante, con un livello di controllo che è tanto maggiore quanto più tale vegetazione è costituita da specie di malerbe di tipo annuale. La trinciatura è una pratica “alternativa” alle lavorazioni del terreno che attualmente viene scelta da un sempre maggior numero di viticoltori. In virtù della pacciamatura che di conseguenza si viene a realizzare, con la trinciatura si ottengono diversi vantaggi. Trinciando il materiale di risulta della potatura si evita, inoltre, anche la spesa dell’allontanamento dei residui stessi, oltre che la loro bruciatura, operazione che, seppure in minima misura, contribuisce alla diminuzione dell’immissione di CO2 nell’atmosfera. In genere, la trinciatura viene messa in pratica limitatamente al solo spazio interfilare e in un numero abbastanza variabile tra tre e cinque all’anno, in funzione soprattutto della frequenza delle piogge, fattore che condiziona l’andamento dell’inerbimento; l’esecuzione avviene di norma quando la vegetazione infestante ha raggiunto un’altezza massima di circa 20-25 cm. Tra gli aspetti positivi che la trinciatura può far sortire, vi sono quelli: – del calo della presenza sia del ragnetto rosso, per l’incremento dei fitoseidi dovuto alla maggior disponibilità di polline, sia della tignoletta, per una più spiccata parassitizzazione delle uova; – della riduzione della clorosi ferrica nei terreni clorosanti; grazie all’influenza positiva che tale pratica estrinseca sul bilancio della sostanza organica del terreno, maggiore nel caso in cui siano stati coinvolti anche i materiali di risulta della potatura, viene incrementata la “chelazione” di microelementi come per esempio il ferro che, diventato più disponibile, attraverso l’emissione da parte delle radici di alcune essenze erbacee di essudati chia-

Vantaggi della trinciatura

• Effetto pacciamante sul terreno,

maggiore se eseguita anche sui residui della potatura

• Calo della presenza sia del ragnetto

rosso, per l’incremento dei fitoseidi dovuto alla maggior disponibilità di polline, sia della tignoletta, per una più spiccata parassitizzazione delle uova

• Riduzione della clorosi ferrica nei terreni clorosanti; la sua influenza positiva sul bilancio della sostanza organica del terreno, maggiore se sono coinvolti anche il materiale di risulta della potatura, incrementa la “chelazione” di microelementi come per esempio il ferro attraverso l’emissione da parte delle radici di alcune essenze erbacee di essudati chiamati fitosiderofori

• Riduzione delle spese per

l’allontanamento dei residui della potatura, nonché della emissione di CO2 nell’atmosfera per la loro mancata bruciatura dei residui stessi

Foto R. Angelini

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coltivazione mati fitosiderofori che interagiscono sulla chelazione, riduce la suscettibilità alla clorosi. Diserbo chimico Il diserbo chimico, mediante l’impiego degli erbicidi, detti anche diserbanti, consente di eliminare le erbe infestanti o almeno di ridurne lo sviluppo. Il diserbo chimico rappresenta una valida alternativa a quello meccanico principalmente perché è quasi sempre più economico; inoltre, mediante opportuni diserbanti risulta possibile controllare anche i polloni cresciuti alla base dei ceppi che, com’è noto, oltre a rappresentare un inutile dispendio di risorse energetiche da parte delle viti, costituiscono un rifugio per insetti dannosi come la cicalina Scaphoideus titanus che è vettore, tramite le sue punture, della flavescenza dorata. Pur rappresentando una valida modalità “alternativa e/o integrativa” alle lavorazioni meccaniche del terreno, non è particolarmente diffuso tra i viticoltori (30% circa delle superfici). Vi sono, comunque, dei comprensori in cui in questi ultimi anni la tecnica di diserbare chimicamente, a tutto campo e soprattutto in modo localizzato sotto i filari, si è diffusa in particolar modo negli impianti moderni

Classificazione dei diserbanti

• “selettivi”, non fitotossici per la coltura, e “non selettivi” o “totali”, nel caso contrario

• a “largo spettro”, agiscono su malerbe

sia a foglia stretta (graminacee) sia a foglia larga (dicotiledoni), e “specifici”, colpiscono solo poche specie

• “disseccanti” o “di contatto”

o “topotossici”, efficaci solo sulle parti della pianta bagnate, “antigerminello”, attivi per assorbimento da parte dei semi in via di germinazione, e “sistemici” o “traslocabili” o “teletossici”, per via radicale e fogliare, che funzionano dopo essere entrati nella linfa delle piante rispettivamente tramite le radici e le foglie

• “fogliari”, i “disseccanti” e i “sistemici”

Specie infestanti possibili ospiti di fitoplasmi e virus patogeni della vite da tavola

per via fogliare che devono essere irrorati sulla vegetazione, e “residuali”, applicati sul terreno

Specie infestanti

• di “pre” e di “post-emergenza”,

distribuiti prima o dopo la nascita delle malerbe

GVA (2)

Nome volgare

RW ( )

Chenopodium spp.

Farinello

Cirsium arvense

Stoppione

Convolvulus arvensis

Vilucchio comune

Datura stramonium

Stramonio comune

Plantago lanceolata

Piantaggine comune

Plantago major

Piantaggine maggiore

Solanum nigrum

Erba morella

Solanum dulcamara

Morella rampicante

Taraxacum officinalis

Soffione

Urtica spp.

Ortiche

( ) Rugose Wood - Legno nero (2) Grapevinevirus A - Legno riccio 1

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Virus

Nome botanico

Foto R. Angelini

Erba morella

Fitoplasmi 1


gestione delle malerbe in cui vengono praticati sistemi alternativi, quali quello della “non lavorazione” e della “lavorazione ridotta”. L’uso dei diserbanti è aumentato in modo particolare nei giovani impianti, nei quali è sentita l’esigenza di proteggere dalle malerbe le piante di vite nelle prime fasi della loro crescita. È in ogni modo probabile che in Italia il ricorso agli erbicidi possa subire un discreto incremento in futuro, a causa della manodopera, per via del suo costo eccessivo e della sua carenza. Nell’ambito dell’agrofarmacopea attualmente consentita dalla legislazione europea sugli agrofarmaci, vi sono diverse sostanze attive registrate all’impiego nella coltura della vite, tra le quali alcune di tipo esclusivamente o prevalentemente residuale, come l’oxadiazon, l’oxifluorfen e il flazasulfuron, due con un’attività di contatto, quali il diquat e il glufosinate ammonium, e una con azione sistemica, denominata glifosate. In funzione delle loro capacità intrinseche, particolarmente del loro spettro e della loro modalità di azione, gli erbicidi autorizzati possono essere distribuiti, prima e/o dopo l’emergenza delle malerbe, utilizzando prodotti ad attività sia residuale sia sistemica, quest’ultima per assorbimento radicale e fogliare. In linea di massima sono da preferire gli interventi da eseguire in post-emergenza delle infestanti impiegando, quindi, erbicidi agenti per assorbimento fogliare, con azione di contatto e sistemica; ciò non esclude a priori la possibilità di un impiego di

Scelta dei diserbanti

• Avviene in funzione: – delle specie infestanti già presenti e/o di quelle che si prevede inerbiranno successivamente il vigneto, dell’età e dello stadio vegetativo delle piante di vite

– del loro spettro d’azione – delle condizioni pedo-climatiche; gli erbicidi residuali, per esempio, vanno adoperati con cautela nei terreni sabbiosi (possibile fitotossicità verso la vite)

– dei disciplinari di produzione integrata, sia comunitari sia privati, come quelli della GDO (Grande Distribuzione Organizzata) Vigneto di uva Italia allevata a Y in cui è visibile la reinfestazione del terreno dopo la lavorazione meccanica

Foto S. Somma

333


coltivazione erbicidi di tipo residuale e sistemico per via radicale, che sono quasi sempre necessari negli impianti giovani, (a partire, però, dal secondo anno) oltre che in quelli adulti, anche in miscela con prodotti fogliari. Le applicazioni dei diserbanti possono avvenire nel periodo autunno-invernale e/o durante il ciclo vegetativo della vite: nel primo caso gli interventi risultano molto utili sopratutto qualora si senta la necessità di eliminare inerbimenti, sopravvissuti agli interventi precedenti, costituiti da specie perennanti quali la gramigna e specialmente come il vilucchio e l’ortica, sulle cui radici svernano preferenzialmente le forme giovani di Hyalestes obsoletus, la cicalina vettrice del virus del legno nero. La distribuzione degli erbicidi può avvenire anche solo limitatamente alla striscia sottofilare, per una banda larga 80-100 cm. Negli impianti condotti senza copertura, i diserbanti sono in teoria utilizzabili in qualunque momento del ciclo colturale della vite, mentre in quelli sottoposti a forzatura il loro impiego, specie quello dei prodotti fogliari, è da valutare attentamente una volta che il vigneto è stato coperto con i teli di plastica, considerato il particolare microclima che si viene a creare. Il ricorso al diserbo chimico è certamente utile anche: – nelle situazioni in cui risulti necessario minimizzare il numero degli interventi di disturbo del terreno, particolarmente per ridurre la clorosi ferrica; – per contenere o eliminare, come già sopra accennato, infestazioni di malerbe perennanti e/o possibili ospiti di avversità biotiche; nelle aziende agricole di una certa dimensione, nei periodi in cui l’impegno di manodopera risulta più pressante (legatura dei germogli, calatura dei grappoli, sfogliatura e difesa fitosanitaria). Come accennato in precedenza, le possibilità offerte dai metodi di controllo delle malerbe “alternativi” alle lavorazioni del terreno, quali il diserbo chimico e la trinciatura delle malerbe, hanno consentito dapprima di attuare le metodologie della “non lavorazione” e della “ridotta lavorazione” e successivamente, in tempi più recenti, l’evolversi in un tipo di diserbo già in uso in altre specie frutticole denominato “diserbo integrato”. Attualmente si valuta in alcune decine di migliaia di ettari la superficie coltivata a vigneto da tavola in cui viene praticato il diserbo integrato. A favorire l’orientamento verso il diserbo integrato sono state principalmente le esigenze di ridurre i costi di produzione, oltre che quelle di diminuire gli input chimici in agricoltura, e di conseguenza l’impatto ambientale; tali esigenze hanno appunto sollecitato i tecnici e gli operatori agricoli a ricercare, pure per quanto concerne il controllo delle malerbe dei vigneti da tavola, soluzioni eco-sostenibili come quelle insite nel diserbo integrato.

Foto R. Angelini

Il controllo delle ortiche è fondamentale non solo per la competizione esercitata sulle piante di vite ma soprattutto perché sono ospiti naturali di vettori di fitoplasmi e virus

Aspetti positivi della “non lavorazione” e della “lavorazione ridotta”

• Riduzione della formazione della “suola di lavorazione”

• Diminuzione della mineralizzazione della sostanza organica del terreno

• Mancato danneggiamento sia dei ceppi sia degli apparati radicali (mancato ingresso di patogeni attraverso le ferite)

• Miglioramento della struttura e della portanza del terreno

334


gestione delle malerbe Diserbo integrato Il diserbo integrato consiste in un sistema di strategie nel quale vengono opportunamente scelte e applicate tutte le tecniche colturali, di prevenzione e di controllo delle malerbe, con l’obiettivo principale di annullare o almeno di minimizzare la dannosità della flora infestante, sia nel breve sia nel lungo periodo, seguendo un approccio ecologicamente, economicamente e agronomicamente sostenibile. Si tratta, in altre parole, di un sistema che si basa su tutte le conoscenze a disposizione in materia di agronomia, di tecnica del diserbo, di fisiologia e di biologia delle malerbe, di coltivazione e di ecologia agraria. Premessa indispensabile per potere gestire in modo integrato il diserbo del vigneto è quella che la flora deve essere controllata solo quando diventa effettivamente “infestante”, e cioè nel momento e durante il periodo in cui comincia a essere competitiva e/o risulta in grado di danneggiare la coltura. Di conseguenza è da accettare la presenza dell’inerbimento in determinati periodi, poiché può addirittura avere delle funzioni positive quali, per esempio quelle di ridurre l’erosione idrica del terreno e influenzare positivamente il bilancio della sostanza organica del terreno, arricchendone lo stato nutritivo e migliorandone la struttura. L’obiettivo principale rimane, poi, quello di limitare gli input energetici e/o chimici, a cui corrispondono inutili dispendi economici (lavoro ed energia), che la strategia di una completa e continua eliminazione delle malerbe comporta.

Programma di diserbo integrato nei vigneti non coperti condotti con la non lavorazione Fila

Interfila

Inerbimento naturale

Inerbimento naturale

a) Erbicida fogliare b) Fogliare + residuale

Trinciatura

Settembre Ottobre Novembre Dicembre Gennaio Febbraio Marzo Aprile

Erbicida fogliare

Maggio Giugno Luglio

Trinciatura Trinciatura

Agosto Giovane impianto diserbato sulla fila e inerbito tra le file a Curicó, Cile

Foto R. Angelini

335


coltivazione Nella gestione del diserbo integrato, deve essere tenuto in opportuna considerazione che il diserbo e la conduzione del terreno sono strettamente correlati tra loro. Gli interventi sono, quindi, essenzialmente da stabilire in funzione della conduzione sia della coltura in rapporto all’epoca di raccolta, precoce, normale o ritardata, sia del terreno relativamente al sistema, di “lavorazione ridotta” e di “non lavorazione”. Relativamente alla gestione delle modalità di diserbo, poi, la loro pianificazione deve essere fatta adottando prevalentemente il criterio di diversificare gli interventi sulle e tra le file. Nel caso della “lavorazione ridotta”, le opzioni di diserbo disponibili sono il diserbo chimico, la trinciatura e le lavorazioni. Relativamente al diserbo chimico, i diserbanti possono essere: – scelti tra quelli ad applicazione fogliare (topotossici o sistemici), eventualmente in miscela con prodotti residuali, qualora sia richiesto un effetto erbicida prolungato e specialmente nel caso di trattamenti autunno-invernali; – distribuiti in modo localizzato sotto i filari, su di una banda larga 80-100 cm. Le lavorazioni del terreno, limitatamente al solo spazio interfilare, sono: – da iniziare al germogliamento della vite da evitare tra aprile e giugno; da eseguire preferibilmente durante il periodo estivo (luglio– agosto). La trinciatura può essere effettuata: – sotto i filari dall’inizio del germogliamento della vite fino a tutto giugno; – a tutto campo e limitatamente agli interfilari in qualunque periodo del ciclo colturale; il ricorso alla trinciatura, tra l’altro, realizza una più rilevante portanza del terreno, garanzia di una maggior tempestività nell’esecuzione dei trattamenti antiparassitari e della raccolta stessa, specialmente nei tendoni sottoposti a copertura. Per quanto concerne la “non lavorazione”, la scelta è limitata al diserbo chimico e alla trinciatura, attuati secondo quanto già esposto per la “lavorazione ridotta”. Combinando, quindi, tutte le modalità di controllo ritenute valide e disponibili, in funzione della conduzione della coltura, risulta possibile predisporre una serie di programmi di diserbo integrato “personalizzati”. Naturalmente, la predisposizione dei programmi di diserbo integrato della vite da tavola, come per qualunque altra coltura, richiede una preparazione tecnico-pratica adeguata da parte degli agricoltori, i quali dovrebbero in primo luogo avere chiari gli obiettivi da raggiungere (soluzioni tecniche, epoche ottimali ecc.), conoscere bene le erbe infestanti da un punto di vista sia botanico sia fisiologico, gli erbicidi nei loro molte-

Programma di diserbo integrato nei vigneti non coperti condotti con lavorazione ridotta Fila

Interfila

Inerbimento naturale

Inerbimento naturale

a) Lavorazione b) Erbicida fogliare + residuale

Trinciatura

Settembre Ottobre Novembre Dicembre Gennaio Febbraio Marzo Aprile

Erbicida fogliare

Maggio Giugno

Trinciatura

Luglio

Lavorazione

Agosto

Vigneti coperti condotti con lavorazione ridotta Fila

Interfila

Inerbimento naturale

Inerbimento naturale

a) Erbicida fogliare + residuale

a) Lavorazione b) Erbicida fogliare

Trinciatura

Trinciatura

Settembre Ottobre Novembre Dicembre Gennaio Febbraio Marzo Aprile Maggio Giugno Luglio Agosto

336


gestione delle malerbe plici aspetti (modo d’azione, comportamento nel terreno, biodegradabilità, spettro d’azione, modalità d’uso ecc.) e, infine, essere in grado di applicare gli erbicidi con adeguate tecniche di distribuzione.

Programma di diserbo integrato nei vigneti coperti condotti con la non lavorazione

Principali programmi di diserbo integrato Tranne in casi particolari, la gestione del diserbo integrato della vite da tavola non prevede, l’esecuzione di alcun intervento tra la maturazione dell’uva e il periodo che precede a quello subito successivo al risveglio vegetativo, fatto che consente durante tale periodo la costituzione di un inerbimento naturale: i programmi di seguito descritti sono stati impostati partendo proprio da tale premessa. Vigneti non coperti con teli di plastica e con lavorazione ridotta. L’inerbimento lasciato liberamente sviluppare durante il periodo autunno-invernale può essere controllato effettuando, a partire dalla seconda metà di febbraio e fino a tutto marzo, sotto i filari un trattamento erbicida, solo fogliare o con l’aggiunta di uno residuale, e nella zona interfilare una trinciatura, eventualmente anche sui residui della potatura. Le successive infestazioni sono eliminabili, ripetendo lungo le file l’intervento erbicida con un prodotto solo fogliare ed eseguendo nello spazio compreso tra le file una lavorazione superficiale. Vigneti non coperti con non lavorazione. Per l’eliminazione dell’inerbimento invernale, vale quanto proposto per la lavorazione ridotta; nei confronti delle malerbe nate successivamente si può intervenire reiterando l’applicazione localizzata sotto le file di un erbicida fogliare e preferendo la trinciatura per lo spazio interfilare. Vigneti coperti con lavorazione ridotta. Per il controllo delle infestanti insediatesi durante il riposo vegetativo, si può operare distribuendo sotto le file un erbicida solo fogliare o con l’aggiunta di un residuale, rispettivamente, nel caso della coltivazione precoce o di quella tardiva; nella fascia interfilare, poi, è eseguibile una trinciatura anche in presenza dei residui della potatura. Gli ulteriori inerbimenti, nati dopo la sistemazione della copertura, sono annullabili eseguendo nella fascia sottofilare un ulteriore trattamento erbicida con un prodotto fogliare o un intervento di trinciatura, e nello spazio tra le file una fresatura superficiale. Vigneti coperti con non lavorazione. Per la rimozione delle infestanti cresciute dopo la raccolta dell’uva, il programma è uguale a quello dei vigneti coperti condotti con la lavorazione ridotta. Le malerbe emerse in seguito sono controllabili con interventi di trinciatura a tutto campo o di diserbo chimico con un prodotto fogliare localizzati sotto i filari, integrati con una trinciatura nella zona interfilare.

Fila

Interfila

Inerbimento naturale

Inerbimento naturale

a) Erbicida fogliare + residuale

a) Trinciatura b) Erbicida fogliare

Trinciatura

Trinciatura

Settembre Ottobre Novembre Dicembre Gennaio Febbraio Marzo Aprile Maggio Giugno Luglio Agosto

Foto R. Angelini

Villucchio comune

337


l’uva da tavola

coltivazione Costo di produzione Antonio Seccia,

Eugenio Pomarici

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Costo di produzione Introduzione La produzione di uva da tavola è un’attività normalmente caratterizzata dall’elevato impiego di capitali e da una considerevole componente di rischio legata a fattori climatici e fitosanitari; i ricavi generati dalle produzioni soffrono delle oscillazioni dei prezzi di vendita ma anche dei continui aumenti dei costi dei fattori produttivi. Infatti, negli ultimi anni, l’incremento dei costi di produzione, in particolare della manodopera, dell’energia e dei concimi, insieme con le mutevoli e diversificate richieste provenienti dai mercati di riferimento in termini di standard di sicurezza alimentare, che impongono un ulteriore aggravio di costi, hanno ridotto la redditività della coltura. In un contesto internazionale caratterizzato da una sempre più accentuata concorrenza, la competitività della viticoltura da tavola è fortemente condizionata dalla possibilità di contenere i costi di produzione e di distribuzione commerciale che incidono in misura sempre maggiore. Tale affermazione consegue il fatto che i prezzi delle produzioni italiane si stanno sempre più livellando a quelli mondiali, molto più bassi, a causa del crescente processo di globalizzazione e liberalizzazione dei mercati. L’offerta è caratterizzata da elevata numerosità delle imprese agricole e di commercializzazione che operano in una filiera con basso livello di organizzazione, in termini di aggregazione orizzontale (cooperazione, Organizzazioni dei Produttori, consorzi) e verticale (accordi interprofessionali). La struttura fondiaria presenta elevata polverizzazione, documentata dal fatto che il 65% delle aziende con uva da tavola è al di sotto dei 5 ettari di SAU (superficie agri-

Metodologia dei Sistemi Aziendali Rappresentativi (SAR) per il calcolo dei costi di produzione dell’uva da tavola

• La metodologia dei SAR (Sistemi

Aziendali Rappresentativi) si basa sulla costruzione di modelli aziendali che riproducono le caratteristiche di aziende agricole localizzate in un territorio omogeneo. A tale scopo è necessario individuare, in un territorio omogeneo, un gruppo di aziende ognuna delle quali è dotata di caratteri di rappresentatività rispetto ad altre e che può essere denominata come sistema aziendale rappresentativo (SAR). Si individua, quindi, un numero di SAR in grado di rappresentare le tipologie di aziende produttrici di uva da tavola

Reti antigrandine a riposo in un tendone a Rutigliano (BA)

Foto M. Curci

338


costo di produzione cola utilizzata) complessiva aziendale. Questa situazione strutturale è confermata anche dall’analisi in termini di dimensione economica, misurata tramite il Reddito Lordo Standard, che evidenzia una marcata concentrazione delle aziende nelle classi di minore dimensione. La polverizzazione della struttura produttiva è negativa per una razionale ed economica gestione del vigneto determinando anche condizioni di estrema debolezza contrattuale nei confronti della controparte commerciale. La fase di commercializzazione, d’altra parte, riflette la polverizzazione della produzione agricola evidenziando un quadro strutturale piuttosto diversificato in cui anche per le imprese di maggiori dimensioni si manifesta una crescente debolezza competitiva rispetto ai concorrenti internazionali, sia europei (Spagna e Grecia) sia extraeuropei (Egitto, Marocco, Tunisia e Turchia) caratterizzati da inferiori costi di produzione e da migliore organizzazione commerciale. La crescente integrazione dei mercati internazionali e l’evoluzione delle forme distributive al dettaglio hanno determinato l’allungamento della filiera con aumento dell’importanza delle fasi a valle della produzione agricola quali le operazioni del post-raccolta, della logistica e della valorizzazione commerciale. Queste fasi potrebbero essere gestite dagli stessi imprenditori agricoli mediante modalità organizzative e gestionali di diversa natura giuridica con lo scopo di governare, il più possibile, la formazione del valore del prodotto finale. In realtà, la numerosità e la scarsa attitudine associativa degli imprenditori agricoli, nonostante la marcata concentrazione geografica della coltura, determinano la loro esclusione da gran parte della catena del valore del prodotto. In Italia l’uva da tavola è coltivata nelle regioni meridionali dove trova l’habitat più adatto in alcune aree particolarmente vocate per condizioni pedoclimatiche e per la presenza di manodopera specializzata nonché di operatori commerciali di consolidata esperienza, svolgendo un importante ruolo in termini sia economici sia sociali. La concentrazione territoriale della coltura è evidente se si considera che dei circa 67.000 ettari registrati in Italia nel 2008, il 92% si trova in due sole regioni, Puglia e Sicilia, con la prima che copre il 66% dell’intera superficie vitata nazionale; inoltre, all’interno di tali regioni la coltura è localizzata in areali ben circoscritti. L’elevata concentrazione territoriale si riflette in una marcata omogeneità nelle tecniche produttive. Infatti, l’unica forma di allevamento adottata è il tendone a doppio impalco in irriguo che può presentare o meno la copertura con film plastico, a sua volta nelle due modalità per l’anticipo dell’epoca di maturazione e per il posticipo della raccolta. Nel caso di assenza di sistemi di forzatura il vigneto viene comunque protetto con reti antigrandine. Tali sistemi di forzatura e di protezione hanno caratteristiche

Percorso metodologico dei SAR per l’uva da tavola

• Identificazione delle tipologie aziendali

in un’area omogenea in base ai criteri di classificazione tipologica utilizzati a livello di Unione Europea e adottati dalla Rete di Informazione Contabile Agricola (RICA): Orientamento TecnicoEconomico (OTE) e Classe di Dimensione Economica (UDE)

• Caratterizzazione delle tipologie aziendali individuate e definizione dei SAR di uva da tavola

• Analisi di bilancio per la valutazione

dei costi di produzione e dei risultati economici di ogni SAR di uva da tavola

RICA (Rete di Informazione Contabile Agricola)

• La Rete di Informazione Contabile

Agricola (RICA) è lo strumento informativo finalizzato alla conoscenza della condizione economica delle aziende agricole europee (FADN database) e gestita in Italia dall’Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA) per analizzare la redditività e i costi di produzione delle aziende agricole italiane. La RICA conduce un’indagine campionaria annuale con un’impostazione analoga in tutti i Paesi UE e pertanto essa rappresenta l’unica fonte armonizzata di informazioni microeconomiche assicurando la produzione di dati comparabili a livello europeo

339


coltivazione diverse date dalla natura chimica dei materiali che ne determina importanti proprietà quali la resistenza meccanica e la fotodegradazione incidendo sulla loro durata. Le differenze che influiscono sui costi di impianto, quindi sul calcolo della quota di ammortamento, sono determinate, oltre che dalla tipologia di copertura, dalla scelta del sesto di impianto e dalle caratteristiche del suolo che potrebbero comportare interventi meccanici molto onerosi nell’ambito dei lavori preliminari. La scelta dei vitigni, invece, condiziona le tecniche colturali e quindi i costi di esercizio in quanto essi differiscono per sviluppo vegetativo e per caratteristiche del grappolo. Inoltre, la differenza nell’epoca di maturazione dei vitigni, che può essere genetica o indotta da metodi di forzatura, e le tecniche di copertura per l’anticipo e posticipo della raccolta, condizionano, oltre i costi, anche i prezzi di vendita. Infatti, con l’ampliamento dell’offerta al di fuori del tradizionale calendario di commercializzazione è possibile ottenere migliori rendimenti netti. La rapida diffusione delle varietà apirene, caratterizzate da minore produttività a fronte di prezzi di mercato superiori, ha consentito di diversificare l’offerta sotto l’aspetto sia dell’assortimento sia del calendario di raccolta, superando le iniziali difficoltà tecniche e la diffidenza dei produttori. Per le imprese produttrici di uva da tavola la forma di conduzione più frequente è quella diretto-coltivatrice in cui l’imprenditore è sia proprietario del capitale fondiario sia detentore del capitale di esercizio. Egli, inoltre, apporta anche il lavoro intellettuale e manuale, in quest’ultimo caso con il concorso di coadiuvanti familiari ed eventualmente di manodopera extrafamiliare, assunta a tempo determinato, per alcune operazioni colturali manuali quali la potatura e la gestione della vegetazione e dei grappoli. Meno diffusa, ma comunque presente nelle aree vocate, è la tipologia d’impresa che si avvale esclusivamente di salariati avventizi. La determinazione dei costi di produzione e l’analisi dell’incidenza delle diverse voci di costo sul totale possono essere di notevole utilità sia per le scelte dell’imprenditore agricolo sia per le decisioni di politica agraria ai diversi livelli istituzionali. Gli strumenti di analisi che possono essere adottati fanno riferimento ai principi della contabilità tradizionale, come il metodo del conto colturale analitico, oppure a metodologie basate sulla valutazione dei risultati economici a livello di tipologie aziendali ricorrenti in aree omogenee. In questo caso, si fa riferimento alla definizione di sistemi aziendali rappresentativi (Sar), cioè ad aziende tipo che siano in grado di rappresentare le caratteristiche medie di gruppi di aziende omogenee fra loro, con riferimento alla forma di conduzione imprenditoriale, alla natura dei fattori di produzione, alla tecnica di coltivazione adottata, alla dimensione economica e alle scelte commerciali.

Classificazione Tipologica delle aziende agricole

• La Classificazione Tipologica delle

aziende agricole, adottata dalla RICA, presenta, per ogni provincia italiana, una distribuzione delle aziende basata sull’orientamento tecnico-economico (OTE) e sulla classe di dimensione economica (UDE). Entrambi i parametri fanno riferimento al reddito lordo standard (RLS), determinato per ogni attività produttiva aziendale. Il campo di osservazione è l’insieme di aziende appartenenti all’universo CEE la cui dimensione sia superiore a 4 UDE

Reddito Lordo Standard (RLS)

• Il Reddito Lordo Standard è un parametro determinato per ciascuna attività produttiva aziendale mediante differenza fra la produzione vendibile e l’importo di alcuni costi specifici esclusi quelli per l’impiego della manodopera e delle macchine. I redditi lordi così determinati vengono definiti “standard” in quanto la produzione vendibile e i costi sono calcolati su una media triennale e con riferimento alla zona altimetrica di ogni regione. I RLS sono espressi in euro e aggiornati dall’INEA in occasione delle indagini strutturali e dei censimenti dell’ISTAT

340


costo di produzione Ripartizione dei costi di produzione del vitigno Black Magic con film plastico per anticipo Costi di produzione nella fase di maturità del vigneto per il vitigno Black Magic per anticipo

Manodopera 1% 6%

Macchine e attrezzi Mezzi tecnici

25%

35%

11% 16%

6%

Spese generali

Elementi del costo

Quota ammortamento impianto Interesse sul capitale di anticipazione Prezzo d’uso del capitale fondiario

Costi di produzione di alcune cultivar mediante il conto colturale analitico Il confronto fra i costi di produzione di alcune varietà di uva da tavola è realizzato mediante il conto colturale analitico che fa riferimento ai costi annuali di produzione relativi all’unità di superficie, cioè all’ettaro e a valori riferiti al 2008. Sono prese in esame otto varietà, le principali fra quelle coltivate in Italia, di cui alcune precoci e altre medio-tardive, considerando per ognuna di esse le più utilizzate tecniche di copertura. Per due di esse, la Italia e la Victoria, la coltura si considera nelle modalità di copertura: per l’anticipo, per il posticipo e per la protezione antigrandine con rete. Le altre varietà sono: Palieri con rete, Centennial Seedless con rete, Pizzutello con rete, Regina Bianca con rete, Black Magic per l’anticipo e Red Globe per il posticipo. L’ambito territoriale di riferimento è la Puglia e per la vendita del prodotto si fa riferimento alla modalità “a blocco” sulla pianta con le operazioni di

Macchine e attrezzi 34%

19% 11%

7% 20%

Manodopera

5690

Macchine e attrezzi

926

Mezzi tecnici

2650

Spese generali

1890

Quota ammortamento impianto

4100

Interesse sul capitale di anticipazione

229

Prezzo d’uso del capitale fondiario

1050

Totale

16.535

Elementi del costo

Manodopera 8%

euro/ha

Costi di produzione nella fase di maturità del vigneto per il vitigno Centennial Seedless con rete

Ripartizione dei costi di produzione del vitigno Centennial Seedless con rete 1%

Anticipo

Mezzi tecnici Spese generali Quota ammortamento impianto Interesse sul capitale di anticipazione Prezzo d’uso del capitale fondiario

341

Con rete euro/ha

Manodopera

4565

Macchine e attrezzi

890

Mezzi tecnici

2650

Spese generali

1485

Quota ammortamento impianto

2500

Interesse sul capitale di anticipazione

181

Prezzo d’uso del capitale fondiario

1050

Totale

13.321


coltivazione Ripartizione dei costi di produzione del vitigno Palieri con rete Costi di produzione nella fase di maturità del vigneto per il vitigno Palieri con rete Elementi del costo

1%

euro/ha 5622

Macchine e attrezzi

990

Mezzi tecnici

3200

Spese generali

1750

Quota ammortamento impianto

2500

Interesse sul capitale di anticipazione

211

Prezzo d’uso del capitale fondiario

1050

Totale

15.323

21%

Macchine e attrezzi

914

Mezzi tecnici

2400

Spese generali

1265

Quota ammortamento impianto

2500

Interesse sul capitale di anticipazione

176 1050

Totale

12.928

Interesse sul capitale di anticipazione

Ripartizione dei costi di produzione del vitigno Pizzutello con rete 1%

Manodopera Macchine e attrezzi

8%

Mezzi tecnici

19%

Prezzo d’uso del capitale fondiario

Quota ammortamento impianto

raccolta, selezione e confezionamento a carico dell’acquirente, generalmente un’impresa commerciale attiva sui mercati nazionali e internazionali. Pertanto, la determinazione del costo totale di produzione per l’imprenditore agricolo è condotta facendo riferimento alle operazioni colturali di cui si compone il processo produttivo con l’esclusione delle operazioni di raccolta e confezionamento. Il confronto fra le varietà si riferisce a impianti nella fase di stazionarietà caratterizzati dalla forma di allevamento a tendone a doppio impalco con sesto di impianto di 2,5 × 2,5 m, che è il più adottato nelle aree di coltivazione. Anche se la forma di conduzione più frequente è quella diretto-coltivatrice, si fa riferimento alla figura dell’imprenditore puro o astratto con lo scopo di rendere espliciti tutti i costi e di considerare tutti i fattori della produzione. La tecnica colturale è quella più frequente per ogni varietà con l’impiego medio di fattori produttivi, per i quali si considerano prezzi correnti di mercato, in grado di esprimere

euro/ha 4623

7%

Spese generali

Prezzo d’uso del capitale fondiario

Con rete

Manodopera

37%

11%

Costi di produzione nella fase di maturità del vigneto per il vitigno Pizzutello con rete Elementi del costo

Macchine e attrezzi Mezzi tecnici

16%

Con rete

Manodopera

Manodopera 7%

36%

10% 19%

7%

Spese generali Quota ammortamento impianto Interesse sul capitale di anticipazione Prezzo d’uso del capitale fondiario

342


costo di produzione Ripartizione dei costi di produzione del vitigno Red Globe con film plastico per posticipo Costi di produzione nella fase di maturità del vigneto per il vitigno Red Globe per posticipo

Manodopera 1% 16%

Macchine e attrezzi

5%

Mezzi tecnici 36%

14% 21%

7%

Spese generali

Elementi del costo

Quota ammortamento impianto Interesse sul capitale di anticipazione Prezzo d’uso del capitale fondiario

un livello di produttività in linea con la media della varietà negli areali considerati. I prezzi di vendita dell’uva variano per ogni cultivar con significative differenze fra le produzioni realizzate in epoche diverse grazie alle tecniche per l’anticipo della maturazione e il posticipo della raccolta. Lo schema del conto colturale presenta le voci di costo relative alle operazioni colturali aggregate nelle due componenti riguardanti la manodopera e la meccanizzazione. La prima comprende sia i costi relativi alle operazioni esclusivamente manuali sia i costi del lavoro svolto dai conducenti delle trattrici e dagli addetti alle macchine operatrici. L’aggregato relativo alle macchine e attrezzi, invece, si riferisce ai soli costi della meccanizzazione comprendendo i costi fissi (quote di reintegrazione, di assicurazione e di manutenzione e gli interessi) e i costi variabili (carburante e lubrificante).

343

euro/ha

Manodopera

7302

Macchine e attrezzi

1334

Mezzi tecnici

4250

Spese generali

2800

Quota ammortamento impianto

3200

Interesse sul capitale di anticipazione

283

Prezzo d’uso del capitale fondiario

1050

Totale

20.219

Red Globe

Foto M. Curci

Con rete


coltivazione Ripartizione dei costi di produzione del vitigno Regina Bianca con rete Costi di produzione nella fase di maturità del vigneto per il vitigno Regina Bianca con rete Elementi del costo

1%

Manodopera Mezzi tecnici

19%

Anticipo

Macchine e attrezzi

8% 35%

euro/ha

Manodopera

4660

Macchine e attrezzi

972

Mezzi tecnici

2600

Spese generali

1375

Quota ammortamento impianto

2500

Interesse sul capitale di anticipazione

182

Prezzo d’uso del capitale fondiario

1050

Totale

13.339

10% 20%

7%

Spese generali Quota ammortamento impianto Interesse sul capitale di anticipazione Prezzo d’uso del capitale fondiario

Il costo della manodopera è calcolato facendo riferimento ai saggi orari salariali degli operai specializzati, comprensivi degli oneri previdenziali e assicurativi, mentre per il costo relativo all’impiego delle macchine e attrezzi si fa riferimento alle tariffe del noleggio praticate dalle imprese contoterziste. In particolare, per ogni operazione meccanizzata la tariffa oraria del noleggio è ripartita in due componenti: quella relativa al conducente, che è considerata fra i costi della manodopera, e quella relativa al costo d’uso del mezzo meccanico che è considerata fra i costi della meccanizzazione. Le operazioni di potatura del vigneto sono esclusivamente manuali: la voce relativa alla potatura secca, o invernale, comprende le operazioni manuali di taglio, legatura dei capi a frutto, distacco dei sarmenti, sistemazione degli stessi lungo i filari e le operazioni meccaniche di trinciatura; la potatura verde, invece, comprende la spampinatura, la sfemminellatura, la legatura dei Foto G. Cortese

344


costo di produzione Ripartizione costi di produzione del vitigno Victoria con film plastico per il posticipo 1%

Costi di produzione nella fase di maturità del vigneto per il vitigno Victoria con film plastico per il posticipo

Manodopera Macchine e attrezzi

6%

Mezzi tecnici

17% 39% 13% 6%

18%

Spese generali

Elementi del costo

Interesse sul capitale di anticipazione

Manodopera

7063

Macchine e attrezzi

1170

Mezzi tecnici

3200

Spese generali

2450

Quota ammortamento impianto

3200

Interesse sul capitale di anticipazione

256

Prezzo d’uso del capitale fondiario

1050

Totale

18.389

Prezzo d’uso del capitale fondiario

tralci, il diradamento dei tralci, dei grappoli e degli acini nonché le operazioni di pulizia dei grappoli in corso di maturazione. Per quanto riguarda le operazioni di concimazione e di lotta antiparassitaria, le relative voci comprendono sia le operazioni preliminari (trasporto, carico, scarico) sia la somministrazione del mezzo tecnico. La tecnica irrigua più diffusa per la coltivazione dell’uva da tavola è quella localizzata a goccia, che presenta un elevato livello di automatizzazione ma che tuttavia richiede l’apporto di lavoro manuale per le operazioni di avviamento e spegnimento dell’impianto, per il controllo del suo regolare funzionamento ma, soprattutto, per la pulizia dei gocciolatori e dei filtri nonché per riparazioni varie. L’aggregato di costo riguardante i mezzi tecnici comprende, per ogni cultivar oggetto del confronto, gli oneri per ettaro relativi alle quantità mediamente impiegate per i fertilizzanti, gli antiparassitari, l’acqua irrigua e altro materiale.

Elementi del costo

Manodopera Macchine e attrezzi

6% 34%

25% 12%

6% 16%

euro/ha

Costi di produzione nella fase di maturità del vigneto per il vitigno Victoria con film plastico per l’anticipo

Ripartizione dei costi di produzione del vitigno Victoria con film plastico per anticipo 1%

Posticipo

Quota ammortamento impianto

Mezzi tecnici Spese generali Quota ammortamento impianto Interesse sul capitale di anticipazione Prezzo d’uso del capitale fondiario

345

Anticipo euro/ha

Manodopera

5714

Macchine e attrezzi

996

Mezzi tecnici

2650

Spese generali

1950

Quota ammortamento impianto

4100

Interesse sul capitale di anticipazione

231

Prezzo d’uso del capitale fondiario

1050

Totale

16.691


coltivazione Ripartizione dei costi di produzione del vitigno Victoria con rete antigrandine Costi di produzione nella fase di maturità del vigneto per il vitigno Victoria con rete antigrandine Elementi del costo

1%

Mezzi tecnici

18%

euro/ha 4955

Macchine e attrezzi

890

Mezzi tecnici

2500

Spese generali

1925

Quota ammortamento impianto

2500

Interesse sul capitale di anticipazione

192

Prezzo d’uso del capitale fondiario

1050

Totale

14.012

36%

18%

Macchine e attrezzi

1507

Mezzi tecnici

4450

Spese generali

3000

Ripartizione dei costi di produzione del vitigno Italia per posticipo Manodopera 1% 5%

3200

Macchine e attrezzi Mezzi tecnici

15%

Interesse sul capitale di anticipazione

293

Prezzo d’uso del capitale fondiario

1050

Costo totale di produzione euro/ha

20.867

Interesse sul capitale di anticipazione

La voce spese generali include costi non specifici alla singola coltura ma riferiti alla gestione dell’azienda, che può avere differenti livelli di complessità a seconda dell’ordinamento colturale e della tipologia imprenditoriale. In tale voce sono comprese le imposte, le tasse, i contributi consortili, la retribuzione del lavoro di direzione, amministrazione, sorveglianza tecnica, le spese telefoniche, di cancelleria, di guardiania e altre spese aziendali. Nel conto colturale questa voce di costo viene attribuita in modo forfettario nella misura del 10% del valore della produzione vendibile della coltura. L’interesse sul capitale di anticipazione è calcolato empiricamente considerando che le spese siano mediamente anticipate per sei mesi e assumendo un saggio pari al 3% seguendo il criterio del possibile rendimento alternativo del capitale. Per il prezzo d’uso del capitale fondiario si considera il saggio del 3% applicato al valore medio di mercato del capitale fondiario. La quota annua di ammortamento dell’impianto è calcolata con-

euro/ha 7367

6%

Prezzo d’uso del capitale fondiario

Posticipo

Manodopera

Spese generali Quota ammortamento impianto

14%

Costi di produzione nella fase di maturità del vigneto per il vitigno Italia con film plastico per il posticipo

Quota ammortamento impianto

Macchine e attrezzi

7%

Con rete

Manodopera

Elementi del costo

Manodopera

35% 15% 22%

7%

Spese generali Quota ammortamento impianto Interesse sul capitale di anticipazione Prezzo d’uso del capitale fondiario

346


costo di produzione Ripartizione dei costi di produzione del vitigno Italia per anticipo Costi di produzione nella fase di maturità del vigneto per il vitigno Italia con film plastico per l’anticipo

Manodopera 1% 6%

Macchine e attrezzi Mezzi tecnici

24%

35%

Spese generali

Anticipo

Quota ammortamento impianto

Elementi del costo

Interesse sul capitale di anticipazione

Manodopera

6022

Macchine e attrezzi

1046

Mezzi tecnici

2900

Spese generali

1925

siderando i costi dei primi tre anni al netto della produzione del terzo anno e una durata economica media di 18 anni. Il confronto dei costi di produzione fra le diverse cultivar risulta maggiormente efficace se si considera anche il costo riferito all’unità di produzione. A tal scopo il costo totale è ripartito per la resa media di ogni cultivar per ottenere il costo unitario riferito al chilogrammo di uva. Il valore così ottenuto si definisce “sulla pianta”, cioè al netto degli oneri per la raccolta (manodopera e meccanizzazione) e per il confezionamento (plateaux con addobbi). Normalmente l’imprenditore agricolo (non commerciante) non sostiene questi oneri perché sono a carico dell’acquirente; tuttavia, nell’analisi viene calcolato anche il costo unitario dell’uva al lordo di raccolta e confezionamento. Il conto colturale considera tutte le voci di costo in maniera esplicita facendo riferimento all’imprenditore puro o astratto il cui compenso, il tornaconto o profitto, viene calcolato detraendo i costi di produzione dal valore della produzione lorda vendibile (Plv).

Quota ammortamento impianto

4100

Interesse sul capitale di anticipazione

240

Prezzo d’uso del capitale fondiario

1050

Costo totale di produzione euro/ha

17.283

Manodopera

5128

Ripartizione dei costi di produzione del vitigno Italia con rete antigrandine

Macchine e attrezzi

1012

Mezzi tecnici

3150

Spese generali

1400

Quota ammortamento impianto

2500

Interesse sul capitale di anticipazione

198

Prezzo d’uso del capitale fondiario

1050

Costo totale di produzione euro/ha

14.438

11%

6% 17%

Prezzo d’uso del capitale fondiario

Costi di produzione nella fase di maturità del vigneto per il vitigno Italia con rete antigrandine Elementi del costo

Manodopera 1%

Macchine e attrezzi

7%

Mezzi tecnici

17%

36%

10% 22%

7%

euro/ha

Spese generali Quota ammortamento impianto Interesse sul capitale di anticipazione Prezzo d’uso del capitale fondiario

347

Con rete euro/ha


coltivazione Confronto fra le cultivar Il confronto dei costi fra le cultivar consente di evidenziare che le differenze sono più accentuate se si considera il costo unitario rispetto al costo per ettaro. Infatti, le differenze nelle rese amplificano le variazioni di costo per unità di peso. Il costo totale per ettaro più elevato è quello riscontrato per la cultivar Italia nella modalità con copertura mediante film plastico per il posticipo, pari a 20.867 euro, mentre quello minimo si riferisce alla cultivar Pizzutello, allevata sotto rete protettiva, con un valore pari a 12.927 euro per ettaro. Questa cultivar, però, evidenzia anche un elevato costo per unità di peso, pari a 0,56 euro/kg, in conseguenza della resa (230 q/ha), che è la più bassa fra quelle delle varietà considerate. L’effetto della resa inferiore determina anche l’elevato costo unitario della Black Magic coltivata per l’anticipo, pari a 0,61 euro/kg, il più elevato, che ha però un costo per ettaro pari a 16.535 euro, quasi in linea con la media dei costi delle varietà considerate. Il costo unitario più basso viene ottenuto con la Victoria sotto rete per la quale si spendono 0,40 euro/kg. Si osserva, dunque, come le diverse impostazioni della tecnica colturale, ma anche la diversa produttività delle varietà, determinino differenze nei costi e circostanze per cui in termini di costo unitario una varietà costi meno di un’altra. In termini generali si può notare come le varietà allevate per il posticipo della raccolta abbiano i maggiori costi per ettaro mentre quelle con rete di protezione antigrandine siano caratterizzate dai costi più bassi. Nel primo caso l’allungamento del calendario delle operazioni colturali determina un maggior impiego di manodopera per la gestione della vegetazione e dei grappoli così come un numero maggiore di lavorazioni del terreno e di interventi antiparassitari che incidono anche sulla voce della meccanizzazione e dei mezzi tecnici. La maggiore esigenza in manodopera è manifestata dalla Italia (7367 euro) e dalla Red Globe (7302 euro), entrambe per il posti-

Orientamento TecnicoEconomico (OTE)

• L’Orientamento Tecnico-Economico

(OTE) è determinato sulla base dell’incidenza percentuale dei singoli redditi lordi standard (RLS) delle diverse attività produttive aziendali rispetto al complessivo reddito lordo standard aziendale ottenuto per somma dei valori dei singoli RLS di ogni attività. La classificazione prevede 8 OTE generali, 17 principali e 50 particolari. Le aziende che ricavano più di 2/3 del proprio reddito lordo standard aziendale dalla coltivazione di uva da tavola ricadono nell’OTE particolare “Aziende specializzate nella produzione di uva da tavola” (Reg. CE n. 1242/2008)

Foto S. Somma

Euro/kg

Confronto fra costo di produzione e prezzo della varietà Italia per anticipo 0,6 0,55 0,5 0,45 0,4 0,35 0,3 0,25

2004

2005

2006 Anni

Costo (euro/kg)

Prezzo (euro/kg)

Fonte: Elaborazione su dati ISMEA e ISTAT

348

2007

2008


costo di produzione

Euro/kg

Confronto fra costo di produzione e prezzo della varietà Italia con rete antigrandine 0,5 0,45 0,4 0,35 0,3 0,25 0,2

2004

2005

2006

2007

Foto S. Somma

2008

Anni Costo (euro/kg)

Prezzo (euro/kg)

Fonte: Elaborazione su dati ISMEA e ISTAT

cipo, mentre la apirene Centennial Seedless sotto rete ha il fabbisogno più basso (4565 euro). I costi di meccanizzazione di ogni varietà riflettono quelli della manodopera mentre per quanto riguarda l’impiego di mezzi tecnici (fertilizzanti, antiparassitari, acqua irrigua) l’Italia e la Red Globe, allevate per il posticipo, hanno costi per ettaro notevolmente superiori (rispettivamente 4450 e 4250 euro) in relazione alla media dei dati oggetto di confronto (3050 euro). Il valore più basso per questa categoria di costi è relativo alla cultivar Pizzutello con 2400 euro/ha. I dati relativi al vitigno Italia si riferiscono alle tre diverse tecniche di allevamento evidenziando costi di produzione, sia per ettaro sia per chilogrammo, crescenti nel passare dalla modalità protetta con rete, a quella per l’anticipo e per il posticipo. È da notare che il maggiore costo di produzione della coltivazione per il posticipo della raccolta (20.867 euro), determinato da maggiori cure colturali, viene ripartito per una superiore produzione

Victoria

Unità di Dimensione Economica Europea (UDE)

• L’Unità di Dimensione Economica

Confronto fra costo di produzione e prezzo della varietà Italia per posticipo

Europea rappresenta l’unità di base per il calcolo della dimensione economica aziendale. Questa è ottenuta sommando i redditi lordi standard (RLS) di ogni attività produttiva aziendale in modo da ottenere il RLS aziendale e quindi dividendo quest’ultimo parametro per il valore di un UDE (1200 euro)

0,8

Euro/kg

0,7 0,6 0,5 0,4 0,3

2004

2005

2006

2007

• Le aziende, in base alla loro dimensione

2008

economica, vengono raggruppate in classi UDE

Anni Costo (euro/kg)

Prezzo (euro/kg)

Fonte: Elaborazione su dati ISMEA e ISTAT

349


coltivazione per ettaro, pari a 400 quintali, con costo unitario di 0,52 euro/kg. Il posticipo della raccolta determina maggiori costi di manodopera evidenziando, però, la medesima incidenza di tale categoria sul totale rispetto alla modalità per l’anticipo (35%). Si evidenzia, inoltre, la bassa incidenza della voce relativa ai mezzi tecnici (17%) e l’alta incidenza della quota di ammortamento dell’impianto (24%) per la tecnica con film plastico per l’anticipo. Anche per la cultivar Victoria i costi di produzione per ettaro sono crescenti nel passare dalla modalità con rete a quella per l’anticipo e quindi per il posticipo, mentre se si ripartisce il costo per la produzione unitaria si ha un valore maggiore nel caso della tipologia per l’anticipo (0,56 euro/kg) poiché quest’ultima è caratterizzata da una resa inferiore (300 q/ha). Osservando la composizione delle voci di costo, emerge la maggiore incidenza dell’impiego di manodopera (39%) se la cultivar è allevata per il posticipo della raccolta, e anche per questa varietà è da notare l’alta incidenza della quota di ammortamento dell’impianto (25%) se è allevata con la tecnica del film plastico per l’anticipo. Nel caso dell’unica varietà apirene considerata, la Centennial Seed­ less, in coltura protetta con rete, l’importo del costo per ettaro è pari a 13.321 euro che, ripartito per una produzione unitaria di 270 quintali, corrisponde a un costo al chilogrammo di 0,49 euro. L’incidenza del fattore lavoro è pari al 34% (4565 euro) mentre le macchine e gli attrezzi incidono per il 7% e i mezzi tecnici per il 20%. La varietà Palieri, allevata con rete protettiva, ha un costo per ettaro di 15.323 euro e un costo unitario di 0,44 euro/kg. L’incidenza della manodopera risulta piuttosto elevata, il 37%, così come dei mezzi tecnici, 21%; mentre rispetto alle altre varietà è inferiore il peso dell’ammortamento dell’impianto. Un’altra varietà sotto rete, la Pizzutello, è caratterizzata dai valori più bassi sia per il costo per ettaro sia per la resa (pari rispettivamente a 12.927 euro e a 230 q/ha).

Caratterizzazione delle tipologie aziendali e definizione dei SAR di uva da tavola

• In base ai parametri OTE e UDE

vengono individuate, per un territorio omogeneo, le tipologie aziendali prevalenti, omogenee per indirizzo produttivo e per dimensione economica, supponendo una loro omogeneità anche per la dotazione strutturale e per le tecnologie di produzione. A ognuna di tali tipologie aziendali viene associato un Sistema Aziendale Rappresentativo (SAR) che viene costruito a partire dalle informazioni statistiche di fonte RICAINEA integrate da indagini di campo e da interviste a esperti del settore. In tal modo è possibile individuare un numero di SAR in grado di rappresentare le diverse tipologie di aziende produttrici di uva da tavola in aree omogenee Foto S. Somma

Euro/kg

Confronto fra costo di produzione e prezzo della varietà Victoria per anticipo 0,85 0,8 0,75 0,7 0,65 0,6 0,55 0,5 0,45

2004

2005

2006 Anni

Costo (euro/kg)

Pizzutello di Tivoli bianco

Prezzo (euro/kg)

Fonte: Elaborazione su dati ISMEA e ISTAT

350

2007

2008


costo di produzione Anche la Regina Bianca ha un basso costo per ettaro, 13.339 euro, e una bassa resa, 250 q/ha, evidenziando un’elevata incidenza dei costi relativi ai mezzi tecnici. La varietà Black Magic, coltivata con film plastico per l’anticipo, ha un costo di 16.535 euro per ettaro e un costo per chilogrammo di 0,61 euro, che è il più basso fra quelli esaminati. I costi di manodopera (34%), di macchine e attrezzi (6%) e di mezzi tecnici (16%) hanno una bassa incidenza sul costo totale mentre, così come visto per le altre varietà allevate per l’anticipo, è elevato il peso percentuale delle quote di ammortamento dell’impianto (25%) a causa della copertura in plastica. Per la varietà Red Globe, invece, la tecnica del posticipo determina un’elevata incidenza dei costi di manodopera (36%), di mezzi tecnici (21%) nonché di spese generali (14%). Questa varietà denota un elevato costo di produzione, 20.219 euro per ettaro, che si ripartisce su un’elevata resa per ettaro, pari a 400 quintali. Il confronto fra i risultati economici delle varietà consente di rilevare una notevole variabilità nella produzione lorda vendibile (plv) e nei profitti unitari, determinate dalle differenze sia nei costi di produzione, come già rilevato, sia nei prezzi di vendita e nelle rese del prodotto. Si evidenzia che i valori più elevati per la produzione vendibile e i profitti si realizzano per le coltivazioni protette per il posticipo, soprattutto per la Red Globe (28.000 euro di plv e 7781 euro di profitto) e per la Victoria (24.500 euro di plv e 6111 euro di profitto), che risulta essere la varietà con i profitti maggiori per le tre modalità di coltivazione. Invece l’Italia per il posticipo, pur realizzando una plv di 24.000 euro, ha un profitto pari a 3133 euro, a causa di costi più alti. La tecnica di allevamento con rete protettiva manifesta i ricavi e i profitti più bassi che risultano addirittura negativi (perdite) per l’Italia (–438 euro) e per la Pizzutello (–278 euro). Pur tenendo conto delle differenze nelle rese e nei costi di produzione, i minori profitti sono determinati soprattutto

Descrizione dei SAR di uva da tavola

• Ogni SAR viene descritto con riferimento alla forma di conduzione, alla natura dei fattori di produzione, alla tecnica di coltivazione e alla dimensione economica. I fattori di produzione sono rappresentati dal capitale fondiario, dal capitale di esercizio e dal lavoro intellettuale e manuale. Le tecniche descrivono la quantità e la qualità di fattori tecnici impiegati per eseguire le varie operazioni nonché il loro tempo di esecuzione. Infine, per ogni SAR si considerano le modalità di commercializzazione dell’uva e le attività di relazione con gli interlocutori di mercato

Foto S. Somma

Confronto fra costo di produzione e prezzo della varietà Victoria con rete antigrandine 0,55

Euro/kg

0,5 0,45 0,4 0,35 0,3 0,25

2004

2005

2006

2007

2008

Anni Costo (euro/kg)

Prezzo (euro/kg)

Black Magic

Fonte: Elaborazione su dati ISMEA e ISTAT

351


coltivazione dai prezzi di vendita più bassi in conseguenza dell’elevata offerta di prodotto in piena stagione di produzione. Infatti, grazie alle tecniche di copertura per l’anticipo e per il posticipo è possibile conseguire prezzi di vendita più remunerativi vendendo il prodotto sui mercati nazionali e internazionali come primizia oppure durante il periodo autunnale fino alle festività natalizie. Naturalmente, in questo caso un ruolo fondamentale è svolto dall’andamento climatico, dall’offerta di prodotti frutticoli sostitutivi e, in generale, dalla congiuntura economica che condiziona gli acquisti delle famiglie. Dal confronto fra i prezzi di vendita emerge che i valori più elevati si registrano per il prodotto ottenuto con le tecniche di forzatura per l’anticipo e per il posticipo (varietà Victoria, Black Magic e Red Globe) e che la varietà Italia ha un prezzo medio inferiore rispetto alle altre. In particolare, il confronto fra il costo unitario e la serie dei prezzi riferita ad alcuni anni, per le varietà Italia e Victoria, rende evidente l’estrema aleatorietà dei prezzi di vendita del prodotto determinando un elevato grado di incertezza per i redditi degli imprenditori agricoli nonostante essi si sforzino di allungare il calendario di commercializzazione. Pur considerando solo la componente inflattiva nell’andamento dei costi di produzione, negli ultimi cinque anni per la varietà Italia con rete il prezzo è risultato superiore al costo unitario solo nel 2005, che è, invece, l’unico anno in cui la stessa varietà nella modalità per l’anticipo ha registrato un prezzo notevolmente inferiore al costo unitario. Per il prodotto posticipato, invece, si è registrato un andamento altalenante con valori

Classificazione dei costi

• I costi espliciti sono rappresentati dagli oneri che gli imprenditori sostengono per remunerare fattori di produzione esterni all’azienda

• I costi impliciti sono riferiti a fattori

produttivi apportati dall’imprenditore e dai suoi familiari

• I costi fissi riguardano gli oneri sostenuti per l’impiego dei fattori che esplicano la loro funzione in più anni o che sono da sostenere indipendentemente dalla attività (affitti, interessi, compensi per lavoratori fissi)

• I costi variabili sono oneri sostenuti

per l’acquisto dei fattori a logorio totale e per la remunerazione della manodopera salariata avventizia

Costo di produzione di alcune varietà di uva da tavola (valori 2008) Varietà

Manodopera (euro/ha)

Mezzi tecnici (euro/ha)

Italia - con rete

5128

3150

1012

14.438

0,41

Italia - posticipo

7367

4450

1507

20.867

0,52

Italia - anticipo

6022

2900

1046

17.283

0,49

Victoria - con rete

4955

2500

890

14.012

0,40

Victoria - posticipo

7063

3200

1170

18.389

0,53

Victoria - anticipo

5714

2650

996

16.691

0,56

Palieri - con rete

5622

3200

990

15.323

0,44

Centennial Seedless - con rete

4565

2650

890

13.321

0,49

Pizzutello - con rete

4623

2400

914

12.928

0,56

Regina Bianca - con rete

4660

2600

972

13.339

0,53

Back Magic - anticipo

5690

2650

926

16.535

0,61

Red Globe - posticipo

7302

4250

1334

20.219

0,51

352

Macchine e Costo totale di attrezzi (euro/ha) produzione (euro/ha)

Costo unitario di produzione (euro/kg)


costo di produzione anche inferiori al costo unitario in alcuni anni, a dimostrazione che la vendita del prodotto nel periodo autunnale è caratterizzata da elevata rischiosità. L’offerta di prodotto ottenuto con la tecnica dell’anticipo risente sempre più della concorrenza di prodotti sostitutivi e di uva importata dai Paesi del bacino del Mediterraneo dai quali provengono crescenti flussi di prodotto oggetto di rilavorazione e che viene quasi tutto esportato come italiano. L’aleatoreità dei prezzi aumenta il rischio imprenditoriale; il trend molto spesso decrescente, o tutt’al più costante accoppiato all’aumento progressivo dei costi dei fattori della produzione sta conducendo al ridimensionamento della produzione di uva da tavola in Italia. La progressiva erosione dei redditi netti nel settore ha innescato un processo di selezione imprenditoriale che premia solo coloro che per caratteristiche strutturali dell’azienda sono capaci di operare realizzando economie di scala e di ottenere ricavi appena superiori a quelli delle aziende piccole e medie. Nel futuro ci si augura un processo di tipicizzazione del prodotto che miri a differenziarlo dalla concorrenza estera con possibilità di prezzo superiore. Ci si auspica, inoltre, che i trend di consumo ritornino ai livelli degli anni precedenti. La debolezza della domanda accentua le difficoltà nonostante l’aumento del livello qualitativo medio, l’espansione dell’offerta di uve certificate, ottenute con tecniche di lotta integrata e biologica, di diversificazione varietale, con l’incremento dell’offerta di uve precoci e di apirene soprattutto per i mercati esteri.

Risultati economici dei SAR

• Il calcolo dei ricavi e dei costi di

produzione a livello di ogni SAR di uva da tavola permette di condurre un’analisi sulla composizione dei costi nonché sui risultati economici dell’impresa. Il primo risultato è il reddito lordo aziendale (RLA), dato dalla differenza fra i ricavi e i costi espliciti, e successivamente, detraendo anche i costi legati all’impiego dei fattori fissi, si ottiene il reddito netto dell’imprenditore concreto (RNA). Allo scopo di procedere ulteriormente nella determinazione dei risultati di ogni SAR, è necessario effettuare la stima della remunerazione dei fattori produttivi apportati dall’imprenditore e dai suoi familiari

Confronto dei risultati economici fra le varietà (valori 2008) Resa (q/ha)

Prezzo di vendita (euro/q)

Plv/ha (euro)

Costo totale di produzione (euro/ha)

Profitto (euro/ha)

Italia - con rete

350

40

14.000

14.438

–438

Italia - posticipo

400

60

24.000

20.867

3133

Italia - anticipo

350

55

19.250

17.283

1967

Victoria - con rete

350

50

17.500

14.012

3488

Victoria - posticipo

350

70

24.500

18.389

6111

Victoria - anticipo

300

70

21.000

16.691

4309

Palieri - con rete

350

50

17.500

15.323

2177

Centennial Seedless - con rete

270

55

14.850

13.321

1529

Pizzutello - con rete

230

55

12.650

12.928

–278

Regina Bianca - con rete

250

55

13.750

13.339

411

Black Magic - anticipo

270

70

18.900

16.535

2365

Red Globe - posticipo

400

70

28.000

20.219

7781

353


l’uva da tavola

coltivazione Produzione sostenibile Ettore Capri,

Angelo Moretto

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Produzione sostenibile Introduzione L’uva da tavola è una coltivazione che comporta un rischio per il territorio e per l’uomo. Il rischio per il territorio è dovuto all’uso delle risorse naturali, fossili, chimiche e biologiche. Come tutti i fenomeni di carattere spazio-temporale a base biologica, se le risorse sono utilizzate in modo oculato il consumo può produrre ricchezza, i cosiddetti servizi eco-sistemici, migliorando le funzionalità ecosistemiche vantaggiose per le comunità di organismi residenti – uomo compreso – e le attività produttive tecnologiche (obiettivi di sostenibilità). Il rischio per l’uomo è dovuto all’uso di sostanze potenzialmente pericolose che possono mettere a rischio la salute degli operatori, dei residenti, degli astanti e dei consumatori qualora il loro utilizzo non si effettui correttamente, cioè non seguendo le indicazioni di buona pratica agricola riportate in etichetta. Ma in un mercato che pretende prezzi più bassi, le aziende che adottano programmi di sostenibilità realizzano maggiori benefici? Sembra di sì, soprattutto nel medio-lungo periodo. Molti esperti ritengono che la gestione sostenibile della coltivazione dell’uva da tavola sia la condizione per la sopravvivenza della coltura in alcuni territori particolarmente sensibili al rischio ambientale, dove la coltura è concentrata su superfici elevate.

Obiettivo di sostenibilità

• Vuol dire perseguire pratiche

agronomiche secondo modalità in grado di consolidare e realizzare all’interno dell’azienda i servizi eco-sistemici: produzioni alimentari, conservazione del paesaggio, conservazione della biodiversità, tutela della flora e della fauna, attività ricreative, estetica, spiritualità, cultura, aumento della resistenza alle malattie e ai cambiamenti climatici, presidio del territorio, manutenzione del territorio

Uso sostenibile degli agrofarmaci La definizione universalmente accettata di sostenibilità è quella fornita nel 1987 dalla Commissione Mondiale delle Nazioni Unite per l’Ambiente e lo Sviluppo che, nel tentativo di dipanaFoto G. Cortese

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produzione sostenibile re l’apparente conflitto tra sviluppo e tutela dell’ambiente, ha definito sostenibile lo “sviluppo che è in grado di garantire le necessità del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di fare altrettanto”. In viticoltura, quindi, si tratta di definire un insieme di pratiche agronomiche sensibili all’ambiente e alle richieste sociali del territorio che siano, al tempo stesso, dotate di fattibilità pratica ed economica. In questo contesto, pur essendo ardua una definizione condivisa di viticoltura sostenibile, la medesima può essere ragionevolmente configurata come “quella viticoltura che, a un’irrinunciabile qualità del prodotto, associa resa remunerativa, contenimento dei costi di produzione e rispetto per l’ambiente e per la salute dell’uomo”. Il limitato spazio editoriale concesso ci permette di presentare al lettore un solo caso concreto che riguarda la difesa fitosanitaria, ossia l’uso sostenibile degli agrofarmaci declinato a ridurre i rischi per l’ambiente e per l’uomo nel rispetto di una produzione economicamente remunerativa. Un programma di sostenibilità completo di un’azienda agricola deve riguardare l’insieme di variabili e fattori produttivi contestualizzati in un processo proattivo di gestione oltre gli agrofarmaci. Gli agrofarmaci sono, attualmente, il principale mezzo di difesa contro le maggiori avversità che colpiscono le produzioni agrarie e forestali. Il loro impiego, seppure evidentemente vantaggioso, implica dei rischi sia per l’uomo sia per l’ambiente. L’uso responsabile di questi prodotti può limitare tali rischi. I miglioramenti

Agricoltura sostenibile

• L’imprenditore agricolo che adotta

un programma di sostenibilità ha vantaggi personali, professionali ed economici rafforzando il suo ruolo nella società. Questo perché possono essere raggiunti: – costi di produzione più bassi se le scelte dei miglioramenti fondiari e tecnologici sono realizzate seguendo analisi di costi-benefici, programmi di governance che includano la riduzione dei costi assicurativi, benefici fiscali e supporti finanziari (per esempio dai Piani di Sviluppo Rurale) – maggiori produzioni grazie al miglioramento della fertilità e al miglioramento della qualità alimentare – il rafforzamento delle multifunzionalità aziendali (per esempio attività culturali, tutela del paesaggio, ricreative e turistiche)

Modalità d’implementazione di un programma di sostenibilità. Gli obiettivi sono contenuti nel codice. Sulla base di priorità e analisi costi-benefici solo alcuni interventi vengono decisi su base annuale e perseguiti con l’ausilio di esperti. Il processo è quindi volontario, proattivo e se necessario anche certificabile

– il miglioramento della sicurezza alimentare che oltre ad aumentare la fiducia del consumatore nei confronti dell’attività agricola rafforza il potere contrattuale dell’imprenditore agricolo all’ottenimento di un prezzo migliore

STEP 1 Valutazione livello di sostenibilità STEP 4 Implementazione delle misure sostenibilità

Codice di Sostenibilità Aziendale

STEP 2 Interpretazione dei risultati

STEP 3 Pianificazione interventi per migliorare il livello di sostenibilità Processo ciclico e iterativo che porta a miglioramenti continui Fonte: Lucrezia Lamastra

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della tecnica perseguiti finora per rendere sostenibile tale impiego sono stati accompagnati da adeguamenti normativi orientati allo scopo quali la Strategia tematica per l’uso sostenibile dei pesticidi che si concentra sulla fase di utilizzo effettivo degli agrofarmaci, colmando una carenza dell’attuale quadro giuridico. È stata adottata dalla Commissione Europea il 12 luglio 2006. Gli Stati Membri hanno quindi l’obbligo di integrare le misure indicate nella strategia nella legislazione nazionale, nell’arco di 2 anni (fine 2011), per gestire correttamente ogni singola fase d’interazione dell’agrofarmaco con l’ecosistema: dalla creazione allo smaltimento, fase di utilizzo compresa. Il raggiungimento di questi obiettivi è perseguito attraverso una serie di misure delle quali le più importanti prevedono l’adozione di norme per limitare le fonti di inquinamento diffuso e puntiforme, l’elaborazione a livello comunitario di norme generali di difesa integrata delle colture per garantire un utilizzo più eco-compatibile di tutti i mezzi disponibili per la protezione delle colture, la riduzione del rischio per il consumatore e l’operatore. Il raggiungimento di questi obiettivi richiede l’adozione di strategie d’identificazione e caratterizzazione dei pericoli e dei rischi in ogni fase del ciclo di vita del prodotto fitosanitario, dall’acquisto al consumo.

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Protezione delle acque Sebbene i rischi ambientali derivanti dall’uso degli agrofarmaci siano diversi, maggiore attenzione deve essere rivolta alla protezione delle acque perché ecosistemi sensibili e perché alimento

Rappresentazione schematica del ciclo di vita di un agrofarmaco e dei rischi derivanti da una cattiva gestione

Produrre in modo sostenibile significa essere consapevoli dei propri comportamenti e di come le proprie azioni possano avere effetti sulle funzionalità dell’ecosistema agricolo, sull’economia e sulla società del territorio

Operatore Residenti Ambiente

Operatore Astanti Ambiente

Operatore Consumatore Astanti Residenti Ambiente Ambiente

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produzione sostenibile anche dell’uomo. Durante il ciclo di vita aziendale di un agrofarmaco possono realizzarsi inquinamenti diffusi o puntiformi delle acque. Durante la distribuzione degli agrofarmaci per la difesa della coltura si determina una contaminazione diffusa in campo, sul suolo e sulle piante, e nei comparti ambientali limitrofi. Gli agrofarmaci sono autorizzati all’uso tenendo conto di queste contaminazioni che, in condizioni di uso corrette, non rappresentano un rischio inaccettabile per la salute dell’uomo e degli organismi viventi. Talvolta, in condizioni particolari, gli eventi climatici e pedologici possono aumentare tali contaminazioni come nel caso di erosione, scorrimento superficiale, drenaggio laterale, sommersione, causando fenomeni d’inquinamento e quindi danno. Sono invece definite contaminazioni ambientali di tipo puntiforme le sorgenti di contaminazione di origine aziendale caratterizzate dal fatto che il contatto tra l’agrofarmaco e la matrice ambientale avviene su una superficie ridotta ma ad alte concentrazioni. Le sorgenti di contaminazione puntiforme sono, teoricamente, facilmente identificabili e controllabili, ma producono esposizioni molto elevate, dell’ordine di milligrammi o grammi e quindi potenziali rischi elevati per gli organismi non bersaglio. A titolo di esempio si pensi che una perdita di 2 millilitri di miscela al 50% può contenere 1 grammo di principio attivo in grado di contaminare, a concentrazioni superiori al limite di potabilità (0,1 µ/l), 1000 m3 d’acqua, pari a un lago di 1 ha e di 1 metro di profondità. Tra il 2005 e il 2006 la Commissione Europea ha adottato una serie di Strategie tematiche che affrontano diverse questioni ambientali, che comporteranno una serie di cambiamenti a livello normativo e investimenti da parte degli Stati Membri. Il capitolo 4, art. 12, della Strategia tematica per l’uso sostenibile dei pesticidi precedentemente esposta prevede l’adozione da parte di tutti gli Stati Membri di Misure per garantire la sicurezza dell’operatore e dell’ambiente durante la fase di gestione aziendale e distribuzione degli agrofarmaci. Le possibili fonti di inquinamento puntiforme del suolo e delle acque riguardano tutte le attività che prevedono la manipolazione degli agrofarmaci da parte degli operatori: le perdite durante il trasporto, lo stoccaggio, la preparazione della miscela, lo smaltimento della miscela residua nell’irroratrice a fine trattamento, quello delle acque per il lavaggio interno ed esterno delle macchine e dei contenitori vuoti degli agrofarmaci. Nel corso dell’anno 2008-09 è stato avviato, in alcune province dell’Emilia-Romagna, uno studio sulla gestione degli agrofarmaci all’interno dell’azienda agricola che ha avuto come scopo anche la verifica dell’applicazione di alcune Misure definite dalla Strategia tematica per l’uso sostenibile dei pesticidi, quali la limitazione delle fonti di inquinamento puntiforme. L’indagine ha evidenziato lacune comuni a tutte le tipologie aziendali considerate.

Strategie di mitigazione da adottare per ridurre le contaminazioni puntiformi e diffuse Inerbimento dell’interfila Capezzagne inerbite Fasce inerbite in prossimità di corsi d’acqua Fasce di rispetto dei corpi idrici non trattate Fasce di rispetto trattate con formulati diversi Canali di drenaggio inerbiti Creare aree umide e vasche naturali di sedimentazione Preservare le fasce riparie Non preparare le miscele in prossimità di pozzi e corpi idrici Controllare che non ci siano perdite idrauliche nella macchina per i trattamenti Ridurre la lavorazione del suolo Effettuare lavorazioni opposte a contorno del campo Coltivare vegetazione di copertura nell’interfila in inverno Dotarsi d’impianti di depurazione biologica per il trattamento dei reflui (per esempio Heliosec, Biomassbed ecc.) Dotarsi di piazzola attrezzata per la preparazione delle miscele e il riempimento della botte Non trattare prima di eventi piovosi Non trattare in presenza di vento

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coltivazione Si conferma che i principali aspetti su cui focalizzare l’attenzione sono: – l’età del parco macchine aziendale e la taratura; – la struttura dei locali adibiti a deposito degli agrofarmaci; – le operazioni di riempimento della macchina irroratrice; – le operazioni di pulizia della stessa a fine trattamento; – le operazioni di gestione dei prodotti reflui del trattamento. La sensibilizzazione e la formazione degli operatori sulla corretta gestione e manipolazione degli agrofarmaci rappresenta la più efficace forma di mitigazione. Questo implica anche l’adeguamento delle infrastrutture aziendali e delle attrezzature. Questo aspetto è stato ampiamente dimostrato da uno studio condotto in Svezia, della durata di 10 anni, volto a monitorare e valutare l’efficacia dei programmi di mitigazione adottati per il controllo delle sorgenti di contaminazione puntiformi. Il monitoraggio per i primi tre anni ha dato valori di concentrazioni nelle acque di falda dell’ordine di 30 µg/l. L’intervento pubblico con incentivi economici ha portato a una drastica riduzione dei valori. Recentemente l’Unione europea ha finanziato un progetto triennale denominato TOPPS (Train the operator to prevent pollution from point sources), che coinvolge numerosi soggetti (operatori agricoli, tecnici di campo, distributori di agrofarmaci, costruttori di macchine irroratrici, compagnie di distribuzione dell’acqua potabile, Arpa regionali) che si propone di sensibilizzare e di formare gli agricoltori e i tecnici del settore al fine di ridurre in misura consistente l’inquinamento puntiforme da agrofarmaci nelle acque. A tal fine sono state prodotte delle linee guida di Buone Pratiche Agricole per la corretta gestione degli agrofarmaci nelle aziende agricole. Un’altra possibile forma di mitigazione delle sorgenti puntiformi sono i sistemi biologici di depurazione. Le acque contaminate vengono fatte passare attraverso dei filtri costituiti da materiale organico di varia provenienza e quindi scaricate e depurate nel

Foto R. Angelini

Esempio di letto di decontaminazione biologica

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produzione sostenibile suolo o nei corsi d’acqua. Questi filtri biologici sono comunemente denominati letti di decontaminazione biologica (Biobed, Phytobac®, Biomassbed, Heliosec® i più noti) e la loro capacità di ritenzione dipende dalle caratteristiche chimico-fisiche degli agrofarmaci, dal contenuto e dalla qualità della sostanza organica. L’adsorbimento sarà maggiore per agrofarmaci con valori elevati di Koc (costante di adsorbimento del carbonio organico) mentre il maggior contenuto di biomassa microbica e le elevate temperature che si instaurano sono i fattori responsabili della maggiore capacità degradativa rispetto al suolo. Questi impianti in generale sono molto efficaci ma devono essere dimensionati e utilizzati correttamente. La promozione di soluzioni con un reale impatto richiede comunque un approccio interdisciplinare (la collaborazione tra diversi operatori del settore: agricoltori, industria, amministratori ecc.) e l’integrazione di conoscenze di tipo differente che includa anche una reale conoscenza del territorio su cui si opera. Infatti l’operatore agricolo rappresenta solo uno degli attori di tutto il processo, anche se è evidente che gioca un ruolo fondamentale nella determinazione del livello di contaminazione, in quanto decide sia il tipo e i tempi di trattamento, sia le modalità di applicazione ecc., andando quindi a incidere sul risultato finale.

Foto J. Husby

Biobed Foto F. Ferrari

Lotta integrata I principi generali di lotta integrata per l’uso sostenibile dei pesticidi (art. 14, 372/2006 emendamento 7/01/2009) diventeranno obbligatori nel 2014. Ogni Paese membro ha l’obbligo di “informare, produrre informazioni e fornire gli strumenti necessari” all’utilizzatore professionale e sviluppare linee guida. Attività questa già avviata da diversi anni in Italia dove esiste già una certificazione nazionale per la Produzione Integrata e le attività sono realizzate attraverso i Servizi Fitosanitari Regionali e i Centri di Assistenza locali. Particolare attenzione deve essere rivolta ai requisiti minimi obbligatori di seguito riassunti. – Misure per la prevenzione e/o soppressione degli organismi nocivi. Questo principio può essere perseguito con diverse modalità. In pratica si suggerisce l’adozione di soluzioni tecniche a basso impatto ambientale che nel contempo consentano anche una riduzione dell’impiego degli agrofarmaci. Molta importanza viene attribuita alla rotazione colturale. Sono suggeriti, inoltre, l’utilizzo di adeguate tecniche colturali per ridurre la sensibilità delle piante alle avversità; l’uso, ove appropriato, di cultivar resistenti/tolleranti; l’uso di semente o materiale di propagazione certificato; la protezione degli organismi utili mediante l’utilizzo di infrastrutture ecologiche poste all’interno o all’esterno del sito di produzione. Questo elenco non è esaustivo ma vuole essere un’indicazione dei suggerimenti e delle diverse opzioni a disposizione dell’utilizzatore professionale.

Heliosec® Foto J. Husby

Phytobac®

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coltivazione –A deguati strumenti e metodi per il monitoraggio che prevedono osservazioni in campo, sistemi di allerta e diagnosi precoce ove esistenti. È previsto l’uso di modelli previsionali epidemiologici nonché il supporto di consulenti specializzati e qualificati. Diventa importante la collaborazione tra tutti gli operatori del settore. – Valori soglia come base per le valutazioni/decisioni strettamente correlate ai monitoraggi. Questo punto è particolarmente importante in quanto l’utilizzatore professionale è colui che decide i tempi e le modalità dell’intervento, determinando la pressione ambientale. Per questo deve essere adeguatamente supportato. L’utilizzatore professionale deve essere in grado di decidere se e quando intervenire. – Utilizzo preferenziale dei metodi non chimici se in grado di garantire un controllo soddisfacente del danno. – Selettività del principio attivo utilizzato. In caso di trattamento la scelta dell’agrofarmaco deve ricadere sul principio attivo più selettivo e con il minor impatto sugli organismi non bersaglio, l’ambiente e l’uomo. – Riduzione dell’uso degli agrofarmaci ai livelli minimi necessari per esempio con riduzione della dose e della frequenza di applicazione. Anche questo punto è strettamente correlato all’informazione proveniente dal monitoraggio e dai valori soglia. – Applicazione di strategie per prevenire forme di resistenza, qualora il problema sia noto e siano richiesti più trattamenti per la soppressione degli organismi.

Normativa di riferimento

• In Europa non esistono regolamenti

specifici sulla sostenibilità ma diverse direttive europee la considerano nei principi e ne auspicano l’attuazione attraverso innovative tecniche gestionali agricole. In primis il nuovo regolamento per l’autorizzazione dei prodotti fitosanitari (EC) 1107/2009, la Direttiva sull’uso sostenibile dei pesticidi 2009/128/EC, la Direttiva sulla protezione degli habitat 92/43/EEC, la Direttiva sulle acque 2000/60/EC, i documenti in discussione parlamentare sulla protezione del suolo e sulle nuove politiche agricole comuni, la Direttiva sulle acque sotterranee 2006/118/EC e la Direttiva sulle acque marine e costiere 2008/56/EC

Veduta aerea di tendoni di uva da tavola in Agro di Rutigliano (BA) e oliveti in primo piano

Foto R. Angelini

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produzione sostenibile –R egistrazione, monitoraggio e documentazione dei risultati conseguiti. Basati sulla registrazione degli agrofarmaci impiegati e sulle informazioni provenienti dal monitoraggio degli organismi dannosi. L’utilizzatore dovrebbe essere in grado di valutare il successo delle strategie di lotta applicate.

Foto R. Angelini

Sicurezza alimentare “Was ist das nit Gift ist? Alle Ding sind Gift, und nichts ist ohn Gift; allein die dosis machts, daß ein Ding kein Gift ist”. Da Dritte Defension (1538) di Theophrastus Philippus Aureolus Bombastus von Hohenheim (1493-1541), meglio noto come Paracelso. “Cosa vi è che non sia tossico? Tutto è tossico e nulla senza tossicità. Solo la dose rende una sostanza non tossica”. Quest’affermazione esprime un concetto fondamentale che sempre dobbiamo ricordare quando parliamo di tossicità e rischio di effetti tossici per l’uomo (e per l’ambiente) in seguito a esposizione a sostanze: il concetto che gli organismi possono gestire o adattarsi, alla presenza di sostanze senza che compaiano effetti tossici, purché non sia superata una certa quantità (dose). Tutti i composti chimici hanno la potenzialità di causare effetti tossici; anche costituenti normali del nostro organismo, quale è l’acqua, se assunti in quantità eccessive causano effetti tossici. Pertanto, questo principio è il fondamento della possibilità che abbiamo di identificare e stabilire le condizioni che ci permettano di accettare la presenza di elementi estranei negli alimenti o nel nostro ambiente di vita e lavoro. Presupposto fondamentale per definire accettabile un’esposizione è che questa sia inferiore alla dose che causa effetti tossici: quanto l’esposizione dovrà essere inferiore a questa dose dipenderà dalla valutazione delle caratteristiche tossicologiche della sostanza e dalla quantità delle informazioni disponibili. Il processo con il quale si giunge alla definizione della dose che riteniamo accettabile è definito valutazione del rischio. La valutazione del rischio è convenzionalmente suddivisa in identificazione e caratterizzazione del pericolo e nella caratterizzazione dell’esposizione; semplificando: rischio = pericolo × esposizione.

Rischio e pericolo

• Pericolo: proprietà caratteristica

di un agente o una situazione che ha la potenzialità di causare effetti avversi quando un organismo, sistema o popolazione è esposto a quell’agente

Identificazione e caratterizzazione del pericolo I pericoli posti dagli agrofarmaci sono identificati (quale effetto tossico) e caratterizzati (a quale dose e con quale gravità, relazione dose-risposta) mediante studi tossicologici su animali e, talora, su volontari, e con studi in vitro. Prima della loro commercializzazione, gli agrofarmaci sono, per legge, sottoposti a numerosi test tossicologici e la quantità di informazioni che si ottengono è notevolmente superiore a quella generalmente disponibile per altre sostanze, compresi i farmaci. La relazione dose-risposta permette di identificare la dose alla quale non sono osservabili effetti avversi. Tale dose è detta NOAEL (No Observable Adverse Effect Level), che sarà il punto di partenza per la determinazione

• Rischio: probabilità di avere

un effetto avverso in un organismo, sistema o (sotto)popolazione causato dall’esposizione, in circostanze specificate, a un agente

• Rischio = pericolo × esposizione

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coltivazione del limite di esposizione (per esempio Acceptable Daily Intake ADI ovvero la dose giornaliera accettabile, Acute Reference Dose - ARfD, ovvero la dose acuta accettabile, Acceptable Operator Exposure Level - AOEL, ovvero la dose accettabile per l’operatore agricolo). Al NOAEL sono applicati dei fattori demoltiplicativi detti di sicurezza, incertezza o valutazione, a seconda degli enti valutatori e delle legislazioni. L’uso di questi fattori (generalmente si usa un fattore 100) è dettato dalla necessità di ovviare alle incertezze e alle carenze di informazione insite nella definizione del NOAEL nell’animale da esperimento. Queste comprendono, fra le altre, incertezze sulla variabilità della risposta fra gli individui della stessa specie, sulla possibilità di applicare all’uomo le informazioni ottenute sull’animale da esperimento, sulla significatività statistica e/o biologica di quanto osservato, sulla qualità dei dati.

Glossario

• Acceptable Daily Intake (ADI) (dose

giornaliera accettabile) (mg/kg peso corporeo): quantità di sostanza che può essere ingerita tutti i giorni per tutta la vita senza rischio apprezzabile per la salute (Organizzazione Mondiale della Sanità)

• Acute Reference Dose (ARfD) (dose

acuta di riferimento) (mg/kg peso corporeo): quantità di sostanza che può essere ingerita in breve periodo (un pasto/un giorno) senza rischio apprezzabile per la salute (Organizzazione Mondiale della Sanità)

Stima dell’esposizione Il secondo fattore dell’equazione che definisce il rischio è l’esposizione. Pertanto è necessario definire l’esposizione della popolazione attraverso i residui negli alimenti e quella dell’operatore agricolo durante la sua attività lavorativa. Per stimare l’assunzione di residui di agrofarmaci sono necessarie informazioni sulla dieta e sulla concentrazione dei residui negli alimenti. Un primo grossolano approccio, che sovrastima notevolmente l’assunzione di residui, è quello che suppone che tutti i prodotti alimentari di cui ci cibiamo contengano residui ai livelli massimi di residuo (LMR); i LMR sono stabiliti sulla base dei livelli misurati in prodotti alimentari che sono stati trattati in modo corretto con l’agrofarmaco. Questi livelli, quindi, rappresentano i livelli massimi che ci si atten-

• Acceptable Operator Exposure Level

(AOEL) (esposizione accettabile dell’operatore agricolo) (mg/kg peso corporeo): quantità massima di principio attivo alla quale l’operatore può essere esposto, senza che si determini alcuna conseguenza negativa per la salute (Unione europea)

Foto R. Angelini

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produzione sostenibile dono se gli agrofarmaci sono utilizzati secondo le indicazioni riportate in etichetta. In questa fase, due fattori causano una stima per eccesso dell’esposizione: ovvero che tutti i prodotti alimentari per i quali l’agrofarmaco deve essere o è stato autorizzato siano stati trattati con quell’agrofarmaco e che tutti contengano residui pari al LMR. Se, sulla base di queste stime per eccesso, l’assunzione di residui risulta essere superiore al limite stabilito, si può procedere a stime più precise mediante l’uso di valori medi e non massimi, o dei dati di monitoraggio dei residui negli alimenti in commercio. Al termine di questo processo, l’agrofarmaco può essere o meno autorizzato, ne può essere limitato l’uso o possono essere introdotti dei fattori correttivi nell’uso. Per quanto riguarda l’esposizione del lavoratore agricolo durante l’uso dell’agrofarmaco, sono possibili delle stime sulla base di modelli, o più raramente sulla base di studi specifici condotti durante la normale attività lavorativa. Questa stima è quindi confrontata con il limite (AOEL) e se l’esposizione stimata è inferiore all’AOEL, e quindi accettabile, l’agrofarmaco è autorizzato. Sulla base di queste stime e delle caratteristiche del prodotto sono fornite, se necessario, indicazioni sulle precauzioni e i mezzi di protezione che il lavoratore dovrà obbligatoriamente utilizzare.

Foto S. Somma

Argentina

Monitoraggio dei residui e problema delle miscele In tutti gli stati membri dell’Unione europea, gli alimenti sono regolarmente controllati per la presenza di residui di agrofarmaci. Foto R. Angelini

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coltivazione I dati degli ultimi anni indicano che in oltre il 50% degli alimenti analizzati non c’erano residui misurabili, e che nel 3-5% dei casi i residui eccedevano il LMR. In Italia, il Ministero della Salute riporta nel 2007 circa l’1% di campioni irregolari. Pertanto, la stima dell’assunzione di agrofarmaci basata su questi dati è inferiore, spesso molto inferiore, a quella calcolata in fase di registrazione, come sopra descritto. Gli stessi dati però indicano inoltre che alcuni alimenti, fra i quali l’uva, contengono più di un residuo. Quindi, la preoccupazione derivante dalla possibilità che avvengano effetti avversi legati all’assunzione di più sostanze contemporaneamente o nell’arco di breve tempo (effetto della miscela) è alla base dell’inclusione nel Regolamento Europeo (EC) 396/2005 sui residui della richiesta di sviluppare metodologie per valutare questo tipo di esposizione. Diversi effetti possono derivare dalla presenza di più sostanze, che i tossicologi hanno descritto e classificato: semplificando, ci possiamo attendere che le sostanze non interagiscano fra loro, che sommino i loro effetti, o che l’effetto risultante dalla presenza di più di una sostanza sia di potenziamento (o sinergia) dei singoli effetti. L’effetto di riduzione non ha rilevanza per la salute pubblica o almeno non pone preoccupazioni. L’occorrenza di un effetto additivo o di potenziamento pone invece degli interrogativi sia ai ricercatori sia a chi deve disciplinare l’uso degli agrofarmaci. L’evidenza sperimentale disponibile indica che quando tutti i composti della miscela sono presenti a dosi che, se somministrate da sole, non causano effetti tossici, non si osserva tossicità derivante da potenziamento o sinergia. Quindi, considerando i livelli di residui misurati negli alimenti, non pare indispensabile condurre la valutazione di questo tipo di rischio. L’attenzione dei ricercatori e degli enti che eseguono le valutazioni del rischio, invece, si è rivolta principalmente ai possibili effetti additivi dei residui negli alimenti di agrofarmaci che causano lo stesso effetto tossico (modo d’azione simile). Il problema è quindi quello di identificare quali sostanze raggruppare per valutare quindi il rischio cosiddetto cumulativo (cumulative assessment group - CAG). Alcune valutazioni cumulative sono state già fatte soprattutto per gli esteri organofosforici da soli (in USA) o con i carbamati (in UK, DK, NL), per le triazine, le cloroacetanilidi, i carbamati da soli (in USA). Nessuna di queste valutazioni ha sollevato preoccupazioni per la presenza di rischi inaccettabili. In particolare, le valutazioni per gli esteri organofosforici (e carbamati) fatte da diversi organismi, anche se condotte con metodi e criteri non omogenei, non hanno portato a risultati significativamente diversi. L’identificazione di altri CAG è sicuramente uno dei non semplici problemi tossicologi da affrontare in futuro, e l’European Food Safety Authority (EFSA) ha in corso questo

Plant protection products

• Molti sono i termini per indicare

le sostanze chimiche utilizzate in agricoltura. Il termine pesticida (traduzione non molto corretta del termine inglese pesticide) è utilizzato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’United States Environmental Protection Agency per definire qualsiasi sostanza usata per prevenire, distruggere, respingere o mitigare qualsiasi agente patogeno per le piante (in inglese pest); di solito il termine comprende anche regolatori della crescita delle piante, defolianti ed erbicidi. L’Unione europea utilizza la locuzione plant protection products (prodotto per la protezione delle piante), la legislazione italiana prodotti fitosanitari. Altri termini utilizzati sono: fitofarmaco, antiparassitario e agrofarmaco (termine proposto dalle industrie di settore). È importante ricordare che composti utilizzati in agricoltura possono essere presenti anche in prodotti usati in ambiente domestico (per esempio insetticidi), come disinfettanti, o anche come farmaci veterinari o umani; la stessa molecola può quindi essere classificata in diversi modi e ricadere in differenti legislazioni

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produzione sostenibile processo di identificazione. Una volta identificati i CAG, poi, ci sono più metodi per compiere una valutazione del rischio cumulativo. In generale, tutti i metodi utilizzano gli stessi dati, ma differiscono nel modo di presentarli ed elaborarli. In conclusione, le informazioni sulle caratteristiche tossicologiche ed ecotossicologiche (qui non discusse) degli agrofarmaci che in questo momento sono in uso nell’Unione Europea sono molto estese. Inoltre abbiamo molti dati sulla loro presenza come residui negli alimenti, sia sulla base di studi controllati, sia per i dati di monitoraggio sugli alimenti in commercio. È quindi ragionevole ritenere che i composti immessi in commercio non presentino rischi per la popolazione generale e per i lavoratori agricoli. Da notare che l’attività di valutazione degli agrofarmaci introdotta con la Direttiva 414 del 1991 ha portato a una riduzione rilevante dei principi attivi autorizzati in Europa: infatti, dei circa 1000 presenti nel 1991 ne sono stati autorizzati, a settembre 2009, poco più di 350, ai quali vanno aggiunti i meno di 100 che sono in corso di valutazione. È necessario però che se le indicazioni d’uso su dosi e modo di applicazione siano seguite correttamente, così come indicato nell’etichette dei prodotti in commercio. Solo così gli agrofarmaci non rappresenteranno un rischio significativo per la popolazione (e per l’ambiente). È però evidente che solo un adeguato sistema di controllo e vigilanza sul territorio, peraltro previsto da normative europee e nazionali, può garantire, assicurare e verificare il rispetto delle norme, e quindi la sicurezza dei consumatori e dei lavoratori.

Foto R. Angelini

Foto M. Curci

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l’uva da tavola

coltivazione Certificazione di qualità Carmelo Sigliuzzo

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


coltivazione Certificazione di qualità Foto G. Cortese

Introduzione Il concetto di qualità dei cibi è andato nel tempo modificandosi, passando dal semplice valore edonistico del bene, legato ad aspetti intrinseci del prodotto, misurabili (aroma, gusto, croccantezza ecc.), a uno più ampio, basato su requisiti non sempre e non tutti immediatamente misurabili e percepibili dal consumatore. I troppi scandali alimentari degli ultimi anni, a livello internazionale, hanno portato il consumatore a una repentina e dannosa perdita di fiducia verso alcune categorie di prodotti alimentari, tra i quali l’ortofrutta fresca occupa, purtroppo, i primi posti. Il concetto di qualità, non essendo di per sé sinonimo di sicurezza, è oggi esteso ad altri aspetti fino a poco tempo fa non considerati. La sicurezza rappresenta, quindi, un pre-requisito senza il quale non può parlarsi in alcun modo di qualità di un alimento. Il settore dell’uva da tavola, per il grande contenuto tecnico di cui questa necessita nella fase di produzione, è tra i più soggetti alle continue e pressanti richieste del mercato internazionale in termini di controllo e sicurezza, lungo tutti i passaggi della filiera. Igiene, sicurezza dei prodotti, rispetto dell’ambiente e tutela dei lavoratori rappresentano i pre-requisiti essenziali per l’ottenimento di produzioni buone, sane e sicure. La qualità non percepita, quindi, è da considerarsi un traguardo fondamentale per gli operatori agricoli, così come per i consumatori. È del tutto evidente che l’autoreferenzialità, che ha da sempre caratterizzato il nostro mondo contadino (“la mia uva è la migliore!…”), nell’attuale mercato globalizzato non è in grado di rispondere in maniera adeguata alle pressanti e continue richieste che da questo provengono. Pertanto, a partire dai primi anni ’90, Foto R. Angelini

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certificazione di qualità gli schemi e i sistemi di certificazione della qualità (di processo e/o di prodotto) si sono largamente diffusi, anche nel settore primario. Un protocollo di certificazione, a prescindere da quale sia lo schema o lo scopo, intende dimostrare all’esterno la capacità di un’organizzazione/azienda di gestire i propri processi di produzione e i propri prodotti in maniera conforme a un documento di riferimento. La certificazione volontaria, che non può prescindere dalle normative obbligatorie vigenti, attraverso un sistema di ispezioni, controlli e certificazione di parte terza, garantisce, in maniera indipendente e referenziata, la conformità di un processo o di un prodotto a un documento riconosciuto e condiviso. L’intera filiera dell’uva da tavola ha scelto da tempo di intraprendere la strada della qualità. Il sistema uva da tavola italiano, negli ultimi anni, ha incrementato notevolmente la propria capacità di gestione, controllo e monitoraggio dei processi. A livello aziendale gli operatori agricoli hanno raggiunto un notevole livello di professionalità, essendo molto spesso affiancati da istituzioni pubbliche (Università, Centri di Ricerca) e private (gruppi e società di consulenza, laboratori ecc.) in grado di offrire supporto di tipo scientifico e tecnico di altissimo livello. Senza dimenticare l’ormai consolidato sostegno dei disciplinari di produzione integrata regionali, avviati con il Reg. CE 2078/92 e proseguiti con i successivi provvedimenti normativi, che oggi rappresentano un punto di riferimento fondamentale per operatori agricoli e catene distributive. Questo complesso sistema è stato capace di influire notevolmente sulle scelte imprenditoriali in termini di tecniche produttive a basso impatto ambientale e di razionale impiego di agrofarmaci e fertilizzanti. Una maggiore sensibilità e attenzione alla sostenibilità dei processi è avvertita anche a valle della produzione agricola, da tutti coloro che intervengono nelle fasi di raccolta, condizionamento, confezionamento e commercializzazione del prodotto. L’adesione delle tante imprese italiane ai principali standard volontari di certificazione della qualità testimonia, infatti, la grande attenzione dell’intera filiera dell’uva da tavola, alla qualità globale e al suo mantenimento.

Uva da tavola IGP

• Dal punto di vista della caratterizzazione della tipicità, vi sono da segnalare tre uve a Indicazione Geografica Tipica (IGP): le prime due siciliane (Uva da Tavola di Canicattì IGP e Uva da Tavola di Mazzarrone IGP), già riconosciute e operative, e la terza, Uva di Puglia IGP, in fase di riconoscimento

Protocollo GlobalGAP Frutta e Verdura

• Il protocollo GlobalGAP dal 2007 è

esteso a tutti i settori produttivi agricoli. I requisiti applicabili per l’ortofrutta fresca sono raggruppati in 3 differenti sezioni:

– All Farms, comune a tutte le attività agricole (incluse le attività zootecniche e l’acquacoltura)

– Crop Base, applicabile per tutte le tipologie colturali (incluse quelle vivaistiche, cerealicole ecc.)

– Fruit & Vegetables, destinata esclusivamente alle aziende agricole ortofrutticole

• I punti di controllo a cui adeguarsi

sono 236, suddivisi in 3 differenti livelli di importanza: maggiori, minori e raccomandazioni. Ai fini dell’ottenimento del certificato, al termine delle attività ispettive l’azienda deve aver raggiunto la conformità al 100% dei requisiti maggiori e ad almeno il 95% dei requisiti minori applicabili. Le raccomandazioni sono solo ritenute auspicabili

Protocollo GlobalGAP Nel settore ortofrutticolo, sin dai primi anni ’90 le grandi piattaforme distributive (italiane ai primi posti) hanno avviato politiche di fidelizzazione dei propri fornitori, puntando al pieno controllo delle intere filiere. Uno degli effetti di tali politiche ha portato alla realizzazione di uno schema di certificazione di qualità di livello europeo, oggi noto come GlobalGAP. Questo Protocollo intende dare una risposta, a carattere volontario, alle tante domande dei consumatori, in primo luogo legate alla sicurezza alimentare. La filiera dell’uva da tavola è stata tra le prime ad aderirvi e oggi si stima che in Italia siano certificati, in accordo a questo standard, più di 10.000 ha di superficie in produzione. 367


coltivazione GlobalGAP si è imposto ormai a livello globale: è attualmente applicato in 88 Paesi (praticamente in tutte le aree di produzione dell’ortofrutta fresca) e si stima che, a oggi, siano certificate nel mondo più di 100.000 organizzazioni (aziende agricole singole o in forma aggregata). La norma, messa a punto sul finire degli anni ’90 in Europa da un gruppo di operatori della distribuzione organizzata e da rappresentanti del mondo della produzione, stabilisce le regole di base per un modello produttivo sostenibile, dal campo fino all’immissione al commercio. Lo scopo di tale protocollo volontario è quello di costituire le linee guida per tutti i produttori dell’intero pianeta, al fine di innalzare il livello di attenzione e garanzie sul prodotto lungo la filiera. Gran parte dei requisiti, in verità, in Europa sono già coperti dalle tante norme obbligatorie che riguardano il settore (impiego degli agrofarmaci, sicurezza sui luoghi di lavoro, igiene e autocontrollo ecc.). Pertanto lo scopo principale è proprio quello di armonizzare le normative, pur se in un ambito volontario, con l’intento di rendere buoni, sani e sicuri i prodotti freschi, a prescindere da quali siano l’areale di produzione e le regole che lo governano. Essendo un protocollo di certificazione BtoB, quindi non diretto al consumatore finale, i prodotti GlobalGAP non possono essere etichettati come tali, ma generalmente identificati con marchi privati (solitamente delle grandi catene distributive). Tali private label talvolta impongono ulteriori restrizioni, per esempio in merito ai limiti ammessi o al numero massimo di residui di prodotti fitosanitari, in linea con le proprie politiche commerciali, con l’intento di differenziare i prodotti e conquistare sempre maggiori fette di mercato.

Principali requisiti di GlobalGAP per l’ortofrutta fresca

• Difesa integrata delle colture e corretto utilizzo degli agrofarmaci

• Gestione del suolo e della fertilizzazione • Gestione delle risorse idriche e irrigazione

• Gestione consapevole degli OGM

(laddove ammessi) e del materiale di propagazione vivaistica

• Tutela e conservazione dell’ambiente • Gestione dei rifiuti e residui aziendali e loro riutilizzo

• Salute, sicurezza e benessere dei lavoratori

• Tracciabilità • Gestione dei processi di raccolta

e manipolazione dei prodotti in condizioni controllate di igiene e qualità

Foto R. Angelini

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certificazione di qualità Gli elementi principali sviluppati da GlobalGAP sono riassumibili in diversi gruppi tematici che riguardano aspetti tecnici e agronomici, ambientali, di sicurezza del prodotto e di sicurezza dei lavoratori. L’attuale versione del Protocollo (rev. 3 del 2007), avendo superato il concetto di Good Agriculture Practices (Buone Pratiche Agricole), mostra un approccio più deciso verso l’applicazione del metodo della produzione integrata. L’attenzione è, infatti, rivolta alla conoscenza specifica delle tecniche di difesa adottate, all’applicazione dei metodi preventivi, alle attività di monitoraggio in campo e alle modalità di intervento che favoriscano “… il ricorso, per quanto possibile, a metodi non chimici”. Al termine del processo produttivo, l’operatore deve provvedere all’effettuazione di analisi dei residui, per lotti omogenei, e considerare i limiti ammessi nei Paesi d’esportazione del prodotto. Per quanto riguarda la gestione della fertilità dei suoli, il Protocollo richiede che le fertilizzazioni siano stabilite sulla base di un piano di concimazione, redatto conoscendo le dotazioni del terreno, i fabbisogni specifici della coltura e gli eventuali reintegri. L’impiego delle acque irrigue è subordinato a una preliminare valutazione dei rischi, di tipo agronomico e igienico-sanitario (considerando, in primo luogo, i parametri chimici e microbiologici), e alla necessaria autorizzazione all’emungimento. In riferimento alla tutela dei lavoratori, il Protocollo prevede che vi sia evidenza del rispetto delle norme vigenti in materia di impiego e di sicurezza (peraltro è recente l’applicazione obbligatoria, anche nel settore agricolo, del decreto legislativo 81/08 inerente la sicurezza sui luoghi di lavoro) e della formazione specifica di

Foto G. Cortese

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coltivazione tutti i lavoratori, in materia di sicurezza e di igiene. Inoltre devono essere garantiti servizi igienici e spazi adeguati per il consumo di alimenti anche in campo, quando necessari. Ultimo aspetto, recentemente introdotto, riguarda le corrette regole per la conservazione e il controllo della qualità dei prodotti. Nel primo caso sono stati definiti alcuni requisiti che impongono il monitoraggio della temperatura e delle condizioni di stoccaggio. Il controllo di qualità deve essere effettuato, invece, al termine del processo di confezionamento, per valutare la conformità del prodotto alle norme di legge e/o alle specifiche del cliente.

Produzione Integrata

• Secondo la norma UNI 11233:07, la Produzione Integrata:

“È un sistema di produzione agricola che privilegia l’utilizzo delle risorse e dei meccanismi di regolazione naturale in parziale sostituzione delle sostanze chimiche assicurando un’agricoltura sostenibile”

Produzione integrata Il metodo della produzione integrata, per lungo tempo privo di supporti normativi di riferimento specifici e condivisi, non ha ancora trovato piena riconoscibilità in merito alla sua definizione univoca e all’identificazione del prodotto sui mercati. L’Unione europea ritiene strategico il ricorso a tale metodo di produzione quale elemento fondamentale per un uso ragionato e sostenibile degli agrofarmaci che possa condurre alla riduzione complessiva dell’impiego di sostanze chimiche, anche in relazione alla loro tossicità sull’ambiente e sull’uomo. Secondo quanto definito nella recente proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria ai fini dell’utilizzo sostenibile degli agrofarmaci, dal 1° gennaio 2014 gli Stati Membri, mediante l’istituzione di incentivi appropriati, “… dovranno incoraggiare tutti gli utilizzatori professionali ad applicare su base volontaria i principi generali di difesa integrata delle colture”. A tal proposito, in ambito volontario, su iniziativa dell’UNI (Ente Italiano di Unificazione), è stata messa a punto una norma destinata alle organizzazioni che

• Sono valutati con particolare attenzione: – un sistema produttivo che considera l’azienda come unità base

– il ruolo centrale degli agroecosistemi – un ciclo equilibrato degli elementi nutritivi

• Ne sono elementi essenziali,

la conservazione e il miglioramento della fertilità dei suoli e della biodiversità. I metodi biologici, tecnici e chimici sono bilanciati attentamente tenendo conto della protezione dell’ambiente, della convenienza economica e dei requisiti sociali

Foto R. Angelini

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certificazione di qualità operano nelle filiere agroalimentari vegetali. La UNI 11233:07 (del maggio 2007) rappresenta uno strumento strategico, concordato e riconosciuto, che contempla i principi e gli elementi per progettare e attuare un sistema di produzione integrata che possa essere certificato e reso riconoscibile sui mercati. Essa ha l’obiettivo di coniugare la salvaguardia delle risorse ambientali con il miglioramento delle condizioni tecnico-economiche dell’agricoltura, mirando a difendere la salute del consumatore mediante la valorizzazione delle produzioni ottenute attraverso la difesa integrata delle colture. La norma si applica ai processi di produzione dei prodotti destinati all’alimentazione umana e animale, inclusa la gestione delle fasi post-raccolta. La Produzione Integrata è definita come “un sistema di produzione agricola che privilegia l’utilizzo delle risorse e dei meccanismi di regolazione naturale in parziale sostituzione delle sostanze chimiche, assicurando un’agricoltura sostenibile”. Ne sono ele­ menti essenziali la centralità dell’azienda agricola e del suo agroecosistema e la conservazione e il miglioramento della fertilità dei suoli e della biodiversità. I metodi biologici, tecnici e chimici devono essere bilanciati attentamente, tenendo conto della protezione dell’ambiente, della convenienza economica e dei requisiti sociali. L’applicazione di questa norma anche nel settore dell’uva da tavola, e la certificazione di parte terza, nei prossimi anni potranno dare piena riconoscibilità al metodo di produzione e ai prodotti immessi sul mercato, a tutto vantaggio dei produttori e dei consumatori, in perfetto accordo con le strategie dell’Unione europea.

Foto R. Angelini

Foto R. Angelini

Standard della filiera Il consolidamento delle filiere produttive è ormai considerato, da più parti, necessario e strategico. L’aggregazione dell’offerta deve necessariamente partire dal campo, dalle prime fasi di produzione, e deve estendersi a tutti coloro che trasformano, conservano, confezionano e distribuiscono. Ogni attore della filiera deve avere piena consapevolezza dell’importanza del proprio ruolo e deve sentirsi pienamente responsabile del mantenimento delle condizioni di qualità e sicurezza dei prodotti che manipola. La forza di una filiera risiede principalmente nella capacità di dimostrare all’esterno, attraverso strumenti adeguati, l’origine delle materie prime e i contenuti tecnici lungo tutti i passaggi, fino alla tavola del consumatore. Questi principi hanno ispirato la norma internazionale ISO 22005:07, un sistema complesso di rintracciabilità, di natura volontaria, che coinvolge tutti gli attori di una filiera e i relativi passaggi, tracciando il prodotto dal campo fino alla tavola del consumatore. La rintracciabilità così intesa rappresenta, quindi, un prezioso strumento che, attraverso la ricchezza di informazioni messe a disposizione, permette di garantire la piena trasparenza circa le modalità di produzione 371


coltivazione e l’origine dei prodotti stessi, lasciando al consumatore, al momento dell’acquisto, la libertà di scelta. In Europa, già da tempo la rintracciabilità è un obbligo: il Reg. CE 178/02 impone, infatti, che per tutti i prodotti agroalimentari siano obbligatori alcuni semplici adempimenti. L’obbligo di rintracciabilità è esteso a tutte le fasi, dalla produzione alla distribuzione di un alimento (mangimi inclusi), e a tutte le sostanze destinate o atte a farne parte. All’operatore è richiesto di risalire al soggetto che gli ha fornito la materia prima e di individuare il soggetto a cui ha consegnato i propri prodotti (chi mi ha fornito cosa e a chi ho fornito cosa). Questo, quindi, deve adottare mezzi idonei alla raccolta e custodia di tali informazioni e garantirne il risultato. La necessità di controllare tutte le fasi di produzione ha portato alla diffusione di alcuni standard volontari applicabili anche alle parti finali del processo, incluso il condizionamento della produzione ortofrutticola. È il caso dei più diffusi standard europei: il BRCGlobal Standard e l’IFS (International Food Standard), basati principalmente sulla metodologia HACCP (Hazard Analisys Critical Control Point), a sua volta ispirata ai principi stabiliti dal Codex Alimentarius. Lo standard BRC, nato nel Regno Unito a opera del British Retail Consortium (consorzio degli operatori della distribuzione britannica), è alla sua 5a edizione. Con l’obiettivo di garantire l’igiene e la sicurezza dei prodotti alimentari, ha come principio fondante la necessità di permettere ai dettaglianti inglesi di agire secondo i principi della Due Diligence, prevista dalla legislazione del Regno Unito. Considerando che ogni soggetto della filiera è responsabile per la qualità igienico-sanitaria del prodotto, se ciascun soggetto è in grado di dimostrare di aver fatto il possibile per evitare ogni

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certificazione di qualità tipo di problema igienico-sanitario al prodotto, non può essere legalmente perseguito. L’IFS, anch’esso alla sua 5a revisione, nasce dall’idea di un gruppo di dettaglianti tedeschi e francesi a cui, recentemente, si sono aggiunti anche alcuni distributori italiani. A parte il complesso sistema di punteggio, più clemente nel caso dell’IFS, dato dalla combinazione della gravità dei requisiti non soddisfatti e dal loro numero, gli standard si somigliano molto, così come i punti di controllo. Si applicano entrambi alle organizzazioni che effettuano la manipolazione e la trasformazione di prodotti alimentari e sono standard di certificazione di prodotto. Gli obiettivi comuni sono così sintetizzabili: – mettere a disposizione dei fornitori linee guida chiare, che soddisfino le richieste dei clienti, in termini di igiene e sicurezza dei prodotti agroalimentari a marchio del dettagliante; – rispondere alle esigenze dei clienti in termini di requisiti di sicurezza alimentare e buone pratiche di produzione; – fornire uno standard certificato da Ente terzo indipendente, che possa essere utilizzato in modo uniforme dagli Organismi di Certificazione di tutto il mondo. L’ampia applicazione e diffusione di questi standard da parte di un gran numero di imprese di confezionamento dell’uva da tavola italiane dimostra, ancora una volta, l’attenzione delle imprese del settore verso l’innalzamento dei livelli di garanzia e controllo dei processi e dei prodotti e la capacità del sistema di rispondere prontamente alle richieste del mercato.

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